La Gallura una Regione Diversa in Sardegna - Servizi On Line

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28.05.2013 Views

esero spopolata e inospitale la regione. A causa della scarsità del popolamento vennero meno le decime, così nel 1568 Pio V trasferì da Civita, prostrata dalla pirateria musulmana, alla chiesa di Castellaragonese i diritti e le competenze della diocesi. Il canonicato di Civita, unica dignitas presente nella città decaduta, venne declassato nella carica di arciprete e le cinque prebende canonicali ridotte in parrocchiali. Intorno al 1580 in Gallura è abitata soltanto la regione detta curatoria di Gemini. Tale situazione rimase immutata sino agli inizi del XVIII secolo. Rettori e vicari dovevano provvedere alle esigenze spirituali di numerosi pastori che con le loro greggi da novembre a luglio vivevano con le loro famiglie in capanne disseminate nei boschi. La pratica dei sacramenti era perciò interrotta per gran parte dell’anno. Nascite, matrimoni, funerali erano legittimati con riti presieduti dal capofamiglia, in assenza di assistenti religiosi. Mentre in Tempio il clero era numeroso e a quello secolare si era aggiunto quello regolare, inoltre gruppi di laici erano organizzati in confraternite. Nel 1535 si erano stabiliti in città i Minori Osservanti e cento anni dopo, nel 1655, gli Scolopi. Entrambi avevano aperto scuole di grammatica e di filosofia. Infine avevano aperto i loro conventi le Cappuccine a Tempio e i Cappuccini a Calangianus. Il 22 marzo 1621, sostenuta dall’iniziativa del clero gallurese, il Papa Gregorio XV concesse sempre a Tempio l’istituzione del Capitolo della Collegiata, composto da un decano e otto canonici. La piccola nobiltà tempiese trovò nei benefici ecclesiastici una sistemazione di un certo prestigio per i propri rampolli e le rendite ecclesiastiche integrarono quelle dovute al possesso delle terre e del bestiame. Restava la rivalità con il capitolo della cattedrale di Castelsardo, poiché il clero gallurese chiedeva la trasformazione della Collegiata in Cattedrale. In questo periodo risultano essere tesi anche i rapporti tra le cittadine della Gallura che aspirano alle dignità ecclesiastiche. Vescovi e clero non sono imparziali nei giudizi, ma si schierano mettendo in cattiva luce la parte antagonista. Il vescovo Arras Minutili, nella sua relazione ad limina del 17 giugno 1782, biasima i costumi religiosi e civili della Gallura, fa sapere che la Collegiata di Tempio ha redditi insignificanti, che i seminaristi ignorano il canto gregoriano e sono di dubbia moralità e pietà, che gli stessi canonici della Collegiata di Tempio ignorano il canto gregoriano, non osservano il cerimoniale e non tutti cantano in coro per la celebrazione dei vespri, mentre non trascurano di recarsi nelle loro proprietà e nelle loro vigne per procurarsi il necessario sostentamento, infine aggiunge che, eccetto pochi parroci, “…sono ignoranti ed inetti ad eseguire i loro compiti, né brilla la speranza di un miglioramento dell’istruzione dei popoli ad essi affidati, mentre invece la diocesi di Ampurias ha uomini laboriosi, attenti alla voce del loro vescovo...amici tra loro, che la diocesi di Civita al contrario ha uomini dediti alla vendetta, sanguinari, sprezzanti della giustizia..., che gli sposati sono in gran parte separati, vivono scandalosamente e sono ignoranti …”. Ma il problema più grave è dato sempre dal comportamento dei pastori. Per porvi rimedio i Piemontesi