La Gallura una Regione Diversa in Sardegna - Servizi On Line

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28.05.2013 Views

i campi incolti lasciati al pascolo brado per lungo periodo, in linea di principio destinati a pascolo comune. Quasi a ripetere la tripartizione in vidazzòne, paberile, salto. In quelle solitudini tutti coloro che incidevano pesantemente sui redditi agrari, signori, proprietari, potentes, ecclesiastici, usurai, ecc., erano lontani e le loro volontà scarsamente efficaci; persino i gravami feudali erano dimenticati o ignorati e ciò esaltava la consapevolezza di libertà del pastore-contadino e rafforzava la sua capacità organizzativa. In Gallura, questo popolamento diffuso, questo fenomeno dispersivo della popolazione, questo radicamento di nuclei e famiglie contadine e pastorali su luoghi e lande altrimenti inospitali e selvagge è piuttosto vistoso. Spesso l’assenza di un’agricoltura capace di dominare la natura e trasformare il paesaggio agrario, spingeva sia contadini che pastori a rifugiarsi sulle montagne, dove era garantita maggiore autonomia e integrazione tra allevamento e agricoltura. Bisogna tener presenti le condizioni della Sardegna per gran parte della dominazione catalano-aragonese e spagnola. Una società minacciata dalla povertà a causa della scarsezza di abitanti, della limitatezza di rapporti sociali, dell’arretratezza dei mezzi di produzione, dell’assenza di capitali. Perciò, in continuità con la legislazione arborense, veniva effettuato un ferreo controllo sulla destinazione economica della superficie agraria. Il fine da perseguire era soddisfare i bisogni primari della collettività, garantendo l’esercizio dell’agricoltura e della pastorizia per il benessere della economia del Regno e ponendo limiti ad entrambe le attività perché non si recassero danno reciproco. A meno che non risultassero unificati come in Gallura. Ma la caratteristica originale di questa occupazione diffusiva è nel fatto che la contrada è stata colonizzata per tre quarti da stranieri: i Corsi. Tradizionalmente da Bonifacio numerose famiglie di pastori praticavano la transumanza sulle coste sarde e sulle vicine isole minori. Molti praticavano il contrabbando sostenuti, con vantaggio reciproco, dai pastori locali. Non pochi sfuggivano, riparando in terra di Gallura, alle vendette usuali tra famiglie, come pure alle crisi sociali e alle torbide e contrastate vicende dell’irredentismo corso. Gli stazzi si moltiplicarono sostenuti da questa migrazione atipica, così che, agli inizi del XVIII secolo, coloro che parlavano un dialetto corso, seppure sardizzato, successivamente detto gallurese, erano già maggioranza della popolazione negli stessi villaggi di Tempio e satelliti e la quasi totalità negli stazzi. Resisteva un’unica isola logudorese, Luras. Questa insolita emigrazione ha dato alla Gallura, oltre alla originalità degli insediamenti ad habitat disperso, anche una particolarità etnica e linguistica che non si è perduta. Tanto che i galluresi chiamano sardi, non senza un certo sentimento di superiorità, gli altri abitanti dell’isola. Quanto detto per descrivere in sintesi il meccanismo di formazione degli stazzi. Bisogna peraltro ricordare che nel 1297 Bonifacio VIII, dopo un lungo periodo di predominio e radicamento pisano, per disegni politici universali ed esigenze di equilibrio tra i potenti della Cristianità, concesse al re aragonese Giacomo II il Giusto l’infeudazione del regnum Sardiniae et Corsicae. Tuttavia l’effettiva con- 33 quista dell’isola non ebbe inizio che nel 1323. La conseguenza più grave dell’ingerenza papale, oltre a una lunga guerra di conquista con il corteo delle inevitabili devastazioni, fu l’introduzione in Sardegna del regime feudale nel momento in cui in Europa era quasi del tutto scomparso. E come l’isola fu l’ultima ad entrarvi allo stesso modo fu l’ultima ad uscirne con una sfasatura grave rispetto alle altre aree europee. Inoltre poiché l’assegnazione dei feudi non avveniva in base a criteri di omogeneità territoriale, ma in base alle rendite, il territorio gallurese venne suddiviso tra feudatari in parti non comunicanti, rendendone così oltremodo difficile l’amministrazione. Le testimonianze degli scrittori cinquecenteschi sono concordi: spiagge e coste sono disabitate e comodo rifugio per pirati, banditi, contrabbandieri. Vaste distese incolte abitate da pastori transumanti che vivono in ripari precari. La peste nera del XIV secolo, le guerre combattute dagli aragonesi per centocinquant’anni ad affermare il loro dominio, modificano totalmente il panorama antropico della Gallura. Alla ruralizzazione medievale con numerosi piccoli centri sparsi nelle campagne subentrò la fuga degli abitanti della regione verso i centri dell’interno, in particolare nelle contrada chiamata Gemini. A Tempio finirono per stabilirsi i maggiori esponenti dei ceti dominanti locali che si inserirono perfettamente nelle istituzioni feudali controllando amministrazione ed economia (appalto e riscossione delle rendite del territorio). Alcune chiese dei villaggi abbandonati restano, mute testimonianze del passato, al centro di vasti territori deserti. Rimangono pure i legami di culto da parte dei discendenti degli antichi abitanti, tanto che i santi patroni venivano festeggiati e contesi da due o più villaggi. Gli abitanti dei paesi interni, annualmente per tradizione, ripercorrono i sentieri dell’antica transumanza. Il capitano Camos, incaricato dal sovrano di predisporre un piano di difesa dei litorali, nella sua relazione scritta nel 1572 conferma la mancanza di centri costieri in Gallura e Fara (1580) registra la presenza nelle campagne di pastori nomadi che si spostano per gran parte dell’anno con le famiglie riparandosi sotto le rocce tafonate. Il visitatore generale Carrillo precisa che vivono in capanne denominate stazzi (1610). Sino alla metà del ‘700 questa situazione è confermata dalle fonti laiche ed ecclesiastiche. Già dall’ultimo ventennio del XVII secolo compaiono riferimenti sporadici alla presenza di ovili. Si sviluppa in questo periodo la corsa all’ appropriazione delle terre che, per mancanza di un controllo statale e feudale, avevano avuto fin’allora un uso comune. La ripresa demografica porta l’esigenza di stabilire la liceità delle rivendicazioni di diritti sulla terra, sia attraverso la dimostrazione del semplice uso e possesso, sia con l’affermazione di un diritto di proprietà anche se usurpato. La colonizzazione avviene al di fuori di ogni controllo e spesso è guidata dai grandi proprietari di bestiame che hanno alle loro dipendenze numerosi pastori. Sovente c’è chi tenta l’avventura individuale, valvola di sfogo per i ceti subalterni, che avevano perso i diritti loro riservati a causa della privatizzazione degli spazi più vicini ai villaggi. Le carte d’archivio ci rimandano a una consistente presenza corsicana nel

