La Gallura una Regione Diversa in Sardegna - Servizi On Line

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28.05.2013 Views

stano nello stesso animo, perché in Gallura contadino e pastore sono la stessa persona. Comunque tutti e due si augurano un finale di primavera piovoso - “l’èa d’abbrili vali cant’e un carrulu d’oru / l’acqua d’aprile vale quanto un carro d’oro”. La primavera non porta con regolarità i benefici della pioggia, così come l’autunno: perciò alcune annate sono drammatiche. Rare quelle con piogge regolari. La norma è data dall’eccezione e dal capriccio. Dopo marzo, talvolta, l’aumento della temperatura è così rapido e improvviso che il destino della vegetazione si gioca in un tempo ristrettissimo; e le eventuali piogge di giugno sono già inutili per i pascoli. Il dato regolare e costante è offerto in luglio e agosto dalla stagione secca che spesso sconfina invadendo ora la primavera ora l’autunno, tanto che, quando è particolarmente dilatata, possono passare centoventi giorni consecutivi senza che piova. Inoltre la frequenza e violenza dei venti si aggiungono ad aggravare la precarietà della vita rurale. La Gallura, in particolare lungo le Bocche di Bonifacio, è straordinariamente ventosa e i giorni di calma sono rari. I venti impetuosi dopo le piogge ne vanificano i benefici e accelerano l’evaporazione e, trasportando la salinità, fino ad alcuni chilometri dalle coste, inaridiscono la vegetazione, conferendo uno stupefacente color rosso fulvo ai delicati ginepri ed eriche. Dannosi i venti soprattutto in primavera, quando portano via alle piante l’acqua caduta proprio nel periodo in cui rianima l’erba. I veri flagelli che imperversano gran parte dell’anno sono il “maestrale” e lo “scirocco”: il primo vince tutti per violenza e per frequenza, soffia in tutte le stagioni senza scemare d’intensità, a temperature diverse secondo il variare delle stagioni, è un grande depuratore dell’atmosfera e favorisce le giornate secche, non dura che brevi periodi, ma, facendo evaporare con rapidità le piogge dei giorni precedenti, produce danni ad alberi e arbusti che, nel tentativo di ripararsi, offrono il tronco nudo spingendo il loro fogliame all’interno e tendendo ad appiattirsi o inclinarsi verso il suolo; il secondo, meno frequente, di origine desertica, provoca l’afflusso di masse d’aria, calda e resa umida nell’attraversa-re il mare, è perciò caldo, snervante, deprimente uomini e animali, e quando arriva in “aprile” provoca nei campi di grano una cattiva fecondazione dei fiori che è sufficiente a compromettere il raccolto. Talvolta gli effetti dello “scirocco” sono attenuati dalla forma del rilievo e dalla posizione geografica; spesso arrivano da “scirocco”, per un gioco delle correnti, i venti da sud-est o quelli settentrionali da “tramontana”, non assumendo così sempre i caratteri del vero “scirocco” che, se arriva all’epoca della spigatura, secca i chicchi in poche ore. Maggiore sollievo, perché spezzano il dominio dei due flagelli, danno il “ponente” e il “libeccio” tiepidi e moderati, portatori di pioggia. Meno frequenti e con piogge di scarsa importanza, presenti nei giorni radiosi a gennaio, deboli e freddi d’inverno, freschi d’estate sono la “tramontana” e il “grecale”. Anche per la temperatura si evidenziano pericolosi capricci. Spesso sale velocemente dalla fine di aprile, nel momento in cui le piogge diminuiscono o cessano, con