progettarono, mediante colonizzazioni guidate, la ri- 37 conquista del litorale gallurese. La prima mossa fu l’occupazione delle cosiddette isole intermedie (1767); il vescovo Pietro Paolo Carta, pochi mesi prima che Genova vendesse la Corsica alla Francia per due milioni di lire (1768), istituì la parrocchia nominando un cappellano per l’assistenza religiosa e avviando la costruzione di una chiesa intitolata a S. Maria Maddalena, che poi venne intitolata alla SS. Trinità quando ne fu costruita una nuova in Cala Gavetta (1770). Quattro anni dopo il Governo piemontese propose la creazione di quattro nuove chiese rurali. Il Ministro Bogino era preoccupato che la massima parte dei pastori non aveva assistenza spirituale e religiosa e non praticava esercizi di religione e pietà cristiana, “…a segno che moltissimi riteneano di cristiano solo il nome…”, ma soprattutto per andare al riparo dai perniciosissimi effetti che ne provenivano come “…frodi, furti, spergiuri, odii implacabili, inveterate e sanguinose inimicizie tra intere numerose parentele, frequenti omicidi...uccidendosi tra loro come se fossero cani”. Tra il 1774 e il 1776 le quattro chiese sorsero, per l’azione decisiva del nuovo vescovo Francesco Guiso, a Iscia dedicata a S. Pasquale Baylon, ad Aglientu dedicata a S. Francesco d’Assisi, ad Arzachena dedicata a S. Maria Maggiore, ad Oviddè dedicata a S. Teodoro. La realizzazione piacque alla comunità di Aggius la quale fece erigere un’altra chiesa nel territorio d’Agultu dove vivevano i due terzi dei pastori aggesi dedicata alla SS. Trinità. Nel Sinodo, presieduto dal vescovo Francesco Guiso, è contenuta una non troppo velata critica ai suoi predecessori che avevano visto i pastori “…come pecore estranee come se non appartenessero allo stesso gregge…” ma, nella consapevolezza che le vere cause della “diversità” dei pastori non era da imputare alla loro natura “ferina”, sebbene alle condizioni ambientali e sociali in cui conducevano la loro vita, “…come pecore erranti senza chiesa, senza sacerdote, senza messa e parola di Dio...”. La costruzione della chiesa di S. Teresa ebbe inizio l’anno successivo (1809) a quello di fondazione sui terreni donati ai nuovi coloni col proposito di civilizzarli e di educarli alla vita sociale. Intanto la Gallura aveva ottenuto la piena autonomia in campo ecclesiastico; Gregorio XVI con la Bolla “Quamvis aequam” del 1839 stabilì la soppressione della sede episcopale di Civita e la Cattedralità della chiesa di S. Simplicio ed eresse la città di Tempio in città episcopale con la Curia e la Cancelleria Ecclesiastica che gode di tutti i singoli onori e privilegi e prerogative di cui godono le altre città episcopali. Inoltre eresse la chiesa parrocchiale di S. Pietro e per la Collegiata di Tempio soppresse la collegialità in onore di Chiesa Cattedrale di Tempio. La legge del 1853, per l’abolizione delle decime in Sardegna, tagliò drasticamente il numero dei canonici e dei beneficiari e ne ridusse le prebende. Nella prima metà del secolo XIX in Gallura si è consolidata la tendenza al passaggio dall’insediamento sparso a quello accentrato della popolazione degli stazzi. Santa Vittoria a Telti, San Pantaleo nella località omonima, Sant’Antonio Abate per iniziativa dei pastori della contrada, Sacro Cuore a Badesi, sempre per iniziativa dei pastori, a Palau si cominciò con la chiesetta di Santa Maria delle Grazie, luogo di culto dei pastori dispersi nelle campagne, sostituita nel 1889 da