territorio già nella prima parte dell’età moderna. L’esodo massiccio continua anche dopo la fine del ‘600 e inizi del ‘700. Gravi problemi di ordine pubblico si condensano nel primo ‘800, oltre l’abigeato e il contrabbando si aggiungono i tentativi di sbarco dei filoangioyani. L’immigrazione testimoniata dai cognomi è evidenziata dalla progressiva sostituzione della parlata sarda con il gallurese anche nei villaggi dell’interno. Il paesaggio agrario si trasforma, nasce la tipica economia dello stazzo. Gli accenni ai rebañi con le loro giurisdizioni si fanno sempre più frequenti. Il primo atto completamente esauriente è un testamento con la descrizione del patrimonio destinato da don Miguel Pes Misorro in favore del figlio e dove si accenna a due pastori con le loro greggi, capanne, ovili e loro giurisdizioni che dicono volgarmente varriadorgiu o braviadorgiu nella cussorgia di Surrau (lo stazzo aveva tra le sue giurisdizioni terre aratorie). Per tutto il ‘600 e gran parte del ‘700 non risultano nei documenti d’archivio stazzi in possesso dei nobili tempiesi. Il fatto è che non ritenevano necessario elencare nei testamenti per gli eredi il numero, l’estensione, l’ubicazione, la delimitazione delle proprietà, intanto perché ben pochi pastori potevano con rivendicazioni insidiare il loro predominio nelle cussorge più lontane da Tempio, poi perché era da tutti risaputo che i terreni erano utilizzati senza problemi dagli stessi nobili senza che fosse necessario annotarli negli inventari. Solo verso la metà del XVIII secolo appare qualche riferimento agli stazzi posseduti, anche se i nuclei storici della proprietà della terra restano indefiniti. I figli di don Gavino Misorro contano ben quindici rebaños. Gli eredi di Juan Misorro sanno di quattro stazzi indicati nel testamento, degli altri non sanno nulla, pur avendo la certezza di possederne molti con relativo bestiame. I tempiesi sapevano che i Misorro avevano stazzi nelle cussorge del Liscia, di Montirussu e di Vignola; mentre i Pes avevano estese proprietà in Longonsardo, donde l’attribuzione di conti di Villamarina presente nel gentilizio. Ma da oltre la metà del ‘700 cambia la situazione. I pastori crescono di numero per nuove colonìe e per naturale incremento; cresce la fame di terre e la spinta ad appropriarsi di quegli spazi che erano stati possessi incontrastati delle famiglie baronali. A titolo d’esempio diremo che don André Pes dà inizio a una lite civile contro i fratelli Ciboddo a causa di alcuni stazzi contesi lungo il corso del fiume Liscia, nei quali i Ciboddo pretendono il diritto di passaggio e pascolo. Singoli pastori e interi nuclei familiari hanno l’ardire di insediarsi con la forza nei possedimenti nobiliari. A causa delle incertezze dei confini e degli stessi titoli di proprietà, anche i proprietari più benestanti approfittano per occupare diversi rebaños. Così aumenta sensibilmente il numero delle famiglie pastorali che rivendicano il possesso di stazzi, pur quando resta indeterminata la loro estensione. Questa indeterminatezza resta a lungo un fattore importante, perché non consente di valutare i redditi base della società pastorale. Situazione che permette ai pastori di sottrarsi o di rifiutare l’imposizione degli obblighi fiscali pretesi dagli agenti baronali ed ecclesiastici. Naturalmente gli aristocratici contrastano con determinazione queste usurpazioni, ricorrendo alle leggi dell’epoca a tutela dei loro interessi, ma anche alle intimidazioni e alla violenza di cui erano capaci. 