Storia e Idealità Laico Socialiste Riformiste - Uil
Storia e Idealità Laico Socialiste Riformiste - Uil
Storia e Idealità Laico Socialiste Riformiste - Uil
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
ISTITUTO DI STUDI SINDACALI<br />
STORIA E IDEALITÀ LAICO SOCIALISTE<br />
RIFORMISTE
Di solito quando si comincia a pensare a ciò che si è fatto, a come si è lavorato,<br />
si pensa che si poteva fare di più e meglio, oppure che le occasioni si sono<br />
perdute strada facendo nonostante le opportunità che si sono presentate. Per<br />
quanto riguarda l’Istituto di studi sindacali il bilancio che si può formulare è<br />
molto positivo, sia perché sebbene i tempi di crisi, si è riusciti a sopravvivere<br />
con le proprie modeste risorse, sia perché gli impegni che l’Istituto ha preso con<br />
la <strong>Uil</strong>, per il conseguimento di risultati ottimali, sono stati mantenuti.<br />
Con la presente pubblicazione, vogliamo riproporre il ragionamento che ha caratterizzato<br />
l’attività, dal precedente congresso ad oggi, con una particolare attenzione al percorso<br />
compiuto e alle aspettative che animano le proposte per il futuro.<br />
Ripercorrere i momenti qualificanti del nostro lavoro è importante, affinché possano essere<br />
utilmente adoperati i risultati prodotti, quali spunti di riflessione e idee da parte di tutta<br />
l’Organizzazione.<br />
In questi anni l’attività dell’Istituto di Studi sindacali ha prodotto una notevole quantità di<br />
materiali e approfondimenti, riproponendo quelle idealità sempre attuali che hanno costituito<br />
e costituiscono le radici della UIL.<br />
✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵<br />
Nel 1998 il XII Congresso Confederale sancì l’importanza dell’avvenuta costituzione<br />
dell’Istituto di Studi Sindacali, riconoscendo la necessità, crescente, di dotare<br />
l’organizzazione di una struttura capace di rispondere alle necessità delle domande di ricerca,<br />
di studio e conservazione della memoria. L’istituzione, quindi, di uno strumento agile, aperto<br />
alla società ed alla collaborazione in Italia, come a livello internazionale, idoneo ad attrarre a<br />
se personalità del mondo accademico, dell’economia, della società civile e soprattutto dei<br />
giovani, attraverso una maggior razionalizzazione delle forze, della disponibilità dei mezzi e<br />
di capacità d’intervento.<br />
Dopo la costituzione l’Archivio storico veniva inglobato nell’Istituto ed affidata a questo la<br />
gestione.<br />
L’archivio storico nacque nel 1989 e venne istituito presso il Crel, il centro di ricerca<br />
della <strong>Uil</strong>. Successivamente, è stato trasferito nei locali della Confederazione per una più<br />
funzionale sistemazione, consentendo di assumere un assetto definito e raggiungendo una<br />
buona affermazione interna, decretata con il definitivo riconoscimento all’esterno.<br />
Dopo la cessazione di attività del Crel, di fatto il compito di svolgere un certo tipo di attività<br />
venne affidata all’archivio. Ma solo dopo aver constatato l’impossibilità di far svolgere<br />
contemporaneamente l’attività archivistica e quella di centro studi che l’organizzazione ne<br />
decise un diverso assetto, attraverso la riorganizzazione e la creazione di uno strumento che,<br />
non solo sapesse ripercorrere la strada del vecchio centro di ricerche, ma fosse innovativo,<br />
sapesse occuparsi di una vasta gamma di interessi storico, culturali, ed anche di iniziative<br />
d’elaborazione e di conoscenza, di conservazione e trasmissione della memoria e delle idealità<br />
della <strong>Uil</strong>.<br />
L’Istituto, forte di queste scelte di fondo, solido nei convincimenti ha cercato e<br />
cercherà, di incarnare le idealità che donne e uomini della <strong>Uil</strong> hanno sempre manifestato nella<br />
società e nel lavoro, difendendole e, soprattutto, diffondendole; poiché esiste il rischio di<br />
3
considerare come acquisito il presupposto che idealità, oramai condivise ed accettate, non<br />
possano tramontare o addirittura non siano più cancellabili dalla memoria collettiva.<br />
Purtroppo la storia ci insegna come tutto ciò non solo è inutile pensarlo, ma soprattutto<br />
pericoloso in quanto porta rapidamente alla scomparsa dei valori fondanti della nostra società<br />
e con essi della nostra organizzazione.<br />
Smarrendo le idealità e perdendo i valori assoluti, che una nazione finisce per perdere anche<br />
l’identità politica. In questo contesto, vi è più che mai bisogno di un ruolo attivo del sindacato<br />
e degli strumenti di cui dispone. Vale a dire di quella organizzazione la cui storia si intreccia<br />
con la difesa dei valori della Costituzione, nata dalla Resistenza, con il costante<br />
perseguimento e crescita degli ideali di libertà e democrazia, con lo sviluppo economico e<br />
sociale, con la tutela degli interessi dei lavoratori ed il riscatto delle classi più povere. Una<br />
azione che è rivolta alla società, ma che è anche di tutela verso se stessi, onde evitare il rischio<br />
di finire se non cancellato – a causa di questo imperante revisionismo storico – comunque<br />
collocato fra gli strumenti in disuso.<br />
Per questo l’Istituto di Studi Sindacali si è posto, con l’assunzione della relativa<br />
responsabilità, l’obiettivo di diventare punto di riferimento non soltanto all’interno<br />
dell’organizzazione, ma anche verso le nuove generazioni. Esistono oramai consistenti fasce<br />
di giovani e studenti che hanno perso il contatto con gli ideali che hanno formato e dato<br />
sostanza e coerenza e consistenza alla storia del nostro paese.<br />
Un compito che, per assolverlo, richiede la indispensabile collaborazione di tutte le strutture,<br />
delle donne e degli uomini dell’organizzazione, in modo che l’Istituto divenga struttura e<br />
strumento di divulgazione della conoscenza della <strong>Uil</strong>, delle sue idealità, della sua proposta<br />
politica e sindacale e, soprattutto, interprete del significato della sua presenza nella società.<br />
LE INIZIATIVE<br />
Nell’ambito della ricorrenza ed i festeggiamenti per il cinquantesimo anniversario della<br />
<strong>Uil</strong>, l’Istituto di studi sindacali ha realizzato un film documentario dal titolo ”Oltre il<br />
cancello” per ripercorrere la storia d’Italia dal dopo guerra al duemila. Una lettura ragionata<br />
dell’azione svolta dalla <strong>Uil</strong> dalla sua fondazione ai nostri giorni, scorrendo la storia del nostro<br />
Paese, l’evoluzione della società, la sua maturazione e le sue battaglie per affermare quegli<br />
ideali che sono poi l’asse portante della <strong>Uil</strong>. Questa scelta non è stata casuale, in quanto con<br />
essa si è voluto da un lato rimarcare le basi ideali dalle quali l’Istituto prendeva a muovere e<br />
dall’altro fissare nella memoria, possibilmente non solo dell’organizzazione, le tappe, le pietre<br />
miliari percorse dal sindacato alla guida dei lavoratori.<br />
Attraverso le vicende che hanno caratterizzato la storia del nostro Paese, ripercorrendo i<br />
maggiori avvenimenti che hanno visto la <strong>Uil</strong> protagonista degli eventi, si è potuto ricostruire<br />
un quadro sintetico delle idee portate avanti dagli uomini e dalle donne che hanno creduto in<br />
un progetto e hanno contribuito alla sua affermazione. Il modello era tutto da costruire. Non<br />
sono stati percorsi agevoli e i confronti non sono mancati. Tuttavia, le idee forza che hanno<br />
accompagnato e fatto crescere la <strong>Uil</strong> come organizzazione sindacale, sono restate integre nella<br />
loro elaborazione - e comunque restando sempre di attualità - trasformando in azione pratica e<br />
rivendicazione costante le aspirazioni dei lavoratori.<br />
La decisione di fare un prodotto video è stata, anche, una risposta nuova e di grande impatto.<br />
Infatti, non è molto praticata dal sindacato. È più facile far circolare un documento scritto, che<br />
una videocassetta. Tuttavia, il suo successo è stato notevole, sia nell’accoglienza da parte del<br />
pubblico, sia nella successiva richiesta per farlo vedere e girare per le strutture ed il territorio<br />
nazionale.<br />
4
La scelta di individuare delle linee guida che, partendo dagli anni cinquanta restassero tali, ma<br />
adeguando, ovviamente, il linguaggio e l’azione alle circostanze, ha portato all’elaborazione<br />
di un prodotto che ha consentito di coniugare la storia d’Italia e la storia del sindacato.<br />
Queste linee guida sono la modernizzazione, il laicismo, il riformismo, la partecipazione ed il<br />
sindacato dei cittadini.<br />
Ognuna di queste “tracce” è stata trattata nel filmato non in maniera indipendente, ma<br />
riassumendo attraverso le immagini l’evolversi della politica e, soprattutto, della società<br />
italiana. Queste sono le indicazioni che la <strong>Uil</strong>, nella sua storia, ha fatto proprie, portandole a<br />
divenire il percorso che ha caratterizzato l’azione del sindacato.<br />
Una produzione, quindi, che ha riunito, ordinato e commentato cinquant’anni di attività per<br />
trasmetterne valori, scelte, risultati con la stessa forza ideale con la quale si sono portati<br />
avanti.<br />
Altro momento qualificante è stata la partecipazione dell’Istituto ad un progetto europeo sulla<br />
Responsabilità sociale delle imprese in partnership con istituti di ricerca spagnolo e tedesco.<br />
Sia lo svolgimento del lavoro di ricerca, che il suo esito ha dato luogo alla realizzazione di<br />
alcune iniziative di verifica sul campo e alla presentazione dell’esito della ricerca stessa nei<br />
tre Paesi partecipanti e a livello europeo. Importanti, per la nostra parte di attività, sono stati<br />
gli incontri nel territorio, con i lavoratori e con le aziende, ed in particolare il convegno<br />
conclusivo di presentazione dell’esito della ricerca, organizzato al CNEL, con la<br />
partecipazione di qualificati rappresentanti delle istituzioni, delle imprese, dei sindacati<br />
nazionali e di altri paesi. Il convegno ha avuto un notevole successo per aver offerto al<br />
dibattito un prodotto di qualità, proprio nel momento in cui nel Paese si stava facendo più<br />
serrato il confronto sul ruolo delle imprese, della partecipazione dei lavoratori e dei nuovi<br />
strumenti, interagenti sul mercato del lavoro e nella contrattazione.<br />
