Concu, Verità per verità - Sardegna Cultura
Concu, Verità per verità - Sardegna Cultura
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Roberto <strong>Concu</strong><br />
<strong>Verità</strong><br />
<strong>per</strong> <strong>verità</strong><br />
Il Maestrale
Tascabili . Narrativa
Editing<br />
Giancarlo Porcu<br />
Progetto co<strong>per</strong>tina<br />
Nino Mele<br />
Imago multimedia<br />
Foto<br />
Alessandro Contu<br />
Imago multimedia<br />
Impaginazione<br />
Imago multimedia<br />
© 2005 Edizioni Il Maestrale<br />
Redazione: via Monsignor Melas 15 - 08100 Nuoro<br />
Telefono e Fax 0784.31830<br />
E-mail: redazione@edizionimaestrale.com<br />
Internet: www.edizionimaestrale.com<br />
ISBN 88-86109-87-3<br />
Roberto <strong>Concu</strong><br />
<strong>Verità</strong> <strong>per</strong> <strong>verità</strong><br />
Il Maestrale
a Gianfranca
…a mode of truth, not of truth coherent<br />
and central, but angular and splintered.<br />
De Quincey, Writings, XI, 68<br />
È proprio della realtà apparirci irreale, incoerente,<br />
in quanto si presenta come una<br />
<strong>per</strong>petua sfida alla logica, al buon senso,<br />
almeno come ci siamo abituati a vederli<br />
regnare nei libri […] sicché ci capita a volte<br />
di domandarci quale di queste due realtà<br />
sia la vera.<br />
Claude Simon, L’erba
L’odore acido del lentischio è insopportabile. L’umido<br />
vischioso della notte lo rende ancora più penetrante,<br />
e gli appiccica il passamontagna alla pelle tanto che<br />
respira a fatica. Ha la bocca impastata e amara, deglutisce<br />
più volte mentre sfrega energicamente il passamontagna<br />
contro la faccia. La lana sfrigola nel silenzio<br />
della campagna.<br />
Il fucile quasi gli scivola dalle mani, rattrappite dal<br />
freddo. Lo stringe saldamente. Non ce la farò, che non<br />
ce la farà mai urla dentro di sé mentre il sangue ora pesta<br />
sulle tempie violento e caldo, e una palpebra gli si<br />
contrae nervosamente allo stesso ritmo. Strizza l’occhio<br />
- Calma - ma la palpebra non smette di scattare in<br />
su e in giù, e lui serra l’occhio con più forza e tende il<br />
busto in avanti, come a prendere già la mira. Vacilla -<br />
Calmo, immobile - punta il piede contro un sasso, preme<br />
l’altro ginocchio contro la terra dura, ma non riesce<br />
a star fermo, ad aspettare dietro al cespuglio. E balza in<br />
piedi.<br />
Stanotte il cielo è un buco nero profondo che inghiotte<br />
le stelle. A guardarlo, il buio sembra piovere addosso<br />
11
alle ombre delle poche querce tra i casolari, alla sagoma<br />
di Lorenzo, ora ritta accanto al cespuglio.<br />
Lorenzo appoggia il calcio del fucile contro la spalla<br />
e lo spinge a sé con forza. Ha odore di sego che lo rassicura.<br />
Punta le canne contro il buio, dritto davanti a sè,<br />
<strong>per</strong>ché è da lì che arriverà - arriva, dài, arriva - mentre<br />
la notte trema lungo la linea di mira. Ora anche le sue<br />
mani tremano.<br />
Il fascio di luce sbuca dal dosso dello sterrato tagliando<br />
in due il cielo con un cono accecante. Lorenzo<br />
si riacquatta dietro al cespuglio e aspetta. Il rumore<br />
del motore s’avvicina lentamente: sembra non arrivare<br />
mai.<br />
Quando il fuoristrada si ferma davanti al cancello,<br />
Lorenzo trattiene il respiro e assesta il calcio dell’arma.<br />
La luce dei fari penetra attraverso i rami, abbagliandolo.<br />
Chiude gli occhi, poi, di colpo, li riapre. Trema ancora.<br />
L’uomo scende dal fuoristrada e lascia spalancata la<br />
portiera. Ora gli sta di fronte. È un attimo. L’indice scivola<br />
sul grilletto, Lorenzo lo preme appena e la molla<br />
si tende, pronta a scattare, con un breve cigolio che gli<br />
ridà coraggio, mentre adesso il fucile gli sembra pesare<br />
tre volte tanto. Il sudore gli cola sugli occhi, il calcio<br />
sobbalza al ritmo impazzito del sangue che continua a<br />
martellare. L’uomo non ha fretta. È un’ombra sfuocata<br />
12<br />
che avanza goffamente verso di lui, strascicando gli<br />
scarponi sul terreno duro. Indossa una lurida maglia<br />
di lana, con le maniche tirate su fino ai gomiti, lasciando<br />
sco<strong>per</strong>ti i grossi avambracci.<br />
Afferra il lucchetto e si guarda intorno. Lorenzo si ritrae<br />
con uno scatto, il cuore che gli balza in gola. L’uomo<br />
apre il lucchetto e sfila la catena con uno strappo<br />
secco che risuona come una sventagliata di mitra. Continua<br />
a guardarsi intorno, voltando la testa da una parte<br />
all’altra come un animale che fiuta l’aria.<br />
La catena gli penzola ancora dalla mano mentre tira<br />
il cancello verso di sé. Poi si china <strong>per</strong> sollevare il ferro<br />
che blocca l’altra anta. Bestemmia sottovoce <strong>per</strong> lo<br />
sforzo: il fermo è ben conficcato in terra.<br />
Ora! Lorenzo strappa via il passamontagna, balza in<br />
piedi, due passi e si pianta davanti a lui. Suda freddo,<br />
adesso, lunghi brividi gli scartavetrano la pelle, gli scarponi<br />
cercano presa nella polvere - Devo, devo farcela - e<br />
urla un nome nella notte: - Giommarì! - e Giommaria<br />
molla la presa dal fermo e si volta. Lui gli punta il fucile<br />
al petto. Preciso. Dritto al cuore.<br />
Giommaria Dore è caduto all’indietro, afflosciandosi<br />
contro il cancello, la catena ancora stretta nella mano,<br />
le gambe scomposte, piegate di lato una sull’altra.<br />
Ma con tutta la rabbia che gli è rimasta in corpo, Lorenzo<br />
tiene in tensione il grilletto, il fucile saldamente<br />
13
puntato nel vuoto. Ansima a bocca a<strong>per</strong>ta, ora, suda,<br />
una vampata di calore gli accende la faccia, gli gonfia gli<br />
occhi che sembrano sul punto di esplodere dalle orbite.<br />
Nell’aria vibra ancora l’eco della fucilata, mentre<br />
nuvole si ammassano rapide contro il cielo. Lorenzo<br />
abbassa il fucile e s’avvicina lentamente a Giommaria<br />
Dore.<br />
Fissa con odio quel corpo accartocciato nella polvere<br />
come un animale: puzza, rantola, la faccia bagnata,<br />
contratta in una smorfia che gli sembra di stupore, ma<br />
è negli occhi sbarrati che gli legge la paura. E mentre lo<br />
guarda, Lorenzo sente la testa scoppiare e il sangue<br />
che pressa nelle orecchie, gli occhi che si riempiono di<br />
lacrime, calde e inaspettate, e con uno scatto rabbioso<br />
gli sferra un calcio alle costole, poi un altro e un altro<br />
ancora, sino a che Giommaria Dore smette di gemere.<br />
Le luci del fuoristrada attraversano il buio sino a illuminare<br />
il muro del capannone alle spalle di Lorenzo.<br />
Lui non guarda più il cadavere di Giommaria Dore: ha<br />
chiuso gli occhi, spossato. Vorrebbe che tutto fosse già<br />
finito, che la rabbia, finalmente, si placasse. Ma non<br />
può fermarsi ora.<br />
Con passo deciso ritorna al cespuglio. Appoggia il<br />
fucile al muretto, afferra lo zaino nascosto tra i rami di<br />
lentischio e torna al cancello. Apre lo zaino, tira fuori<br />
una grossa corda col cappio, e con la punta dello scar-<br />
14<br />
pone solleva la testa di Giommaria Dore il tanto che<br />
basta <strong>per</strong> infilare il cappio. Si china. La corda scivola<br />
sui capelli fradici e sulla nuca bagnata dal sudore: sembra<br />
che non finisca mai di colargli dalla faccia, e il sangue<br />
dal petto. Ha gesti misurati, ora, Lorenzo. Stringe<br />
il cappio e getta un’ultima, fredda occhiata al cadavere,<br />
e rabbrividisce, come se Giommaria Dore fosse ancora<br />
vivo.<br />
Lorenzo si risolleva e passa la corda sopra l’anta del<br />
cancello rimasta chiusa. Esita, ma poi tira la corda con<br />
entrambe le mani, la corda stride contro il metallo, fa<br />
fatica a sollevare il corpo: è pesante Giommaria Dore.<br />
Ma adesso eccolo lì, finito, appeso, sotto la luce dei fari<br />
che gli illuminano la faccia.<br />
Ma non si concede tempo Lorenzo, ora ha fretta, e<br />
dallo zaino prende una piccola bambola. Ne stacca la<br />
testa e la infila nel ferro alla sinistra del cadavere, poi<br />
ne infilza il corpo dall’altra parte.<br />
Prende lo zaino e s’incammina verso il cespuglio. Riprende<br />
il fucile e raccoglie il passamontagna, lo butta<br />
dentro lo zaino con un gesto nervoso. È finita. Mette in<br />
spalla lo zaino insieme al fucile e s’avvia verso il paese<br />
tagliando <strong>per</strong> l’ovile. Solo dopo aver su<strong>per</strong>ato il capannone<br />
si volta indietro. L’odore del lentischio, la bambola<br />
sul cancello, Giommaria Dore: tutto è già lontano.<br />
15
Il reparto geriatrico occupa il dodicesimo piano del<br />
San Sebastiano. Ora è immerso nel semibuio della notte,<br />
solo il ronzio continuo dei neon anima i corridoi. Sui<br />
vetri delle finestre, le luci della città tremolano come<br />
bagliori di un temporale lontano.<br />
Nella piccola stanza riservata alle infermiere, Anna si<br />
è assopita sulla sedia. Ha un’aria indifesa con la testa<br />
abbandonata sulla spalla, e le mani raccolte sul grembo.<br />
Alcune ciocche nere spuntano da sotto la cuffia candida.<br />
Quando la mano del dottor Bruni le sfiora la spalla,<br />
Anna si riscuote di soprassalto, facendo scivolare all’indietro<br />
la sedia che stride sul pavimento.<br />
– Prenda, Anna. – Invita il dottor Bruni mentre le<br />
porge la tazzina di caffè fumante.<br />
Anna si ricompone in fretta sulla sedia e lo guarda,<br />
imbarazzata.<br />
– Mi scusi, dottore, – farfuglia. – Non mi è mai successo<br />
di addormentarmi così.<br />
Il dottore cerca di minimizzare:<br />
– Oh, non si preoccupi, succede. – Ma lo dice col so-<br />
17
lito tono affettato che suona freddo, e non è comprensione.<br />
Anna prende la tazzina di caffè. L’aroma è quello familiare<br />
e confortante di un vero caffè.<br />
– Grazie, dottor Bruni. Ci voleva proprio.<br />
– È gia zuccherato. – Il dottore ha pensato proprio a<br />
tutto. – Due cucchiaini, vero?<br />
Anna annuisce, sorpresa: il dottor Bruni non è solito<br />
a simili attenzioni tra colleghi. Nonostante ci sia una sedia<br />
vuota accanto a lei, il dottore rimane in piedi. Beve<br />
il caffè in due sorsate rapide, una dietro l’altra, quasi<br />
senza piacere, mentre lei stringe ancora la tazzina tra le<br />
mani.<br />
– Ricorda la signora Manni? – riprende il dottor Bruni.<br />
– La vecchia caposala… quella che è andata in pensione<br />
cinque anni fa.<br />
– Sì, vagamente.<br />
– Ah certo, lei aveva appena iniziato il tirocinio, allora.<br />
Comunque, la notte tra l’uno e il due di novembre<br />
dell’anno prima, – il dottor Bruni ha una memoria di<br />
ferro, – ero di turno insieme a Renato, il dottor Pezza.<br />
Avevamo bisogno di parlare con la signora Manni, ma<br />
non la si trovava da nessuna parte. Insomma, la cercammo<br />
<strong>per</strong> tutto il reparto tranne che nel posto più impensabile.<br />
– Il dottore si ferma <strong>per</strong> un attimo, poi riprende,<br />
divertito: – Non ci crederà, Anna. Allora in reparto<br />
avevamo una piccola sala o<strong>per</strong>atoria <strong>per</strong> le emergenze,<br />
e fu proprio lì che la trovammo, distesa sul tavo-<br />
18<br />
lo o<strong>per</strong>atorio che se la dormiva, e sbuffava pure, come<br />
una caffettiera!<br />
Anna abbozza un sorrisino e sorseggia lentamente il<br />
caffè. Ride, invece, tra sé il dottor Bruni: appartiene a<br />
quella categoria di <strong>per</strong>sone che più si sforzano di riuscire<br />
simpatici e meno ci riescono.<br />
– Fummo anche tentati di giocarle un brutto scherzo,<br />
sa, ma lasciammo <strong>per</strong>dere. Non era la prima volta che<br />
le succedeva di addormentarsi durante il turno, anche<br />
di giorno, incredibile. Doveva avere qualche grosso<br />
problema la signora Manni… e poi, sì… insomma,<br />
puzzava d’alcol.<br />
Anna finisce di bere il caffè, mentre il dottor Bruni<br />
sbircia l’orologio al polso e si fa di nuovo serio:<br />
– È ora di fare il nostro giro di controllo, – dice posando<br />
la tazzina sulla sedia accanto ad Anna.<br />
Il dottore ha una camminata quanto meno curiosa.<br />
Anna l’osserva mentre cammina dietro di lui lungo la<br />
corsia, colpita dal modo maniacale in cui, dopo sette<br />
passi, la gamba destra scatta in avanti im<strong>per</strong>cettibilmente,<br />
come se lui non riuscisse più a controllarla. È<br />
una scossa repentina, che lo costringe ad accelerare<br />
<strong>per</strong> recu<strong>per</strong>are il passo, e a quel punto viene difficile<br />
stargli dietro.<br />
Il dottore precede Anna nel reparto uomini. Dal fondo<br />
del reparto provengono rumori che si fanno sempre<br />
19
più distinti man mano che si avvicinano: un letto che<br />
viene spostato, passi strascinati, una voce che bisbiglia<br />
qualcosa di incomprensibile. È dalla camera tredici<br />
che arrivano. Il dottore si ferma sulla soglia della stanza<br />
avvolta dalla penombra, sbircia all’interno e poi si volta<br />
verso Anna che, nel frattempo, l’ha raggiunto. Senza<br />
esitare, Anna entra nella camera.<br />
Il signor Saba, un vecchio arteriosclerotico, è intento<br />
a disfare il letto.<br />
– Signor Saba. – Lo richiama Anna addolcendo il tono<br />
della voce. – Ma cosa fa?<br />
– Il cubo, – sussurra scontroso il vecchio. E butta la<br />
co<strong>per</strong>ta sul pavimento, toglie il lenzuolo di sopra, lo<br />
getta sulla co<strong>per</strong>ta, e quasi strappa via l’altro lenzuolo,<br />
lasciandolo poi cadere sul mucchio ai suoi piedi. Afferra<br />
il materasso e lo ripiega su se stesso, addossandolo<br />
alla spalliera del letto. Anna lo lascia fare. Il signor Saba<br />
prende la co<strong>per</strong>ta, la piega in due e poi l’avvolge attorno<br />
al materasso con gesti sicuri e puntigliosi. Piega entrambe<br />
le lenzuola e le infila tra la co<strong>per</strong>ta e il materasso,<br />
infine prende il cuscino e lo posa sulla co<strong>per</strong>ta, battendovi<br />
poi sopra con entrambe le mani, come a dire<br />
ecco fatto. Solleva la testa e squadra Anna e il dottore<br />
dietro di lei, con quei suoi occhietti spalancati che luccicano<br />
nel semibuio come fossero di vetro.<br />
– Non va bene, sergente maggiore Saba, – interviene<br />
il dottor Bruni, – il suo cubo non è <strong>per</strong>fetto. – E si pianta<br />
davanti al sergente maggiore, impettito, le gambe di-<br />
20<br />
varicate e le mani strette a pugno sui fianchi. Ora ha<br />
un’espressione seria e autoritaria, il dottore, che impressiona<br />
il vecchio tanto che lui scatta sull’attenti e<br />
tende il braccio nel saluto fascista. “Ci manca solo che<br />
ora gridi Viva il duce o Eia eia ala là” pensa Anna.<br />
Invece rimane col braccio sospeso <strong>per</strong> aria, mentre la<br />
faccia si scompone in una smorfia di delusione e <strong>per</strong>plessità.<br />
E con la stessa espressione fissa il dottore, forse<br />
aspettandosi che risponda al saluto e gli dia una spiegazione<br />
del suo disappunto. Ma il dottor Bruni resta<br />
immobile in posa, e lo incalza:<br />
– Colonnello Bruni, Divisione Gran Sasso. Chi le ha<br />
ordinato la sveglia a quest’ora di notte? Non vede che<br />
tutti gli altri sono in branda?<br />
Il dottore ha sollevato il tono della voce, così il paziente<br />
accanto al letto del signor Saba accenna a protestare.<br />
– Ma signore, gli inglesi! – Il sergente maggiore cerca<br />
di giustificarsi, il braccio ancora teso. – Gli inglesi marciano<br />
su Dire Daua, se non ci ritiriamo è la fine! – e lancia<br />
ad Anna un’occhiata implorante.<br />
L’infermiera gli si avvicina, gli poggia delicatamente<br />
la mano sul braccio e lo rassicura. Non ci vuole molto a<br />
convincerlo che i suoi nemici sono molto lontani.<br />
Anna e il dottor Bruni escono in silenzio dalla camera.<br />
Per un attimo lei osserva di nuovo la camminata del<br />
21
dottore: ora è lenta, i passi un poco strascicati, come se<br />
avesse appena affrontato un titano a tre teste. È così<br />
che Anna ha sempre immaginato la malattia della madre:<br />
un mostro a tre teste.<br />
Maura, la tirocinante, viene loro incontro lungo il<br />
corridoio. È allarmata: la vecchia al numero sei ha la<br />
febbre alta, delira, e lei non è riuscita a calmarla. S’affrettano<br />
verso la camera.<br />
Quando entrano nella stanza li accoglie il lamento<br />
della vecchia:<br />
– Babbo, datemi acqua… datemi acqua… – implora<br />
debolmente, tendendo la mano al di sopra delle co<strong>per</strong>te,<br />
una mano mendicante.<br />
Anna quasi si precipita da lei e le prende la mano.<br />
– Dottore, – dice – brucia.<br />
E le accarezza la faccia sudata, un viso piccolo piccolo,<br />
di bambina, coi lineamenti pallidi, evanescenti <strong>per</strong><br />
la febbre che la consuma da una settimana: un volto sfinito<br />
come quello della madre negli ultimi giorni.<br />
Il dottor Bruni somministra alla vecchia un antipiretico<br />
e un calmante. Guarda Anna, e i loro sguardi si incontrano.<br />
Lui accenna un sorriso amaro, ma ritorna subito<br />
serio e va via.<br />
Maura ora dà da bere dell’acqua alla paziente con un<br />
cucchiaino, ma sembra che non le basti mai, e appena<br />
Maura smette di imboccarla, riprende la sua invocazione:<br />
– Acqua… acqua…<br />
Solo quando il medicinale inizia a fare effetto, la don-<br />
22<br />
na si calma, scivolando sempre più verso un sonno incerto<br />
e tormentato.<br />
Anna è rimasta da sola nella camera numero sei. Nella<br />
stanza non ci sono altre pazienti oltre la vecchia, che<br />
continua a gemere di tanto in tanto, ma sempre più debolmente.<br />
Anna si avvicina alla finestra e guarda fuori:<br />
la città dorme sotto un cielo a tratti oscuro, nuvole si<br />
ammassano contro l’orizzonte: vengono da nord ovest<br />
a portare la pioggia d’autunno. Dà un’occhiata all’orologio:<br />
le cinque e ventitré, vorrebbe essere già a casa e<br />
pensa a Lorenzo che, di sicuro, a quell’ora è già andato<br />
a caccia, e al padre che da quando mamma è morta ha<br />
iniziato a intagliare radici di lentischio. Ne fa croci,<br />
croci vuote, senza mai un Cristo crocifisso.<br />
La vecchia s’agita nel letto, tira di nuovo fuori la mano<br />
da sotto le co<strong>per</strong>te.<br />
– Datemi il rosario. – Geme. – Datemi il rosario.<br />
Anna s’avvicina, cerca il rosario sul comodino, poi<br />
apre il cassetto e rovista senza trovare il rosario. Prende<br />
la vestaglia dalla sedia accanto al letto, fruga nelle tasche,<br />
ma non c’è. Guarda la vecchia che continua a invocare<br />
il suo rosario. Eccolo, è sotto il cuscino da cui<br />
spunta la croce. Lo sfila piano.<br />
Ora lo tiene incerta tra le mani, come se non sapesse<br />
che farne. La piccola croce di legno è consumata, sembra<br />
una delle croci intagliate dal padre. Lancia ancora<br />
23
uno sguardo verso la donna e dalle labbra le sfugge appena<br />
qualche parola, pietosa come una preghiera. Ma<br />
la vecchia implora il suo rosario, così glielo adagia sulla<br />
mano tremante, la pelle sottile, le vene bluastre che<br />
s’intrecciano tra le ossa. La donna stringe il rosario tra<br />
le dita e inizia a muovere le labbra, un movimento lento,<br />
quasi meccanico che ipnotizza Anna. Lei rimane a<br />
lungo in piedi accanto a letto, mentre la vecchia recita<br />
le sue preghiere con un soffio tra le labbra.<br />
24<br />
L’ovile di Pala Mortis è su una collina bassa e spoglia,<br />
solo qualche sughera interrompe la distesa del pascolo.<br />
Alle spalle della collina, la sagoma dei monti riemerge<br />
lentamente dall’oscurità, le cime nascoste da nuvole<br />
minacciose. Lorenzo si sente sicuro, ora, <strong>per</strong>sino calmo<br />
mentre discende il costone della collina di Pala Mortis.<br />
Ma continua ad avere negli occhi la bambola di Bibi a<br />
pezzi sul cancello; il corpicino sbiadito, le sopracciglia<br />
ripassate con la penna, e gli occhi azzurri senza ciglia gli<br />
sono rimasti ben impressi sin da bambino: era la bambola<br />
preferita dalla sorella. E sono tre giorni e tre notti<br />
che quei particolari ce li ha fissi in mente, da quando ha<br />
ritrovato la bambola dentro un sacco di plastica nera,<br />
buttato dentro l’armadio nella stanza di Bibi, in mezzo<br />
ad altri sacchi di vecchi vestiti. Seduto sul letto di Bibi<br />
era rimasto a fissarla a lungo, a girarla e rigirarla tra le<br />
mani, e aveva pianto. Come ha pianto ieri notte, dopo<br />
averle strappato via l’assurdo tutù di tulle che la sorella<br />
le aveva cucito addosso. Poi aveva gettato la bambola<br />
dentro lo zaino.<br />
25
Anche ora gli occhi gli si velano di lacrime a Lorenzo,<br />
le trattiene a stento mentre continua a camminare. A<br />
fondo valle, attraversa il letto del torrente ancora in<br />
secca, e risale nella macchia. La nostalgia di Bibi non<br />
l’ha mai abbandonato. Aveva soltanto ventisette anni<br />
quando se n’è andata via all’improvviso - solo a lui ha<br />
avuto il coraggio di spiegare <strong>per</strong>ché - se n’è andata a lavorare<br />
fuori - Non ritornerò più, Lorenzo - e ha mantenuto<br />
la parola: sono nove anni che è andata via e non è<br />
mai ritornata, lasciandolo solo col suo segreto.<br />
La luce del giorno sembra spuntare a fatica attraverso<br />
la coltre di nuvole. Lorenzo lancia una rapida occhiata<br />
verso il cielo e s’affretta. Il cielo è grigio e pare<br />
debba venire giù da un momento all’altro. Lorenzo<br />
continua a risalire il pendio della collina, l’ovile di Pala<br />
Mortis è ancora visibile alle sue spalle, ma lui non si<br />
volta. Prosegue, la macchia si dirada sempre più man<br />
mano che s’avvicina alla sommità della collina, dove,<br />
tra le rocce, querce isolate si stagliano contro il cielo<br />
con la chioma mangiata dal vento. Lui avanza senza<br />
fatica puntando gli scarponi nell’erba; di tanto in tanto,<br />
assesta il fucile in spalla e allora, il pensiero corre<br />
allo schianto del corpo scaraventato a terra dalla fucilata,<br />
alla mano che ancora stringe la catena, alla polvere<br />
impastata col sangue sulla faccia, alla paura negli<br />
occhi di Giommaria Dore.<br />
26<br />
La grande quercia è addossata alla roccia che strapiomba<br />
nel vuoto. Oltre, la valle di Ortachi è una distesa<br />
di campi ingialliti dove, su tutto, svettano le ciminiere<br />
fumanti del petrolchimico. La quercia ha il tronco<br />
annerito dall’ultimo incendio, ma è ancora là che resiste,<br />
è viva: sui rami sono spuntate nuove foglie, anche<br />
su quello più grosso che, prima dell’incendio, nascondeva<br />
la roccia col suo fogliame.<br />
Lorenzo si toglie lo zaino, buttandolo poi ai piedi<br />
dell’albero, e sistema il fucile a tracolla. Scala sicuro la<br />
roccia, aggrappandosi agli spuntoni, sino a raggiungere<br />
il grosso ramo. Smonta il fucile e lo poggia di piatto<br />
tra due rami, s’inginocchia sulla roccia e si china sulla<br />
cavità che si apre nel punto in cui il ramo si biforca dal<br />
tronco. È un buon nascondiglio.<br />
È dentro quella cavità che ha trovato il primo fucile<br />
della sua vita, una doppietta a canne mozze col calcio<br />
segato - aveva tredici anni, ed era rimasto deluso <strong>per</strong>ché<br />
l’arma non funzionava, ma l’ha custodita gelosamente<br />
nella sua stanza, rivelandolo solo a Bibi - e ora, in<br />
quello stesso buco affonda il braccio fin sopra la spalla,<br />
tenendosi al ramo con l’altra mano, e sfila il suo fucile<br />
da caccia. Si solleva e adagia il fucile accanto all’altro,<br />
che afferra <strong>per</strong> le canne e getta nell’incavo con un gesto<br />
rabbioso.<br />
In piedi sulla roccia, Lorenzo ora sembra esitare, si<br />
volta e lo sguardo indugia sui pascoli di Pala Mortis, sul<br />
casolare in cima alla collina di fronte, sulle ultime case<br />
27
del paese, arrampicate lungo il pendio di monte Ile. E<br />
con gli occhi che ora bruciano <strong>per</strong> la tensione che non<br />
s’allenta, <strong>per</strong>corre il sentiero che conduce al paese. Poi<br />
lancia ancora un’occhiata al cielo: tre cornacchie volano<br />
in cerchio, lente, una dietro l’altra, alte, silenziose.<br />
Lorenzo scende dalla roccia e imbraccia il fucile.<br />
Spara: una due fucilate nel vuoto verso la valle. Gli uccelli<br />
volano via, lanciando striduli gracchii che graffiano<br />
il silenzio. Lui ricarica e spara, una due fucilate nel<br />
vuoto, verso la valle.<br />
È giorno quando Lorenzo entra in paese. È stanco<br />
ma istintivamente accelera il passo appena sente un’auto<br />
arrivare alle sue spalle. Infila il pollice sotto la bretella<br />
del fucile e la stringe nella mano. L’auto l’affianca e<br />
rallenta. Lui si ferma, ritraendosi contro il muro <strong>per</strong> lasciarla<br />
passare. L’autista sfiora il clacson e poi lo saluta<br />
agitando la mano verso di lui. Attraverso il vetro, Lorenzo<br />
intravede l’inconfondibile barba brizzolata di<br />
Piero, così lunga che gli arriva sino al petto; ricambia il<br />
saluto con un cenno sbrigativo della mano e, prima di<br />
riprendere la strada, attende che la macchina scompaia<br />
dietro la curva del vicolo.<br />
Oltre a Piero, non incontra nessun altro <strong>per</strong> le vie del<br />
paese, un labirinto di vicoli che sembrano tutti uguali,<br />
stretti tra vecchie case di pietra <strong>per</strong> lo più disabitate.<br />
Gli stessi vicoli dove giocavano con la sorella, inse-<br />
28<br />
guendosi a <strong>per</strong>difiato lungo le discese, o saltellando a<br />
un piede da una casella all’altra del paradiso tracciato<br />
sull’asfalto con un pezzo di gesso; o divertendosi a sbirciare<br />
dai vetri rotti dentro il buio delle case abbandonate<br />
- come quella accanto alla loro - <strong>per</strong> poi fuggire<br />
via, impauriti, come se, in quell’oscurità, avessero visto<br />
Maria Frensada. E rabbrividisce, ora, mentre passa davanti<br />
a quella stessa casa, e getta un’occhiata al di là della<br />
finestra malconcia.<br />
La serranda del garage dietro la casa di Lorenzo è<br />
a<strong>per</strong>ta. Entra. Seduto sullo sgabello, il padre lo guarda,<br />
non lo saluta, non è sorpreso di vederlo. Abbassa lo<br />
sguardo e fissa a lungo gli scarponi di Lorenzo, senza<br />
dire una parola. Sfila il mozzicone di toscano che tiene<br />
spento tra le labbra, e con un brusco cenno della mano:<br />
– Che bestia hai ucciso <strong>per</strong> avere questa puzza addosso?<br />
– chiede con voce stentata, come se da anni non<br />
parlasse ad anima viva.<br />
Lorenzo trasale, non sa che rispondere, e corre di<br />
sopra.<br />
29
La lama del coltello scortica la radice con facilità,<br />
senza affondare, scoprendo il legno pallido e gelatinoso.<br />
La radice sa ancora della terra umida e magra in cui<br />
affondava. La ripulisce con cura, appianandone i nodi,<br />
spingendo la lama più a fondo laddove si contorce su se<br />
stessa, e si dirama, sembra vibrare ancora della forza<br />
paziente con la quale lottava <strong>per</strong> penetrare nel terreno.<br />
Ogni radice è unica. E ogni volta è diverso il rumore<br />
che il filo del coltello emette, scivolando sul legno. Ora<br />
è un graffio, ora è un gemito, ora un belato o una nota<br />
di basso che dura un attimo, subito assorbita dal legno.<br />
La forma rivela qualcosa di misterioso e naturale al<br />
tempo stesso. Questa, ricalca la sagoma di una mano<br />
a<strong>per</strong>ta, con le dita distanti l’una dall’altra, deformate e<br />
nodose. Come quelle di un vecchio.<br />
Il vecchio finisce di scorticarla, e scuote i trucioli dai<br />
pantaloni. È due volte il palmo della sua mano; le parla<br />
in silenzio, mentre segue con gli occhi le sottili venature<br />
che non s’incontrano mai. Sa anche da dove viene:<br />
un podere abbandonato da quando il padrone è morto,<br />
e devastato dal fuoco in un pomeriggio di agosto di tre<br />
31
anni fa. Nata dalle ceneri dell’inferno, tra le carcasse di<br />
olivi svuotati e abbattuti dalle fiamme, e fichi d’india<br />
fiaccati dal calore. Di peggio al mondo non può succedere!<br />
L’accarezza prima con le dita annerite, già impregnate<br />
dell’odore acre del lentischio, poi con la lama. E inizia<br />
a tagliare, a raschiare, a piallare, sordo ai rumori che<br />
provengono dal piano di sopra. Le fibre del legno, sottili<br />
e crespe, ricadono sul pavimento con lo stesso fruscio<br />
dei riccioli di lana che sfregano l’uno contro l’altro.<br />
Raschia senza sforzo, ora ripulisce la lama spalmandola<br />
sui pantaloni, da una parte e poi dall’altra, ora leviga<br />
piano, con cura, il busto che dondola avanti e indietro,<br />
la lama che l’asseconda, mentre il sudore inumidisce<br />
già il palmo della mano. È gonfia e dura, come può esserlo<br />
solo la mano di un vecchio che ha speso la vita a<br />
spremere latte e a lottare in un mondo che non esiste<br />
più. Il vecchio rinsalda la stretta sul manico del coltello,<br />
nonostante il gonfiore provochi una fastidiosa tensione<br />
tra il pollice e l’indice, come se i nervi li sentisse al<br />
limite, lì lì <strong>per</strong> spezzarsi.<br />
La schiena piegata in avanti, il vecchio divarica le<br />
gambe, poggiando gli avambracci sulle cosce, e avvicina<br />
agli occhi il legno appena sbozzato. Nella luce grigia<br />
lo sguardo si appanna, la sagoma s’allontana e i contorni<br />
sfumano; si guarda intorno - gli occhi che vagano ve-<br />
32<br />
lati - senza riuscire più a distinguere oggetti e distanze,<br />
colori e movimenti, confusi come alberi e animali immersi<br />
nelle fiamme. A momenti la vista cede, senza<br />
preavviso, e strizza gli occhi finché scompare la patina<br />
invisibile che li oscura, e se lo chiede: se rimarrà altro,<br />
se la vista dovesse andare via.<br />
Antonio Messa si passa una mano sulla guancia, la<br />
barba ispida sfrigola e punge, avvicina alle labbra quel<br />
che rimane della radice. Ha un sapore amaro; inumidisce<br />
le labbra con la punta della lingua, aspetta fino a<br />
quando l’amaro si scioglie in bocca.<br />
Una ventata improvvisa s’infila nel garage, nell’aria<br />
ora corre l’odore della pioggia. Da sopra giungono e si<br />
alternano i cigolii del letto e passi pesanti. Gli scarponi<br />
di Lorenzo impolverati e macchiati…<br />
Il vecchio sputa sulla lama, la ripulisce sui calzoni, e<br />
riprende a levigare, a intagliare, a ridurre senza sosta il<br />
legno a qualcosa che assomigli a una croce, pulita, liscia,<br />
senza chiodi, senza sangue.<br />
Così dimentica quel che può dimenticare.<br />
33
Nella stanza delle infermiere ristagna ancora l’odore<br />
dolciastro del caffè: le due tazzine sono rimaste sulla sedia<br />
dalla notte appena trascorsa. Anna si toglie di dosso<br />
il camice e l’infila nello zainetto, non s’accorge del dottor<br />
Bruni fermo sulla soglia che la guarda. È davvero<br />
stanca. Si riavvia i capelli con le dita e li tira indietro,<br />
con forza, e chiude gli occhi: <strong>per</strong> un attimo, la pressione<br />
dei polpastrelli sulla testa le dà sollievo. Tutto ciò<br />
che desidera in questo momento è andare via dall’ospedale,<br />
vagare <strong>per</strong> la città, tra la gente, <strong>per</strong>ché niente la rilassa<br />
come camminare <strong>per</strong> le strade senza aver nulla da<br />
fare, e poi ritornare a casa.<br />
Infila il giubbotto senza fretta, e si guarda intorno -<br />
Ho preso tutto? - annuisce e prende lo zainetto. Lo mette<br />
in spalla.<br />
– Dottor Bruni… – Anna si blocca di colpo di fronte<br />
al dottore.<br />
I loro occhi s’incontrano, ma Anna distoglie subito lo<br />
sguardo, mentre lui continua a guardarla come se volesse<br />
chiederle qualcosa. Anche il dottor Bruni ha un’aria<br />
distrutta. Sembra che stanotte lui e Anna abbiano<br />
35
lottato contro la morte insieme alla vecchia nella camera<br />
sei.<br />
– Già pronta? – chiede ad Anna. – Se hai la pazienza<br />
di aspettarmi, ti do un passaggio.<br />
– Non c’è bisogno, grazie. – Risponde lei sorpresa,<br />
ma con un pizzico di disappunto <strong>per</strong> il tono confidenziale<br />
del dottore.<br />
Il dottor Bruni vorrebbe insistere, ma Anna avanza<br />
verso di lui, che indietreggia nel corridoio. Anna esce<br />
dalla stanza, lo saluta senza guardarlo:<br />
– Arrivederci, dottore.<br />
– Ciao, Anna…<br />
La nebbia del mattino si solleva velocemente sotto le<br />
folate del maestrale, scoprendo nuvole pesanti e basse.<br />
Il vento di nord ovest porta il primo freddo dopo l’estate,<br />
e mette sottosopra la città con le sue raffiche che<br />
strappano l’aria. Per le vie, le <strong>per</strong>sone si stringono negli<br />
abiti come a cercare un calore nuovo: vorrebbero che<br />
l’estate non fosse finita.<br />
Anna cammina lungo Viale Italia, le mani affondate<br />
nelle tasche del giubbotto. Sorride <strong>per</strong> la sensazione di<br />
ebbrezza che le dà il vento mentre punge la pelle del viso<br />
e mulina tra i capelli, anche in città l’aria è carica dei<br />
profumi d’autunno. È proprio l’autunno che le mette<br />
addosso una gioia frizzante - di colpo il cielo ora scurisce<br />
ora si rasserena, giornate fredde si alternano ad al-<br />
36<br />
tre nelle quali il sole riscalda come in primavera, e la città<br />
si trasforma, cambiano i colori, il ritmo della vita, e<br />
dalle finestre dell’ospedale ci s’incanta a guardare il<br />
mare che si apre calmo sino a Capo Abas.<br />
Lungo il viale, Anna incrocia i vecchi che ritornano<br />
dal mercato, affannati, carichi di buste, e i soliti studenti<br />
che schiamazzano nel cortile dell’Istituto Magistrale.<br />
Davanti a lei cammina una giovane donna che<br />
tira <strong>per</strong> mano due bambini. Il maschietto saltella, mentre<br />
la bambina si lascia trascinare dalla madre battendo<br />
le suole sul marciapiede. Ha due gambette magre<br />
avvolte nelle calzamaglie a strisce colorate, che spuntano<br />
dai pantaloni rossi alla pescatora. Inizia a piovere,<br />
ora, gocce fitte e sottili. Anna s’affretta, oltrepassa la<br />
donna che canticchia sottovoce mentre stringe senza<br />
tenerezza le mani dei due bambini.<br />
Tira a sé lo zainetto, lo apre e vi fruga dentro alla ricerca<br />
dell’ombrello. Lo trova sul fondo, sotto al camice<br />
e alla cuffia, e lo prende. Insieme all’ombrello viene fuori<br />
anche un rosario. È quello della vecchia al numero<br />
sei, ma Anna non riesce a spiegarsi come sia potuto finire<br />
nel suo zaino. Piove forte, ormai, il vento le sferza<br />
l’acqua sulla faccia mentre, presa dalla fretta, cerca di<br />
aprire l’ombrello; quando l’apre una folata quasi glielo<br />
strappa via di mano. Si gira su se stessa, controvento,<br />
<strong>per</strong> parare il colpo, ma è troppo tardi: l’ombrello è rotto.<br />
Pazienza, si dice, è quasi arrivata a casa.<br />
La pioggia ora insistente scoraggia i passanti. Qual-<br />
37
cuno si è rifugiato sotto le pensiline degli autobus, mentre<br />
gli automobilisti, al solito, sembrano presi da un’irragionevole<br />
frenesia. Anche Anna, che accelera il passo<br />
sin quasi a correre, i capelli fradici appiccicati alla fronte<br />
che ora le gocciolano sugli occhi. Di colpo rallenta:<br />
ha ancora il rosario in mano - Datemi il rosario… - e se<br />
ne vergogna come se avesse rubato alla vecchia l’unico<br />
bene che ancora la teneva in vita. Si ferma, controlla rapidamente<br />
la strada e l’attraversa. Ritorna indietro verso<br />
l’ospedale, addentrandosi nei vicoli del centro storico,<br />
sotto la pioggia - Datemi il rosario, e una mano mendicante<br />
fuori dalle co<strong>per</strong>te.<br />
38<br />
Un rigagnolo d’acqua corre nell’impietrato di vicolo<br />
