La Gallura una Regione Diversa in Sardegna - Servizi On Line

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28.05.2013 Views

potere sovrano o la piena autorità, e operava in tal senso giungendo a risultati importanti dal punto di vista giuridico, poiché con il Papa Innocenzo III aveva ottenuto il giuramento di fedeltà e il pagamento di un censo, quasi un atto di sottomissione (1200-1205), da parte dei Giudici di Gallura, Torres e Arborea (Sanna 2001). Questa politica trovava un limite negli interessi materiali delle grandi famiglie genovesi e pisane che, insofferenti di complicate strategie diplomatiche e delle mediazioni vaticane, tendevano a privilegiare rapporti personali con i Giudici intesi ad ottenere concessioni e privilegi che favorissero le loro imprese mercantili e commerciali, ricorrendo ove ve ne fosse il bisogno a pressioni politiche, economiche, militari. Il Giudice - o Regolo o Donno - era un sovrano assoluto ed esercitava il potere regio coadiuvato da una “Corona de Logu” composta da prelati e maggiorenti - potentes - del Regno. Dal Giudice dipendeva direttamente il braccio armato o Armentariu de Logu. Ogni Giudicato era diviso amministrativamente in Curatorie a capo di ciascuna delle quali era chiamato un Curatore che aveva col Giudice rapporti di vassallaggio. Ogni Curatoria si divideva in ville - villaggi - (biddas) a capo di ognuna di esse stava il Maiore de Villa, chiamato alla carica dal Curatore. Ogni giovane dal quattordicesimo anno d’età era in obbligo di far parte della Scòlca, una milizia di sorveglianza del patrimonio comune o insieme delle terre possedute e coltivate dagli abitanti del villaggio, e vi restava fino al compimento del settantesimo anno d’età. Tra i suoi compiti: “Non lasciare che né uomini né bestie causino danni ai campi coltivati e alle vigne”. La Scolca di fatto definisce e difende le terre di pertinenza del villaggio. Il territorio su cui vigila costituisce quello che la “Carta de Logu” chiamerà habitacione o vidazzone, insieme delle terre aratorie o coltivabili che bisogna difendere perché indispensabili alla vita degli abitanti della villa. Agli inizi del secondo millennio del nostro Evo cristiano, Pisani e Genovesi, garantendo la copertura delle loro flotte a difesa dell’incolumità della Sardegna, avviarono una colonizzazione strisciante, attraverso l’accorta politica matrimoniale delle grandi famiglie toscane e liguri, che, sposando i discendenti delle schiatte giudicali, divennero le vere eredi dei privilegi giuridici e fiscali spettanti per lunga consuetudine ai Giudici, veri sovrani dell’isola dopo l’eclisse dell’autorità bizantina. Almeno ciò è quanto emerge attraverso i pochi documenti quasi tutti di fonte ecclesiastica. Tuttavia il predominio pisano appare netto, perché la proposizione di legami forti con la città di Pisa era sollecitata e favorita dalla Sede Apostolica, in modo da consentire la difesa dell’isola dalle mire arabe, favorirne la cristianizzazione e la diffusione degli ordini religiosi, per favorire la presenza dei quali erano loro concesse esenzioni e privilegi. Si assiste tra la fine dell’XI secolo e il principio del XII a una serie di privilegi concessi dai Papi alla sede arcivescovile pisana e all’archidiocesi di Genova, quali la legazia ad sedem, cioè l’esercizio dei poteri di natura ecclesiastica sulla Sardegna, il diritto alla primazia sulla arcidiocesi di Torres e l’arricchimento della provincia ecclesiastica con le due nuove diocesi di Civita e Galtellì in Gallura. Il papato infine si adoperava ad affermare