un brusco e catastrofico arrivo del caldo che impedisce la crescita dell’erba. Al contrario, talvolta accade che si protraggano le basse temperature, impedendo la rinascita dei pascoli. Maggio è il mese più incerto. Generalmente 27 in autunno il termometro scende da ottobre in poi, ma i rigori dell’inverno non cominciano che a “gennaio”. Se si esclude l’estate, con la costanza della sua siccità e il suo insopportabile calore, le altre stagioni presentano, da un anno all’altro, fisionomie molto diverse; ottobre può essere il mese più piovoso o quello più secco, giugno è fresco o è soffocante per lo scirocco, maggio può essere caldissimo o addirittura nevoso; in un anno può cadere tant’acqua quanto in un paese atlantico o si può patire la siccità come nel margine superiore del Sahara. C’è di che sgomentarsi! I rischi per greggi e colture sono sempre enormi. Anche in questo caso, la capacità di previsione climatica è affidata all’esperienza diretta di fenomeni atmosferici, a particolari manifestazioni naturali, a credenze infondate descritte sinteticamente nei numerosi modi di dire. “Il rosso di sera” faceva presagire per il giorno seguente un forte vento da ponente o maestrale; se, in aggiunta all’atmosfera rossastra, lampeggiava a grecale, significava pioggia in arrivo. I colori dell’arcoba-leno racchiusi tra le nuvole in un cerchio luminescente - l’òcchj di lu bèccu - indicavano un cambiamento di tempo. Nebbia o rugiada mattutine - fumaccia e lintóri - seguite da un eccessivo calore, procuravano la muffa all’uva e ai cereali non ancora mietuti. Invece un inaspettato, improvviso abbassamento di temperatura, accompagnato da vento gelido, grandinate o nevischio, tra la fine di “aprile” e i primi di “maggio”, impediva la sbocciatura della spiga sorpresa nel momento in cui esce dalla veste - spichendi -, la spiga è tramutata in polvere nera - si calbuniggja -, lo stesso chicco cresciuto senza giungere a maturazione, diventa nero quasi come il carbone - tricu calbunatu. Ancora presagio di buona annata nella Bassa Gallura - illi nòstri marini - era l’abbondanza di rugiada al sorgere del sole il 24 giugno (San Giovanni), buona annata - ill’alturi - in Alta Gallura invece, se soffiava robusto il ponente, buona annata ovunque se gli steli dell’asfodelo si presentavano carichi di frutti - scalìa granuta. Scarsissime le cognizioni astronomiche e di quasi nessuna utilità: la Stella Cinatòggja era Venere Vespertina, mentre la Stella Diana era la Venere Mattutina; col nome Stantali s’indicava la costellazione di Orione e più precisamente la sua cintura; mentre lu Brutòni era presumibilmente la Chioma di Berenice; quando la Stella Cuduta (caudata) o Stella Cometa compariva nel cielo, annunciava entro l’anno o la morte di un capo di stato o una disgrazia in famiglia. La saggezza popolare, attraverso proverbi e modi di dire, tramandava cognizioni utili al comportamento del pastore contadino: 17 • Alcu di séra spanna la custéra, alcu di mani, pièna rii e funtani - Arcobaleno serotino rasserena le colline, arcobaleno albescente riempie fontana e torrente. • Candiggjni illa ciminéa, arrèa timpurali - Scintille nel camino, temporale in arrivo. • La séra di lu èntu còlcati pal tèmpu, la séra di la piucina còlcati candu intrina - Sera di vento a letto per tempo, sera di pioggerellina a letto quando il buio 17 V. F. COSSU, Arzachena, Paese del “Vieni a Cena”, Cagliari 1988.

