La Gallura una Regione Diversa in Sardegna - Servizi On Line

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28.05.2013 Views

Fu poi loro imposto di non muoversi se non dopo il tempo ritenuto necessario dai banditi per allontanarsi. Naturalmente obbedirono senza osare nulla, anzi, per non rischiare, rimasero quieti più del tempo indicato. Oltre i brevi racconti esiste anche un florilegio di aneddoti che si concludono con un motto di spirito. Il comandante di una guarnigione anticontrabbando sentendo colpi di arma da fuoco si avvicinò al punto di provenienza degli spari e vide alcuni pastori che, con i loro fucili, sparavano, in una gara di abilità alla mira, ad un sacchetto appoggiato su un muretto a secco. Alle spiegazioni richieste risposero che il bersaglio era un sacco di tabacco appena sbarcato da una imbarcazione contrabbandiera, anzi invitarono i militari a prenderne a volontà. Il capo drappello, temendo che la frase avesse un intento provocatorio e preoccupato di non finire al posto del sacchetto, rispose: “Grazie, ma noi non fumiamo!” E si allontanò con finta noncuranza seguito dagli altri (Pirodda, 2006)…”. Il ripetersi di tali episodi dà il senso di una situazione di grande malessere economico derivante da un diffuso e profondo malgoverno, introdotto dagli Spagnoli ma continuato senza sensibili miglioramenti anche con i Piemontesi. A13 - BANDITI. Altro flagello che infestava il territorio degli stazzi consisteva nella presenza di latitanti dediti al banditismo e alla grassazione. Come si può ben capire da quanto riportato nel paragrafo precedente, la causa principale che spingeva molti al banditismo nasceva dalla vita miserabile condotta tra stenti originati dai soprusi subiti dai ministri feudali e dalla spoliazione sistematica degli averi. A sua volta l’appropriazione coatta dei prodotti pastorali e contadini era concausa di ricorrenti carestie e diffusione di pestilenze per l’assenza di precauzioni sanitarie. La lentezza e le ingiustizie dei procedimenti penali, le pene sproporzionate in relazione ai reati contestati spingevano gli indiziati anche di reati minori a darsi alla latitanza e lottare contro i propri nemici, piuttosto che essere sottoposti a gravi pene corporali o detentive. In Gallura i banditi trovavano le condizioni ideali per vivere sicuri in nascondigli imprendibili; qui regnavano incontrastati compiendo a loro volta ogni sorta di soprusi e prepotenze, favoriti talvolta quando non protetti dalle stesse popolazioni. Non solo, molto spesso avevano dalla loro parte la piccola nobiltà proprietaria che conviveva con i latitanti e prestava loro aiuto e protezione a tutela dei propri interessi. Gli appartenenti al ceto nobiliare erano spesso essi stessi ribelli e promotori di disordini, oppure partecipavano alle rapine e ad azioni violente fino all’assassinio, approfittando dell’indulgenza con la quale, nel caso, venivano giudicati dai giudici militari del proprio Stamento. Le autorità ben poco si preoccupavano di individuare le cause del banditismo, ma pensavano di sradicarlo con la spietatezza dell’apparato repressivo e delle pene, al di fuori di qualsiasi indagine di carattere storico o sociale o di qualsiasi espediente teso a prevenire agendo sulle cause. Già durante la dominazione iberica il banditismo era considerato un male 39 endemico. I feudatari che risiedevano in Spagna erano interessati quasi esclusivamente alla riscossione dei tributi e consideravano la Sardegna come un frutto da spremere con una imposizione fiscale oppressiva e insensibile a qualsiasi istanza di progresso o di equità. La giustizia veniva appaltata al miglior offerente e i giudici percepivano personalmente il 25% delle pene pecuniarie. Perciò chi poteva pagare, anche se accusato di reati gravi, vedeva la pena detentiva commutata in multa, mentre i poveri, rinviati a sostenere sommari o lunghi processi senza le minime garanzie legali. Per evitare condanne a lunghi anni di carcere duro o galera erano costretti a darsi alla macchia. In tal caso, in seguito all’emissione di un pregone pubblico, venivano dichiarati banditi (bandeados). Questo modo squilibrato di procedere della giustizia aveva determinato fin da allora un senso profondo di sfiducia e di ostilità nei confronti del potere costituito. I piemontesi, pur lasciando in vigore la precedente legislazione iberica, considerarono bandito chiunque accusato di un qualsiasi crimine che, prima di un qualsiasi grado di giudizio o dell’esibizione di qualsiasi prova, si sottraesse alla giustizia rendendosi irreperibile. I metodi di repressione del banditismo erano poi di una tale ottusità che invece di raggiungere i risultati che si prefiggevano non facevano altro che avvelenare il clima sociale e funzionare da moltiplicatore di fatti criminosi. Intanto le pene variavano a seconda del rango di appartenenza degli accusati, poi chiunque poteva catturare o uccidere un bandito e come premio percepire la taglia che pendeva sul suo capo. Ancor più grave l’introduzione di un salvacondotto (guidatico) col beneficio di una temporanea impunità per quei banditi, anche rei di delitti efferati, che si adoperavano per catturare o recare elementi utili alla cattura di un altro fuorilegge. Si può ben immaginare quale effetto avesse tale provvedimento che, se per un lato consentiva l’arresto di pericolosi latitanti, per altro verso dava la stura a una catena infinita di odi, vendette, ‘nnimmistai, vere e proprie faide che coinvolgevano interi gruppi familiari, con una scia di sangue e una recrudescenza tale di violenze da far pensare che il rimedio previsto sia stato peggiore del male (Ricci, 2001). Esemplari al proposito la vita e le imprese dei fratelli Putzu di Terranova (fine XVIII sec.), capi astuti, energici e feroci, autori di molti omicidi nelle cussorge e negli stazzi di Gallura, erano diventati il simbolo del brigantaggio di quegli anni, eroi negativi delle leggende popolari e della memorialistica dei viaggiatori stranieri del primo ottocento in Sardegna. Si consideri che i territori galluresi pativano una profonda arretratezza economica e sociale, a causa, come si è detto, di una pessima amministrazione della giustizia inficiata di corruzione, di una diffusa condizione economica talmente precaria che la denutrizione debilitava molti, l’igiene era scarsa, incerte le capacità produttive condizionate da siccità, alluvioni, gelate, pessima resa dei terreni, cui si aggiungeva il propagarsi di malattie endemiche. La sicurezza economica, il rispetto per la proprietà, la crescita nella considerazione sociale e politica, vedere il proprio diritto rispettato e avere giustizia rapida per un torto subito, potevano