sull’isola il Dominium eminens, o piena 31 autorità che in seguito ebbe importanti risultati e conseguenze dal punto di vista giuridico. La storia della Sardegna, e quindi della Gallura medioevale, è caratterizzata da una quasi totale mancanza di fonti, se si escludono le più volte citate 39 lettere scritte dal Pontefice Gregorio Magno, tra il dicembre dell’anno 590 e il marzo del 604, indirizzate alle autorità religiose sarde. Seguono secoli di completa oscurità per il silenzio dei documenti. Gettano un po' di luce sui costumi rilassati dell’epoca due richiami del Papa Nicola I volti a condannare pratiche incestuose nelle famiglie giudicali e il costume riprovevole di mantenere in condizioni di schiavitù cristiani venduti loro dai greci (Turtas, 1999). Anche se è difficile, per carenze documentali, ricostruire il succedersi degli avvenimenti di quegli anni, risultano evidenti le conflittualità tra Giudicati, con i tentativi di predominio di uno sull’altro ed un complicato intreccio d’interessi tra le famiglie giudicali, le eminenti famiglie pisane e genovesi, e le pretese della Santa Sede. Intrighi, matrimoni anche forzati, corteggiamenti di vedove portatrici di diritti giudicali, pressioni sugli eredi di grandi fortune, scomuniche papali e ritrattazioni, fanno parte di una storia convulsa, fino al coinvolgimento di quell’Enzo di Hoenstaufen, figlio naturale dello stesso Imperatore Federico II, dal quale aveva avuto il titolo di Rex Sardiniae e che aveva sposato la vedova di Ubaldo Visconti, quell’Adelasia erede dei titoli di Giudice su Torres e Gallura. Si riverberava sulle vicende della Gallura anche la lotta per la supremazia dentro le stesse mura di Pisa delle famiglie Visconti e Donoratico della Gherardesca; finché il Giudicato nel 1288 non fu occupato dai pisani che lo amministrarono direttamente. Questa nota sembrerebbe prenderla alla lontana o quasi essere superflua per definire l’oggetto della nostra ricerca, in effetti è essenziale per capire l’origine di quell’azienda agricola autosufficiente denominata stazzo. Istituto che ha un’origine storicamente rintracciabile, dunque non si tratta di un modello sociale e di vita dai caratteri perenni. Anche se possono essere individuati, in alcuni momenti della storia, organizzazioni agricole e pastorali strutturalmente simili. Il pastoralismo è una categoria universale, lo stazzo è un prodotto della storia, ricco di luci e di ombre. Un modello pieno di contraddizioni. Sottrarlo alla sua storicità è rendere un pessimo servizio alla “cultura” gallurese, perché significherebbe ingessarla, toglierle valenza dialettica e dunque produttiva di superamenti evolutivi; negare la possibilità di nuove aperture di orizzonti a quegli stessi valori e risultati che la “civiltà” dello stazzo può ancora oggi metterci a disposizione. Non sempre la stessa denominazione di Gallura ha fatto riferimento a un concetto culturale, a un’area culturalmente coesa. In epoca giudicale la Gallura continuava nell’area sud orientale fino a comprendere Posada e Galtellì, Bitti e Lula e alcuni centri demici in comune di Orune fino ad Oliena. Poi gli stravolgimenti causati dalla presenza nel Giudicato dell’elemento pisano portano alla separazione di ampie aree giudicali a favore di famiglie signorili, frazionando il territorio a macchia di leopardo. Infine in periodo catalano-aragonese, a causa delle infeudazioni, il termine Gallura possedeva una valenza quasi solamente geografico amministrativa. Ogni Curatoria comprendeva un certo numero di villaggi, nonché centri mi-

