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La Gallura una Regione Diversa in Sardegna - Servizi On Line

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logrammi: stimando ad occhio si dice: “…questo vitello pesa c<strong>in</strong>que cantàri, dieci<br />

cantàri…”. Molto più facile pesare a ónce, unci; perché un’óncia, corrispondente a<br />

trentatré grammi, è quanto grosso modo contiene un pugno. Dunque <strong>una</strong> libbra è<br />

di circa dodici once. Inf<strong>in</strong>e s’<strong>in</strong>dica col term<strong>in</strong>e barriu il peso, che il cavallo o<br />

l’as<strong>in</strong>o trasportano dalla vigna alla cant<strong>in</strong>a, distribuito <strong>in</strong> due miz<strong>in</strong>i, botticelle (cupi)<br />

oblunghe contenenti trenta litri ciasc<strong>una</strong>. Mezu barriu è l’esatta metà de lu barriu,<br />

e cioè trenta litri.<br />

Anche se non è proprio pert<strong>in</strong>ente all’argomento trattato, un piccolo cenno<br />

va fatto alla monetazione, <strong>in</strong>trodotta tardivamente <strong>in</strong> sostituzione del “baratto” e<br />

quando la sfera delle relazioni e delle esigenze commerciali si allarga. Il riferimento<br />

base è il centesimo; lu sid<strong>in</strong>à equivalente a c<strong>in</strong>que centesimi e lu soldu a<br />

dieci; dui soldi sono perciò venti centesimi. Più complicato, per noi che abbiamo<br />

perduto ogni riferimento storico, dare valore ad altre espressioni <strong>in</strong>dicanti quantità<br />

monetarie: mezu rià (mezzo reale) è pari a dui soldi e sid<strong>in</strong>à, cioè a ventic<strong>in</strong>que<br />

centesimi; mentre diciottu d<strong>in</strong>à equivalgono a un soldu e sid<strong>in</strong>à, cioè a qu<strong>in</strong>dici<br />

centesimi; <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e sett’e mezu sono c<strong>in</strong>cu soldi e mezu rià, vale a dire settantac<strong>in</strong>que<br />

centesimi. L’<strong>in</strong>tero di tutte queste frazioni è un francu - <strong>una</strong> lira. Parrebbe superfluo<br />

<strong>in</strong>dagare sui misteri dei diversi nomi, anche perché era raro che qualche<br />

pastore avesse disponibilità di somme importanti di danaro.<br />

Quando riusciva a guadagnare e risparmiare qualcosa, la lasciava a disposizione<br />

per acquistare quei manufatti necessari per l’attività agricola e non producibili<br />

nelle offic<strong>in</strong>e domestiche, oppure, <strong>in</strong> caso di calamità naturali o di siccità prolungata,<br />

restava a disposizione per ricostituire il patrimonio di sementi, foraggi,<br />

generi alimentari utili per riavviare l’annata agraria e far fronte alle esigenze della<br />

famiglia. Ove possibile, piccole quantità di denaro venivano accantonate per pagare<br />

fornitori di servizi che non avrebbero accettato altre forme di compenso: artigiani,<br />

medici, maestri, ambulanti.<br />

Dom<strong>in</strong>ante era la forma economica elementare del “baratto”, spesso praticata<br />

per via <strong>in</strong>diretta attraverso l’istituto del dono e dello scambio. Lo permettevano<br />

le riserve alimentari, di solito eccedenti i reali bisogni delle famiglie, che quasi<br />

mai erano esposte all’assillo del bisogno. Solo situazioni estranee e particolari<br />

potevano restr<strong>in</strong>gere, <strong>in</strong> forma di legge v<strong>in</strong>colante e coercitiva, la disponibilità alimentare.<br />

Si poteva andare dalle arcaiche vessazioni feudali alla rivendicazione di<br />

nebulosi diritti ademprivili da parte dei villaggi centrali - li ‘iddi di supra, f<strong>in</strong>o al caso<br />

di guerra o carestie con conseguente obbligo di versare la produzione (afforo)<br />

agli “ammassi frumentari”. In tali frangenti ogni famiglia poteva tenere, per la mac<strong>in</strong>azione<br />

e la panificazione, due qu<strong>in</strong>tali di grano a componente. Sono lontani i<br />

tempi <strong>in</strong> cui le pretese baronali o cittad<strong>in</strong>e si risolvevano con due schioppettate<br />

che impedivano all’esattore di assolvere al suo compito; più vic<strong>in</strong>a a noi “l’arte di<br />

arrangiarsi” nascondendo i prodotti cerealicoli e occultando nella “macchia” le<br />

mole per mac<strong>in</strong>arli.<br />

Ritornando al quadro delle monete, è chiaro che i nomi fanno riferimento ad<br />

<strong>una</strong> circolazione degli <strong>in</strong>izi del XIX secolo, con <strong>una</strong> att<strong>in</strong>enza a un sistema diverso<br />

da quello di un secolo dopo. Solo così si comprende perché sid<strong>in</strong>à, cioè, alla let-<br />