avvenire solo a danno di altri. Si doveva essere disposti a difendere ad ogni costo famiglia, proprietà, posizione sociale. Le ‘nnimmistai erano alimentate da motivazioni morali (offesa all’onore, calunnia, falsa testimonianza, delazione, mancato rispetto a un patto) o materiali (furto, usurpazione di confini, pascolo abusivo, avvelenamenti di animali, sconfinamenti, contese per l’acqua). Le liti duravano decenni, dopo un primo agguato o un primo omicidio si definivano gli schieramenti delle famiglie in lotta, legate da parentela o da interessi comuni. Le leggi e i giudici dell’epoca davano poche garanzie, perciò i galluresi pensavano di poter rimediare ai torti personali subìti facendosi giustizia con le proprie mani. Le famiglie che raggiungevano potere e autorità erano in grado di difendere i propri membri e coprire anche i più malvagi. Ogni azione a danno dell’avversario era lecita. Le autorità governative al di là delle repressioni feroci, con esecuzioni sommarie sul posto del delitto, che si erano sempre dimostrate inefficaci a fermare le catene criminose, non sapevano trovare altro rimedio che il ricorso alle paci o perdoni. In questo stato di cose, col favore e col ricorso ad atti di perdono, i tre fratelli Putzu, nonostante i numerosi omicidi, le faide nelle quali riuscirono a coinvolgere anche la piccola comunità di Terranova, le intimidazioni, le minacce, le continue risse, riuscirono ad ottenere la grazia sovrana e ad essere prosciolti dai delitti commessi. Non solo, ricoprirono incarichi importanti all’interno dell’amministrazione feudale. Il periodo tra il 1819 e il 1825 è stato definito l’epoca dell’ammutina-mento della Gallura, quando l’economia pastorale si sentì talmente forte da imporre anche militarmente le sue decisioni all’apparato statale. “…Tutto ebbe inizio quando diversi gruppi di fuorilegge, incontratisi durante i festeggiamenti presso il santuario di San Paolo di Monti, si accordarono per un assalto in stile militare contro le locali istituzioni regie. Le autorità ne vennero a conoscenza attraverso il solito canale delle delazioni e adottarono per un verso l’arma della dissuasione per mezzo di capi pastori autorevoli, come appunto i Putzu, per altro verso ricorsero alla solita dura repressione con spedizioni militari, processi sommari, impiccagioni esemplari, sequestri e confische di bestiame, distruzione di case e ovili per tentare di frenare l’imperversare delle molte bande di fuorilegge che, in molti casi, erano istigate con molta probabilità dagli aristocratici e dalla nobiltà gallurese. Nonostante tutto le inquietudini non cessarono e i pastori, sempre irritati da una insostenibile pressione fiscale attuata dagli esattori delle imposte (collettori locali), reagivano con i soliti metodi violenti organizzandosi in numerose bande e rendendo precario l’ordine pubblico. Per rispondervi venne inviata nella regione una colonna mobile (novembre 1823-febbraio 1824) comandata dal tenente colonnello conte di Saint Front con il compito specifico di provvedere all’esazione dei contributi arretrati e procedere all’arresto del maggior numero di banditi. Compito che eseguì con la nota determinazione. Storie dunque di vite violente e brutali, volte all’eliminazione fisica degli avversari anche con l’unico scopo di ingrandire il patrimonio” (Marina Sechi, 2005). 