La Gallura una Regione Diversa in Sardegna - Servizi On Line

La Gallura una Regione Diversa in Sardegna - Servizi On Line La Gallura una Regione Diversa in Sardegna - Servizi On Line

28.05.2013 Views

Di solito lo stazzo ha struttura geometrica senza motivi ornamentali. I prospetti sono lineari, rigidi, spogli di elementi decorativi, privi di gronda. I lati a timpano non hanno mai porte e finestre. Il forno è costruito all’esterno, ma ha la bocca nella cucina. Gli ambienti quadrangolari sono la cucina, la cambara, l’appusentu. Al centro il focolare domestico, la zidda, ha la forma ovale o a ferro di cavallo, senza cappa o canna fumaria. Solo a fine ‘800 in molti stazzi è stata introdotta la ciminéa, il camino vero e proprio. Sempre solo a fine ‘800 il pavimento in terra battuta è stato in qualche caso sostituito da mattonelle rustiche quadrate, come pure, a migliorare lo spazio domestico lavorativo, è stato aggiunto lu pinnenti. Le tegole sono curve a canale. Verso le nostre marine gli ambienti non sono mai così ampi da richiedere l’arco in muratura a blocchetti granitici con chiave di volta, comune illi ‘iddi di supra, è solita invece la posa di una trave di legno molto incurvata, come appoggio intermedio per le traversine e le canne del tetto (la trai tolta). Talvolta l’ambiente domestico riserva uno spazio a una sorta di laboratorio per la fabbricazione di oggetti di uso quotidiano. In un angolo un banco da falegname con gli utensili di lu mastru d’ascia o mastru carraiu, oppure il deschetto con gli oggetti minuti del calzolaio, la piccola fucina (fraìli) del fabbro (frailaggjiu) il cui fuoco viene alimentato da una manovella. Ma è raro che il pastore abbia tutte le abilità a forgiare da sé gli oggetti necessari a svolgere il suo lavoro, anche perché alcuni sono abbastanza complicati, solitamente si rivolge a li massai di li ‘iddi di supra, agli artigiani dei villaggi più interni. Pur se vi sono molte analogie tra gli “insediamenti sparsi” della Gallura e della Corsica, tuttavia abbiamo visto che anche le abitudini del gallurese si “sardizzano”: lo stazzo consta in fondo di tre parti: la casa propriamente detta, la superficie arativa e soggetta al lavoro dell’uomo, l’area più distante lasciata a riposo e destinata al pascolo brado o in potere della landa e del bosco; così come nella cultura del villaggio a gestione collettiva si aveva: la ‘idda o borgo della comunità dei contadini, la vidazzone o ‘itazzona area coltivata collettivamente, il salto o spazio lontano lasciato ai ritmi della natura. Il ricorso poi alla circolarità degli ambienti e dei recinti, è caratteristica arcaica dell’architettura sarda, intaccata solo superficialmente da punici e romani. Prima del ‘700 non sono infrequenti gli abituri, detti cupóni, in pietrisco pali di ginepro e frasche, di forma rotonda. Numerosi sono gli spazi ordinati con una recinzione circolare, dalle funzioni diverse ed esterni all’abitazione del pastore: lu ‘accili, la mandra, lu mandrióni, lu chjostru, l’arrula; cui si aggiungono, con piante geometriche diverse: lu salcóni, la crina, la saùrra, lu sitàgliu. Lu ‘accili, il “vaccile”, ha un raggio sufficientemente ampio perché all’interno siano contenute le mucche i cui vitelli da latte, incapaci di badare a se stessi, durante la mungitura vengono legati muso contro muso alla madre perché stia tranquilla. In alcuni casi si rende necessario chiudervi alla sera li nueddi, “i giovenchi”, solitamente lasciati allo stato brado durante il giorno. Infatti quando i “giovenchi” devono essere assuefatti a portare il “giogo”, se non si mostrano docili agli ordini del pastore, vengono rinchiusi a digiuno, sperando in una loro diversa arrendevolezza nel giorno successivo. 