La Gallura una Regione Diversa in Sardegna - Servizi On Line

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28.05.2013 Views

ne dei pastori convergono verso il nuraghe Polcu, luogo convenuto a pochi chilometri da Tempio. Cilocco dà ordini suddividendo le forze in quattro contingenti, a ognuno dei quali affida un compito specifico. Una delle formazioni ha l’incarico di saccheggiare Tempio. A questo punto, tra la meraviglia di tutti e la costernazione di Cilocco, Luzitta ritira i suoi uomini affermando che non esistono le condizioni stabilite e promesse, in particolare manca l’appoggio di un contingente francese. Il notaio cagliaritano è costretto a ritirare il piano e per giunta a concordare con le decisioni del bandito che, mentre si dichiara sempre disponibile a riprendere l’avventura, fa opera di delazione al Villamarina perché possa seguire e tenere sotto controllo i movimenti dei rivoluzionari. Nel frattempo il prete Sanna Corda sbarca con un manipolo di patrioti e anche lui dallo stazzo dei Malu, presa carta e penna, invia proclami e ammonimenti a tutte le autorità del Capo di Sopra. Nei giorni successivi si impadronisce delle torri dell’Isola Rossa, di Vignola e di Longonsardo, i cui difensori non solo offrono poca resistenza, ma una volta battuti si dichiarano fautori della causa. Persino un felucone della marina sarda con tutto il suo equipaggio cade nelle sue mani. Il Sanna Corda è inebriato per i facili successi e per le troppo facili adesioni ai suoi ideali. Non sospetta che le improvvise “conversioni” siano strumentali e che i nuovi adepti non aspettino che il momento opportuno e un’occasione favorevole per reagire. Il teologo di Torralba, sempre convinto di avere in pugno la situazione, invia dalla torre di Longonsardo dove ha stabilito la sua base missive al vescovo di Tempio, all’ammiraglio di La Maddalena, alle autorità della provincia. Non ha avuto il tempo di ricevere risposta perché il diciannove giugno 1802 la torre viene circondata nottetempo da un folto gruppo di soldati agli ordini del luogotenente Ornano con il rinforzo (lo credereste?) di Pietro Mamia e dei suoi compagni. Gli eventi precipitano, il Sanna Corda tenta una disperata resistenza, ma cade sotto i colpi di una nutrita fucileria; i pastori che si trovano nella torre sono disarmati e imprigionati, fra essi i giovani aggesi Francesco Frau e Giovanni Battino. La notizia di tali avvenimenti drammatici arriva in breve allo stesso Cilocco, il quale abbandonato dai suoi seguaci vaga senza una meta per le campagne, senza poter chiedere protezione e riparo agli amici per evitare loro rappresaglie. Alle truppe regolari che ne fanno ricerca si aggiungono numerosi pastori galluresi, e fra loro molti i Muntoni e i Battino, che lo ritengono responsabile della rovina dei loro parenti, dei quali, consegnando il Cilocco alle autorità, pensano di ottenere la liberazione, così come è stato loro ingannevolmente promesso. Non solo, ne fanno ricerca molti suoi ex sostenitori che, in questo modo, pensano di ottenere l’impunità. Cilocco è infine catturato da una di queste bande, trascinato a dorso d’asino insino a Sassari, flagellato orribilmente e impiccato. Siamo alle battute finali dell’intera vicenda, stabiliscano i lettori se da questa si può trarre una morale. Le cose andarono così: i Battino pretesero la scarcerazione del loro congiunto per aver essi contribuito alla ricerca di Cilocco. Scarcerazione negata. Giovanni Battino e Francesco Frau furono impiccati il 12 luglio 1802. “Il