una chiesa più grande. Venendo ai tempi più recenti, si costituiscono nuove parrocchie nelle periferie delle città che crescono e, in molti centri minori come Viddalba, Bassacutena, Tisiennari, Loiri Porto S. Paolo. Il turismo ha influenzato la nuova politica ecclesiastica con la creazione di altre parrocchie a Golfo Aranci, Porto Cervo e Cannigione. A12 – CONTRABBANDIERI. Per alcuni studiosi in Gallura il contrabbando è stata un’attività commerciale che si è sviluppata accanto all’agricoltura e alla pastorizia. Una opportunità aggiuntiva di lavoro insomma, che si integra e si mescola con le altre non solo per la valenza economica, ma anche in termini di costume, fino a farne oggetto di tradizione storica. Un esempio ed un’esperienza di cooperazione. Una sorta di gioco d’azzardo favorita da un vistoso dato geografico, la vicinanza tra Sardegna e Corsica separate, o meglio unite, da un braccio di mare che si può attraversare in un paio d’ore. Nei ricordi degli anziani, nelle coscienze vive del popolo, nell’immagina-rio collettivo le figure dei contrabbandieri sono avvolte da un alone di eroicità, quasi fossero gli alfieri di un nuovo spirito imprenditoriale e di una affermazione di libertà, di fronte alla rapacità e all’ingiustizia di un fisco che non tiene conto dei diritti pastorali. Perciò gli scontri a fuoco tra gabellieri o dragoni e contrabbandieri sono al tempo drammatici e farseschi. Ovviamente a rendersi ridicoli sono i rappresentanti della legge che hanno sempre la peggio e, gambe all’aria, si danno a fughe poco dignitose quando devono fronteggiare gli intrepidi pastori e quegli avventurosi che, per poter disporre di un giusto guadagno dal proprio lavoro, sono costretti a ricorrere, armi alla mano, a comportamenti considerati illeciti. I luoghi degli scontri sono i siti convenuti tra galluresi e corsi per lo scambio illegale delle merci: Vignola, La Gruzitta, Tinnari, Porto Pozzo, Porto Liscia, Cannigione. Dalla Corsica arrivano caffè, zucchero, tabacco, polvere da sparo ed armi, legnami, abiti, biancheria; dalla Sardegna partono vino, formaggio, bestiame vivo, pellami, granaglie, legumi. Dove erano coste solitarie ora vivono, in villaggi orientati al turismo, i discendenti di quei pastori che raccontando le imprese dei loro avi li mostrano fieri e coraggiosi fino alla temerarietà che si fa beffe del pericolo. Mentre i poveri gendarmi sono sempre tremebondi, spesso umiliati e ridicolizzati. Le descrizioni sono ancora oggi talmente ricche di particolari che tradiscono le aggiunte che nel tempo vengono continuamente confezionate a discrezione del narratore: “…All’incirca duecento anni fa sette uomini al calar del sole erano impegnati silenziosamente a scaricare, da un battello giunto dalla Corsica, sacchi di merce furtivamente contrabbandata e a caricarla sui cavalli che poi, per vie segrete, dovevano portarla a destinazione. Intercettati da un manipolo di dragoni, che avevano stabilito un posto di blocco, e fatti segno a colpi d’arma da fuoco, poiché non avevano idea del numero dei rappresentanti della legge che li contrastavano, si dispersero abbandonando i cavalli con il loro prezioso carico. Riavutisi 38 dalla sorpresa e nuovamente raggruppatisi, non sopportavano che fosse stata loro sottratta la mercanzia. Pertanto rapidamente reclutarono rinforzi tra i pastori fidati