Un contributo particolarmente importante sia per l’approfondimento del ruolo sociale<br />
dell’impresa e di analisi sul bilancio sociale e dei suoi effetti.<br />
Insieme alle celebrazioni del 60° anniversario della Liberazione e delle manifestazioni per il<br />
Primo Maggio, il sindacato ha ricordato il 60° anniversario del Patto di Roma e gli scioperi<br />
della primavera del 1943 e 1944 con le vittime della repressione nazi-fascista. Il convegno sul<br />
Patto di Roma si è tenuto a Roma ed è stata una ulteriore occasione di riflessione della nostra<br />
storia ed anche della sua attualizzazione che essa può avere sui rapporti sindacali unitari<br />
esistenti. L’iniziativa sugli scioperi si è svolta a Milano ed ha rappresentato non solo<br />
l’omaggio a tutti i lavoratori in lotta, contro gli oppressori ed in particolare il ricordo dei<br />
caduti, ma un richiamo alla memoria di tutti per non dimenticare neppure per un solo<br />
momento che se oggi l’Italia gode della libertà e della democrazia, lo deve a quei lavoratori<br />
che nelle fabbriche, come ai partigiani sui monti e nelle campagne si sono sacrificati per<br />
conquistarle. Due momenti che riunivano l’impegno dei lavoratori e del sindacato negli eventi<br />
della politica e della guerra di liberazione.<br />
5
“Patto di Roma”<br />
3 giugno 1944: nell’Italia divisa dalla guerra nasce il Sindacato unitario<br />
Roma, Teatro Ambra Jovinelli 8 giugno 2004<br />
Intervento di Luigi Angeletti<br />
60 anni fa è stata compiuta da un gruppo di uomini liberi, dirigenti del sindacato, una scelta<br />
che ha avuto un ruolo decisivo per la rinascita del sindacato nel nostro paese. Quella scelta, al<br />
di là della sua funzione esplicita per la quale è ricordata - la ricostruzione di un sindacato<br />
democratico, autonomo, pluralista e unitario - ha determinato un cambiamento epocale nel<br />
cuore e nella mente di milioni di persone. In quel giugno del ’44 eravamo ancora in guerra,<br />
anche se la sconfitta del fascismo e del nazismo era ormai imminente. In quel giugno il nostro<br />
paese veniva da una lunga dittatura, da un sistema totalitario che non era stato solo un regime<br />
militare, la dittatura di una oligarchia. Quel regime aveva convinto molte persone della<br />
possibilità, non solo teorica di eliminare la lotta sindacale, la lotta di classe, sostituendola con<br />
un’idea dello Stato trasformato in una divinità. In nome di quell’idea i nemici dello Stato<br />
potevano essere gasati come gli ebrei, i sovversivi o i sindacalisti potevano essere fucilati o<br />
mandati in carcere o, nella migliore delle ipotesi, inviati al confino. Quell’idea e quella<br />
dittatura, erano state capaci di coinvolgere la stragrande maggioranza delle cosiddette masse<br />
popolari. Ed è anche per questo che quegli uomini, nel sottoscrivere quel Patto che dava vita<br />
ad un sindacato autonomo, indipendente e soprattutto democratico, stavano attivando anche<br />
un’opera pedagogica, profondamente necessaria per riconciliare i lavoratori, il proletariato,<br />
con l’idea della democrazia ed insieme a ciò fare del riscatto del proletariato, delle classi<br />
subalterne e del concetto di democrazia un’idea di libertà. Quel Patto infondeva nella<br />
coscienza di milioni di persone la convinzione che solo l’esercizio delle libertà politiche e<br />
sindacali poteva rappresentare lo strumento per superare decenni, secoli di subordinazione, di<br />
una concezione servile del lavoro. Il riscatto del lavoro nasceva, in quel giugno del ’44.<br />
Quegli uomini hanno fatto una cosa fondamentale in anni veramente difficili, perché quelle<br />
idee erano patrimonio di una sparuta minoranza, bisognava spiegare che la fame, nel senso<br />
letterale del termine, lo sfruttamento, il rischio della vita e della propria libertà, non erano<br />
semplicemente la conseguenza di una guerra o degli errori politici che il fascismo aveva<br />
compiuto dichiarando la guerra ed affiancandosi ai tedeschi. Quella subalternità era la<br />
inevitabile conseguenza dell’assenza di democrazia, gli affari dello Stato erano stati da<br />
sempre in mano ad una elite. Il coinvolgimento di donne e uomini del nostro paese nelle<br />
decisioni politiche, e la possibilità di influire sulla gestione della democrazia era la questione<br />
più<br />
importan<br />
te da<br />
affermar<br />
e. Quindi<br />
per me il<br />
Patto di<br />
Roma è<br />
stato<br />
fondame<br />
ntale,<br />
dettato<br />
non solo<br />
dalla<br />
necessità<br />
di fare qualcosa in una situazione difficile, incerta, drammatica come era quella del ’44.<br />
6
Quando si riunivano, quegli uomini dovevano guardarsi dagli agenti della polizia fascista,<br />
dalle SS, la posta in palio era la vita - cito fra tutti Bruno Buozzi che pagò con la vita il suo<br />
coraggio e la sua voglia di libertà - quindi in una condizione che noi non abbiamo mai<br />
conosciuto e con molta difficoltà riusciamo ad immaginare. Ma è stato fatto quel Patto ed è<br />
questa la cosa importante. Ovviamente, come dire, ci sono stati dei limiti, che erano però<br />
secondo me del tutto fisiologici. Questi sindacalisti erano persone che, pur avendo una<br />
profonda e radicata cultura politica, non potevano prevedere che il vero problema sarebbe<br />
sorto nel rapporto tra il sindacato e il nuovo sistema politico pluralista, con il potere politico,<br />
con le sue organizzazioni, con i partiti. Anche perché i partiti, nel ’44, erano così deboli che<br />
era impossibile immaginare che in pochi anni avrebbero preso nettamente il sopravvento, non<br />
solo dal punto di vista istituzionale, ma anche nelle coscienze delle persone, degli stessi<br />
militanti sindacali. Né, ovviamente, potevano prevedere le conseguenze che le divisioni<br />
ideologiche, le scelte politiche, soprattutto quelle di politica estera avrebbero determinato<br />
dentro il sindacato. Questo è stato il vero limite. Io però francamente non so quanti nel ’44,<br />
potevano avere questa lungimiranza nell’immaginare che la ideologizzazione delle masse si<br />
manifestasse velocemente, che milioni di persone, compresi i lavoratori iscritti al sindacato,<br />
avrebbero intrapreso quella forte battaglia politica connotata da visioni ideologicamente e<br />
politicamente diverse sul modello di società, sul concetto di democrazia, sul concetto di<br />
capitalismo e sul rapporto tra il sindacato ed il sistema economico. In conseguenza di ciò,<br />
quel Patto di unità tra diversi, tra culture politiche diverse non poteva superare il 1948.<br />
Durante le prime elezioni politiche libere, la contrapposizione ideologica e le visioni della<br />
società futura non potevano, in conseguenza di ciò, non scontrarsi. E’ evidente che questa<br />
incapacità di pensare che in una società democratica, in una società nella quale il potere<br />
politico è legittimato dai consensi che ha tra gli elettori, il rapporto tra il sindacato e la politica<br />
avrebbe seguito altre strade, una situazione totalmente diversa rispetto a quella vissuta durante<br />
la dittatura del fascismo. Io credo però che ci sono delle lezioni importanti da cogliere da<br />
quella vicenda storica, una vicenda che ha cambiato la storia del sindacato e probabilmente<br />
anche i rapporti politici nel nostro paese. E’ un fatto che la democrazia e il sindacato<br />
democratico siano assolutamente indissolubili, che le battaglie per la giustizia sociale e le<br />
battaglie per la libertà non siano scindibili. Non sono scindibili mai, neanche quando le<br />
persone hanno bisogni assolutamente fondamentali come quelli di sopravvivere e di mangiare,<br />
perché non si può immaginare che per rispondere ai bisogni sociali si possa sorvolare,<br />
trascurare, cancellare la necessità di salvaguardare la democrazia, per questo i valori di<br />
giustizia sociale, e di libertà, sono intrinsecamente legati. L’altro grande insegnamento è il<br />
fatto che in un sistema politico pluralista, aggiungerei anche a maggior ragione in un sistema<br />
politico tendenzialmente bipolare, l’autonomia, l’indipendenza dal potere politico, è<br />
fondamentale per conseguire un bene altrettanto importante, che è quello dell’unità. Dell’unità<br />
non tanto dei sindacati, in quanto tali, ma dell’unità dei lavoratori, cioè di coloro che noi<br />
rappresentiamo. Ma questa unità è così importante, il bisogno di unità così forte, che<br />
bisognerebbe ogni tanto pensare, e porsi sempre la domanda: - un sindacato ha il dovere<br />
morale e politico di capire sempre qual è la politica che difende meglio gli interessi delle<br />
persone - e non piuttosto, come alcuni fanno, chiedersi a chi conviene, a quale parte politica è<br />
utile. Prendiamo questo impegno, soggettivo e collettivo, di capire che il nostro problema è di<br />
fare un grande sindacato per conservare e sviluppare il patrimonio che abbiamo ereditato.<br />
Seguire l’insegnamento dei nostri predecessori e di tutte quelle persone che hanno fatto<br />
veramente la storia di questo paese, non solo la storia del sindacato, è la lezione politica che<br />
non dobbiamo sciupare. L’autonomia e l’unità sono anch’essi due valori che non si possono<br />
disgiungere, certo ci possono essere periodi, tempi, fasi, durante i quali in nome dell’unità non<br />
si può sacrificare la propria autonomia, la propria identità di organizzazione, per una unità di<br />
facciata.<br />
7
Dobbiamo però avere la convinzione diffusa che l’unità è importante per vivere in una società<br />
che vuole costruire un futuro, una società che non è rassegnata, che non considera inevitabile<br />
il declino, una società che sappia offrire speranze e opportunità. Questa è la vera sfida che<br />
oggi ha di fronte il sindacato. La può affrontare in due modi: auspicando dei cambiamenti,<br />
sostenendo delle idee che possano dare delle speranze, relegandosi però in un ruolo di<br />
supporto; oppure cercare di essere dei protagonisti, offrire speranze per una società migliore,<br />
un po’ più giusta, un po’ più libera, una società che si può costruire non affidandosi a qualcun<br />
altro. Un sindacato moderno che si pone anche questo obiettivo, è un sindacato che vuole<br />
essere protagonista, perché ritiene di avere in sé la forza morale, l’intelligenza politica, le<br />
qualità culturali per essere un protagonista di questo processo. Solo così potremo<br />