7 Le pecore e le capre, sulle quali nella ore diurne vigila qualche ragazzo di famiglia, all’imbrunire sono rinchiuse separatamente nella mandra, recinto circolare fatto di frasche di olivastro e di lentisco mantenuto compatto da pali di ginepro, che spesso si orna di una tettoia di fortuna (loggja) a riparo dalla pioggia. Gli agnelli, che di giorno non si scostano dalle madri, alla sera vengono separati e custoditi illu chjòstru (“chiostro”), recinto di minori dimensioni, diviso dalla mandra con un cancelletto (‘jaca) o un filare di frasche. Anche lu chjòstru si serve di una tettoia spiovente verso l’esterno a convogliarvi l’acqua piovana. Al mattino prima si mungono le pecore, poi si riuniscono gli agnelli alle madri. I capretti invece vengono rinserrati, finché sono “lattonzoli”, nel buio completo, illu salcóni. Questo ricovero originale consiste in una capanna rettangolare a due spioventi dalla pendenza accentuata, ricoperto con sottili lastre di granito o tèggj, cui si sovrappongono frasche di cisto ben pressato da cumuli di terra; la struttura è retta da paletti di ginepro e ha le due aperture a forma di “V” rovesciata: la posteriore murata con pietre raccogliticce, l’anteriore chiusa e aperta secondo le esigenze con assi di ginepro sovrapposti, da quello più lungo alla base fino ad un cuneo che chiude l’angolo superiore. Gli agili capretti balzano all’aperto non appena si tolgono le prime assi dall’alto, da la bucca di lu salcòni. Molteplici sono le operazioni susseguentisi: i capretti, succhiato il latte dai capezzoli materni, vengono rinchiusi nel loro alloggio, mentre le capre sono avviate da la mandra a lu mandrióni, recinto maggiore del primo con la muratura inglobante più cavità naturali rocciose per consentire un riparo alle capre che mal sopportano la pioggia. Al mattino successivo si ripercorre il passaggio da lu mandrióni a la mandra, si riapre lu salcóni e le madri danno da suggere ai capretti che, subito dopo, sono ancora rinchiusi e infine le capre vengono avviate al pascolo sotto l’occhio vigile di un piccolo capraio perché non saltino nei terreni altrui. I capretti dunque restano, tranne rari momenti, notte e giorno illu salcòni, perché al buio rimangano tranquilli e perché le loro carni conservino la tenerezza e la prelibatezza al gusto. Le capre galluresi, di piccola taglia e mole, dal mantello vario, corna corte o a spirale, si erano ben adattate agli ambienti più estremi, capaci di vivere nelle zone più impervie e accidentate e di utilizzare le produzioni vegetali più scadenti, rifiutate dagli altri animali. Pascolavano liberamente tutto l’anno seguite da un pastorello che al mattino le obbligava lungo sentieri noti (filata), per poi ricondurle alla sera nei loro recinti (mandra capruna). La maggior parte dei capretti, raggiunto il peso di otto-dieci chili, era destinata alla macellazione. Delle pelli si faceva buon commercio. Molto ricercato l’abomaso delle capre (caggju) che, essiccato e affumicato, era utilizzato per la coagulazione del latte. Quelle destinate alla riproduzione non erano che un quinto del gregge. Il formaggio di latte caprino, nonostante le sue qualità, non era molto apprezzato Mentre il latte era ritenuto eccellente; indispensabile nel periodo tardo estivo quando le vacche non venivano munte. Le pecore non mancavano nell’economia dello stazzo, ma erano in numero poco rilevante. Più che latte e carni, fornivano lana, indispensabile per imbottire materassi e per tessere panni d’orbace (fresi) che con il lino costituiva la base per