40 Un altro personaggio tipico ed emergente tra i diversi nomi di banditi è Giovanni Galluresu, un tempiese la cui vita avventurosa è così riassunta in una pubblicazione popolare. “…Nasce in Tempio all’incirca nel 1638 da genitori della piccola aristocrazia locale che, come allora era d’uso, ne affidarono l’educazione e la formazione a un frate cappuccino. Apprende sotto la guida del suo precettore a leggere e scrivere mentre fa il pastore nelle campagne di Chiaramonti fino al diciottesimo anno d’età. Arruolatosi in un reparto di vigilanza costiera, è assegnato alla torre di Longonsardo dove dà mostra in più episodi delle sue doti di coraggio e del suo valore contro i barbareschi. Quando era appena ventenne, alla vigilia di Pasqua del 1658, si trova, per una serie di circostanze, solo all’interno della torre. I suoi tre negligenti commilitoni fanno incoscientemente bisboccia ospiti dei Tamponi in uno stazzo nella località Marazzino, mentre l’alcaide (capo guardiano delle torri, dal catalano alcayt) era costretto a letto da una fastidiosa influenza. Col favore dell’oscurità da alcune imbarcazioni nordafricane sbarca un manipolo di predoni musulmani che prende la torre d’assalto con l’intenzione di dilagare poi per le campagne circostanti a depredare il bestiame e gli abbondanti prodotti del lavoro pastorale, ma soprattutto a razziare giovani uomini e donne da vendere al mercato degli schiavi o per i quali chiedere un riscatto. Giovanni Galluresu non si perde d’animo e affronta gli assalitori scaricando loro addosso il fuoco di tutte le armi di cui dispone facendoli indietreggiare per l’inaspettata resistenza, essendo venuta meno la sorpresa. Subito dopo corre ai pezzi e fa fuoco sulle barche e sulle scialuppe avversarie uccidendo molti nemici. Coloro che erano sbarcati e che tentavano di scalare la torre, vedendo gli sconquassi provocati dalle cannonate, sono presi dal panico, precipitosamente ritornano a bordo e in breve tempo prendono il largo. L’impresa ha dell’inverosimile e suscita scalpore e ammirazione, tanto che lo stesso vicerè formalmente ne esalta l’eroismo e concretamente lo nomina alcaide della torre. Successivamente Galluresu dà ancora prova e in più circostanze di meritare la fama creatasi e la fiducia in lui riposta con una efficace azione di contrasto al contrabbando, arrestando numerosi pastori coinvolti nell’impresa illegale, suscitando però nel contempo il loro odio nei suoi confronti, poiché vedevano in lui a ragione un nemico acerrimo. Tanto che presto dovette subire atti di intimidazione, danneggiamenti ai suoi averi, minacce rivolte anche ai suoi congiunti. Non sentendosi adeguatamente tutelato, esasperato e nell’impossibilità di difendersi fa una scelta drastica, abbandona la torre, raccoglie attorno a sé una decina di amici fedeli e pronti a tutto e dà inizio a una catena di vendette con vere e proprie spedizioni punitive a danno dei suoi nemici negli stazzi. Il vicerè, allarmato dal clamore delle gesta criminose dell’ex alcaide che mettevano in scacco la sua credibilità nel pretendere il rispetto della legge, dovette suo malgrado ordinare l’arresto dell’eroe che, con una banda che andava via via ingrossandosi, uscito dalla Gallura, cominciò a percorrere le contrade della vicina Anglona e poi del Logudoro fino alla lontana Nurra, compiendovi numerosi delitti. Contro di lui fu inviato a intercettarlo e catturarlo un contingente di truppe agli ordini di don Matteo Pilo Boyl di Putifigari. Inutile dire che riuscì sempre a sottrarsi alla cattura in barba agli sforzi ripetuti delle istituzioni, anzi i suoi delitti andavano