rappresentare la migliore tradizione di quel modello di sindacato che 60 anni fa qualcuno ha<br />
cercato di disegnare, e per il quale è stato capace di mettere in gioco il bene più prezioso che<br />
ogni essere umano possiede: la vita.<br />
Intervento di Aldo Aniasi*<br />
È per me un privilegio partecipare a questo incontro. accanto ai dirigenti del movimento<br />
sindacale di oggi, impegnati per reclamare una società più giusta, per difendere le condizioni<br />
di vita dei lavoratori, per chiedere che il mondo viva in pace e anche per impedire che la<br />
Costituzione della Repubblica italiana, frutto della lotta di liberazione combattuta sessant'anni<br />
fa, venga stravolta. Una Costituzione fra le più civili del mondo che all'articolo l afferma che<br />
la Repubblica italiana è fondata sul lavoro.<br />
Una particolare soddisfazione è in tutti noi perché i dissensi fra le tre grandi confederazioni<br />
dei lavoratori sono alle nostre spalle e si è ritrovata l'unità operativa senza la quale tutto<br />
sarebbe più fragile.<br />
Grazie compagni e amici per quest'opportunità che consente di ricordare, di riflettere a chi<br />
ha vissuto la stagione dell'unità sindacale costruita mentre le truppe della Germania nazista,<br />
con la complicità dei fascisti, calpestavano la nostra terra, compivano stragi, eccidi,<br />
torturavano, assassinavano, deportavano chi si batteva per la libertà.<br />
La mia generazione non può dimenticare quei lavoratori, uomini e donne, operai, impiegati,<br />
contadini, intellettuali che nelle fabbriche, negli uffici sostenevano la resistenza armata<br />
affrontando le feroci criminali repressioni e che a migliaia pagarono con la deportazione e con<br />
la vita quella loro resistenza disarmata.<br />
Noi oggi ricordiamo con animo riconoscente un avvenimento di eccezionale importanza: la<br />
decisione di unire in una sola organizzazione i lavoratori del sud e del nord il che influì<br />
positivamente sulla guerra allora in corso e creò le condizioni per la ricostruzione pacifica in<br />
un dopoguerra che doveva traghettarci verso la democrazia.<br />
Oggi appare un miracolo quello che sessant'anni fa portò il mondo del lavoro a stringere un<br />
patto unitario dopo due decenni che lo avevano visto diviso in Italia, in Francia negli anni<br />
della lotta antifascista.<br />
Voi sapete, quanto me, quanto sulla caduta del fascismo abbiano influito gli scioperi del<br />
marzo del1943; indebolirono le già fragili strutture del regime e fecero pressione sulla tenuta<br />
della monarchia, che portava la responsabilità di aver avallato e sostenuto il fascismo, i suoi<br />
crimini, la guerra.<br />
Quegli scioperi furono non solo organizzati e attuati per rivendicare migliori condizioni<br />
economiche ma anche contro l'oppressione fascista, contro là guerra, la fame, le privazioni, le<br />
basse paghe; la situazione politica consentì agli antifascisti militanti di trovare sostegno in un<br />
indistinto complesso di risentimenti della popolazione contro le disfatte, le disgrazie causate<br />
dal fascismo.<br />
Fra i militanti antifascisti e la popolazione si stabilì una solidarietà che si rafforzò nei mesi<br />
successivi.<br />
8
Con la caduta del fascismo, il 25 luglio del 1943 al ritorno anche se brevissimo dei partiti<br />
politici, si creò la possibilità di manifestare pubblicamente rabbia, risentimenti a lungo covati<br />
e repressi.<br />
In quei giorni si gridava «Viva Matteotti», il martire assassinato diciannove anni prima, si<br />
venivano a conoscere i nomi dei dirigenti sindacali antifascisti: Buozzi, Roveda e Grandi e<br />
altri divennero la bandiera dei lavoratori.<br />
Gli antifascisti usciti dal carcere, dal confino, rientrati dalla Francia assunsero la direzione del<br />
movimento, la maggioranza dei lavoratori in quelle giornate si ritrovò unita in un comune<br />
sentire: la presa di coscienza delle ingiustizie, dei torti subiti, e la speranza in parole nuove e a<br />
lungo ignorate: libertà, giustizia, pace, il che determinò un'indistinta generica solidarietà: la<br />
solidarietà di classe.<br />
Oggi mi sembra di sentire quello slogan di allora: «Uniti si vince» che fu inconsciamente la<br />
molla che impresse forza al movimento unitario.<br />
I dirigenti con lunga esperienza sindacale quali Bruno Buozzi, Giuseppe Di Vittorio, Achille<br />
Grandi, Oreste Lizzadri ebbero il merito, l'intelligenza di interpretare quei sentimenti, quelle<br />
aspirazioni e di operare perché essi si traducessero in fatti.<br />
La resistenza nata dopo l'8 settembre, dopo il proclama del generale Kesserling, che dichiarò<br />
il territorio italiano sottoposto alle leggi e ai tribunali tedeschi, fu un potente detonatore per<br />
innescare l'unità del 'mondo del lavoro. Da quel momento la parola d'ordine del Cln fu:<br />
«Unità di popolo, unità dei partiti».<br />
La resistenza fu quindi plurale ma unitaria. Consentitemi ricordi personali: gli operai<br />
dell'Isotta Fraschini di .Milano, che ci rifornivano di armi, quelli della Rumianca, dell'Ilva,<br />
della Montedison, che ci sostenevano nella VaI d'Ossola con concrete iniziative, non ci<br />
chiedevano a quale partito appartenessimo. Era un'unità fra diversi, unità dialettica, unità<br />
faticosamente raggiunta, imposta dalla durezza della lotta.<br />
Gli scioperi per rivendicazioni economiche e contro gli invasori si susseguivano. Nel<br />
dicembre 1943 a Sesto San Giovanni, allora grande centro industriale, lo sciopero fu totale;<br />
nei. primi del gennaio 1944 si estesero alla Franco Tosi di Legnano, alla Comerio di Busto<br />
Arsizio e in altre località. Hitler e il generale Wolf preoccupati per l'allargarsi della rivolta<br />
inviarono in Lombardia il generale Zimmerman con pieni poteri per reprimere ogni sedizione.<br />
Il 28 febbraio 1944 L'Avanti! clandestino (edizione milanese) aveva riportato l'ordine del<br />
giorno del Comitato di liberazione nazionale - Alta Italia d'appoggio allo sciopero proclamato<br />
dal Comitato segreto d'iniziativa, sostenendo che si trattava di uno sciopero generale<br />
insurrezionale.<br />
Per una settimana, dal 1° marzo, alcune centinaia di migliaia di lavoratori avevano bloccato<br />
tutte le produzioni belliche. La reazione, la repressione delle SS fu brutale.<br />
Queste vicende consolidarono i vincoli unitari del mondo del lavoro e furono il terreno che<br />
consentì la stipulazione di quello storico Patto di Roma firmato in una giornata drammatica, il<br />
3 giugno del 1944.<br />
Le forze armate germaniche in fuga da Roma, quel giorno, trascinarono con se quattordici<br />
patrioti e li assassinarono alla «Storta» sulla via Salaria.<br />
Fra essi, Bruno Buozzi che era stato il lungimirante ideatore di quel disegno unitario e il<br />
paziente costruttore dell'accordo. Né si dimentichi che fra le carte che gli trovarono al<br />
momento dell'arresto c'erano anche le bozze dei primi progetti per la realizzazione della unità<br />
sindacale.<br />
Buozzi, Grandi, Roveda e Di Vittorio erano stati i sostenitori dell'autonomia delle<br />
organizzazioni sindacali dalla interferenza dei partiti.<br />
La perdita di Buozzi lasciò un vuoto incolmabile. Buozzi era stato un dirigente sindacale che<br />
aveva fatto la sua esperienza nei primi anni del fascismo, quale segretario generale della Fiom<br />
che aveva firmato il contratto nazionale di lavoro di otto ore.<br />
9
Nel 1925, da deputato socialista per alcune legislature, espatriato per sfuggire alle<br />
persecuzioni, aveva continuato il suo impegno fra miseria, stenti, carcere, campo di<br />
concentramento; riprese il suo posto. di combattimento in Italia alla caduta del fascismo.<br />
Quel patto che oggi noi onoriamo fu recepito con grande consenso nell'Italia del centro e del<br />
nord nella quale operava attivamente la resistenza. Nell’estate del 1944 le «Repubbliche<br />
partigiane», nelle zone liberate, accolsero e attuarono le indicazioni del Patto di Roma.<br />
Ricordo che il 16 settembre il «Governo provvisorio dell'Ossola» nel suo primo atto dava<br />
indicazioni per costituire la Camera del lavoro, per l'organizzazione unitaria delle forze<br />
lavoratrici e per la costituzione e l'adesione alla Cgil (Confederazione generale italiana del<br />
lavoro), suggerendo inoltre di affrontare con urgenza gli aumenti salariali per «rimediare » - si<br />
affermava - ai più impellenti bisogni delle masse lavoratrici.<br />
Era la presa d'atto di quanto aveva stabilito la direzione provvisoria della Cgil: promuovere<br />
l'organizzazione e l'inquadramento del movimento sindacale in tutte le regioni liberate<br />
unitamente alla rigorosa difesa degli interessi dei lavoratori e sostenere con tutte le proprie<br />
forze la guerra di liberazione totale del paese. Quel patto firmato da Giuseppe Di Vittorio,<br />
Emilio Canevari, Achille Grandi si collegava, si intrecciava indissolubilmente con la<br />
resistenza.<br />
Non era stato facile, come sapete, quell'accordo. Le questioni sulle quali c'era dissenso non<br />
erano di poco conto: la scelta del sindacato unitario ma non unico, l'assoluta autonomia dallo<br />
Stato, dai partiti e dal padronato, la validità giuridica dei contratti di lavoro e altro ancora.<br />
Non erano state di poco conto le questioni affrontate e discusse.<br />
Emilio Canevari, Giuseppe Di Vittorio, Achille Grandi operarono unitamente ai dirigenti dei<br />
partiti politici per superare contrasti e dissensi, operarono per una mediazione che interpretava<br />
e faceva suoi sentimenti e volontà della base dei lavoratori. Importante fu l'apporto di Nenni,<br />
Amendola, Gronchi.<br />
La scelta dell'indipendenza dei partiti, ma non dell'indifferenza, fu allora la formula che<br />
consentì di avere il consenso dei dirigenti dei partiti politici che non avevano partecipato alla<br />
stesura del patto. Nacquero da quel patto le Camere del lavoro": in netta rottura con le<br />
concezioni corporative di categoria.<br />
Quel Patto di Roma ebbe grande importanza nei dieci mesi successivi, nei quali i lavoratori<br />
dell'Italia occupata si sentirono uniti strettamente nel combattere per migliori condizioni di<br />
vita ma anche per la difesa del patrimonio industriale dai tentativi di sabotaggio e di rapina<br />
dei tedeschi in fuga.<br />
Il primo congresso della Cgil tenutosi a Napoli dal 28 gennaio al febbraio del 1945 quando<br />
