La Gallura una Regione Diversa in Sardegna - Servizi On Line

vita circa duecento fuorilegge. Sono superstiti quelli che riescono a sgusciare tra
le maglie degli assedianti e a riparare in Corsica. Questi stessi fuorusciti compiono
un ultimo tentativo e, rientrati in Sardegna, sobillano i pastori spingendoli a
una rivolta contro i Savoia per l’instaurazione di un protettorato francese. Trovano
scarsi entusiasmi. I responsabili sono arrestati ed esemplarmente condannati…”
In tutto il restante secolo non mancano fatti cruenti eclatanti per il coinvolgimento
della classe nobiliare tempiese. Ci limiteremo solo a citarne alcuni in ordine
cronologico. “…Nel 1757 don Gavino Pes uccide davanti alla basilica di Nostra
Signora di Luogosanto l’avvocato Giuseppe Carcupino, in pieno giorno e davanti
a centinaia di persone. Non può che essere fermato e gettato in prigione.
Ne esce dopo soli sette anni di carcere conservando tutti i suoi privilegi e le sue
concessioni. Nel gennaio del 1799, per una faida tra potenti famiglie, è ucciso in
Tempio don Salvatore Misorro. Il venti aprile dello stesso anno è ucciso, sempre
in Tempio, Antonio Quassolo, i parenti del quale segretamente si preparano a linciare
l’assassino, nel frattempo assicurato alla giustizia. Pensano di poterlo sequestrare
assaltando il drappello di scorta che lo conduce alle prigioni di Sassari.
I loro piani però falliscono. Il giorno successivo, ventuno Aprile, viene ucciso don
Raimondo Misorro, forse per vendicare l’omicidio del giorno precedente…”.
Una vicenda fuori dall’ordinario riguarda la figura del bandito aggese Pietro
Mamia, detto Luzitta a causa del suo sguardo infuocato e penetrante. “…Si può
dire che nasce bandito, infatti fin da giovanissimo si dedica all’abigeato e al contrabbando.
Agile e spregiudicato, ma è allo stesso tempo scaltro e prudenzialmente
previdente. Abilissimo nell’uso delle armi da fuoco e buon cavaliere, coraggioso
fino alla temerarietà. Gode di un innato fascino particolare e di un grande
ascendente sulle persone, molte delle quali gli restano fedeli in tutte le imprese.
Temutissimo dagli avversari e dalle truppe regie che evitano di scontrarsi con
la sua banda. Anzi le autorità scendono in più occasioni a patti con lui, assicurandogli,
così come accadeva con i collaboratori di giustizia, l’impunità pur di non
averlo contro. Nel 1799 commette il suo primo delitto con l’uccisione di un suo
compaesano, un membro della estesa e influente famiglia dei Malu. Ne nasce
una lunga e sanguinosa ‘nnimmistai. Per evitare vendette trasversali e ritorsioni,
si ritira a vivere di contrabbando e altri traffici illeciti lungo i litorali di fronte alla
Corsica. Ha più volte scontri a fuoco con marinai delle navi regie, ma riesce sempre
a sottrarsi alla cattura. Anzi uccide un marinaio di una gondola regia che lo
aveva intercettato in viaggio nelle Bocche con un suo carico di bestiame e che
aveva tentato di fermarlo. Uccide, per sottrarsi ad un accerchiamento, un soldato
del contingente dei Cacciatori Esteri inviato a catturarlo. In più occasioni sfugge
rocambolescamente con la sua banda a contingenti militari, inviati sia per mare
che per terra, aprendo il fuoco per primo e poi dileguandosi. La sua audacia lo
spinge ora a compiere incursioni e scorribande a danno dei suoi nemici ora a terrorizzare
con furti e aggressioni i pastori degli stazzi delle cussorge tempiesi. Le
famiglie a lui nemiche, non potendolo vincere, si mettono a disposizione delle forze
dell’ordine per contribuire alla sua cattura. Il governatore del capo di Sassari,
conte di Moriana, ritenendo insostenibile la situazione creatasi, ordina una spe-
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dizione militare. Nomina una commissione che, insediatasi in Aggius, indaghi sulle
sue coperture e sulle sue mosse, che ne conosca abitudini e frequentazioni,
che dia indicazioni su tutti i suoi nemici e potenziali collaboratori di giustizia per
arrivare a scoprire i suoi punti deboli e poter sconfiggere così la sua organizzazione
criminale. Si accerta anche che per il bandito parteggiano molti abitanti del
villaggio gallurese. Acquisite comunque le indicazioni ritenute utili, si passa alla
fase operativa, ma, nonostante il territorio sia perlustrato in lungo e in largo da un
forte contingente militare, di Pietro Mamia Luzitta non si trova nessuna traccia.