San Martino. Lo accompagna il tintinnare della pioggia<br />
lungo la grondaia. Il vicolo è una stradina cieca ancora<br />
acciottolata dove s’affaccia il garage dei Messa.<br />
Seduto sul vecchio letto francese al primo piano, Lorenzo<br />
ha già ripulito il fucile con la solita cura maniacale,<br />
ora ne unge il calcio col sego, lo spalma a fondo in<br />
modo che il legno assorba bene il grasso. Guarda di<br />
sottecchi verso la finestra sul vicolo - Forse ha smesso di<br />
piovere - poi tende l’orecchio - Sì, non piove più - e strofina<br />
sul calcio con foga sino a che diventa lucido. L’osserva<br />
in controluce, chiudendo un occhio, lo mira e lo<br />
rimira, infine annuisce, soddisfatto.<br />
Si alza dal letto e si pianta sui piedi, spalle alla finestra,<br />
e punta l’arma contro la parete: di fronte a lui, i<br />
piccoli crocifissi del padre sono appesi uno vicino all’altro<br />
contro il bianco del muro, ma lui vede ancora la<br />
faccia di Giommaria Dore, solo la sua faccia con quella<br />
barba ispida e cresciuta male, gli occhi sempre umidi e<br />
arrossati da ubriaco, e le labbra, piccole, strette. Eppure<br />
non riesce a ricordare che espressione avesse Giommaria<br />
Dore nel momento in cui ha sentito la sua voce<br />
39
esplodere nel silenzio - Cosa avrà pensato accorgendosi<br />
che stavo <strong>per</strong> sparare? E quando i pallettoni gli hanno<br />
sfondato il petto e il cuore come fossero le mie mani ad affondargli<br />
nella carne? - e insieme al silenzio è esplosa la<br />
notte, illuminata da tutto il suo odio e dalla paura di cui<br />
solo ora inizia a prendere coscienza - Ha ragione mio<br />
padre: l’odio è una bestia che puzza di paura - e sferra un<br />
calcio allo sgabello accanto al letto. È un vecchio sgabello<br />
sgangherato fatto dal nonno, come le altre cose -<br />
cose morte - ora buttate alla rinfusa nel garage. Lo sgabello<br />
rotola sino all’imbocco della scala che scende al<br />
piano di sotto. La stecca di legno che tiene unite le due<br />
gambe si stacca, penzola nel vuoto, con quattro chiodi<br />
che ne spuntano fuori, completamente arrugginiti: una<br />
bocca che gli sorride obliqua e feroce.<br />
Lorenzo si distende sul sudicio materasso che scricchiola<br />
come se fosse imbottito solo di molle arrugginite.<br />
Tutto d’un colpo si sente addosso la stanchezza, ma<br />
resiste, ha paura di chiudere gli occhi, di lasciarsi andare<br />
al torpore che ora gli impasta la bocca - amara - e rilassa<br />
i muscoli - Vorrei che Bibi fosse qui, seduta accanto<br />
a me - e fissa la punta degli scarponi che lentamente<br />
svaniscono nel dormiveglia. S’addormenta, la mano<br />
che stringe le canne del fucile al suo fianco.<br />
40<br />
È giorno fatto. Da ore inseguo un cinghiale senza riuscire<br />
a prenderlo: evita ogni mia trappola. Una sola volta<br />
mi sono trovato nella posizione giusta, dietro un leccio<br />
che deve avere almeno due secoli, ma non ho nemmeno<br />
puntato il fucile. Ora mi trovo in un bosco fitto in cui non<br />
riesco a orientarmi. Alzo lo sguardo verso il cielo. La luce<br />
del sole è solo un punto lontano.<br />
Muoio di sete. Tento di uscire fuori dalla boscaglia seguendo<br />
un odore che mi ricorda quello dell’acqua solfata.<br />
Deve esserci qualche torrente vicino. Cerco di mantenere<br />
la calma ma corro dritto davanti a me, seguendo un sentiero<br />
invisibile segnato da una striscia di alberi meno folti,<br />
dove la luce è più intensa.<br />
Corro, corro, corro. Arrivo in una radura, mi fermo,<br />
mi volto indietro, tremo nel vedere che il bosco che ho<br />
appena attraversato è svanito nel nulla, al suo posto una<br />
distesa di nebbia fitta. Dalla nebbia emerge un uomo.<br />
Cammina lento e curvo verso di me. È mio padre. Sulla<br />
schiena porta un’enorme fascina di lentischio. Mi guarda<br />
negli occhi <strong>per</strong> un attimo, sembra non riconoscermi,<br />
poi sorride appena e fissa i miei piedi. Li guardo anch’io.<br />
Sono scalzo, i piedi nudi sanguinano tanto che non distinguo<br />
le dita. Perché sanguinano senza che io avverta<br />
dolore?<br />
– Lo sentirai quando sarà il momento.<br />
È una voce che esplode e rimbomba in ogni direzione,<br />
come se più <strong>per</strong>sone avessero risposto contemporaneamente<br />
alla mia domanda da punti diversi. Mi guardo in-<br />
41
torno terrorizzato, il sudore che cola dalla faccia, alle mie<br />
spalle la nebbia insiste e avanza, davanti si distende una<br />
radura stretta, una striscia di deserto sassoso. Cerco mio<br />
padre. Non c’è più. Riprendo a camminare.<br />
Il sole mi acceca, cammino con gli occhi socchiusi. Ho<br />
paura. Vado verso il punto in cui l’odore dell’acqua è più<br />
forte. Un torrente attraversa calmo il margine della radura,<br />
lungo un letto molto stretto. L’acqua è nera come petrolio<br />
ma la sete è insopportabile.<br />
– Non puoi bere quest’acqua, – è la voce di prima.<br />
Adesso è alle mie spalle. Mi giro, è una voce che ora ha un<br />
volto. È Bibi.<br />
È la sua faccia sì, ma la voce no, non può essere quella<br />
di mia sorella, lei non mi impedirebbe di bere, me la darebbe<br />
con le sue mani l’acqua.<br />
– Non puoi bere quest’acqua: è l’acqua dei morti, e non<br />
si può rubare l’acqua ai morti.<br />
La guardo senza dire una parola, non può essere lei, e<br />
più la guardo più il suo viso invecchia, i suoi riccioli neri<br />
cadono uno a uno, scintillando nell’aria. Ma gli occhi sì,<br />
gli occhi conservano quel celeste dolce e rassicurante che<br />
ho sempre conosciuto.<br />
– Hai paura? Sì, adesso hai paura anche di me. Finirai<br />
<strong>per</strong> odiarmi. Mi odierai <strong>per</strong> quello che hai fatto <strong>per</strong> me. È<br />
ora che inizia la vera lotta, ma sarai da solo, sempre più<br />
solo. Come loro, – e indica una folla di figure ammassate<br />
una contro l’altra, sull’altra sponda.<br />
Piange, mi tende le braccia, le sue mani tremano spor-<br />
42<br />
che e nere, tremano come quelle di mia madre mentre<br />
moriva, stringendole a pugno con rabbia.<br />
Ho sempre più sete. Immergo le mani nell’acqua nera.<br />
Al primo sorso ritorno tranquillo, non ho più paura e bevo,<br />
bevo, bevo.<br />
Bibi è scomparsa, attorno a me non c’è più nessuno, il<br />
torrente ora è secco. La gola mi brucia! Lo stomaco…<br />
dentro ho fuoco e soffoco, soffoco. Cado <strong>per</strong> terra, non riesco<br />
più ad alzarmi, qualcosa m’inchioda a terra…<br />
Lorenzo si risveglia di soprassalto, spalanca gli occhi<br />
verso il soffitto. Nel torpore non s’accorge di avere le<br />
braccia spalancate, ma gli sembra ancora di sentire il<br />
peso enorme che lo inchiodava a terra. Solleva appena<br />
la testa e scorge il padre che appende al muro un altro<br />
dei suoi nudi crocifissi. È stato un sogno. Solo un sogno,<br />
bugiardo come lo sono tutti i sogni.<br />
43
La chiesa gotico-catalana sul Vicolo degli Spagnoli è<br />
quella di Santa Chiara. Il cartello turistico indica nel<br />
XVI secolo la data di costruzione. Sulla facciata in tufo,<br />
annerita e cadente, campeggia il portale sgangherato,<br />
con la vernice scrostata che lascia sco<strong>per</strong>to il legno ormai<br />
scolorito.<br />
Anna spinge il portale che scivola via stridendo sui<br />
cardini, trascinato dal suo stesso peso. Entra nella chiesa<br />
a cercare riparo dalla pioggia incalzante, e subito il<br />
buio l’avvolge. Si ferma all’ingresso, chiude gli occhi e<br />
li riapre <strong>per</strong> abituarsi all’oscurità. In fondo, vicino all’altare,<br />
un solo lampadario acceso emana una luce debole<br />
e soffocata. All’interno della chiesa fa freddo, Anna<br />
rabbrividisce con gli indumenti fradici che le fasciano<br />
il corpo, non sopporta di sentirli bagnati sulla pelle.<br />
Esita, indecisa se farsi il segno della croce oppure inginocchiarsi,<br />
o entrambe le cose. L’acquasantiera è una<br />
cavità ricavata nella parete di tufo. Si avvicina e vi immerge<br />
la mano sino a toccarne il fondo melmoso: non<br />
c’è acqua. Porta comunque le dita sulla fronte, ma ha<br />
un moto di ribrezzo <strong>per</strong> il terriccio umido che le rimane<br />
45
attaccato sulla pelle. Getta uno sguardo verso l’altare<br />
maggiore, poi s’inginocchia con un po’ di difficoltà <strong>per</strong><br />
i jeans bagnati che tirano sulle ginocchia e sulle cosce, e<br />
si segna di nuovo. Si sente un poco bambina nel compiere<br />
quei gesti, meccanici e inconsapevoli proprio come<br />
allora.<br />
Anna si siede all’ultimo banco, quasi intimorita, e,<br />
spingendosi all’indietro con le mani poggiate sulla seduta,<br />
si ritrae contro lo schienale. Il banco è liscio, levigato<br />
dall’uso e odora d’incenso e di vernice, un odore<br />
appena <strong>per</strong>cettibile come la traccia lasciata dalle <strong>per</strong>sone<br />
che <strong>per</strong> secoli vi si sono sedute, e dal calore delle loro<br />
preghiere. Ma c’è un silenzio algido nella chiesa, un<br />
silenzio assoluto - quasi estatico - al quale Anna non è<br />
abituata. Dal lampadario la luce piove addosso all’altare<br />
spoglio: è un punto lontano, confuso, irraggiungibile,<br />
e lei si guarda intorno: rapide occhiate tra le navate<br />
buie, tra i banchi davanti, verso l’altare - Sono sola - e<br />
s’inginocchia.<br />
Sul banco di fronte c’è la solita targhetta in ottone: In<br />
memoria di Bruno Bruni e Simona Fara. Bruni. “Magari<br />
il padre e la madre del dottor Bruni, chissà…” le viene<br />
da pensare. A lei non è mai venuto in mente di affidare<br />
la memoria della madre ad una targhetta su un banco di<br />
chiesa. E del resto non ha mai capito se la madre credesse<br />
o meno, come il padre. Anzi, di lui non ha mai ca-<br />
46<br />
pito molto: è sempre stato attento a nascondere i suoi<br />
sentimenti dietro il silenzio, <strong>per</strong>sino il suo dolore <strong>per</strong> la<br />
morte della moglie, forse <strong>per</strong> pudore, forse <strong>per</strong> debolezza.<br />
Chiude gli occhi Anna. L’aria è gelida e lascia in bocca<br />
un sapore di stantio. Le viene da tossire ma resiste.<br />
Stringe gli occhi, e <strong>per</strong> fare ancora più buio e silenzio vi<br />
preme contro le mani.<br />
Ora la chiesa, così vuota e silenziosa, sembra più accogliente,<br />
e tutto sembra stringersi attorno a lei, quasi<br />
che, senza la gente, la chiesa sia più vera.<br />
Ricorda che nella tasca del giubbotto ha messo il rosario<br />
della vecchia del numero sei. Ma di riprenderlo in<br />
mano non ha il coraggio. Stanotte, mentre era con lei<br />
nella camera, ha creduto che si arrendesse, finalmente<br />
<strong>per</strong> lei, invece…<br />
E stamattina l’ha lasciata stordita dai tranquillanti, i<br />
muscoli del viso inespressivi, rilassati in modo innaturale<br />
- Quanta sofferenza! - Aveva creduto che vedere la<br />
morte della madre l’avrebbe indurita, che in qualche<br />
modo l’avrebbe preparata al dolore. Ma non è così. E<br />
piange.<br />
I singhiozzi che a stento trattiene tra le mani, le scuotono<br />
le spalle. Anna piange la madre morta che non sapeva<br />
più chi era, qual era il proprio nome, il nome di<br />
suo marito, dei suoi figli, il nome di sua figlia che pure<br />
47
non smetteva di ripeterle ogni volta che lei la guardava<br />
e le sorrideva - Anna, mà, sono Anna - mentre le carezzava<br />
il viso nella s<strong>per</strong>anza che la riconoscesse, anche solo<br />
<strong>per</strong> un attimo. E forse l’aveva riconosciuta prima di<br />
chiudere le mani a pugno e stringerle, stringerle così<br />
forte che secondo Lorenzo mamma se n’era andata con<br />
rabbia, bestemmiando.<br />
Ma <strong>per</strong> Anna la madre era morta tanto tempo prima,<br />
da quando Bibi se n’era andata. Forse <strong>per</strong>ché l’amava<br />
più di quanto amasse loro - diceva che Bibi era dolce,<br />
così piena di gioia di vivere che la sua stessa sensibilità<br />
la rendeva indifesa di fronte al mondo; come se, in fondo,<br />
sentisse che a quella figlia il mondo avrebbe fatto<br />
del male - ma no, no: non saprebbe spiegare <strong>per</strong> quale<br />
ragione, un giorno, la dolcezza è scomparsa dagli occhi<br />
della madre. Sa solo che, da allora, la vita non è stata<br />
più la stessa.<br />
Forse ha smesso di piovere.<br />
48<br />
L’orologio alla parete segna le diciannove di una giornata<br />
che è stata snervante <strong>per</strong> il commissario Renzi. E<br />
non soltanto <strong>per</strong> l’interminabile cerimonia d’insediamento<br />
del nuovo questore che gli ha rovinato l’umore:<br />
lui odia le cerimonie ufficiali. Seduto alla scrivania, allenta<br />
ora il nodo della cravatta, e lancia un’occhiata insofferente<br />
al vice commissario Cara, stravaccato sulla<br />
sedia dall’altra parte della scrivania:<br />
– Sappiamo come vanno queste cose, Celso, – riflette<br />
il vice commissario. Ma lui non l’ascolta, si alza, aggira<br />
la scrivania e si ferma davanti alla finestra. Guarda<br />
fuori.<br />
Oggi è stata una giornata bizzarra: maestrale e temporali<br />
alla mattina, poi, di colpo, il vento è calato e il<br />
cielo si è a<strong>per</strong>to, regalando un ins<strong>per</strong>ato pomeriggio di<br />
sole.<br />
– Rancori che vengono covati <strong>per</strong> anni, e poi un giorno…<br />
– prosegue il vice commissario. Ma Celso non l’ascolta.<br />
Qui, a ottobre, il sole scalda ancora, nonostante il<br />
maestrale, tanto che a Celso sarebbe piaciuto andarse-<br />
49
ne al mare insieme a Manu, a godersi la spiaggia deserta<br />
e lo spettacolo dei cavalloni contro gli scogli, che saturano<br />
l’aria di salsedine. Invece, non l’ha vista <strong>per</strong> tutto<br />
il giorno la figlia, da quando l’ha lasciata in casa con<br />
Neria, stamattina, e ora il vento ha ripreso a soffiare -<br />
sferza i platani lungo il viale sotto la finestra - e piove di<br />
nuovo.<br />
– Celso. Celso! – il vice commissario alza il tono della<br />
voce. – Non mi stai a sentire! – conclude, allargando<br />
stizzito le braccia.<br />
– Scusami, Mondo.<br />
Mondo Cara si volta verso di lui e lo fissa:<br />
– C’è qualcosa che non va? – chiede.<br />
– Sai che giorno è oggi?<br />
– Ventuno… Ventun ottobre. – Risponde Mondo soprapensiero.<br />
Poi distoglie lo sguardo da Celso e si ricompone<br />
sulla sedia. Fissa le nappe multicolori dei calendari<br />
del Corpo - appesi in bella mostra sulla parete<br />
dietro la scrivania - alla ricerca di un evento da collegare<br />
a quella data. A un tratto si gira di scatto verso il commissario<br />
e annuisce. È scuro in volto.<br />
– Scusa, Celso, non mi sono proprio ricordato. – si<br />
rammarica.<br />
Anche il commissario annuisce, “Già: è trascorso un<br />
anno dalla morte di Lorena” - e fa un brusco cenno di<br />
mano verso Mondo, come a intimargli di lasciar stare,<br />
di non aggiungere altro. E cosa mai si potrebbe aggiungere?<br />
Un anno… Un secolo senza di lei.<br />
50<br />
C’è un’atmosfera nervosa, ora, nell’ufficio del commissario.<br />
Mondo se ne sta seduto in silenzio, gioca con<br />
la sigaretta spenta tra le labbra: la fa rotolare da un angolo<br />
all’altro della bocca, e batte il fondo dell’accendino<br />
sul piano della scrivania. Smette appena Celso si risiede<br />
di fronte a lui.<br />
– Ricomincia da capo, – l’invita, puntando i gomiti<br />
sul tavolo e sporgendosi leggermente in avanti.<br />
– Sicuro? Forse sarebbe meglio smettere e riprendere<br />
domattina.<br />
– Vai.<br />
– D’accordo… Si tratta di un omicidio. È avvenuto a<br />
Elisùa, un paesino a circa quaranta chilometri da qui.<br />
Precisamente in un ovile in località Pala Mortis, a pochi<br />
chilometri dal bivio <strong>per</strong> il paese, sulla statale centoventinove.<br />
– Elisùa… Non è il tuo paese?<br />
– No. Era il paese dei miei genitori. Io - è vero - ci ho<br />
vissuto a lungo coi miei nonni, quindi, sì, posso dire di<br />
essere di casa in paese. E ogni tanto ci ritorno.<br />
– Ah. Chissà <strong>per</strong>ché ero convinto che tu ci fossi nato,<br />
a Elisùa. Comunque, andiamo avanti.<br />
– Bene. La vittima si chiama Giommaria Dore, quarantadue<br />
anni…<br />
– La tua età. – L’interrompe il commissario, abbozzando<br />
un sorriso.<br />
Mondo Cara lo guarda con disappunto - Che c’entra?<br />
- poi riprende:<br />
51
– Giommaria Dore era originario di Chelai, un paese<br />
vicino. Lavorava nell’ovile dei Messa, dov’è stato trovato<br />
morto. Nessun precedente a suo carico.<br />
Celso scuote la testa:<br />
– Nessun precedente, – ripete.<br />
Mondo sta in silenzio <strong>per</strong> qualche secondo, poi ribadisce:<br />
– Niente di niente. Ma, – e sorride mentre gli occhi gli<br />
brillano, – se c’è qualcosa che ho imparato, è diffidare<br />
delle <strong>per</strong>sone che appaiono innocenti come agnellini.<br />
Sembrano innocenti…<br />
Il commissario cerca di concentrarsi sulle parole di<br />
Mondo, che ora aggiunge:<br />
– C’è sempre una ragione se qualcuno viene ammazzato.<br />
Soprattutto qui. – Puntualizza, come se ce ne fosse<br />
bisogno.<br />
Celso allenta ancora di più il nodo della cravatta. Ora<br />
inizia a sentire freddo e a sudare: come il mattino di un<br />
anno prima quando si era svegliato e Lorena era ancora<br />
distesa accanto a lui, bella, bella e fredda. Aspetta impaziente<br />
che il vice commissario riprenda.<br />
– Secondo la dottoressa Carta l’uccisione è avvenuta<br />
tra le quattro e le cinque di questa mattina. È in quell’arco<br />
di tempo che la vittima arriva all’ovile di Pala<br />
Mortis sul suo fuoristrada, un Nissan cabinato nero. Abbiamo<br />
già accertato che l’ha acquistato due settimane<br />
prima, nella concessionaria qui in città, pagando in assegni.<br />
52<br />
– E poteva <strong>per</strong>mettersi di pagare in assegni un fuoristrada<br />
come quello? Costerà almeno trentamila euro.<br />
– Esattamente ventinovemila e cento euro.<br />
– Potrebbe essere un indizio da cui partire, direi.<br />
– Sì… – l’asseconda Mondo, ma in tono poco convinto.<br />
E riprende: – Il fuoristrada è stato ritrovato davanti<br />
al cancello d’ingresso dell’ovile, i fari accesi e il motore<br />
spento: non c’era più gasolio nel serbatoio. Quindi,<br />
Giommaria Dore ferma il fuoristrada e scende. Il cancello<br />
è chiuso con lucchetto e catena, apre il lucchetto e<br />
toglie la catena, spalanca la prima anta del cancello, ma<br />
deve aprire anche l’altra <strong>per</strong> entrare col fuoristrada.<br />
Ma l’anta è rimasta chiusa. Mi segui?<br />
– Sì.<br />
– È a questo punto che l’assassino esce allo sco<strong>per</strong>to,<br />
gli si pianta di fronte, lo punta, lui capisce tutto, inizia a<br />
sudare, e si caga addosso come un animale. Un solo colpo,<br />
Celso. Un solo colpo a pallettoni, preciso, appena<br />
sotto il cuore.<br />
– È morto sul colpo?<br />
– No, probabilmente non è morto subito… Ma non è<br />
finita. L’assassino mette in scena un vero e proprio rituale,<br />
stai a sentire: gli infila una corda al collo, fa passare<br />
la corda al di sopra dell’anta del cancello, quella rimasta<br />
chiusa. La corda è vecchia, fa attrito col ferro e si<br />
sfilaccia - anche <strong>per</strong>ché Giommaria Dore era un uomo<br />
pesante - ma lui riesce a sollevarlo quel tanto che basta<br />
<strong>per</strong> finirlo.<br />
53
– L’ha finito così… impiccandolo al cancello?<br />
– Aspetta, c’è dell’altro. Dopo aver assicurato la corda<br />
tra i ferri appuntiti del cancello, infila la testa di una<br />
bambola nel ferro a sinistra del cadavere, e a destra il<br />
corpo nudo della bambola decapitata. Uno, due e tre.<br />
– Quindi: prima gli ha sparato, poi l’ha finito con la<br />
corda e dopo… la bambola, – riassume il commissario,<br />
fissando Mondo con occhi increduli. – La stessa bambola,<br />
– rimarca.<br />
– Già. È così che l’ha trovato stamattina Lorenzo<br />
Messa.<br />
Mondo si alza e si mette a passeggiare su e giù <strong>per</strong> la<br />
stanza, nervoso: sembra che qualcosa lo tormenti. Si<br />
toglie il giubbotto in pelle nera, come se lo sforzo di<br />
raccontare gli avesse procurato caldo, e lo butta sulla<br />
spalliera della sedia. Indossa un dolce vita nero e aderente<br />
che ne mette in mostra i bicipiti da culturista.<br />
Non è alto, Mondo, tarchiato è più largo che lungo. Il<br />
suo aspetto ha qualcosa di animalesco, qualcosa di selvaggio<br />
che pure riesce a dominare e che sa esprimere<br />
prepotente nello sguardo nero e affilato. Si accende<br />
una sigaretta. Celso continua a sudare freddo, e quel<br />
girare nervoso di Mondo <strong>per</strong> la stanza innervosisce anche<br />
lui. Ma cerca di riflettere sulla ricostruzione dell’omicidio:<br />
– Sembrerebbe un omicidio premeditato, – osserva.<br />
54<br />
– Un omicidio su commissione? – chiede il commissario.<br />
– Lo escluderei, – risponde Mondo.<br />
– Perché?<br />
Mondo esita un attimo. Segue l’ultima nuvola di fumo<br />
che svanisce, poi schiaccia nel posacenere sulla<br />
scrivania la sigaretta ancora a metà:<br />
– Perché un professionista fa quello che deve fare in<br />
modo semplice, pulito, veloce.<br />
– Ma l’ha sparato con una fucilata, una sola, e precisa.<br />
– Certo: chi ha ucciso è uno che sa sparare. Ma con<br />
tutte le armi che ci sono in giro oggigiorno… – Mondo<br />
s’interrompe <strong>per</strong> un attimo, sfila un’altra sigaretta e la<br />
tiene tra le dita. – Ma qui, – e punta verso Celso l’indice<br />
e il medio tra cui stringe la sigaretta, – qui c’è qualcosa<br />
che sfugge, che va al di là…<br />
– Già: <strong>per</strong>ché finirlo in quel modo? – lo anticipa il<br />
commissario.<br />
– Per sfregiarlo, <strong>per</strong> irriderlo, credo.<br />
– E la bambola? Come te la spieghi? – chiede ancora<br />
il commissario.<br />
– Non saprei. – Risponde secco Mondo. E si siede di<br />
nuovo di fronte a lui.<br />
“Una bambola…” rimugina Celso dentro di sé, e il<br />
pensiero corre a Manu che gioca con le sue bambole<br />
che sembrano modelle in miniatura.<br />
– Che genere di bambola, Mondo? – gli chiede d’un<br />
fiato. E si spinge ancora più in avanti verso di lui.<br />
55
– Una bambola.<br />
– Voglio dire: una bambola, come si dice, moderna:<br />
un figurino tutta gambe, i capelli lunghi e biondi, oppure…<br />
– Una bambola, Celso, una vecchia bambola. Ecco:<br />
una vecchia bambola.<br />
Il commissario si ritrae indietro facendo scivolare i<br />
gomiti sulla scrivania, sino a lasciarsi andare contro lo<br />
schienale della sedia. Chiude gli occhi e respira a fondo.<br />
– E questo Lorenzo Messa che ha trovato il cadavere<br />
stamattina?<br />
– È il figlio del vecchio proprietario del pascolo, Antonio<br />
Messa. Ha trentatré anni, diploma al Liceo Scientifico,<br />
ha sempre fatto il pastore col padre. In paese ne<br />
parlano come di un tipo strano: uno schivo, uno che se<br />
ne sta in disparte, che si fa gli affari suoi. Un eremitano,<br />
insomma. E nessun precedente.<br />
– L’hai già sentito?<br />
– Sì. Ha dichiarato di essere arrivato all’ovile stamattina<br />
intorno alle undici.<br />
– Ora insolita <strong>per</strong> andare a lavoro in un ovile, – osserva<br />
il commissario.<br />
– Beh no, considerato che era a caccia, – replica Mondo.<br />
– Oggi è giovedì, giorno di cinghiale. Anzi, è strano<br />
che sia ritornato dalla caccia così presto. E senza preda.<br />
– Quindi all’ora presunta dell’omicidio era a caccia<br />
di cinghiali.<br />
56<br />
– Già, ha dichiarato che era a caccia col padre.<br />
– Loro due da soli?<br />
– Sì.<br />
– Non ho mai sentito di una simile battuta al cinghiale.<br />
– Perché non conosci la fama di cacciatori dei Messa:<br />
“Antonio Messa uccide i cinghiali come se fossero<br />
uomini”.<br />
Celso lancia uno sguardo accigliato verso Mondo.<br />
– Era mio nonno che lo diceva, – spiega il vice commissario,<br />
– e lui li conosceva bene i Messa. E poi il padre<br />
ha confermato la versione del figlio, – taglia corto.<br />
– Comunque, i fucili da caccia che abbiamo trovato in<br />
casa e nel garage dei Messa, sono in mano alla scientifica.<br />
Come la bambola. E la corda.<br />
– Allora non ci rimane che aspettare gli esiti della<br />
scientifica. E della famiglia Messa, cosa sappiamo?<br />
– È una famiglia di ex don: Antonio Messa ha ereditato<br />
dal padre terre e bestiame. La moglie era l’unica figlia<br />
di don Lurìa, uno dei possidenti più ricchi del paese.<br />
Avrebbero potuto vivere da benestanti, ma è gente<br />
semplice e pratica che ha sempre vissuto appartata. Né<br />
amata né odiata in paese. Forse invidiata. Nessun clamore,<br />
nessuna vicenda particolare, almeno sino a quando<br />
la figlia maggiore, Bibi, non si è più vista in paese così,<br />
da un giorno all’altro.<br />
57
– Sembra che li conosca bene anche tu, i Messa, –<br />
commenta Celso, che ora inizia a seguire a fatica Mondo.<br />
– Bibi… nome piuttosto insolito, – aggiunge.<br />
– È un diminutivo.<br />
– Ah… E <strong>per</strong> quale ragione questa Bibi sarebbe<br />
scomparsa così all’improvviso?<br />
– Pare che se ne sia andata fuori, in continente, ma<br />
nessuno sa veramente <strong>per</strong>ché. Si sa solo che, da allora,<br />
la madre è stata male: depressione, si diceva. Ma soltanto<br />
dopo la sua morte, un anno fa circa, si è saputo<br />
che l’aveva colpita l’Alzhaimer.<br />
Il commissario si alza stancamente dalla scrivania,<br />
mentre Mondo si accende la sigaretta, come se avesse<br />
intenzione di andare avanti tutta la notte a raccontare.<br />
Celso si stropiccia più volte gli occhi, poi massaggia<br />
con forza le tempie, tenendo le palpebre serrate.<br />
– Bene, – dice, – ne ho avuto abbastanza <strong>per</strong> oggi. Ci<br />
aggiorniamo a domani.<br />
– D’accordo, – annuisce Mondo.<br />
– Magari domattina fammi trovare il fascicolo sull’omicidio,<br />
– aggiunge Celso – anche con il materiale fotografico.<br />
E dì a Marini di tenersi pronto verso le nove,<br />
<strong>per</strong> andare sul posto.<br />
Mondo continua a fumare con aria assorta. D’un<br />
tratto scatta in piedi e spegne la sigaretta nel posacenere:<br />
– Ti accompagno a casa, – propone.<br />
– No, grazie, non c’è bisogno.<br />
58<br />
Oggi il vento è bizzarro: lunghe raffiche si susseguono<br />
come onde di una mareggiata che divorano la spiaggia,<br />
poi cala e, di tanto in tanto, mulina folate quasi che<br />
debba cessare da un momento all’altro. Ma - di colpo -<br />
si risolleva e riprende a soffiare più forte di prima - e fischia,<br />
e sbatte, spezza, strappa, secca l’aria, s’insinua,<br />
assorda, sibila come una voce nascosta dietro gli angoli<br />
delle strade deserte. Senza tregua.<br />
Ora il vento costringe Celso a camminare a testa bassa,<br />
con fatica, quasi senza sollevare i piedi, attorcigliando<br />
il trench tra le gambe, e tagliandogli il respiro. L’aria<br />
è fredda in questa sera d’autunno. L’auto del commissario<br />
è ferma nel parcheggio riservato, a pochi metri<br />
dal commissariato; tre posti più avanti è parcheggiata<br />
quella di Mondo.<br />
Il vice commissario è già entrato in macchina quando<br />
Celso arriva alla sua e, cercando di stare in equilibrio<br />
sotto la spinta del vento, apre la portiera ed entra. Infila<br />
la chiave nell’avviamento, e si rilassa lasciandosi andare<br />
contro lo schienale. A casa c’è Manu che l’aspetta,<br />
ma lui è troppo stanco, non ha fretta di mettersi alla<br />
guida. Al contrario di Mondo che, accesi i fari, mette in<br />
moto e parte sgommando. Lo guarda allontanarsi veloce<br />
lungo il viale alberato, finché scompare. Sembra<br />
avere fretta, Mondo.<br />
Celso avvia il motore, ingrana la prima e, con calma,<br />
parte. Il viale è scarsamente trafficato. Accenna a piovere,<br />
ora, poche gocce che il vento spazza via dal para-<br />
59
ezza, e dis<strong>per</strong>de nell’aria. Celso accende l’autoradio,<br />
ma lui non segue la musica: ha negli occhi l’immagine<br />
di un uomo sfigurato dalla violenza della morte, irriso,<br />
ridotto come un animale - uccide i cinghiali come se fossero<br />
uomini - e lui, Celso, ne ha visto di uomini uccisi a<br />
fucilate e finiti con un colpo di grazia, buttati a terra<br />
proprio come animali.<br />
Il semaforo in fondo al viale è arancione. Celso sbircia<br />
l’orologio sul cruscotto: sono le otto e un quarto circa,<br />
e accelera. S<strong>per</strong>a che Manu non sia già addormentata,<br />
stringendo tra le braccia la piccola renna di peluche<br />
da cui non si separa mai. Svolta a destra <strong>per</strong> viale Regina<br />
Margherita sino al semaforo, è verde, poi gira veloce<br />
a sinistra. Risale via Dante dove il traffico è più intenso.<br />
Ora spiove. È una pioggia che non dura con questo<br />
maestrale.<br />
Celso parcheggia l’auto nel cortile interno del palazzo<br />
in via Romoli, scende dalla macchina e solleva lo<br />
sguardo: le luci alle finestre del terzo piano sono spente,<br />
anche quella della camera di Manu. S’affretta ed entra<br />
dal retro.<br />
Mentre infila la chiave nella serratura del portone,<br />
Celso tende l’orecchio verso l’interno dell’appartamento<br />
- nessun rumore - e apre, preoccupato, mentre la luce<br />
nella scala si spegne. Entra in casa accostando il portone<br />
alle sue spalle. L’appartamento è buio e silenzioso;<br />
60<br />
si <strong>per</strong>cepiscono solo i rumori soffocati che provengono<br />
dagli appartamenti di sopra. Dentro, aleggia un’aria<br />
fredda che odora di fragola - il profumo preferito di<br />
Manu -. Celso procede a tentoni nell’oscurità dell’ingresso,<br />
tastando sulla parete trova l’interruttore e accende<br />
la luce. Va direttamente nella cameretta di Manu.<br />
La porta è spalancata, e, fermo sulla soglia, accende<br />
la luce nella stanza. Manu non c’è - Sarà successo qualcosa?<br />
- il letto è intatto e sulla piccola scrivania non ci sono<br />
né lo zainetto né la renna in peluche.<br />
– Celso? Sono Neria.<br />
Neria abita nell’appartamento accanto a quello di<br />
Celso. Da quando lui e Manu si sono trasferiti nell’appartamento<br />
in via Romoli - una settimana dopo la morte<br />
di Lorena - Neria è entrata silenziosamente nella loro<br />
vita.<br />
Celso si gira di scatto verso la ragazza che gli viene incontro:<br />
– E Manu? – le chiede.<br />
– Ciao, – lo saluta sorridente. – Manu l’ha portata via<br />
la nonna un tre ore fa.<br />
– Ero già preoccupato… – dice Celso, con una punta<br />
di biasimo, mentre la guarda negli occhi.<br />
Lei continua a sorridere: il sorriso di Neria è così sincero<br />
e disarmante che lui si pente di averla quasi rimproverata<br />
e, <strong>per</strong> un attimo, dimentica ogni preoccupazione;<br />
<strong>per</strong>sino la stanchezza sembra svanire di fronte a<br />
quel sorriso. E lo ricambia.<br />
61
– Immagino che mia suocera ha fatto una delle sue<br />
solite scenate. – commenta Celso, sarcastico. Spegne la<br />
luce nella camera di Manu e s’avvia verso l’ingresso.<br />
Neria lo segue.<br />
– Sì… – risponde lei imbarazzata.<br />
– Scusami, Neria. – Lei si stringe nelle spalle e inarca<br />
le sopracciglia, folte e nere, ma continua a sorridere. –<br />
Non so <strong>per</strong>ché, ma dalla morte di Lorena il nostro rapporto<br />
si è rovinato. A volte ho la sensazione che, <strong>per</strong> lei,<br />
se Lorena non c’è più è colpa mia - come se io avessi potuto<br />
impedire ciò che è successo - e non <strong>per</strong>de occasione<br />
<strong>per</strong> rimproverarmelo.<br />
– Proprio a Lorena si riferiva stasera… – Neria pronuncia<br />
il nome di Lorena sfumando dolcemente il tono<br />
della voce, tanto che Celso si ferma di colpo, e si volta<br />
verso di lei. La guarda a lungo in silenzio con uno sguardo<br />
intenso che a lei pare diverso dal solito.<br />
– Non ti ringrazierò mai abbastanza <strong>per</strong> tutto ciò che<br />
stai facendo <strong>per</strong> Manu, – le sussurra. Si china su di lei e<br />
la bacia sulla guancia con tenera e disarmante gratitudine.<br />
Celso richiude il portone di casa e dà due mandate,<br />
ma esita un po’ prima di sfilare la chiave dalla serratura:<br />
è soprapensiero. Neria fa <strong>per</strong> chiudere la porta quando<br />
lui si gira e la chiama:<br />
– Neria…<br />
62<br />
Lei riapre il portone ed esce sul pianerottolo.<br />
– La ragazza che abita insieme a te si chiama Anna<br />
Messa, vero? – le chiede con tono più affermativo che<br />
interrogativo, mentre fissa la targhetta nel campanello.<br />
– Sì, – risponde Neria, sorpresa: Celso non ha mai mostrato<br />
interesse <strong>per</strong> Anna. – Ora è in casa, – aggiunge<br />
con un sussurro. – Fa l’infermiera, e ieri aveva il turno<br />
di notte.<br />
– E venite dallo stesso paese, se non ricordo male.<br />
– Sì… – risponde ancora Neria.<br />
– E ha un fratello che si chiama Lorenzo? Lorenzo<br />
Messa?<br />
– Sì. – Neria ora lo guarda accigliata: – Ma <strong>per</strong>ché tutte<br />
queste domande?<br />
– Oh, niente, niente.<br />
– Ma è successo qualcosa?<br />
– No… Semplice curiosità.<br />
63
Lorena sorride. Sorride e continua a baciarmi sul viso,<br />
scivola con la lingua lungo il collo e sul petto, e bacia le<br />
dita una ad una, poi si ferma e mi fissa negli occhi: <strong>per</strong>ché<br />
mi guarda così e smette di sorridere? Ho freddo e sudo.<br />
Lorena sorride ancora, le labbra socchiuse, e mi guarda,<br />
ferma, come se avesse da rivelarmi qualcosa che non mi<br />
ha mai voluto dire.<br />
Sussurra - ma non capisco cosa dice - scivolo poco a poco<br />
nel sonno, mentre il suo bisbigliare si amplifica, e il suo<br />
corpo sul mio s’ingigantisce nello spazio nero degli occhi<br />
chiusi, in cui allungo la mano <strong>per</strong> cercare e carezzare la<br />
sua pelle liscia. Ma lei s’allontana leggera, galleggia, irraggiungibile,<br />
sul mare oscuro del mio sonno. Cerco di riaprire<br />
gli occhi, di riemergere in su<strong>per</strong>ficie, m’avvicino a<br />
lei ma non riesco a riemergere, prigioniero in questo mare<br />
dove il suo corpo ora si allontana, cullato dal bianco<br />
delle onde.<br />
Continuo a nuotare nel buio che profuma della sua pelle,<br />
m’avvicino quanto basta <strong>per</strong> scorgere finalmente il<br />
suo volto: ma non è più il viso di Lorena. È Neria che sorride.<br />
Mi sveglio, e ritrovo il corpo di Lorena abbandona-<br />
65
to accanto al mio, carezzo i suoi capelli neri e ispidi, li bacio<br />
ma sono freddi, ho freddo e sudo, la guardo: è bella,<br />
bella e fredda accanto a me.<br />
Celso si agita nel buio, dimenticando che nel letto al<br />
suo fianco c’è Manu che dorme. Fradicio e infreddolito,<br />
sgrana gli occhi nell’oscurità della stanza. Nel tentativo<br />
di scacciare il sogno, ripassa mentalmente la disposizione<br />
dei mobili, dei pochi oggetti, i profili bella epoche<br />
della carta da parati, ma il ricordo di Lorena non gli<br />
dà tregua. Di lei non ha conservato nulla - non un abito,<br />
non uno dei gioielli che le aveva regalato - e le poche fotografie<br />
salvate le ha nascoste in fondo all’ultimo cassetto<br />
del comò. La madre di Lorena non glielo ha <strong>per</strong>donato.<br />
Come non gli <strong>per</strong>dona il fatto di averla già dimenticata<br />
- secondo lei - di aver reso inutile il suo amore.<br />
E stasera, quando è andato da lei a riprendere Manu,<br />
gli ha rimproverato di non averla portata al cimitero<br />
- Non ci vado mai al cimitero, avrei voluto dirle - ma non<br />