ancora la guerra era in corso manifestò grande entusiasmo per un'unità che facilitava<br />
l'affermarsi di una democrazia fondata sulla tolleranza delle diversità nel segno della<br />
solidarietà e del rispetto delle minoranze.<br />
Fu quel patto, quell'unità che favorì un dopoguerra meno conflittuale, che consentì di unire i<br />
lavoratori del nord e dèl sud che avevano vissuto due esperienze così diverse; quel patto fu<br />
uno strumento per ridurre la diffusa aggressività del dopoguerra che rischiava di esplodere e<br />
di rendere più difficile la convivenza e la ricostruzione industriale, economica e civile del<br />
paese.<br />
L'Avanti! del 1^ maggio 1945 salutava la Cgil che -- così affermava - costituisce uno<br />
strumento a garanzia per il risanamento morale e materiale del paese. Un'unità del mondo del<br />
lavoro che evitò situazioni drammatiche dopo l'uscita delle sinistre dal governo, che<br />
sopravvisse, anche se di poco, alle laceranti elezioni del 1948.<br />
L'incontro di oggi non è stato concepito dagli organizzatori solo come la celebrazione di un<br />
«grande avvenimento» di sessant'anni fa, ma come l'occasione per una riflessione valida per<br />
l'oggi. Quattro anni di unità, cinquantasei anni di divisioni delle organizzazioni.<br />
10
Ma quel patto ha lasciato un'ombra lunga sulle vicende vissute dal nostro paese in questi<br />
decenni. Nonostante la guerra fredda, le laceranti divisioni ideologiche, il mondo del lavoro è<br />
riuscito nei momenti drammatici a ritrovare rapporti e comportamenti unitari e solidali.<br />
Lo stragismo dei fascisti, il terrorismo delle brigate rosse sono stati vinti grazie alla memoria<br />
storica di quell'unità e solidarietà, con metodi democratici, senza leggi speciali. Dopo ogni<br />
attacco, dopo ogni minaccia, le piazze si sono riempite di cittadini, di lavoratori sotto questo<br />
segno, senza distinzioni di appartenenza sindacale. Unitariamente furono respinti i tentativi di<br />
chi voleva portare il paese verso soluzioni autoritarie.<br />
Una riflessione si impone sul ruolo del movimento delle organizzazioni dei lavoratori di oggi<br />
e del futuro. Per la società di domani caratterizzata da innovazioni tecnologiche che<br />
imporranno di cambiare lavoro più di una volta nella vita e forme di lavoro più flessibili, sarà<br />
indispensabile un'istruzione e formazione professionale permanente per rendere meno<br />
precaria l'occupazione e per migliorare la qualità della vita.<br />
Già oggi sono migliaia le imprese con meno di dieci dipendenti, sono centinaia di migliaia i<br />
lavoratori non sindacalizzati che non sono tutelati e quindi privi di rappresentanza.<br />
Una moltitudine di lavoratori fruisce di contratti atipici, il popolo della partita Iva e di altre<br />
forme contrattuali è in forte crescita.<br />
Oggi come sessant'anni fa, l'esigenza dell'unità delle organizzazioni dei lavoratori e degli<br />
imprenditori impone organizzazioni unitarie e sottratte a legami con i partiti il cui ruolo, per<br />
sua natura, è diverso.<br />
Una riflessione che si amplia in considerazione di un sistema elettorale maggioritario che<br />
influisce in modo assai diverso che nel passato nei rapporti governo-sindacati-imprese.<br />
Non sono un esperto di problemi sindacali e non mi permetto di intervenire su problematiche<br />
che non conosco a sufficienza. Ma non posso ignorare gli eccezionali compiti che deve<br />
affrontare oggi il movimento sindacale: la difesa dell'ambiente, della salute, dell' occupazione,<br />
delle condizioni di vita delle donne, degli anziani, dell'integrazione dei lavoratori immigrati e<br />
via dicendo.<br />
Consentitemi però di coltivare un sogno, un'utopia, che si realizzi l'unità dei lavoratori in una<br />
sola grande confederazione: quell'unità fra diversi che è stata vincente sessant'anni fa e nei<br />
primi anni del dopoguerra, darebbe un grande contributo al superamento della crisi e al<br />
declino economico e sociale in atto, favorirebbe il dialogo del mondo del lavoro con quelle<br />
forze della società e delle imprese che sono disponibili alla concertazione.<br />
I sogni, le utopie sono sempre stati la molla che hanno generato le grandi realizzazioni della<br />
storia.<br />
* Partigiano, Presidente della Federazione italiana associazioni partigiane (Fiap), ex sindaco<br />
di Milano.<br />
Intervento di Carlo Vallauri *<br />
Ho accolto volentieri l'invito dell'Istituto di Studi sindacali e tenere una relazione in<br />
quest'incontro perché sono profondamente convinto che la convergenza dei lavoratori delle<br />
diverse opinioni politiche, delle diverse fedi religiose, sia fondamentale per l'Italia e sia stata,<br />
in effetti come è stato ricordato poco fa, anche il punto fermo in base al quale è stato possibile<br />
difendere la democrazia repubblicana.<br />
Parlando del Patto di Roma io ritengo necessario tornare un momento alla fase della<br />
scomposizione dei sindacati liberi, della distruzione delle loro organizzazioni. In effetti, in<br />
Francia emigrano dai due ai trecento dirigenti delle organizzazioni sindacali della<br />
Confederazione generale del lavoro. Ma va tenuto conto che sono decine di migliaia gli<br />
iscritti alle Camere del lavoro che vanno in Francia a lavorare. Quindi, il problema della<br />
presenza sindacale per questi lavoratori, della collocazione sindacale di questi lavoratori, è un<br />
aspetto importante che, appunto, la dirigenza politica che si trova in Francia deve affrontare.<br />
11
Non è qui il caso di' soffermarsi sul problema dello scioglimento della Confederazione<br />
generale italiana del lavoro, non è questa la sede. Tuttavia ricordata, appunto, l'assenza di<br />
Buozzi proprio nel momento decisivo in cui altri decisero lo scioglimento, il problema della<br />
posizione dei lavoratori italiani in Francia - appunto erano decine e decine di migliaia i<br />
lavoratori emigrati - si pose come un problema non solo politico, ma proprio un problema di<br />
lavoro.<br />
Buozzi scelse la strada di indicare ai lavoratori emigrati l'opportunità di iscriversi alla Cgt. E<br />
lo fecero in grande numero. Poi, vi fu da parte dei sindacalisti e dei politici comunisti che si<br />
trovavano in Francia la scelta di dare vita a una Confederazione generale del lavoro che fu<br />
fondata da Ravazzoli e poi diretta da Di Vittorio.<br />
lo ho approfondito questi studi negli anni scorsi, non solo attraverso i libri, i ricordi degli<br />
organizzatori politici, degli emigrati politici italiani, ma attraverso le carte dell'Istituto<br />
internazionale di storia sociale di Amsterdam, dove tra l'altro sono conservate le carte Turati,<br />
e attraverso lo studio negli Archivi internazionali di Parigi di tutte le carte riguardanti<br />
l'emigrazione politica italiana.<br />
Un fatto è subito evidente. Il governo francese e quindi per esso la polizia studiava<br />
attentamente quello che facevano gli emigrati politici italiani. Una cosa che spicca subito, per<br />
quello che ci riguarda direttamente è come molti di questi emigrati politici la sera, a parte<br />
quello che facevano durante la giornata, chi lavorava, chi cercava lavoro, si occupavano di<br />
incontrare i lavoratori sia per assisterli, sia per indicare come svolgere la difesa nei luoghi di<br />
lavoro.<br />
In questo lavoro negli anni, soprattutto nei primi anni, si distinsero in particolare durante la<br />
loro permanenza a Parigi, Pertini e, per tutto il periodo, proprio Buozzi. Buozzi andava in giro<br />
parlando della necessità di prepararsi per ricostituire delle forti organizzazioni sindacali in<br />
Italia, si preoccupava delle esigenze immediate. Ma soprattutto era stato colpito, come<br />
scriverà appositamente, dal fatto che ormai tra i lavoratori italiani emigrati vi era una<br />
profonda sfiducia. Allora quando a Parigi arriva Saragat, Buozzi gli scrive una lettera.<br />
Teniamo presente che Saragat nel suo soggiorno a Vienna ha avuto modo di conoscere<br />
personalmente, di contattare e di sentire molto l'influenza di tutte le correnti socialiste europee<br />
sia politiche che sindacali, aveva partecipato anche proprio al dibattito con i famosi austromarxisti,<br />
aveva quindi una conoscenza approfondita del socialismo internazionale; e Buozzi<br />
in questa lettera dice a Saragat, che nel mondo ,del lavoro si ha l'impressione che ormai ci sia<br />
solo la soluzione comunista, si pensa che l'unica alternativa al comunismo possa essre il<br />
fascismo. Cosa dobbiamo dire ai lavoratori? E una domanda che con preoccupazione Buozzi<br />
pone a Saragat. La risposta di Saragat è interessante. Teniamo presente che la lettera è del<br />
1928, cioè l'anno prima della grande crisi. Saragat risponde, condensando adesso in due frasi:<br />
dobbiamo pensare che il capitalismo è destinato a vivere almeno un secolo, testuale almeno<br />
un secolo, pertanto noi dobbiamo spiegare ai lavoratori che dovremo convivere, convivere è<br />
una parola mia per semplificare, con il capitalismo e quindi dobbiamo preoccuparci di come,<br />
appunto, svolgere la nostra funzione, e invita Buozzi ad approfondire gli studi e cita Keynes,<br />
cita i grandi economisti che proprio in quegli anni stavano riconsiderando il problema<br />
appunto del capitalismo.<br />
Perché ho voluto fare questa citazione? Perché indubbiamente questo problema del ruolo dei<br />
lavoratori nella società veniva posto con grande forza e questa posizione poi sarà mantenuta<br />
negli anni successivi, quando appunto si arriverà, prima alla ricomposizione unitaria del<br />
Partito socialista nel 1930, poi nel 1934 al riavvicinamento tra socialisti e comunisti dopo la<br />
svolta della politica internazionale di Mosca; questo fa sì che si possano riprendere anche i<br />
contatti diretti fra Buozzi e i sindacalisti comunisti. .<br />
È significativo che proprio negli anni dell'occupazione nazista di Parigi questi due personaggi<br />
che tanto avevano fatto e stavano facendo per i lavoratori, si incontrino li, alla Santé, in<br />
12
prigione. Sono arrestati nello stesso periodo e stanno in prigione. E in prigione riescono pure<br />
in condizioni disperate, perché più che arrestati erano considerati dei prigionieri e vengono<br />
addetti a lavori pesanti; ma durante questi momenti così difficili proprio dal punto di vista<br />
materiale hanno anche modo di scambiarsi delle idee; è un episodio isolato ma è un episodio,<br />