maggior beneficiato di tutta questa vicenda fu proprio Pietro Mamia che, come ricompensa per aver contribuito a sventare il complotto, ottenne la grazia assoluta. Si ritirò in Aggius nella sua nuova abitazione dove visse tranquil- 43 lo fino in età avanzata.” Non molti anni dopo, tra il 1819 e il 1825, i conflitti in Gallura non erano finiti. “…”Non era ancora quella contrada pacificata che abbiamo imparato a conoscere e ad apprezzare. In quegli anni si parla nientemeno che di “ammutinamento della Gallura”, posto in essere da numerose bande di fuorilegge istigate, sembra, da burattinai sobillatori rimasti misteriosi. Certamente un episodio volutamente ingigantito dalle autorità e perciò ridimensionabile. Il fatto: nel 1819 presso il santuario di San Paolo di Monti molte bande di fuorilegge lì radunatesi dalla Gallura e dall’Anglona, concepiscono e studiano l’ipotesi di un assalto in grande stile militare che investa in particolare la città di Tempio, centro dei rappresentanti del potere e delle istituzioni regie. Il piano curato nei minimi dettagli prevede l’uccisione delle autorità, la scarcerazione dei detenuti e il saccheggio della città. L’arruolamento si basa sull’accordo fra i più temuti capi banda e per l’adesione spontanea di molti pastori. In breve tempo l’impresa può contare su sei o settecento uomini armati e decisi a portare a termine il piano. Anche in questo caso qualcosa non funzionò ed è facile pensare che qualcuno per ottenerne un vantaggio personale ne abbia avvertito le autorità. Queste reagiscono immediatamente e inviano diversi contingenti militari che sconvolgono i piani dei sediziosi. Come sempre in questi casi, segue una dura repressione. Sono documenti significativi dell’epoca e del livello culturale in cui ci si attardava le relazioni conoscitive e i consigli di provvedimenti concreti che a queste seguono come contributo per risolvere i problemi della Gallura, ritenendo che la durezza e l’inflessibilità fossero l’unica arma per ridurre e reprimere i comportamenti sovversivi. In rapido elenco: vietare le feste e le soprastantie, vietare la punitura, allontanare i pastori dal litorale, abolire le parrocchie rurali, ordinare l’abbandono degli stazzi, obbligare i pastori al pagamento del regio donativo, incendiare le abitazioni e sequestrare il bestiame dei pastori responsabili di renitenza o resistenza alla truppa… Come ben si vede poco manca che si chieda la soppressione dell’intera società gallurese! Per ritornare alla vicenda citata, un Pregone concesse la grazia a tutti coloro che avevano partecipato al tentativo di ammutinamento, ma, a causa pochi che ne vennero esclusi focolai di rivolta si accesero di tanto in tanto, con l’immancabile corteo di tradimenti e delazioni…”. 19 A14 – I GALLURESI E IL GALLURESE. Anche quando la ricerca sulle entità politico-territoriali presenta questioni interpretative, gli storici, in genere, concordano sui risultati delle loro indagini. La Gallura invece, con il suo modello economico-sociale, definito a giusto titolo anche se pomposamente della “cultura degli stazzi”, è da sempre un problema storiografico. Forse perché i suoi aspetti storici e strutturali sono così marginali da aver richiamato l’attenzione di soli “studiosi” galluresi, che tendono ad esaltarne i valori, con una attitudine psicologica di chiusura verso tutto ciò che gli “altri” pos- 19 Quasi tutte le notizie contenute in questo paragrafo sono tratte dal libro di Giovanni Francesco Ricci, Banditi, Edizioni Solinas, Nuoro/Bolotana, 2001.