s’avvicina. • Sant’Andria, è lu tèmpu di la murìa - Novembre, tempo di morìa. • La Pasca di Natali è pa li prinzipali, Pasca d’abbrili è pa li puarili - Natale è festa dei signori, Pasqua dei poverelli. • Friaggju falzaggju - Febbraio volubile. • Malzu spinósu, muntòni vaddariósu, bugnu tignósu - Marzo spinoso, montone bizzarro, alveare tignoso. • Malzu intósu massaiu rugnósu - Marzo ventoso contadino rognoso. • Malzu piuósu, massaiu pidicchjósu - Marzo piovoso contadino pidocchioso. • Malzu siccu, massaiu riccu - Marzo secco, contadino ricco. • Malzu siccu, pasci lu bugnu e ingrassa lu bèccu - Marzo secco, pasce l’ape e ingrassa il caprone. • Fritu d’abbrili tòrra lu cani a cuìli - Aprile freddo fa tornare il cane alla cuccia. • Fritu di maggju tòrra lu cani a lu paddaggju - Al freddo di maggio torna il cane al pagliaio. • L’èa di maggju pièna lu sulaggju - L’acqua di maggio inonda i solai. • Lampata a lu sóli è pa lu missadóri - Giugno assolato va bene per il mietitore. • Aglióla assuliata aglióla assigurata - Luglio assolato raccolto assicurato. • Austu cumència a pripparà la bibbènna - Ad agosto preparati per la vendemmia. A10 – NOTA STORICA SULLA FORMAZIONE DELL’INSEDIAMENTO SPARSO IN GALLURA. Quando si comincia a raccontare una storia, come ci accingiamo a continuare qui, si affacciano alla mente mille e una domanda, che riguardano non solo il contenuto e l’estensione del racconto che intendiamo svolgere, ma le stesse risposte che con le nostre cognizioni sappiamo costruire, le quali poi non sono mai definitive, poiché restano problematiche, cioè aperte ad integrazioni ed a nuove rimodulazioni, anche quando al senso comune appaiono come certezze consolidate da sempre, anzi dati naturali che in ogni tempo sono esistiti e ininterrottamente continueranno ad esistere e ad appartenere al nostro vissuto. Tutti noi che abbiamo trascorso parte della nostra esistenza dentro uno stazzo o a contatto funzionale con esso, pensiamo di conoscerne la natura senza bisogno di rifletterci su e crediamo di poter dare delucidazioni a chi ce ne chiede una descrizione. Così, per esempio, pensiamo di poter rispondere con precisione quando ci si chiede di spiegare il senso di quelle parole che sono proprie dell’uso linguistico quotidiano, ma, all’atto pratico, ci troviamo in difficoltà perché, a ben considerare, quel termine, proprio perché comune tra noi parlanti di questa specifica contrada della Sardegna ed esistente da tempo immemoriale, proprio perché è arrivato al punto di essere banalizzato dall’uso, ha una densità e una complessità di significato che prima di rifletterci sopra ci erano sfuggiti completamente. Mettiamoci dunque alla prova. Che cosa esattamente è uno stazzo? Da quando esiste il termine e da quando esiste la concreta realtà alla quale il termine fa riferimento? Chi e perché e attraverso quali circostanze e vicissitudini ha co- 28 struito questo modello dagli originali aspetti economici, sociali, culturali che chiamiamo, con malcelato orgoglio, “cultura o civiltà dello stazzo”? Quali sono gli elementi che caratterizzano lo stazzo, ne indicano con ampiezza i confini del significato, o almeno ne danno una definizione ed una descrizione convincente ed accettabile? Le risposte sembrano facili e tali che tutti debbano concordare su esse, invece le opinioni sono molto differenti e distanti fra loro e ciò anche perché, storicamente, la realizzazione degli assetti fondiari fino al formarsi degli stazzi è passata per fasi diverse con accelerazioni e rallentamenti o con l’esita-zione dei momenti critici quando una situazione di fatto poteva condurre a un risultato oppure al suo contrario. Dovremo affidarci a due ordini di indicatori. In un caso esporremo alcuni rivelatori che consentono una riconoscibilità dell’oggetto descritto, per così dire, dall’esterno, da lontano. La seconda serie di indicatori, anticipata nelle pagine precedenti, sarà invece costituita da elementi strutturali, tutti interni allo stesso oggetto. Per uscire dalle premesse formali diremo che i caratteri utili a definire la fisionomia esteriore dello stazzo, in modo tale da renderlo identificabile senza ombra di dubbio, sono almeno tre. Il primo è dato dall’insediamento sparso in un vasto territorio, colonizzato fino agli angoli più remoti e meno ospitali, di piccoli gruppi umani o di singole famiglie pastorali. È quello che comunemente viene detta una diffusione ad habitat disperso. Questo carattere, pur se possiamo rivendicare un’originalità tutta gallurese, è riscontrabile anche in altre aree della Sardegna. Però per i furriadroxius, cui qui si fa riferimento, le condizioni e le modalità di stanziamento sono state diverse. Il secondo carattere è dato dall’etnia dei colonizzatori. Infatti i pastori galluresi erano e sono, nella quasi generalità, di origine corsa. E con ciò non si vuole solo affermare che tutti provengono dalla Corsica passando lo stretto delle Bocche di Bonifacio, ma anche che discendono dai Corsi, intesi come popolo da millenni dimorante in questa stessa area che noi oggi chiamiamo Gallura. Insediamento di così antica e accertata ascendenza che, per certi versi, potrebbe dirsi che la vera Corsica è la Gallura. O almeno che due Corsiche si guardano dai due lati dello stretto. I secolari apporti delle correnti migratorie che hanno attraversato la Corsica hanno contribuito a determinare la componente etnica della Gallura, allo stesso modo che, attraverso le malsicure acque delle Bocche di Bonifacio, dalla Gallura un flusso migratorio continuo, pur se di minori dimensioni, si è diretto verso la Corsica. Questo scambio continuo, attenuato in certe epoche fin quasi a non lasciare tracce e scomparire, ma sostanzialmente ininterrotto, con punte di intensità legate a sommovimenti geopolitici, ha fatto sì che si determinasse una decisa resistenza alle influenze culturali provenienti dalle altre aree della Sardegna, pur quando dominanti. Su questa forma di isolazionismo ha pesato sicuramente anche la situazione geografica che ha fatto della Gallura, con i suoi difficili accessi, una terra chiusa in se stessa. Tali fattori hanno definito uno “spirito di frontiera”