sarebbe servito a niente: la morte di Lorena li ha allontanati,<br />
e neppure la presenza di Manu è, ormai, in grado<br />
di riavvicinarli. Eppure, Celso prova ora un sincero<br />
dispiacere <strong>per</strong> tutto questo, e il pensiero che la suocera<br />
creda che lui sia capace di dimenticare Lorena, gli lascia<br />
un senso di profonda amarezza. Chiude gli occhi,<br />
alla ricerca del sonno che non arriva.<br />
Manu dorme profondamente, nonostante il frastuo-<br />
66<br />
no della serranda, scossa con violenza dal vento, sia<br />
ora assordante. È rannicchiata di fianco, una manina<br />
stretta tra le ginocchia, l’altra che tiene il peluche al<br />
petto. Celso le s’avvicina, le accarezza i capelli caldi e<br />
ispidi - lei sospira a fondo - è bella come sua madre, ma<br />
non lo sa.<br />
Celso avverte ora i muscoli delle gambe rilassarsi sotto<br />
le co<strong>per</strong>te, e un caldo torpore diffondersi <strong>per</strong> il corpo,<br />
con una sensazione di abbandono a cui - <strong>per</strong> istinto<br />
- resiste. Socchiude gli occhi ma le palpebre ricadano<br />
subito vinte, e proprio nell’attimo in cui scivola verso il<br />
sonno, appare il viso ampio e squadrato di Neria, confuso<br />
ora con quello di Lorena ora con quello di Mondo,<br />
ora con la faccia insanguinata di un uomo che guarda<br />
impaurito proprio a lui. Si risveglia di soprassalto, ansima,<br />
si tira su e guarda smarrito nel buio. Si sente addosso<br />
quegli occhi straniti dalla paura - Prima gli spara, poi<br />
lo finisce, e dopo… la bambola - gli occhi incantati di<br />
una vecchia bambola che ha prestato il suo sguardo alla<br />
morte. – Uno, due, tre, – sussurra, mentre si lascia cadere<br />
sul letto.<br />
Manu si agita, ora - lui rimane immobile, trattiene il<br />
respiro - la bambina si volta di fianco, geme, s’avvicina<br />
a lui: adesso preme il viso contro la sua spalla. Lui ne<br />
sente il soffio del respiro sulla guancia, e la stringe a sé<br />
mentre s’abbandona finalmente al sonno - Uno, due,<br />
67
tre - come un ritornello che lo culla, una lontana ninna<br />
nanna che confonde l’amore e la morte.<br />
68<br />
Neria si è assopita di colpo col libro a<strong>per</strong>to tra le mani.<br />
La luce dell’abat-jour non le consente di addormentarsi<br />
del tutto, e lei <strong>per</strong>cepisce lo sbattere del vento contro<br />
la serranda come un fragore lontano che va e che<br />
viene - un rumoreggiare che non la disturba. Allo stesso<br />
modo, nella sua mente ora vanno e vengono frammenti<br />
delle poche righe che ha letto, prima di assopirsi<br />
- ancora acerbo all’amore, prepararsi all’amore, è difficile…<br />
- e avverte la propria voce recitarli e poi sfumare<br />
nel silenzio.<br />
Le pause tra una recita e l’altra si dilatano sempre di<br />
più: Neria è quasi sul punto di addormentarsi, così allenta<br />
la presa sul libro, che le scivola dalle mani e ricade<br />
sul pavimento. Il rumore la sveglia.<br />
Ora strizza gli occhi <strong>per</strong> la luce diffusa dalla lampada<br />
- la stanza le sembra illuminata a giorno - e si guarda intorno,<br />
ancora intontita dal torpore del sonno, cercando<br />
di capire cosa sia successo. Quando se ne rende conto<br />
si china a riprendere il libro.<br />
Neria lo riapre alla pagina ventisei <strong>per</strong>ché, ricorda,<br />
da quando era andata a letto era riuscita a leggere soltanto<br />
le prime righe di quella pagina: altri erano i pen-<br />
69
sieri che la distraevano, così ogni volta interrompeva la<br />
lettura e riprendeva daccapo, senza riuscire ad arrivare<br />
in fondo e voltare pagina.<br />
Neria richiude il libro, tenendo il segno con l’indice<br />
tra le pagine. Sorride tra sé, trasognata: più ci pensa più<br />
è vivida la gioia che l’ha fatta sussultare quando Celso<br />
l’ha baciata sulla guancia - mentre lei, lì <strong>per</strong> lì, è rimasta<br />
immobile, confusa da quel gesto inatteso, incapace di<br />
dire qualunque cosa - eppure, subito dopo, aveva cercato<br />
di mascherare la felicità irrigidendosi in un silenzio<br />
<strong>per</strong> lei insolito. “Pensaci bene, Neria,” s’ammonisce<br />
ora, mentre avverte già il timore che l’amore porta<br />
con sé.<br />
Ma il ricordo di quel bacio non è il solo pensiero che<br />
la confonde. Ci sono anche tutte quelle strane domande<br />
di Celso su Anna - e a ripensarci ora, non le piace <strong>per</strong><br />
niente il tono indagatore usato da Celso - domande così<br />
strane e inaspettate che si ripromette di chiedergliene<br />
la ragione. E poi c’è Anna. Da quando è rientrata a<br />
casa stamattina, si comporta in maniera insolita: è tornata<br />
più tardi del consueto dal turno di notte, quasi<br />
mezzogiorno. Neria l’ha salutata ma lei a malapena ha<br />
ricambiato, e si è sbattuta sul divano in cucina, senza<br />
neppure cambiarsi, e ha acceso la tivù, lei che non lo fa<br />
quasi mai. A pranzo ha lasciato il piatto pieno sul tavolo,<br />
e là è rimasto sino a sera, quando Neria l’ha ritirato.<br />
Non ha detto una parola in tutto il giorno, Anna, il suo<br />
cellulare ha squillato diverse volte, con insistenza, ma<br />
70<br />
lei non ha mai risposto; e non ha nemmeno salutato<br />
Manu, quando la nonna è venuta a prenderla da loro - e<br />
la bambina si era limitata a guardare Neria senza chiedere<br />
niente, ma con un’aria afflitta, come se avesse capito<br />
- e Anna ha continuato a fissare lo schermo della tivù,<br />
in silenzio, sul divano. E così Neria l’ha lasciata prima<br />
di andare a letto.<br />
La televisione in cucina è ancora accesa. Proietta nella<br />
stanza una luce fredda nella quale si muovono gli attori<br />
di un malinconico film in bianco e nero. Neria esita<br />
sulla soglia della cucina, tende l’orecchio - il volume<br />
della tivù è appena <strong>per</strong>cettibile - poi guarda l’orologio<br />
alla parete: l’una di notte.<br />
– Anna… – chiama, quasi timorosa.<br />
Aspetta, ma Anna non risponde. Neria esita ancora,<br />
poi entra quasi in punta di piedi. Anna, seduta sul divano,<br />
non si muove, non sembra accorgersi di lei.<br />
Neria apre lo sportello del mobile scolapiatti, lanciando<br />
un’occhiata all’amica. Deve far forza contro se<br />
stessa, ora, <strong>per</strong> non avvicinarsi a lei e parlarle. Non l’ha<br />
mai vista così. Prende il bicchiere e richiude l’anta del<br />
mobile. Afferra la bottiglia d’acqua sul lavello e va via.<br />
Si volta prima di uscire dalla cucina, un’ultima occhiata<br />
che l’amica ricambia con freddezza - o così sembra<br />
a Neria - ma Anna distoglie subito lo sguardo, senza<br />
dire niente.<br />
71
Piove ancora. Disteso sul letto francese, al centro della<br />
stanza, Lorenzo ascolta la pioggia che il vento sferza<br />
sui vetri della finestra ad un ritmo ossessivo, come milioni<br />
di mani che battono e spingono <strong>per</strong> sfondarli. Ha<br />
socchiuso gli scuri, lasciando uno spiraglio da cui penetra<br />
la luce della strada. E in quel buio i suoi pensieri<br />
sembrano vivere di vita propria: nascono precisi, lucidi<br />
come il calcio del fucile, poi vagano, nella sua mente,<br />
pallettoni veloci che penetrano nella carne e la trasformano<br />
in buio, e il buio in buio, solo buio.<br />
Stamattina ha trovato il cadavere di Giommaria Dore<br />
rigido e freddo, gli abiti fradici di pioggia. L’ha guardato<br />
a lungo prima di chiamare la polizia: sembrava che<br />
fosse lì appeso al cancello da sempre, e anche la bambola<br />
è come se non fosse mai stata di Bibi. E quando è<br />
arrivato il vice commissario - pastrano nero, giacca e<br />
pantaloni di velluto scuro, sotto un dolce vita nero, e<br />
neri quei suoi piccoli occhi incastrati in una faccia olivastra<br />
<strong>per</strong>fettamente rasata - Lorenzo non ha tradito alcuna<br />
emozione, come se a uccidere fosse stato un altro<br />
e non lui. Ma subito a osservarlo, il vice commissario, a<br />
73
spulciarlo centimetro <strong>per</strong> centimetro, a sputargli addosso<br />
domande su domande in cerca di una colpa - Di<br />
una colpa che non ho.<br />
La pioggia continua a battere contro il vetro alle spalle<br />
di Lorenzo. Ora ha lo stesso ritmo delle domande del<br />
vice commissario, che lui non ricorda, come non ricorda<br />
le sue risposte.<br />
Il rumore della serranda che viene a<strong>per</strong>ta fa balzare<br />
Lorenzo giù dal letto. Si nasconde dietro la catasta di<br />
vecchie assi impilate contro il muro, e aspetta. Un fascio<br />
di luce sale <strong>per</strong> la scala, si ferma un attimo, poi<br />
riprende. Lorenzo aspetta, teso, seguendo con gli occhi<br />
la luce. Nel silenzio della stanza si sente solo il battere<br />
violento della pioggia e passi pesanti su <strong>per</strong> le scale<br />
di cemento. Passi che lui riconosce, <strong>per</strong>ché sono del<br />
padre.<br />
Antonio Messa si ferma in cima alle scale, illumina<br />
con la pila i crocifissi sulla parete, e ne studia a lungo la<br />
disposizione - Lorenzo freme, non vede l’ora che il padre<br />
vada via - poi avanza e si china lentamente. Afferra<br />
lo sgabello ancora in terra e lo rimette in piedi, risistemando<br />
come può la gamba schiodata. È ancora chino<br />
sullo sgabello quando gira appena la testa e sbircia dietro<br />
di sé. Lorenzo resta immobile, premendo la spalla<br />
contro le tavole che odorano di calcina. E aspetta.<br />
Il padre appoggia ora la torcia sullo sgabello, dalla tasca<br />
della giacca estrae il martello e inchioda un altro<br />
crocifisso al centro della parete. Il vecchio fa scivolare<br />
74<br />
il martello dentro la tasca e riprende la torcia in mano:<br />
illumina il nuovo crocifisso. È più grande e più scuro<br />
degli altri crocifissi appesi al muro, e lui ora lo scruta<br />
quasi dondolando sulle gambe arcuate, ora ne accarezza<br />
la su<strong>per</strong>ficie, ne segue il profilo con le dita storte e<br />
gonfie - “Ma che fa?” si chiede Lorenzo - ora si porta la<br />
mano alla fronte, solleva la visiera della coppola e si<br />
massaggia la fronte - avanti e indietro, con energia - come<br />
se fosse stanco.<br />
Antonio Messa si cala la visiera sugli occhi con un solo<br />
rapido gesto, e abbassa la torcia di scatto - come se gli<br />
stesse <strong>per</strong> cadere di mano - e si volta. Lorenzo lo guarda<br />
mentre ora s’avvicina al letto, spostando la torcia da un<br />
angolo all’altro della stanza. Il padre lo vede, si ferma<br />
accanto al letto e gli punta la luce in faccia. Lui si scherma<br />
gli occhi con la mano, sente il suo sguardo su di sé,<br />
<strong>per</strong>ché lui è così: non riesce a parlarti se non ti guarda<br />
dritto negli occhi. Ma Antonio Messa lo fissa - Che hai<br />
fatto Lorenzo? vorrebbe domandargli - invece scuote la<br />
testa, annuisce, e non dice niente.<br />
75
L’auto scivola via sull’asfalto bagnato. Ha smesso di<br />
piovere, ma i tergicristalli vanno e vengono inutilmente<br />
sul parabrezza con un ritmo sincopato e noioso.<br />
Mondo corre - niente di strano - ma corre più del solito.<br />
È nervoso stamattina, ha la faccia tirata - come se<br />
non avesse dormito - la barba incolta che gli segna le<br />
guance fin sotto gli zigomi, e non ha detto una parola<br />
da quando lui e Celso sono partiti <strong>per</strong> Pala Mortis: è<br />
chiuso in un silenzio inquieto, gli occhi che guizzano<br />
ora al di là del finestrino ora verso Celso, che se ne accorge<br />
ma guarda distratto oltre il parabrezza. Ha una<br />
gran voglia di guardare in faccia Mondo, e chiedergli<br />
<strong>per</strong> quale ragione non ha mandato Marini - come gli<br />
aveva detto la sera prima - <strong>per</strong>ché ha così tanta fretta di<br />
arrivare a Pala Mortis, e come mai i suoi scarponi sono<br />
infangati. Ma preferisce tacere. Conosce bene Mondo:<br />
quando c’è di mezzo un omicidio affronta l’indagine<br />
come se fosse una questione <strong>per</strong>sonale - di vita o di morte<br />
- e diventa intrattabile, taciturno, quasi misterioso, e<br />
anche ora sarebbe capace di non rispondere alle sue<br />
domande.<br />
77
Il cartello ai bordi della carreggiata indica che a Elisùa<br />
mancano ventuno chilometri. Celso distoglie lo<br />
sguardo dal paesaggio e controlla sul cellulare: ancora<br />
nessuna chiamata, nessun messaggio da parte di Neria.<br />
Ha lasciato Manu con lei, prima di uscire stamattina,<br />
già vestita e pronta <strong>per</strong> andare alla scuola materna. Ma<br />
chissà se è andata… Ultimamente, preferisce stare a casa<br />
con Neria piuttosto che andare a scuola.<br />
Mondo guida con una mano sul volante, l’altra sul<br />
cambio - Celso gli lancia un’occhiata - si capisce che è<br />
immerso nei suoi pensieri, e che c’è qualcosa che l’inquieta.<br />
Forse è proprio quel qualcosa che sfugge nell’omicidio<br />
di Giommaria Dore - aveva detto proprio così<br />
Mondo, la sera prima: “C’è qualcosa che sfugge, che va<br />
al di là…” - e che ora impressiona anche Celso.<br />
Il commissario prende la cartella sul cruscotto e l’apre.<br />
Dà una scorsa ai primi verbali, poi si concentra sulle<br />
fotografie. Le guarda una a una più volte. Le foto del<br />
cadavere di Giommaria Dore sono crude e violente,<br />
ma non riescono a riprodurre l’orrore della morte. Eppure<br />
ghiacciano il sangue quegli occhi sbarrati del morto<br />
in cui sembra agitarsi ancora un soffio di vita, anche<br />
se quell’alito è la paura. E poi, la testa della bambola…<br />
Celso fissa il primo piano che il fotografo le ha scattato<br />
- come se quel fantoccio fosse una seconda vittima - è<br />
proprio come l’aveva definita Mondo: una vecchia<br />
78<br />
bambola. Ed è proprio come lui l’aveva immaginata.<br />
Guarda a lungo ora gli occhi del morto ora quelli piccoli,<br />
azzurri della bambola, che sembrano sorridere al<br />
pari delle labbra contornate ancora di carminio, come<br />
un filo di sangue vivo che le taglia il viso.<br />
Quando mancano circa due chilometri al bivio <strong>per</strong> il<br />
paese, Mondo svolta a sinistra, lasciando la provinciale<br />
<strong>per</strong> uno sterrato fangoso, che si rivela subito sconnesso.<br />
Il maestrale è calato, ma il cielo è sempre un pugno<br />
scuro e minaccioso, appena offuscato dalla cortina di<br />
nebbia che corona la cima di Monte Ile. Un pugno che<br />
sembra debba abbattersi da un momento all’altro sulle<br />
case, sugli olivi, sulle bestie che brucano rumorose nella<br />
campagna intorno dove tutto è immobile come in un<br />
fragile presepe.<br />
Ora Mondo guida con cautela, la macchina che arranca<br />
tra fango e pozzanghere, procede a zig zag <strong>per</strong> evitare<br />
le buche più profonde, colme d’acqua. Impiegano<br />
un buon quarto d’ora prima di arrivare all’ovile. Mondo<br />
ferma la macchina davanti al cancello - è a<strong>per</strong>to - e<br />
scende. Lancia un’occhiata a Celso mentre smonta dall’auto,<br />
ma non l’aspetta. Varca il cancello, cammina attentamente<br />
<strong>per</strong> non scivolare sulla fanghiglia, e scompare<br />
dietro il capannone.<br />
Celso - sceso dalla macchina - s’attarda a osservare la<br />
scena ormai fredda dell’omicidio. L’aria è pungente e<br />
79
tersa, la pioggia appena caduta richiama i profumi penetranti<br />
della campagna, ma il ricordo delle fotografie<br />
di Giommaria Dore appeso su quel cancello, rendono<br />
l’atmosfera irreale agli occhi di Celso. A guardarsi intorno,<br />
sembrerebbe impossibile che un uomo sia stato<br />
ammazzato là solo il giorno prima, e che un gioco innocente<br />
come una bambola sia stato usato <strong>per</strong> dare senso<br />
a quella morte.<br />
Celso fa pochi passi oltre il cancello con gli scarponi<br />
che affondano nella poltiglia - ora cerca di ricordare<br />
la ricostruzione dell’omicidio fatta da Mondo - e si<br />
porta dietro al cespuglio di lentischio, a ridosso del<br />
muro a secco. In mezzo al cespuglio ci sono bottiglie<br />
vuote, qualche bicchiere di carta e sacchetti neri, forse<br />
pieni di spazzatura, ma è l’odore del lentischio che<br />
avverte forte, irritante. E con quell’odore che gli solletica<br />
ancora le narici, si sposta di lato <strong>per</strong> qualche metro,<br />
sino a trovarsi di fronte al cancello - Forse è da qui<br />
che ha sparato - e mima la posizione di tiro. A lungo,<br />
concentrato.<br />
Celso riporta indietro le braccia e, lentamente, le fa<br />
ricadere lungo i fianchi dopo aver sparato - una fucilata<br />
secca come una parola interiore che incrina il silenzio<br />
dentro di lui, e fa apparire fragile tutto ciò che gli sta intorno<br />
- e s’avvicina al cancello. Richiude l’anta col fermo,<br />
e rivede là, disteso in terra, il corpo di Giommaria<br />
Dore - appariva un uomo basso e massiccio nelle foto,<br />
folti capelli ricci spettinati, maniche della maglia tirate<br />
80<br />
su sino ai gomiti, gli scarponi che sembravano sfilarsi<br />
dai piedi <strong>per</strong> la tensione del corpo morto sospeso - e su<br />
quel corpo si china, fa l’atto di infilare il cappio, di far<br />
passare la corda sopra il cancello, e poi di tirare. E tira,<br />
puntando i piedi che sfuggono sul terreno fangoso.<br />
Dopo un po’ Celso molla la presa e arretra di qualche<br />
passo, guardandosi intorno. Scuote la testa, ora: gli sembra<br />
tutto tutto così complicato, così complesso da concepire<br />
e mettere in atto - e da capire - che un uomo non<br />
ne sarebbe capace se non fosse spinto da una forza interiore<br />
irrefrenabile - Odio - o paura.<br />
“Devo parlarci io con Lorenzo Messa” si dice.<br />
* * *<br />
Il commissario s’aggira ora <strong>per</strong> l’ovile, sembra che<br />
non ci sia nessuno, e neppure Mondo si vede - Dove sarà<br />
finito? - in lontananza si sente solo lo scampanio delle<br />
greggi al pascolo. Celso ritorna sui suoi passi sino al<br />
capannone di fronte all’ingresso. La porta laterale è<br />
a<strong>per</strong>ta, entra. Procede con cautela lungo il corridoio<br />
centrale della sala - il pavimento è bagnato - sino ad arrivare<br />
alla porta in fondo. La apre ed esce.<br />
Un pick up bianco è parcheggiato alcuni metri più in<br />
là. Un uomo vi sta caricando dei recipienti di latta. Celso<br />
s’avvicina.<br />
– Buongiorno. Sono il commissario Renzi, – dice,<br />
squadrandolo.<br />
81
L’uomo gli lancia appena uno sguardo serio, fa un<br />
cenno veloce col capo e continua il suo lavoro.<br />
Non è Lorenzo Messa. È basso e robusto, ha capelli<br />
neri, folti e scompigliati, una lunga frangetta schiacciata<br />
sulla fronte. Il viso scuro è ben rasato. Indossa un<br />
maglione militare di lana, la cerniera del colletto è chiusa<br />
fin sotto il mento, le maniche sono tirate su sino ai<br />
gomiti. I pantaloni in velluto nero gli fasciano le cosce,<br />
scendono a tubo alcuni centimetri sopra gli scarponi<br />
infangati. È Costantino Selloni, il servo pastore dei<br />
Messa di cui Mondo parla nei verbali. A Celso il nome<br />
del giovane pastore gli è rimasto impresso <strong>per</strong> i suoi numerosi<br />
precedenti.<br />
– Costantino Selloni? – gli chiede.<br />
L’uomo continua a caricare i fusti di latta sul pick up,<br />
poi risponde con un mugugno. Si strofina le mani sulle<br />
cosce e si appresta a caricare un altro fusto. Lo solleva<br />
con entrambe le mani, ma senza fatica.<br />
– Da quanti anni lavora <strong>per</strong> i Messa? – chiede ancora<br />
il commissario.<br />
Spinge il fusto lungo il pianale del pick up.<br />
– Dieci, – risponde sbrigativo a mezza voce.<br />
– Quindi li conosce bene i Messa.<br />
Prende l’ultimo fusto.<br />
– E anche Giommaria Dore lo conosceva bene, – incalza<br />
il commissario.<br />
Il no di Costantino Selloni è uno schiocco di lingua<br />
sui denti.<br />
82<br />
– Eppure Giommaria Dore lavorava qui da tempo.<br />
Costantino Selloni salta sul cassone del pick up.<br />
– Mai avuto uno screzio con lui? – insiste il commissario.<br />
Appoggia i fusti, uno a uno, contro la spalliera di fondo<br />
del fuoristrada, trascinandoli lungo il pianale.<br />
– Nemmeno tra Giommaria Dore e i Messa? – ora il<br />
commissario alza leggermente la voce.<br />
Lui scrolla le spalle.<br />
– Aveva dei nemici?<br />
– E chi è che non ce li ha? – risponde Costantino Selloni.<br />
La sua faccia non fa una piega.<br />
– Già, – commenta pensieroso Celso. – E di Lorenzo<br />
Messa che mi dice? Dicono che sia un eremitano, uno<br />
che si fa gli affari suoi.<br />
– E che c’è di male se uno si fa gli affari suoi?<br />
Con un balzo agile salta a terra mentre riprende a piovere.<br />
Costantino Selloni solleva la sponda e fa <strong>per</strong> chiuderla.<br />
– Si dice anche che Bibi, la figlia di Antonio Messa,<br />
sia andata via all’improvviso… e nessuno sa <strong>per</strong>ché…<br />
Costantino Selloni si blocca, guarda il commissario<br />
coi suoi occhi piccoli e celesti. Un lampo.<br />
Poi richiude la sponda con forza.<br />
83
Mondo non aveva atteso quella mattina <strong>per</strong> ritornare<br />
nell’ovile di Pala Mortis. Lui un’idea se l’era già fatta:<br />
Giommaria Dore era un informatore - una spia - e poteva<br />
aver riferito qualcosa che non avrebbe dovuto, oppure<br />
qualcuno aveva fatto prevenzione chiudendogli la<br />
bocca prima che potesse spiare qualcosa di visto o saputo.<br />
Certo <strong>per</strong>ò che una spia non la si faceva fuori in<br />
quella maniera. E quella maniera escludeva pure che<br />
fosse stato ucciso <strong>per</strong> sconfinamento di pascolo o <strong>per</strong><br />
abigeato. Ultimamente, nella zona di Pala Mortis si erano<br />
verificati diversi furti di cavalli, ma Mondo aveva<br />
fatto le sue indagini e Giommaria Dore era risultato<br />
fuori dal giro. Insomma, il solo fattore determinante<br />
sembrava proprio il modo in cui Giommaria Dore era<br />
stato ammazzato. Così, <strong>per</strong> trovare qualcosa che gli<br />
consentisse di capire, Mondo era ritornato a Pala Mortis<br />
la notte precedente. Ma non era servito a niente. E di<br />
certo non poteva essergli d’aiuto il commissario, ché,<br />
secondo Mondo, non riuscirà mai ad afferrare quella<br />
logica <strong>per</strong>ché non riesce a capire le <strong>per</strong>sone del posto,<br />
continua ad essere un estraneo nella città in cui vive or-<br />
85
mai da dieci anni. Negli ultimi tempi, poi, era più distratto<br />
del solito, chissà quali pensieri gli passavano <strong>per</strong><br />
la testa. Ma lui l’aveva capito subito che Celso Renzi<br />
non ha vocazione a fare lo sbirro. E poi… poi aveva lasciato<br />
che Lorena morisse, che se ne andasse così, in<br />
una notte.<br />
Era notte, ventiquattro marzo, cinque anni prima.<br />
Mondo lo ricorda esattamente così, come una didascalia<br />
sotto una foto che non sbiadisce mai.<br />
– Non guardarmi più negli occhi, – gli aveva detto<br />
Lorena.<br />
– Perché? – aveva chiesto lui. – E se li guardassi?<br />
– Potrebbero dirti bugie. – Aveva chiuso lei.<br />
Lorena era cambiata da quando aveva conosciuto<br />
Celso, tanto che, le ultime volte che aveva cercato di fare<br />
l’amore con lei, Mondo non ci era riuscito. Pensare<br />
che Celso Renzi gliel’aveva presentato proprio lui.<br />
Quattro anni insieme, e di punto in bianco ti rendi conto<br />
di non conoscerla. Peggio, scopri che ha sempre cercato<br />
di fuggire, di nascondersi da te. Dopo quattro anni<br />
ti svegli e la gatta ha tirato fuori le unghie. E allora a dire<br />
che non c’è problema, in fondo hai sempre fatto quel<br />
che ti pare, siamo sempre stati liberi io e te, ognuno con<br />
la sua vita, e tutto prima o poi finisce… Bugie.<br />
* * *<br />
Mondo entra nel piccolo casolare dietro la sala mun-<br />
86<br />
gitura, è una stalla abbandonata priva di porta. Il vecchio<br />
tetto è sprofondato in parte, canniccio e tegole sono<br />
ancora ammucchiate sul pavimento, e sul cumulo<br />
sono cresciute erbacce e rovi. Mondo vacilla sul piancito<br />
di cemento bagnato dalla pioggia, ma riesce a rimanere<br />
in piedi. Non resiste, invece, alla puzza di merda<br />
di cavallo mista a quella della spazzatura raccolta nei<br />
sacchi neri, buttati disordinatamente in terra. Esce fuori,<br />
trattenendo il respiro.<br />
Riprende ora a martellargli in testa l’osservazione di<br />
suo nonno su Antonio Messa: “Uccide i cinghiali come<br />
se fossero uomini”. Quel paragone affascina ancora<br />
Mondo, forse dovrebbe considerarlo come conferma<br />
alle sue convinzioni logiche, ma ribaltato: Uccide gli<br />
uomini come se fossero cinghiali. - E sì - sarebbe utile<br />
quel rovesciamento se solo gli consentisse di avvicinarsi<br />
alla <strong>verità</strong>, di capire che cos’è che continua a sfuggirgli<br />
della messinscena che ha visto la mattina prima.<br />
Mondo inizia ad aprire i sacchi, uno ad uno, svuotandoli<br />
sul pavimento. Con le mani nude, non curante,<br />
rovista nella spazzatura, svuota e fruga, sempre più<br />
frenetico, ansima. Non si ferma neppure quando, a<strong>per</strong>to<br />
uno dei sacchi, gli sembra di sentire nuovamente il<br />
tanfo di Giommaria Dore: sul pavimento scivola una<br />
massa viscida e putrida di interiora. La stessa puzza.<br />
Ma questa volta la dimentica in fretta <strong>per</strong>ché, sotto il<br />
mucchio degli altri, un sacco che pare vuoto attira la<br />
sua attenzione. Lo prende - non pesa niente - ma esita<br />
87
prima di aprirlo. Allarga la bocca del sacco con uno<br />
strappo, e vi infila la mano.<br />
“Dài, su Mondo a scuola” è la voce severa e spiccia<br />
della madre che lui ora ricorda. Dal sacco ha tirato fuori<br />
un tessuto che tiene sul palmo di una mano. La stoffa<br />
è rigida tanto che sembra inamidato proprio come il<br />
suo colletto bianco da scolaro. “Vieni qui che te lo metto<br />
io il colletto se no tu finisci <strong>per</strong> sgualcirlo, dopo tutto<br />
quello che ci vuole a stirarlo” e la madre afferrava con<br />
attenzione il colletto <strong>per</strong> le estremità, lo faceva scivolare<br />
sul petto di Mondo sino al collo e - “Giù la testa” - lui<br />
la chinava riluttante sul petto scarno di lei, che intanto<br />
tirava con forza le estremità del colletto sino ad abbottonarlo:<br />
“Ecco, è a posto”. Lui resisteva alla tentazione<br />
di allargarlo, almeno, <strong>per</strong> non sentirsi soffocare, mentre<br />
la madre dava due o tre lisciate al colletto con le palme<br />
delle mani, lo mirava e rimirava soddisfatta prima<br />
di annodare il fiocco blu, anche quello: mai una piega!<br />
L’immagine della madre china sull’asse a stirare con<br />
pazienza, a inamidare con meticolosità da intarsiatore,<br />
ritorna al vicecommissario Cara su quel tutù di tulle e<br />
raso. Mondo stringe nel pugno un costume da ballerina,<br />
<strong>per</strong>ò è piccolo, proprio piccolo, così minuto che sta<br />
in una mano.<br />
88<br />
È tra le nuvole sopra il monte Ile che un lampo balena<br />
all’improvviso. Celso trasale, lancia un’occhiata al cielo<br />
ravvivato dal bagliore, e corre verso l’auto. Poi il fulmine<br />
scarica tutta la sua energia, fa tremare il cielo con un<br />
fragore assordante - e Mondo getta un’occhiata cupa<br />
verso l’uscita del casolare - infine si esaurisce, mentre<br />
nell’aria il silenzio si condensa pronto a esplodere nel<br />
tuono. È una successione che non dà respiro. E piove,<br />
ora, prima ancora del tuono.<br />
Quando il boato arriva, anche i vetri della macchina<br />
tremano (una scossa che si propaga all’interno dell’abitacolo,<br />
e che infastidisce Celso), mentre il pick up di<br />
Costantino Selloni sfila sotto gli occhi del commissario,<br />
s’allontana veloce, macinando e spruzzando fango da<br />
sotto i pneumatici. Il tuono si prolunga, scema e poi<br />
rimbomba con un’ultima, lontana eco; e finalmente si<br />
placa in una pioggia fitta, subito insistente. Celso accende<br />
il motore e aziona i tergicristalli, guarda fuori oltre<br />
il parabrezza, a sinistra a destra: Mondo non si vede<br />
ancora - Dove si è cacciato? - avvia il riscaldamento e<br />
aspetta impaziente che ritorni.<br />
89
Ora piove anche all’interno del casolare abbandonato.<br />
Attraverso il tetto sfondato, l’acqua batte e ribatte<br />
sul piancito - ha già formato un rivolo che corre via<br />
verso lo scolatoio - ma Mondo non si muove, stringe<br />
ancora nel pugno il tutù di tulle e raso. Schiude la mano<br />
e fissa il vestitino accartocciato sul palmo: non riesce<br />
a immaginare la bambola sul cancello, “la bambola<br />
di Giommaria Dore” gli viene da dire, con addosso<br />
proprio quel vestitino, è una bambola tozza, sgraziata -<br />
ora ricorda - non certo una ballerina… ma cosa c’entra<br />
Giommaria Dore con quel giocattolo, con questo vestitino?<br />
Stringe di nuovo la mano a pugno e la caccia nella tasca<br />
del giubbotto con gesto stizzito, poi esce sotto la<br />
pioggia.<br />
La ritrosia di Costantino Selloni l’ha irritato. Non<br />
che Celso s’aspettasse chissà quale collaborazione da<br />
lui: è che l’ha lasciato con la sensazione di appartenere<br />
a un mondo diverso soltanto <strong>per</strong>ché lui è un commissario<br />
di polizia. Ma è più di una sensazione: è una <strong>verità</strong><br />
amara e difficile da accettare, una <strong>verità</strong> che Celso non<br />
vuol accettare.<br />
Ma il lampo che ha <strong>per</strong>corso gli occhi di Costantino<br />
Selloni quando lui ha fatto il nome della sorella di Lorenzo<br />
Messa - di Bibi - non è sfuggito a Celso.<br />
All’interno della macchina, la ventola del riscalda-<br />
90<br />
mento frulla ossessivamente, Celso la spegne e sbircia<br />
ancora una volta di lato, verso il capannone, ma niente,<br />
Mondo non arriva, poi guarda l’orologio: le dieci e<br />
quarantatrè, e lui avverte già la stanchezza di essere là,<br />
in quell’ovile che gli sembra uguale a tutti gli altri ovili,<br />
dentro quella macchina che puzza di cicca e di nafta, e<br />
di inutili ore di servizio, sotto quella pioggia che picchia<br />
e non smette, ad aspettare un Mondo inquieto che<br />
si comporta in maniera incomprensibile, al limite del<br />
regolamento. Mentre ora desidererebbe essere con<br />
Manu, seduti insieme nel baretto sul molo, a godersi lo<br />
spettacolo della mareggiata che batte la costa ed elettrizza<br />
l’aria - e riconosce che in fondo la suocera non<br />
ha tutti i torti a rimproverargli la sua trascuratezza nei<br />
confronti di Manu - così chiama Neria al cellulare.<br />
– Pronto Neria?<br />
– Sì, ciao, – risponde lei col solito piglio brioso (e a lui<br />
è sufficiente sentirla <strong>per</strong> lasciarsi contagiare dalla sua<br />
freschezza).<br />
– Celso?<br />
– Sì, scusa ma sento malissimo.<br />
– Anch’io sento delle interferenze, e il ritorno della<br />
mia voce.<br />
– Sei in casa?<br />
– Sì sì, sono a casa.<br />
– E Manu?<br />
– Stamattina è voluta andare a scuola.<br />
– Ah, – fa lui con una punta di delusione.<br />
91
– Sai, ha detto che oggi non poteva mancare <strong>per</strong>ché<br />
è il compleanno di Anna, la sua amichetta dai capelli<br />
rossi.<br />
– Anna? Ah sì Anna dai capelli rossi, come la chiama<br />
Manu.<br />
– Anna dai capelli rossi va... – canticchia ora Neria e<br />
scoppiano entrambi in una risata alta, liberatoria <strong>per</strong><br />
Celso. Un gesto di complicità che vibra nell’aria, e si<br />
trascina lentamente nel silenzio. Tra loro, adesso riecheggia<br />
solo il picchiettare della pioggia contro il sottile<br />
muro di silenzio che li separa.<br />
– Neria… – Celso avverte l’inedita tensione che s’insinua<br />
tra loro – Uhm, c’è qualcosa che non va - protende<br />
il busto in avanti, e preme il cellulare contro all’orecchio:<br />
– Neria, ci sei ancora? – (la voce gli si spegne con<br />
una lieve scossa sulle labbra, un fremito, come se<br />
qualcosa tra loro si stesse incrinando: una sensazione<br />
che lui, <strong>per</strong>ò, trova esagerata).<br />
– Pensavo ad Anna. – risponde infine lei.<br />
– La sorella di Lorenzo. – puntualizza Celso, annuendo.<br />
– Sì. Lei.<br />
* * *<br />
– Non c’è proprio pace <strong>per</strong> i Messa, – ha detto Neria<br />
dopo un lungo palpabile silenzio. Celso si è limitato a<br />
92<br />
dirle ciò che è successo la notte prima nell’ovile di Pala<br />
Mortis, omettendo dettagli come quello della bambola<br />
a pezzi sul cancello o del sequestro delle armi da caccia<br />
dei Messa. E ha avuto ragione a tacerli, <strong>per</strong>ché in quel<br />
prolungato silenzio ha colto tutto il tormento della vita<br />
dei Messa - prima la figlia che va via all’improvviso senza<br />
apparente ragione e non torna più, poi la malattia<br />
della madre, ora l’omicidio di Giommaria Dore.<br />
Piove senza tregua, ormai, da un cielo triste che ora<br />
Celso guarda soprappensiero da dietro il parabrezza.<br />
Spalanca la portiera e sta <strong>per</strong> scendere dalla macchina<br />
quando lo vede arrivare. Mondo su<strong>per</strong>a il cancello a<br />
lunghi passi, con i talloni che scompaiono nella fanghiglia,<br />
la testa china sotto la pioggia e le mani affondate<br />
nelle tasche del giubbotto. Apre la portiera ed entra in<br />
fretta in auto, lasciandosi andare sul sedile prima di richiudere<br />
la portina con forza.<br />
– Finalmente, Mondo! Dove sei stato? – gli chiede<br />
Celso.<br />
– C’è una stalla abbandonata sul retro del capannone.<br />
– risponde Mondo affannato e scosso da brividi di<br />
freddo.<br />
– Trovato qualcosa?<br />
Mondo sfrega vigorosamente le mani una contro l’altra<br />
e poi sul viso prima di rispondere:<br />
– No. Solo un mucchio di spazzatura. – E si tira i capelli<br />
all’indietro con le mani sporche come se avesse<br />
frugato sottoterra.<br />
93
– Già… – commenta il commissario guardando la<br />
campagna intorno attraverso la cortina della pioggia. –<br />
Mi pare che in questo posto non troveremo niente che<br />
possa aiutarci.<br />
Mondo annuisce, aspetta in silenzio che il commissario<br />
prosegua.<br />
– Ho parlato con Costantino Selloni.<br />
– Il servo pastore dei Messa?<br />
– Sì.<br />
– E cosa ti ha riferito?<br />
– Assolutamente nulla. – “Lo immaginavo” osserva<br />
Mondo dentro di sé. – Ma ha avuto una strana reazione<br />
quando ho tirato fuori la storia di Bibi.<br />
– Non c’è da meravigliarsi, – sminuisce Mondo. – Lo<br />
sanno tutti che Costantino Selloni era innamorato di<br />
Bibi; come altri, è vero, solo che lui non ha mai voluto<br />
sa<strong>per</strong>ne di altre. È un tipo orgoglioso, complicato, l’hai<br />
visto no?, e a modo suo le è rimasto fedele.<br />
Mondo tace <strong>per</strong> un poco, poi riprende:<br />
– Bibi era una ragazza affascinante. Non che fosse<br />
più bella di tante altre…<br />
– E allora?<br />
– Allora era la classica ragazza di cui ci si può innamorare<br />
così, soltanto <strong>per</strong> la sua esuberanza, <strong>per</strong> la dolcezza<br />
e la sfrontatezza insieme. – La voce di Mondo assume<br />
ora una sfumatura languida. Parla della ragazza<br />
come se l’avesse davanti agli occhi. – Una <strong>per</strong>sonalità<br />
forte, che amava stupire gli altri, e passionale: proprio<br />
94<br />
<strong>per</strong> questo ammaliava. Quanti ragazzini del paese devono<br />
a lei la loro prima cotta!<br />
– Insomma, una donna fatale.<br />
– Non solo. – Mondo riprende ora il solito tono aspro<br />
e tagliente. – Era anche la figlia di Antonio Messa.<br />
– A proposito di Antonio Messa, – interviene Celso,<br />
impaziente di riportare l’argomento su Giommaria<br />