credo, che meriti di essere ricordato. Quando poi Buozzi si avvierà al ritorno in Italia - aveva<br />
già avuto contatti con Pastore e poi, successivamente, incontrerà Roveda e Di Vittorio - siamo<br />
ormai giunti al momento della caduta di Mussolini, preceduta dagli importanti scioperi operai<br />
del marzo 1943. Vittorio Emanuele si convinse allora dell'opportunità di sganciarsi dal<br />
fascismo: risulta dai documenti ufficiali, dalle testimonianze delle persone più vicine a lui.<br />
Quegli scioperi hanno segnato la svolta fondamentale della storia italiana; molto si è discusso<br />
sulla validità dell'accettazione da parte di sindacalisti antifascisti degli incarichi presso le<br />
organizzazioni corporative che dovevano essere sciolte; nello stesso tempo questi sindacalisti<br />
che accettavano l'incarico lo accettavano soprattutto in vista di avviare<br />
la ricostituzione di sindacati liberi. È significativo che Buozzi abbia subordinato l'accettazione<br />
dell'incarico alla liberazione dal carcere o dal confino dei dirigenti comunisti, e di ciò si<br />
avvalsero anche alcuni anarchici che si trovavano in carcere.<br />
Questo per dire che attraverso quest' esperienza si stabilì tra questi esponenti del mondo del<br />
lavoro, un rapporto molto stretto che si rivelò fruttuoso per i contatti successivi. Va tenuto<br />
conto che nei giorni terribili di Roma, nelle ore dell'armistizio, usò il primo e unico numero<br />
del Lavoro italiano che doveva già rappresentare una convergenza tra le forze sindacali. Se<br />
guardiamo i nomi, il giornale era diretto da Mario Alicata, Bernocchi e Gaudenti, questo<br />
numero che esce. ad armistizio firmato, mentre i granatieri civili cercano di difendere Roma,<br />
contiene alcune parole che meritano di essere ricordate. «L'armistizio deve avviare in Italia<br />
verso una rinascita morale e una chiarificazione politica che si ricollegano ai giorni del suo<br />
riconoscimento»; inoltre c'è un documento che porta la firma di Roveda, Buozzi, Quarello,<br />
Lizzadri, Grandi e Guido De Ruggero, quali rappresentanti di organismi da ricostituire che<br />
auspica la «riscossa nazionale contro ogni reminescenza fascista e contro l'occupazione<br />
tedesca insieme alleati ai danni della patria».<br />
lo credo che questi richiami al carattere nazionale della lotta da condurre contro i tedeschi e<br />
contro il fascismo siano da meditare, oggi che si parla di quel periodo come giorni in cui<br />
sarebbe morta la patria, proprio da questo mondo del lavoro che invece richiama proprio alla<br />
riscossa nazionale, al risorgimento, alla patria. Così quando inizia la dispersione dei militari e<br />
nascono le prime formazioni di resistenza, dal Piemonte al Veneto, dall'Appennino toscoemiliano<br />
al Lazio, all'Abruzzo, è naturale che quanti si sono in quei mesi occupati della<br />
ripresa sindacale, siano in prima linea nella lotta di liberazione. E la presenza a Roma di tanti<br />
importanti esponenti sindacali facilita questi contatti; vorrei ricordare anche un altro episodio<br />
legato alla resistenza.<br />
Durante 1'esperienza di quasi tutte le repubbliche partigiane, anche le più piccole si danno<br />
uno statuto, un ordinamento e quasi in tutti questi ordinamenti si parla della necessità dei<br />
sindacati liberi e addirittura in alcune di queste repubbliche si costituiscono sindacati unitari.<br />
Questo lo voglio sottolineare perché di fronte a grandi esponenti dello Stato italiano che<br />
negano un rapporto tra resistenza e Costituzione proprio nella lotta viva, nei momenti più duri<br />
della lotta partigiana, anche questo problema dell'unità sindacale è presente. E non solo,<br />
questo dimostra anche che ci sono queste repubbliche partigiane che hanno costituito un<br />
elemento portante di quella che poi sarà la Costituzione repubblicana. Intanto nel sud c'erano<br />
quei tentativi di ricostituire i sindacati, è notorio il tentativo di Napoli; poi nel gennaio. del<br />
1944 in concomitanza con il congresso dei partiti politici a Bari si costituisce anche una<br />
Confederazione italiana del lavoro.<br />
Certamente quest'aspetto della possibilità di un sindacato forte e unitario riesce a penetrare. I<br />
contatti di Buozzi con Grandi e Di Vittorio creano le premesse perché possa avvenire una<br />
13
collaborazione più stretta. De Gasperi, che già si poneva come la personalità più eminente del<br />
movimento cattolico a Roma, già dall'aprile del 1943 ha rimosso la sua pregiudiziale di non<br />
collaborare con i comunisti, dopo lo scioglimento del Comintern. De Gasperi chiede che la<br />
situazione sia modificata e da quel momento accetta di collaborare e di tenere contatti con gli<br />
esponenti comunisti.<br />
Questo è un passo importante, ma, contrariamente a quello che pensavano alcuni compagni di<br />
fede politica di De Gasperi, egli non si dimostra contrario all'unità sindacale e lo sforzo è stato<br />
fatto da Grandi e da Gronchi, lo sappiamo bene. Però io credo che la posizione di De Gasperi<br />
di vedere a favore questa convergenza è stata fondamentale; egli aveva capito quanto fosse<br />
importante che le organizzazioni del lavoro si potessero dare una collocazione ben precisa<br />
nella democrazia che stava rinascendo.<br />
E nota la preferenza degli studiosi cattolici, condivisa da Buozzi, sul sindacato unitario<br />
obbligatorio con personalità giuridica; questa espressione è contenuta nel programma della Dc<br />
redatto a Milano da Gronchi. In effetti, per Buozzi, il problema principale è la validità<br />
obbligatoria per tutti i lavoratori dei contratti stipulati dal sindacato; egli vedeva tale validità<br />
suffragata dal fatto di un riconoscimento pubblico del ruolo del sindacato. D'altro canto,<br />
ritroveremo tale problema anche in seguito in relazione al testo e all'applicazione dell'articolo<br />
39 della Costituzione.<br />
Nel Patto di Roma la riconferma dell'autonomia dai partiti rappresenta un caposaldo, mentre<br />
preoccupazione . principale del momento è quella dell'unità, e per assicurare la scelta le tre<br />
parti accedono a una formula provvisoria, destinata a diventare definitiva, che non parla né di<br />
obbligatorietà né di riconoscimento, secondo la linea indicata da Di Vittorio, alla quale<br />
accedono le altre due parti per accelerare la definizione dell'accordo.<br />
Sulla rappresentanza professionale degli interessi vi è una lunga elaborazione nella tradizione<br />
cattolica che è stata ripresa nelle linee ricostruttive della Dc elaborate da De Gasperi. De<br />
Gasperi, pur ritenendo l'esperimento unitario pieno di rischi, non si sente di ostacolarlo specie<br />
dopo la garanzia che ogni singola federazione di categoria sarà autonoma. Il criterio della<br />
qualità: tra la rappresentanza delle tre maggiori componenti nella fase transitoria e l'urgenza<br />
di dar vita ai nuovi organismi, spiega l'intesa finale che, come ha documentato Vincenzo<br />
Saba, lasciava impregiudicata ma di fatto non accoglieva la soluzione del riconoscimento<br />
giuridico.<br />
Certamente, come ha osservato Piero Boni nel suo libro sul Patto di Roma, per Buozzi era<br />
preminente ottenere il consenso delle altre componenti per una forma di riconoscimento del<br />
sindacato e per la validità obbligatoria dei contratti stipulati per tutti i lavoratori. Da parte loro<br />
i rappresentanti democratici cristiani miravano soprattutto ad assicurare la libertà di<br />
espressione interna e la possibilità di creare associazioni libere, come saranno poi infatti le<br />
Acli.<br />
Mentre Di Vittorio teneva a stabilire il sindacato quale associazione di fatto, quale poi<br />
saranno i sindacati, al di là delle norme costituzionali, l'accordo firmato per i socialisti da<br />
Canevari, dopo l'uccisione di Buozzi, costituisce quindi una convergenza che supera<br />
precedenti steccati garantendo l'unitarietà; l'obiettivo principale è conseguibile e conseguito in<br />
quelle condizioni. La. questione delle singole aggregazioni di categorie e il loro rapporto con<br />
la confederazione, era un problema che continuò ad avere un certo peso nella vita interna<br />
della confederazione.<br />
Vorrei sottolineare un altro punto: fin da questa fase, cioè dalla primissima fase, noi vediamo<br />
in posizioni direttive a livello centrale e periferico sindacalisti provenienti da altri partiti,<br />
innanzitutto dal Partito d'Azione che anzi svolgerà proprio una serie di relazioni, appunti,<br />
prese di posizione tra il rapporto tra sindacato e partiti, in riferimento alle soluzioni da dare ai<br />
più incombenti problemi economici; ed entrano anche i repubblicani, i cristiano-sociali.<br />
14
A Roma nella Camera del lavoro ricordo trovammo anche come dirigente della Camera del<br />
lavoro un rappresentante liberale. Cito questo fatto perché appunto la confederazione unitaria<br />
del lavoro non voleva essere soltanto un accordo politico di alto livello, ma voleva essere la<br />
casa comune dei lavoratori indipendentemente dalla loro opinione politica e dalla loro<br />
posizione religiosa.<br />
Quindi l'esperienza 1944-48 è stata un' esigenza fondamentale; io credo che questo periodo<br />
unitario si ponga come momento fondamentale perché al momento della liberazione del nord<br />
abbiamo le prime misure di emergenza assunte per assicurare un ruolo al mondo del lavoro.<br />
Poi abbiamo le conquiste sindacali nei diversi comparti, il peso determinante nelle grandi<br />
battaglie per rimuovere la disoccupazione, garantire i posti di lavoro, la difesa del salario, il<br />
raccordo con le agitazioni contadine, la nascita della Confederterra nell' ottobre 1946, i<br />
provvedimenti per l'imponibile di manodopera, la tregua salariale,. il riconoscimento della<br />
contingenza, l'unificazione contrattuale tra operai e impiegati conseguita grazie alla Fiom.<br />
Non mancarono contrasti e dissidi in particolare per gli articoli 7, l0 e 11 dello Statuto;<br />
tuttavia non sarà su questi punti che si determinerà poi la rottura, bensì in relazione ai grandi<br />
tremi della politica internazionale:<br />
Vorrei ricordare che nella Confederazione generale del lavoro, nel periodo in cui fu elaborato<br />
il piano del lavoro, lavorava come studioso un giovanissimo Claudio Napoleoni, che poi è<br />
