La Gallura una Regione Diversa in Sardegna - Servizi On Line

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28.05.2013 Views

diffusi in Gallura risultano due quadri ambientali che rappresentano due gradi di successivo impoverimento: la garriga, caratterizzata da assenza di humus, dove il corbezzolo e il lentisco si ritirano e persino il cisto forma un tappeto discontinuo e lascia il posto all’asfodelo; e la landa dove il cisto rappresenta “il pioniere di una ricolonizzazione vegetale” che segue le distruzioni dell’aratro e del fuoco. Infatti il cisto ogni anno d’estate lascia sul terreno un letto di foglie morte che, accompagnando e aumentando l’acidità del terreno, consente nella primavera successiva una mirabile resurrezione. La landa di cisto, lasciata a se stessa in un lungo abbandono, deposita sul terreno una buona quantità di sostanza organica che può consentire “lo sviluppo degli arbusti più grandi”, a loro volta premessa necessaria per la lenta ricostituzione del bosco. Perciò non si dovrebbe mai completamente screditare o maledire l’estensione irrefrenabile del cisto perché è l’unico elemento vegetale i cui semi sopravvivono anche al passaggio del fuoco e la cui rigenerazione evita dilavamento e desertificazione. Tuttavia l’Angius-Casalis annotava agli inizi del secolo XIX che un terzo circa della Gallura era ricoperto da tre specie: leccio, sughero, quercia, tra questi, molti esemplari crebbero a grandi corpi. La ragione della differenza con il resto della Sardegna, dove tutte le montagne sarebbero in gran parte nude, se i grandi vegetali non ripullulassero dalle radici, gli è che: “…i pastori usano una particolare cura per queste specie protette dalla barbarie forestale e curate dagli stessi proprietari. Infatti i ghiandiferi vengono affidati ai porcari che in cambio cedono un capo ogni quattro o cinque ingrassati; dalla corteccia dei sugheri si ottiene un lucro vistoso per essere appaltati a commercianti francesi che attendono alla “decorticazione”. I ginepri sono numerosissimi nelle marine, frequenti sono le eriche e le filliree, le lande sono ricoperte di cisti, lentischi, corbezzoli e mirti…”. Ma lo stesso autore non può tacere che: “…per fabbricare la potassa molti, ai quali mancavano i porci, si credettero lecito di vendere la loro parte di ghiandifero, i quali furono ridotti in cenere... Si fa dai “lurisinchi” in vari luoghi “grande abbruciamento di legna per il carbone”. Siccome però nessuno vigila sopra di essi, accade che invece di diradare il bosco, sgombrano totalmente la terra... similmente i “tempiesi” vendono la legna da ardere... perfino un commesso della casa Mc Intosh di Glasgow venne a fare raccolta di un’erba, utilissima all’arte tintoria, diffusa in quattro o cinque specie, volgarmente detta pietra lana o erba tramontana…” 15 . Come si può osservare “niente di nuovo sotto il cielo del XIX secolo”: quando i proprietari avevano l’opportunità di realizzare un guadagno immediato, non esitavano neanche un istante a farlo, anche se le loro azioni rappresentavano un impoverimento dei terreni. Comportamenti assimilabili a quelli dei proprietari del XX secolo. Mancavano solo le cave di granito. La Gallura, come l’intera Sardegna e altri paesi mediterranei, è terra di contrasti: siccità estiva e piogge che evaporano rapidamente anche nella stagione fredda; colpi di freddo tra giornate soleggiate. La condizione costante è la “varia- 15 V. ANGIUS, Geografia Storia e Statistica dell’Isola di Sardegna, Torino 