Dore. – Non sappiamo ancora nulla dei suoi rapporti<br />
con la vittima, e tra questa e il figlio di Antonio Messa…<br />
– Lorenzo.<br />
– Lorenzo, sì. Giommaria Dore era un loro servo pastore,<br />
aveva dei pascoli in affitto o che cosa?<br />
– È una faccenda complicata, questa, – osserva bruscamente<br />
Mondo. Poi tace, sembra riflettere.<br />
– Andiamo in paese, – sussurra tra i denti.<br />
95
L’avvocato Serra è un uomo e-nor-me: lo scranno di<br />
noce su cui è seduto non riesce a contenerne la mole.<br />
Quando Mondo e Celso entrano nel suo studio, l’avvocato<br />
si solleva appena dal trono e tende la mano a<br />
Celso; sfiora la sua mano con una presa molle e viscida,<br />
poi s’adagia di nuovo, debordante. Si limita a salutare<br />
Mondo con un cenno della mano.<br />
La sua faccia da mortadella, a chiazze rosse - come se<br />
qualcuno si fosse divertito a pizzicarlo forte in più punti<br />
- domina da dietro la scrivania ingombra di testi e<br />
giornali. È tutta occhi: occhi acquosi e sdegnosi che<br />
non ti guardano mai in faccia, e si muovono indolenti<br />
tra la stanza e il mezzo toscano che gli si spegne continuamente<br />
tra le dita, come se tutte le possibilità del suo<br />
corpo si concentrassero in quel movimento.<br />
Ogni tanto rivolge lo sguardo a Mondo che gli parla<br />
dell’omicidio di Giommaria Dore. Non guarda mai<br />
Celso. È quasi un monologo di Mondo <strong>per</strong>ché l’avvocato<br />
si limita ad aggiungere commenti, brevi, senza mai<br />
cambiare espressione. Mondo e l’avvocato parlano tra<br />
loro come se si conoscessero bene, e Celso ha sempre<br />
97
più la sensazione che l’avvocato li stesse aspettando - o<br />
quanto meno attendesse Mondo.<br />
L’avvocato Serra non guarda Celso nemmeno quando<br />
lui gli chiede se può spiegare che tipo di rapporto<br />
ci fosse tra Giommaria Dore e Antonio Messa. Però,<br />
d’improvviso, Serra sembra essersi annoiato di vagare<br />
con lo sguardo <strong>per</strong> la stanza, così prima fissa il mozzicone<br />
di toscano che tiene tra il pollice e l’indice, poi guarda<br />
finalmente Celso e agitando la mano verso di lui dice:<br />
– Commissario, lei mi offende con la sua domanda, – e<br />
continua a guardarlo con un mezzo sorriso <strong>per</strong> l’evidente<br />
stupore che Celso tradisce. – Eh sì, <strong>per</strong>ché mi sarei<br />
aspettato da lei ben altra domanda, meno prosaica, più,<br />
come dire, creativa… – e l’avvocato sfuma quest’ultima<br />
parola addolcendo il tono di voce. È un teatrante l’avvocato<br />
Serra.<br />
– Guardate qui, – l’avvocato afferra due dei quotidiani<br />
sulla scrivania e li getta dall’altra parte del tavolo,<br />
sotto i loro occhi. – Una bambola, la testa di una bambola,<br />
la testa e il corpo di una bambola infilzati sul cancello<br />
dell’ovile: titoli di prima pagina, eh. E voi volete<br />
farmi credere di essere venuti qui <strong>per</strong> sa<strong>per</strong>e semplicemente<br />
quali fossero i rapporti tra Giommaria Dore e<br />
Antonio Messa? Andiamo, commissario.<br />
Celso guarda Mondo come se aspettasse che sia lui a<br />
controbattere all’avvocato (in fondo è stato proprio lui<br />
a suggerire di andare da Serra). Ma Mondo tace.<br />
– Chi meglio di lei conosce il paese, avvocato?<br />
98<br />
L’avvocato sorride a mezza bocca e distende la mano<br />
col sigaro spento, puntandolo ancora una volta contro<br />
Celso.<br />
– Mi creda, commissario: è irrilevante conoscere<br />
che rapporto c’era fra Giommaria Dore e Antonio<br />
Messa. – Non si muove, assiso, mentre ogni parola cade<br />
dalla fessura delle sue labbra, sottili e livide. Riprende:<br />
– Tanto più che, legalmente, era un rapporto<br />
complicato: usi locali, patti agrari scaduti e di fatto<br />
mai convertiti, scambi in natura.<br />
– Mi faccia capire meglio, avvocato.<br />
– È semplice, commissario. Inizialmente Giommaria<br />
Dore era il soccidario, Antonio Messa il soccidante:<br />
l’uno apportava il bestiame, l’altro conferiva l’uso di<br />
una parte del pascolo. Ma - come può immaginare - col<br />
tempo i rapporti cambiano, possono diventare complessi,<br />
intricati…<br />
– Insomma, mi sta dicendo che il rapporto tra i due<br />
non era esattamente idilliaco?<br />
L’avvocato annuisce.<br />
– E <strong>per</strong> quale ragione, avvocato? Sempre che lei possa<br />
e voglia dircelo.<br />
– Per la ragione più banale di questo mondo, commissario:<br />
denaro.<br />
– Denaro che Giommaria Dore doveva ai Messa? O<br />
che altro?<br />
– Denaro che Giommaria Dore doveva ai Messa, –<br />
ripete l’avvocato a conferma. – Ma non era un mistero:<br />
99
in un paese così piccolo tutti sanno tutto di tutti. O<br />
quasi. – Conclude.<br />
Celso riflette in silenzio, lancia un’occhiata a Mondo,<br />
poi chiede a Serra:<br />
– E ci sono altri coi quali i Messa hanno o hanno avuto<br />
dei rapporti complessi, intricati?<br />
– Vede, commissario, i Messa è sempre stata gente<br />
difficile, – spiega l’avvocato. – Tuo nonno li conosceva<br />
bene, no Mondo?<br />
Il vicecommissario fa cenno di sì con la testa. Gli ritorna<br />
ancora una volta in mente la frase del nonno a<br />
proposito di Antonio Messa, ma continua a star zitto,<br />
curioso di vedere dove vanno a parare l’avvocato e il<br />
commissario.<br />
– E Antonio Messa, rispetto alla stirpe, non fa certo<br />
eccezione. Ha sempre creduto che esista un confine<br />
netto tra giusto e ingiusto, tra legge e fuorilegge, e che<br />
ognuno debba avere un ruolo preciso nella società. Ma<br />
un uomo come lui, capisce commissario, è fuori moda.<br />
E quando se ne è reso conto, ha passato la mano al figlio,<br />
<strong>per</strong> questo e non certo <strong>per</strong> la morte della moglie. È<br />
noto che il loro era un matrimonio d’interesse. E quando<br />
un uomo non ama la propria moglie… – (e l’avvocato<br />
lancia uno sguardo di complicità a Mondo che lo ricambia<br />
con un lampo gelido).<br />
– Conosceva altrettanto bene Giommaria Dore, avvocato?<br />
– chiede ora Celso. – A noi risulta che fosse incensurato.<br />
100<br />
– E questo cosa significa? – ribatte salace l’avvocato.<br />
– Tutti abbiamo qualcosa da nascondere, tutti abbiamo<br />
i nostri bravi peccati da espiare, e non c’è nessuno che<br />
si salvi da questa legge. Tanto meno Giommaria Dore.<br />
L’avvocato Serra parla ad effetto, proprio come un<br />
vecchio avvocato. Dalla scrivania prende la scatola dei<br />
fiammiferi e accende il sigaro, stringendo gli occhi <strong>per</strong><br />
il fumo che gli va in faccia. Gli occhi affondano nelle<br />
guance grasse e il suo viso assume una smorfia ridicola.<br />
Celso attende che l’avvocato spieghi cosa ha voluto<br />
dire con quella puntualizzazione su Giommaria Dore,<br />
ma è spazientito dal quel suo modo di dire e non dire. E<br />
infatti l’avvocato aggiunge:<br />
– Essere un confidente non è proprio un peccato<br />
mortale, ma qualcosa da tener nascosto sì. E Giommaria<br />
Dore, – l’avvocato ora si rivolge esplicitamente a<br />
Mondo, – era un informatore. Un vostro informatore.<br />
– Ribadisce.<br />
Celso guarda Mondo, incredulo più che stizzito.<br />
– Sì, Giommaria era un nostro informatore, – conferma<br />
Mondo, ignorando lo sguardo di Celso. – Ma <strong>per</strong><br />
quanti nemici possa avere una spia - e ce li ha - non credo<br />
che sia stato ucciso <strong>per</strong> questo.<br />
L’avvocato annuisce, mentre il sigaro gli si spegne<br />
una volta di più tra le dita.<br />
– Almeno a giudicare dal modo in cui è stato ammazzato,<br />
– conclude Mondo.<br />
– E lei avvocato, come se la spiega questa messinsce-<br />
101
na? – chiede Celso, indicando le fotografie nella prima<br />
pagina dei quotidiani sparsi sopra la scrivania.<br />
L’avvocato soppesa le parole prima di rispondere:<br />
– Se avesse letto i giornali - stamattina - avrebbe già<br />
tutte le risposte possibili e immaginabili, commissario:<br />
faida, pedofilia, omicidio a luci rosse… Scelga un po’<br />
lei, commissario.<br />
102<br />
Lorenzo amava la piccola camera di Bibi nel sottotetto:<br />
il letto in ferro battuto sul quale lei gli mostrava le<br />
cartoline che collezionava gelosamente, come se fossero<br />
francobolli rari; il vaso grezzo sul comodino accanto<br />
al letto, con le spighe secche conservate da Bibi; lo<br />
specchio sul vecchio comò della nonna con la cornice<br />
che lei aveva abbellito di rose rosse dipinte; i suoi acquerelli<br />
che tappezzavano le pareti di paesaggi ora ingialliti<br />
e assolati ora sovrastati da cieli cupi, o di volti<br />
scuri e scomposti che lo impressionavano <strong>per</strong> la loro<br />
violenza - come se <strong>per</strong> lui Bibi non potesse essere capace<br />
di sentimenti così forti. Lorenzo aveva finito <strong>per</strong><br />
amare <strong>per</strong>sino il logoro stendardo di Santa Rita che<br />
stringeva al petto sanguinante un mazzo di rose rosse,<br />
appeso sul muro in testa al letto (lui l’aveva tolto dalla<br />
sua camera e buttato nel garage tra le altre, inutili cose<br />
del nonno). Lorenzo amava il calore di quell’angolo intimo<br />
nel quale, a poco a poco, aveva sco<strong>per</strong>to il mondo<br />
di Bibi e, insieme a quello, anche il suo.<br />
103
Nella camera di Bibi ora c’è un forte odore di muffa:<br />
le macchie di umido sulla volta, la polvere sui pochi<br />
mobili rimasti - il letto, il comò con lo specchio - e le buste<br />
buttate sul pavimento - piene dei vestiti della madre<br />
- dimostrano che il padre e Anna hanno dimenticato<br />
Bibi, come se davvero non dovesse ritornare mai più.<br />
Come se la morta fosse lei e non la madre.<br />
Lorenzo trema dal freddo mentre vaga <strong>per</strong> la stanza<br />
di Bibi. Da quando lei è andata via non è mai ritornato<br />
in quella camera. Eppure ora ha quasi paura che lei ritorni,<br />
che lo fissi dritto negli occhi come fa il padre, e gli<br />
chieda che cosa ha fatto, che ne ha fatto della sua anima<br />
ora che si è spinto oltre il fiume e ha bevuto l’acqua dei<br />
morti come nel sogno.<br />
Sui davanzali delle due finestre - di fronte al letto - un<br />
gruppo di piccioni cerca riparo dalla pioggia. Hanno<br />
un’aria indifesa mentre se ne stanno immobili, accovacciati<br />
l’uno contro l’altro, col collo incassato tra le<br />
spalle e gli occhi chiusi mentre il vento gli arruffa le<br />
piume. Lorenzo si avvicina alle finestre, li osserva <strong>per</strong><br />
un attimo poi batte più volte con le palme delle mani<br />
contro i vetri. Gli uccelli volano via impauriti, e lui li<br />
guarda volare e poi planare sotto il cornicione della casa<br />
dall’altra parte della strada. Poi si siede sul pavimento<br />
di fronte alle finestre. Era così che lui e Bibi celebravano<br />
il loro rito della primavera, aspettando in silenzio<br />
che il sole invadesse piano piano la stanza, e li abbracciasse<br />
col suo tepore primaverile. E rimanevano a lun-<br />
104<br />
go a godersi quel calore, a osservare come il cielo si<br />
apriva a poco a poco, mentre qualche nuvola minacciosa<br />
s’attardava, isolata; poi a vedere come, di giorno in<br />
giorno, la campagna riprendeva vigore e colori, dalle<br />
colline giù sino alla piana dove - da lassù - tutto sembrava<br />
fermo, senza vita. A volte riuscivano a distinguere e<br />
seguire con lo sguardo le lettorine caracollanti lungo la<br />
ferrovia, che serpeggiava nella campagna.<br />
Ma ora al di là dei vetri c’è un cielo di nuvole ferme e<br />
algide che piovono e piovono, e l’ovile di Pala Mortis è<br />
un puntino opaco in cima a una collina. E lui è solo.<br />
Ai piedi del letto spunta la valigia di ebano dove Bibi<br />
conservava le cartoline. Collezionarle era il suo modo<br />
di sognare: “Le cartoline sono biglietti che non scadono<br />
mai” diceva nella sua ingenua dolcezza, e così <strong>per</strong> lei<br />
sognare di andare via era facile. Allora amava sognare<br />
Bibi.<br />
Lorenzo si fa strada verso il letto scostando coi piedi<br />
le buste sul pavimento. Si china e tira fuori la valigia.<br />
Ma esita ora: Bibi non glielo avrebbe <strong>per</strong>messo di<br />
aprirla in sua assenza. Ma lei non c’è più, e le sue cartoline<br />
non servono più a niente, nemmeno a sognare. Le<br />
chiusure della valigia sono ossidate, così Lorenzo è costretto<br />
a forzarle, e quando cedono con un scatto secco<br />
è come se sentisse addosso lo sguardo di rimprovero di<br />
Bibi e la voce del sogno: Non rubare l’acqua dei morti.<br />
105
Non rubare l’acqua dei morti. E scacciando quella voce<br />
Lorenzo solleva di colpo il co<strong>per</strong>chio. Rimane incredulo<br />
a guardare il fondo della valigia: dentro c’è solo una<br />
cartolina. E le altre? Dove sono finite le altre?<br />
La cartolina raffigura una piazza con una scalinata illuminata<br />
a giorno, alle spalle i campanili di una chiesa.<br />
È un luogo che Lorenzo non conosce. Prende la cartolina,<br />
la guarda la gira la rigira: Roma, Piazza di Spagna.<br />
Il timbro postale invece è illeggibile, la cartolina è indirizzata<br />
a Bibi ma le parole scritte dal mittente sono state<br />
cancellate con tanta forza da grattare via anche la<br />
carta. “E se Bibi fosse proprio lì a Roma?” si chiede, allora<br />
potrebbe scappare via, raggiungerla, nascondersi<br />
da lei…<br />
Lorenzo si sente come soffocare ora dentro la camera<br />
di Bibi: che cosa può fare adesso, scappare via, raggiungerla,<br />
nascondersi da lei…? No, no… e guarda l’inutile<br />
pezzo di carta che tiene ancora tra le mani: è tutto quello<br />
che è rimasto di Bibi. E con un gesto rabbioso strappa<br />
la cartolina in pezzi piccoli, più piccoli che può, e<br />
ancora più piccoli, e li getta sul letto.<br />
* * *<br />
Mondo ha guidato in silenzio <strong>per</strong> tutto il tragitto dalla<br />
casa dell’avvocato Serra a quella dei Messa. Un silenzio<br />
colpevole secondo Celso: sono troppe le sue omissioni<br />
su Giommaria Dore: ma arriverà anche il momen-<br />
106<br />
to di chiedergliene conto. Ora <strong>per</strong> lui è importante parlare<br />
con Lorenzo Messa.<br />
Mondo svolta a sinistra e ferma l’auto all’imbocco<br />
del vicolo San Martino. La porta scorrevole del garage<br />
dei Messa è a<strong>per</strong>ta a metà. Antonio Messa, seduto<br />
sullo sgabello, ha in mano una radice di lentischio. È<br />
seduto coi gomiti appoggiati sulle ginocchia e la schiena<br />
curva in avanti, e non si scompone quando Celso e<br />
il vicecommissario entrano nel garage, continua a studiare<br />
la radice: dapprima la gira lentamente tra le mani,<br />
poi l’accarezza ora con l’una ora con l’altra mano,<br />
e poi l’annusa a lungo, scuotendo la testa. Infine, la<br />
batte più volte sul palmo della mano - prima piano poi<br />
con vigore - abbassando la testa di lato, <strong>per</strong> sentire<br />
meglio il suono che produce, e così facendo solleva lo<br />
sguardo.<br />
– Buongiorno… don Antonio, – lo saluta Mondo,<br />
tradendo un certo timore reverenziale nei confronti<br />
del vecchio.<br />
Antonio Messa batte il legno sulla mano ancora una<br />
volta, poi smette, e con un gesto brusco - quasi di stizzita<br />
impotenza - porta la mano a schermare gli occhi, e<br />
raddrizza la schiena.<br />
– Questo è il commissario Renzi, – dice Mondo.<br />
– Buongiorno, signor Messa.<br />
Il vecchio chiude gli occhi e li strofina a lungo, con<br />
movimenti studiati dell’indice e del pollice.<br />
– Buongiorno, – risponde poi con voce fredda.<br />
107
– Siamo venuti <strong>per</strong> Lorenzo, – spiega Mondo. Antonio<br />
Messa annuisce.<br />
– Semplicemente <strong>per</strong> parlare con suo figlio, – puntualizza<br />
il commissario. – È in casa?<br />
– Non so. – È la risposta di Antonio Messa, che ora si<br />
alza in piedi facendo leva con la mano sull’orlo dello<br />
sgabello. Guarda prima Mondo, ma quasi di sfuggita,<br />
senza interesse, mentre rivolge a Celso un’occhiata seria.<br />
– Forse è a Pala Mortis, – aggiunge.<br />
– Stamattina non c’era a Pala Mortis, – osserva il commissario,<br />
ricambiando lo sguardo di Antonio Messa.<br />
– È da ieri che non lo vedo, – dice ora il vecchio, che<br />
poggia la radice sullo sgabello e s’avvia verso l’uscita<br />
del garage.<br />
Nel camino del soggiorno di casa Messa il fuoco è<br />
quasi spento: poche braci rosseggiano sotto un grosso<br />
ciocco parzialmente consumato. Il ticchettio della<br />
vecchia sveglia sulla credenza si diffonde rumorosamente<br />
<strong>per</strong> la casa. Mondo la guarda nervoso: l’una è<br />
passata da nove minuti. Antonio Messa prende alcuni<br />
sterpi dalla cassapanca accanto al camino, e li sistema<br />
sulle braci, mentre Celso si guarda intorno. I pochi<br />
oggetti nella stanza - la credenza, il tavolo, le sedie, il<br />
vaso vuoto sopra il tavolo, il treppiede accanto al camino<br />
- sono disposti secondo un ordine rigoroso ma<br />
freddo, asettico.<br />
108<br />
Antonio Messa afferra l’attizzatoio e soffia finché i legni<br />
prendono fuoco e le fiamme avvolgono il ceppo.<br />
– Così è da ieri che non vede suo figlio, – riprende il<br />
commissario.<br />
Antonio Messa risponde con un cenno del capo - osserva<br />
attentamente il commissario ora fermo di fronte a<br />
lui.<br />
– E in casa non c’è. – Conclude Mondo.<br />
– Se c’è è di sopra, nella sua stanza. – Antonio Messa<br />
tace, assorto, poi aggiunge: – O in quella della sorella.<br />
– Di Bibi? – chiede Celso, che sostiene con calma lo<br />
sguardo fermo del vecchio e, senza attendere risposta,<br />
si precipita a dire: – Si dice che sua figlia sia andata via<br />
all’improvviso, ma nessuno sa il <strong>per</strong>ché…<br />
Antonio Messa lo fissa ancora <strong>per</strong> un attimo - uno<br />
sguardo dietro il quale sembra non agitarsi alcuna<br />
emozione - poi gli passa accanto ed esce dal soggiorno.<br />
* * *<br />
La finestra a lato del letto di Bibi ha ancora un vetro<br />
rotto. I frammenti sono tenuti insieme da strisce di nastro<br />
adesivo e l’aria soffia attraverso il cellophane ormai<br />
secco. Lorenzo apre la finestra sul tetto della vecchia<br />
casa abbandonata, e il rumore della pioggia che<br />
picchia sulle tegole irrompe nella stanza. Da quella posizione,<br />
la visuale è un susseguirsi di tegole rico<strong>per</strong>te di<br />
licheni, di tetti in rovina, di case buie che puzzano di<br />
109
muffa, di stanze senza più vita da tempo. Lorenzo lancia<br />
un’occhiata ai pezzi della cartolina sul letto di Bibi,<br />
poi guarda di nuovo oltre la finestra. L’acqua che corre<br />
sui tetti e si dis<strong>per</strong>de lungo la strada, rende il silenzio<br />
intorno malinconico come il preannuncio della rovina<br />
di quelle poche case. Continuare a stare lì, nella camera<br />
di Bibi, è ormai inutile secondo Lorenzo, che accosta la<br />
finestra e va verso la porta. La apre appena e subito la<br />
richiude, attento a non far rumore: i passi e il vociare<br />
che ora sente distintamente provengono dalla scala.<br />
– Nella sua camera non c’è. – Lorenzo riconosce la<br />
voce nervosa del vicecommissario.<br />
– È ora di pranzo, magari ritornerà a casa. – Quella<br />
del commissario è invece una voce che Lorenzo non<br />
conosce.<br />
Il telefono squilla di sotto e Antonio Messa scende a<br />
rispondere, mentre Celso e Mondo continuano a parlare<br />
tra di loro:<br />
– Insomma, Lorenzo Messa non si trova da nessuna<br />
parte, – dice il commissario alterato. Impietrito dietro<br />
la porta, Lorenzo si sforza di non <strong>per</strong>dere la calma.<br />
– Calmati, Celso, – l’invita Mondo.<br />
– Che calmati e calmati: Lorenzo Messa potrebbe<br />
aver visto qualcosa d’importante ieri mattina, un dettaglio<br />
che gli è sfuggito, che non ha riferito ma che potrebbe<br />
rivelarsi prezioso. E tu mi dici di calmarmi! Lo<br />
voglio in commissariato entro domani, a costo di rivoltare<br />
il paese!<br />
110<br />
– Che ti prende, commissario? – Mondo controlla il<br />
tono della voce. – Cosa vuoi ottenere con la forza? Lascia<br />
che me ne occupi io.<br />
– Cosa succede a te Mondo. Da quando in qua hai<br />
amici come l’avvocato Serra?<br />
– Ah, è questo il problema! Beh, l’avvocato Serra non<br />
è un mio amico. E poi… cosa mi fai, l’interrogatorio<br />
adesso?<br />
– Ne riparleremo, ne riparleremo. Come parleremo<br />
anche del fatto che non mi hai detto che Giommaria<br />
Dore era un informatore. E lo sapevi.<br />
– Se non l’hai ancora capito Giommaria Dore era un<br />
mio informatore.<br />
– Sai cosa significa questo, vero? Sarò costretto a sollevarti<br />
dalle indagini <strong>per</strong> coinvolgimento <strong>per</strong>sonale.<br />
L’arrivo di Antonio Messa interrompe lo scambio tra<br />
Celso e Mondo, e il primo domanda al vecchio:<br />
– Chi era al telefono? – Il commissario non cambia<br />
tono, come se stesse ancora parlando con Mondo.<br />
– Mia figlia Anna, – risponde Antonio Messa.<br />
– Mio padre… – sussurra Lorenzo.<br />
– Anna, già… – bisbiglia Celso tra sé e sé mentre pensa<br />
a Neria. – E la stanza di Bibi? Prima ha detto che Lorenzo<br />
potrebbe essere là, – osserva ora.<br />
– La camera di Bibi è di sopra, nel sottotetto, – e salgono<br />
su <strong>per</strong> la mansarda.<br />
111
– Bibi… – il commissario riflette su quel nome. – È<br />
un diminutivo, vero?<br />
Antonio Messa esita, poi risponde:<br />
– Si chiamava Bibiana, come mia suocera. Così mia<br />
moglie l’ha chiamata come sua madre. Ma del resto era<br />
sua figlia.<br />
– Era sua figlia? – scandisce il commissario.<br />
Silenzio.<br />
– Bibi non era mia figlia.<br />
È un colpo a tradimento la <strong>verità</strong> che le parole del padre<br />
rivelano a Lorenzo, una <strong>verità</strong> che atterrisce, frastorna,<br />
che ferisce, e fa male. Non capisce, Lorenzo -<br />
Perché ha detto che Bibi non è sua figlia? Perché? - continua<br />
a domandarsi mentre s’allontana dalla porta scivolando<br />
spalle al muro, lo sguardo che vaga smarrito<br />
<strong>per</strong> la stanza: non è mai stata così vuota e fredda.<br />
Ma quando il padre apre la porta e lo vede, e s’arresta<br />
sulla soglia, anche Lorenzo si ferma e lo guarda:<br />
– Perché? – sussurra con rabbia, e Antonio Messa abbassa<br />
lo sguardo, mentre alle sue spalle il commissario<br />
spinge la porta ed entra nella stanza, seguito da Mondo.<br />
– Lorenzo Messa… – lo chiama il commissario, ma<br />
lui è già corso via, spalanca la finestra e si lascia andare<br />
nel vuoto.<br />
112<br />
ii
Sono trascorse due settimane dall’omicidio di Giommaria<br />
Dore, e il gesto di Lorenzo Messa sembra averne<br />
dato una soluzione automatica e semplice: tutti l’hanno<br />
interpretato nel modo più logico e immediato, compreso<br />
il commissario. Ma non Mondo. Lui conosce bene<br />
i tipi come Lorenzo Messa: sono troppo orgogliosi<br />
<strong>per</strong> pensare di farla finita gettandosi da una finestra,<br />
preferiscono affrontare la Giustizia sino in fondo, a<br />
muso duro, senza paura di niente e di nessuno. Allora<br />
<strong>per</strong>ché l’aveva fatto?<br />
C’è un’atmosfera fredda, innaturale nella camera di<br />
Bibi ora che è stata ripulita: i sacchi, pieni di vestiti, sono<br />
stati portati via, il pavimento spazzato e lavato. Il<br />
letto ora è addossato alla parete laterale su cui è stato<br />
appeso anche lo stendardo di Santa Rita, mentre il comò<br />
con lo specchio sono al loro posto - adesso lo specchio<br />
riflette freddamente il volto estatico della santa. È<br />
in quella stanza che Mondo ritorna ogni giorno dalla<br />
mattina in cui Lorenzo si è buttato dalla finestra che<br />
nessuno ha richiuso. E ogni volta ritornarci lo sconvolge<br />
proprio come gli era successo quella mattina.<br />
115
Mentre il commissario entrava nella stanza di Bibi e si<br />
rivolgeva a Lorenzo, lui era rimasto impietrito sulla soglia,<br />
accanto ad Antonio Messa, incapace di reagire alle<br />
sensazioni; il sangue gli pulsava contro le tempie sino<br />
ad assordarlo e lo sguardo gli rimbalzava incredulo tra<br />
il letto di Bibi - su cui erano sparsi pezzi di carta, mentre<br />
ai piedi c’era una strana valigia di legno a<strong>per</strong>ta - e la<br />
sagoma di Lorenzo Messa che correva verso la finestra.<br />
A ripensarci ora, anche Antonio Messa era rimasto inspiegabilmente<br />
immobile. Solo il commissario aveva<br />
dimostrato sangue freddo, precipitandosi prontamente<br />
verso il giovane, urlandone inutilmente il nome. Ne<br />
era seguito un silenzio irreale - come se nella camera<br />
ogni energia vitale si fosse dissipata nel momento in cui<br />
Lorenzo Messa aveva spalancato la finestra - con Celso<br />
affacciato che protendeva le braccia in un gesto istintivo,<br />
impotente, mentre né Mondo né Antonio Messa<br />
sembravano capacitarsi di ciò che stava succedendo.<br />
Quel che avvenne dopo è un ricordo ancora confuso<br />
<strong>per</strong> Mondo. Forse Celso aveva chiamato l’ambulanza<br />
prima ancora di uscire dalla camera o appena erano<br />
usciti in strada; Mondo ricorda soltanto che insieme<br />
avevano scardinato la porta della vecchia casa accanto<br />
a quella dei Messa - la porta di legno marcio aveva ceduto<br />
quasi subito sotto le loro spallate - e poi erano corsi<br />
su <strong>per</strong> le scale che portavano al sottotetto della casa.<br />
Lorenzo Messa era disteso immobile sulle assi del pavimento:<br />
sembrava morto. Ma si era chinato su di lui e<br />
116<br />
aveva sentito che respirava ancora, poi gli aveva sollevato<br />
le palpebre e i loro sguardi - forse, e <strong>per</strong> un attimo<br />
- si erano incontrati prima che Lorenzo <strong>per</strong>desse conoscenza.<br />
Mondo attraversa la stanza e s’affaccia alla finestra rimasta<br />
a<strong>per</strong>ta. Di sotto si vede il tetto ancora sfondato<br />
nel punto in cui è caduto Lorenzo Messa.<br />
Lorenzo era caduto sul tetto dopo un volo di circa<br />
due metri, ma era stato fortunato: nell’impatto lo strato<br />
di canne e calce ne aveva attutito la caduta, così se l’era<br />
cavata con una lussazione alla spalla, varie escoriazioni<br />
e contusioni, e una lieve commozione cerebrale che<br />
non aveva preoccupato i medici del San Sebastiano.<br />
Mondo, dopo aver verificato che il giovane era ancora<br />
vivo, non aveva atteso che arrivasse l’ambulanza: era ritornato<br />
nella camera di Bibi.<br />
La valigia di legno ai piedi del letto era a<strong>per</strong>ta ma<br />
vuota. Mondo prima l’aveva scostata di lato - gettando<br />
un’occhiata sotto al letto - poi aveva chiuso e ria<strong>per</strong>to il<br />
pesante co<strong>per</strong>chio senza trovare nulla di interessante.<br />
Se non il fatto che ad aprirla doveva esser stato Lorenzo<br />
Messa: ma cosa pensava di trovare dentro la valigia?<br />
L’aria, ormai pungente e secca, preannuncia l’inverno,<br />
e in cielo sprazzi d’azzurro s’alternano ad altri co-<br />
117
<strong>per</strong>ti da cirri candidi e sfilacciati. Il sole compare a tratti,<br />
ma è un punto itterico incapace di riscaldare. Mondo<br />
richiude la finestra e s’incammina verso l’uscita.<br />
Sulla soglia, <strong>per</strong>ò, si ferma, si volta a guardare ancora<br />
una volta il letto di Bibi, mentre affonda la mano nella<br />
tasca del giubbotto.<br />
Sul letto, la sopracco<strong>per</strong>ta è un logoro copriletto in<br />
taffettà damascato color salvia, con le frange che sfiorano<br />
il pavimento.<br />
Il tessuto frusciava mentre Mondo riordinava i pezzi<br />
di carta sparsi sul letto, dapprima con una strana calma<br />
poi con una crescente agitazione in petto, che non aveva<br />
mai provato, man mano che sotto i suoi occhi andava<br />
ricomponendo la cartolina: la scalinata di Piazza di<br />
Spagna illuminata nella notte, sullo sfondo Trinità dei<br />
Monti… era rimasto a lungo a fissarla, incurante del<br />
fatto che Celso o Antonio Messa sarebbero potuti ritornare<br />
nella stanza, fino a quando con veemenza aveva<br />
racimolato i frammenti e li aveva cacciati nel sacchetto<br />
di cellophane - insieme al tutù della bambola di Giommaria<br />
Dore - lo stesso sacchetto che ora stringe dentro<br />
la tasca del giubbotto.<br />
118<br />
Un movimento irriflesso delle gambe risveglia in Lorenzo<br />
il dolore alla spalla. Ha la sensazione di cadere<br />
dal letto, senza rendersi conto se ciò stia accadendo<br />
davvero oppure in sogno. Solleva leggermente la testa<br />
dal cuscino, ma riesce appena a intravedere le sagome<br />
bianche ai piedi al letto: Anna e il primario del reparto<br />
ortopedico parlottano tra loro come uno sciame fastidioso<br />
di mosche ronzanti sulla sua testa. Si sente indifeso,<br />
ora, e stanco. Dio solo sa quanto vorrebbe strappare<br />
via la flebo e la fasciatura che gli immobilizza la spalla,<br />
e fuggire via.<br />
Gli occhi gli si richiudono da soli, e s’addormenta di<br />
nuovo in pochi istanti. Un sonno pesante, che lo proietta<br />
nel buio con un lampo, e riprende a sognare un sogno<br />
che si ripete sempre identico, stessa regia, stessi attori,<br />
stesso finale.<br />
Deserto di sabbia. Luce accecante che schiaccia l’orizzonte.<br />
L’inquadratura rimane fissa e inanimata <strong>per</strong> alcuni<br />
minuti. Poi una macchia confusa entra lentamente in<br />
119
scena. È un uomo, è nudo, il suo corpo non proietta ombra<br />
sulla sabbia. Avanza a fatica, incespica, si ferma, si<br />
guarda intorno, dis<strong>per</strong>ato. Riprende a camminare, accenna<br />
a correre ma non riesce.<br />
La dis<strong>per</strong>azione aumenta, Lorenzo vorrebbe correre<br />
ma non ci riesce, vede il suo volto ingigantirsi in una<br />
smorfia deforme: ora assume le sembianze di Bibi, ora di<br />
Giommaria Dore, ora di un cinghiale, infine gli occhi azzurri<br />
e secchi della madre.<br />
Improvviso un nuovo lampo. Un bagliore che lo proietta<br />
ancora una volta nel buio. E dal buio viene proiettato<br />
in un grande piazza in mezzo al deserto, nessuna casa,<br />
nessun indizio che possa rendere riconoscibile la piazza<br />
né le <strong>per</strong>sone che l’affollano.<br />
Vestite con un lungo caffettano bianco, il capo rasato,<br />
assistono silenziose a un evento che lui, da dietro la folla,<br />
non vede. Si sente estraneo a quel luogo, indifferente a<br />
ciò che vi accade.<br />
Volge lo sguardo alla sua destra. Sorride vedendo che la<br />
donna al suo fianco è Bibi. Lei guarda dritta davanti a sé,<br />
non si accorge di lui, del suo sguardo, del suo sorriso. Le<br />
labbra gli rimangono a lungo contratte, il suo sorriso è diventato<br />
una smorfia amara, e il viso di Bibi una maschera<br />
di beffarda indifferenza.<br />
La folla si volta verso di loro e inizia a vociare. Qualcuno<br />
punta il dito verso di loro e la folla avanza rapidamente,<br />
lui e Bibi restano immobili, mentre la folla s’avvicina,<br />
s’avvicina e cresce il rumore attorno a loro, tutto<br />
120<br />
cresce e avanza, avanza sino a essere inghiottito dal<br />
buio.<br />
Soli nella piazza, davanti a una forca. Lorenzo e Bibi<br />
guardano penzolare due cadaveri. Nudi, i loro cadaveri<br />
sembrano due inutili marionette finito l’ultimo spettacolo.<br />
Il suo ha appeso al collo un cartello con su scritto: Rubò<br />
l’acqua dei morti…<br />
Lorenzo si risveglia nuovamente. Il corpo è scosso da<br />
brevi, incontrollabili sussulti. Avverte che dietro l’accusa<br />
scritta sul cartello nel sogno si nasconde una giustizia<br />
dalla quale niente e nessuno può salvarlo, neppure<br />
la morte, se la morte non è riuscita ad annientare<br />
neanche l’odio <strong>per</strong> Giommaria Dore. Rabbrividisce di<br />
rabbia al pensiero di lui.<br />
Eppure si era buttato dalla finestra della camera di<br />
Bibi - ed è la prima volta che ci pensa, ma da allora non<br />
è mai stato così lucido e freddo come adesso - non ha<br />
idea di quanto tempo sia passato da quella mattina ma<br />
“Che importa” si dice, e i ricordi cominciano a riaffiorare.<br />
Rivede il suo corpo prima lanciato nel vuoto, senza<br />
esitazione, poi cadere a peso morto sul tetto della vecchia<br />
casa, e sprofondare fra le tegole, il canniccio, e le<br />
poche travi marce - Lorenzo inghiotte la saliva con uno<br />
schiocco. Mentre attraversava il vuoto prima di precipitare<br />
sul tetto, il suo ultimo pensiero era stato <strong>per</strong> la<br />
121
madre. Come se la morte lo stesse restituendo all’ignoranza<br />
innocente dell’infanzia, a quell’innocenza che<br />
ora riconosce nel volto tirato e negli occhi <strong>per</strong>ennemente<br />
vuoti e assenti della madre. Eppure in quegli occhi<br />
lui aveva anche visto la rabbia con la quale lei se ne<br />
era andata, stringendo le mani a pugno lungo i fianchi -<br />
tanto che poi ci era voluto del tempo <strong>per</strong> riaprirle e ricomporle<br />
sul petto, e infilare il rosario fra l’una e l’altra<br />
mano. Una ricomposizione forzata: insensato voler dare<br />
a un corpo morto una falsa dignità. Lo aveva odiato<br />
quel lungo giorno del funerale in cui la madre era rimasta<br />
esposta prima sul letto grande, poi dentro la bara,<br />
adagiata su un carrello nel salotto.<br />
Con rabbia Lorenzo serra gli occhi, e con la stessa<br />
rabbia si sente ora vicino alla madre. E vicino a lei si era<br />
sentito in quel precipitare nel vuoto.<br />
Poi ricorda di aver <strong>per</strong>cepito appena un crack sordo:<br />
qualcosa che si rompeva. Per un attimo l’odore di muffa<br />
gli aveva irritato le narici, e aveva inghiottito un grumo<br />
amaro di saliva. Due occhi neri l’avevano fissato nei<br />
suoi - o così gli era sembrato prima di <strong>per</strong>dere i sensi - e<br />
una mano gelida e forte l’aveva scosso leggermente <strong>per</strong><br />
la spalla, come se dall’altra parte ci fosse qualcuno che<br />
l’attirasse nel buio.<br />
Il ricordo di quei momenti riaccende in Lorenzo la<br />
volontà di scappare via dall’ospedale. Ciò che ora deve<br />
122<br />
fare gli è finalmente chiaro: fuggire a ogni costo. Cerca<br />
di scoprirsi, ma il braccio destro è bloccato dalla fasciatura<br />
rigida che immobilizza la spalla, quello sinistro<br />
dalla flebo. Sente l’ago dentro la carne che gli addormenta<br />
il braccio e un nuovo, intenso dolore.<br />
La porta della camera viene a<strong>per</strong>ta con uno scatto appena<br />
<strong>per</strong>cettibile. Anna entra furtivamente. Lorenzo<br />
non la riconosce subito: è la prima volta che la vede col<br />
camice da infermiera.<br />
La sorella s’avvicina al letto mentre lui chiude gli occhi<br />
e si sforza di stare immobile, di non riaprire gli occhi<br />
<strong>per</strong> guardarla nei suoi. Anna rimane ferma in piedi<br />
accanto al letto, e osserva il viso smagrito del fratello.<br />
Poi si china su di lui, l’accarezza più volte sulle guance:<br />
Lorenzo s’abbandona al suo contatto caloroso e insolito,<br />
ora non si sente più indifeso. Quante volte l’ha vista<br />
accarezzare a quel modo il viso ebete della madre, forse<br />
<strong>per</strong> rassicurarla della loro vicinanza o nella s<strong>per</strong>anza<br />
che, da qualche parte nel buio profondo della sua mente,<br />
esplodesse ancora un attimo di coscienza, e un caro<br />
ricordo si ribellasse alla malattia e la riportasse tra loro.<br />
Invece non accadeva niente, e lui continuava a rifiutarsi<br />
di chiamarla ancora madre.<br />
Anna smette di accarezzarlo, e prima che possa ritrarre<br />
la mano, Lorenzo, con uno scatto, le afferra il<br />