diventato un grande economista europeo; egli compilava delle piccole note che forse<br />
dovrebbero essere pubblicate dalla Confederazione, che contenevano nel 1948 dei richiami ai<br />
mutamenti delle teorie economiche che poi avrebbero avuto un ruolo rilevante nel<br />
dopoguerra.<br />
• Istituto Studi sindacali - Archivio storico della <strong>Uil</strong><br />
✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵<br />
60° ANNIVERSARIO DELLA RESISTENZA E DELLA LIBERAZIONE<br />
GLI SCIOPERI DEL MARZO 1943 E 1944. IL CONTRIBUTO DELLE<br />
LAVORATRICI E DEI LAVORATORI MILANESI ALLA LIBERAZIONE<br />
NAZIONALE DAL NAZIFASCISMO<br />
Deposito Azienda Tranviaria Milanese di Teodosio<br />
Milano 7 marzo 2005<br />
Intervento di Roberto Monticelli Segretario generale CSP UIL Milano<br />
Un plauso al Comitato Unitario Antifascista di ATM e agli uffici aziendali che in<br />
collaborazione hanno reso possibile questa manifestazione commemorativa e celebrativa del<br />
60° anniversario della liberazione. Vi ringrazio per l’invito a cui ho aderito con soddisfazione<br />
per due motivi. Il primo è quello che mi consente di contribuire a sottolineare l’alto valore<br />
democratico e civile della celebrazione.<br />
Il secondo, del tutto personale è quello di sentirmi un po’ in famiglia provenendo io dalla<br />
categoria degli autoferrotranvieri.<br />
Un saluto cordiale a tutti voi e non di meno alle autorità civili, militari, religiose e sindacali e<br />
alle associazioni partigiane e combattentistiche presenti. Credo di poter affermare che la<br />
manifestazione odierna, così ben organizzata e ampiamente partecipata, nei fatti rappresenti la<br />
ferma e convinta volontà di tutti gli aderenti di mantenere viva la memoria di un<br />
avvenimento straordinario ed importante come quello della liberazione dal fascismo e dal<br />
nazismo avvenuta sessanta anni or sono.<br />
15
Il Sindacato Confederale quindi, non può non dimostrare rispetto e riconoscenza alla<br />
resistenza, alle donne ed agli uomini che con il loro impegno e sacrificio, con i loro ideali e le<br />
loro lotte ci hanno portato la liberazione dal fascismo e dal nazismo.<br />
Sessanta anni sono tanti.<br />
Ritrovare nell’esperienza della resistenza quei valori capaci di comunicare ancora oggi<br />
passione e impegno civile non è facile, tanto più se ci si limita esclusivamente ai venti mesi<br />
che vanno dal 1943 al 1945.<br />
Ma se alziamo lo sguardo a come la memoria della resistenza ha agito in questi decenni, come<br />
ha contribuito alla formazione della identità collettiva del nostro paese, come è stata assunta<br />
nelle varie fasi storiche a difesa della democrazia italiana, allora possiamo davvero riflettere<br />
con rinnovato interesse, a partire dalla nostra esperienza di oggi, su quella vicenda e su quelle<br />
ragioni etiche, civili, morali che l’hanno prodotta e l’hanno attraversata, per dare profondità<br />
agli interrogativi che riguardano le forme attuali della nostra democrazia.<br />
Questo anno la festa ha una duplice valenza: il 25 aprile prossimo è anche il sessantesimo<br />
anniversario di quella giornata.<br />
La liberazione non è una semplice coincidenza di data o di avvenimento, è una scelta per<br />
celebrare la libertà del nostro Paese.<br />
Il 25 aprile è la festa della liberazione, non una manifestazione qualunque, una<br />
commemorazione fra le tante come viene richiesto con ostinazione da parte di quei politici<br />
eredi del fascismo che vorrebbero stabilire per legge che i militari di Salò debbano essere<br />
considerati a tutti gli effetti militari belligeranti equiparati a quanti prestarono servizio nei<br />
diversi eserciti dei Paesi tra loro in conflitto durante la seconda guerra mondiale.<br />
Strana idea quella della destra in questo sessantesimo anniversario della fine della guerra<br />
mondiale. Invece di onorare i militari del governo nazionale, quelli che come il Presidente<br />
della repubblica combatterono per l’Italia, i partiti di governo si preoccupano di militari che<br />
combattevano assieme ai tedeschi, anzi che avevano per istruttori ed organizzatori quei<br />
tedeschi, contro i quali il regno d’Italia era in guerra.<br />
In parlamento giace un disegno di legge che apparentemente ha un’impostazione minimalista<br />
ma che ha in sé l’obiettivo di riconoscere la Repubblica di Salò come parte della storia<br />
italiana. Questo è il contrario della storia d’Italia ed è contrario alla costituzione. Così si nega<br />
la patria.<br />
Se, per lor Signori, la resistenza non è stata quel grande fattore di liberazione, allora si può<br />
affermare che anche la democrazia parlamentare nata da essa e la costituzione repubblicana<br />
che ne è il primo grande frutto vengono a perdere il loro valore e le loro basi fondative.<br />
Quale diventa allora il tessuto connettivo della nazione e della patria?<br />
Quali i valori su cui si costruisce la civile convivenza?<br />
Sono domande ineludibili alle quali il sindacato confederale,CGIL-CISL e UIL, non possono<br />
che rispondere schierandosi senza esitazione alcuna con coloro che ritengono occorra<br />
impegnarsi per dare risposte nelle quali continuino a trovare affermazione i principi ed i valori<br />
di unità nazionale, di libertà, di giustizia, solidarietà e pace.<br />
Ritenere che le conquiste civili e politiche siano destinate a durare, che non vengano messe in<br />
discussione e minacciate e che non tocchi ad ogni generazione impegnarsi per mantenere e<br />
reinterpretare ciò che i padri ci hanno dato non è per noi un errore.<br />
Donne e uomini di età, cultura, idee politiche e religiose diverse, sessanta anni fa hanno<br />
operato una scelta e hanno riconquistato libertà e democrazia.<br />
A loro va la nostra gratitudine; a noi tocca impegnarci per far vivere oggi nella mutata<br />
situazione nazionale ed internazionale, quei valori e quei principi.<br />
Anche il mondo del lavoro ha avuto un ruolo importante nella lotta per la liberazione:<br />
ricordare con gratitudine quella moltitudine dei lavoratori che in seguito agli scioperi del<br />
43/44 sono stati deportati nei campi di sterminio nazisti è un atto più che dovuto.<br />
16
Con quegli scioperi, si può dire che il Sindacato rinasce prima della stessa liberazione. Ed è<br />
proprio questo desiderio che insieme al bisogno di democrazia fa convergere due spinte:<br />
quella politica e quella dei lavoratori.<br />
Rinasce il Sindacato perché c’è un’altra resistenza che vive in quei mesi anche se è ancora<br />
troppo sottovalutata e poco studiata. Ed è quella delle prime lotte in fabbrica, lotte allo stesso<br />
tempo per la libertà e la democrazia e per migliori condizioni di vita.<br />
Prima della caduta del fascismo, il primo segnale che fa capire che si sta aprendo la strada per<br />
il ritorno della democrazia viene dai grandi scioperi del nord che si manifestano a partire dal<br />
25 luglio del 1943.<br />
A dare il via sono gli operai della fiat di Mirafiori che chiedono l’indennità di sfollamento per<br />
i bombardamenti e per il carovita che colpisce soprattutto i generi di prima necessità. “Pace e<br />
pane” è la parola d’ordine degli scioperanti: dalla Fiat gli scioperi si estendono a molte<br />
fabbriche del nord, In Piemonte come in Lombardia.<br />
Personaggi che hanno vissuto quel periodo buio della storia italiana, come l’onorevole Aldo<br />
Aniasi, Tino Casali, ed altri non meno importanti, sono una autentica testimonianza dei fatti<br />
criminosi operati dalle camicie nere con centinaia di arresti, fucilazioni, deportazioni nel<br />
tentativo non riuscito di piegare i lavoratori stessi.<br />
Dal 1° marzo all’8 marzo del 1944 i tranvieri milanesi paralizzarono la città in segno di<br />
protesta.<br />
Sono queste vicende che testimoniano il grande contributo che il mondo del lavoro ha dato<br />
alla liberazione del paese, il diritto dei lavoratori di continuare ad esercitare una vigilanza a<br />
tutela e a difesa della dignità della democrazia nel nostro Paese.<br />
Nei 20 mesi di occupazione nazista centinaia di migliaia di lavoratori delle fabbriche<br />
settentrionali costituirono una spina nel fianco del dispositivo nazista delle fabbriche.<br />
La politicizzazione del movimento fu dimostrata dai contenuti del manifesto che in quei<br />
giorni circolava fra gli operai per chiarire le motivazioni e le finalità degli scioperi.<br />
In esso si leggeva fra l’altro. “ i nostri scioperi hanno un significato ben più grande del solo<br />
movente economico: essi sono un atto di condanna per il regime fascista e i suoi complici;<br />
con questo atto noi gridiamo al mondo che il popolo italiano vuole separare ogni<br />
responsabilità da quelle del fascismo”.<br />
E, non furono solo i lavoratori delle fabbriche a lottare ma anche categorie a quel tempo<br />
considerate meno impegnate. Si erano uniti allo sciopero anche impiegati e giornalisti:<br />
scioperarono anche gli studenti universitari, cacciando dagli atenei i professori fascisti.<br />
I lavoratori italiani hanno il merito di aver salvato il patrimonio produttivo del paese dai<br />
nazisti, le centrali elettriche dalla distruzione, si sono sempre riconosciuti in questo stato<br />
sapendo distinguere fra Repubblica ed il suo Governo.<br />
E’ in questa maturità e consapevolezza che sta la forza del movimento dei lavoratori italiani<br />
nella capacità di identificazione del popolo nelle sue istituzioni.<br />
Ecco perché anche in una situazione quale quella odierna guardiamo con fiducia il futuro: la<br />
maturità e la forza della nostra democrazia si fondano sulla capacità di esistenza, di lotta delle<br />
masse popolari e lavoratrici.<br />
L’omaggio che noi rendiamo ai lavoratori vittime del nazifascismo vuole avere anche il<br />
significato di respingere i tentativi revisionisti, riaffermare i legami fra mondo del lavoro,<br />
Resistenza, Repubblica e Costituzione, inviare un messaggio di libertà perché come diceva<br />
Sandro Pertini: “gli anziani ricordino, e i giovani sappiano”.<br />
L’evento importante e decisivo della resistenza ha dimostrato come i valori posti alla base<br />
della nostra convivenza costituzionale non derivano solo da elargizioni dall’alto, ma anche da<br />
uno sforzo sofferto e consapevole di conquista dal basso come un bene da difendere. Le<br />
battaglie per il lavoro hanno lasciato un segno indelebile nella storia del nostro paese: Quell’<br />