del luogo e si appostarono nei pressi di un guado che i militari avrebbero dovuto passare, avendo come scopo dell’agguato il solo recupero della roba. Appena il plotoncino delle guardie giunse a tiro di schioppo, in rapida successione partirono i colpi. I tiratori abilissimi intendevano solo spaventare gli avversari, così la prima pallottola urtò la sella del comandante provocandone una rovinosa caduta da cavallo. Questi prontamente rialzatosi si diede ad una fuga ignominiosa, abbandonando sul campo i suoi e perdendo il berretto con i fregi del grado. Un secondo militare seguì l’esempio del capo e, smontato da cavallo, si dileguò, non prima che una pallottola gli facesse saltare il tacco dello stivale. Il terzo colpo centrò la fiaschetta della polvere da sparo che un milite teneva appesa lungo il fianco, bruciacchiandogli la divisa e procurandogli ustioni che scompostamente tentava di lenire correndo e battendosi sugli abiti nel tentativo di spegnerli. Gli altri, vista la mala parata, diedero di sprone e fecero correre i cavalli tanto finché non ebbero la certezza di aver messo una bella distanza tra loro e gli assalitori. I contrabbandieri soddisfatti e tra l’ilarità generale recuperarono il frutto della loro attività illegale. Tra i trofei della scaramuccia il berretto del comandante fece bella mostra di sé per un lungo periodo sulla testa di uno spaventapasseri. Il drappello sconfitto giunse a Tempio all’imbrunire del giorno successivo, con i malconci cavalleggeri che portavano impresso il segno della disfatta e, tra quelli di loro che erano stati appiedati, uno zoppicava penosamente e un altro mostrava i segni della bruciatura sul fianco che la divisa incenerita lasciava scoperto (Pirodda, 2006)…”. Numerosi episodi, che fanno certamente riferimento a fatti reali ma trasfigurati, sono raccontati da narratori popolari che esaltano le virtù della propria gente: “…Metà ‘800, baia di Vignola, una grossa imbarcazione è giunta clandestinamente dalla Corsica evitando i feluconi della Marina Sarda, che incrociano in quelle acque con base La Maddalena. Nella sua stiva un carico prezioso, gli articoli trasportati sono molti e di valore. I pastori della cussorgia sono accorsi a scaricarli quando uno di loro vede spuntare da dietro una roccia, a intervalli regolari e con un movimento rotatorio, una zucca. È un gendarme che appostato con un gruppetto di compagni aspetta il momento opportuno per fermare i briganti e sequestrare la merce. Beve tranquillamente, baciando l’imboccatura della cucurbitacea, pensando di non essere visto. Un contrabbandiere, osservatolo giusto il tempo utile a valutare il momento opportuno, prese lentamente la mira e sparò nell’istante in cui la zucca si sollevava, mandandola in frantumi con il vino residuo che ne schizzava fuori a ventaglio. Spaventatissimi e pensando di essere sotto tiro, i tutori dell’ordine abbandonarono quanto non avevano indosso e si diedero a una fuga precipitosa. Per molto tempo, nelle nostre marine, non si vide neanche l’ombra di un gendarme. Si racconta anche di quei militari che avvicinatisi incautamente ad una gondola bonifacina in accostamento alla riva, furono sorpresi dai loro compari galluresi che aspettavano nascosti dietro le rocce. Disarmati furono costretti a sbarcare la merce di contrabbando e caricarla sulle some dei cavalli.