34 Non disdegnavano infatti di ricorrere a sicari o a bande di “bravi” di cui si circondavano, oppure ripagavano con donazioni o cancellazioni di debiti quei pastori alle loro dipendenze che ne difendevano con la forza la proprietà. Ciò nonostante il predominio dell’aristocrazia non è più incontrastato. Ne è segno il fatto che persino tutti gli altri proprietari terrieri, a causa dell’insicu-rezza nelle campagne, hanno uomini di fiducia pronti a difendere i lori patrimoni anche con le armi. Per i suoi servigi Juan Giorgioni Gambitta si vede cancellato un debito da don André Pes. Don Bernardino Pes, nel 1777, per la fedeltà prestata in ogni occasione, dona quattro rebaños ai fratelli Orecchioni. Questi favori, la cui natura non veniva mai precisata, ricompensati con una magnanimità insolita, nascondono in molti casi le angherie praticate sui piccoli pastori nella lotta per il predominio sui pascoli. Come detto l’impiego di uomini armati allo scopo di accaparrare nuove terre o difendere quelle possedute è una pratica molto diffusa. Soprusi e violenze vedono protagonisti i “famigli” dei proprietari, che sono pure la scorta delle spedizioni di bestiame per il contrabbando con la Corsica. Fin dalle origini, nella formazione dei grandi patrimoni, la mobilitazione dei gregari fedeli e risoluti ha permesso a un numero ristretto di allevatori il diritto di sfruttare per alcuni secoli gli stazzi più fertili e di elevarsi al di sopra degli altri. A tal punto che i Misorro non disdegnano, per voce comune, di avvalersi per i loro traffici loschi di compagnie numerose di banditi (quadriglie) per spadroneggiare nelle campagne e cucire le bocche. C’è tuttavia chi reagisce alle prepotenze e ribatte colpo su colpo. La pressione migratoria si va intensificando soprattutto nel XVIII secolo, è testimoniata dai cognomi e dalla progressiva sostituzione della parlata sarda con il gallurese anche nei villaggi dell’interno. Il paesaggio agrario si trasforma, si rafforza la tipica economia dello stazzo. Un clima di vera e propria anarchia si sviluppa qualche anno più tardi, centinaia di omicidi e rancori terribili furono composti solo dopo diverso tempo, lasciando prostrata una regione, che per aggiunta era piagata da carestie devastanti. Per tutto un lungo periodo emarginati senza terra, fuorusciti, banditi, ma anche agricoltori e pastori, mercanti e uomini di legge, passarono lo stretto e dalla Corsica si trasferirono in Gallura. Per forza di cose gli accenni formali ai rebañi con le loro giurisdizioni si fanno più frequenti. E’ assodata nei secoli XVII e XVIII una notevole commercializzazione di formaggi e prodotti pastorali verso l’estero, tanto è vero che il collegio degli scolopi e le monache di santa Chiara poterono fondare i loro conventi grazie alla tassazione sui prodotti pastorali in uscita dai porti, e il quadro che si presenta nel momento di transizione vede il pastore nomade e poi il pastore sedentario stanziato nello stazzo come luogo di produzione integrata, nell’ambi-to di un circuito di commercializzazione abbastanza avanzato per il tempo, che aveva fatto la fortuna dei grandi proprietari di bestiame. Invece nel breve volgere di tempo, la situazione regredisce verso un sistema chiuso, quando i ceti dominanti residenti in Tempio perdono l’interesse per il bestiame, oltre al controllo dei territori dei quali si erano appropriati. I numerosissimi atti di vendita a favore di pastori, spesso già alle dipendenze dei venditori (nobili, principali, proprietari), indicano uno sposta-