art.1 che afferma che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro ne rappresenta la conquista<br />
17
irrinunciabile. E’ importante che il protagonismo delle lavoratrici e dei lavoratori vada<br />
adeguatamente ricordato, valorizzato e riproposto alle giovani generazioni.<br />
Questo è un modo per far vivere il 25 aprile 2005 sessantesimo anniversario della liberazione<br />
consapevoli che il ricordo non può essere inteso come una celebrazione vuota e neppure come<br />
un’ esaltazione idealizzata del passato.<br />
Il ricordo può essere uno stimolo importante per agire nel presente e per costruire il futuro<br />
nella fedeltà degli ideali.<br />
Per queste ragioni, per difendere nuovamente le conquiste della democrazia, il 60°<br />
anniversario della lotta di liberazione assume il valore di una ricorrenza non formale.<br />
Lavoratrici e lavoratori per questi motivi noi ci sentiamo impegnati a far vivere e a trasmettere<br />
il valore della resistenza, dell’antifascismo, della democrazia, della centralità del lavoro.<br />
L’occasione della manifestazione conclusiva del 25 aprile che vedrà la presenza della più alta<br />
carica dello Stato Carlo Azeglio Ciampi è l’appuntamento a cui tutti noi non possiamo<br />
mancare per rinnovare il nostro impegno per gli anni a venire.<br />
Intervento di Aldo Aniasi<br />
Erano le dieci del mattino del 23 marzo 1943, quando, come ogni giorno nelle fabbriche<br />
milanesi suonò la sirena del segnale di prova per l'allarme aereo.<br />
Quel giorno però al segnale gli operai risposero in un modo inatteso<br />
che sconcertò e mise in allarme i presidi fascisti delle fabbriche: le maestranze incrociarono le<br />
braccia, dando il via ad una serie di scioperi che dovevano rappresentare uno dei momenti di<br />
maggior valore della lotta al fascismo, la prima azione coordinata di sfida alla dittatura, la<br />
prima espressione di quella fermezza e di quella determinazione che divennero l'anima della<br />
Resistenza.<br />
L'agitazione a Milano iniziò alla Pirelli Bicocca, dove, per primo si fermò il reparto "40"<br />
quello dei pneumatici, seguito immediatamente dai meccanici dell'officina. Alle tredici<br />
avevano incrociato le braccia anche gli operai della Falk, della Breda, della Ercole Marelli,<br />
della Montecatini. II giorno seguente aderivano allo sciopero anche la Borletti, la Brown<br />
Boveri, la Face, La Bianchi, la Caproni, la Salmoiraghi, la Geloso e molte altre fabbriche più<br />
piccole.<br />
Milano si era fermata, i lavoratori milanesi davano il primo grande esempio al Paese dicendo<br />
basta alla guerra e al fascismo. La voce che si sarebbe entrati in agitazione covava da qualche<br />
tempo nei diversi reparti delle fabbriche: giungevano infatti gli echi degli scioperi messi in<br />
atto agli inizi del mese dai lavoratori torinesi.<br />
Erano principalmente i camionisti che, facendo la spola fra una azienda e l'altra, portavano le<br />
notizie. Incominciavano però anche a circolare fra gli operai i primi giornali clandestini: fogli<br />
come "Il Garibaldino", "L'Italia Libera", "L'Unità", "Ricostruzione" che portavano agli operai<br />
la voce di quanti in Italia e in esilio già si battevano contro il regime, contro la dittatura,<br />
contro la guerra.<br />
E furono proprio i camionisti e i ferrovieri che dopo il 23 marzo continuarono a portare in<br />
tutta Italia le notizie degli scioperi, mentre le autorità fasciste facevano di tutto perché queste<br />
venissero taciute, perché l'ondata di opposizione non si allargasse a macchia d'olio in ogni<br />
parte del paese: Le spie del regime erano anzi in piena attività, correvano da un reparto<br />
all'altro per individuare gli scioperanti e riferirne i nomi alla polizia politica: l'OVRA. Dai<br />
primi di marzo al 25 luglio del '43 ogni notte qualcuno veniva arrestato: 500 furono i<br />
lavoratori prelevati dalle loro case: ventidue erano donne: molti a quelle case non fecero più<br />
ritorno.<br />
Ma anche questa repressione, anche le minacce, anche i ricatti, non riuscirono a fermare il<br />
movimento che oramai aveva investito tutta la nazione. A ogni arresto, a ogni assassinio i<br />
lavoratori rispondevano con un maggiore impegno, con una più grande volontà di lotta.<br />
18
Così gli scioperi continuarono con le. stesse modalità nei giorni successivi e l'espressione "ore<br />
lO", usata, per primi, dagli operai della FIAT Mirafiori nella mattina del 5 marzo, divenne<br />
sinonimo di astensione dal lavoro, di lotta al fascismo, di impegno per riportare al paese la<br />
pace e la libertà.<br />
Le condizioni della nazione erano disastrose, la folle politica espansionistica e imperialista di<br />
Mussolini aveva portato l'Italia in guerra al fianco dei nazisti e aveva condotto l'economia del<br />
paese allo sfacelo. E il peso più grande di questa situazione ricadeva sulle masse lavoratrici,<br />
in gran parte formate da donne che dovevano provvedere al mantenimento della famiglia,<br />
mentre i mariti erano al fronte, impegnati nella folle guerra voluta dal fascismo.<br />
Dopo due anni di guerra i salari continuavano a essere bloccati, i prezzi dei generi di vario<br />
consumo al contrario erano saliti di oltre il 100%. La razione base della carne, del pane e dei<br />
grassi, benché fosse già insufficiente, continuava a diminuire.<br />
Quegli scioperi del marzo contribuirono a portare, nella notte del 25 luglio, al crollo del<br />
regime, dimostrando ancora una volta come sia sempre la classe lavoratrice lo strumento<br />
fondamentale per la conquista o la difesa della libertà di tutti.<br />
Dal primo gennaio al 25 luglio di quell'anno si ebbero in Italia 217 agitazioni di cui 189<br />
trasformatesi in scioperi. Il numero totale dei partecipanti alle agitazioni fu di oltre 150mila<br />
operai e le ore di astensione dal lavoro ammontarono a 253.488.<br />
La politicizzazione del movimento è d'altra parte dimostrata dal contenuto del manifesto che<br />
in quei giorni circolava fra gli operai per chiarire le motivazioni e le finalità dello sciopero. In<br />
esso si leggeva, fra l'altro, "il fascismo deve cadere! Dopo vent'anni di inganni, di frodi, di<br />
violenze, di guerre, ora basta! ... Abbiamo bisogno di avere dei veri rappresentanti eletti da<br />
noi, che possano fare sentire con sicurezza la nostra voce. Ma queste cose il regime fascista<br />
non ce le darà mai: la nostra situazione è senza scampo e resterà così fino a che dureranno la<br />
guerra e il fascismo".<br />
"I nostri scioperi hanno un significato ben più grande del solo movente economico: essi sono<br />
un atto di condanna per il regime fascista e i suoi complici: con questo atto noi gridiamo al<br />
mondo che il popolo italiano vuole separare ogni sua responsabilità da quelle del fascismo".<br />
"Con questo atto noi insorgiamo contro i nostri padroni, i grandi capitalisti che ci hanno<br />
venduti ai tiranni e allo straniero per difendere i loro privilegi e i loro profitti. Con questo atto<br />
in nome dell'intero popolo italiano, noi reclamiamo libertà, pace e pane".<br />
L'eco delle agitazioni fu, con grande disappunto delle autorità, enorme: da Torino a Milano,<br />
che avevano rappresentato l'epicentro del movimento, la nuova parola d'ordine delle "ore<br />
dieci" raggiunse ogni parte d'Italia. E fu proprio a Milano e Torino che maggiormente si<br />
scatenò la risposta violenta del fascismo.<br />
Ormai però la scintilla era scoccata, la reazione a catena della rivolta popolare e operaia era<br />
iniziata, in tutto il Paese si moltiplicarono gli scioperi e le manifestazioni di solidarietà con gli<br />
operai e gli arrestati. Il 24 aprile e il primo maggio del '43 a Roma furono gli studenti<br />
universitari a scendere nelle piazze manifestando al grido di "W gli operai del nord, W la<br />
libertà". Ma la spinta alla lotta di quei giorni non si esaurì con la caduta del governo<br />
Mussolini. Gli operai che nel marzo del 1943 erano scesi in campo contro la dittatura, furono<br />
pronti l'anno seguente a rinnovare la loro sfida contro la nuova creatura del fascismo e del<br />
nazismo: la Repubblica Sociale Italiana.<br />
La lotta armata che nell'autunno del '43 era iniziata sulle montagne dell'Italia centrale e<br />
settentrionale trovò nel movimento operaio, nel mondo del lavoro, un sostegno indispensabile.<br />
Uomini e donne, lavoratori delle fabbriche, contadini e montanari rappresentarono per il<br />
movimento resistenziale il supporto logistico ed informativo. Erano gli operai che ci<br />
rifornivano di armi, di viveri, erano le donne lavoratrici o casalinghe che facevano da<br />
staffetta, che curavano i feriti. Si stava avverando la costituzione di quell'esercito di popolo<br />
voluto ed auspicato dal C.L.N. I Partigiani non avrebbero potuto resistere più di qualche<br />
19
settimana se non ci fosse stato quel concorso del mondo del lavoro che aveva preso coscienza<br />
della necessità di partecipare alla Resistenza. Erano così ascoltate le lontane parole di<br />
Giuseppe Mazzini: "più che la servitù temo la libertà portataci in dono". E nel dicembre dello<br />
stesso anno 1943 ripresero gli scioperi con più specifico obiettivo politico e militare: sabotare<br />
la produzione bellica, mettere in crisi l'apparato industriale costringendo in gravi difficoltà i<br />
tedeschi ed i loro complici fascisti.<br />
Nello stesso dicembre, il giorno 13 a Sesto San Giovanni lo sciopero fu quasi totale. Le<br />
fabbriche si fermarono all'unisono. Il 17 dicembre '43 il generale Zimmerman fece radunare<br />
tutti gli operai delle fabbriche sul piazzale dello stabilimento Falk è intimò: "chi non riprende<br />
il lavoro esca dallo stabilimento; chi esce dallo stabilimento è dichiarato nemico della<br />
Germania". A queste parole tutti uscirono dallo stabilimento. Così continuarono le ribellioni,<br />
gli scioperi, le rivolte. Ci sono esempi importanti che meritano di essere ricordati. Il 5 gennaio<br />
alla Franco Tosi di Legnano, il 10 gennaio alla Comerio Ercole di Busto i lavoratori<br />
incrociarono le braccia. Si mobilitarono le SS, si accanirono i supponenti generali nazisti<br />
contro inermi lavoratori armati solo dalla volontà di resistere alle prepotenze degli invasori.<br />
Una lotta di lavoratori nata anche da rivendicazioni economiche, dalla rivolta contro le<br />