nori detti domos e donnicalias. Questi ultimi erano di esclusiva proprietà di coloro ai quali erano stati concessi. In molti casi i possessori delle donnicalìe erano ecclesiastici o privati cittadini pisani. Dunque continuando: le vicende storiche della Sardegna sono ancora oggi, con esiti alterni, come sono state ieri, segnate dalla drammatica lotta, che altrove è finita da secoli, tra pastori e contadini. La discesa dei pastori al piano era vista con terrore: come fosse l’avanzata di un esercito di predatori, poiché la pastorizia viveva e vive sulla cancellazione dell’agricoltura. La Carta de Logu (1395) della valorosa Giudicessa Eleonora di Arborea, evidenzia un paesaggio agrario dominato dalla proprietà collettiva delle terre e da un sistema di sfruttamento del suolo a rotazione forzata. Anzi sancisce una regolamentazione severa, analitica e rigorosa dei rapporti di produzione agricola. I legislatori arborensi restano i più aderenti alle condizioni socio economiche dell’isola. Non era ammissibile la presenza del pastore nelle aree destinate alla seminagione, mentre subentrava il suo pieno dominio man mano che ci si allontanava dagli abitati e dalle terre dissodate. Ai pastori doveva essere garantita una sufficiente quantità di pascolo, ma, seguendo il criterio della maggior convenienza, si poteva ridurre a coltura il territorio già pascolativo. La parte di terreno seminata e ripartita, in campi aperti e difesi collettivamente, tra coloro che si offrivano di seminarla, era chiamata vidazzòne, al cui centro stava la villa - il villaggio - con limitatissimi spazi, chiusi da muro o siepe, destinati alla orticoltura, all’impianto di vigneti ed ascrivibili al possesso individuale. Le terre che riposavano dopo la coltura (maggese), aperte al pascolo comune degli animali domestici e da lavoro, erano dette paberile. I luoghi impervi e lontani dalla villa (bidda), difficilmente controllabili dalle comunità rurali, erano i salti. La Carta de Logu dà ordini precisi: “...i caprai dovranno tenere le capre in montagna in qualunque periodo, le greggi di pecore non dovranno entrare né nel prato riservato agli animali da lavoro, né sulle superfici seminate a grano... [i capi] che vi si sorprenderanno potranno essere abbattuti [tentura e machizie]...”. Ma, in vista di una loro difesa comunitaria, al contrario, per i campi seminati si dava disposizione rigorosa perché fossero lasciati aperti. Perché così la forza collettiva del villaggio poteva opporsi alle minacce sempre presenti dell’allevamento nomade con un più vivo senso della vigilanza. Chi invece, spinto dalla indigenza e dalla marginalità, avesse voluto seminare nei salti, avrebbe dovuto farlo nella piena consapevolezza di non poter beneficiare della protezione collettiva e di restare esposto al pericolo degli assalti e delle ruberie. Poiché bisognava accontentarsi della terra che era possibile difendere. Nei salti, lontanissimi dalle ville, in un universo ostile, dove cominciarono a comparire campi recintati da coltivatori stanziali, ritagliati come radure tra il verde dei boschi, l’autorità comunistica del villaggio restava inoperosa e indifferente. Non era a rischio solo il singolo che seminava il paberile, ma anche chi nei salti impiantava vigneti, orti, oliveti difesi da recinzioni precarie. In tal caso i pastori che introducessero il bestiame dentro queste coltivazioni erano esenti da tenture e machizie. 32 Il diritto di proprietà nei terreni aperti delle vidazzoni era ristretto in quanto all’uso, che rimaneva pubblico dopo che erano raccolti e levati i seminati. Né era lecito cambiare ad arbitrio la forma delle cose se non assoggettandosi a una serie di formalità che coinvolgevano gli interessi delle comunità. Per esempio non era possibile estendere le vidazzoni o crearne di nuove, come non era passibile di appropriazione individuale una terra priva di frutti, sempre che non intervenisse l’opera dell’uomo. Nell’un caso e nell’altro era ravvisabile una lesione dei diritti pastorali. Si trattava di conciliare nel modo più armonico interessi fra classi sociali portate a contrastarsi. Anche i pastori meritavano la protezione della comunità. Era necessario tener conto che il pastore non poteva sottrarsi al continuo vagare per individuare quei vuoti dell’attività agricola che per lui erano i pieni della sua. Tuttavia in Gallura contadini e pastori intrepidi, a loro rischio e pericolo, si allontanarono dai villaggi dell’interno: Tempio, Luras, Calangianus, Aggius, Nuchis, Bortigiadas e, spinti dalla miseria o per sfuggire ai condizionamenti sociali, nel tentativo di sfruttare i vasti spazi lasciati liberi nei salti delle regioni marittime, si distribuirono a popolarli creandovi i primi nuclei di possesso individuale. Ritagliarono porzioni di terra che sottrassero allo sfruttamento collettivo e agli ademprivi, difendendole, in seguito, contro le tardive rivendicazioni dei villaggi e il ritorno dei feudatari. Già in epoca giudicale, uomini affrancati (culvertos), e uomini liberi ottenevano un usufrutto sulle terre (a mandicare) o una colonìa sui lontani terreni demaniali dei salti, dove maturavano un qualche diritto al possesso derivante dalla forma contrattuale della concessione (terrales de fictu). Tali assegnazioni, molto frequenti in Gallura, furono di due tipi: la cussorgia e l’orzalina. La cussorgia, dal latino cursoria, era lo spazio di territorio originariamente riservato al percorso delle greggi e si esercitava su un agro vasto centinaia di ettari. L’orzalina, dal sardo orzu, molto più piccola, era una concessione per la coltivazione. Quando le due concessioni erano date insieme, l’accesso al territorio ottenuto veniva proibito alle greggi. Il contadino pastore, al centro della sua orzalina, a sua volta al centro dei pascoli della cussorgia, aveva delle ricchezze da proteggere: il suo grano, i suoi strumenti da lavoro e la casa in muratura che rimpiazzava la primitiva capanna. La concessione divenne subito stabile perché l’orzalina costituiva di fatto un vero e proprio possesso personale, divenuto proprietà privata ben prima dell’«Editto sulle Chiudende» (1820), avendo consentito l’insediamento definitivo dei pastori-contadini nelle loro terre, dove le greggi estranee erano rigorosamente escluse. Costoro divennero rapidamente gli ammirati pastori degli stazzi, autori spesso di avventurose appropriazioni individuali, tuttavia riconosciuti contro le tardive recriminazioni dei villaggi. (Nel nuorese la forma dominante di concessione fu invece la cursoria, per cui nei secoli si determinò un esclusivo interesse alla ricerca e difesa del pascolo per le greggi, senza che mai sorgesse un interesse al possesso e alla stanzialità rurale). Le antiche orzaline divenute stazzi, erano zone di sfruttamento individuale che ripetevano strutturalmente l’organizzazione dei villaggi: al centro del possedimento l’abitazione; tutt’attorno vigne, orti, campi seminati a frumento; più lontani