i campi <strong>in</strong>colti lasciati al pascolo brado per lungo periodo, <strong>in</strong> l<strong>in</strong>ea di pr<strong>in</strong>cipio dest<strong>in</strong>ati<br />

a pascolo comune. Quasi a ripetere la tripartizione <strong>in</strong> vidazzòne, paberile,<br />

salto. In quelle solitud<strong>in</strong>i tutti coloro che <strong>in</strong>cidevano pesantemente sui redditi agrari,<br />

signori, proprietari, potentes, ecclesiastici, usurai, ecc., erano lontani e le loro<br />

volontà scarsamente efficaci; pers<strong>in</strong>o i gravami feudali erano dimenticati o ignorati<br />

e ciò esaltava la consapevolezza di libertà del pastore-contad<strong>in</strong>o e rafforzava<br />

la sua capacità organizzativa.<br />

In <strong>Gallura</strong>, questo popolamento diffuso, questo fenomeno dispersivo della<br />

popolazione, questo radicamento di nuclei e famiglie contad<strong>in</strong>e e pastorali su<br />

luoghi e lande altrimenti <strong>in</strong>ospitali e selvagge è piuttosto vistoso. Spesso<br />

l’assenza di un’agricoltura capace di dom<strong>in</strong>are la natura e trasformare il paesaggio<br />

agrario, sp<strong>in</strong>geva sia contad<strong>in</strong>i che pastori a rifugiarsi sulle montagne, dove<br />

era garantita maggiore autonomia e <strong>in</strong>tegrazione tra allevamento e agricoltura.<br />

