AA.VV. - Al Cinema Con Il Mostro (Ita Libro)

«Signor Webster, signor Webster!» proruppe infine, e nella sua voce tremava una
nota di paura ma anche di disperato coraggio. «Per l’amor di Dio, signor Webster,
attaccate i vostri cavalli e lasciate questo posto finché siete in tempo!»
«Mi avete fatto fare un bel po’ di strada, amico, per dirmi che non gradite la mia
compagnia» replicò Daniel Webster in tono assolutamente pacato, bevendo un sorso
dal suo boccale.
«Miserabile che non sono altro!» gemette Jabez Stone. «Vi ho trascinato in un
diabolico affare, e solo ora capisco la mia follia. Che mi porti pure via con sé, se
proprio lo vuole. Non che ciò mi alletti, sia chiaro, ma non c’è via d’uscita. Ma voi
siete la colonna dell’Unione e l’orgoglio del New Hampshire! Lui non deve avere
niente a che fare con voi, signor Webster! Deve starvi lontano!»
Daniel Webster fissò allora quell’uomo tanto sconvolto, grigio e tremante nella
luce del fuoco, e gli pose una mano sulla spalla.
«Vi ringrazio, amico Stone» gli rispose con tono tranquillo e composto. «Un
pensiero veramente gentile il vostro. Ma sul tavolo c’è una brocca e ho una causa fra
le mani. In vita mia non ho mai lasciato una brocca o una causa a metà.»
E proprio in quell’istante un colpo secco venne battuto alla porta.
«Ah», commentò Daniel Webster in tono calmissimo «mi sembrava proprio che il
vostro orologio fosse un’ombra in ritardo, amico Stone.» Si diresse alla porta e l’aprì.
«Avanti!» disse.
Il forestiero entrò, e alla luce del fuoco sembrava ancora più alto e tenebroso. Sotto
il braccio teneva una scatola, un contenitore di lacca nera con il coperchio
bucherellato da minuscoli forellini per l’aria. Appena scorse la scatola, Jabez Stone
emise un grido soffocato e indietreggiò fino a un angolo della stanza.
«Il signor Webster, se non vado errato» iniziò il forestiero in tono molto educato,
mentre i suoi occhi brillavano come quelli di una volpe nel profondo della foresta.
«Avvocato nominato dal signor Jabez Stone» precisò Daniel Webster, e anche i
suoi occhi brillavano. «Posso chiedere qual è il vostro nome?»
«Ne ho avuti moltissimi» gli rispose con noncuranza. < Forse per questa notte
andrebbe bene Sgorbio. Del resto è così che mi chiamano spesso da queste parti.»
Poi si sedette al tavolo e si versò da bere, dalla brocca. Il liquido, che era freddo
nella caraffa, prese a fumare nel boccale.
«E allora», riprese il forestiero con quel suo sorriso che scopriva i denti «vi
inviterei, quale cittadino rispettoso delle leggi, ad aiutarmi perché possa prendere
possesso di ciò che è mia proprietà.»
E con queste parole ebbe inizio la controversia che si fece man mano sempre più
accesa e accalorata. Da principio Jabez Stone nutriva un briciolo di speranza, ma
quando si rese conto che Daniel Webster era costretto a recedere di un punto via
l’altro, s’accovacciò tremante nel suo angolo con gli occhi fissi su quella scatola di
lacca. Perché non c’era nulla d’impugnabile nell’atto e nella firma, questo era il
guaio. Daniel Webster cercava ogni appiglio, si sbracciava e picchiava i pugni sul
tavolo, ma non c’era nulla da fare. Offrì persino un compromesso fra le due parti in
causa, ma il forestiero non ne volle sapere. Obiettò poi che la proprietà in questione
era aumentata di valore, e occorreva un diverso e miglior metro di valutazione per i
senatori dello Stato: il forestiero non intendeva però distaccarsi da un’interpretazione