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tera, sei denari, equivalevano <strong>in</strong>vece a c<strong>in</strong>que centesimi, mentre diciottu d<strong>in</strong>à erano<br />

pari a qu<strong>in</strong>dici; altrimenti la logica si ribellerebbe all’affermazione che diciotto<br />

equivale a qu<strong>in</strong>dici o che sei sia uguale a c<strong>in</strong>que. Di fatto era rimasto il richiamo<br />

ad <strong>una</strong> “lira sarda” con valore diverso dal “franco piemontese”, che non esisteva<br />

più come moneta, ma solo come valore, constando di quattro reali. Il “reale” era<br />

poi la moneta di rame argentato, di uso corrente, che valeva c<strong>in</strong>que soldi; il mezzo<br />

“soldo”, di rame, aveva il valore di 0,06 lire sarde, donde presumibilmente deriva<br />

il term<strong>in</strong>e sid<strong>in</strong>à, con valore, appunto, di c<strong>in</strong>que centesimi.<br />

<strong>La</strong>sciando le tortuose spiegazioni sul valore delle monete, ritorniamo alla<br />

descrizione dei mezzi da lavoro. L’unico strumento agricolo di <strong>una</strong> certa dimensione,<br />

mezzo da trasporto per eccellenza, era il carro a due ruote raggiate, dalle<br />

dimensioni modeste. Era costruito <strong>in</strong> due tipi fondamentali: il carrulu a scala - carro<br />

a scala, e la tumbarella o tombarello. Il primo era formato da un timone che, a<br />

un tratto, divaricava allargandosi gradualmente f<strong>in</strong>o all’estremità posteriore, lato<br />

maggiore di un trapezio che rappresentava il piano da carico, il lato m<strong>in</strong>ore del<br />

quale era presso il timone stesso. <strong>La</strong>teralmente a chiusura aveva due spond<strong>in</strong>e<br />

oblique e a traverse, su queste era poggiato un sedile o banconi; le ruote raggiate<br />

erano strette nella circonferenza da un robusto cerchio di ferro. Il “tombarello” aveva<br />

<strong>in</strong>vece sulla scala un piano quadrangolare, chiuso ai quattro lati come un<br />

parallelepipedo o come uno scatolone scoperto. Il pannello posteriore era libero<br />

di aprirsi essendo fissato con un perno solo nella parte superiore. <strong>La</strong> differenza<br />

tecnica col precedente stava nella recl<strong>in</strong>abilità del piano da carico: era sufficiente<br />

sfilare un paletto che lo bloccava per lasciarlo libero di ruotare sul perno centrale<br />

tra due staffe, <strong>in</strong>cl<strong>in</strong>andosi f<strong>in</strong>o a terra e facendo scivolare il carico. Sia l’uno che<br />

l’altro erano comuni a diverse aree geografiche, ma presentavano <strong>in</strong> <strong>Gallura</strong> particolari<br />

soluzioni tecniche per renderli idonei a far fronte a determ<strong>in</strong>ate esigenze.<br />

Nel carrulu a scala si potevano sistemare carichi che acquistavano sempre maggior<br />

volume <strong>in</strong> verticale a causa delle spond<strong>in</strong>e <strong>in</strong>cl<strong>in</strong>ate. Mezzo eccellente per il<br />

trasporto di notevoli quantità di sughero, sacchi e covoni di grano, orzo, avena,<br />

formaggio, biche di paglia, generi alimentari, mobili, botti, casse e quant’altro fosse<br />

necessario.<br />

In occasione di <strong>in</strong>contri comunitari, quando i cavalli non erano sufficienti per<br />

tutti, con i carri venivano trasportati anche gruppi di persone, pr<strong>in</strong>cipalmente donne<br />

e bamb<strong>in</strong>i, recantisi gaiamente o mestamente a feste, celebrazioni, cerimonie,<br />

matrimoni, funerali. Buoi e carri <strong>in</strong> molti di questi casi erano <strong>in</strong>ghirlandati da festoni<br />

d’edera (gréddula) o nastri colorati e ornati di sonagliere. Il “tombarello”, a<br />

struttura chiusa, trasportava idoneamente materiali grevi di difficile sistemazione<br />

a carico - pietrisco, sabbia, ghiaia, calce, granito, concimi. Il conducente, seduto<br />

su <strong>una</strong> spond<strong>in</strong>a verticale o, <strong>in</strong> basso, sulla parte posteriore del timone, o <strong>in</strong>nant’a<br />

lu bancòni, guidava la coppia bov<strong>in</strong>a aggiogata. Rari i carretti o calessi signorili a<br />

due stanghe e tra<strong>in</strong>ati da cavalli, muli o as<strong>in</strong>i.<br />

Non vi erano neppure macch<strong>in</strong>e sem<strong>in</strong>atrici, mietitrici, trebbiatrici, né rulli,<br />

né erpici. Molteplici i piccoli oggetti che entravano come componenti funzionali di<br />

attrezzi complessi, molti sono stati <strong>in</strong>dicati nella descrizione delle operazioni agri-

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