1833-1856, in G. CASALIS, op. cit. 25 bilità” e il “capriccio”, come se si fosse sul margine stepposo del deserto. La collinarità accentuata, il sostrato e gli aspri affioramenti granitici, la conseguente rarità di pendii leggeri unita alla violenza delle piogge provocano un abbondante dilavamento col rapido trasporto di suoli, sabbie, ghiaie, ciottoli. Perciò ai piedi dei pendii marcati, i campi coltivati inaridiscono, mentre i suoli degli stessi pendii vengono privati, dei terreni arabili. “Quasi dappertutto la roccia affiora” sotto la sua copertura vegetale, lì il feldspato dei graniti si altera e, attraverso un processo di dissoluzione e di idrolisi, si trasforma in argilla che, tenuta in sospensione colloidale nell’acqua, è quasi sempre trasportata lontano. Sul posto non resta che un tratto di sabbia silicea brunastra, composta di quarzo e di mica. “…Questi terreni sono poverissimi di calce e anidride fosforica; sono ricchi solo di potassa, parte della quale, liberata dalla caolinizzazione del feldspato, viene portata via dal ruscellamento. Gli altopiani o le brevi pianure sono meno spogliate delle colline. I suoli sono spesso comunque il risultato della “decomposizione del granito” e la superficie arabile è ridotta a pochi centimetri in profondità. Nonostante la sottigliezza del suolo, la sughera caratterizza queste zone, più ricche di terreni utili e pascoli delle colline scoscese e dilavate…”. In alcuni altipiani granitici le acque, trattenute in superficie, formano laghetti immobili e luccicanti e spugnose torbiere fino a primavera inoltrata, così da sottrarre, per lungo periodo, pascoli di diversi ettari. Tutti i suoli sono poveri di humus a causa della presenza abbondante di silice e alluminio e hanno una reazione acida variabile a seconda della natura geologica sottostante e della natura del feldspato presente nei composti. Quando la reazione acida è eccessiva, il processo di fissazione dell’azoto atmosferico si sviluppa con difficoltà, recando impedimento alla nutrizione fosforica delle piante. Tali condizioni di aridità fisiologica del suolo, cui si aggiunge l’aridità climatica e geologica, procurano difficoltà alle radici delle piante di assorbire, in presenza di ambiente acido, l’acqua e le soluzioni che essa contiene. Le piante foraggere trovano difficoltà alla loro crescita, lasciando spazio alla diffusione di molte piante infestanti. Infine la mancanza di calcare, favorisce le malattie di natura parassitaria che attaccano gli animali. Come facilmente si arguisce, le condizioni agricole non sono facili e le descrizioni sette-ottocentesche di una Gallura ricca e felice, si fermavano alla immagine esteriore della floridezza degli stazzi e del benessere ostentato delle famiglie pastorali di fronte alla miseria senza speranza di altre lande. Tant’è vero che i proprietari, per diminuire l’acidità del suolo, “fanno coltivare a grano”, per due anni consecutivi, “ogni quindici o venti anni” i loro terreni da pascolo che così perdono, per un complesso di processi fisici e biologici, una parte di acidità e ridiventano capaci di produrre erbe foraggere tra le più adatte ad incrementare la produzione del latte. Il pastore gallurese ricorre a una rotazione transumante, quando il fondo agricolo lo permette, seguendo le stagioni: in primavera cerca suoli poco umidi e poco acidi, al riparo delle grandi querce e dei grandi cespugli di lentisco; d’estate cerca le zone umide e poco acide dove l’erba non arriva mai a seccarsi comple-