avvenire solo a danno di altri. Si doveva essere disposti a difendere ad ogni costo<br />

famiglia, proprietà, posizione sociale.<br />

Le ‘nnimmistai erano alimentate da motivazioni morali (offesa all’onore, calunnia,<br />

falsa testimonianza, delazione, mancato rispetto a un patto) o materiali<br />

(furto, usurpazione di conf<strong>in</strong>i, pascolo abusivo, avvelenamenti di animali, sconf<strong>in</strong>amenti,<br />

contese per l’acqua). Le liti duravano decenni, dopo un primo agguato o<br />

un primo omicidio si def<strong>in</strong>ivano gli schieramenti delle famiglie <strong>in</strong> lotta, legate da<br />

parentela o da <strong>in</strong>teressi comuni.<br />

Le leggi e i giudici dell’epoca davano poche garanzie, perciò i galluresi pensavano<br />

di poter rimediare ai torti personali subìti facendosi giustizia con le proprie<br />

mani. Le famiglie che raggiungevano potere e autorità erano <strong>in</strong> grado di difendere<br />

i propri membri e coprire anche i più malvagi. Ogni azione a danno dell’avversario<br />

era lecita. Le autorità governative al di là delle repressioni feroci, con esecuzioni<br />

sommarie sul posto del delitto, che si erano sempre dimostrate <strong>in</strong>efficaci a fermare<br />

le catene crim<strong>in</strong>ose, non sapevano trovare altro rimedio che il ricorso alle paci<br />

o perdoni.<br />

In questo stato di cose, col favore e col ricorso ad atti di perdono, i tre fratelli<br />