potere sovrano o la piena autorità, e operava <strong>in</strong> tal senso giungendo a risultati<br />

importanti dal punto di vista giuridico, poiché con il Papa Innocenzo III aveva ottenuto<br />

il giuramento di fedeltà e il pagamento di un censo, quasi un atto di sottomissione<br />

(1200-1205), da parte dei Giudici di <strong>Gallura</strong>, Torres e Arborea (Sanna<br />

2001). Questa politica trovava un limite negli <strong>in</strong>teressi materiali delle grandi famiglie<br />

genovesi e pisane che, <strong>in</strong>sofferenti di complicate strategie diplomatiche e delle<br />

mediazioni vaticane, tendevano a privilegiare rapporti personali con i Giudici <strong>in</strong>tesi<br />

ad ottenere concessioni e privilegi che favorissero le loro imprese mercantili<br />

e commerciali, ricorrendo ove ve ne fosse il bisogno a pressioni politiche, economiche,<br />

militari.<br />

Il Giudice - o Regolo o Donno - era un sovrano assoluto ed esercitava il potere<br />

regio coadiuvato da <strong>una</strong> “Corona de Logu” composta da prelati e maggiorenti<br />

- potentes - del Regno. Dal Giudice dipendeva direttamente il braccio armato o<br />

Armentariu de Logu. Ogni Giudicato era diviso amm<strong>in</strong>istrativamente <strong>in</strong> Curatorie<br />

a capo di ciasc<strong>una</strong> delle quali era chiamato un Curatore che aveva col Giudice<br />

rapporti di vassallaggio. Ogni Curatoria si divideva <strong>in</strong> ville - villaggi - (biddas) a<br />

capo di ogn<strong>una</strong> di esse stava il Maiore de Villa, chiamato alla carica dal Curatore.<br />