l’abbigliamento del pastore. Nel tempo, seguendo i pastori anglonesi, goceanini o barbaricini che occupavano, prima come soccidari e poi come padroni, gli stazzi abbandonati dai loro primi proprietari, ha gradatamente sostituito l’allevamento bovino. Però se su dieci ovini ricevuti - in garrigu ne moriva uno, al 24 giugno era obbligo del pastore rendere due agnelli o capretti. La pecora sarda è di piccola taglia. Gli animali minuti, da stia e da gabbia, erano di esclusiva proprietà del pastore. I maiali o sono lasciati liberi di pascolare ghiande o sono rinchiusi in un piccolo recinto circolare in pietra detto crina, dal pavimento in terra battuta, con una vaschetta lapidea (laccuna) per il cibo e una piccola tettoia come riparo dalle intemperie. Qui alimentati con pastoni di crusca cui si aggiungono resti commestibili dei pasti domestici ingrassano rapidamente, destinati a costituire poi la riserva di carne nella dieta annua del pastore. Le scrofe - lóvii - partorienti vengono separate in un recinto più ampio detto àrrula, e lì restano, anche dopo il parto, dapói chi pulciddàani, finché i porcellini non sono in grado di badare a se stessi e difendersi dalle insidie della volpe (lu macciòni), a quel punto si lascia aperta l’àrrula dove riparano anche i maiali allo stato brado, che si nutrono di ghiande e che possono nottetempo trovare giaciglio illu sitagliu, costruzione simile a lu salcóni, ma in aperta campagna e costruito con minor accuratezza. Il parto avviene due volte l’anno e ogni scrofa partorisce cinque o sei maialini per volta, venduti prima che compiano l’anno (acchisogli), oppure ingrassati con una dieta esclusiva di ghiande sono venduti a compratori che ne fanno prosciutti. Quando si vuole un maiale particolarmente grasso si rinchiude in un recinto a gabbia detto saùrra, molto angusto, la cui intelaiatura è data da quattro pali conficcati in quadrato, distanti l’uno dall’altro solo un paio di metri, dal pavimento d’assi di legno ricoperte da frasche pressate per motivi igienici, una tettoia di fortuna e le pareti formate da tavole e paletti fittamente inchiodati. Nei pressi della rustica abitazione del pastore, di solito composta da la cambara manna e l’appusentu, o addossati a questa, si trovano: lu pinnènti, la stadda e la casédda di la padda. Lu pinnènti, vano ad uno spiovente in continuità con lo spiovente retrostante di la casa manna o stazzo, col quale comunica attraverso una porticina, è la stanza pa lu bistrasciu, dove è cioè consentito il più grande disordine. Alla lettera lu bistrasciu è lo sconquasso, lo scempio, infatti vi si squartano, si riducono a pezzi e si disossano le carni del maiale; vengono confezionate le salsicce, poi appese illa paltica; si mette sotto sale il lardo e si compiono tutte le normali operazioni di macelleria e conservazione di carni; si susseguono anche le diverse fasi di preparazione dei latticini e del formaggio, conservato poi ad asciugare su graticci sospesi. Vi si compiono quelle azioni che procurano disordine e hanno bisogno di spazio e utensili. La stadda è di fatto una normalissima piccola stalla riservata al solo cavallo e a tutti i suoi finimenti e accessori utili ad accudirlo; gli altri animali, come abbiamo visto, restano, per lo più, allo stato brado. La casedda di la padda o casetta per la paglia consiste in una capanna di pietrisco dove si conserva la riserva di paglia, che spesso è sistemata in una grotta o “tafone” naturale, detto appunto la 8 conca di la padda. Un accenno bisogna fare all’ampio spazio davanti alla casa, opportunamente acconcio e piacevole a vedersi perché mette in risalto l’abitazione e rappresenta una sorta di circonferenza erbosa attorno alla quale stanno le strutture e gli edifici descritti. Fra spazio di comunicazione e invito all’ingresso, impropriamente potremmo assimilarlo all’“aia” delle case coloniche, ma il nome locale pastricciali, da pastoricciale, cioè ambito in cui il pastore svolge alcune funzioni proprie, ne indica la destinazione diversa. Tant’è che la trebbiatura avviene su un ampio spazio circolare e lastricato detto appunto lu rótu, con un palo conficcato al centro, cui si lega una coppia di buoi aggiogata a trascinare li pétri d’agliòla, o lastre levigate per la trebbiatura. Di altre costruzioni, inserite entro spazi diversi e altri edifici, esempio: la casédda di la ‘igna, la casédda di lu furru diremo al momento di esporre le attività e i lavori rurali ai quali quegli edifici son funzionali. La viabilità rurale anche quando prende nomi pomposi è rapportabile alle minuscole dimensioni dei vari elementi, così che lu caminu mannu (la grande strada) è di fatto un sentiero sterrato interpoderale che a fatica si tiene sgombro dalla “macchia” in espansione a riguadagnare spazi perduti. Più modesti lu caminu di lu carrulu - la via per il carro; lu caminu caaddaricciu (stretto sentiero che consentiva il passaggio del solo cavallo); la semita - sottile viottolo percorribile solo a piedi; la semitedda - linea appena accennata tra le frasche dal passaggio delle capre. Di un certo interesse la toponomastica. Indica spesso le caratteristiche dei luoghi: li mònti tundi, mònti ruju, mònti ritundu, vena tòlta, lu riaréddu, lu riu di la céra, la ‘èna di la céra, lu puzzòni di la céra, lu puzzòni di lu linu, razza di juncu. Oppure indica somiglianze di qualche roccia con animali, o ne indica la presenza: monti di li capri, la capaccia (teschio), la funtana di li capri, lu baccu di lu bóiu, iscia di ‘acca, iscia di lèpparu, la minda di li ‘itéddi, li caprittai, li pulcaggj. Talvolta i nomi fanno riferimento a persone: Gjacumòni, Gjuannicchéddu, Baignòni, Petru Cònca, Andria Aguisi, Frati Gjuanchini, Frati Saragati, Nòdu d’Efisi. Comuni pure i riferimenti alla vegetazione o fitonimi: la filitticcia, l’èlchi, litarru ruiu, liccia ‘intósa, liccia barria, la sasimédda (alaterno), punta di la ‘jacia (del ginepro), la punta ‘addósa, li ciuddi canini, li fèrruli. Non mancano le registrazioni delle caratteristiche dei luoghi abitati: li casacci, li cupunéddi, li pinnittéddi, la casa nóa, li casi ‘ècchj, la cònca ‘intósa. Non sono dimenticate le particolarità dei luoghi: valdióla, campulòngu, striscia lalga, lèttu di ‘ita, vaddilònga, pastriccialédda, lu rotaréddu, lu cantòni. Molti erano i nomi di cui sfuggono o sono dimenticati origine e significato: barrabisa, tuvuru maióri (turibulum?), poltu puddu, trimèntu, la ‘itazzòna (vidazzone?). A2 - L’ORTO, LA VIGNA E IL PASTRICCIALE. L’orto, pur necessario alla dieta agreste, non ha mai avuto molta importanza e non ha mai interessato, nell’economia dello stazzo, grandi estensioni di terra. Cosicché, in genere, alla sua cura pensa la massaia, lasciando alla laboriosità