Putzu, nonostante i numerosi omicidi, le faide nelle quali riuscirono a co<strong>in</strong>volgere<br />

anche la piccola comunità di Terranova, le <strong>in</strong>timidazioni, le m<strong>in</strong>acce, le cont<strong>in</strong>ue<br />

risse, riuscirono ad ottenere la grazia sovrana e ad essere prosciolti dai delitti<br />

commessi. Non solo, ricoprirono <strong>in</strong>carichi importanti all’<strong>in</strong>terno<br />

dell’amm<strong>in</strong>istrazione feudale.<br />

Il periodo tra il 1819 e il 1825 è stato def<strong>in</strong>ito l’epoca dell’ammut<strong>in</strong>a-mento<br />

della <strong>Gallura</strong>, quando l’economia pastorale si sentì talmente forte da imporre anche<br />

militarmente le sue decisioni all’apparato statale. “…Tutto ebbe <strong>in</strong>izio quando<br />

diversi gruppi di fuorilegge, <strong>in</strong>contratisi durante i festeggiamenti presso il santuario<br />

di San Paolo di Monti, si accordarono per un assalto <strong>in</strong> stile militare contro le<br />

locali istituzioni regie. Le autorità ne vennero a conoscenza attraverso il solito canale<br />

delle delazioni e adottarono per un verso l’arma della dissuasione per mezzo<br />

di capi pastori autorevoli, come appunto i Putzu, per altro verso ricorsero alla solita<br />

dura repressione con spedizioni militari, processi sommari, impiccagioni esemplari,<br />

sequestri e confische di bestiame, distruzione di case e ovili per tentare di<br />

frenare l’imperversare delle molte bande di fuorilegge che, <strong>in</strong> molti casi, erano istigate<br />

con molta probabilità dagli aristocratici e dalla nobiltà gallurese. Nonostante<br />

tutto le <strong>in</strong>quietud<strong>in</strong>i non cessarono e i pastori, sempre irritati da <strong>una</strong> <strong>in</strong>sostenibile<br />

pressione fiscale attuata dagli esattori delle imposte (collettori locali), reagivano<br />

con i soliti metodi violenti organizzandosi <strong>in</strong> numerose bande e rendendo precario<br />

l’ord<strong>in</strong>e pubblico. Per rispondervi venne <strong>in</strong>viata nella regione <strong>una</strong> colonna mobile<br />

(novembre 1823-febbraio 1824) comandata dal tenente colonnello conte di Sa<strong>in</strong>t<br />

Front con il compito specifico di provvedere all’esazione dei contributi arretrati e<br />

procedere all’arresto del maggior numero di banditi. Compito che eseguì con la<br />

nota determ<strong>in</strong>azione. Storie dunque di vite violente e brutali, volte all’elim<strong>in</strong>azione<br />

fisica degli avversari anche con l’unico scopo di <strong>in</strong>grandire il patrimonio” (Mar<strong>in</strong>a<br />

Sechi, 2005).<br />

40<br />

Un altro personaggio tipico ed emergente tra i diversi nomi di banditi è Giovanni<br />

Galluresu, un tempiese la cui vita avventurosa è così riassunta <strong>in</strong> <strong>una</strong> pubblicazione<br />

popolare. “…Nasce <strong>in</strong> Tempio all’<strong>in</strong>circa nel 1638 da genitori della piccola<br />

aristocrazia locale che, come allora era d’uso, ne affidarono l’educazione e<br />

la formazione a un frate cappucc<strong>in</strong>o. Apprende sotto la guida del suo precettore a<br />

leggere e scrivere mentre fa il pastore nelle campagne di Chiaramonti f<strong>in</strong>o al diciottesimo<br />

anno d’età. Arruolatosi <strong>in</strong> un reparto di vigilanza costiera, è assegnato<br />

alla torre di Longonsardo dove dà mostra <strong>in</strong> più episodi delle sue doti di coraggio<br />

e del suo valore contro i barbareschi. Quando era appena ventenne, alla vigilia di<br />

Pasqua del 1658, si trova, per <strong>una</strong> serie di circostanze, solo all’<strong>in</strong>terno della torre.<br />

I suoi tre negligenti commilitoni fanno <strong>in</strong>coscientemente bisboccia ospiti dei Tamponi<br />