tamente (sono i “pascoli magri”); in autunno è opportuno trasferirsi in quelle zone dove, per l’altitudine sono sfruttate meglio le prime piogge; l’inverno infine è la disperante stagione in cui bisogna fronteggiare come meglio si può l’insidia del tempo. Bisogna dunque essere esperti “per lunga consuetudine” e di fatto della classificazione degli utili terreni pastorali e agricoli, in base a un mosaico complicato di tessere con differenti fertilità dei suoli; bisogna parare i colpi degli inconvenienti e degli umori del clima, col regime pluviometrico fortemente irregolare e la violenza delle precipitazioni; bisogna “sapere” le diverse caratteristiche chimiche che determinano il depositarsi di argille e il distribuirsi di sabbie e ghiaie estranee che accrescono eccessivamente i danni della siccità estiva e le reazioni acide a certi terreni. Perciò il precario “benessere” che di volta in volta si raggiunge senza diventare abitudine, pur nell’isolamento che rende fatalisti o spinge a confidare nella provvidenza, fa perno su una robusta razionalità ordinatrice tesa a superare in nome anche della “tecnica e del progresso”, ostacoli accresciuti dalla inefficacia delle soluzioni tradizionali (colture temporanee, bruciatura di stoppie, concimazione naturale), dai capricci del clima, dalla povertà dei suoli che legano i destini agricoli e pastorali a influenze così fittamente intrecciate da rendere ardua una loro “disposizione ordinata” e un loro controllo (attraverso drenaggi, irrigazioni, miglioramenti fondiari, fertilizzazioni, colture privilegiate). Naturalmente i pastori non possedevano tutte le cognizioni chimico-fisiche adatte a classificare i suoli, ma si affidavano unicamente alla larga continua pratica di coltivazione e all’esperienza. Le tassonomie erano elementari e indicavano genericamente solo alcune caratteristiche del terreno. Per esempio i terreni argillosi erano distinti per l’uso che se ne poteva fare in utensileria o in agricoltura: tarra padédda era chiamata l’argilla con la quale potevano essere preparate stoviglie; tarr’àlzidda o tarra ruia era invece denominata l’argilla magra che non aveva utilizzazioni artigiane; tarra luciana era detta l’argilla nera, grassa, mista ad un po’ di sale; tarra niédda era la miglior terra agricola, e non solo per le attività arative; mentre tarra cutina era il terreno arido perché misto a ghiaino o a sabbia grossa. La sabbia rintracciabile nei terreni attraversati da fiumi era direttamente indicata col nome rèna di riu (sabbia di fiume), arida come se fosse rèna di mari. Ma più che dalla illustrazione analitica degli elementi i terreni erano denominati con descrittori geografici che ne indicavano le caratteristiche di rilievo, l’accessibilità, la boscosità, la fertilità. Li definiamo in ordine alfabetico: àvru, superficie idonea alla semina dei cereali recintata a siepe (àvru di lu tricu, di l’òlzu, di la fèna); avréddu, orticello invernale a secco (perché distante da sorgenti), in prossimità dello stazzo e coltivato a legumi (fave, piselli, ceci) o verdure (lattughe e cipolle novelle) con attorno qualche albero da frutto (meli, peri, mandorli, cotogni); baccu, canale; calancòni, un’alta parete scoscesa; canali, neologismo con lo stesso valore di baccu; custéra, fianco ripido di una montagna, per lo più ricoperto da una fitta vegetazione tra grandi massi di granito; fòci, una foce o una stretta gola tra due alture; minda, un tancato di superficie poco estesa; monti, montagna; muntiggju, collina; pasticciali, spiazzo erboso davanti allo stazzo; pàtima, esteso 26 pianoro ricoperto da cisti o da altri arbusti o da piante infestanti (alba di Santa Maria, scalìa); pèntima, percorso difficile lungo le sponde di un torrente incassato; présa, di solito indica un canale artificiale scavato o a scopo irriguo o per piantare i viticci di una vigna, più estesamente può indicare uno stretto passo tra due qualsiasi rilievi; punta, cima; tanca, estensione variabile di terreno, esprimente una certa caratteristica o un certo uso, chiusa a muro a secco o a siepe; vaddi, bosco; ùttaru, una stretta foce, una gola tra i monti (ùttaru di multa, ùttaru mannu). A9 – LE CONDIZIONI CLIMATICHE. Abbiamo visto i capricci del clima con le prolungate siccità estive e i tepori invernali. Il dato angoscioso, attenuato dalla presenza di numerosissime sorgenti, e, oggi, dalla notevole riserva d’acqua dell’invaso del Liscia, sta nella mancanza pressoché assoluta di precipitazioni da maggio a settembre, con un apporto estivo insignificante. Né questa prima annotazione autorizza a parlare di una regolare alternanza tra due stagioni, poiché i margini stagionali sono molto incerti: infatti la siccità estiva comincia troppo presto o troppo tardi e finisce allo stesso modo con le prime piogge che cadono in una data indefinibile. “ 16 …Le piogge della stagione fredda sono legate a fattori barometrici di estrema irregolarità, tanto che non si può parlare di una stagione piovosa, ma di una stagione in cui possono presentarsi condizioni tali da provocare precipitazioni…”. Per questa incostanza il livello annuo delle precipitazioni presenta una variabilità accentuata, tra i 400 millimetri e il metro d’acqua. Va da sé che le bizze del cielo pesano sulla vita agricola e pastorale: anche la stagione piovosa comincia spesso troppo tardi o cessa prima del tempo o sopraggiunge quando la temperatura è troppo elevata e l’evaporazione intensa o i violenti acquazzoni cadono quando le piogge non servono a rinnovare la vegetazione. Quando all’anticipazione delle piogge seguono lunghi periodi di intensa siccità, i semi abortiscono e gli steli con un pennacchio verde sono già ingialliti alla base. Viceversa muoiono se le piogge ritardano eccessivamente. A “gennaio”, con piogge rare e rade, talora si hanno serie di giornate splendide - secche di gennaio -, dal cielo blu intenso e la temperatura deliziosa. Le settimane secche finiscono per prolungare la stagione siccitosa e ritardare la ripresa delle piogge, che ritrovano vigore, spesso con violenza, a febbraio. “…Febbraio, marzo e anche aprile, possono avere precipitazioni abbondanti quanto quelle della norma del mese di novembre…”. Per lo più, queste piogge primaverili, cadendo con regolarità e dolcezza rispetto a quelle invernali, unitamente all’aumento graduale della temperatura, sono più utili di quelle invernali e permettono “il risveglio dell’erba, che presto forma un tappeto pieno di promesse”. La siccità di marzo conviene al contadino, perché consente al grano di maturare; ma dispiace al pastore che paventa la fine prematura della stagione umida. Sentimenti che contra- 16 R. PRACCHI e A. TERROSU ASOLE, Atlante della Sardegna, Cagliari 1971.