sono rappresentare anche di propositivo. Uno spirito di frontiera e, allo stesso tempo, isolazionista che trova giustificazioni anche nella storia recente, ma che non dovrebbe al giorno d’oggi impedire il confronto e così la formazione di giudizi consapevoli sulla posizione che la Gallura potrebbe occupare nel sistema di relazioni in un mondo globalizzato. L’argomento è tanto più sensibile e delicato quanto più noi galluresi rivendichiamo da sempre il riconoscimento di una specificità culturale ed etnica, distinta se non antagonista, rispetto a quel che rappresentano le culture delle stesse aree confinanti. Sulle vicende separatiste ha certamente pesato la situazione geografica e il territorio granitico e montuoso, poiché la Gallura è una terra chiusa in se stessa da barriere naturali, che ne rendono difficili gli accessi e la comunicazionescambio con i territori limitrofi. Una sorta di luogo appartato e considerato a lungo inaccessibile, e anche impercorribile per mancanza totale di accessi e di strade che lo percorrano. Ma più che la geografia ha pesato, nel definirne i caratteri, la componente etnica, esposta a continui scambi con le correnti migratorie che attraversano la Corsica. Soprattutto hanno pesato le vicende che abbiamo brevemente delineato, perché fondamentalmente il carattere etnico è plasmato dalla storia. La “galluresità” non è una categoria universale che raggruppa quei singoli individui che siamo noi galluresi, non è una proprietà naturale positiva e fissa del carattere o del temperamento. Non è una categoria universale che appartiene al nostro patrimonio genetico e di cui ci orniamo (e che magari ci convince di essere superiori agli altri). Il nostro modo di essere, come dire la nostra costituzione antropologica, è un accidente storico. Solo con questa consapevolezza, anche attraverso la conoscenza di quelle vicende che hanno modellato la nostra persona, attraverso la trasmissione culturale che con altro nome chiamiamo tradizione, possiamo giocare la nostra partita con il mondo e stabilire un confronto e un contatto positivo e propositivo con l’”altro” da noi. Il confronto è sempre utile, sia pure per marcare differenze, ma anche per conoscere e riconoscere l’altro da noi e saper cogliere tutto ciò che può esserci utile e di aiuto per progettualità aperte sul futuro. Allora andiamo alla ricerca di quegli elementi che fanno della Gallurauna regione diversa”, specchio vero di una “cultura diversa”. Rispetto alla molteplicità dei fattori che abbiamo delineato, nella nostra epoca caratterizzata da rapidi e apparentemente confusi cambiamenti, due elementi pur se residuali sono di uno spessore tale da metterci al riparo da qualsiasi pericolo di “anomia”. Uno di questi è l’arte culinaria, la tradizione gastronomica, vera “summa” della cultura materiale, sintesi del valore dei rapporti e delle forme di produzione, strumento di comunicazione immediata, rappresentazione simbolica nei momenti fondamentali di vita. Il secondo elemento è l’idioma gallurese che si parla in modo uniforme, con poche varianti non sostanziali, in tutti i paesi e contrade di Gallura. I linguisti concordano sul fatto che il gallurese discenda per “filiazione diretta” dal corso (Francesco Corda, 2002). Conserva infatti di questo, nella sua variante oltremontana, certe sue strutture arcaiche, ora attri- 44 buibili al sostrato, ora assegnabili al superstrato di provenienza toscana, anzi, per i detti