s’avvic<strong>in</strong>a.<br />

• Sant’Andria, è lu tèmpu di la murìa - Novembre, tempo di morìa.<br />

• <strong>La</strong> Pasca di Natali è pa li pr<strong>in</strong>zipali, Pasca d’abbrili è pa li puarili - Natale è festa<br />

dei signori, Pasqua dei poverelli.<br />

• Friaggju falzaggju - Febbraio volubile.<br />

• Malzu sp<strong>in</strong>ósu, muntòni vaddariósu, bugnu tignósu - Marzo sp<strong>in</strong>oso, montone<br />

bizzarro, alveare tignoso.<br />

• Malzu <strong>in</strong>tósu massaiu rugnósu - Marzo ventoso contad<strong>in</strong>o rognoso.<br />

• Malzu piuósu, massaiu pidicchjósu - Marzo piovoso contad<strong>in</strong>o pidocchioso.<br />

• Malzu siccu, massaiu riccu - Marzo secco, contad<strong>in</strong>o ricco.<br />

• Malzu siccu, pasci lu bugnu e <strong>in</strong>grassa lu bèccu - Marzo secco, pasce l’ape e<br />

<strong>in</strong>grassa il caprone.<br />

• Fritu d’abbrili tòrra lu cani a cuìli - Aprile freddo fa tornare il cane alla cuccia.<br />

• Fritu di maggju tòrra lu cani a lu paddaggju - Al freddo di maggio torna il cane<br />

al pagliaio.<br />

• L’èa di maggju pièna lu sulaggju - L’acqua di maggio <strong>in</strong>onda i solai.<br />

• <strong>La</strong>mpata a lu sóli è pa lu missadóri - Giugno assolato va bene per il mietitore.<br />

• Aglióla assuliata aglióla assigurata - Luglio assolato raccolto assicurato.<br />

• Austu cumència a pripparà la bibbènna - Ad agosto preparati per la vendemmia.<br />

A10 – NOTA STORICA SULLA FORMAZIONE DELL’INSEDIAMENTO<br />

SPARSO IN GALLURA.<br />

Quando si com<strong>in</strong>cia a raccontare <strong>una</strong> storia, come ci acc<strong>in</strong>giamo a cont<strong>in</strong>uare<br />

qui, si affacciano alla mente mille e <strong>una</strong> domanda, che riguardano non solo<br />

il contenuto e l’estensione del racconto che <strong>in</strong>tendiamo svolgere, ma le stesse risposte<br />

che con le nostre cognizioni sappiamo costruire, le quali poi non sono mai<br />

def<strong>in</strong>itive, poiché restano problematiche, cioè aperte ad <strong>in</strong>tegrazioni ed a nuove<br />

rimodulazioni, anche quando al senso comune appaiono come certezze consolidate<br />

da sempre, anzi dati naturali che <strong>in</strong> ogni tempo sono esistiti e <strong>in</strong><strong>in</strong>terrottamente<br />

cont<strong>in</strong>ueranno ad esistere e ad appartenere al nostro vissuto. Tutti noi che<br />

abbiamo trascorso parte della nostra esistenza dentro uno stazzo o a contatto<br />

funzionale con esso, pensiamo di conoscerne la natura senza bisogno di rifletterci<br />

su e crediamo di poter dare delucidazioni a chi ce ne chiede <strong>una</strong> descrizione.<br />

Così, per esempio, pensiamo di poter rispondere con precisione quando ci<br />

si chiede di spiegare il senso di quelle parole che sono proprie dell’uso l<strong>in</strong>guistico<br />

quotidiano, ma, all’atto pratico, ci troviamo <strong>in</strong> difficoltà perché, a ben considerare,<br />

quel term<strong>in</strong>e, proprio perché comune tra noi parlanti di questa specifica contrada<br />

della <strong>Sardegna</strong> ed esistente da tempo immemoriale, proprio perché è arrivato al<br />

punto di essere banalizzato dall’uso, ha <strong>una</strong> densità e <strong>una</strong> complessità di significato<br />

che prima di rifletterci sopra ci erano sfuggiti completamente.<br />

Mettiamoci dunque alla prova. Che cosa esattamente è uno stazzo? Da<br />

quando esiste il term<strong>in</strong>e e da quando esiste la concreta realtà alla quale il term<strong>in</strong>e<br />

fa riferimento? Chi e perché e attraverso quali circostanze e vicissitud<strong>in</strong>i ha co-<br />

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struito questo modello dagli orig<strong>in</strong>ali aspetti economici, sociali, culturali che chiamiamo,<br />

con malcelato orgoglio, “cultura o civiltà dello stazzo”? Quali sono gli elementi<br />

che caratterizzano lo stazzo, ne <strong>in</strong>dicano con ampiezza i conf<strong>in</strong>i del significato,<br />

o almeno ne danno <strong>una</strong> def<strong>in</strong>izione ed <strong>una</strong> descrizione conv<strong>in</strong>cente ed accettabile?<br />