diffusi <strong>in</strong> <strong>Gallura</strong> risultano due quadri ambientali che rappresentano due gradi di<br />

successivo impoverimento: la garriga, caratterizzata da assenza di humus, dove il<br />

corbezzolo e il lentisco si ritirano e pers<strong>in</strong>o il cisto forma un tappeto discont<strong>in</strong>uo e<br />

lascia il posto all’asfodelo; e la landa dove il cisto rappresenta “il pioniere di <strong>una</strong><br />

ricolonizzazione vegetale” che segue le distruzioni dell’aratro e del fuoco. Infatti il<br />

cisto ogni anno d’estate lascia sul terreno un letto di foglie morte che, accompagnando<br />

e aumentando l’acidità del terreno, consente nella primavera successiva<br />

<strong>una</strong> mirabile resurrezione.<br />

<strong>La</strong> landa di cisto, lasciata a se stessa <strong>in</strong> un lungo abbandono, deposita sul<br />

terreno <strong>una</strong> buona quantità di sostanza organica che può consentire “lo sviluppo<br />

degli arbusti più grandi”, a loro volta premessa necessaria per la lenta ricostituzione<br />

del bosco. Perciò non si dovrebbe mai completamente screditare o maledire<br />

l’estensione irrefrenabile del cisto perché è l’unico elemento vegetale i cui semi<br />

sopravvivono anche al passaggio del fuoco e la cui rigenerazione evita dilavamento<br />