Ogni giovane dal quattordicesimo anno d’età era <strong>in</strong> obbligo di far parte della<br />

Scòlca, <strong>una</strong> milizia di sorveglianza del patrimonio comune o <strong>in</strong>sieme delle terre<br />

possedute e coltivate dagli abitanti del villaggio, e vi restava f<strong>in</strong>o al compimento<br />

del settantesimo anno d’età. Tra i suoi compiti: “Non lasciare che né uom<strong>in</strong>i né<br />

bestie caus<strong>in</strong>o danni ai campi coltivati e alle vigne”. <strong>La</strong> Scolca di fatto def<strong>in</strong>isce e<br />

difende le terre di pert<strong>in</strong>enza del villaggio. Il territorio su cui vigila costituisce quello<br />

che la “Carta de Logu” chiamerà habitacione o vidazzone, <strong>in</strong>sieme delle terre<br />

aratorie o coltivabili che bisogna difendere perché <strong>in</strong>dispensabili alla vita degli abitanti<br />

della villa.<br />

Agli <strong>in</strong>izi del secondo millennio del nostro Evo cristiano, Pisani e Genovesi,<br />

garantendo la copertura delle loro flotte a difesa dell’<strong>in</strong>columità della <strong>Sardegna</strong>,<br />

avviarono <strong>una</strong> colonizzazione strisciante, attraverso l’accorta politica matrimoniale<br />

delle grandi famiglie toscane e liguri, che, sposando i discendenti delle schiatte<br />

giudicali, divennero le vere eredi dei privilegi giuridici e fiscali spettanti per lunga<br />

consuetud<strong>in</strong>e ai Giudici, veri sovrani dell’isola dopo l’eclisse dell’autorità bizant<strong>in</strong>a.<br />

Almeno ciò è quanto emerge attraverso i pochi documenti quasi tutti di fonte<br />

ecclesiastica. Tuttavia il predom<strong>in</strong>io pisano appare netto, perché la proposizione<br />

di legami forti con la città di Pisa era sollecitata e favorita dalla Sede Apostolica,<br />

<strong>in</strong> modo da consentire la difesa dell’isola dalle mire arabe, favorirne la cristianizzazione<br />

e la diffusione degli ord<strong>in</strong>i religiosi, per favorire la presenza dei quali erano<br />

loro concesse esenzioni e privilegi.<br />

Si assiste tra la f<strong>in</strong>e dell’XI secolo e il pr<strong>in</strong>cipio del XII a <strong>una</strong> serie di privilegi<br />

concessi dai Papi alla sede arcivescovile pisana e all’archidiocesi di Genova,<br />

quali la legazia ad sedem, cioè l’esercizio dei poteri di natura ecclesiastica sulla<br />

<strong>Sardegna</strong>, il diritto alla primazia sulla arcidiocesi di Torres e l’arricchimento della<br />

prov<strong>in</strong>cia ecclesiastica con le due nuove diocesi di Civita e Galtellì <strong>in</strong> <strong>Gallura</strong>. Il<br />

papato <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e si adoperava ad affermare sull’isola il Dom<strong>in</strong>ium em<strong>in</strong>ens, o piena<br />

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autorità che <strong>in</strong> seguito ebbe importanti risultati e conseguenze dal punto di vista<br />

giuridico. <strong>La</strong> storia della <strong>Sardegna</strong>, e qu<strong>in</strong>di della <strong>Gallura</strong> medioevale, è caratterizzata<br />

da <strong>una</strong> quasi totale mancanza di fonti, se si escludono le più volte citate<br />

39 lettere scritte dal Pontefice Gregorio Magno, tra il dicembre dell’anno 590 e il<br />

marzo del 604, <strong>in</strong>dirizzate alle autorità religiose sarde. Seguono secoli di completa<br />

oscurità per il silenzio dei documenti. Gettano un po' di luce sui costumi rilassati<br />

dell’epoca due richiami del Papa Nicola I volti a condannare pratiche <strong>in</strong>cestuose<br />

nelle famiglie giudicali e il costume riprovevole di mantenere <strong>in</strong> condizioni<br />

di schiavitù cristiani venduti loro dai greci (Turtas, 1999).<br />

Anche se è difficile, per carenze documentali, ricostruire il succedersi degli<br />

avvenimenti di quegli anni, risultano evidenti le conflittualità tra Giudicati, con i<br />

tentativi di predom<strong>in</strong>io di uno sull’altro ed un complicato <strong>in</strong>treccio d’<strong>in</strong>teressi tra le<br />

famiglie giudicali, le em<strong>in</strong>enti famiglie pisane e genovesi, e le pretese della Santa<br />