<strong>una</strong> chiesa più grande. Venendo ai tempi più recenti, si costituiscono nuove parrocchie<br />

nelle periferie delle città che crescono e, <strong>in</strong> molti centri m<strong>in</strong>ori come Viddalba,<br />

Bassacutena, Tisiennari, Loiri Porto S. Paolo. Il turismo ha <strong>in</strong>fluenzato la<br />

nuova politica ecclesiastica con la creazione di altre parrocchie a Golfo Aranci,<br />

Porto Cervo e Cannigione.<br />

A12 – CONTRABBANDIERI.<br />

Per alcuni studiosi <strong>in</strong> <strong>Gallura</strong> il contrabbando è stata un’attività commerciale<br />

che si è sviluppata accanto all’agricoltura e alla pastorizia. Una opportunità aggiuntiva<br />

di lavoro <strong>in</strong>somma, che si <strong>in</strong>tegra e si mescola con le altre non solo per la<br />

valenza economica, ma anche <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i di costume, f<strong>in</strong>o a farne oggetto di tradizione<br />

storica. Un esempio ed un’esperienza di cooperazione. Una sorta di gioco<br />

d’azzardo favorita da un vistoso dato geografico, la vic<strong>in</strong>anza tra <strong>Sardegna</strong> e<br />

Corsica separate, o meglio unite, da un braccio di mare che si può attraversare <strong>in</strong><br />

un paio d’ore.<br />

Nei ricordi degli anziani, nelle coscienze vive del popolo, nell’immag<strong>in</strong>a-rio<br />

collettivo le figure dei contrabbandieri sono avvolte da un alone di eroicità, quasi<br />

fossero gli alfieri di un nuovo spirito imprenditoriale e di <strong>una</strong> affermazione di libertà,<br />

di fronte alla rapacità e all’<strong>in</strong>giustizia di un fisco che non tiene conto dei diritti<br />

pastorali. Perciò gli scontri a fuoco tra gabellieri o dragoni e contrabbandieri sono<br />

al tempo drammatici e farseschi.<br />

Ovviamente a rendersi ridicoli sono i rappresentanti della legge che hanno<br />

sempre la peggio e, gambe all’aria, si danno a fughe poco dignitose quando devono<br />

fronteggiare gli <strong>in</strong>trepidi pastori e quegli avventurosi che, per poter disporre<br />

di un giusto guadagno dal proprio lavoro, sono costretti a ricorrere, armi alla mano,<br />

a comportamenti considerati illeciti.<br />

I luoghi degli scontri sono i siti convenuti tra galluresi e corsi per lo scambio<br />

illegale delle merci: Vignola, <strong>La</strong> Gruzitta, T<strong>in</strong>nari, Porto Pozzo, Porto Liscia, Cannigione.<br />

Dalla Corsica arrivano caffè, zucchero, tabacco, polvere da sparo ed armi,<br />

legnami, abiti, biancheria; dalla <strong>Sardegna</strong> partono v<strong>in</strong>o, formaggio, bestiame<br />

vivo, pellami, granaglie, legumi.<br />

Dove erano coste solitarie ora vivono, <strong>in</strong> villaggi orientati al turismo, i discendenti<br />

di quei pastori che raccontando le imprese dei loro avi li mostrano fieri<br />

e coraggiosi f<strong>in</strong>o alla temerarietà che si fa beffe del pericolo. Mentre i poveri gendarmi<br />

sono sempre tremebondi, spesso umiliati e ridicolizzati.<br />

Le descrizioni sono ancora oggi talmente ricche di particolari che tradiscono<br />

le aggiunte che nel tempo vengono cont<strong>in</strong>uamente confezionate a discrezione del<br />

narratore: “…All’<strong>in</strong>circa duecento anni fa sette uom<strong>in</strong>i al calar del sole erano impegnati<br />

silenziosamente a scaricare, da un battello giunto dalla Corsica, sacchi di<br />

merce furtivamente contrabbandata e a caricarla sui cavalli che poi, per vie segrete,<br />

dovevano portarla a dest<strong>in</strong>azione. Intercettati da un manipolo di dragoni,<br />

che avevano stabilito un posto di blocco, e fatti segno a colpi d’arma da fuoco,<br />

poiché non avevano idea del numero dei rappresentanti della legge che li contrastavano,<br />

si dispersero abbandonando i cavalli con il loro prezioso carico. Riavutisi<br />

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dalla sorpresa e nuovamente raggruppatisi, non sopportavano che fosse stata loro<br />

sottratta la mercanzia. Pertanto rapidamente reclutarono r<strong>in</strong>forzi tra i pastori fidati<br />

del luogo e si appostarono nei pressi di un guado che i militari avrebbero dovuto<br />

passare, avendo come scopo dell’agguato il solo recupero della roba. Appena<br />

il plotonc<strong>in</strong>o delle guardie giunse a tiro di schioppo, <strong>in</strong> rapida successione partirono<br />

i colpi. I tiratori abilissimi <strong>in</strong>tendevano solo spaventare gli avversari, così la<br />

