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Antropologia e Diritti Umani: Tra il silenzio e la voce

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206<br />

<strong>Umani</strong> e del loro valore per quelle persone. Questa rivendicazione<br />

inusuale, nuova, senza precedenti apre delle<br />

brecce nel<strong>la</strong> legge. Quando i primi portatori di AIDS<br />

hanno sollecitato leggi che li proteggessero dall’omofobia<br />

e dal razzismo e che potessero salvaguardarli dall’abbandono<br />

da parte dello Stato, essi invocavano delle leggi<br />

senza precedenti (BUTLER, 2001). Allo stesso modo, l’esigere<br />

delle condizioni di vita ragionevoli e delle leggi che<br />

le consolidino, insomma, <strong>il</strong> rec<strong>la</strong>mare l’umanità per persone<br />

tanto sradicate come quelle del<strong>la</strong> FALE, presenta<br />

delle possib<strong>il</strong>ità di generare degli effetti che si confrontino<br />

con <strong>la</strong> legge per riartico<strong>la</strong>re ciò che è chiamato umano.<br />

Questa irruzione dell’Altro si realizza con <strong>la</strong> lotta per<br />

l’annul<strong>la</strong>mento di quelle condizioni che hanno costruito<br />

<strong>il</strong> s<strong>il</strong>enzio dell’accolto del<strong>la</strong> FALE. L’antropologia emerge<br />

in questa rottura del s<strong>il</strong>enzio come una <strong>voce</strong>, tra le<br />

altre, tra gli Altri. 13 Ma che <strong>voce</strong>? Questa <strong>voce</strong> non<br />

sarebbe un altro modo di par<strong>la</strong>re per? Se <strong>il</strong> ruolo dell’antropologia<br />

può risiedere proprio nel<strong>la</strong> sua <strong>voce</strong>, <strong>la</strong> solitudine<br />

dell’antropologo sarebbe, pertanto, qualcosa di<br />

assolutamente immediato e provvisorio. In questa parte<br />

ritorniamo alle questioni re<strong>la</strong>tive al<strong>la</strong> rappresentazione.<br />

Tanto l’impegno politico dell’antropologo, quanto lo<br />

sforzo per smontare <strong>la</strong> supposta neutralità nelle etnografie<br />

si incontrano davanti ad un’altra aporia: come<br />

costruire una <strong>voce</strong> senza livel<strong>la</strong>re <strong>la</strong> complessità congiunturale<br />

dell’altro? (Costa 1999) E, nel caso di una<br />

situazione di frag<strong>il</strong>ità e di vulnerab<strong>il</strong>ità come quel<strong>la</strong> del<strong>la</strong><br />

FALE, come costruire questa <strong>voce</strong> senza fare un’incursione<br />

nel<strong>la</strong> miseria altrui? 14 Come può l’antropologia<br />

costituirsi come <strong>voce</strong> senza ridurre al s<strong>il</strong>enzio le altre e<br />

senza “s<strong>il</strong>enziarsi” sul suo “s<strong>il</strong>enziamento”? 15<br />

Il dubbio su quale strada prendere, <strong>il</strong> timore che con una<br />

presa di posizione si ricada nell’acriticità, <strong>il</strong> dolore di<br />

convivere con <strong>la</strong> sofferenza, tutte queste situazioni forse<br />

sono atti di quello scontro conflittuale, tragico e aporetico<br />

di cui ci par<strong>la</strong> Luiz Eduardo Soares. Che fare?<br />

L’intenzione positivista di rispondere in maniera definitiva<br />

alle questioni <strong>la</strong>tenti – o di risolvere d<strong>il</strong>emmi, dirimere<br />

aporie, è una frag<strong>il</strong>e chimera. Forse quello che ci<br />

resta è tentare di vivere questa – solitaria? – esperienza<br />

di possib<strong>il</strong>ità dell’impossib<strong>il</strong>e: <strong>la</strong> prova dell’aporia a<br />

partire dal<strong>la</strong> quale inventare l’unica invenzione possib<strong>il</strong>e,<br />

l’invenzione impossib<strong>il</strong>e. (DERRIDA, 1992: 43). 16<br />

La <strong>voce</strong><br />

“Steso in un letto dell’Ospedale Universitario di<br />

Bras<strong>il</strong>ia, Carlos tiene gli occhi fissi sul<strong>la</strong> parete. Le sue<br />

condizioni fisiche peggiorano di giorno in giorno, visib<strong>il</strong>mente.<br />

Il suo sguardo è prossimo a quel colore gial<strong>la</strong>stro<br />

che io – forse ingenuamente – considero un segno di<br />

avvicinamento del<strong>la</strong> morte. Lui è solo e l’intensità del<strong>la</strong><br />

sua tristezza mi rattrista. Cerco di par<strong>la</strong>re del<strong>la</strong> FALE,<br />

del<strong>la</strong> sua vita, ma niente sembra attirare <strong>la</strong> sua attenzione<br />

quanto <strong>la</strong> prossima dose di morfina. A Carlos sono<br />

state amputate le gambe, <strong>la</strong> sua famiglia non vuole neanche<br />

sentire <strong>il</strong> suo nome. È cieco. Dipendente dal<strong>la</strong> morfina,<br />