Di solito lo stazzo ha struttura geometrica senza motivi ornamentali. I prospetti<br />

sono l<strong>in</strong>eari, rigidi, spogli di elementi decorativi, privi di gronda. I lati a timpano<br />

non hanno mai porte e f<strong>in</strong>estre. Il forno è costruito all’esterno, ma ha la bocca<br />

nella cuc<strong>in</strong>a. Gli ambienti quadrangolari sono la cuc<strong>in</strong>a, la cambara,<br />

l’appusentu. Al centro il focolare domestico, la zidda, ha la forma ovale o a ferro<br />

di cavallo, senza cappa o canna fumaria. Solo a f<strong>in</strong>e ‘800 <strong>in</strong> molti stazzi è stata<br />

<strong>in</strong>trodotta la cim<strong>in</strong>éa, il cam<strong>in</strong>o vero e proprio. Sempre solo a f<strong>in</strong>e ‘800 il pavimento<br />

<strong>in</strong> terra battuta è stato <strong>in</strong> qualche caso sostituito da mattonelle rustiche quadrate,<br />

come pure, a migliorare lo spazio domestico lavorativo, è stato aggiunto lu<br />

p<strong>in</strong>nenti. Le tegole sono curve a canale. Verso le nostre mar<strong>in</strong>e gli ambienti non<br />

sono mai così ampi da richiedere l’arco <strong>in</strong> muratura a blocchetti granitici con<br />

chiave di volta, comune illi ‘iddi di supra, è solita <strong>in</strong>vece la posa di <strong>una</strong> trave di legno<br />

molto <strong>in</strong>curvata, come appoggio <strong>in</strong>termedio per le travers<strong>in</strong>e e le canne del<br />

tetto (la trai tolta).<br />

Talvolta l’ambiente domestico riserva uno spazio a <strong>una</strong> sorta di laboratorio<br />