Presumibilmente, a conoscenza delle mosse degli avversari, con i suoi accoliti è
passato in Corsica, dove gode di buone protezioni e di appoggi, a causa della
sua popolarità e delle proficue relazioni d’affari stabilite durante gli anni del contrabbando.
Il conte di Moriana, non potendo fare altro, si limita a porre sotto sequestro
tutti i suoi beni per poi venderli all’asta in Tempio. L’unico ad essere arrestato
come affiliato alla banda di Luzitta è un tal Pietro Vasa, ma è scarcerato poco
tempo dopo, in seguito alla presentazione di una supplica di grazia, tenendosi
in conto il suo passato eroico, quando si era distinto in atti di coraggio e di fedeltà
alla corona nel difendere i litorali galluresi, durante l’assalto e la conquista tentata
nel 1793 dai corso-francesi. In Corsica Pietro Mamia entra in contatto con alcuni
strani personaggi che parlano di libertà e rivoluzioni, di repubblica sarda e indipendenza
dai piemontesi. Parole che per l’aggese hanno poco senso, che comunque
ascolta interessato perché pensa che partecipare a un’impresa potrebbe
venirgli utile. L’incontro è con i fuorusciti filoangioyani e con i loro infervorati capi,
il teologo di Torralba Sanna Corda e il notaio cagliaritano Cilocco. I due chiedono
il coinvolgimento del Mamia e dei suoi uomini per suscitare un moto insurrezionale
della Gallura, finalizzato alla creazione di una repubblica sarda sotto il protettorato
francese. Il capo bandito promette la sua adesione e il suo impegno a trovare
sostenitori dell’idea, pone però come condizione che vi debba essere, al momento
opportuno e sul terreno dello scontro, perché egli e i suoi uomini possano impegnarsi,
un forte contingente francese. Va oltre, con discorsi appassionati convince
a partecipare alla sollevazione molti pastori, persino molti membri delle famiglie
sue nemiche nelle faide in corso. Forse prevedendone la rovina. Giungono
i giorni fatali e i preparativi per lo sbarco dei rivoluzionari e delle truppe francocorse
sono confusi e febbrili, centinaia di pastori armati che si raggruppano o che
si spostano, come se obbedissero a degli ordini, non passano inosservati. Il conte
di Moriana ne è a conoscenza; il comandante militare di Tempio, don Giacomo
Pes di Villamarina, si prepara a sostenere l’urto dei rivoltosi. Il notaio Cilocco è
eccitato ed entusiasta dopo i primi incontri, avvenuti negli stazzi dei Malu, con
numerosi uomini armati e decisi a sostenere la ribellione già in corso contro i
piemontesi. Da lì invia proclami e avvertimenti alle autorità del territorio, con
l’intimazione di deporre le armi senza opporre resistenza per evitare spargimenti
di sangue. Pietro Mamia sembra essere sempre della partita e con discorsi accesi
sprona i suoi alla lotta. Ma allo stesso tempo, discretamente invia messaggi e
rassicura don Giacomo Pes e il giudice Lomellini che non avrebbe preso mai parte
a una così folle impresa. Quando tutto sembra pronto e inarrestabile, le colon-