polso, lo stringe con forza, incurante del dolore al braccio<br />
provocato dalla flebo. Si guardano negli occhi, in silenzio.<br />
123
– Anna, portami via.<br />
– Ma che dici?<br />
Lui stringe ancora di più la presa sul polso della sorella.<br />
– Portami via da qui. – Ripete, sollevando il tono della<br />
voce.<br />
– Mi fai paura, Lorè. – Anna contrae il viso in una<br />
smorfia di dolore. – Lasciami, mi stai facendo male.<br />
Lorenzo allenta la presa sino a mollarla, lasciando<br />
poi ricadere il braccio sul letto.<br />
– Perché mi chiedi di portarti via, Lorè? Ti rendi conto<br />
che sarebbe come scappare?<br />
– Non m’importa.<br />
– Non dire così. – Anna s’avvicina al fratello e gli riavvia<br />
i capelli scompigliati. – Cerca di riposare, piuttosto:<br />
è di questo che ora hai bisogno. Ci vediamo dopo, ora<br />
devo andare.<br />
– No, rimani, Anna.<br />
– Ritornerò più tardi. Ritornerò più tardi.<br />
124<br />
Neria abbassa il volume della radio sul tavolo e apre<br />
la finestra. Il cielo è terso: gli scrosci di pioggia dei giorni<br />
precedenti sono il ricordo di un autunno che pare<br />
ormai lontano. Tira solo una brezza che porta il profumo<br />
del mare, e lei sente il sapore del sale sulle labbra.<br />
Nel giardino di fronte, i rami del vecchio olivastro sono<br />
carichi di piccole olive violacee, mentre l’ibiscus accanto,<br />
alto e scheletrito, è sfiorito. Rimane alla finestra<br />
a godersi la limpidezza del cielo e il silenzio. Il traffico<br />
caotico del mattino è un ronzio distante, mentre in sottofondo,<br />
alla radio, un pianista pigola sulla tastiera<br />
un’allegretta sarabanda.<br />
Neria ha almeno due buone ragioni <strong>per</strong> essere entusiasta.<br />
L’indomani sarà il suo primo giorno di lavoro come<br />
assistente sociale nell’ospizio del Comune e, finalmente,<br />
ha anche realizzato uno dei suoi sogni: vivere da<br />
sola in un monolocale, e quello che ha trovato è l’ideale<br />
<strong>per</strong> lei. Si è trasferita da soli due giorni al piano rialzato<br />
di un palazzo signorile in via delle Rose, non lontano da<br />
via Romoli, con un ampio salone arredato con gusto<br />
moderno, d’ispirazione orientale, e un angolo cottura<br />
125
sapientemente attrezzato. È soddisfatta di tutto questo,<br />
ma non può dire di essere felice.<br />
Ha atteso il giorno prima di trasferirsi <strong>per</strong> dire a Celso<br />
che sarebbe andata via, e che non sarebbe potuta<br />
stare più con Manu - a giocare con lei, a portarla alla<br />
scuola, a disegnare insieme, a vagare mano nella mano<br />
in giro <strong>per</strong> la città - a Manu no, non ha avuto il coraggio<br />
di dirlo direttamente, ma la bambina doveva aver capito<br />
che qualcosa sarebbe cambiato, e l’ultima volta che<br />
l’aveva riportata a casa dalla scuola - il pomeriggio, prima<br />
di andare nella nuova casa - Manu l’aveva abbracciata<br />
stretta, lei le aveva accarezzato i capelli mentre le<br />
lacrime della bambina le bagnavano il collo. Poi era<br />
corsa tra le braccia di Celso che aveva cercato di consolarla<br />
a sua volta, e Neria era andata via con la morte in<br />
cuore, ma con la consapevolezza di non essere ancora<br />
pronta a condividere la vita con loro.<br />
In realtà, la decisione di Neria di cambiare casa era<br />
stata affrettata soprattutto dal comportamento di Anna,<br />
e lei poteva anche capirlo dopo quello che era successo<br />
a Pala Mortis. Ma la situazione tra loro due si era<br />
fatta sempre più insostenibile di giorno in giorno, e lei<br />
alla fine non riusciva più a vivere nella stessa casa con<br />
un’Anna che non riconosceva più.<br />
La mattina in cui Celso le aveva detto al telefono dell’omicidio<br />
di Giommaria Dore, era uscita di casa, aveva<br />
126<br />
fatto un po’ di spesa al centro commerciale poco distante,<br />
evitando di passare davanti alle edicole lungo la<br />
strada - una proprio di fronte all’ingresso di casa, dall’altra<br />
parte della strada, un’altra nella galleria del centro<br />
commerciale. Non riusciva a pensare ad altro, ma<br />
non tanto all’uccisione di Giommaria Dore quanto ad<br />
Anna e al fratello Lorenzo, e soprattutto alla loro madre.<br />
Era proprio come aveva detto a Celso: i Messa non<br />
avevano pace, passavano da una disgrazia all’altra, la<br />
malattia della madre, appunto, ora l’omicidio nel loro<br />
ovile. E prima ancora Bibi…<br />
Quando era ritornata a casa, Neria si era accorta di<br />
aver dimenticato le chiavi in casa, e aveva citofonato<br />
più volte senza ottenere risposta. Così era ricorsa al<br />
portiere, che l’aveva accompagnata su in ascensore e<br />
poi sino all’ingresso dell’appartamento.<br />
Appena entrata, aveva chiamato Anna ad alta voce,<br />
cercandola prima nel bagno, poi nella sua camera. La<br />
stanza era immersa nel buio, la finestra chiusa e la serranda<br />
abbassata, il letto sfatto e il pigiama afflosciato<br />
sul tappeto, alcuni indumenti erano buttati sulla scrivania<br />
e sulle sedie, l’armadio spalancato. Sul pannello<br />
di fondo del mobile aveva scorto una fotografia dall’aria<br />
familiare. Si era avvicinata. A stento aveva riconosciuto<br />
la madre di Anna. La donna aveva un viso ossuto<br />
e pallido, la pelle tirata sugli zigomi arrossati, e uno<br />
sguardo trasognato che cadeva come <strong>per</strong> caso dalle iridi<br />
celesti, sbarrate e assenti. I capelli neri erano tirati<br />
127
sulla fronte da un cerchietto rosa, che le dava un’aria<br />
vanitosa ed eterea.<br />
Infine era andata in cucina. Anna non era in casa.<br />
Sembrava che fosse andata via in tutta fretta: sul tavolo<br />
c’era una tazzina ancora piena di caffè ormai freddo,<br />
mentre sul fornello la caffettiera era ancora tiepida.<br />
Quella stessa mattina il telefono di casa aveva squillato<br />
in continuazione, ossessivamente, ma lei l’aveva lasciato<br />
squillare.<br />
Anna era ritornata circa un’ora dopo, entrando in casa<br />
come una furia dopo aver a<strong>per</strong>to il portone con tanta<br />
veemenza da sbatterlo contro il muro e mandare in<br />
frantumi il vetro di una stampa dozzinale della città.<br />
Poi era andata nella sua stanza mentre lei, seduta sul<br />
letto, tratteneva il respiro. Anna se ne era andata subito<br />
dopo. Neria l’aveva seguita con lo sguardo dalla finestra<br />
mentre saliva sulla macchina parcheggiata in doppia<br />
fila. Era partita precipitosamente, facendo stridere<br />
le gomme sull’asfalto.<br />
Neria richiude la finestra. Alle sue spalle il cellulare<br />
squilla accanto alla radio.<br />
128<br />
Nella casa dei Messa - immersa nel silenzio - si sentono<br />
soltanto i passi di Mondo che scende le scale dalla<br />
mansarda. Antonio Messa è nel garage: da quando ha<br />
visto Lorenzo gettarsi dalla finestra, rientra in casa soltanto<br />
<strong>per</strong> mangiare un boccone e riposare <strong>per</strong> le poche<br />
ore che l’età gli concede di dormire.<br />
Mondo arriva al pianerottolo del primo piano e si ferma<br />
sulla porta del soggiorno. Lancia un’occhiata dentro<br />
la stanza gelida. Anche lui - come Celso - ha notato<br />
l’ordine freddo e rigoroso che governa il soggiorno, e<br />
tutta la casa del resto, ma c’è anche un altro dettaglio<br />
che lo colpisce: né nel soggiorno né in nessun’altra<br />
stanza della casa c’è qualcosa che ricordi la moglie di<br />
Antonio Messa: una fotografia, un gioiello, un abito…<br />
Sì, anche gli abiti, anche i sacchi coi suoi vestiti che si<br />
trovavano nella stanza di Bibi sono stati portati via (e la<br />
camera ripulita e riordinata). Mondo ritorna sui suoi<br />
passi, scende le scale, attraversa il corridoio ed esce dalla<br />
casa.<br />
129
La porta della casa accanto a quella dei Messa è a<strong>per</strong>ta.<br />
Mondo la spinge ed entra. La casa è abbandonata da<br />
trentadue anni. Il conto è esatto <strong>per</strong>ché tanti ne sono<br />
passati dalla morte del vecchio Maganza che l’abitava.<br />
A Mondo sembra ancora di vederlo seduto sulla soglia<br />
sopra lo sgabello di ferula - che scompariva sotto la sua<br />
mole - intento a godersi il sole, le gambe larghe in mezzo<br />
alle quali poggiava l’inseparabile bastone di legno,<br />
nodoso e lucido. Era un uomo alto e corpulento, con<br />
una faccia cavallina, sempre impeccabilmente rasata.<br />
La rasatura quotidiana esaltava la luminosità del sorriso<br />
col quale salutava. Per il resto, era difficile sentirgli<br />
dire una parola, anche ai bambini come Mondo che, incuriositi,<br />
ogni tanto gli ronzavano intorno. Qualche<br />
volta Mondo si era divertito a seguirlo nelle sue passeggiate:<br />
gli stava dietro imitandone l’andatura incerta e<br />
zigzagante a causa del forte rachitismo delle gambe.<br />
Sembrava un vecchio cowboy che aveva trascorso tutta<br />
la vita a cavallo. La mattina in cui Maganza era morto,<br />
la nonna aveva portato Mondo a vederlo, tenendolo<br />
stretto <strong>per</strong> mano - lui aveva dieci anni ed era la prima<br />
<strong>per</strong>sona morta che vedeva. Era disteso sul letto nella<br />
camera di sopra - proprio dove Lorenzo Messa era caduto<br />
dopo essersi lanciato dalla finestra - la faccia del<br />
vecchio era livida, rico<strong>per</strong>ta dalla peluria bianca e ispida,<br />
sembrava arrabbiata, mentre la bocca a<strong>per</strong>ta mostrava<br />
i denti ingialliti: non sorrideva più il vecchio Maganza.<br />
L’aveva osservato col cuore in gola <strong>per</strong> un poco -<br />
130<br />
eppure quei dettagli gli sono rimasti fissi in mente - e<br />
appena la nonna aveva allentato la presa sulla sua mano,<br />
lui era scappato via, precipitandosi giù <strong>per</strong> le scale,<br />
e aveva corso a <strong>per</strong>difiato sino a casa.<br />
Ora Mondo sale quelle stesse scale sino al sottotetto.<br />
L’ambiente è illuminato dalla luce che penetra dal tetto<br />
sfondato. A differenza della camera di Bibi, qui nessuno<br />
ha ripulito il pavimento dai calcinacci, mentre il letto<br />
del vecchio Maganza è stato addossato alla parete di<br />
fondo.<br />
Di sotto, l’uscio sbatte - Mondo si volta di scatto, porta<br />
la mano al calcio della pistola - poi passi che attraversano<br />
la stanza e salgono le scale - Mondo tende l’orecchio:<br />
passi pesanti e lenti - aspetta, ma non arriva nessuno.<br />
Estrae l’arma dalla fondina ascellare e s’avvicina<br />
alla porta, appiattendosi contro la parete. Sbircia verso<br />
la scala: l’avvocato Serra sale l’ultimo gradino a fatica,<br />
poi si ferma sulla soglia, ansimando, ed entra nella stanza.<br />
Mondo si muove alle sue spalle.<br />
– Ah… sei qui, finalmente, – dice l’avvocato tra uno<br />
sbuffo e l’altro, voltandosi verso di lui. – Dopo tutte le<br />
scale che mi hai fatto fare! – l’avvocato riprende ancora<br />
fiato. – Antonio Messa mi ha detto che ti avrei trovato<br />
in casa sua, nella mansarda, oppure in questa catapecchia…<br />
Mondo ripone la pistola nella fondina mentre l’avvocato<br />
lo guarda serio:<br />
– Bel modo di accogliermi. Non ti sembra di esagera-<br />
131
e? O chi pensavi fossi? L’assassino di Giommaria Dore?<br />
– e scoppia in una risata strozzata.<br />
Mondo tace, assesta la fondina e richiude il giubbotto.<br />
– Brutta storia, Mondo, questa dell’omicidio di<br />
Giommaria. Brutta storia. – L’avvocato si rifà serio. –<br />
Ma hai letto cosa continuano a scrivere i giornali?<br />
– No, ma l’immagino, – risponde Mondo.<br />
– No, no. Non puoi immaginare quanto siano inverosimili<br />
le interpretazioni che danno dell’omicidio. Hanno<br />
scomodato <strong>per</strong>sino la psicanalisi, che può anche<br />
starci, ma arrivare al punto di tirare in ballo la co<strong>per</strong>ta<br />
di Linus, caro Mondo, <strong>per</strong> me è ridicolo.<br />
– La co<strong>per</strong>ta di Linus? E a proposito di che cosa?<br />
– La bambola, Mondo. La bambola.<br />
Mondo resta in silenzio, riflette, cerca di capire dove<br />
vuole arrivare l’avvocato.<br />
– Se chiedessero a me, saprei io cosa scrivere, – commenta<br />
l’avvocato Serra rompendo il silenzio.<br />
– E che cosa scriverebbe?<br />
L’avvocato lancia a Mondo un’occhiata seria, poi sorride<br />
- uno dei suoi soliti sorrisini allusivi - ma tace. Poi<br />
cammina <strong>per</strong> la stanza - agitando le braccia avanti e indietro<br />
come se stesse nuotando nell’aria - sino a fermarsi<br />
laddove il tetto è sfondato. L’osserva con attenzione<br />
girandoci intorno (i calcinacci scricchiolano sotto il<br />
suo peso) prima di domandare:<br />
– E Lorenzo Messa? Si è ripreso? Siete riusciti a par-<br />
132<br />
lare con lui? – e aggiunge senza aspettare che Mondo<br />
risponda alle sue domande (un pessimo vizio che irrita<br />
il vicecommissario): – Sai, potrei anche decidere di assumere<br />
io la difesa del ragazzo.<br />
– Bene, nel caso avrà pane <strong>per</strong> i suoi denti, avvocato –<br />
osserva Mondo, cercando di mascherare l’irritazione.<br />
– Ma tu non credi che sia stato lui, vero?<br />
– E se pure lo credessi? Non sarebbe né la prima né<br />
l’ultima volta che lei riuscirebbe a far mandare assolto<br />
un delinquente.<br />
– Io faccio solo il mio lavoro, Mondo.<br />
– Già, ma coi suoi metodi…<br />
– Sporchi? Dillo pure, ma non credere che i tuoi siano<br />
moralmente più elevati.<br />
– Se si riferisce a Giommaria Dore…<br />
– Oh, lasciamolo stare in pace quel povero cristo.<br />
– Però poteva evitare di dire certe cose al commissario<br />
Renzi, – l’apostrofa ora Mondo.<br />
– E cosa avrei dovuto tacere? Ah, ho capito. Non<br />
avrei dovuto dire che Giommaria era un vostro informatore.<br />
– Certo, non era importante. E soprattutto mi ha<br />
messo in cattiva luce con il commissario: si capiva benissimo<br />
che in realtà lei intendeva dire che Giommaria<br />
era un mio informatore, e il commissario si è imbestialito<br />
<strong>per</strong>ché non gliel’ho detto neanche dopo l’omicidio.<br />
Mi ha sollevato dalle indagini: “Coinvolgimento<br />
<strong>per</strong>sonale”. – Mondo fa il verso al commissario.<br />
133
L’avvocato Serra lo fissa ora con sguardo fermo e<br />
obliquo dall’alto della sua mole. Mondo si avvicina e<br />
quando si ferma davanti a lui, l’avvocato annuisce e gli<br />
sorride in faccia.<br />
– Era quello che lei voleva, – gli sussurra Mondo tra<br />
i denti.<br />
L’avvocato continua a sorridere e ad annuire.<br />
– Perché?<br />
Serra non risponde.<br />
– Perché, avvocato?<br />
– Per una vecchia storia, Mondo. La storia di una<br />
bambina e della sua bambola, di una bambina che ha<br />
il nome di una santa, ma oggi non è più una bambina.<br />
Una storia che tu conosci meglio di me.<br />
Mondo spalanca gli occhi in faccia all’avvocato, ma<br />
lo sguardo corre subito via, attraversa il buco nel tetto,<br />
e la luce ferisce gli occhi.<br />
– Bibi...<br />
– Dài retta a me, Mondo: stanne fuori da questa storia.<br />
Stanne fuori.<br />
134<br />
Neria spegne la radio e risponde al cellulare che continua<br />
a squillare insistente. È sua madre.<br />
– Ciao, mà.<br />
– Neria?<br />
– Sì, mà.<br />
– Neria, va tutto bene?<br />
– Sì, <strong>per</strong>ché?<br />
– No, è che non hai risposto subito e mi sono preoccupata.<br />
“Come al solito” pensa Neria.<br />
– Non è successo niente, mà. – La rassicura.<br />
– Così domani inizi a lavorare.<br />
– Sì, finalmente.<br />
– Sono contenta <strong>per</strong> te. Finalmente una buona notizia,<br />
– sospira, – dopo tutto quello che è successo.<br />
Neria aggrotta la fronte.<br />
– Ieri mattina è passato a casa Raimondo Cara. Voleva<br />
parlare con te, – dice la madre.<br />
– Chi? – domanda Neria <strong>per</strong>plessa.<br />
– Raimondo Cara, quello che fa il poliziotto.<br />
Neria ammutolisce.<br />
135
– Neria?<br />
– E che cosa voleva da me Raimondo Cara?<br />
– Non so. Ha solo detto che voleva farti qualche domanda.<br />
– E su che cosa? – chiede Neria con la voce che ora le<br />
trema.<br />
– Non me l’ha detto. Ma credo su Anna, su Lorenzo<br />
Messa… Qui non si può più vivere in pace, figlia mia.<br />
Con tutta la polizia che c’è in giro, sembra di essere ritornati<br />
al tempo della guerra, quando c’erano i tedeschi<br />
in paese.<br />
– E tu che gli hai detto a Raimondo Cara?<br />
– Beh, che non abiti più qui. Anzi, mi è sembrato strano<br />
che ti cercasse. Non è che mi stai nascondendo qualcosa?<br />
Neria rimane col cellulare in mano, fissandone il display<br />
che segna ancora il numero della madre. Sa<strong>per</strong>e<br />
che il vice commissario l’ha cercata la lascia confusa e<br />
agitata. Si guarda intorno, ha ancora un mucchio di cose<br />
da sistemare, così ripone il telefonino sul tavolo e<br />
prende una delle valige, adagiandola sul divano letto, e<br />
l’apre.<br />
Cerca di calmarsi mentre dalla valigia tira fuori camice<br />
e indumenti <strong>per</strong>sonali, disponendoli poi sul divano<br />
letto. Apre l’armadio e ritorna al divano, lanciando una<br />
occhiata nervosa verso l’ingresso. Vorrebbe che Celso<br />
136<br />
ora fosse lì con lei, e Manu a gironzolare <strong>per</strong> la casa, a<br />
farla sorridere con la sua curiosità, mentre stringe a sé<br />
la renna di peluche - <strong>per</strong>sino la renna di Manu le manca<br />
- e le parla, la coccola, la sgrida con affetto materno.<br />
Come faceva anche lei quando era bambina con una<br />
bambola piccola e cicciona, che piangeva se le toglievi<br />
il ciuccio di bocca. Come fa ogni bambino al mondo,<br />
come la bambina a cui apparteneva la bambola a pezzi<br />
sul cancello dell’ovile di Pala Mortis. Le vengono i brividi<br />
a ripensare alle immagini di quella bambola trasmesse<br />
alla tivù. E si chiede <strong>per</strong> quale ragione Celso<br />
non gliene avesse fatto cenno al telefono.<br />
* * *<br />
Celso sbircia il vecchio orologio a parete, sopra la<br />
porta, sollevando lo sguardo dai fogli che tiene in mano:<br />
mancano cinque minuti alle undici.<br />
Lascia cadere i fogli sulla scrivania e prende la cornetta<br />
del telefono.<br />
– Marini, può venire da me?<br />
L’ispettore Marini arriva dopo qualche minuto ed<br />
entra nell’ufficio, avanzando verso Celso con passo deciso.<br />
Indossa un abito gessato che gli cade a pennello<br />
lungo il metro e novantadue, asciutto e palestrato.<br />
– Commissario…<br />
– Nessuna notizia del vice commissario Cara? – chiede<br />
Celso.<br />
137
– Nessuna.<br />
– Possibile che nessuno l’abbia visto?<br />
– Credo che oggi non sia affatto venuto in commissariato.<br />
– Ma dove sarà finito? Ha anche il cellulare spento.<br />
– Ha provato a casa sua?<br />
– Già fatto. Il telefono squilla ma non risponde nessuno,<br />
se non la segreteria telefonica. – Celso tace, poi<br />
riprende: – Io vado al San Sebastiano, vediamo se riesco<br />
finalmente a parlare con Lorenzo Messa. – Si alza<br />
dalla scrivania e s’avvia verso la porta. – Dopo i referti<br />
del medico legale e della scientifica è più che mai importante<br />
parlare con lui. E con Mondo, – aggiunge<br />
mentre prende il cappotto dall’appendiabiti a muro.<br />
– Ci sono novità quindi, – commenta Marini.<br />
– Sì. Il risultato dell’autopsia e il referto della scientifica<br />
sulle armi sequestrate ai Messa sono arrivati stamattina.<br />
Sono sulla scrivania.<br />
Marini prende i fogli dalla scrivania, legge velocemente<br />
e poi commenta con voce nasale:<br />
– In pratica siamo punto e a capo, commissario.<br />
– Già. L’arma che ha ucciso Giommaria Dore non è<br />
nessuna di quelle sequestrate.<br />
– Infatti. Qui si dice che l’unico fucile che ha sparato<br />
è quello di Lorenzo Messa, ma non c’è corrispondenza<br />
tra le impronte balistiche.<br />
– Allora io vado. – Taglia corto Celso, dopo aver infilato<br />
il cappotto. – Intanto lei non si muova di qui, conti-<br />
138<br />
nui a chiamare il vice commissario Cara, e in caso di novità<br />
mi avverta subito. Intesi?<br />
– D’accordo, commissario.<br />
Sotto il cielo turchese di mezza mattina, la città è in fibrillazione.<br />
Colonne di auto ai semafori, autobus e<br />
pullman di linea che vanno e vengono <strong>per</strong> le corsie preferenziali,<br />
fermandosi lungo il viale <strong>per</strong> far scendere i<br />
passeggeri che, una volta a terra, <strong>per</strong> un attimo si guardano<br />
attorno, poi s’incamminano di fretta, dis<strong>per</strong>dendosi<br />
sotto la brezza che smuove lievemente l’aria e le foglie<br />
dei platani, ai bordi dei marciapiedi.<br />
“È la solita vita caotica di una città senz’anima, cresciuta<br />
troppo in fretta” pensa Celso.<br />
Il semaforo pedonale scatta al rosso. Celso si ferma,<br />
affondando le mani nelle tasche del cappotto. Sul<br />
marciapiede opposto una vecchia, avvolta in una<br />
sciarpa nera che le nasconde la bocca, lancia occhiate<br />
smarrite ora al semaforo ora alle auto che le sfrecciano<br />
davanti. Si ritrae di un passo, urtando con il carrellino<br />
della spesa l’anziano signore alle sue spalle, che<br />
non si scompone. Sopraggiunge un gruppo di ragazzi<br />
e ragazze che attraversano la strada quasi senza badare<br />
alle macchine. Uno dei ragazzi urta Celso, sollevando<br />
appena gli occhi in un lampo vuoto e indifferente,<br />
e prosegue oltre. Celso lo segue con lo sguardo mentre<br />
s’allontana con gli altri ragazzi, strascicando sul<br />
139
marciapiede i jeans che gli ricadono pesanti e ampi<br />
come uno scafandro.<br />
Il semaforo diventa verde. Nell’attraversare, la vecchia<br />
gli passa accanto, svelta svelta, lo sguardo basso,<br />
tirandosi dietro il carrellino cigolante. Celso ne avverte<br />
l’odore dolce e intenso di talco. Giunto dall’altra<br />
parte della strada si volta, scorgendola ancora <strong>per</strong> un<br />
attimo, poi s’incammina, soprappensiero, verso l’ospedale.<br />
Gli pare che l’odore del talco ristagni nell’aria, ma<br />
svanisce subito, come la vera vita che si nasconde dietro<br />
il caos della città.<br />
140<br />
La storia con Bibi era iniziata un anno prima che lei<br />
andasse via.<br />
Si erano conosciuti durante i festeggiamenti in onore<br />
di Santa Rita. Anni addietro, il nonno materno di Bibi<br />
aveva fatto erigere una chiesetta campestre intitolata<br />
alla santa, in uno dei suoi poderi su a monte Ile, con annesse<br />
alcune piccole case in pietra <strong>per</strong> accogliere i novenanti<br />
(neppure Bibi, <strong>per</strong>ò, aveva saputo poi spiegare<br />
a Mondo quale ragione avesse spinto il nonno a costruire<br />
la piccola chiesa e dedicarla proprio a santa Rita:<br />
forse un voto segreto oppure una devozione senile<br />
verso la santa).<br />
Quell’anno Mondo aveva accettato di far parte del<br />
comitato organizzatore dei festeggiamenti, e così - sin<br />
dal primo giorno della novena - aveva indossato il saio<br />
bianco medievale, con il cuore di Cristo coronato di<br />
rose ricamato sul petto, al centro, e un cappuccio alto<br />
con due fori all’altezza degli occhi, dai quali a malapena<br />
riusciva a vedere dove metter passo. Con altri cinque<br />
membri del priorato aveva condotto a spalla sino<br />
141
al santuario la portantina con la sgraziata statua lignea<br />
di Santa Rita che durante il resto dell’anno veniva custodita<br />
nella chiesa parrocchiale. La statua in spalla,<br />
avevano a<strong>per</strong>to la processione in un primo pomeriggio<br />
assolato di maggio (era il quattordici del mese) in cui<br />
tutto il paese si era fermato, e con passo solenne l’avevano<br />
guidata <strong>per</strong> le vie principali di Elisùa, <strong>per</strong> risalire<br />
poi lungo la strada tortuosa verso il monte Ile. Vigne e<br />
oliveti avevano ceduto via via il passo ai boschi di lecci,<br />
tra preghiere e litanie, canti e invocazioni alla santa da<br />
Cascia, e volute di incenso che il parroco spandeva col<br />
turibolo a ogni sosta, dinnanzi alle croci sistemate ai<br />
bordi della carreggiata lungo il <strong>per</strong>corso. Un coro contrito<br />
e devoto aveva scandito l’incedere della processione,<br />
ma una voce risaltava: limpida e sicura, intonava<br />
i canti, li conduceva con maestria un’ottava sulle altre,<br />
<strong>per</strong> sfumare infine in delicate armonie che vibravano a<br />
lungo nell’aria, e svanivano poi verso il cielo come nuvole<br />
d’incenso - o così immaginava Mondo nell’ascoltarla,<br />
e a ogni canto avrebbe voluto fermarsi e voltarsi,<br />
avrebbe <strong>per</strong>sino abbandonato il suo posto alla portantina<br />
<strong>per</strong> scoprire quale <strong>per</strong>sona tra la folla cantasse con<br />
una voce simile. A ogni sosta, i sei confratelli facevano<br />
mezzo giro su se stessi in modo tale che la statua della<br />
santa fronteggiasse la croce, mentre i fedeli si disponevano<br />
di lato. Allora Mondo, fremente, cercava di sbirciare<br />
attraverso i fori del cappuccio che gli impedivano<br />
la visuale di lato, spingeva le pupille sino all’angolo<br />
142<br />
estremo degli occhi, sforzandosi di portare lo sguardo<br />
oltre le prime indistinte figure e, nello stesso tempo, di<br />
conservare la compostezza che il suo ruolo gli imponeva.<br />
Ogni tentativo era stato inutile, e gli occhi avevano<br />
finito <strong>per</strong> fargli male, ma proprio alla forza e dolcezza<br />
di quella voce - più che al desiderio di capire a chi appartenesse<br />
- si era infine aggrappato <strong>per</strong> su<strong>per</strong>are la fatica<br />
dei nove chilometri che la processione aveva <strong>per</strong>corso<br />
sino al santuario sul monte.<br />
La chiesetta campestre - ben visibile dalla strada - era<br />
stata costruita su un altopiano erboso, a ridosso di un<br />
grande leccio, i cui i rami si protendevano sino a sfiorarne<br />
il tetto. Era un edificio semplice, in pietra, con le<br />
pareti esterne calcinate e un portale di legno gonfio e<br />
annerito. L’interno era spoglio: tre file di banchi di<br />
fronte all’altare di pietra, e alcune teche appese alle pareti<br />
laterali, dove erano conservati gli ex voto. L’ambiente<br />
era troppo ristretto <strong>per</strong> contenere tutta la folla<br />
che aveva accompagnato la statua della santa in processione,<br />
così i più si accalcavano all’ingresso mentre Mondo<br />
e gli altri confratelli portavano la statua dentro la<br />
chiesa, preceduti dal prete che seguitava a spargere incenso<br />
e a declamare preghiere con voce solenne. Aveva<br />
smesso nel momento in cui la statua veniva deposta ai<br />
piedi dell’altare: l’intera chiesa era caduta in un silenzio<br />
di attesa.<br />
143
Con un’energia e un calore che sarebbero potuti venire<br />
dal cielo, una voce si era levata all’improvviso, e<br />
Mondo - ancora ritto, immobile come un guardiano accanto<br />
alla statua - l’aveva vista, finalmente: la ragazza in<br />
piedi al primo banco, con un velo bianco di pizzo adagiato<br />
sui lunghi capelli neri e i lembi che le ricadevano<br />
lungo il viso sino alle spalle. Cantava senza apparente<br />
sforzo, mentre fissava la santa coi suoi occhi azzurri,<br />
fermi e algidi - o così li vide Mondo - ma sembrava che<br />
potesse librarsi in aria come un angelo, e volare via. Allora<br />
Bibi era un angelo agli occhi di Mondo.<br />
Durante i restanti giorni della novena, Mondo aveva<br />
cercato di stare vicino a Bibi il più possibile: la seguiva<br />
quando lei andava a riordinare la chiesetta, l’aspettava<br />
silenzioso mentre riassettava con cura i fiori nei vasi, ai<br />
piedi della statua, l’aiutava a distribuire i pasti ai pellegrini<br />
che arrivavano al santuario. E lei lo incoraggiava,<br />
gli raccontava del nonno grande uomo, del suo difficile<br />
rapporto con il padre e della gioia che invece le dava<br />
l’intima complicità col fratello Lorenzo; confessava i<br />
suoi piccoli sogni con euforia, come se si dovessero avverare<br />
nel momento stesso in cui ne parlava. Lui l’ascoltava<br />
in silenzio, senza mai interrom<strong>per</strong>la, trasportato<br />
dalla sua voce cadenzata che pareva dovesse ancora<br />
esplodere nel canto, da un momento all’altro. E quando,<br />
il sesto giorno della festa, si erano ritrovati soli sotto<br />
144<br />
al grande leccio - al termine della funzione pomeridiana<br />
- le aveva detto che non avrebbe mai immaginato che lei<br />
avesse una voce così bella, né che fosse così devota a<br />
santa Rita, Bibi si era fatta seria e - guardandolo negli<br />
occhi sino a intimorirlo - gli aveva confessato che non<br />
cantava né <strong>per</strong> devozione né <strong>per</strong> onorare la tradizione<br />
di famiglia. Era soltanto un modo <strong>per</strong> essere una volta<br />
tanto al centro di quel piccolo mondo dal quale, prima<br />
o poi, sarebbe fuggita via. E l’aveva detto con una cupa<br />
consapevolezza che aveva scosso Mondo, <strong>per</strong> scoppiare<br />
subito dopo in una risata alta, infantile.<br />
Ma Bibi era così, con i suoi slanci e le sue contraddizioni,<br />
che non nascondeva, ma che in realtà celavano<br />
inquietudine. Mondo l’avrebbe capito presto.<br />
145
Maura, la tirocinante, è seduta nella stanza riservata<br />
alle infermiere nel reparto geriatrico. Rivolge le spalle<br />
alla porta.<br />
– Maura, – la chiama Anna mentre entra nella stanza.<br />
La ragazza non si volta.<br />
– Maura, – la richiama Anna avvicinandosi a lei.<br />
Maura solleva il viso verso Anna. Ha gli occhi lucidi.<br />
– Anna… – balbetta lei.<br />
– Maura, cos’è successo?<br />
– La vecchia al numero sei…<br />
– Sì?<br />
– È morta, Anna. È morta.<br />
Anna avanza sino al tavolo di fronte a Maura, sente<br />
che ha bisogno di appoggiarsi. Maura respira a fondo,<br />
trattenendo l’emozione: – È sopraggiunta una crisi cardiaca,<br />
– spiega, – il suo cuore vecchio ha ceduto… Stamattina,<br />
quando sono entrata da lei, aveva già <strong>per</strong>so conoscenza<br />
e respirava a fatica. Ho chiamato il dottor<br />
Bruni e lui… lui ha capito subito che qualsiasi intervento<br />
sarebbe stato inutile… Respirava sempre più af-<br />
147
fannosamente, a bocca a<strong>per</strong>ta, e io la guardavo impotente<br />
mentre lei boccheggiava, cacciava fuori l’aria a<br />
rantoli, i respiri sempre più corti le si fermavano in gola…<br />
Ha agonizzato <strong>per</strong> un’ora, il respiro si è spento<br />
lentamente, e di colpo prima le mani poi la faccia sono<br />
diventate livide. Non ho mai visto morire una <strong>per</strong>sona<br />
in quel modo…<br />
Nella stanza numero sei una donna è seduta sul bordo<br />
del letto. Con una mano stringe quella della vecchia<br />
e con l’altra le accarezza il viso. Alle sue spalle, ai piedi<br />
del letto, altri parenti stanno in silenzio.<br />
La donna si alza e ricompone le mani della vecchia<br />
sul petto, poi si allontana, lanciando una triste occhiata<br />
ad Anna, ferma sulla soglia. Una bambina le va incontro<br />
e l’abbraccia, mentre Anna entra.<br />
Sul comodino accanto al letto c’è il rosario della vecchia.<br />
Anna lo prende, guarda la vecchia e intreccia il rosario<br />
tra le sue mani.<br />
Lorenzo fissa la soluzione che dal flacone scende lenta<br />
lungo il tubicino. Da quando Anna è andata via non<br />
ha fatto che guardare il flacone svuotarsi lentamente<br />
come una clessidra, e il tempo è passato senza che lui<br />
potesse fare niente <strong>per</strong> scappare via. Ma riproverà a<br />
convincere Anna ad aiutarlo a fuggire.<br />
148<br />
Il torpore provocato dai medicinali si è sciolto in una<br />
tensione inquieta. Per un attimo, nel silenzio della stanza,<br />
aveva provato un senso di liberazione al pensiero<br />
che Giommaria Dore era morto - l’aveva rivisto impiccato<br />
al cancello come aveva sognato se stesso su una<br />
forca, con quel cartello appeso al collo che l’accusava -<br />
e non aveva creduto di esser stato lui ad ammazzarlo,<br />
né che l’odio, portato dentro <strong>per</strong> tanto tempo, fosse<br />
esploso in quel modo così lucido, incontenibile. Ma<br />
quella sensazione di liberazione interiore era svanita<br />
subito.<br />
Manca poco e la soluzione nel flacone finirà. Lorenzo<br />
volge lo sguardo verso la porta: Anna ancora non ritorna.<br />
E chiude gli occhi ripensando alle parole del padre:<br />
“Bibi non è mia figlia.”<br />
Quando Anna apre la porta della stanza, ha ancora<br />
negli occhi l’immagine della vecchia morta al numero<br />
sei. Chiude la porta e s’avvicina al letto di Lorenzo, cercando<br />
di non far rumore: lui sembra addormentato, e<br />
lei ha paura che le chieda ancora di portarlo via.<br />
Anna si ferma accanto al letto e aspetta che il flacone<br />
si svuoti del tutto prima di sostituirlo. Appena la soluzione<br />
finisce, toglie il flacone vuoto e s’appresta a sistemarne<br />
uno nuovo. Lorenzo apre gli occhi e la osserva.<br />
Vorrebbe chiederle di portarlo via con lei, di aiutarlo a<br />
nascondersi nella vecchia casa di montagna del nonno -<br />
149
un buon rifugio - ma lo sguardo triste di Anna lo fa desistere.<br />
– Anna… – la chiama con un sussurro.<br />
Lei trasale, e lo guarda.<br />
– Sei triste… – le dice.<br />
– Non è niente, Lorè.<br />
Ma lui continua a fissarla. Anna ha gli occhi lucidi e<br />
arrossati.<br />
– Hai pianto… – insiste Lorenzo.<br />
Anna appende il flacone pieno, poi s’accerta che la<br />
soluzione fluisca bene. Sospira e respira a fondo, come<br />
a prendere coraggio.<br />
– Mentre prima ero qui, una vecchia paziente nel mio<br />
reparto è morta. L’ho vista poco fa: sembrava mamma.<br />
– Anna si ferma. Distoglie lo sguardo dal fratello, e riprende:<br />
– Era come lei: non riconosceva più nessuno,<br />
né la figlia né i nipoti. Non sapeva più chi era, come si<br />
chiamava, dov’era nata, quanti anni aveva. Niente. Ed<br />
è morta come lei: come una bambina indifesa. È passato<br />
quasi un anno dalla morte di mamma, ma io non riesco<br />
a rassegnarmi. A volte vorrei che fosse ancora viva, a<br />
soffrire come soffriva ma viva.<br />
– Nostra madre era morta molto tempo prima, Anna.<br />
– È vero. Lo credo anch’io.<br />
– In fondo, Bibi era sua figlia, – dice Lorenzo con una<br />
smorfia di rabbia in viso.<br />
Anna gli rivolge uno sguardo sorpreso e intimorito.<br />
– Cosa vuoi dire?<br />
150<br />
– Chiedilo a nostro padre. L’ho sentito mentre ero<br />
nella camera di Bibi, l’ultima volta che ci sono stato.<br />
“Bibi non è mia figlia” ha detto.<br />
Anna sfugge ora lo sguardo del fratello, s’avvicina e si<br />
lascia andare a sedere sul bordo del letto.<br />
– Anna, tu lo sapevi che Bibi non era nostra sorella.<br />
Lo sapevi, e me l’hai tenuto nascosto.<br />
– No, non è così. – Anna tace ora. Si volta verso Lorenzo<br />
quando riprende: – Mamma me l’aveva detto ma<br />
io non le ho creduto. Era il giorno del compleanno di<br />
Bibi - quella domenica avrebbe compiuto trent’anni -<br />
lei si era ammalata da poco. Eravamo da sole in casa io e<br />
mamma, e lei, all’improvviso, aveva iniziato a chiedere<br />
ossessivamente di Bibi. “La mia bambina” la chiamava.<br />
E quando le ho detto che anch’io ero sua figlia, mi ha<br />
preso le mani nelle sue e mi ha raccontato che prima di<br />
sposarsi aveva conosciuto Aldo, un giovane di fuori che<br />
era venuto a lavorare nel petrolchimico, giù nella piana.<br />
Si erano innamorati e avrebbero voluto sposarsi, ma<br />
nonno non era d’accordo. Poi lei era rimasta incinta, era<br />
felice di esserlo <strong>per</strong>ché così nonno avrebbe acconsentito<br />
al loro matrimonio, ma Aldo, dopo averlo saputo,<br />