motivi isolazionisti, il gallurese è più conservativo della lingua originaria. Si ignora quando il corso si sia diffuso nella Gallura, anzi, ad essere precisi, in tutta la fascia settentrionale della Sardegna, includendo Sedini, Sorso, Sassari, Porto Torres, Stintino. I primi documenti scritti risalgono alla fine del XVII secolo, e solo nella seconda metà del ‘700 e nei primi decenni dell’’800 si registreranno informazioni precise sui linguaggi della Sardegna settentrionale e sulla loro estraneità rispetto alla “lingua nazionale sarda”. La composizione degli scritti evidenzia in ogni parte una struttura così solida da far pensare a una formazione del gallurese determinatasi in epoche notevolmente anteriori. Ciò rappresenterebbe un sostegno alle tesi di uno studioso, il Petkanov, che ipotizza, su basi squisitamente fonetiche, un’origine remota del dialetto, fatto risalire a un fase e ad un’influenza così antica dell’oltremontano corso da rispecchiare di questo la fase pretoscana. Dunque un inizio di differenziazione risalente al periodo giudicale. Idioma minore, dialetto di minoranza d’uso esclusivamente orale come semplice strumento di comunicazione tra pastori, essendo la lingua delle cancellerie giudicali il sardo. Si tenga anche conto del fatto che, fino a tutto il secolo XVII, chi non parlava il sardo logudorese o lo spagnolo era discriminato e mal tollerato, ed era considerato come un occupante del gradino più basso nella scala sociale dell’epoca. Più prudentemente il linguista Wagner accoglie l’ipotesi di un assestamento del gallurese in epoca non troppo lontana, accogliendo parzialmente le tesi del geografo Le Lannou. Se si riflette poi su quale posto assegnare al gallurese, ancora il Wagner autorevolmente lo ritiene staccato dal sardo e rientrante, insieme con il corso, fra i dialetti italiani; mentre i due demografi glottologi Guarnerio e Bottiglioni nonostante la riconosciuta presenza di numerosi elementi toscani e corsi lo avevano riportato nell’orbita del sardo. Così non è, e probabilmente sono errate entrambe le posizioni. È certo che i tratti originali rispetto al logudorese non sono così marcati come potrebbe apparire a prima vista. Intere famiglie di parole, riferite ad agricoltura e allevamento, cioè alla quasi totalità delle attività produttive in Gallura, ricalcano pedissequamente il logudorese. C’è tutto un patrimonio, che diremmo di sovrastruttura, riguardante la musica, la danza, la poesia, con particolare riferimento a quella religiosa, in poche parole tutto quello che è nella tradizione delle espressioni artistiche, che consiste in una semplice traduzione e adattamento della tradizione sarda in genere. Gli influssi corsi, che pure esistono, sono quasi irrilevanti. Si tenga in conto che il gallurese è per gli abitanti di Gallura lingua madre e perciò densa di significati emozionali. Esprime quei sentimenti che sono il modo di porsi di fronte al mondo e perciò definiscono il vissuto individuale e collettivo. Sentimenti che non trovano altra via che “quel” linguaggio per dare un senso agli atti individuali. Come dire che per chi vive i significati delle parole essi sono il limite costitutivo della stessa esistenza. Ora sappiamo che molti termini sono scomparsi dall’uso comune, cioè non sono più vissuti perché sono venute meno le realtà delle quali quei termini davano una definizione. Con l’eclisse del “mondo degli stazzi” la nomenclatura della vita nei campi e