per la fabbricazione di oggetti di uso quotidiano. In un angolo un banco da falegname<br />

con gli utensili di lu mastru d’ascia o mastru carraiu, oppure il deschetto<br />

con gli oggetti m<strong>in</strong>uti del calzolaio, la piccola fuc<strong>in</strong>a (fraìli) del fabbro (frailaggjiu) il<br />

cui fuoco viene alimentato da <strong>una</strong> manovella. Ma è raro che il pastore abbia tutte<br />

le abilità a forgiare da sé gli oggetti necessari a svolgere il suo lavoro, anche perché<br />

alcuni sono abbastanza complicati, solitamente si rivolge a li massai di li ‘iddi<br />

di supra, agli artigiani dei villaggi più <strong>in</strong>terni.<br />

Pur se vi sono molte analogie tra gli “<strong>in</strong>sediamenti sparsi” della <strong>Gallura</strong> e<br />

della Corsica, tuttavia abbiamo visto che anche le abitud<strong>in</strong>i del gallurese si “sardizzano”:<br />

lo stazzo consta <strong>in</strong> fondo di tre parti: la casa propriamente detta, la superficie<br />

arativa e soggetta al lavoro dell’uomo, l’area più distante lasciata a riposo<br />

e dest<strong>in</strong>ata al pascolo brado o <strong>in</strong> potere della landa e del bosco; così come nella<br />

cultura del villaggio a gestione collettiva si aveva: la ‘idda o borgo della comunità<br />

dei contad<strong>in</strong>i, la vidazzone o ‘itazzona area coltivata collettivamente, il salto o<br />

spazio lontano lasciato ai ritmi della natura. Il ricorso poi alla circolarità degli ambienti<br />

e dei rec<strong>in</strong>ti, è caratteristica arcaica dell’architettura sarda, <strong>in</strong>taccata solo<br />

superficialmente da punici e romani. Prima del ‘700 non sono <strong>in</strong>frequenti gli abituri,<br />

detti cupóni, <strong>in</strong> pietrisco pali di g<strong>in</strong>epro e frasche, di forma rotonda.<br />

Numerosi sono gli spazi ord<strong>in</strong>ati con <strong>una</strong> rec<strong>in</strong>zione circolare, dalle funzioni<br />

diverse ed esterni all’abitazione del pastore: lu ‘accili, la mandra, lu mandrióni, lu<br />

chjostru, l’arrula; cui si aggiungono, con piante geometriche diverse: lu salcóni, la<br />

cr<strong>in</strong>a, la saùrra, lu sitàgliu. Lu ‘accili, il “vaccile”, ha un raggio sufficientemente<br />

ampio perché all’<strong>in</strong>terno siano contenute le mucche i cui vitelli da latte, <strong>in</strong>capaci di<br />

badare a se stessi, durante la mungitura vengono legati muso contro muso alla<br />

madre perché stia tranquilla. In alcuni casi si rende necessario chiudervi alla sera<br />

li nueddi, “i giovenchi”, solitamente lasciati allo stato brado durante il giorno. Infatti<br />

quando i “giovenchi” devono essere assuefatti a portare il “giogo”, se non si<br />

mostrano docili agli ord<strong>in</strong>i del pastore, vengono r<strong>in</strong>chiusi a digiuno, sperando <strong>in</strong><br />

<strong>una</strong> loro diversa arrendevolezza nel giorno successivo.<br />

7<br />

Le pecore e le capre, sulle quali nella ore diurne vigila qualche ragazzo di<br />

famiglia, all’imbrunire sono r<strong>in</strong>chiuse separatamente nella mandra, rec<strong>in</strong>to circolare<br />

fatto di frasche di olivastro e di lentisco mantenuto compatto da pali di g<strong>in</strong>epro,<br />

che spesso si orna di <strong>una</strong> tettoia di fort<strong>una</strong> (loggja) a riparo dalla pioggia. Gli agnelli,<br />

che di giorno non si scostano dalle madri, alla sera vengono separati e custoditi<br />

illu chjòstru (“chiostro”), rec<strong>in</strong>to di m<strong>in</strong>ori dimensioni, diviso dalla mandra<br />

con un cancelletto (‘jaca) o un filare di frasche. Anche lu chjòstru si serve di <strong>una</strong><br />

tettoia spiovente verso l’esterno a convogliarvi l’acqua piovana.<br />

Al matt<strong>in</strong>o prima si mungono le pecore, poi si riuniscono gli agnelli alle madri.<br />