Sede. Intrighi, matrimoni anche forzati, corteggiamenti di vedove portatrici di diritti<br />

giudicali, pressioni sugli eredi di grandi fortune, scomuniche papali e ritrattazioni,<br />

fanno parte di <strong>una</strong> storia convulsa, f<strong>in</strong>o al co<strong>in</strong>volgimento di quell’Enzo di Hoenstaufen,<br />

figlio naturale dello stesso Imperatore Federico II, dal quale aveva avuto<br />

il titolo di Rex Sard<strong>in</strong>iae e che aveva sposato la vedova di Ubaldo Visconti,<br />

quell’Adelasia erede dei titoli di Giudice su Torres e <strong>Gallura</strong>. Si riverberava sulle<br />

vicende della <strong>Gallura</strong> anche la lotta per la supremazia dentro le stesse mura di<br />

Pisa delle famiglie Visconti e Donoratico della Gherardesca; f<strong>in</strong>ché il Giudicato<br />

nel 1288 non fu occupato dai pisani che lo amm<strong>in</strong>istrarono direttamente.<br />

Questa nota sembrerebbe prenderla alla lontana o quasi essere superflua<br />

per def<strong>in</strong>ire l’oggetto della nostra ricerca, <strong>in</strong> effetti è essenziale per capire l’orig<strong>in</strong>e<br />

di quell’azienda agricola autosufficiente denom<strong>in</strong>ata stazzo. Istituto che ha<br />

un’orig<strong>in</strong>e storicamente r<strong>in</strong>tracciabile, dunque non si tratta di un modello sociale e<br />

di vita dai caratteri perenni. Anche se possono essere <strong>in</strong>dividuati, <strong>in</strong> alcuni momenti<br />

della storia, organizzazioni agricole e pastorali strutturalmente simili.<br />

Il pastoralismo è <strong>una</strong> categoria universale, lo stazzo è un prodotto della storia,<br />

ricco di luci e di ombre. Un modello pieno di contraddizioni. Sottrarlo alla sua<br />

storicità è rendere un pessimo servizio alla “cultura” gallurese, perché significherebbe<br />

<strong>in</strong>gessarla, toglierle valenza dialettica e dunque produttiva di superamenti<br />

evolutivi; negare la possibilità di nuove aperture di orizzonti a quegli stessi valori<br />

e risultati che la “civiltà” dello stazzo può ancora oggi metterci a disposizione.<br />

Non sempre la stessa denom<strong>in</strong>azione di <strong>Gallura</strong> ha fatto riferimento a un concetto<br />

culturale, a un’area culturalmente coesa.<br />

In epoca giudicale la <strong>Gallura</strong> cont<strong>in</strong>uava nell’area sud orientale f<strong>in</strong>o a comprendere<br />

Posada e Galtellì, Bitti e Lula e alcuni centri demici <strong>in</strong> comune di Orune<br />

f<strong>in</strong>o ad Oliena. Poi gli stravolgimenti causati dalla presenza nel Giudicato<br />

dell’elemento pisano portano alla separazione di ampie aree giudicali a favore di<br />

famiglie signorili, frazionando il territorio a macchia di leopardo. Inf<strong>in</strong>e <strong>in</strong> periodo<br />

catalano-aragonese, a causa delle <strong>in</strong>feudazioni, il term<strong>in</strong>e <strong>Gallura</strong> possedeva <strong>una</strong><br />

valenza quasi solamente geografico amm<strong>in</strong>istrativa.<br />

Ogni Curatoria comprendeva un certo numero di villaggi, nonché centri mi-

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