sono rappresentare anche di propositivo.<br />

Uno spirito di frontiera e, allo stesso tempo, isolazionista che trova giustificazioni<br />

anche nella storia recente, ma che non dovrebbe al giorno d’oggi impedire<br />

il confronto e così la formazione di giudizi consapevoli sulla posizione che la<br />

<strong>Gallura</strong> potrebbe occupare nel sistema di relazioni <strong>in</strong> un mondo globalizzato.<br />

L’argomento è tanto più sensibile e delicato quanto più noi galluresi rivendichiamo<br />

da sempre il riconoscimento di <strong>una</strong> specificità culturale ed etnica, dist<strong>in</strong>ta se<br />

non antagonista, rispetto a quel che rappresentano le culture delle stesse aree<br />

conf<strong>in</strong>anti.<br />

Sulle vicende separatiste ha certamente pesato la situazione geografica e il<br />

territorio granitico e montuoso, poiché la <strong>Gallura</strong> è <strong>una</strong> terra chiusa <strong>in</strong> se stessa<br />

da barriere naturali, che ne rendono difficili gli accessi e la comunicazionescambio<br />

con i territori limitrofi. Una sorta di luogo appartato e considerato a lungo<br />

<strong>in</strong>accessibile, e anche impercorribile per mancanza totale di accessi e di strade<br />

che lo percorrano. Ma più che la geografia ha pesato, nel def<strong>in</strong>irne i caratteri, la<br />

componente etnica, esposta a cont<strong>in</strong>ui scambi con le correnti migratorie che attraversano<br />

la Corsica.<br />

Soprattutto hanno pesato le vicende che abbiamo brevemente del<strong>in</strong>eato,<br />

perché fondamentalmente il carattere etnico è plasmato dalla storia. <strong>La</strong> “galluresità”<br />

non è <strong>una</strong> categoria universale che raggruppa quei s<strong>in</strong>goli <strong>in</strong>dividui che siamo<br />

noi galluresi, non è <strong>una</strong> proprietà naturale positiva e fissa del carattere o del temperamento.<br />

Non è <strong>una</strong> categoria universale che appartiene al nostro patrimonio<br />

genetico e di cui ci orniamo (e che magari ci conv<strong>in</strong>ce di essere superiori agli altri).<br />

Il nostro modo di essere, come dire la nostra costituzione antropologica, è un<br />

accidente storico. Solo con questa consapevolezza, anche attraverso la conoscenza<br />

di quelle vicende che hanno modellato la nostra persona, attraverso la<br />

trasmissione culturale che con altro nome chiamiamo tradizione, possiamo giocare<br />

la nostra partita con il mondo e stabilire un confronto e un contatto positivo e<br />

propositivo con l’”altro” da noi.<br />

Il confronto è sempre utile, sia pure per marcare differenze, ma anche per<br />

conoscere e riconoscere l’altro da noi e saper cogliere tutto ciò che può esserci<br />

utile e di aiuto per progettualità aperte sul futuro. Allora andiamo alla ricerca di<br />

quegli elementi che fanno della <strong>Gallura</strong> “<strong>una</strong> regione diversa”, specchio vero di<br />

<strong>una</strong> “cultura diversa”. Rispetto alla molteplicità dei fattori che abbiamo del<strong>in</strong>eato,<br />

nella nostra epoca caratterizzata da rapidi e apparentemente confusi cambiamenti,<br />

due elementi pur se residuali sono di uno spessore tale da metterci al riparo da<br />

qualsiasi pericolo di “anomia”. Uno di questi è l’arte cul<strong>in</strong>aria, la tradizione gastronomica,<br />

vera “summa” della cultura materiale, s<strong>in</strong>tesi del valore dei rapporti e delle<br />

forme di produzione, strumento di comunicazione immediata, rappresentazione<br />

simbolica nei momenti fondamentali di vita. Il secondo elemento è l’idioma gallurese<br />

che si parla <strong>in</strong> modo uniforme, con poche varianti non sostanziali, <strong>in</strong> tutti i<br />

paesi e contrade di <strong>Gallura</strong>. I l<strong>in</strong>guisti concordano sul fatto che il gallurese discenda<br />

per “filiazione diretta” dal corso (Francesco Corda, 2002). Conserva <strong>in</strong>fatti<br />

di questo, nella sua variante oltremontana, certe sue strutture arcaiche, ora attri-<br />

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buibili al sostrato, ora assegnabili al superstrato di provenienza toscana, anzi, per<br />

i detti motivi isolazionisti, il gallurese è più conservativo della l<strong>in</strong>gua orig<strong>in</strong>aria.<br />

Si ignora quando il corso si sia diffuso nella <strong>Gallura</strong>, anzi, ad essere precisi,<br />

<strong>in</strong> tutta la fascia settentrionale della <strong>Sardegna</strong>, <strong>in</strong>cludendo Sed<strong>in</strong>i, Sorso, Sassari,<br />

Porto Torres, St<strong>in</strong>t<strong>in</strong>o. I primi documenti scritti risalgono alla f<strong>in</strong>e del XVII secolo,<br />

e solo nella seconda metà del ‘700 e nei primi decenni dell’’800 si registreranno<br />

<strong>in</strong>formazioni precise sui l<strong>in</strong>guaggi della <strong>Sardegna</strong> settentrionale e sulla loro estraneità<br />

rispetto alla “l<strong>in</strong>gua nazionale sarda”. <strong>La</strong> composizione degli scritti evidenzia<br />