I capretti <strong>in</strong>vece vengono r<strong>in</strong>serrati, f<strong>in</strong>ché sono “lattonzoli”, nel buio completo,<br />

illu salcóni. Questo ricovero orig<strong>in</strong>ale consiste <strong>in</strong> <strong>una</strong> capanna rettangolare a due<br />

spioventi dalla pendenza accentuata, ricoperto con sottili lastre di granito o tèggj,<br />

cui si sovrappongono frasche di cisto ben pressato da cumuli di terra; la struttura<br />

è retta da paletti di g<strong>in</strong>epro e ha le due aperture a forma di “V” rovesciata: la posteriore<br />

murata con pietre raccogliticce, l’anteriore chiusa e aperta secondo le esigenze<br />

con assi di g<strong>in</strong>epro sovrapposti, da quello più lungo alla base f<strong>in</strong>o ad un<br />

cuneo che chiude l’angolo superiore.<br />

Gli agili capretti balzano all’aperto non appena si tolgono le prime assi<br />

dall’alto, da la bucca di lu salcòni. Molteplici sono le operazioni susseguentisi: i<br />

capretti, succhiato il latte dai capezzoli materni, vengono r<strong>in</strong>chiusi nel loro alloggio,<br />

mentre le capre sono avviate da la mandra a lu mandrióni, rec<strong>in</strong>to maggiore<br />

del primo con la muratura <strong>in</strong>globante più cavità naturali rocciose per consentire<br />

un riparo alle capre che mal sopportano la pioggia. Al matt<strong>in</strong>o successivo si ripercorre<br />

il passaggio da lu mandrióni a la mandra, si riapre lu salcóni e le madri<br />

danno da suggere ai capretti che, subito dopo, sono ancora r<strong>in</strong>chiusi e <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e le<br />

capre vengono avviate al pascolo sotto l’occhio vigile di un piccolo capraio perché<br />

non salt<strong>in</strong>o nei terreni altrui. I capretti dunque restano, tranne rari momenti, notte<br />

e giorno illu salcòni, perché al buio rimangano tranquilli e perché le loro carni<br />

conserv<strong>in</strong>o la tenerezza e la prelibatezza al gusto.<br />

Le capre galluresi, di piccola taglia e mole, dal mantello vario, corna corte o<br />

a spirale, si erano ben adattate agli ambienti più estremi, capaci di vivere nelle<br />

zone più impervie e accidentate e di utilizzare le produzioni vegetali più scadenti,<br />

rifiutate dagli altri animali. Pascolavano liberamente tutto l’anno seguite da un pastorello<br />

che al matt<strong>in</strong>o le obbligava lungo sentieri noti (filata), per poi ricondurle alla<br />

sera nei loro rec<strong>in</strong>ti (mandra capr<strong>una</strong>). <strong>La</strong> maggior parte dei capretti, raggiunto<br />

il peso di otto-dieci chili, era dest<strong>in</strong>ata alla macellazione. Delle pelli si faceva buon<br />

commercio. Molto ricercato l’abomaso delle capre (caggju) che, essiccato e affumicato,<br />

era utilizzato per la coagulazione del latte. Quelle dest<strong>in</strong>ate alla riproduzione<br />

non erano che un qu<strong>in</strong>to del gregge. Il formaggio di latte capr<strong>in</strong>o, nonostante<br />

le sue qualità, non era molto apprezzato Mentre il latte era ritenuto eccellente;<br />

<strong>in</strong>dispensabile nel periodo tardo estivo quando le vacche non venivano munte.<br />

Le pecore non mancavano nell’economia dello stazzo, ma erano <strong>in</strong> numero<br />

poco rilevante. Più che latte e carni, fornivano lana, <strong>in</strong>dispensabile per imbottire<br />

materassi e per tessere panni d’orbace (fresi) che con il l<strong>in</strong>o costituiva la base per

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!