prima pallottola urtò la sella del comandante provocandone <strong>una</strong> rov<strong>in</strong>osa caduta<br />

da cavallo. Questi prontamente rialzatosi si diede ad <strong>una</strong> fuga ignom<strong>in</strong>iosa, abbandonando<br />

sul campo i suoi e perdendo il berretto con i fregi del grado. Un secondo<br />

militare seguì l’esempio del capo e, smontato da cavallo, si dileguò, non<br />

prima che <strong>una</strong> pallottola gli facesse saltare il tacco dello stivale. Il terzo colpo<br />

centrò la fiaschetta della polvere da sparo che un milite teneva appesa lungo il<br />

fianco, bruciacchiandogli la divisa e procurandogli ustioni che scompostamente<br />

tentava di lenire correndo e battendosi sugli abiti nel tentativo di spegnerli. Gli altri,<br />

vista la mala parata, diedero di sprone e fecero correre i cavalli tanto f<strong>in</strong>ché<br />

non ebbero la certezza di aver messo <strong>una</strong> bella distanza tra loro e gli assalitori. I<br />

contrabbandieri soddisfatti e tra l’ilarità generale recuperarono il frutto della loro<br />

attività illegale. Tra i trofei della scaramuccia il berretto del comandante fece bella<br />

mostra di sé per un lungo periodo sulla testa di uno spaventapasseri. Il drappello<br />

sconfitto giunse a Tempio all’imbrunire del giorno successivo, con i malconci cavalleggeri<br />

che portavano impresso il segno della disfatta e, tra quelli di loro che<br />

erano stati appiedati, uno zoppicava penosamente e un altro mostrava i segni<br />

della bruciatura sul fianco che la divisa <strong>in</strong>cenerita lasciava scoperto (Pirodda,<br />

2006)…”.<br />

Numerosi episodi, che fanno certamente riferimento a fatti reali ma trasfigurati,<br />

sono raccontati da narratori popolari che esaltano le virtù della propria gente:<br />

“…Metà ‘800, baia di Vignola, <strong>una</strong> grossa imbarcazione è giunta clandest<strong>in</strong>amente<br />

dalla Corsica evitando i feluconi della Mar<strong>in</strong>a Sarda, che <strong>in</strong>crociano <strong>in</strong> quelle<br />

acque con base <strong>La</strong> Maddalena. Nella sua stiva un carico prezioso, gli articoli trasportati<br />

sono molti e di valore. I pastori della cussorgia sono accorsi a scaricarli<br />

quando uno di loro vede spuntare da dietro <strong>una</strong> roccia, a <strong>in</strong>tervalli regolari e con<br />

un movimento rotatorio, <strong>una</strong> zucca. È un gendarme che appostato con un gruppetto<br />

di compagni aspetta il momento opportuno per fermare i briganti e sequestrare<br />

la merce. Beve tranquillamente, baciando l’imboccatura della cucurbitacea,<br />

pensando di non essere visto. Un contrabbandiere, osservatolo giusto il tempo utile<br />

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<strong>in</strong> cui la zucca si sollevava, mandandola <strong>in</strong> frantumi con il v<strong>in</strong>o residuo che ne<br />

schizzava fuori a ventaglio. Spaventatissimi e pensando di essere sotto tiro, i tutori<br />

dell’ord<strong>in</strong>e abbandonarono quanto non avevano <strong>in</strong>dosso e si diedero a <strong>una</strong><br />

fuga precipitosa. Per molto tempo, nelle nostre mar<strong>in</strong>e, non si vide neanche<br />

l’ombra di un gendarme. Si racconta anche di quei militari che avvic<strong>in</strong>atisi <strong>in</strong>cautamente<br />

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loro compari galluresi che aspettavano nascosti dietro le rocce. Disarmati furono<br />

costretti a sbarcare la merce di contrabbando e caricarla sulle some dei cavalli.

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