<strong>in</strong> ogni parte <strong>una</strong> struttura così solida da far pensare a <strong>una</strong> formazione del gallurese<br />

determ<strong>in</strong>atasi <strong>in</strong> epoche notevolmente anteriori. Ciò rappresenterebbe un<br />

sostegno alle tesi di uno studioso, il Petkanov, che ipotizza, su basi squisitamente<br />

fonetiche, un’orig<strong>in</strong>e remota del dialetto, fatto risalire a un fase e ad un’<strong>in</strong>fluenza<br />

così antica dell’oltremontano corso da rispecchiare di questo la fase pretoscana.<br />

Dunque un <strong>in</strong>izio di differenziazione risalente al periodo giudicale. Idioma m<strong>in</strong>ore,<br />

dialetto di m<strong>in</strong>oranza d’uso esclusivamente orale come semplice strumento di<br />

comunicazione tra pastori, essendo la l<strong>in</strong>gua delle cancellerie giudicali il sardo. Si<br />

tenga anche conto del fatto che, f<strong>in</strong>o a tutto il secolo XVII, chi non parlava il sardo<br />

logudorese o lo spagnolo era discrim<strong>in</strong>ato e mal tollerato, ed era considerato come<br />

un occupante del grad<strong>in</strong>o più basso nella scala sociale dell’epoca.<br />

Più prudentemente il l<strong>in</strong>guista Wagner accoglie l’ipotesi di un assestamento<br />

del gallurese <strong>in</strong> epoca non troppo lontana, accogliendo parzialmente le tesi del<br />

geografo Le <strong>La</strong>nnou. Se si riflette poi su quale posto assegnare al gallurese, ancora<br />

il Wagner autorevolmente lo ritiene staccato dal sardo e rientrante, <strong>in</strong>sieme<br />

con il corso, fra i dialetti italiani; mentre i due demografi glottologi Guarnerio e<br />

Bottiglioni nonostante la riconosciuta presenza di numerosi elementi toscani e<br />

corsi lo avevano riportato nell’orbita del sardo. Così non è, e probabilmente sono<br />

errate entrambe le posizioni. È certo che i tratti orig<strong>in</strong>ali rispetto al logudorese non<br />

sono così marcati come potrebbe apparire a prima vista. Intere famiglie di parole,<br />

riferite ad agricoltura e allevamento, cioè alla quasi totalità delle attività produttive<br />

<strong>in</strong> <strong>Gallura</strong>, ricalcano pedissequamente il logudorese. C’è tutto un patrimonio, che<br />

diremmo di sovrastruttura, riguardante la musica, la danza, la poesia, con particolare<br />

riferimento a quella religiosa, <strong>in</strong> poche parole tutto quello che è nella tradizione<br />

delle espressioni artistiche, che consiste <strong>in</strong> <strong>una</strong> semplice traduzione e adattamento<br />

della tradizione sarda <strong>in</strong> genere. Gli <strong>in</strong>flussi corsi, che pure esistono, sono<br />

quasi irrilevanti.<br />

Si tenga <strong>in</strong> conto che il gallurese è per gli abitanti di <strong>Gallura</strong> l<strong>in</strong>gua madre e<br />

perciò densa di significati emozionali. Esprime quei sentimenti che sono il modo<br />

di porsi di fronte al mondo e perciò def<strong>in</strong>iscono il vissuto <strong>in</strong>dividuale e collettivo.<br />

Sentimenti che non trovano altra via che “quel” l<strong>in</strong>guaggio per dare un senso agli<br />

atti <strong>in</strong>dividuali. Come dire che per chi vive i significati delle parole essi sono il limite<br />

costitutivo della stessa esistenza. Ora sappiamo che molti term<strong>in</strong>i sono scomparsi<br />

dall’uso comune, cioè non sono più vissuti perché sono venute meno le realtà<br />

delle quali quei term<strong>in</strong>i davano <strong>una</strong> def<strong>in</strong>izione.<br />

Con l’eclisse del “mondo degli stazzi” la nomenclatura della vita nei campi e

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