e desertificazione.<br />

Tuttavia l’Angius-Casalis annotava agli <strong>in</strong>izi del secolo XIX che un terzo circa<br />

della <strong>Gallura</strong> era ricoperto da tre specie: leccio, sughero, quercia, tra questi,<br />

molti esemplari crebbero a grandi corpi. <strong>La</strong> ragione della differenza con il resto<br />

della <strong>Sardegna</strong>, dove tutte le montagne sarebbero <strong>in</strong> gran parte nude, se i grandi<br />

vegetali non ripullulassero dalle radici, gli è che: “…i pastori usano <strong>una</strong> particolare<br />

cura per queste specie protette dalla barbarie forestale e curate dagli stessi proprietari.<br />

Infatti i ghiandiferi vengono affidati ai porcari che <strong>in</strong> cambio cedono un<br />

capo ogni quattro o c<strong>in</strong>que <strong>in</strong>grassati; dalla corteccia dei sugheri si ottiene un lucro<br />

vistoso per essere appaltati a commercianti francesi che attendono alla “decorticazione”.<br />

I g<strong>in</strong>epri sono numerosissimi nelle mar<strong>in</strong>e, frequenti sono le eriche<br />

e le filliree, le lande sono ricoperte di cisti, lentischi, corbezzoli e mirti…”. Ma lo<br />

stesso autore non può tacere che: “…per fabbricare la potassa molti, ai quali<br />

mancavano i porci, si credettero lecito di vendere la loro parte di ghiandifero, i<br />

quali furono ridotti <strong>in</strong> cenere... Si fa dai “luris<strong>in</strong>chi” <strong>in</strong> vari luoghi “grande abbruciamento<br />

di legna per il carbone”. Siccome però nessuno vigila sopra di essi, accade<br />

che <strong>in</strong>vece di diradare il bosco, sgombrano totalmente la terra... similmente i<br />

“tempiesi” vendono la legna da ardere... perf<strong>in</strong>o un commesso della casa Mc Intosh<br />

di Glasgow venne a fare raccolta di un’erba, utilissima all’arte t<strong>in</strong>toria, diffusa<br />

<strong>in</strong> quattro o c<strong>in</strong>que specie, volgarmente detta pietra lana o erba tramontana…” 15 .<br />

Come si può osservare “niente di nuovo sotto il cielo del XIX secolo”: quando<br />

i proprietari avevano l’opportunità di realizzare un guadagno immediato, non<br />

esitavano neanche un istante a farlo, anche se le loro azioni rappresentavano un<br />

impoverimento dei terreni. Comportamenti assimilabili a quelli dei proprietari del<br />

XX secolo. Mancavano solo le cave di granito.<br />

<strong>La</strong> <strong>Gallura</strong>, come l’<strong>in</strong>tera <strong>Sardegna</strong> e altri paesi mediterranei, è terra di contrasti:<br />

siccità estiva e piogge che evaporano rapidamente anche nella stagione<br />

fredda; colpi di freddo tra giornate soleggiate. <strong>La</strong> condizione costante è la “varia-<br />

15 V. ANGIUS, Geografia Storia e Statistica dell’Isola di <strong>Sardegna</strong>, Tor<strong>in</strong>o 1833-1856, <strong>in</strong> G. CASALIS, op. cit.<br />

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bilità” e il “capriccio”, come se si fosse sul marg<strong>in</strong>e stepposo del deserto.<br />

<strong>La</strong> coll<strong>in</strong>arità accentuata, il sostrato e gli aspri affioramenti granitici, la conseguente<br />

rarità di pendii leggeri unita alla violenza delle piogge provocano un abbondante<br />

dilavamento col rapido trasporto di suoli, sabbie, ghiaie, ciottoli. Perciò<br />

ai piedi dei pendii marcati, i campi coltivati <strong>in</strong>aridiscono, mentre i suoli degli stessi<br />

pendii vengono privati, dei terreni arabili. “Quasi dappertutto la roccia affiora” sotto<br />

la sua copertura vegetale, lì il feldspato dei graniti si altera e, attraverso un<br />

processo di dissoluzione e di idrolisi, si trasforma <strong>in</strong> argilla che, tenuta <strong>in</strong> sospensione<br />

colloidale nell’acqua, è quasi sempre trasportata lontano. Sul posto non resta<br />

che un tratto di sabbia silicea br<strong>una</strong>stra, composta di quarzo e di mica.<br />