Le risposte sembrano facili e tali che tutti debbano concordare su esse, <strong>in</strong>vece<br />

le op<strong>in</strong>ioni sono molto differenti e distanti fra loro e ciò anche perché, storicamente,<br />

la realizzazione degli assetti fondiari f<strong>in</strong>o al formarsi degli stazzi è passata<br />

per fasi diverse con accelerazioni e rallentamenti o con l’esita-zione dei momenti<br />

critici quando <strong>una</strong> situazione di fatto poteva condurre a un risultato oppure<br />

al suo contrario.<br />

Dovremo affidarci a due ord<strong>in</strong>i di <strong>in</strong>dicatori. In un caso esporremo alcuni rivelatori<br />

che consentono <strong>una</strong> riconoscibilità dell’oggetto descritto, per così dire,<br />

dall’esterno, da lontano. <strong>La</strong> seconda serie di <strong>in</strong>dicatori, anticipata nelle pag<strong>in</strong>e<br />

precedenti, sarà <strong>in</strong>vece costituita da elementi strutturali, tutti <strong>in</strong>terni allo stesso<br />

oggetto. Per uscire dalle premesse formali diremo che i caratteri utili a def<strong>in</strong>ire la<br />

fisionomia esteriore dello stazzo, <strong>in</strong> modo tale da renderlo identificabile senza<br />

ombra di dubbio, sono almeno tre.<br />

Il primo è dato dall’<strong>in</strong>sediamento sparso <strong>in</strong> un vasto territorio, colonizzato f<strong>in</strong>o<br />

agli angoli più remoti e meno ospitali, di piccoli gruppi umani o di s<strong>in</strong>gole famiglie<br />

pastorali. È quello che comunemente viene detta <strong>una</strong> diffusione ad habitat<br />

disperso. Questo carattere, pur se possiamo rivendicare un’orig<strong>in</strong>alità tutta gallurese,<br />

è riscontrabile anche <strong>in</strong> altre aree della <strong>Sardegna</strong>. Però per i furriadroxius,<br />

cui qui si fa riferimento, le condizioni e le modalità di stanziamento sono state diverse.<br />

Il secondo carattere è dato dall’etnia dei colonizzatori. Infatti i pastori galluresi<br />

erano e sono, nella quasi generalità, di orig<strong>in</strong>e corsa. E con ciò non si vuole<br />

solo affermare che tutti provengono dalla Corsica passando lo stretto delle Bocche<br />

di Bonifacio, ma anche che discendono dai Corsi, <strong>in</strong>tesi come popolo da millenni<br />

dimorante <strong>in</strong> questa stessa area che noi oggi chiamiamo <strong>Gallura</strong>. Insediamento<br />

di così antica e accertata ascendenza che, per certi versi, potrebbe dirsi<br />

che la vera Corsica è la <strong>Gallura</strong>. O almeno che due Corsiche si guardano dai due<br />

lati dello stretto. I secolari apporti delle correnti migratorie che hanno attraversato<br />

la Corsica hanno contribuito a determ<strong>in</strong>are la componente etnica della <strong>Gallura</strong>, allo<br />

stesso modo che, attraverso le malsicure acque delle Bocche di Bonifacio, dalla<br />

<strong>Gallura</strong> un flusso migratorio cont<strong>in</strong>uo, pur se di m<strong>in</strong>ori dimensioni, si è diretto<br />

verso la Corsica.<br />

Questo scambio cont<strong>in</strong>uo, attenuato <strong>in</strong> certe epoche f<strong>in</strong> quasi a non lasciare<br />

tracce e scomparire, ma sostanzialmente <strong>in</strong><strong>in</strong>terrotto, con punte di <strong>in</strong>tensità legate<br />

a sommovimenti geopolitici, ha fatto sì che si determ<strong>in</strong>asse <strong>una</strong> decisa resistenza<br />

alle <strong>in</strong>fluenze culturali provenienti dalle altre aree della <strong>Sardegna</strong>, pur<br />

quando dom<strong>in</strong>anti. Su questa forma di isolazionismo ha pesato sicuramente anche<br />

la situazione geografica che ha fatto della <strong>Gallura</strong>, con i suoi difficili accessi,<br />

<strong>una</strong> terra chiusa <strong>in</strong> se stessa. Tali fattori hanno def<strong>in</strong>ito uno “spirito di frontiera”

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