non si era fatto più vedere: era ritornato nella sua città,<br />
in continente. Così, prima che la bambina nascesse,<br />
nonno aveva combinato il matrimonio con un altro uomo,<br />
un uomo che lei non amava… No, Lorè, io non ho<br />
mai creduto che quella storia fosse vera: pensavo fosse<br />
frutto della malattia di nostra madre, mi devi credere.<br />
151
Lorenzo si agita nel letto, facendo traballare l’asta<br />
che sostiene il flacone. Anna si alza in piedi e l’aiuta a sistemarsi,<br />
riassettandogli il cuscino sotto la testa.<br />
– Da quanto tempo sono qui? – chiede Lorenzo.<br />
– Quattordici giorni.<br />
– Non ne posso più.<br />
Lei rimane in silenzio, accanto al letto, le mani strette<br />
a pugno nelle tasche del camice.<br />
– Non puoi muoverti, Lorè. Hai avuto un trauma cranico,<br />
non è grave ma sei ancora sotto osservazione. E la<br />
spalla? Ti fa male la spalla?<br />
Lorenzo guarda fisso nel vuoto davanti a sé.<br />
– Dovrai tenerla immobilizzata <strong>per</strong> quaranta giorni.<br />
– Quaranta giorni… – ripete Lorenzo con un filo di<br />
voce. Continua a fissare nel vuoto.<br />
– Perché, <strong>per</strong>ché ti sei buttato giù dalla finestra di Bibi?<br />
– Bibi non era sua figlia, – sussurra. Anna non può<br />
sentirlo.<br />
152<br />
Mondo esce dalla casa del vecchio Maganza, e getta<br />
uno sguardo mesto all’interno della stanza prima di richiudere<br />
la porta dietro di sé. Non piove, ma si è già levato<br />
un vento leggero che odora di terra umida. Solleva<br />
gli occhi al cielo - nuvole si radunano all’orizzonte, silenziose,<br />
da ogni angolo del cielo - poi abbassa lo sguardo:<br />
si <strong>per</strong>de nell’atmosfera inanimata e silenziosa della<br />
via, appena sfiorata dalla luce del sole, che ora illumina<br />
solo i tetti delle case.<br />
L’orologio sul campanile del Carmelo batte undici<br />
colpi lunghi e tre brevi: ore e quarti che scuotono l’aria<br />
mossa dal vento con la precisione di un meccanismo<br />
universale. Mondo prende dalla tasca il cellulare spento,<br />
lo fissa un attimo, poi l’accende. I trilli che avvisano<br />
delle chiamate ricevute e non risposte si susseguono:<br />
Celso l’ha chiamato parecchie volte, con insistenza, ora<br />
dal telefono del commissariato ora dal suo telefonino.<br />
Ma lui spegne nuovamente il cellulare, premendo con<br />
forza rabbiosa sul tasto rosso, e s’incammina verso l’auto<br />
parcheggiata nel vicolo San Martino.<br />
Al solito, la serranda del garage dei Messa è a<strong>per</strong>ta.<br />
153
Mondo esita, poi s’avvicina e sporge la testa all’interno<br />
del garage. Antonio Messa è seduto sul piccolo sgabello,<br />
con una mano impugna il coltello, con l’altra passa e<br />
ripassa lo smeriglio sulla lama: prima sopra poi sotto,<br />
da una parte e dall’altra, movimenti lenti, concentrati,<br />
la testa - ciondoloni - asseconda l’andamento della mano,<br />
mentre l’acciaio stride appena a ogni passaggio della<br />
pietra. Il vecchio non solleva lo sguardo.<br />
Antonio Messa ora esita un poco, blocca la mano con<br />
lo smeriglio a mezz’aria, mentre con l’altra ripulisce la<br />
lama sui pantaloni. Poi drizza la schiena e leva il coltello<br />
in controluce, all’altezza degli occhi che brillano da<br />
sotto la visiera. Scruta la lama, girandola e rigirandola<br />
da una parte e dall’altra.<br />
Il vecchio abbassa lentamente la mano - un gesto<br />
che a Mondo pare stanco - preme entrambe le mani a<br />
pugno contro le ginocchia a far leva, e si issa in piedi.<br />
Mondo incontra il suo sguardo, accenna un saluto con<br />
la mano, che il vecchio ricambia sgranando con sforzo<br />
gli occhi verso di lui, mentre morde il mozzicone del<br />
sigaro tra i denti; le folte sopracciglia s’inarcano in<br />
un’espressione di sorpresa che sembra sgorgare dalle<br />
rughe che solcano la fronte, profonde e scure come<br />
zolle di terra, ma poi scompare repentinamente. E negli<br />
occhi del vecchio ritorna il freddo distacco di sempre.<br />
Un lampo che allontana Mondo e l’intimorisce: lo<br />
stesso sguardo fisso e gelido di Bibi mentre cantava<br />
nel santuario, in piedi, di fronte alla statua di Santa Ri-<br />
154<br />
ta, lo stesso con il quale lei l’allontanava da sé, mentre<br />
diceva - e ripeteva - che la loro storia doveva rimanere<br />
nascosta.<br />
La prima volta che l’aveva baciata, a Mondo era rimasta<br />
una sensazione di amarezza, come se avesse <strong>per</strong>cepito<br />
che la storia con Bibi sarebbe finita. L’aveva riaccompagnata<br />
a casa una serata calda di giugno - un mese<br />
dopo la novena di Santa Rita - lui aveva parcheggiato<br />
nella via sopra casa di Bibi, ed erano rimasti in macchina<br />
ancora <strong>per</strong> un po’. E mentre parlavano, in uno slancio<br />
improvviso lei si era voltata verso di lui e l’aveva baciato.<br />
In un primo momento era rimasto attonito dalla<br />
sua irruenza, tanto che non aveva ricambiato il bacio, e<br />
Bibi aveva allontanato le labbra dalla sue con un’espressione<br />
di disappunto, come se si fosse pentita del<br />
gesto. Solo dopo un breve, imbarazzato silenzio si erano<br />
guardati negli occhi, e, finalmente, si erano baciati.<br />
Un bacio breve, leggero, un timido sfiorare di labbra<br />
che era durato meno di quanto lui aveva desiderato.<br />
Subito dopo lei aveva a<strong>per</strong>to la portiera ed era andata<br />
via senza dire una parola.<br />
Antonio Messa dà ora le spalle a Mondo. Ha riposto<br />
la pietra nella tasca della giacca sformata, e adesso rovista<br />
tra le radici accatastate contro la parete. Ne sceglie<br />
155
una con cura, mentre Mondo s’allontana verso la macchina.<br />
Apre la portiera, ma indugia, lancia un’occhiata<br />
verso il fondo del vicolo cieco, poi richiude la portiera e<br />
ritorna sui suoi passi.<br />
156<br />
Mentre cammina lungo viale Italia, Celso ripensa alla<br />
vecchia che ha incontrato poco prima: gli riporta in<br />
mente la madre, l’unica volta che era andata a trovarlo<br />
in città. Avevano passeggiato lungo quello stesso viale<br />
nelle mattine ancora estive di un settembre ormai lontano,<br />
lei che camminava svelta, smarrita nell’atmosfera<br />
caotica alla quale, diceva, non si sarebbe mai potuta<br />
abituare; non capiva come facesse lui a vivere in un posto<br />
così opprimente, con tutto quel caldo e l’odore insopportabile<br />
del mare.<br />
Ci erano stati, al mare. Si erano fermati ad un passo<br />
dalla spiaggia, in silenzio. Il fragore della mareggiata<br />
che quella mattina s’abbatteva sulla spiaggia, schiaffeggiava<br />
l’aria con violenza. Le onde avanzavano una sull’altra<br />
senza sosta, scavando la sabbia. Pazientemente,<br />
trasformavano la spiaggia in una duna lunga e scura. E<br />
quando ritornavano su se stesse, adagiandosi sul bagnasciuga,<br />
il profumo di salsedine si faceva più intenso.<br />
Sembrava di stare in mezzo al mare, dove l’acqua è più<br />
fonda e il silenzio attenua i ricordi, senza allontanarli.<br />
157
La madre l’aveva appena guardato, il mare, rabbuiandosi<br />
in volto, e in un attimo aveva voltato le spalle<br />
ed era andata via. Le faceva paura, a lei che non l’aveva<br />
mai visto in tutta la sua vita.<br />
Ha ragione Neria, pensa ora Celso: solo chi è nato su<br />
un’isola ha l’anima del mare.<br />
Alla madre sarebbe piaciuta, Neria. Con lei e con<br />
Manu sarebbe ritornato a camminare lungo la spiaggia,<br />
a sedersi insieme sul bagnasciuga, senza più paura di<br />
vivere l’amore nascosto dietro l’inutile violenza che li<br />
circondava.<br />
In vista dell’ospedale San Sebastiano, Celso accelera<br />
il passo. Il complesso dell’ospedale si articola in una serie<br />
di corpi disposti a elle, razionali e squallidi come un<br />
prefabbricato popolare.<br />
Nel seminterrato di uno di quegli edifici Celso aveva<br />
accarezzato il viso di Lorena <strong>per</strong> l’ultima volta, prima<br />
che il medico legale procedesse nel suo lavoro minuzioso;<br />
con quelle stesse mani che avevano poi eseguito<br />
l’autopsia sul cadavere di Giommaria Dore, alla ricerca<br />
di indizi <strong>per</strong> una <strong>verità</strong> ancora lontana.<br />
Il referto della dottoressa Carta ha aggiunto solo un<br />
dettaglio sull’uccisione di Giommaria Dore: non era<br />
vivo quando era stato impiccato all’inferriata del cancello.<br />
Mondo aveva interpretato bene quella macabra<br />
impiccagione: un oltraggio al cadavere, ma nulla anco-<br />
158<br />
ra sul significato della bambola a pezzi sul cancello.<br />
“Dovrei parlare di nuovo con l’avvocato Serra,” pensa<br />
Celso, “ma da solo, senza Mondo.”<br />
Celso prende il cellulare dalla tasca del cappotto e<br />
chiama Mondo. Il telefonino del vice commissario<br />
squilla, ma lui non risponde. Lo lascia squillare sino a<br />
quando cade la linea, poi lo ricaccia nella tasca - Accidenti<br />
a Mondo - mentre s’avvicina all’ingresso dell’ospedale.<br />
L’agente di piantone alla camera in cui è ricoverato<br />
Lorenzo Messa scatta in un saluto marziale alla vista di<br />
Celso, che lo ricambia con un cenno della mano.<br />
– Niente di nuovo? – chiede Celso all’agente.<br />
– No, signor commissario, – risponde il giovane agente.<br />
Ha un’aria stanca e innocua, come lo sguardo che<br />
traspare dalle iridi di un verde così slavato che paiono<br />
cristalli. – Dentro c’è l’infermiera, – prosegue il giovane,<br />
– non lo lascia quasi mai da solo.<br />
Celso apre la porta della stanza e s’affaccia all’interno.<br />
Anna, ancora in piedi accanto al letto, si gira verso<br />
la porta. Il cuore le balza in gola alla vista del commissario,<br />
ma cerca di camuffare la tensione mettendosi<br />
a riassettare il letto. Tira il lenzuolo fin sotto il mento<br />
di Lorenzo - che ha già chiuso gli occhi - e lo guarda,<br />
incerta sul da fare, mentre Celso entra nella stanza.<br />
159
– Buongiorno, Anna, – la saluta.<br />
Anna si volta.<br />
– Buongiorno, commissario Renzi.<br />
I loro sguardi s’incontrano.<br />
– Non si è ancora risvegliato? – le chiede, con un tono<br />
che a lei sembra freddo, tagliente.<br />
Anna esita, ora evita lo sguardo del commissario e si<br />
volta indietro, verso Lorenzo. Scuote la testa e poi risponde:<br />
– No. Non si è ancora risvegliato.<br />
Celso continua a guardarla. Anna ha un’espressione<br />
sofferta - sul viso ovale risaltano il taglio vagamente<br />
orientale degli occhi e lo scavo delle guance pallide.<br />
Celso si chiede se anche Bibi ha un volto così delicato<br />
e gli occhi dello stesso taglio.<br />
– Commissario, – Anna sospira, prende coraggio, –<br />
Lorenzo è accusato di qualcosa?<br />
Ora è Celso che esita. Gli ritornano in mente le parole<br />
di Neria: “Non c’è proprio pace <strong>per</strong> i Messa”.<br />
– Per il momento no, – risponde con una certa riluttanza<br />
ad ammettere che Lorenzo non può essere accusato<br />
di nulla. – Mi creda, Anna, so quanto avete sofferto<br />
<strong>per</strong> vostra madre, e prima ancora <strong>per</strong> vostra sorella,<br />
ma vorrei che questa storia venisse chiusa il più in fretta<br />
possibile. E Lorenzo potrebbe aiutarci.<br />
Anna lo guarda con sospetto, ora.<br />
– Potrebbe aiutarci a scoprire la <strong>verità</strong>.<br />
– E anche lei, Anna. Potrebbe aiutarmi a capire <strong>per</strong>-<br />
160<br />
ché Lorenzo si è gettato dalla finestra. E <strong>per</strong> quale ragione<br />
Bibi è andata via e non è più ritornata.<br />
– Non lo so, commissario. Non lo so.<br />
161
Il maestrale va rinforzando, sospinge folate d’aria<br />
fredda sulla faccia di Mondo. Ha risalito senza fretta la<br />
via di casa Messa - quando è passato davanti alla casa,<br />
s’è fermato e ha scostato il portone socchiuso, ma non è<br />
entrato. Ha tirato a sé il portone e ha ripreso la strada,<br />
senza una meta precisa, e solo quando è arrivato in fondo<br />
alla via, si è voltato levando lo sguardo verso le finestre<br />
chiuse della stanza di Bibi: ha fatto resistenza a se<br />
stesso <strong>per</strong> non ritornare indietro. In quella resistenza<br />
interiore ha capito che qualcosa sta rovinando dentro<br />
di lui e ora cerca affannosamente di allontanare i pensieri<br />
che l’imprigionano, e già lo torturano: - No, no -<br />
non è così che avrebbe voluto che andasse, e riprende a<br />
camminare, con le gambe pesanti, i pugni che affondano<br />
nelle tasche.<br />
Non avrebbe voluto che finisse così con Bibi. Aveva<br />
continuato a ripeterselo - incredulo - mentre camminava<br />
<strong>per</strong> le vie assolate del centro di Roma, con le gambe<br />
pesanti, i pugni stretti dentro le tasche. Confuso tra i<br />
163
turisti che a gruppi affluivano da ogni angolo della città<br />
lungo via dei Fori Im<strong>per</strong>iali, verso il Colosseo, si era<br />
sentito protetto dal loro vociare vivace e gioioso, dalla<br />
contagiosa spensieratezza che dava loro l’essere in vacanza<br />
in una città sconosciuta - come se ciò bastasse a<br />
renderla il posto più bello del mondo - <strong>per</strong>sino dall’avidità<br />
con la quale andavano fotografando ogni rovina,<br />
ogni angolo di strada, e dall’eccitazione con la quale si<br />
fotografavano l’un l’altro sotto colonne, archi, monumenti,<br />
o accanto a improvvisati gladiatori. Per un momento<br />
si era <strong>per</strong>sino sentito parte di tutta quella vitalità<br />
inconsueta, mascherando la sensazione di amara impotenza<br />
che l’imprigionava.<br />
Ma nulla poteva difenderlo dalla <strong>verità</strong> che pure cercava<br />
di ignorare. E più ci pensava, più si andava convincendo<br />
che Bibi avesse sempre cercato di farglielo<br />
capire: quel che lui chiamava amore, <strong>per</strong> lei era un sentimento<br />
diverso, leggero, labile, destinato a finire. E se<br />
ne era talmente convinto che - ad un certo punto - si era<br />
addirittura sentito in colpa <strong>per</strong> averla amata. E amaramente<br />
aveva riso di se stesso. Come avrebbe fatto lei.<br />
Era andato a Roma un fine settimana, l’ultimo di maggio.<br />
Aveva organizzato il viaggio dal mese prima, <strong>per</strong><br />
sorprenderla: la loro prima vacanza insieme… Ma non<br />
c’era stato modo di convincerla, al contrario, e quando<br />
- una settimana prima della partenza - le aveva mostrato<br />
i biglietti della nave e la prenotazione dell’albergo,<br />
lei si era limitata a guardarlo negli occhi con un insolito<br />
164<br />
sguardo agitato, nervoso: – Che cosa ti sei messo in testa,<br />
Mondo? – gli aveva chiesto. Una domanda che allora<br />
non aveva capito.<br />
Nei giorni seguenti lei era diventata sempre più silenziosa<br />
e distaccata, lo trattava con un’indifferenza calma<br />
e gelida - come se stesse aspettando che lui capisse il<br />
senso di quella sua domanda - e Mondo - che non voleva<br />
capire - avvertiva su di sé la freddezza degli sguardi<br />
che gli toglievano il respiro, dei saluti frettolosi, dei<br />
lunghi, crudeli silenzi che lo torturavano, e facevano<br />
nascere in lui domande alle quali trovava una sola risposta.<br />
E allora si affannava ad allontanarla con tutto se<br />
stesso.<br />
Aveva acquistato due cartoline al chiosco di fronte al<br />
Colosseo - e chissà <strong>per</strong> quale ragione aveva poi scelto la<br />
veduta notturna di Piazza di Spagna - una da spedire a<br />
Bibi, l’altra l’avrebbe tenuta <strong>per</strong> sé.<br />
Poi si era lasciato alle spalle il Colosseo - col carosello<br />
di turisti in fila sotto il sole cocente del primo pomeriggio,<br />
o che s’accalcavano attorno a soldati romani e gladiatori<br />
<strong>per</strong> farsi fotografare insieme a loro - ed era risalito<br />
sino al colle Oppio. L’odore dell’erba nei prati era<br />
intenso. Ragazzi - già con le magliette a maniche corte -<br />
stavano distesi sui prati a leggere, altri - la testa abbandonata<br />
su borse o felpe arrotolate - esponevano al sole i<br />
visi già arrossati; sulle panchine, giovani coppie amo-<br />
165
eggiavano chi baciandosi con noncuranza, chi parlottando<br />
e ridacchiando con una complicità che escludeva<br />
il resto del mondo. E anche a lui. Così aveva voltato<br />
le spalle ai prati, ed era rimasto a lungo chino, appoggiato<br />
alla staccionata - la cartolina tra le mani - col sole<br />
velato dallo smog che batteva sulla faccia. Da lassù, la<br />
piazza del Colosseo appariva ora un’arena brulicante<br />
di figure e colori, su cui spiccava il rosso acceso degli elmi<br />
portati dai finti soldati romani, mentre la luce abbagliava<br />
tra gli archi del Circo, tanto che era impossibile<br />
spingere oltre lo sguardo.<br />
Nonostante il caldo, Mondo indossava una felpa sotto<br />
un giubbottino blu da barca: sudava, un sudore copioso<br />
che gli dava una sensazione di espiazione, mentre<br />
lo sentiva scorrere lungo la schiena e bagnare le ascelle;<br />
la fronte gli si im<strong>per</strong>lava di gocce che scivolavano lungo<br />
le tempie, senza che lui le detergesse. Soltanto un bambino<br />
grassoccio e pel di carota, con le guance tempestate<br />
di lentiggini, gli si era avvicinato, l’aveva scrutato di<br />
sotto in su con occhi curiosi, piegando leggermente la<br />
testa sulla spalla, e gli aveva chiesto: – Sei un barbone?<br />
– con crudeltà infantile. Poi era corso via, impaurito e<br />
fiero al tempo stesso dalla propria temerarietà, ancora<br />
prima che lui potesse rispondere.<br />
Ma lui pensava a ben altro, ostinatamente concentrato<br />
su ciò che avrebbe potuto scrivere sulla cartolina, e<br />
non gli importava se Bibi l’avesse poi presa e stracciata,<br />
senza neppure leggerla; o, meno probabilmente, l’a-<br />
166<br />
vesse stipata al fondo delle altre centinaia di cartoline<br />
che collezionava - lei e i suoi inutili sogni di carta.<br />
Si era aggirato <strong>per</strong> il colle alla ricerca di una panchina<br />
libera su cui poter scrivere - gli avambracci indolenziti<br />
<strong>per</strong> esser rimasto a lungo poggiato alla staccionata -<br />
trovandola, infine, accanto a una fontana circolare,<br />
dalla quale un amorino dispensava l’acqua attraverso la<br />
brocca stretta sotto al braccio.<br />
Ma lui, che aveva ormai da dire a Bibi? Gli balenavano<br />
in mente soltanto frasi che gli parevano le più insignificanti<br />
- lui che non era mai stato bravo con le parole<br />
ora ripeteva, pesava, compitava dentro di sé frasi banali,<br />
di cui Bibi avrebbe soltanto sorriso, e già l’immaginava.<br />
Era sul punto di arrendersi, tentato <strong>per</strong>sino di<br />
farla a pezzi quella cartolina, quando aveva impugnato<br />
la penna e scritto di getto tutto ciò che avrebbe voluto<br />
dire a Bibi se fosse stata lì con lui: Ti amo.<br />
167
Il vecchio libro che Neria regge tra le mani, seduta sul<br />
divano letto, odora ancora di scaffale. È un’edizione<br />
del millenovecentoquarantacinque delle Elegie duinesi<br />
acquistata l’anno prima alla svendita organizzata dalla<br />
biblioteca comunale. Il direttore aveva messo in vendita,<br />
<strong>per</strong> pochi euro, i libri pubblicati prima del millenovecentosessanta:<br />
doveva essergli sembrata la soluzione<br />
meno dolorosa - o forse la più sagace - <strong>per</strong> liberarsene,<br />
e così far posto a quelli più recenti.<br />
Neria accosta il libro alle narici e inspira a fondo. Poi<br />
lo sfoglia distrattamente, salta di verso in verso - gli occhi<br />
che catturano parole in frammenti - presa com’è<br />
dall’euforia nervosa <strong>per</strong> la mattina dopo: non riesce a<br />
pensare ad altro. Così richiude il libro e lo posa sul divano,<br />
tira su le gambe, le incrocia e vi affonda i gomiti,<br />
serrando i pugni sotto al mento.<br />
Il pensiero del primo giorno di lavoro non lascia spazio<br />
ad altro, e Neria riflette su come si vestirà - continua<br />
a piovere e spiovere, con quel vento freddo poi… - forse<br />
si truccherà anche un poco, anche se a lei non piace<br />
molto imbellettarsi. Però, <strong>per</strong> l’occasione, è disposta<br />
169
pure a concedere qualcosa alla vanità. E poi… sì, le piacerebbe<br />
che qualcuno (chissà chi) l’accompagnasse,<br />
questo sì, le piacerebbe davvero.<br />
Il suono affogato del campanello alla porta la scuote<br />
dai pensieri. Ma esita: ripensa con disagio al vice commissario<br />
Mondo Cara che l’ha cercata dalla madre, e<br />
intanto il campanello insiste. Neria scioglie le gambe e<br />
si alza. Va alla porta, ma guarda attraverso lo spioncino<br />
prima di aprirla.<br />
– Ciao, – la saluta Celso.<br />
– Ciao! – risponde lei sorpresa di vederlo, e lo invita a<br />
entrare in casa.<br />
Celso entra nell’appartamento e si guarda intorno,<br />
incuriosito, mentre Neria richiude il portone e rimane<br />
ferma ad osservarlo.<br />
– Carino, vero? – gli domanda.<br />
– Sì, – dice lui, e voltandosi verso di lei aggiunge: – Dà<br />
una sensazione di intimità, di calore – (proprio come i<br />
tuoi occhi, la tua voce… vorrebbe aggiungere).<br />
Neria sorride.<br />
– È un piacere vederti così entusiasta della tua scelta…<br />
Certo, io non ne sono altrettanto contento…<br />
– Egoista, – scherza lei, e sorride ancora. Un sorriso<br />
che Celso ricambia senza convinzione. Neria aggrotta<br />
le sopracciglia, e butta leggermente la testa di lato a<br />
sfiorare la spalla sinistra, strizza gli occhi <strong>per</strong> mettere<br />
maliziosamente a fuoco il viso di Celso: lui imprigiona<br />
il sorriso tra le labbra serrate, appena tese, con le fos-<br />
170<br />
sette che indugiano ai lati della bocca, mentre lei insiste<br />
decisa nel sorridergli di sotto in su. E solo ora che lui<br />
lentamente spiana il viso in un sorriso a<strong>per</strong>to - anche un<br />
poco incuriosito dal suo atteggiamento - nota quanto<br />
sia marcata e sinuosa la linea delle sue labbra - una striscia<br />
di sabbia scura, bagnata ora dal suo sorridere che si<br />
specchia nella pozza delle fossette.<br />
Celso sorride, sì, ma non con gli occhi, dove ristagna<br />
la luce opaca dello sguardo: è pensieroso, preoccupato.<br />
Neria lo guarda e gli sorride ancora, non gli stacca gli<br />
occhi di dosso mentre gli si avvicina: ora sa che Celso è<br />
un uomo che non nasconde i sentimenti, e forse ne ha<br />
un po’ paura, come lei.<br />
Il loro primo bacio è stato come lei non se l’aspettava:<br />
titubante, <strong>per</strong>sino un po’ timoroso, ma delicato, con le<br />
labbra che si cercavano senza frenesia. Era come se ciascuno<br />
di loro stesse avanzando piano, cautamente, verso<br />
l’altro, e via via prendesse coscienza anche della sua<br />
presenza fisica - e lei l’aveva capito dalla forza crescente<br />
con la quale lui l’aveva stretta a sé - e della necessità<br />
di dare al sentimento il volto dell’altro. E una forte<br />
emozione di totale, gratuito abbandono l’aveva presa -<br />
ma senza travolgerla - poco prima che riaprisse gli occhi,<br />
e incontrasse i suoi.<br />
Ora, stretti l’una all’altro sul divano, i loro sguardi<br />
continuano a giocare in silenzio. Neria cerca di scio-<br />
171
gliersi dall’abbraccio di lui, che <strong>per</strong>ò la stringe ancora<br />
di più a sé:<br />
– No, aspetta, – le sussurra Celso. – Stiamo ancora un<br />
po’ così.<br />
Ma Neria cerca di divincolarsi, divertita, lui la trattiene<br />
con tutte le forze, lei non s’arrende:<br />
– Dillo ancora, – dice poi, rivolgendogli uno sguardo<br />
suadente. – Dì che desideri rimanere così...<br />
Lui la guarda e le sorride, l’attira a sé e la bacia delicatamente<br />
sulle palpebre, prima l’una, poi l’altra.<br />
– Stamattina in ospedale, ho visto Anna, – dice Celso<br />
in tono riflessivo. Neria solleva la testa e lo guarda, altrettanto<br />
seria. – Abbiamo parlato.<br />
Lei ascolta in silenzio, senza distogliere lo sguardo<br />
dagli occhi intensi di Celso, che tracciano ora nell’aria<br />
imprevedibili traiettorie, come stessero seguendo<br />
quelle di un volo.<br />
– Abbiamo parlato, – ripete, – e lei mi guardava con<br />
un’espressione così angosciata che mi ha fatto sentire<br />
fuori luogo, a disagio. Ora, se penso a lei, mi viene in<br />
mente una bambina pallida e triste che è diventata donna<br />
troppo in fretta… Ho cercato di farle capire quanto<br />
sarebbe utile il suo aiuto, soprattutto quando Lorenzo<br />
riprenderà conoscenza.<br />
– Non si è ancora risvegliato, quindi, – interviene<br />
Neria.<br />
– No. E lei non lo lascia solo un istante, lo assiste come<br />
una madre farebbe col figlio.<br />
172<br />
– Non mi sorprende, – osserva Neria, – lei ha sempre<br />
avuto un atteggiamento protettivo nei suoi confronti.<br />
Anche se era la più piccola, è lei che in casa ha sempre<br />
fatto un po’ da mamma. Capisci quello che voglio dire?<br />
Celso annuisce.<br />
– Almeno a quel che ne so io, – conclude Neria.<br />
– Sai, vorrei veramente che questa vicenda dell’omicidio<br />
di Giommaria Dore, fosse già chiusa. Ma siamo<br />
fermi al punto di partenza, non abbiamo nessun elemento<br />
che possa indicarci la direzione da seguire, tutto<br />
mi pare così complicato, irrisolvibile. Oscuro. Ecco:<br />
oscuro.<br />
– È questo che ti preoccupa così tanto?<br />
– Sì. Ma non solo.<br />
Celso zittisce <strong>per</strong> un poco, allenta l’abbraccio attorno<br />
alle spalle di Neria, e gioca coi suoi capelli, lasciandoli<br />
sfilare tra le dita. Neria l’osserva attentamente, il<br />
collo ora indolenzito <strong>per</strong> la posizione, così poggia la testa<br />
sul petto di Celso.<br />
– Dopo la morte di Lorena sono diventato più diffidente,<br />
dubbioso, e le cose mi sembrano sempre complicate.<br />
Anche quando non lo sono. – Neria sente vibrare<br />
il torace della voce profonda di lui. – Ma soprattutto,<br />
ogni cosa mi sembra destinata a finire inevitabilmente<br />
in un modo traumatico.<br />
– Un tragico fatalista, insomma, – commenta lei, senza<br />
riuscire a trattenere una punta di ironia, che lui non<br />
sembra cogliere.<br />
173
– Non so, forse esagero. Però, quando ti svegli un<br />
mattino, e la <strong>per</strong>sona con la quale hai parlato sino alla<br />
sera prima - la stessa con la quale hai fatto addormentare<br />
tua figlia, e che hai baciato prima di addormentarti<br />
- ti fissa con occhi freddi e vuoti, e tu lì <strong>per</strong> lì non capisci<br />
e ti chini su di lei, la baci <strong>per</strong> svegliarla e le sue<br />
labbra sono senza vita, allora ti rendi conto che la morte<br />
ce l’hai dentro, esattamente come le ossa.<br />
– Anche l’amore ce l’hai dentro, proprio come le ossa,<br />
– ribatte lei, battendogli leggermente il palmo della<br />
mano sul petto.<br />
Celso rimane zitto, soprappensiero, poi la guarda,<br />
allontanando il viso.<br />
– Sei <strong>per</strong>icolosa, ragazza.<br />
– Ah sì? E <strong>per</strong> quale ragione?<br />
– Sei troppo saggia <strong>per</strong> la tua età.<br />
– Scusami: forse non dovrei parlarti di queste cose, –<br />
riprende Celso.<br />
– Se ti va, parliamone pure, – risponde lei. – Anzi,<br />
credo che faccia bene parlarne, sia a te che a me, – aggiunge<br />
convinta. – Io non credo che tu sia quel cinico<br />
fatalista che hai descritto.<br />
– Beh, no. Almeno, non in termini così drastici. Anche<br />
se ammetto di avere la tendenza a drammatizzare.<br />
– Ah, su questo non ci sono dubbi, – scherza teneramente<br />
lei.<br />
174<br />
– Ma del resto, Celso, è passato solo un anno dalla<br />
morte di Lorena.<br />
– Non hai idea di quanto sia stato lungo e difficile,<br />
con Manu che ogni giorno che passa somiglia sempre<br />
di più alla mamma. A volte l’osservo mentre gioca con<br />
gli altri bambini della scuola, oppure a casa quando<br />
sgrida il suo peluche con la se<strong>verità</strong> di una maestra, e<br />
penso che anche lei sia una bambina cresciuta in fretta.<br />
– Mi manca già molto Manu, – dice Neria, con la voce<br />
che le si incrina. – Ma i bambini sono così: vedono le<br />
cose più grandi di quel che sono, un po’ come te in questo<br />
momento, e si rifugiano nel loro piccolo, rassicurante<br />
mondo. Loro si difendono così.<br />
È il silenzio che ora li abbraccia. Lui riprende a giocare<br />
coi suoi capelli: fili d’acqua tra le dita, scivolano lungo<br />
il palmo docili e soffici, e le ricadono sulla schiena<br />
con una morbidezza rassicurante.<br />
– Ma ognuno ha i suoi problemi, le sue preoccupazioni,<br />
grandi e piccole. Sembra così ovvio che il più delle<br />
volte ce ne dimentichiamo, – riprende Neria in tono<br />
sommesso. – Prendi Anna, ad esempio.<br />
– Hai ragione, sai, – dice lui, dopo un attimo di riflessione.<br />
– Come hai detto stamattina al telefono? “Non<br />
c’è pace <strong>per</strong> i Messa”.<br />
– Sì, ma questo non giustifica il suo comportamento<br />
nei miei confronti, – dice Neria.<br />
– Sbaglio, o sei risentita verso di lei?<br />
– No, sono delusa. Con Anna, siamo cresciute insieme,<br />
175
abbiamo frequentato la stessa scuola, le stesse compagnie,<br />
e <strong>per</strong> anni abbiamo anche vissuto nella stessa casa.<br />
Abbiamo fatto tante di quelle cose insieme che credevo<br />
fossimo amiche, e che lei non mi nascondesse nulla,<br />
così come io ho sempre fatto con lei. – Neria zittisce,<br />
assorta. Poi continua, mentre Celso la guarda e sorride<br />
dentro di sé, pensando all’innocente ingenuità di quella<br />
sua convinzione. – Ma forse tutto questo non basta<br />
<strong>per</strong> essere amiche, – conclude lei.<br />
– Stamattina ho avuto la sensazione che Anna non<br />
fosse del tutto sincera, – interviene Celso. – Quando ho<br />
chiesto di Lorenzo, lei ha sfuggito il mio sguardo, come<br />
se temesse quella domanda, e ha risposto in maniera<br />
brusca che no, non si era ancora risvegliato. Come se<br />
temesse di rispondere.<br />
– Sa nascondere bene i sentimenti, ormai lo sappiamo.<br />
– La mia è solo una sensazione, Neria. Però, stranamente,<br />
è la stessa che ho nei confronti di Mondo.<br />
– Perché? – chiede lei: esita, si domanda se deve dire a<br />
Celso - al commissario Renzi - che Mondo l’ha cercata a<br />
casa della madre. Ma alla fine preferisce lasciar <strong>per</strong>dere.<br />
– È da ieri che Mondo non viene in ufficio, così, senza<br />
avvertire. Per di più non si fa trovare né al cellulare né<br />
al telefono di casa. Mi chiedo che senso abbia comportarsi<br />
in questo modo.<br />
– Beh, strano è strano. Ma avrà le sue ragioni, non<br />
credi?<br />
176<br />
– Certo, ma basterebbe dire semplicemente che so,<br />
mi prendo due giorni di ferie, e tutto finisce lì. È che ho<br />
un sospetto: credo stia continuando a lavorare sull’omicidio<br />
di Giommaria Dore, nonostante io l’abbia rimosso<br />
dalle indagini.<br />
– Davvero?<br />
– Sì. Anch’io ho le mie buone ragioni.<br />
– Ecco l’inflessibile commissario Renzi che si erge in<br />
tutta la sua autorità, impugna sospetti e buone ragioni,<br />
– Neria tende ora il braccio verso l’alto – e pugna <strong>per</strong><br />
far trionfare l’ordine e la Giustizia! – e fa ricadere il<br />
braccio sul ventre di Celso con un gesto teatrale, accompagnandolo<br />
con una risata di cuore.<br />
– Ah, è così che mi vedi? – chiede lui tra il sorpreso e<br />
l’offeso, ma subito si unisce a lei in una risata alta, confortante.<br />
177
Nella stanza numero sei c’è una calma profonda ora<br />
che la salma della vecchia è stata portata nella camera<br />
funeraria, accompagnata dalla processione dei parenti.<br />
Una calma che fa sentire Anna così lontana dal caos<br />
della città, che corre sotto il cielo a tratti limpido, come<br />
in una cartolina d’agosto.<br />
Anna tira su il saliscendi a dar aria alla stanza, e il vento<br />
le accarezza il viso, dandole una momentanea sensazione<br />
di freschezza. Alle sue spalle risuona il passo<br />
claudicante del dottor Bruni.<br />
– Anna, – la chiama il dottore. – È qui. Credevo fosse<br />
da suo fratello.<br />
Anna richiude la finestra, ma continua a guardare<br />
fuori.<br />
– Come sta Lorenzo?<br />
– Stazionario, – risponde lei evasivamente. – L’ho lasciato<br />
che dormiva.<br />
– Mi dispiace <strong>per</strong> quello che è successo, Anna, – dice<br />
il dottor Bruni. – Mi dispiace anche <strong>per</strong> la vecchia paziente,<br />
ma non c’era proprio niente da fare.<br />
179
– Sì, Maura me l’ha detto.<br />
– Eh, questo nostro cuore… – sospira il dottore. Anna<br />
si volta e alza verso di lui uno sguardo triste, annuisce.<br />
Ha ragione il dottor Bruni, ma lei ora pensa solo a<br />
Lorenzo.<br />
– Io vado via, Anna. Di qualunque cosa abbia bisogno<br />
non esiti a chiamarmi, mi raccomando.<br />
Lei fa cenno di sì con la testa. Il dottor Bruni <strong>per</strong>ò esita<br />
ad andare via, e la scruta come se volesse dirle ancora<br />
qualcosa.<br />
– Arrivederci, allora, – la saluta infine.<br />
– Arrivederci… – sussurra Anna, mentre il dottore<br />
esce dalla stanza.<br />
Lorenzo si agita nel sonno in preda al sogno quando<br />
Anna apre la porta, l’accosta alle sue spalle ed entra<br />
nella camera. Lorenzo ansima, geme con mugolii soffocati,<br />
scuote la testa da una parte all’altra - rosso in viso -<br />
scalcia sotto le lenzuola come se gli mancasse la terra da<br />
sotto i piedi.<br />
– Lorenzo! – grida Anna, un urlo che le si strozza in<br />
gola, e si precipita verso il fratello. Ma quando arriva al<br />
letto, Lorenzo si è già calmato.<br />
– Lorenzo… – mormora ancora Anna, e si china su di<br />
lui. L’accarezza sul viso, e preso un fazzoletto dalla tasca<br />
del camice, gli deterge il sudore dalla fronte che<br />
scotta. Continua ad accarezzarlo, e lentamente l’ansito<br />
180<br />
si calma mentre Lorenzo stringe ancora forte la mano a<br />
pugno. Poi la schiude piano e apre gli occhi.<br />
– Anna…<br />
– È tutto finito, Lorenzo. Era solo un brutto sogno.<br />
* * *<br />
Neria respira piano, sembra quasi che si sia assopita<br />
tra le sue braccia. Celso ha la sensazione che ora il suo<br />
corpo galleggi leggero sul pelo d’acqua del silenzio<br />
quieto, in cui si è sciolta la loro risata. È un silenzio in<br />
cui non si avverte più neanche la pioggia, né il vento,<br />
e il dolore dei ricordi recenti si allontana, seguendo la<br />
scia della risata. Così pure le domande sull’omicidio<br />
di Pala Mortis, i sospetti su Mondo, le sensazioni su<br />
Anna.<br />
Ma il ticchettio dell’orologio alla parete s’insinua<br />
nel silenzio, e lo riscuote: sono quasi le quattro e venti<br />
del pomeriggio, e lui non dovrebbe essere là.<br />
– Neria. – La richiama, scuotendola <strong>per</strong> la spalla. –<br />
Devo andare.<br />
– Di già? – bofonchia lei.<br />
Celso scioglie controvoglia l’abbraccio che lo stringe<br />
a Neria, e lei dapprima accenna una timida resistenza,<br />
ma poi lascia che lui sfili via il braccio da sotto il suo<br />
corpo, e si alzi dal divano, ricomponendosi. Lo guarda,<br />
e in quel momento si pente di non essere andata oltre<br />
un primo bacio. Si alza, ancora un poco stordita,<br />
181
mentre Celso s’avvia verso l’ingresso, e lo raggiunge,<br />
affrettando il passo.<br />
Si guardano negli occhi <strong>per</strong> un po’, in silenzio.<br />
– Ciao, – la saluta poi Celso, e apre il portone.<br />
– Aspetta. Promettimi che domani…<br />
Celso l’interrompe, posandole l’indice sulle labbra<br />
(“Non dire altro” sussurra dentro di sé).<br />
– A domani mattina, – la rassicura.<br />
182<br />
Mondo ha vagato <strong>per</strong> le vie di Elisùa senza riuscire ad<br />
allontanare pensieri e ricordi di Bibi. Ha incontrato un<br />