“…Questi terreni sono poverissimi di calce e anidride fosforica; sono ricchi solo di<br />

potassa, parte della quale, liberata dalla caol<strong>in</strong>izzazione del feldspato, viene portata<br />

via dal ruscellamento. Gli altopiani o le brevi pianure sono meno spogliate<br />

delle coll<strong>in</strong>e. I suoli sono spesso comunque il risultato della “decomposizione del<br />

granito” e la superficie arabile è ridotta a pochi centimetri <strong>in</strong> profondità. Nonostante<br />

la sottigliezza del suolo, la sughera caratterizza queste zone, più ricche di terreni<br />

utili e pascoli delle coll<strong>in</strong>e scoscese e dilavate…”.<br />

In alcuni altipiani granitici le acque, trattenute <strong>in</strong> superficie, formano laghetti<br />

immobili e luccicanti e spugnose torbiere f<strong>in</strong>o a primavera <strong>in</strong>oltrata, così da sottrarre,<br />

per lungo periodo, pascoli di diversi ettari. Tutti i suoli sono poveri di humus<br />

a causa della presenza abbondante di silice e allum<strong>in</strong>io e hanno <strong>una</strong> reazione<br />

acida variabile a seconda della natura geologica sottostante e della natura del<br />

feldspato presente nei composti.<br />

Quando la reazione acida è eccessiva, il processo di fissazione dell’azoto<br />

atmosferico si sviluppa con difficoltà, recando impedimento alla nutrizione fosforica<br />

delle piante. Tali condizioni di aridità fisiologica del suolo, cui si aggiunge<br />

l’aridità climatica e geologica, procurano difficoltà alle radici delle piante di assorbire,<br />

<strong>in</strong> presenza di ambiente acido, l’acqua e le soluzioni che essa contiene. Le<br />

piante foraggere trovano difficoltà alla loro crescita, lasciando spazio alla diffusione<br />

di molte piante <strong>in</strong>festanti. Inf<strong>in</strong>e la mancanza di calcare, favorisce le malattie di<br />

natura parassitaria che attaccano gli animali.<br />

Come facilmente si arguisce, le condizioni agricole non sono facili e le descrizioni<br />

sette-ottocentesche di <strong>una</strong> <strong>Gallura</strong> ricca e felice, si fermavano alla immag<strong>in</strong>e<br />

esteriore della floridezza degli stazzi e del benessere ostentato delle famiglie<br />

pastorali di fronte alla miseria senza speranza di altre lande. Tant’è vero<br />

che i proprietari, per dim<strong>in</strong>uire l’acidità del suolo, “fanno coltivare a grano”, per<br />

due anni consecutivi, “ogni qu<strong>in</strong>dici o venti anni” i loro terreni da pascolo che così<br />

perdono, per un complesso di processi fisici e biologici, <strong>una</strong> parte di acidità e ridiventano<br />

capaci di produrre erbe foraggere tra le più adatte ad <strong>in</strong>crementare la<br />

produzione del latte.<br />

Il pastore gallurese ricorre a <strong>una</strong> rotazione transumante, quando il fondo<br />

agricolo lo permette, seguendo le stagioni: <strong>in</strong> primavera cerca suoli poco umidi e<br />

poco acidi, al riparo delle grandi querce e dei grandi cespugli di lentisco; d’estate<br />

cerca le zone umide e poco acide dove l’erba non arriva mai a seccarsi comple-

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