Bisogna tener presenti le condizioni della <strong>Sardegna</strong> per gran parte della dom<strong>in</strong>azione<br />

catalano-aragonese e spagnola. Una società m<strong>in</strong>acciata dalla povertà a<br />

causa della scarsezza di abitanti, della limitatezza di rapporti sociali,<br />

dell’arretratezza dei mezzi di produzione, dell’assenza di capitali.<br />

Perciò, <strong>in</strong> cont<strong>in</strong>uità con la legislazione arborense, veniva effettuato un ferreo<br />

controllo sulla dest<strong>in</strong>azione economica della superficie agraria. Il f<strong>in</strong>e da perseguire<br />

era soddisfare i bisogni primari della collettività, garantendo l’esercizio<br />

dell’agricoltura e della pastorizia per il benessere della economia del Regno e<br />

ponendo limiti ad entrambe le attività perché non si recassero danno reciproco. A<br />

meno che non risultassero unificati come <strong>in</strong> <strong>Gallura</strong>.<br />

Ma la caratteristica orig<strong>in</strong>ale di questa occupazione diffusiva è nel fatto che<br />

la contrada è stata colonizzata per tre quarti da stranieri: i Corsi. Tradizionalmente<br />

da Bonifacio numerose famiglie di pastori praticavano la transumanza sulle coste<br />

sarde e sulle vic<strong>in</strong>e isole m<strong>in</strong>ori. Molti praticavano il contrabbando sostenuti,<br />

con vantaggio reciproco, dai pastori locali. Non pochi sfuggivano, riparando <strong>in</strong> terra<br />

di <strong>Gallura</strong>, alle vendette usuali tra famiglie, come pure alle crisi sociali e alle<br />

torbide e contrastate vicende dell’irredentismo corso.<br />

Gli stazzi si moltiplicarono sostenuti da questa migrazione atipica, così che,<br />

agli <strong>in</strong>izi del XVIII secolo, coloro che parlavano un dialetto corso, seppure sardizzato,<br />

successivamente detto gallurese, erano già maggioranza della popolazione<br />

negli stessi villaggi di Tempio e satelliti e la quasi totalità negli stazzi. Resisteva<br />

un’unica isola logudorese, Luras.<br />

Questa <strong>in</strong>solita emigrazione ha dato alla <strong>Gallura</strong>, oltre alla orig<strong>in</strong>alità degli<br />

<strong>in</strong>sediamenti ad habitat disperso, anche <strong>una</strong> particolarità etnica e l<strong>in</strong>guistica che<br />

non si è perduta. Tanto che i galluresi chiamano sardi, non senza un certo sentimento<br />

di superiorità, gli altri abitanti dell’isola. Quanto detto per descrivere <strong>in</strong> s<strong>in</strong>tesi<br />

il meccanismo di formazione degli stazzi.<br />

Bisogna peraltro ricordare che nel 1297 Bonifacio VIII, dopo un lungo periodo<br />

di predom<strong>in</strong>io e radicamento pisano, per disegni politici universali ed esigenze<br />

di equilibrio tra i potenti della Cristianità, concesse al re aragonese Giacomo II il<br />

Giusto l’<strong>in</strong>feudazione del regnum Sard<strong>in</strong>iae et Corsicae. Tuttavia l’effettiva con-<br />

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quista dell’isola non ebbe <strong>in</strong>izio che nel 1323. <strong>La</strong> conseguenza più grave<br />

dell’<strong>in</strong>gerenza papale, oltre a <strong>una</strong> lunga guerra di conquista con il corteo delle <strong>in</strong>evitabili<br />

devastazioni, fu l’<strong>in</strong>troduzione <strong>in</strong> <strong>Sardegna</strong> del regime feudale nel momento<br />