vecchio che passeggiava <strong>per</strong> la strada sopra la casa dei<br />
Messa - camminava ricurvo sul bastone, tenendo l’altra<br />
mano dietro la schiena, con le gambe arcuate e i pantaloni<br />
di fustagno lisi e rattoppati che gli hanno ricordato il<br />
vecchio Maganza - e quando si sono incrociati, il vecchio<br />
si è fermato, sollevando il collo scuro e rugoso, stretto in<br />
una camicia militare sbiadita, e l’ha scrutato da sotto la<br />
visiera della coppola. Lui ha salutato con un: “Salute”,<br />
accompagnato da un rapido cenno della mano, al quale<br />
l’altro ha risposto dopo qualche secondo, incerto, e l’ha<br />
seguito con lo sguardo mentre lui s’allontanava, come se<br />
non l’avesse riconosciuto. Poi Mondo è risalito lungo la<br />
strada ripida e acciottolata, procedendo a zig zag <strong>per</strong> alleviare<br />
la fatica, senza incontrare anima viva. Di tanto in<br />
tanto, giungevano i rumori delle auto che transitavano<br />
nelle vie circostanti, e i battiti del campanile portati dal<br />
vento, che lui non contava più. Soltanto il vociare dei<br />
bambini che uscivano dalla scuola elementare l’aveva riportato<br />
alla dimensione reale del tempo.<br />
183
Ora Mondo è fermo in cima alla salita. La mano stretta<br />
attorno a una sbarra del cancello, l’altra affondata<br />
nella tasca del giubbotto, guarda oltre l’inferriata. È<br />
dall’estate dell’anno scorso che non ritorna nella villa<br />
che il nonno materno aveva fatto costruire sul punto<br />
più alto del paese. La casa - in stile anni trenta (il nonno<br />
era stato gerarca di Elisùa) - è immersa nel parco in abbandono,<br />
e Mondo riflette che dovrebbe almeno far<br />
estirpare le erbacce, potare i grossi pini che ormai protendono<br />
i rami sino ai parapetti delle verande, liberare<br />
le pareti della casa dall’edera, e rifare il vialetto d’ingresso<br />
col ghiaino. Se solo pensa con quanta cura il<br />
nonno teneva il parco pulito, e le chiome degli alberi alla<br />
giusta altezza!<br />
Ora, invece, gli alberi incolti sono cresciuti così tanto<br />
da impedire l’ampia visuale che prima si apriva sulle<br />
case del paese, sulla chiesa del Carmelo - soltanto la<br />
punta del campanile ora ne svetta al di sopra - da quel<br />
punto poteva distinguersi anche il tetto della casa di Bibi,<br />
e adesso avrebbe potuto vedere pure quello della<br />
casa di Maganza, sfondato dalla caduta di Lorenzo<br />
Messa. E se fosse salito al secondo piano della villa, affacciandosi<br />
dalla veranda della sua camera, avrebbe<br />
potuto individuare <strong>per</strong>sino la sagoma bianca dei casolari<br />
sulla collina di Pala Mortis, e poi discendere con lo<br />
sguardo e carezzare il profilo brullo e spigoloso delle<br />
colline, che digradano sino alla statale centoventinove.<br />
Ma se entrasse in quella camera, non troverebbe altro<br />
184<br />
che il vecchio letto con la testata in ferro battuto - i pomi<br />
neri ai lati della testiera, e una scena di caccia alla<br />
volpe dipinta sul pannello che dava un tocco di nobiltà<br />
inglese al letto - l’armadio avorio che il nonno aveva costruito<br />
con le sue mani abili di falegname (ma era stato<br />
anche tagliapietre, il nonno, e carpentiere e muratore, e<br />
impiegato all’ufficio del Tesoro dopo la seconda guerra),<br />
ai piedi del letto il tappeto di lana grezza a scacchi<br />
amaranto e arancio, che - ogni volta che s’alzava dal letto<br />
- gli pungeva le piante dei piedi. Infine, il comò di<br />
fronte al letto, e nel terzo cassetto dello stesso comò la<br />
sua trottola in faggio (l’aveva tornita il nonno <strong>per</strong> lui), e<br />
ancora lo spago con un tappo metallico di birra, pestato<br />
e bucato, infilato all’estremità <strong>per</strong> impugnare ben<br />
stretto lo spago tra le dita (prima di lanciare la trottola).<br />
E poi… in fondo al cassetto, la busta bianca con dentro<br />
quattro fotografie formato tessera - lui e Lorena che facevano<br />
boccacce e, nell’ultima, si baciavano in posa<br />
dentro la macchinetta automatica - quattro lettere di<br />
Lorena, e la cartolina: Roma, Piazza di Spagna.<br />
Avrebbe dovuto bruciarle le foto e le lettere, come<br />
aveva fatto prima con le fotografie di Bibi, e avrebbe<br />
dovuto ridurre in pezzi la cartolina come Lorenzo Messa<br />
- probabilmente - aveva fatto con l’altra, ora a brandelli<br />
nel sacchetto di cellophane che Mondo tiene in<br />
mano. Ma Lorenzo Messa non poteva aver capito che<br />
185
quella cartolina l’aveva spedita a Bibi proprio lui, il vice<br />
commissario Raimondo Cara, cinque giorni prima che<br />
lei andasse via.<br />
Ecco, adesso la pioggia riprende a cadere: sospinta<br />
dal vento ingrigisce gli alberi e la villa oltre il cancello.<br />
Mondo prende i frammenti della cartolina dal sacchetto:<br />
alcuni volano via, altri ricadono ai suoi piedi, s’appiccicano<br />
al giubbotto, svolazzano al di là dell’inferriata;<br />
altri ancora, bagnati dalla pioggia, s’incollano al palmo<br />
della mano, e si trasformano un po’ alla volta in una<br />
poltiglia nera.<br />
186<br />
Ha lasciato che Anna gli somministrasse l’ultimo calmante<br />
facendo forza a se stesso: l’idea di fuggire via<br />
dall’ospedale continua a pungerlo, ma è sempre più debole,<br />
e lui non ha più la forza interiore <strong>per</strong> convincersi a<br />
scappare. L’aria calda e pesante della stanza, insieme<br />
allo stordimento nel quale ha annaspato <strong>per</strong> un tempo<br />
indefinito, hanno fiaccato ogni sua resistenza. Solo ora<br />
che l’effetto del medicinale va cessando, lui riconquista<br />
un poco di lucidità, e avverte il corpo molle, rilasciato,<br />
e senza dolore, accarezzato solo da una rabbia impotente,<br />
che stenta a riconoscere. In quell’innaturale scollamento<br />
tra il corpo e la volontà, Lorenzo agita lo<br />
sguardo imprigionato tra le pareti della stanza, con l’aria<br />
secca che gli brucia le labbra, e il sudore che gli cerchia<br />
gli occhi, senza la possibilità di detergerlo via con<br />
le sue mani.<br />
Anna si è assopita sulla sedia accanto al letto. Ha un’aria<br />
indifesa e sciupata, il corpo raccolto in una compostezza<br />
fragile; a tratti, le palpebre si agitano, mentre il<br />
respiro che soffia pesante dalla fessura delle labbra,<br />
187
gonfia e poi scava il petto magro con ritmo regolare. E<br />
lui l’osserva: è diversa da Bibi, somiglia molto a babbo<br />
con il viso ovale tagliato dalle labbra sottili - un tocco di<br />
matita appena più rosea della pelle - ha gli stessi suoi<br />
occhi neri come more, che si prolungano in una serie di<br />
rughette agli angoli.<br />
– Anna. – Cerca di risvegliarla. – Anna. – Lei sospira<br />
a fondo, apre gli occhi, che si richiudono subito dopo<br />
con un leggero fremito delle palpebre.<br />
– Ho sete, – dice Lorenzo quando Anna finalmente<br />
si riscuote. Si alza appesantita dal torpore, e prende il<br />
bicchiere dal comodino. Si china su di lui e gli solleva<br />
delicatamente la testa, posandogli sulle labbra il bordo<br />
del bicchiere. Lorenzo beve a fatica.<br />
– Che ora è? – chiede, mentre lei accompagna la testa<br />
a posarsi sul cuscino, e ne rifugge lo sguardo. Posa<br />
il bicchiere vuoto sopra al comodino e si risiede, con<br />
un’espressione stanca che le segna il viso.<br />
– Non lo so. Forse le cinque, le cinque e mezza.<br />
– Fuori starà facendo buio… – osserva Lorenzo, lo<br />
sguardo che guizza verso le finestre, oscurate dalle serrande<br />
abbassate. – E babbo?<br />
Anna tace. C’è un vuoto che ora vortica dentro di lei,<br />
e con ansia pensa al padre rimasto solo nella casa ormai<br />
troppo grande <strong>per</strong> lui, seduto sullo sgabello nell’angolo<br />
di mondo in cui si è relegato, e le sembra di vederlo<br />
188<br />
chino su se stesso, l’anima e il corpo tesi a meditare sulla<br />
radice da scolpire.<br />
– Non è mai venuto, – riprende Lorenzo, trascinando<br />
la voce sino al fondo silenzioso di se stesso, dove la rabbia<br />
è ancora vigile, vigorosa.<br />
Il rumore della maniglia che viene abbassata di colpo,<br />
fa trasalire Anna. Lorenzo chiude gli occhi, il corpo<br />
ora pesante che sprofonda ancora di più dentro al letto.<br />
L’agente di piantone apre la porta e fa capolino: scruta<br />
lentamente nella stanza, lancia un’occhiata verso il letto,<br />
poi rimane a fissare Anna, immobile sulla sedia. Prima<br />
di ritrarsi accenna un sorriso stanco verso di lei, e finalmente<br />
richiude la porta.<br />
– È inutile continuare a fingere, Lorè, – dice Anna,<br />
seria, sbirciando intimorita ancora verso la porta. – Anche<br />
stamattina, il commissario mi ha chiesto di te.<br />
– Che senso ha fingere? – continua. – È come scappare<br />
senza meta, come lasciarsi andare nel vuoto…<br />
Anna respira a fondo, stringe con forza una mano<br />
nell’altra, a raccogliere le poche energie nervose rimaste.<br />
– Sono stanca, Lorè. Quando mamma era ammalata,<br />
ho anche creduto che il peso della sofferenza fosse, <strong>per</strong><br />
noi, come un prezzo da pagare. E dopo che lei è morta,<br />
ho pensato che sì, la vita ci avrebbe dato altri dispiaceri,<br />
ma non in quel modo, non così tanto da arrivare al<br />
189
punto di non riconoscere più nostro padre, nostra sorella,<br />
noi stessi. Invece… Invece tu non parli. Te ne stai<br />
zitto, testardo, chiuso in quel tuo silenzio che fa paura,<br />
chiudi gli occhi e non dici nulla. Come hai sempre fatto…<br />
Ma lascia che te lo dica, Lorè: mi hanno sempre<br />
fatto paura i tuoi silenzi.<br />
190<br />
Mondo guida concentrato sotto la pioggia che batte<br />
insistente sul parabrezza, mentre all’orizzonte il sole<br />
cala fra squarci di sereno. È un paesaggio aspro e silenzioso<br />
quello che scorre davanti ai suoi occhi, quello<br />
della statale centoventinove: colline basse e sassose<br />
mangiate dal vento, sughere piegate, addomesticate<br />
dal maestrale, e macchie scure di terra a pascolo, rocce<br />
argentate tra i cui anfratti il vento corre, fischia e dà voce<br />
all’enorme energia della natura.<br />
C’è un silenzio paziente, concentrato, nella pioggia<br />
che viene giù.<br />
Un silenzio spaventoso si tendeva nel buio pesto che<br />
univa il mare al cielo, un abisso infinito di fronte al quale<br />
Mondo si era sentito vulnerabile, indifeso come mai<br />
prima. E il ricordo di Bibi aveva ripreso a bruciare, una<br />
sottile febbre che l’accalorava e lentamente si trasformava<br />
nella paura del ritorno.<br />
Era rimasto a lungo in piedi sul ponte del traghetto<br />
(da Civitavecchia a Olbia), appoggiato alla paratia umi-<br />
191
da che esalava un nauseante odore di vernice - aveva poi<br />
avuto la sensazione di sentirselo addosso <strong>per</strong> tutto il<br />
giorno seguente. Il ponte si era svuotato man mano che<br />
la nave si allontanava dal porto verso il mare a<strong>per</strong>to, nero<br />
e calmo, ed era rimasto soltanto lui sotto quel silenzio<br />
denso, incupito dal fragore delle acque frante dalla<br />
prua, e delle onde che ripiegavano su se stesse sbattendo<br />
contro i fianchi dello scafo.<br />
A Roma si era fermato un giorno più del previsto: il lunedì<br />
aveva cercato i vecchi colleghi del commissariato<br />
di Monte Sacro, ma di loro - com’era prevedibile - aveva<br />
trovato soltanto Parenti, un siciliano mordace ora vice<br />
ispettore, mentre gli altri erano stati trasferiti chi in altri<br />
distretti chi in città diverse. Con Parenti aveva avuto<br />
rapporti piuttosto freddi, né buoni né cattivi, eppure,<br />
aveva accettato il suo invito a pranzo, così, tanto <strong>per</strong> ricordare<br />
i vecchi tempi. Il pranzo alla trattoria I colli dietro<br />
il commissariato, era stato gustoso e abbondante come<br />
lo ricordava, non altrettanto piacevole la compagnia<br />
di Parenti - aveva parlato solo lui, saltando di argomento<br />
in argomento: dalla furiosa gelosia della moglie all’andamento<br />
costantemente al ribasso dei fondi obbligazionari,<br />
in cui aveva investito buona parte dei risparmi.<br />
Ma se non altro, l’aveva aiutato a non pensare al<br />
viaggio di ritorno.<br />
Albeggiava quando era ritornato sul ponte del tra-<br />
192<br />
ghetto. Il mondo si risvegliava in una calda luce soffusa<br />
nella leggera bruma rosata, e il cielo ancora torbido riprendeva<br />
lentamente vigore. E laggiù, lungo la linea<br />
dell’orizzonte, la costa prendeva forma: la terra che attira<br />
a sé con dolcezza, lentamente. Laggiù tutto appariva<br />
calmo.<br />
Mondo aveva respirato a fondo l’aria fresca del mattino,<br />
umida di salsedine, nel tentativo di scrollarsi di<br />
dosso il torpore nervoso della notte: si era risvegliato<br />
dopo un lungo e agitato dormiveglia, durante il quale<br />
momenti di amarezza e rabbia si erano alternati ad altri<br />
in cui, spossato, scivolava verso quello che s<strong>per</strong>ava fosse<br />
un sonno liberatorio. Ma all’improvviso spalancava<br />
gli occhi e ficcava lo sguardo nel buio della cabina, e la<br />
notte si protraeva in una veglia vigile, lucida. Nel silenzio<br />
fragile e denso aveva preso coscienza di come l’amore<br />
che prima l’univa a Bibi ora l’allontanava da lei.<br />
Con paura avvertiva che quel sentimento s’andava lentamente<br />
trasformando nel risentimento sempre più<br />
acuto: sì, lei aveva offeso il suo amore.<br />
Alla fine non ce l’aveva fatta più e si era alzato.<br />
Man mano che la nave s’avvicinava al porto, con lentezza<br />
esas<strong>per</strong>ante, Mondo era diventato sempre più<br />
impaziente di arrivare. E quando, finalmente, era sbarcato,<br />
si era subito incamminato verso il pullman che<br />
l’avrebbe riportato in città. Dal finestrino, aveva rivolto<br />
lo sguardo verso il mare nell’attesa che il pullman<br />
partisse: come se si voltasse indietro a guardare il ri-<br />
193
cordo che svaniva di s<strong>per</strong>anze già vecchie, il cadavere<br />
di un amore vecchio che galleggiava sulla su<strong>per</strong>ficie<br />
calma del mare. E gli occhi gli si erano annebbiati - una<br />
ferita viva - la resina opaca che gocciolava, sfuggiva<br />
calda, lungo gli angoli degli occhi. Aveva distolto lo<br />
sguardo e schiacciato la testa contro il vetro freddo e<br />
sudicio nel tentativo di trattenerla. Hai paura, Mondo<br />
si era detto più volte, con la sensazione angosciante<br />
della solitudine, una paura infantile che Bibi non poteva<br />
capire, ripeteva dentro di sé con astio, e con una durezza<br />
che neppure l’amore <strong>per</strong> Lorena sarebbe poi riuscito<br />
ad addolcire.<br />
194<br />
La radice è dura e annerita, odora di terra e cenere. Ha<br />
una forma bizzarra, un naso adunco e nodoso, con un<br />
nodo gonfio, ritorto su se stesso all’estremità. Lungo il<br />
fittone spuntano alcuni peli, corti e rigidi, che Antonio<br />
Messa scalza a fatica col coltello. La mano gli trema, il<br />
filo della lama si piega: non taglia i peli ma li spezza con<br />
uno schiocco secco.<br />
La scorza resiste, la lama ci scivola sopra senza scalfirla.<br />
Viene via soltanto qualche pezzo, piccolo e duro<br />
come una scheggia di pietra. La mano gli fa male <strong>per</strong> lo<br />
sforzo, nel solito punto, tra pollice e indice, dove ora le<br />
vene bluastre si gonfiano e pulsano. Antonio Messa allenta<br />
la presa sul manico del coltello. Lo richiude spingendo<br />
il dorso della lama contro la coscia, e lo posa sul<br />
pavimento. Afferra la radice <strong>per</strong> le estremità e, con entrambe<br />
le mani, cerca di fletterla. Il grosso nodo pare<br />
gonfiarsi ulteriormente, quasi sul punto di esplodere,<br />
lui sente il legno tendersi tra le mani: resiste. Ma forza,<br />
lo lascia andare, pressa di nuovo con tutte le forze finché<br />
si spezza in due tra le mani, con un rumore così improvviso<br />
e secco che lo spaventa.<br />
195
Il vecchio si alza in piedi, con una sensazione di impotenza<br />
che gli appesantisce le gambe. La radice è secca.<br />
Non è notte da croci. E con un presentimento doloroso<br />
che gli fa spalancare gli occhi nel buio che risale la<br />
scala - alle sue spalle - ecco che l’invisibile cataratta cade<br />
di nuovo, pesante, a oscurare la vista. Lui raddrizza<br />
la schiena, con un istinto da animale, porta i due tronconi<br />
della radice al petto e lo batte, nodo contro nodo,<br />
scorza contro scorza.<br />
Nella stanza di sopra tutto tace.<br />
196<br />
C’è ancora l’odore del sonno nell’appartamento di<br />
Mondo: dal letto sfatto esala lo sforzo notturno di conquistare<br />
il distacco dai ricordi, dalla paura che si nasconde<br />
dietro alle domande sull’omicidio di Giommaria<br />
Dore; dalla cucina l’inconfondibile odore del caffè<br />
freddo della mattina si mescola a quello delle sigarette:<br />
un tanfo pesante, che è diventato subito familiare e rassicurante<br />
appena lui è entrato in casa. Ha appeso il<br />
giubbotto ancora umido sul porta abiti nell’andito, lasciando<br />
nella tasca il cellulare spento, ed è andato nella<br />
camera da letto, trascinandosi dietro la stanchezza del<br />
giorno. Si è poi lasciato andare sul letto, stravolto, affondando<br />
la faccia tra le co<strong>per</strong>te, e un’ombra di fredde<br />
sensazioni gli ha sfiorato la pelle, accompagnandolo<br />
verso un torpore improvviso. Ma si è riscosso subito e,<br />
alzatosi, si è spogliato lentamente, senza fretta, e mentre<br />
il corpo si tendeva <strong>per</strong> il freddo, si è visto così: un<br />
uomo nudo senza voglia, impotente e senza piacere.<br />
Ha infilato prima la tuta poi le pantofole con gesti misurati,<br />
attenti, quasi scrupolosi, e <strong>per</strong> ribadire a se stesso<br />
che tutto ciò che era accaduto in quel giorno rientra-<br />
197
va nella normalità delle cose, si è recato nel piccolo soggiorno,<br />
e ha ascoltato la segreteria telefonica. Messaggi<br />
di Celso, poi di Marini, e ancora Celso, con voce insistente,<br />
autoritaria - da su<strong>per</strong>iore - ma poco convincente,<br />
e dura - una voce che cerca, s’agita con tutte le energie<br />
- infine sommessa, rassegnata: una rabbiosa impotenza<br />
a stento dominata, che gli ha riportato alla mente<br />
l’immagine di Celso che cerca, sbraccia, sgomita, s’agita<br />
in un mondo che non gli appartiene, e affonda.<br />
Ora Mondo fuma la sigaretta con un’avidità senza<br />
soddisfazione, seduto sulla poltrona nel soggiorno.<br />
Succedono cose strane quando si sta da soli, in silenzio,<br />
seduti su una poltrona che odora di muffa, e lo sguardo<br />
s’arrampica lentamente, prima su una parete poi sull’altra,<br />
senza trovare un oggetto, un colore, una crepa.<br />
Dapprima ci si sente leggeri, senza ferite, protetti nel silenzio<br />
che avvolge, ogni cosa al suo posto - la televisione<br />
di fronte alla poltrona con lo schermo buio, il vecchio<br />
divano che sa di muffa come la poltrona, sopra il<br />
divano i libri intatti, ben ordinati sulle mensole a muro<br />
- un equilibrio delle cose al quale pare corrispondere<br />
un equilibrio interiore. Ma lentamente il silenzio scricchiola,<br />
s’incrina, apre crepe infuocate nell’anima, spaccature<br />
dove pensieri e ricordi s’insinuano e s’infiammano.<br />
I sensi si fanno più acuti, vigili, impauriti, le immagini<br />
ritornano più nitide, <strong>per</strong>sino luminose, a ricor-<br />
198<br />
dare anche ciò che si credeva dimenticato. Mondo si<br />
agita, s’affanna: non è più solo. Bibi. Lorena. Lui. E la<br />
bambola di Giommaria Dore. Di Bibi.<br />
La casa era immersa nel silenzio dolce e torbido della<br />
mattina - il sole, non ancora alto, affondava la sua luce<br />
obliqua lungo la via, e l’aria era già calda. Non era stato<br />
necessario che Mondo suonasse o bussasse alla porta:<br />
Bibi l’aspettava. E appena l’aveva visto attraverso lo<br />
spioncino, aveva a<strong>per</strong>to, salutandolo con uno dei suoi<br />
sorrisi disarmanti. Lui non aveva potuto fare a meno di<br />
squadrarla più volte, ammirato: un filo di matita nera<br />
prolungava l’angolo degli occhi, luminosi, e il viso… il<br />
viso gli era parso ancora più delicato e sottile, etereo,<br />
con i lunghi capelli crespi tirati all’indietro che lo liberavano<br />
alla luce. Oh, si era preparata come <strong>per</strong> un appuntamento<br />
importante.<br />
Bibi l’aveva invitato a entrare in casa, ma lui aveva<br />
esitato sulla soglia. Era stata lei a rassicurarlo: “Vieni.<br />
Non c’è nessuno, dài” aveva sussurrato, tendendo la<br />
mano che Mondo aveva preso senza esitare. “Credimi,<br />
non c’è nulla da temere: è sabato, anche mamma è via, e<br />
non ritornerà prima di due ore almeno” e l’aveva attirato<br />
a sé.<br />
Si era lasciato guidare attraverso il lungo andito d’ingresso,<br />
poi su <strong>per</strong> le scale sino alla stanza di Bibi, in silenzio;<br />
di tanto in tanto lei si voltava inaspettatamente<br />
199
verso di lui e gli sorrideva con malizia, gli occhi che le<br />
brillavano: era euforica.<br />
Non era riuscito a trattenere un sussulto quando erano<br />
entrati nella camera, e aveva stretto con forza la mano<br />
di lei: il calore di Bibi emanava dal letto appena rifatto,<br />
dagli occhi infantili della bambola, adagiata sul<br />
letto contro al cuscino, dalle spighe nel vaso che sfioravano<br />
l’aria con i loro baffi dorati e secchi, dal rosso acceso<br />
delle rose dipinte sulla cornice dello specchio, trasfigurate<br />
poi nell’abbraccio di Santa Rita (oh, l’aveva<br />
riconosciuta subito la santa nello stendardo appeso a<br />
capo del letto). Era come avvicinarsi in punta di piedi<br />
all’anima di Bibi, e sfiorarla con tutti i sensi che s’infiammavano,<br />
tanto che, in quegli attimi, aveva <strong>per</strong>sino<br />
pensato di far parte di quell’ordine teso tra la luce abbagliante<br />
dei paesaggi, e lo scuro inquietante di cieli e<br />
volti cupi negli acquerelli alle pareti: l’esplosione dei<br />
sentimenti intensi e contrastanti di Bibi, luce e inquietudine,<br />
che lo spazio angusto della stanza non poteva<br />
trattenere.<br />
Stordito dall’intensità di quelle sensazioni, si era lasciato<br />
abbracciare da lei: si erano baciati scivolando<br />
sul letto.<br />
– Era da molto che desideravo farlo qui, – aveva sussurrato<br />
Bibi con un sorriso che in un lampo era volato<br />
via, e un’ala di tristezza le aveva sfiorato il viso: la luce<br />
200<br />
nei suoi occhi si andava spegnendo. Si era sciolta dall’abbraccio<br />
con un gesto veloce (quasi respingendolo),<br />
e, stretta a sé la bambola, si era voltata dall’altra parte.<br />
Lui era rimasto sdraiato sul fianco, stordito dal piacere,<br />
senza capire, un uomo nudo senza più desiderio,<br />
frastornato dal silenzio di lei che s’addensava nella<br />
stanza. L’aveva carezzata sulla spalla, sentendo il corpo<br />
di lei irrigidirsi, e respingerlo ancora. – Lasciami sola, –<br />
gli aveva detto. L’amore e poi l’inquietudine.<br />
Mondo cerca ora affannosamente di ritrovare lucidità,<br />
si riscuote nel silenzio che continua a gemere e<br />
scricchiolare, s’accende un’altra sigaretta. Ma non ce<br />
la fa più a rimanere seduto sulla poltrona. Si alza in<br />
piedi e cammina su e giù <strong>per</strong> il soggiorno, le gambe<br />
indolenzite.<br />
Per una ragione che ancora oggi non riesce a mettere<br />
a fuoco, Bibi era fuggita via da lui già quella mattina,<br />
chiudendosi poi nel silenzio impenetrabile, freddo, indifferente,<br />
il cui unico, vero senso era il distacco tacito,<br />
inesorabile (e di lì a dieci giorni sarebbe stato definitivo).<br />
E aveva finito <strong>per</strong> detestarla, senza tuttavia cessare<br />
di amarla: come se non gli rimanesse altro che somigliare<br />
a lei in quell’agitarsi di sentimenti così intensi e inconciliabili.<br />
Si era sentito <strong>per</strong>sino in colpa <strong>per</strong> essersi<br />
lasciato condurre con tanta arrendevolezza nel suo<br />
mondo: i suoi dipinti, il suo letto, i gemiti del suo corpo<br />
201
teso. Stringere al petto ancora ansimante la bambina<br />
che guardava alla vita con gli occhi ridenti di una bambola.<br />
“Una bambina e la sua bambola.” Così aveva detto<br />
l’avvocato Serra. “La storia di una bambina e della sua<br />
bambola, di una bambina che ha il nome di una santa,<br />
ma oggi non è più una bambina.” Una vecchia storia:<br />
ora Mondo non ha più dubbi: la bambola accanto al<br />
cadavere di Giommaria Dore era la bambola sul letto<br />
di Bibi. Era la bambola di Bibi: a questo alludeva l’avvocato.<br />
Ma se è così, se la presenza di quella bambola<br />
sul cancello dell’ovile dei Messa ha un senso direttamente<br />
legato all’omicidio, allora sì: l’assassino sapeva<br />
che quella bambola era di Bibi, e attraverso la sua bocca<br />
muta ha accusato Giommaria Dore. È con lo sguardo<br />
dei suoi occhi azzurri, allampanati sotto le sopracciglia,<br />
ingenuamente rifatte con la penna, che l’ha condannato.<br />
Ma chi e <strong>per</strong>ché? E come faceva l’avvocato a<br />
conoscere quella vecchia storia da cui gli aveva consigliato<br />
di starne fuori? “Una vecchia storia che tu conosci<br />
meglio di me” (aveva concluso l’avvocato). Una<br />
storia che anche l’assassino conosceva.<br />
Mondo espira il fumo della sigaretta con uno sbuffo<br />
prolungato, segue le volute dense spandersi nell’aria<br />
fredda: un volo del respiro che svanisce leggero verso il<br />
soffitto. Ora s’avvicina alla poltrona con passo pesante.<br />
202<br />
Si lascia andare sulla poltrona, lasciando che la sigaretta<br />
bruci e si consumi senza più aspirare. “Una vecchia<br />
storia” si dice con una voce interiore che vibra prepotente,<br />
riapre crepe che bruciano sino alle ossa e rimescolano<br />
le scorie dei ricordi, riporta l’odore delle ferite<br />
di un uomo che ha amato e poi ha mentito a se stesso, e<br />
lui punta i piedi contro il pavimento, stringe le mani sui<br />
braccioli a frenare la coscienza che si tende nella nostalgia<br />
della ripugnanza di se stesso, della colpa attraverso<br />
la quale passa la <strong>verità</strong>. Quel movimento necessario<br />
in cui appare una via di salvezza.<br />
203
iii
Ancora vento. Ancora pioggia. Manu guarda attentamente<br />
dal finestrino della macchina, è allarmata più<br />
che incuriosita: sul vetro, le gocce d’acqua brillano iridescenti,<br />
s’appiccicano al vetro e scivolano una dietro<br />
l’altra, dapprima rapide, poi frenano e scendono piano<br />
piano, lente lente come se qualcuno si divertisse a spingerle<br />
in giù con un dito, e qualcun altro lo contrastasse<br />
senza riuscirci. Ma a lei tutto appare confuso al di là di<br />
quella tendina invadente: il papà ha guidato la macchina<br />
fuori dal cortile di casa, ma lei non ha visto il negozio<br />
con l’insegna bianca e azzurra dove andava con Neria a<br />
comprare le creme <strong>per</strong> farsi bella, né quello più avanti<br />
dove prendevano sempre il pane fresco prima che Neria<br />
l’accompagnasse a scuola. Non ha visto neppure l’edicola<br />
della signora Carmela che si trova esattamente<br />
di fronte alla scuola. Dove la sta portando quell’uomo<br />
alto e magro magro che guida piano la macchina, e non<br />
parla?<br />
Stamattina le ha detto che insieme dovevano fare una<br />
cosa importante, e doveva essere davvero importante<br />
visto che l’aveva detto con un’aria seria - come quando<br />
207
la maestra Pina fa star zitti tutti e dice che insegnerà loro<br />
una nuova poesia - e le aveva fatto indossare l’abitino<br />
più bello che ha: lo scamiciato di velluto azzurro sopra<br />
la camicetta rosa col colletto in pizzo, che a lei piace<br />
tanto.<br />
Fermi al semaforo, il papà si volta e le sorride - è buffo:<br />
sembra un bambino quando sorride con le fossette<br />
che si formano ai lati della bocca - mentre tamburella<br />
con le dita sul volante. Ripartono con il verde e girano a<br />
destra. Nella via serpeggia una lunga fila di macchine<br />
che procedono lentamente. Lei inizia allora a canticchiare<br />
tra sé una canzoncina, inventa melodia e le parole<br />
- un piccolo trucco che le ha insegnato Neria - a tratti<br />
si <strong>per</strong>de ma poi riprende, senza staccare gli occhi dal finestrino.<br />
Poco prima di arrivare all’incrocio in fondo alla via,<br />
Celso rallenta e accosta l’auto al marciapiede. Manu<br />
smette di canticchiare - tanto il piccolo trucco non<br />
sempre funziona - e si solleva sul sedile di dietro facendo<br />
leva con le manine; cerca di vedere oltre il vetro, ma<br />
tutto quel che intravede è una figura sfocata sotto un<br />
ombrello giallo. E si lascia andare sul sedile, mentre<br />
Celso s’allunga di fianco e apre la portiera. Manu rimane<br />
inchiodata al sedile, stringendo ora le mani a pugno,<br />
in attesa.<br />
– Buongiorno! – la voce squillante di Neria risuona<br />
gioiosa nell’abitacolo mentre lei entra nell’auto, con<br />
l’ombrello che bagna il lembo dell’im<strong>per</strong>meabile (goc-<br />
208<br />
ciolante, lo ripone ai suoi piedi). Manu rimane in silenzio,<br />
tutto il suo corpicino teso nell’emozione: è veramente<br />
Neria quella donna che porta in testa un basco<br />
ampio e sbilenco - oh, sembra il cappello di un fungo<br />
verde! - sotto cui ha imprigionato tutti i capelli? Neria<br />
s’allunga verso Celso e lo bacia sulla guancia, che lui<br />
porge con un sorriso disteso, lanciando uno sguardo di<br />
sbieco a Manu. E poi Neria si volta proprio verso di lei<br />
che la guarda sorpresa, senza sa<strong>per</strong> cosa fare - intanto<br />
Celso riparte - è <strong>per</strong>sino tutta truccata Neria, stamattina,<br />
ha il lucida labbra e l’ombretto azzurro, e le unghie<br />
brillano di smalto: non l’ha mai vista così bella. E ci<br />
vuole poco <strong>per</strong>ché il suo visino serio si sciolga ora in un<br />
sorriso luminoso quanto quello della ragazza, e l’abbraccia,<br />
gettandole le braccia al collo.<br />
– Oggi è il mio primo giorno di lavoro, sai? – dice Neria<br />
rivolgendosi a Manu.<br />
– È <strong>per</strong> questo che ti sei messa il cappello e ti sei truccata?<br />
– Sì, – risponde Neria, e ride. A Manu non sfugge<br />
niente. – Ma vedo che anche tu ti sei vestita bene: dove<br />
hai intenzione di andare?<br />
– Papà ha detto che dovevamo fare una cosa importante,<br />
– risponde Manu, aprendo il cappottino <strong>per</strong> mostrare<br />
meglio lo scamiciato a Neria.<br />
Il cellulare di Celso squilla soffocando la nuova risata<br />
209
di Neria, che ora lo guarda con leggero disappunto.<br />
Lui rallenta e attiva l’auricolare.<br />
– Pronto?<br />
– Commissario, sono Marini.<br />
– Buongiorno, ispettore.<br />
– È in macchina, commissario? – Marini sembra tergiversare.<br />
– Sì. Ma che c’è, Marini? – lo sollecita Celso.<br />
– È appena arrivato il referto della scientifica coi risultati<br />
dell’analisi sulla bambola. Quella trovata accanto<br />
al cadavere della vittima, di Giommaria Dore, dico…<br />
C’è una novità importante, commissario.<br />
Celso lancia un’occhiata obliqua a Neria:<br />
– Accompagno la bambina a scuola, e arrivo, – e<br />
chiude la telefonata.<br />
– Novità? – gli chiede Neria.<br />
Celso si limita ad annuire.<br />
– Mondo?<br />
– No. – Risponde controvoglia, e in silenzio arrivano<br />
all’ospizio.<br />
210<br />
Marini è sulla soglia del commissariato quando Celso<br />
arriva, ha uno sguardo fremente che dice eccitazione<br />
dietro quei suoi occhi acquosi e mai domi.<br />
– Buongiorno, commissario, – saluta, mentre s’avviano<br />
insieme verso l’ufficio di Celso. Nell’aria ancora<br />
fredda del commissariato, <strong>per</strong>siste l’odore nauseante<br />
di detergente che viene dal pavimento. Celso rivolge<br />
un’occhiata verso l’ispettore, che lo segue in silenzio,<br />
poi si guarda intorno - c’è una calma tesa nel commissariato,<br />
i telefoni nelle stanze squillano di tanto in<br />
tanto - cerca di allontanare la tensione ripensando alla<br />
tenerezza dei momenti appena trascorsi con Neria<br />
e Manu.<br />
– Allora, Marini, quale sarebbe questa novità importante?<br />
– chiede infine, non sopportando oltre il silenzio<br />
dell’ispettore, mentre passa davanti all’ufficio del vice<br />
commissario Cara. La porta è chiusa. Celso esita, poi<br />
s’avvicina e l’apre, sporgendosi all’interno: ma Mondo<br />
non c’è. Richiude, scuotendo la testa: proprio non capisce<br />
il comportamento di Mondo.<br />
211
– Allora? – sibila in direzione dell’ispettore, ed entra<br />
nel suo ufficio.<br />
– Commissario, – risponde finalmente Marini, seguendo<br />
Celso, – ci sono le impronte di Lorenzo Messa<br />
sulla bambola.<br />
Celso ha imparato in fretta (checché ne dica Mondo)<br />
ad aspettare con pazienza che le cose seguano il loro<br />
corso, a volte precipitosamente, altre con lentezza esas<strong>per</strong>ante,<br />
<strong>per</strong>ò mai in maniera limpida e lineare, tanto<br />
meno indolore. E la morte, più di ogni altra vicenda, rimette<br />
in discussione la vita che continua, seppure con<br />
uno scarto doloroso. È stata la morte di Lorena ad insegnargli<br />
quella paziente accettazione, e ora, nel silenzio<br />
della stanza che amplifica il significato delle parole di<br />
Marini, avverte la tensione sciogliersi dentro di sé - come<br />
se la presenza delle impronte di Lorenzo Messa sulla<br />
bambola, non l’avesse sorpreso né deluso - e guarda<br />
vacuamente l’ispettore che se ne sta ritto di fronte a lui:<br />
il corpo vigoroso teso, con la testa leggermente buttata<br />
di lato, e gli occhi luminosi stretti in uno sguardo ora vibrante,<br />
acuto, che lo scrutano obliqui, in attesa della<br />
sua reazione.<br />
– Il cerchio inizia a stringersi, – si limita a commentare<br />
Celso, in tono neutro.<br />
– Il referto è nella prima cartelletta sulla scrivania, –<br />
interviene Marini. – Sulla bambola c’è anche un altro<br />
tipo di impronte, ma non sono identificabili.<br />
– Certo, – riprende Celso, quasi fra sé e sé, – le im-<br />
212<br />
pronte sono soltanto un indizio, ma ora Lorenzo Messa<br />
dovrà darci questa e altre spiegazioni, – conclude, sedendosi<br />
alla scrivania.<br />
Il bussare alla porta, nonostante sia a<strong>per</strong>ta, attira la<br />
sua attenzione: solleva lo sguardo mentre l’ispettore si<br />
volta verso l’ingresso della stanza. Mondo è fermo sulla<br />
soglia. Rimane immobile ancora <strong>per</strong> un poco, poi entra.<br />
– Mondo! – esclama Celso, balzando in piedi.<br />
– Non credo che Lorenzo Messa sia disposto a dare<br />
spiegazioni. Di nessun genere, – attacca seccamente<br />
Mondo, mentre avanza malfermo sulle gambe verso la<br />
scrivania di Celso. Marini si fa da parte <strong>per</strong> lasciarlo<br />
passare. Per un attimo sembra di aver davanti il solito<br />
Mondo sicuro di sé, pungente e intrattabile, ma non è il<br />
solito Mondo questo che si trascina con passo incerto,<br />
quasi barcollante, nell’ufficio di Celso, e che indossa<br />
un giubbotto sgualcito che gli ricade sulle spalle - come<br />
se ogni muscolo avesse <strong>per</strong>so la naturale tensione - con<br />
un sorriso leggero e misterioso che rende evanescenti le<br />
occhiaie profonde.<br />
– È da ieri che ti cerchiamo, Mondo, – l’apostrofa<br />
Celso, con tono aggressivo. – Si può sa<strong>per</strong>e dov’eri finito?<br />
Mondo tace. Si siede sulla sedia di fronte alla scrivania<br />
come se Celso si stesse rivolgendo a qualcun altro,<br />
e spinge con forza il busto contro lo schienale. Non<br />