usata inizialmente per alleviare i dolori. Nessuno<br />

viene a trovare Carlos, soltanto gli assistenti sociali e lo<br />

Pedro Paulo Gomes Pereira<br />

Antrocom 2005 1 (2)<br />

psicologo dello HUB [Ospedale Universitario di<br />

Bras<strong>il</strong>ia]. Mentre un medico lo visita, penso al mio <strong>la</strong>voro<br />

di campo, al<strong>la</strong> situazione di Carlos, a quello che<br />

potrei fare per aiutarlo, a quello che dovrei dire.<br />

All’improvviso Carlos ha cominciato a piangere. Senza<br />

sapere cosa fare e come, ho messo delicatamente <strong>la</strong><br />

mano sul<strong>la</strong> sua spal<strong>la</strong>. L’ho sistemato in una posizione<br />

più comoda. Carlos ha detto – o è stata <strong>la</strong> mia immaginazione,<br />

non so! -: “<strong>la</strong> vita è stata brutta, ma <strong>la</strong> morte<br />

sarà ancora peggio”. Ho balbettato qualcosa. Sono tornato<br />

a casa con <strong>la</strong> sensazione dell’inut<strong>il</strong>ità monumentale<br />

di tutto quello che facevo.” 17<br />

Letta a posteriori, <strong>la</strong> storia di Carlos sembra collocarsi in<br />

quello stesso campo kafkiano del<strong>la</strong> realtà magica già<br />

menzionato. Come può una persona essere in queste condizioni?<br />

Non c’è forse molta commozione personale<br />

nel<strong>la</strong> descrizione? Non è che lo st<strong>il</strong>e priv<strong>il</strong>egia un sentimentalismo<br />

esagerato? L’assurdo e semplice gesto di<br />

mettere <strong>la</strong> mano sul corpo di Carlos, non sarà anch’esso<br />

un modo di costruire <strong>il</strong> s<strong>il</strong>enzio? Ci sarà, infine, un modo<br />

per frenare questo senso di inut<strong>il</strong>ità?<br />

Le risposte per vincere <strong>il</strong> s<strong>il</strong>enzio e l’indebolimento del<br />

linguaggio provocato dal dolore forse si trovano nel tentativo<br />

costante di par<strong>la</strong>re con (TYLER, 1986: 204) e nel<br />

rifiutare l’atteggiamento di par<strong>la</strong>re per. Questa ricerca<br />

del<strong>la</strong> <strong>voce</strong> non può essere aliena al dolore dell’altro. Al<br />

contrario, come suggerisce Veena Das facendo propria<br />

l’analisi di Wittgenstein, dobbiamo ricercare <strong>la</strong> possib<strong>il</strong>ità<br />

che un dolore si localizzi in un altro corpo e viceversa,<br />

poiché <strong>la</strong> forza curativa dell’antropologia deve<br />

essere quel<strong>la</strong> di condividere <strong>il</strong> dolore e le esperienze<br />

del<strong>la</strong> sofferenza. Secondo Wittgenstein, <strong>la</strong> compassione<br />

18 indica una prossimità tra persone, rendendo possib<strong>il</strong>e<br />

<strong>la</strong> convinzione che l’altro sente dolori, offrendo l’opportunità<br />

di condividere questi dolori. 19 Wittgenstein<br />

dimostra <strong>la</strong> possib<strong>il</strong>ità di comunione nel dolore. La compassione<br />

per i miei amici conduce all’indagine su quello<br />

che posso fare per loro. Prendergli <strong>la</strong> mano, offrire parole<br />

di conforto, portargli da mangiare, sistemargli <strong>il</strong> letto.<br />

Queste semplici azioni indicano che dono le mie capacità<br />

motorie, che sono guidate dal desiderio dell’altro. Se<br />

egli è debole e assetato, <strong>la</strong> mia mano prenderà da bere.<br />

Se debole, le mie membra provvederanno forza.<br />

Agiremo come se fossimo in solo corpo. Il mio corpo<br />

funzionerà da sollievo al<strong>la</strong> sofferenza. La condivisione<br />

allevierà <strong>il</strong> dolore, dal momento che <strong>il</strong> dolore è ancorato<br />

nell’esperienza dell’iso<strong>la</strong>mento.<br />

Il dolore e <strong>la</strong> ma<strong>la</strong>ttia rompono <strong>la</strong> comunione con <strong>il</strong><br />

mondo naturale e sociale, segnato dall’esperienza del<br />

solipsismo. Quando i corpi si interconnettono, quando<br />

entrano in comunione, quando <strong>il</strong> mio corpo compassionevole<br />

entra in contatto con <strong>il</strong> corpo che soffre, abbiamo<br />

<strong>la</strong> possib<strong>il</strong>ità di mettere in atto una forza curativa.<br />

La condivisione non mira a legittimare <strong>la</strong> disciplina e gli<br />

specialisti, bensì a formare un solo corpo, per mezzo di<br />

narrative, fornendo una <strong>voce</strong> – quel<strong>la</strong> possib<strong>il</strong>e in un<br />

campo tanto diffic<strong>il</strong>e -, facendo sì che <strong>il</strong> dolore ed <strong>il</strong> terrore<br />

siano provati in altri corpi. È questa condivisione<br />

che forse conferisce un senso al semplice – e ora non

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