<strong>in</strong> cui <strong>in</strong> Europa era quasi del tutto scomparso. E come l’isola fu l’ultima ad<br />

entrarvi allo stesso modo fu l’ultima ad uscirne con <strong>una</strong> sfasatura grave rispetto<br />

alle altre aree europee. Inoltre poiché l’assegnazione dei feudi non avveniva <strong>in</strong><br />

base a criteri di omogeneità territoriale, ma <strong>in</strong> base alle rendite, il territorio gallurese<br />

venne suddiviso tra feudatari <strong>in</strong> parti non comunicanti, rendendone così oltremodo<br />

difficile l’amm<strong>in</strong>istrazione.<br />

Le testimonianze degli scrittori c<strong>in</strong>quecenteschi sono concordi: spiagge e<br />

coste sono disabitate e comodo rifugio per pirati, banditi, contrabbandieri. Vaste<br />

distese <strong>in</strong>colte abitate da pastori transumanti che vivono <strong>in</strong> ripari precari. <strong>La</strong> peste<br />

nera del XIV secolo, le guerre combattute dagli aragonesi per centoc<strong>in</strong>quant’anni<br />

ad affermare il loro dom<strong>in</strong>io, modificano totalmente il panorama antropico della<br />

<strong>Gallura</strong>. Alla ruralizzazione medievale con numerosi piccoli centri sparsi nelle<br />

campagne subentrò la fuga degli abitanti della regione verso i centri dell’<strong>in</strong>terno,<br />

<strong>in</strong> particolare nelle contrada chiamata Gem<strong>in</strong>i.<br />

A Tempio f<strong>in</strong>irono per stabilirsi i maggiori esponenti dei ceti dom<strong>in</strong>anti locali<br />

che si <strong>in</strong>serirono perfettamente nelle istituzioni feudali controllando amm<strong>in</strong>istrazione<br />

ed economia (appalto e riscossione delle rendite del territorio). Alcune<br />

chiese dei villaggi abbandonati restano, mute testimonianze del passato, al centro<br />

di vasti territori deserti. Rimangono pure i legami di culto da parte dei discendenti<br />

degli antichi abitanti, tanto che i santi patroni venivano festeggiati e contesi<br />

da due o più villaggi. Gli abitanti dei paesi <strong>in</strong>terni, annualmente per tradizione, ripercorrono<br />

i sentieri dell’antica transumanza.<br />

Il capitano Camos, <strong>in</strong>caricato dal sovrano di predisporre un piano di difesa<br />

dei litorali, nella sua relazione scritta nel 1572 conferma la mancanza di centri costieri<br />

<strong>in</strong> <strong>Gallura</strong> e Fara (1580) registra la presenza nelle campagne di pastori nomadi<br />

che si spostano per gran parte dell’anno con le famiglie riparandosi sotto le<br />

rocce tafonate. Il visitatore generale Carrillo precisa che vivono <strong>in</strong> capanne denom<strong>in</strong>ate<br />

stazzi (1610). S<strong>in</strong>o alla metà del ‘700 questa situazione è confermata<br />

dalle fonti laiche ed ecclesiastiche. Già dall’ultimo ventennio del XVII secolo compaiono<br />

riferimenti sporadici alla presenza di ovili. Si sviluppa <strong>in</strong> questo periodo la<br />

corsa all’ appropriazione delle terre che, per mancanza di un controllo statale e<br />

feudale, avevano avuto f<strong>in</strong>’allora un uso comune.<br />

<strong>La</strong> ripresa demografica porta l’esigenza di stabilire la liceità delle rivendicazioni<br />

di diritti sulla terra, sia attraverso la dimostrazione del semplice uso e possesso,<br />

sia con l’affermazione di un diritto di proprietà anche se usurpato. <strong>La</strong> colonizzazione<br />

avviene al di fuori di ogni controllo e spesso è guidata dai grandi proprietari<br />

di bestiame che hanno alle loro dipendenze numerosi pastori. Sovente c’è<br />

chi tenta l’avventura <strong>in</strong>dividuale, valvola di sfogo per i ceti subalterni, che avevano<br />

perso i diritti loro riservati a causa della privatizzazione degli spazi più vic<strong>in</strong>i ai<br />

villaggi.<br />

Le carte d’archivio ci rimandano a <strong>una</strong> consistente presenza corsicana nel

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