cessa di guardare in faccia il commissario Renzi e con-<br />
213
serva quel sorrisino insistente che getta una luce calma<br />
e disarmante sul suo viso, una calma che induce Celso<br />
a sedersi.<br />
– Hai sentito quel che ha detto Marini? – domanda<br />
ora Celso, cercando di controllare l’irritazione nei confronti<br />
di Mondo. Che annuisce, e sorride.<br />
– Ci sono le impronte di Lorenzo Messa sul corpo<br />
della bambola, – rimarca Celso.<br />
– Sì, ci sono le impronte di Lorenzo, – ripete Mondo<br />
che ora distoglie lo sguardo dal commissario. – E la<br />
bambola era di Bibi. Della sorella di Lorenzo.<br />
Celso lo punta, sporgendosi in avanti sulla scrivania:<br />
– Aspetta, Mondo: le impronte sono di Lorenzo Messa,<br />
e la bambola era della sorella? E tu come fai a sa<strong>per</strong>lo?<br />
– gli chiede, concentrando lo sguardo nei suoi occhi,<br />
che lo evitano ancora, ma poi ritornano su di lui<br />
placando la rabbia nello sguardo di Celso. Mondo tace:<br />
sorride, e sta in silenzio. Volge lentamente lo sguardo<br />
verso Marini, poi ritorna di nuovo su Celso.<br />
– Marini, <strong>per</strong> favore, ci lasci soli, – ordina il commissario.<br />
L’ispettore annuisce senza convinzione, butta un’occhiata<br />
<strong>per</strong>plessa e sprezzante nei confronti del vice<br />
commissario prima di uscire dalla stanza.<br />
La luce filtra debolmente dalla finestra alle spalle di<br />
214<br />
Celso: attraversa i vetri carichi di pioggia, e ricade sul<br />
pavimento con una carezza leggera, soffusa, che dà al<br />
giorno il tono malinconico della sera. È la fine dell’autunno<br />
che s’avvicina. Celso si assesta sulla sedia, senza<br />
nascondere il disagio che all’improvviso avverte nel ritrovarsi<br />
faccia a faccia con Mondo: una situazione non<br />
insolita, ma che ora lo rende incapace di dominare le<br />
sensazioni che si agitano dentro di lui. E quel sorrisino<br />
enigmatico di Mondo, poi, che magnetizza i pensieri e<br />
li annoda in un garbuglio, gli sembra un ghigno, sì, una<br />
smorfia consapevole, <strong>per</strong>sino cinica nella serenità che<br />
emana. E non capisce cosa voglia dire.<br />
– Sono stanco dei tuoi misteri, – attacca Celso, e la<br />
voce gli scivola via stanca, arresa di fronte al silenzio di<br />
Mondo. – Sparisci <strong>per</strong> un giorno, anzi, quasi due, non<br />
rispondi al telefono, e il tuo cellulare è sempre spento.<br />
All’improvviso ritorni, e ora guardati: sei in condizioni<br />
da far paura… Insomma, si può sa<strong>per</strong>e cosa ti sta succedendo?<br />
Mondo s’incupisce di colpo, serra le labbra e il sorrisino<br />
vola via. Il silenzio ritorna tra loro, fragile e denso,<br />
un mare vischioso nel quale si agitano debolezze e marciume.<br />
– Allora, – riprende Celso, – vuoi spiegarmi come fai<br />
a sa<strong>per</strong>e che la bambola era della sorella di Lorenzo<br />
Messa?<br />
Mondo si muove sulla sedia, affonda la mano nella tasca<br />
del giubbotto e tira fuori il tutù di tulle e raso, e lo<br />
215
mira prima di posarlo sulla scrivania con un gesto delicato,<br />
quasi trattenuto.<br />
– È della bambola, – spiega. Celso l’osserva in silenzio:<br />
non tradisce sorpresa, attende solo che Mondo prosegua.<br />
– L’ho trovato nella stalla abbandonata, dietro il<br />
capannone, nell’ovile di Pala Mortis. Era dentro un sacco<br />
<strong>per</strong> la spazzatura, sotto un mucchio di altri sacchi.<br />
Come se qualcuno avesse cercato di nasconderlo.<br />
– E tu? Cos’altro nascondi? – insiste Celso, serio,<br />
stringendo le mani una dentro l’altra.<br />
Di nuovo silenzio.<br />
– È strano come si possa rimanere affezionati alle piccole<br />
cose dell’infanzia, – Mondo parla con voce assorta<br />
e confidenziale che spiazza Celso. – Sai, io conservo ancora<br />
la trottola che mi fece mio nonno, e non so neppure<br />
io <strong>per</strong> quale ragione ho conservato proprio quel giocattolo<br />
piuttosto che un altro. Non ricordo che andassi<br />
matto <strong>per</strong> giocarci. Ma è solo un ricordo, appunto, e<br />
pure debole, sbiadito. Però, ogni volta che apro il cassetto<br />
dove la tengo, e la vedo là, con lo spago accanto,<br />
pronta a essere lanciata di nuovo e a girare e girare, i ricordi<br />
si illuminano, e mi viene voglia di riprenderla, di<br />
arrotolarle lo spago attorno e di scagliarla con forza.<br />
Ma non assecondo quel desiderio: ho paura di non esserne<br />
più capace. La cosa che più mi catturava - ecco il<br />
ricordo chiaro - era vedere la trottola che lentamente<br />
<strong>per</strong>deva velocità, continuava a girare sbilenca, ubriaca<br />
sulla punta d’acciaio, e di colpo si coricava e smetteva<br />
216<br />
di girare, come una danzatrice esausta che crolla sul<br />
palco. La fissavo a lungo, deluso - ma era paura, in realtà<br />
- cercando di escogitare un sistema che impedisse di<br />
farla smettere di girare.<br />
Mondo si ferma, riprende in mano il tutù da sopra il<br />
piano della scrivania, e aggiunge:<br />
– Chissà <strong>per</strong>ché Bibi aveva conservato proprio quella<br />
bambola. Forse le somigliava. E chissà quali ricordi le<br />
riportava alla mente. Ma la prima volta che la vidi sul<br />
letto, nella camera di Bibi, imprigionata dentro questo<br />
assurdo tutù, fu anche l’ultima.<br />
Celso è ammutolito. Mondo non gli ha mai parlato in<br />
quel modo: a cosa serve parlare tra loro di ricordi il cui<br />
effetto è proiettare un’ombra confusa sul presente?<br />
Dov’è il nesso con Lorenzo Messa, con l’omicidio di<br />
Giommaria Dore?<br />
– Da come parli, sembrerebbe che fra te e Bibi ci fosse<br />
qualcosa di più di una semplice conoscenza, – osserva<br />
poi.<br />
Mondo annuisce:<br />
– Sì, ma è una vecchia storia. Ormai è una vecchia<br />
storia, – sottolinea.<br />
– Sai, quando sei arrivato qui ti ammiravo, – continua<br />
Mondo. – Eri più giovane di me ma già così saggio: affrontavi<br />
un mondo del tutto nuovo <strong>per</strong> te, quasi in punta<br />
di piedi, con una leggerezza solo apparente. Certo, lo<br />
smarrimento, se non la paura, ti si leggeva in faccia. Ma<br />
proprio la tua faccia era come un libro a<strong>per</strong>to, e riuscivi<br />
217
a essere sincero con te stesso e col mondo, come se né la<br />
violenza né la sofferenza che pure accompagnano il nostro<br />
lavoro fossero state capaci di offendere la tua freschezza.<br />
In una cosa mi assomigliavi: la testardaggine.<br />
Solo che la tua era un’ostinazione diversa dalla mia: paziente,<br />
calma, <strong>per</strong>sino lucida. E dietro c’era una forza<br />
di volontà incrollabile, ma che sapeva guardare in faccia<br />
anche le debolezze. Quelle che io non ho mai concesso<br />
né ammesso a me stesso. Forse era <strong>per</strong> questo che<br />
i colleghi non avevano grande stima di te: non eri abbastanza<br />
duro e cinico, e non saresti rimasto a lungo qui.<br />
– È quello che hai sempre pensato anche tu, no? – interviene<br />
Celso.<br />
– Sì. Ma forse mi sono sbagliato.<br />
– Non mi hai mai parlato in questo modo, Mondo.<br />
– Aspetta, lasciami continuare. – Mondo stringe il tutù<br />
tra le mani, e abbassa lo sguardo. Ma anche se non<br />
vede i suoi occhi, Celso <strong>per</strong>cepisce la tensione che lo<br />
scuote, e la fatica con la quale le parole si fanno strada<br />
dentro di lui. E aspetta che continui.<br />
– Per un po’ di tempo ti ho <strong>per</strong>sino invidiato, sai. E<br />
parlavo di te a Lorena con entusiasmo ingenuo, sciocco.<br />
Lei ascoltava in silenzio, nessun commento, nessun<br />
apprezzamento. Ascoltava e basta. Senza guardarmi<br />
negli occhi. Ma era da tempo che non mi guardava più<br />
veramente, e quando lo faceva era soltanto <strong>per</strong> dirmi<br />
una bugia obbligata, che io conoscevo già. Tu le hai dato<br />
soltanto il coraggio di ammettere a se stessa che tra<br />
218<br />
noi era finita, e poi dirlo chiaramente a me. Ma non ne<br />
faccio una colpa né a te né a lei. Però vi ho odiato.<br />
– Lo sapevo che prima o poi l’avresti detto.<br />
– No. Non interrom<strong>per</strong>mi.<br />
– Sono cose passate, Mondo.<br />
– No. No. Lascia che ti dica queste cose. In un primo<br />
tempo ti ho odiato, sì, e ho odiato anche lei, ma non <strong>per</strong><br />
la ragione che credi. Non mi sono sentito tradito, allora,<br />
non si può tradire un amore che non c’è. E ho dimenticato<br />
in fretta Lorena. Giorno dopo giorno, nel silenzio<br />
vuoto che mi imprigionava e mi toglieva ogni<br />
forza, non era lei a mancarmi: sentivo riaprirsi ferite<br />
vecchie, sepolte sotto uno strato di menzogne silenziose<br />
che ora scricchiolava, e io ascoltavo impotente mentre<br />
si lacerava. Erano rimaste nascoste a marcire, ma<br />
frementi, pronte a fare ancora male all’occasione giusta,<br />
come ferite appena inferte. E quell’occasione, alla<br />
fine, è arrivata con Lorena, con te.<br />
Mondo zittisce, solleva lo sguardo dilatato verso Celso.<br />
Lui avverte il fremito che <strong>per</strong>corre quegli occhi in un<br />
lampo di smarrimento, e spinge ancora con forza contro<br />
lo schienale in un movimento irriflesso, nervoso.<br />
– Quelle ferite erano l’amore <strong>per</strong> Bibi, – riprende<br />
Mondo, con convinzione lucida. – È strano come si rimanga<br />
tenacemente appigliati ai propri sentimenti anche<br />
quando i legami sono spenti, inaciditi. È una fedeltà<br />
insensata, stupida, quasi vigliacca, ma allora non era così.<br />
No. Quattro anni insieme a Lorena, e Bibi era sem-<br />
219
pre lì, nell’ombra, presente come una colpa, una colpa<br />
che non potevo accettare. In tutti questi anni ho finto<br />
bene con me stesso, ma ora… l’omicidio di Giommaria<br />
Dore, la bambola esposta sul cancello come un’accusa<br />
diretta, dalla quale non c’è scampo, la stanza di Bibi così<br />
svuotata dei suoi colori, delle sue emozioni…<br />
Celso scruta il viso di Mondo stranito ora da una<br />
smorfia di stanchezza: sembra <strong>per</strong>so, incapace di dare<br />
un senso compiuto ai pensieri che si accavallano, sfuggono,<br />
deviano, e stentano a trovare una conclusione<br />
coerente. Ma tace.<br />
– Lei, – riprende Mondo, con lo stesso tono <strong>per</strong>suaso<br />
– mi aveva condotto nel suo mondo in modo travolgente,<br />
e proprio nel momento in cui avevo creduto di esserne<br />
parte, mi ha allontanato, mi ha respinto con freddezza,<br />
come se mi odiasse <strong>per</strong> aver profanato il suo mondo<br />
col mio amore, e senza capire quanto fosse grande la<br />
sofferenza che così provocava. A volte, sai, ho avuto la<br />
sensazione chiara, precisa che il nostro rapporto sarebbe<br />
finito all’improvviso, senza una vera ragione. Ma un<br />
po’ <strong>per</strong> amore, un po’ <strong>per</strong> paura, trovavo la forza di<br />
cancellare quella sensazione. Dapprima il dolore <strong>per</strong><br />
averla <strong>per</strong>sa mi paralizzava, poi in un lampo, ha indebolito<br />
e sfiorito l’amore <strong>per</strong> lei. – Adesso Mondo s’infervora,<br />
parla in tono concitato. – Ora l’acuiva, ora lo<br />
rendeva inutile, trascinandomi in un vortice di rabbia<br />
dura e cattiva. E tutto che ciò che rimaneva dell’amore<br />
era un solo orribile desiderio.<br />
220<br />
Celso non resiste oltre a star seduto, e mentre Mondo<br />
tace, si leva in piedi e va verso la finestra. C’è una<br />
leggerezza nella luce opalescente che attraversa il cielo<br />
- è un barlume rassicurante: al di là delle nuvole, raggomitolate<br />
una contro l’altra, c’è il sereno - e ora che il<br />
vento è calato, agita mollemente l’aria e le foglie sui<br />
platani, lungo il marciapiede. Dietro le trame della<br />
pioggia tutto all’esterno dell’ufficio sembra essere al<br />
proprio posto: le macchine che scivolano via sotto i<br />
suoi occhi, s’incrociano, si fermano ai semafori, ripartono<br />
frettolose; le panchine vuote sul marciapiede, su<br />
cui si posano soltanto foglie ingiallite, grandi quanto<br />
una mano a<strong>per</strong>ta e avvizzita, mentre altre, lungo il<br />
marciapiede, vengono trasformate in una poltiglia fangosa<br />
dall’acqua e dal calpestio dei pochi passanti.<br />
Sembrano portare enormi cappelli con gli ombrelli colorati<br />
che svettano obliqui sulle teste. E vanno e vengono<br />
in un movimento obbligato e circolare, il cui ritmo<br />
è dettato dall’autunno: attenti a non scivolare sulla pavimentazione<br />
resa viscida dalla pioggia e dalla fanghiglia,<br />
stringete forte l’ombrello <strong>per</strong> il manico e assecondate<br />
docilmente il vortice del vento, o sarete costretti a<br />
cambiare passo, a danzare su voi stessi <strong>per</strong> pararne i<br />
colpi, col rischio di crollare a terra, proprio come una<br />
danzatrice esausta.<br />
– Quale desiderio, Mondo? – chiede, mentre un’improvvisa<br />
ventata sorprende la vecchia che ora passa sul<br />
marciapiede, sotto i suoi occhi: il vento capovolge il<br />
221
cappello del parapioggia, inarca le stecche e strappa la<br />
tela, e lui segue la donna con lo sguardo mentre cerca di<br />
difendersi, volteggia, ritorna indietro di alcuni passi e<br />
agita l’ombrello nell’aria come un’impacciata schermitrice,<br />
finché riesce ad assecondare il vento e si ferma,<br />
sconfitta, sotto la pioggia, a mirare lo scheletro ormai<br />
piegato, la tela sgonfia come una vela nera strappata.<br />
– È così difficile dirlo, Celso.<br />
Mondo volta lo sguardo in direzione della finestra. Si<br />
è fatto più buio ora che Celso scherma la luce dandogli<br />
le spalle.<br />
– Quale desiderio, Mondo? – chiede di nuovo Celso,<br />
mentre la vecchia scompare alla vista.<br />
– Vendicarmi, Celso. Vendicarmi di lei, – risponde<br />
Mondo, e continua a fissare Celso. Ma lui non si volta.<br />
– Andiamo, Mondo: chi più chi meno, tutti una volta<br />
nella vita hanno un desiderio simile.<br />
– No, Celso, no. Non capisci.<br />
– Allora fammi capire tu, – lo esorta Celso, voltandosi<br />
verso di lui.<br />
– Sai che penso in questo momento? Che se uno arriva<br />
a desiderare la vendetta, è <strong>per</strong>ché ha toccato il fondo<br />
di se stesso. E sai <strong>per</strong>ché?<br />
Celso fa cenno di no scuotendo la testa.<br />
– Perché non parlo della rabbia istintiva di vendicarsi<br />
<strong>per</strong> il dolore che hai sofferto, e che rimane il desiderio<br />
di un attimo di accecamento provocato appunto<br />
dal dolore, ma poi passa. No, io parlo del<br />
222<br />
rancore profondo, vero, che non muore. Un risentimento<br />
che costringe ad agire <strong>per</strong> liberarti dalla sofferenza<br />
con l’offesa.<br />
Celso si volta e fissa ora Mondo sbigottito, accenna a<br />
muoversi verso di lui, ma ritorna sui suoi passi, e s’appoggia<br />
contro la finestra, lasciando ricadere la testa all’indietro.<br />
Il vetro è freddo, e dallo spiffero, un alito di<br />
vento soffia tra i capelli. Rabbrividisce.<br />
– Ora capisco, – dice.<br />
– Ricordi la mattina in cui Lorenzo Messa si è buttato<br />
dalla finestra, nella camera di Bibi? Certo, come potresti<br />
non ricordare, – riprende Mondo. – Nel momento<br />
in cui Antonio Messa ha a<strong>per</strong>to la porta e ho rivisto la<br />
stanza, la sua stanza, è stato come se il tempo m’avesse<br />
ricacciato con violenza nel fondo di me stesso: il letto,<br />
lo stendardo con il volto estasiato di Santa Rita, lo specchio<br />
con le rose rosse dipinte da Bibi sulla cornice, con<br />
tocco infantile. Sono rimasto sulla soglia paralizzato<br />
dalla paura di entrare… Ma dovevo ritornare in quella<br />
stanza, e l’ho fatto: quella stessa mattina - mentre tu<br />
aspettavi che arrivasse l’ambulanza <strong>per</strong> Lorenzo Messa<br />
- e poi ieri. Dovevo entrare, e respirare di nuovo la freschezza<br />
di Bibi, lasciarmi coinvolgere nel gioco a distanza<br />
delle sue contraddizioni, lasciare che ancora una<br />
volta il suo ricordo mi respingesse, mi umiliasse. Mi lasciasse<br />
solo a frugare tra i ricordi ancora vivi, ma che restituivano<br />
un mondo di s<strong>per</strong>anze vecchie: parole, immagini,<br />
gesti come parti di un puzzle impazzito, che io<br />
223
non ero capace di ricomporre. Solo pezzi inconciliabili.<br />
Come quelli della cartolina stracciata che ho trovato<br />
sul suo letto, quella mattina.<br />
– Di quale cartolina parli? – l’interrompe Celso.<br />
– Quale cartolina, Mondo? – insiste, con un sussulto<br />
di impazienza nella voce.<br />
– La cartolina l’avevo spedita io a Bibi, da Roma. Cinque<br />
giorni prima che lei andasse via. E qualcuno l’ha<br />
fatta a pezzi.<br />
– E chi, Mondo?<br />
– Non so. Forse Lorenzo Messa, visto che, quella<br />
mattina, lui era nella stanza.<br />
– E <strong>per</strong> quale ragione Lorenzo Messa avrebbe dovuto<br />
stracciarla?<br />
– Non lo so, Celso. Non lo so.<br />
– Però hai pensato bene di nasconderla. Perché?<br />
– Temevi forse che qualcuno potesse risalire a te?<br />
– No.<br />
– No?<br />
– Il mio nome era stato cancellato, forse da Bibi. Così<br />
anche le poche parole che le avevo scritto.<br />
– E allora <strong>per</strong>ché nasconderla, Mondo?<br />
Tace di fronte all’incalzare delle domande di Celso.<br />
Che insiste:<br />
– E adesso dov’è la cartolina?<br />
– L’ho gettata via.<br />
Celso si scosta dalla finestra con un colpo deciso di<br />
reni, e con altrettanta decisione avanza sino alla scriva-<br />
224<br />
nia. Sbatte le mani sul piano e, sporgendosi in avanti,<br />
ficca gli occhi in quelli di Mondo.<br />
– Hai sottratto e nascosto prima il tutù che dici essere<br />
della bambola trovata sul cancello, – gli soffia in faccia,<br />
– e ti ricordo che su quella bambola ci sono le impronte<br />
di Lorenzo Messa. Poi la cartolina che era sul letto nella<br />
stanza di Bibi, proprio la mattina in cui lui si è gettato<br />
dalla finestra appena ci ha visto entrare. E come se non<br />
bastasse, ora dici di averla buttata via. Ti rendi conto di<br />
quello che hai fatto? Due indizi che potevano essere rilevanti<br />
<strong>per</strong> capire chi ha ucciso Giommaria Dore, e tu<br />
che fai? Li getti al vento, come se non t’importasse.<br />
Mondo annuisce appena.<br />
– Tutto questo non ha importanza <strong>per</strong> me, – dice.<br />
– Ah sì? Allora, di che cosa t’importa? Dimmelo tu.<br />
Celso si tira su e, mentre aspetta che Mondo risponda,<br />
ritorna a sedersi alla scrivania.<br />
– Non ho capito subito che il tutù era il vestito della<br />
bambola sul letto di Bibi, – spiega sommessamente Mondo.<br />
– Era il piccolo, oscuro frammento di un ricordo<br />
che stentava a venire a galla. O ero io che, in un primo<br />
tempo, non volevo che riemergesse. Solo quando ho<br />
trovato la cartolina nella sua stanza, ho capito che tutto<br />
iniziava a precipitare, e io non potevo fare nulla <strong>per</strong> evitarlo.<br />
Quando poi l’avvocato Serra mi ha consigliato di<br />
lasciar <strong>per</strong>dere le indagini sull’omicidio di Giommaria<br />
Dore…<br />
– L’avvocato Serra? – interviene Celso. – “Ci manca-<br />
225
va solo lui a rendere la cosa più complicata” osserva<br />
dentro di sé. – E <strong>per</strong> quale ragione ti avrebbe dato un<br />
consiglio simile? – chiede.<br />
– Perché lui sapeva tutto.<br />
– Tutto cosa, Mondo?<br />
– La storia di una bambina e della sua bambola, una<br />
storia che io conosco meglio di lui: la storia di Bibi.<br />
– Vuoi dire che tu e l’avvocato conoscete chi è l’omicida<br />
di Giommaria Dore, e <strong>per</strong>ché ha ucciso?<br />
Mondo nega, scuotendo energicamente la testa.<br />
– No. Non è questo. Sarebbe tutto più semplice se la<br />
<strong>verità</strong> si limitasse a questo.<br />
– Non credo che sia davvero così semplice come dici.<br />
Certo, potremo anche limitarci a ricostruire i fatti, e sarebbe<br />
semplice a questo punto. Basta rifletterci un attimo,<br />
ecco: Giommaria Dore viene ucciso nell’ovile dei<br />
Messa, chi lo uccide si accanisce contro di lui con odio,<br />
e accanto al cadavere mette la testa e il corpo di una<br />
bambola: la presenza della bambola ha un significato<br />
preciso <strong>per</strong> l’assassino. Non ritroviamo l’arma con cui<br />
Giommaria Dore è stato ucciso, ma ci sono le impronte<br />
di Lorenzo Messa sulla bambola. Ora, l’omicida doveva<br />
sa<strong>per</strong>e a chi apparteneva la bambola: a Bibi, la sorella<br />
di Lorenzo. Così come doveva conoscere l’esistenza<br />
di un legame tra Giommaria Dore e Bibi. E chi poteva<br />
sa<strong>per</strong>lo se non colui che intendeva punire la vittima <strong>per</strong><br />
qualcosa che aveva fatto a Bibi? Se così non fosse, <strong>per</strong>ché<br />
avrebbe dovuto usare proprio quella bambola e<br />
226<br />
non un’altra? Giommaria Dore, la bambola, Bibi, Lorenzo:<br />
e qui la logica si ferma, Mondo. Manca un piccolo,<br />
decisivo elemento. Il movente, Mondo, il vero movente<br />
<strong>per</strong> cui Lorenzo ha ucciso.<br />
Gli occhi di Mondo guizzano da sotto in su, ma rivolgono<br />
a Celso uno sguardo spento e distante.<br />
– E poi c’è questa ragazza: Bibi, – prosegue Celso, –<br />
che si agita come un’ombra attorno a noi, e la cui improvvisa<br />
scomparsa dal paese s’intreccia continuamente,<br />
ostinatamente con tutta la vicenda. E <strong>per</strong>ché?, ti<br />
chiedo. Sì, lo chiedo a te, <strong>per</strong>ché ho la sensazione che tu<br />
sappia <strong>per</strong> quale ragione lei sia andata via da Elisùa,<br />
senza più ritornare.<br />
Mondo tace, lascia scorrere tra loro il silenzio a cui<br />
ora vorrebbe aggrapparsi, ma è un appiglio ormai debole,<br />
impalpabile, e allora si alza lentamente in piedi,<br />
con ancora il tutù sul palmo della mano. E lo posa sulla<br />
scrivania - con lo stesso delicato gesto di prima - sotto<br />
gli occhi di Celso.<br />
– Ecco: questo era il vestito della sua bambola, – dice<br />
ancora una volta, e ritorna a sedersi, afflosciandosi<br />
contro lo schienale della sedia. E incrocia le braccia<br />
contro al petto: sembrano affondare nel giubbotto<br />
stazzonato che puzza di fumo.<br />
– Hai detto bene prima, – riprende. – Non ti ho mai<br />
parlato in questo modo, è vero, e non mi ero immaginato<br />
di arrivare al punto di dover dire queste cose, e di<br />
dirle proprio a te. Cose che occorre dire a se stessi pri-<br />
227
ma che ad altri. – Mondo si ferma, scuote la testa prima<br />
da una parte poi dall’altra, infine la butta all’indietro<br />
con uno scatto brusco. Sul collo scuro, i peli brizzolati<br />
brillano, punte di aghi che luccicano alla luce debole<br />
della stanza. E con gli occhi ora segue nell’aria un movimento<br />
impalpabile. – In questi ultimi due giorni sono<br />
stato a Elisùa. Sono ritornato nella stanza di Bibi: qualcuno<br />
l’ha ripulita e messa in ordine, come se volesse<br />
cancellare definitivamente ogni traccia della sua presenza.<br />
Poi mi sono fermato a lungo nella vecchia casa<br />
abbandonata, accanto a quella dei Messa, e ho ricordato<br />
il vecchio Maganza che l’abitava, il suo sorriso sereno,<br />
e la rabbia segnata sul viso con la quale aveva lottato<br />
contro la morte; e sono rimasto a guardare il cielo azzurro<br />
attraverso il buco del tetto, sfondato dalla caduta<br />
di Lorenzo. Ho visto Antonio Messa, concentrato sul<br />
coltello che affilava con attenzione, e poi scegliere con<br />
altrettanta cura una radice fra tante, e prepararsi a scavarla<br />
come se volesse cavarne l’anima, dal legno. Ho<br />
vagato <strong>per</strong> le vie del paese, e in tasca avevo il tutù della<br />
bambola e i frammenti della cartolina. Ho camminato<br />
e camminato, sono arrivato alla casa di mio nonno, con<br />
il parco abbandonato che l’ingabbia, e la rende così grigia<br />
e vecchia. Stanca. E ho trascorso l’intera notte a lottare<br />
con la coscienza, e infine ad abbracciarla <strong>per</strong> aver<br />
ritrovato il coraggio della <strong>verità</strong>. Eppure mi è ancora<br />
difficile dirla a voce alta.<br />
– Celso, sono stato io a uccidere Giommaria Dore.<br />
228<br />
Celso sussulta sulla sedia, poi, confuso, cerca di controllare<br />
la tensione che erompe dal suo corpo.<br />
– Cosa stai dicendo, Mondo? È… è assurdo.<br />
– Aspetta, lascia che ti spieghi. Con calma, sì, con<br />
calma, ma in fretta: bastano poche parole, – sussurra<br />
Mondo a se stesso, senza riuscire a mascherare l’agitazione<br />
che gli spezza la voce. – Sulla cartolina che spedii<br />
a Bibi non avevo trovato altro che scrivere stupidamente<br />
Ti amo, ma sapevo che non era più così: era un<br />
amore che era già rabbia, risentimento. Avevo deciso<br />
di punirla, umiliarla, ma non l’avrei fatto io, <strong>per</strong>ché in<br />
questo modo lei non avrebbe neppure capito chi, in<br />
realtà, le infliggeva il dolore che avrebbe sofferto. E<br />
chi più di Giommaria Dore era adatto al mio scopo?<br />
Era un uomo senza scrupoli, disposto a fare la spia <strong>per</strong><br />
avidità e ritorsione, e <strong>per</strong> questo lo disprezzavo. Ma<br />
era in debito con me: io ero il suo protettore, ma gli<br />
concedevo qualche piccolo, indispensabile peccato.<br />
Mondo tace, ora. Chiude gli occhi, affaticato.<br />
– Fammi capire, Mondo, – interviene Celso. – Cosa<br />
avrebbe dovuto fare Giommaria Dore alla ragazza?<br />
– Che cosa fece Giommaria Dore a Bibi?<br />
– La violentò. La violentò nella sua stanza, su quello<br />
stesso letto sul quale avevamo fatto l’amore la prima e<br />
unica volta, e lei mi aveva respinto, odiato, escluso dalla<br />
sua vita.<br />
229
C’è una banalità disarmante nella <strong>verità</strong> di Mondo.<br />
Un rigurgito di violenza che zittisce, e sovverte la prospettiva<br />
delle cose in modo definitivo, e doloroso. In<br />
quel silenzio che inghiotte ogni parola detta, che immobilizza<br />
i due uomini uno di fronte all’altro - incapaci<br />
di misurare la fragilità che ora unisce le loro anime -<br />
s’insinua lo scricchiolare dell’acqua sospinta dal vento<br />
contro i vetri. Ancora pioggia. Ancora vento.<br />
– Senti come la pioggia picchietta sui vetri? – chiede<br />
Mondo con voce calma e profonda. Un’ala sorridente<br />
sfiora di nuovo le sue labbra, e gli illumina il viso.<br />
Celso volta lo sguardo verso la finestra. “Sì” vorrebbe<br />
rispondere, ma tace. Vorrebbe assecondare la leggerezza<br />
del pensiero di Mondo, abbandonarsi con lui al<br />
crepitare dell’acqua sui vetri, alzarsi, e dalla finestra abbracciare<br />
con uno sguardo la vita che scorre sotto la<br />
pioggia. Ma non può, e rimane seduto, sfuggendo la levità<br />
del sorriso di Mondo.<br />
– È successo prima che tu conoscessi Lorena, hai detto.<br />
Mondo accenna un sì, scuotendo la testa.<br />
– Quanti anni sono passati, Mondo?<br />
– Nove.<br />
– E tu, in tutti questi anni…<br />
– No, – l’interrompe Mondo, con tono inaspettatamente<br />
brusco. – Non chiedermi <strong>per</strong>ché ho taciuto in<br />
tutti questi anni.<br />
– Ma se Giommaria Dore non fosse stato ammazzato,<br />
avresti continuato a tacere?<br />
230<br />
Il sorriso di Mondo si smorza lentamente in un ghigno<br />
sorpreso, che lo tradisce, e cerca di assestarsi sulla<br />
sedia come meglio può, come se cercasse di recu<strong>per</strong>are<br />
l’equilibrio dopo un passo falso: dove lo sta conducendo<br />
Celso?<br />
– E l’avvocato Serra, Mondo? Hai detto che sapeva<br />
tutto.<br />
– Giommaria, – dice Mondo stancamente. – Giommaria,<br />
– ribadisce ancora più debolmente.<br />
– Già. È possibile, – conviene Celso. E zittisce. – Chi<br />
altri avrebbe potuto raccontargli quel che era accaduto?<br />
– riprende, dopo un po’, assorto. Ma il suo pensiero<br />
corre altrove, lontano, verso il mare gonfiato dalla pioggia,<br />
annerito dal cielo carico di nuvole fuligginose che<br />
imprigionano la luce, il calore. E spinge il pensiero più<br />
in là, sino alla strozzatura in cui acqua e cielo si confondono:<br />
l’amore e la paura. Bibi. E l’uomo appeso al cancello<br />
col petto gonfio di sangue, e Mondo.<br />
– Mondo! – esclama ora con trattenuta veemenza.<br />
– Hai pensato che chi ha ucciso, ignorava che dietro<br />
Giommaria Dore c’eri tu? Perché se l’avesse saputo…<br />
Ecco l’altra faccia della <strong>verità</strong>, ecco il limite verso il<br />
quale Celso l’ha spinto con una sottile durezza che non<br />
gli conosce, e al quale lui non aveva pensato di arrivare.<br />
Un limite di fronte al quale la sua confessione è uno<br />
stanco riflesso della coscienza.<br />
Bibi avrebbe riso nel vederlo così, ma poi, subito, si<br />
231
sarebbe voltata dall’altra parte e sarebbe andata via.<br />
“Lasciami solo” le direbbe lui ora: si sente pronto <strong>per</strong><br />
una grande sconfitta.<br />
232<br />
La sedia accanto al letto ora è vuota: Anna non è venuta<br />
stamattina, non ancora. Lorenzo ne aveva colto<br />
più volte i sospiri durante la notte, e il frusciare dei vestiti<br />
nell’agitarsi, trattenuto, sulla sedia - come se stesse<br />
conducendo una lotta incerta contro il suo silenzio.<br />
Doveva essere notte fonda quando Anna gli aveva rimboccato<br />
le lenzuola - benché non fosse necessario - e lui<br />
era rimasto immobile, allerta, sino a quando nella stanza<br />
era risuonato lo scatto della porta, che Anna si tirava<br />
cautamente dietro, dopo essere uscita dalla camera.<br />
“Anna” avrebbe voluto richiamarla, “Anna, non andare<br />
via” avrebbe voluto dirle, ma aveva taciuto. Era rimasto<br />
solo, col timore che lei non sarebbe ritornata più.<br />
Quello stesso timore continua ancora a bruciargli<br />
sotto la pelle come un presentimento insopportabile. -<br />
Ma Anna ritornerà - sì, ritornerà a chiedergli ancora<br />
una volta <strong>per</strong>ché si è buttato dalla finestra della camera<br />
di Bibi, e che cosa lo spinge a scappare via, e <strong>per</strong>ché si<br />
ostina a non dire nulla; una domanda dopo l’altra, arriverà<br />
sino in fondo, anche se lui tacerà, anche se lei, forse,<br />
ha già capito. Lui, alla fine, potrebbe cedere, ma so-<br />
233
lo <strong>per</strong> confessarle che il silenzio nel quale si chiude, a<br />
volte lo spaventa quanto spaventa lei: è una mano oscura<br />
che l’ammutolisce, violenta e caparbia come un<br />
istinto di sopravvivenza, e non c’è volontà che possa<br />
contrastarla. Sì, Anna tornerà in quella stanza, e il commissario,<br />
e il vice commissario, ma non avrà importanza<br />
quali domande faranno: lui risponderà con lo stesso<br />
silenzio cupo che era seguito alle parole di Bibi dopo<br />
avergli detto quel che Giommaria Dore le aveva fatto,<br />
con la promessa che non l’avrebbe detto a nessuno, e<br />
lui l’aveva giurato a Bibi - proprio lì, sul letto della sua<br />
stanza su cui sedevano la notte prima che lei partisse - e<br />
lei aveva giurato che non sarebbe più ritornata. E ora<br />
Lorenzo promette a se stesso che a ogni domanda, a<br />
ogni sguardo, a ogni accusa opporrà un silenzio duro,<br />
rabbioso, anche se dentro la voce continua a esplodere<br />
in un urlo feroce, come in quella notte di nuvole basse<br />
che si radunavano da ogni angolo del cielo, oscurando<br />
ogni luce: - Giommarì! - e lui, Giommaria, si era voltato,<br />
incredulo, ficcando gli occhi dritto nelle bocche del<br />
fucile. E aveva avuto appena il tempo di avvertire il dolore<br />
trasformarsi in paura.<br />
Chissà se l’avevano poi trovato il fucile. - No, no - diversamente,<br />
Anna glielo avrebbe detto o fatto capire, e<br />
a lei non sarebbe rimasto che porre un’ultima domanda:<br />
<strong>per</strong>ché aveva ucciso Giommaria Dore?, piuttosto<br />
234<br />
che fare strane considerazioni sull’infermità della madre,<br />
come aveva fatto la sera prima. Aveva parlato di<br />
colpa, di espiazione come se la malattia avesse avuto un<br />
senso oltre la sofferenza e la morte - Ma no, no - era un<br />
senso inafferrabile <strong>per</strong> lui che della madre conservava<br />
più di ogni altra l’immagine delle mani serrate a pugno,<br />
lungo i fianchi scarniti e spigolosi; un senso oscuro come<br />
il significato del sogno contro il quale lui ancora si<br />
dibatte, lotta, e soccombe. Una lotta inutile, un’estrema<br />
resistenza come quella del padre che ogni giorno scortica<br />
vecchie radici, leviga, appiana, intaglia, e <strong>per</strong> che cosa?<br />
Per crocifiggere il tempo, i ricordi? - Zitto, Lorè!<br />
Zitto - e serra le mani a pugno, chiudendo gli occhi.<br />
Se Bibi fosse tornata, lei sì che avrebbe saputo dare<br />
un senso a quelle croci nude, inchiodate alla parete calcinata<br />
del garage, che abbaglia a ogni tocco di sole. Sarebbe<br />
bastato il suo sorriso.<br />
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INDICE<br />
<strong>Verità</strong> <strong>per</strong> <strong>verità</strong><br />
11 I<br />
115 II<br />
207 III
Volumi pubblicati:<br />
Tascabili<br />
Grazia Deledda, Chiaroscuro<br />
Grazia Deledda, Il fanciullo nascosto<br />
Grazia Deledda, Ferro e fuoco<br />
Francesco Masala, Quelli dalle labbra bianche<br />
Emilio Lussu, Il cinghiale del Diavolo (2 a edizione)<br />
Maria Giacobbe, Il mare (3 a edizione)<br />
Sergio Atzeni, Il quinto passo è l’addio<br />
Sergio Atzeni, Passavamo sulla terra leggeri<br />
Giulio Angioni, L’oro di Fraus (2 a edizione)<br />
Antonio Cossu, Il riscatto<br />
Bachisio Zizi, Greggi d’ira<br />
Ernst Jünger, Terra sarda<br />
Marcello Fois, Sempre caro (2 a edizione)<br />
Salvatore Niffoi, Il viaggio degli inganni (2 a edizione)<br />
Luciano Marrocu, Fáulas (2 a edizione)<br />
Gianluca Floris, I maestri cantori<br />
D.H. Lawrence, Mare e <strong>Sardegna</strong><br />
Salvatore Niffoi, Il postino di Piracherfa<br />
Flavio Soriga, Diavoli di Nuraiò (2 a edizione)<br />
Giorgio Todde, Lo stato delle anime (2 a edizione)<br />
Francesco Masala, Il parroco di Arasolè<br />
Maria Giacobbe, Gli arcipelaghi (2 a edizione)<br />
Salvatore Niffoi, Cristolu<br />
Giulio Angioni, Millant’anni<br />
Luciano Marrocu, Debrà Libanòs<br />
Giorgio Todde, La matta bestialità (2 a edizione)<br />
Sergio Atzeni, Racconti con colonna sonora e altri «in giallo»<br />
Marcello Fois, Materiali<br />
Maria Giacobbe, Diario di una maestrina<br />
Giuseppe Dessì, Paese d’ombre<br />
Francesco Abate, Il cattivo cronista<br />
Gavino Ledda, Padre padrone<br />
Salvatore Niffoi, La sesta ora<br />
Jack Kerouac, L’ultima parola. In viaggio. Nel jazz<br />
Gianni Marilotti, La quattordicesima commensale<br />
Giorgio Todde, Ei<br />
Luigi Pintor, Servabo<br />
Marcello Fois, Tamburini<br />
Francesco Abate, Ultima di campionato<br />
Patrick Chamoiseau, Texaco<br />
Luciano Marrocu, Scarpe rosse, tacchi a spillo<br />
Alberto Capitta, Creaturine<br />
Romano Ruju, Quel giorno a Buggerru<br />
Peppinu Mereu, Poesie complete<br />
Maria Giacobbe, Le radici<br />
Patrick Chamoiseau, Il vecchio schiavo e il molosso<br />
Paolo Cherchi, Erostrati e astripeti<br />
Marcello Fois, Sangue dal cielo (2 a edizione)<br />
Giorgio Todde, Paura e carne (2 a edizione)<br />
Giulio Angioni, Alba dei giorni bui<br />
Aldo Tanchis, L’anno senza estate<br />
Roberto <strong>Concu</strong>, <strong>Verità</strong> <strong>per</strong> <strong>verità</strong><br />
Ricuore, testi di Massimo Carlotto, Raul Montanari, Enzo Fileno<br />
Carabba, Marcello Fois, Antonio Pascale, Carlo Lucarelli, Stefano<br />
Tassinari, Matteo Galiazzo, Giosuè Calaciura, Francesco Piccolo
Finito di stampare<br />
nel mese di giugno 2005<br />
dalla Tipolitografia ME.CA. - Recco (GE)