<strong>in</strong> uno stazzo nella località Marazz<strong>in</strong>o, mentre l’alcaide (capo guardiano delle<br />

torri, dal catalano alcayt) era costretto a letto da <strong>una</strong> fastidiosa <strong>in</strong>fluenza. Col favore<br />

dell’oscurità da alcune imbarcazioni nordafricane sbarca un manipolo di predoni<br />

musulmani che prende la torre d’assalto con l’<strong>in</strong>tenzione di dilagare poi per<br />

le campagne circostanti a depredare il bestiame e gli abbondanti prodotti del lavoro<br />

pastorale, ma soprattutto a razziare giovani uom<strong>in</strong>i e donne da vendere al<br />

mercato degli schiavi o per i quali chiedere un riscatto. Giovanni Galluresu non si<br />

perde d’animo e affronta gli assalitori scaricando loro addosso il fuoco di tutte le<br />

armi di cui dispone facendoli <strong>in</strong>dietreggiare per l’<strong>in</strong>aspettata resistenza, essendo<br />

venuta meno la sorpresa. Subito dopo corre ai pezzi e fa fuoco sulle barche e sulle<br />

scialuppe avversarie uccidendo molti nemici. Coloro che erano sbarcati e che<br />

tentavano di scalare la torre, vedendo gli sconquassi provocati dalle cannonate,<br />

sono presi dal panico, precipitosamente ritornano a bordo e <strong>in</strong> breve tempo prendono<br />

il largo. L’impresa ha dell’<strong>in</strong>verosimile e suscita scalpore e ammirazione,<br />

tanto che lo stesso vicerè formalmente ne esalta l’eroismo e concretamente lo<br />

nom<strong>in</strong>a alcaide della torre. Successivamente Galluresu dà ancora prova e <strong>in</strong> più<br />

circostanze di meritare la fama creatasi e la fiducia <strong>in</strong> lui riposta con <strong>una</strong> efficace<br />

azione di contrasto al contrabbando, arrestando numerosi pastori co<strong>in</strong>volti<br />

nell’impresa illegale, suscitando però nel contempo il loro odio nei suoi confronti,<br />

poiché vedevano <strong>in</strong> lui a ragione un nemico acerrimo. Tanto che presto dovette<br />

subire atti di <strong>in</strong>timidazione, danneggiamenti ai suoi averi, m<strong>in</strong>acce rivolte anche ai<br />

suoi congiunti. Non sentendosi adeguatamente tutelato, esasperato e nell’impossibilità<br />

di difendersi fa <strong>una</strong> scelta drastica, abbandona la torre, raccoglie attorno a<br />

sé <strong>una</strong> dec<strong>in</strong>a di amici fedeli e pronti a tutto e dà <strong>in</strong>izio a <strong>una</strong> catena di vendette<br />

con vere e proprie spedizioni punitive a danno dei suoi nemici negli stazzi. Il vicerè,<br />

allarmato dal clamore delle gesta crim<strong>in</strong>ose dell’ex alcaide che mettevano <strong>in</strong><br />

scacco la sua credibilità nel pretendere il rispetto della legge, dovette suo malgrado<br />

ord<strong>in</strong>are l’arresto dell’eroe che, con <strong>una</strong> banda che andava via via <strong>in</strong>grossandosi,<br />

uscito dalla <strong>Gallura</strong>, com<strong>in</strong>ciò a percorrere le contrade della vic<strong>in</strong>a Anglona<br />

e poi del Logudoro f<strong>in</strong>o alla lontana Nurra, compiendovi numerosi delitti.<br />

Contro di lui fu <strong>in</strong>viato a <strong>in</strong>tercettarlo e catturarlo un cont<strong>in</strong>gente di truppe agli ord<strong>in</strong>i<br />

di don Matteo Pilo Boyl di Putifigari. Inutile dire che riuscì sempre a sottrarsi<br />

alla cattura <strong>in</strong> barba agli sforzi ripetuti delle istituzioni, anzi i suoi delitti andavano

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