angherie subite, dalle miserrime condizioni provocate da una guerra che si trascinava da anni,<br />
era in realtà una rivolta a sostegno della Resistenza armata condotta sulle montagne e nelle<br />
città. Una vicenda che sottolinea la specificità della Resistenza Italiana rispetto a quella<br />
condotta negli altri paesi europei, perché non si limitava a contrastare l'invasore tedesco, ma<br />
lottava anche contro il fascismo ed il nazismo, regimi fondati su ideologie farneticanti che si<br />
reggevano sulla violenza, le persecuzioni ed il crimine organizzato. Sapevano gli operai il<br />
rischio che correvano nell'opporsi agli ordini tedeschi. Furono Hitler ed il generale Wolf ad<br />
inviare a Milano il generale Zimmerman con pieni poteri per reprimere ogni sedizione. Le SS<br />
circondarono la Fabbrica della Comerio e dopo una giornata di angherie arrestarono 5 operai<br />
che dopo il carcere di San Vittore vennero deportati nel campo di sterminio Mauthausen al<br />
quale solo uno riuscirà a sopravvivere.<br />
Così subirono la stessa .sorte nove lavoratori della Franco Tosi che non tornarono dalla<br />
deportazione in Germania. La protesta si estese. Il 10 marzo del '44 furono 50 mila lavoratori<br />
che nonostante le feroci minacce fermarono la produzione.<br />
I militi della criminale legione delle Camicie Nere "Tagliamento" occuparono le fabbriche.<br />
Centinaia di arresti, fucilazioni, deportazioni non piegarono i lavoratori sestesi. Dall’1 all'8<br />
marzo i tranvieri milanesi paralizzarono la città. Vicende che testimoniano il grande<br />
contributo che il mondo del lavoro ha dato alla liberazione del Paese, il diritto dei lavoratori<br />
di continuare ad esercitare una vigilanza a tutela e a difesa della dignità e della democrazia nel<br />
nostro Paese. Nei 20 mesi di occupazione nazista centinaia di migliaia di lavoratori delle<br />
fabbriche settentrionali costituirono una spina nel fianco del dispositivo nazista delle<br />
fabbriche Non furono solo i lavoratori delle fabbriche a lottare. Gli scioperi si estesero a molte<br />
categorie considerate a quel tempo meno impegnate. Scesero in lotta infatti i lavoratori delle<br />
banche e quelli delle tipografie dei giornali. Se non ricordo male per 3 giorni (allora fatto<br />
clamoroso) non si pubblicarono i giornali. Si erano uniti allo sciopero anche gli impiegati e i<br />
giornalisti. Scioperarono anche gli studenti universitari, cacciando dagli atenei i professori<br />
fascisti. Scioperarono gli impiegati. Centri industriali che come quello di Lecco si<br />
risvegliarono per la prima volta dopo un ventennio, alla protesta e alla affermazione dei diritti<br />
popolari. Ricordo che nonostante la Vai D'ossola fosse occupata da milizie fasciste e reparti<br />
tedeschi le fabbriche della zona, la Cobianchi di Omegna, le Officine Piemontesi e tutte le<br />
aziende scesero in sciopero in accordo con le formazioni partigiane. La stessa situazione si<br />
ripeté nei centri maggiori, in Piemonte, in Liguria, Emilia Romagna, Toscana, nel Veneto. Il<br />
movimento nel suo complesso coinvolse un milione e duecentomila lavoratori. Il 28 febbraio<br />
'44 l'Avanti! clandestino (edizione milanese) aveva riportato l'o.d.g. del C.L.N. - Alta Italia<br />
20
d'appoggio allo sciopero proclamato dal Comitato segreto di iniziativa sostenendo che si<br />
trattava di uno sciopero generale insurrezionale.<br />
La ripresa del lavoro avvenne 1'8 marzo, mentre vennero diffuse 60 mila copie di 2 manifesti<br />
redatti dal C.L.N.<br />
Ecco il testo: "la cessazione dello sciopero deve segnare l'inizio della guerriglia partigiana con<br />
l'intervento di tutte le masse lavoratrici dentro e fuori delle fabbriche. Il sabotaggio nelle<br />
fabbriche deve essere l'azione quotidiana che i lavoratori devono sviluppare".<br />
Decenni di mancate corrette informazioni sulla tragedia nazionale di cui è responsabile prima,<br />
ma non unica, la scuola, hanno impedito che tutti abbiano la consapevolezza della gloriosa<br />
Resistenza del popolo italiano, del vero senso della libertà, del significato della democrazia.<br />
Questi incontri non hanno solo lo scopo di onorare coloro che sono stati vittime consapevoli,<br />
coloro il cui sacrificio ci ha consentito di vivere in un regime di democrazia, di libertà. Noi<br />
abbiamo anche il dovere di contrastare oggi tentativi di far arretrare le conquiste democratiche<br />
frutto di quelle lotte. Abbiamo il dovere di denunciare i tentativi in atto di parificare coloro<br />
che hanno combattuto per la libertà ai combattenti di Salò. Si badi bene si dice "ragazzi di<br />
Salò" ma sono invece (coloro che si vorrebbero parificare) i criminali delle Brigate Nere,<br />
della X Mas, della Tagliamento, della Muti, torturatori e fucilatori corresponsabili di stragi di<br />
innocenti.<br />
Si tenta di impedire di celebrare degnamente il 60° della Resistenza.<br />
Si sta cercando di approvare una controriforma per stravolgere la Costituzione tagliando le<br />
sue radici con la Resistenza. Un grande costituzionalista di fama internazionale, Giovanni<br />
Sartori, ha così commentato: stanno sfasciando il Paese. Sono riforme ed iniziative che hanno<br />
il sostegno del Presidente del Senato Marcello Pera il quale afferma che la resistenza è stata<br />
raccontata come un mito e come tale va cancellata. Ci sono autorevoli personaggi consiglieri<br />
del capo del governo che propongono di abolire la festività del 25 aprile. Consiglieri di quel<br />
capo del Governo che ha sempre ignorato l'esistenza di quella gloriosa data che ricorda<br />
l'insurrezione generale e la liberazione nazionale. Una democrazia, quella italiana, che trae<br />
alimento da forze politiche nelle quali il richiamo alla unità antifascista è stato sempre un<br />
permanente presupposto anche nei momenti di maggiore divisione e di più aspra lotta politica.<br />
I lavoratori italiani hanno salvato il patrimonio produttivo del paese dai nazisti, le centrali<br />
elettriche dalla distruzione, si sono sempre riconosciuti in questo stato sapendo distinguere fra<br />
la Repubblica ed il suo governo. E' in questa maturità e consapevolezza che sta la forza del<br />
movimento dei lavoratori italiani: nella capacità di identificazione del popolo con le sue<br />
istituzioni. Ecco perché anche in una situazione quale quella odierna guardiamo con fiducia al<br />
futuro: la maturità e la forza della nostra democrazia si fondano sulla capacità di resistenza, di<br />
lotta delle masse popolari. Ascoltiamo quindi la profonda e viva ansia del popolo italiano che<br />
vuole vivere in pace con gli altri popoli ed in pace nel proprio paese.<br />
L'omaggio che noi rendiamo ai lavoratori vittime del nazifascismo vuole avere anche il<br />
significato di respingere i tentativi revisionisti, riaffermare i legami fra mondo del lavoro,<br />
Resistenza, Repubblica e Costituzione, inviare un messaggio di libertà perché come diceva<br />
Sandro Pertini: "Gli anziani ricordino, e i giovani sappiano".<br />
21
LA UIL – LA SUA STORIA<br />
Paolo Saija – Responsabile Archivio storico <strong>Uil</strong> – Segretario Comitato scientifico ISS<br />
Le vicende vissute in quegli anni sono un passaggio cruciale per le definitiva affermazione<br />
della democrazia in Italia. Quello che poteva sembrare un paese da ricostruire dalle radici, si<br />
presentava formato alla lotta partigiana al fascismo, già pronto per le sfide del futuro e pronto<br />
ad avviare l’affermazione dei valori civili e politici sia nel confronto parlamentare e della<br />
democrazia partecipata, così mortificata per un ventennio, sia nel mondo del lavoro. Su questa<br />
strada, si pone il dibattito nel mondo sindacale dove il confronto politico diventa scelta di<br />
autonomia, orgoglio ed originalità di pensiero per la capacità di saper incidere nella realtà<br />
produttiva ed economica del Paese.<br />
Non solo si riprendono pensieri ed elaborazioni politiche datate, perché bruscamente interrotte<br />
e perseguitate dal fascismo, ma si cominciano ad assumere atteggiamenti nuovi nei confronti<br />
della realtà dell’Italia pronta al nuovo.<br />
La nascita della UIL ha rappresentato una grande novità nello scenario sindacale del nostro<br />
Paese, in particolare per i contenuti delle politiche rivendicative e sociali di cui<br />
l’organizzazione si è fatta portatrice, fin dal suo sorgere. Con il passare degli anni, queste<br />
sono diventate l’asse portante di molte scelte compiute dal movimento sindacale,<br />
unitariamente inteso, spesso affermandosi come opzioni valide per tutta la società.<br />
Dalle grandi battaglie affrontate per democratizzare le istituzioni, a quelle per l’affermazione<br />
dei diritti sui posti di lavoro e nell’ambito delle complesse vicende civili, la <strong>Uil</strong> ha dato delle<br />
risposte concrete, sia nelle fasi di scontro più duro, come in quelle più convulse e confuse,<br />
sostenendo sempre il modello partecipativo ed i contenuti riformisti. Dal 5 marzo 1950 la <strong>Uil</strong><br />
ha dimostrato forza e continuità, con coerenza in tutto il suo agire senza per questo rinunciare<br />
alla necessaria ricerca dei percorsi più adatti, per adeguarsi alle nuove condizioni che la<br />
società poneva in essere. Tutta la produzione elaborativa è sempre stata portata al confronto<br />
con gli altri sindacati, i partiti e le istituzioni, con la vocazione di chi ricerca il dialogo, con lo<br />
spirito di chi vuole discutere e guardare dentro i problemi, per compiere delle scelte<br />
rivendicative capaci di incidere su quelle del Paese e per la creazione di un modello di<br />
rappresentatività al passo con i tempi e con le aspettative dei lavoratori.<br />
La <strong>Uil</strong>, a ragione, può e deve ricordare e rivendicare le sue radici, per sottolineare che nelle<br />
vicende del nostro Paese ha espresso matrici originali d’idee e progetti che hanno dato ai<br />
lavoratori voce e forza, al punto che non è possibile per nessuno liquidare la storia del<br />
sindacato come da terza forza o protagonista di rincorse faticose ai cambiamenti o, peggio,<br />
semplice testimone di questi.<br />
Partendo dalle radici ideali è ovvio cominciare dal 1950, senza dimenticare, però, che queste<br />
sono ben più profonde. Esse si ritrovano nel patrimonio culturale dei padri fondatori del<br />
socialismo, in quello del mazzinianesimo, (per citare qualche nome: Mazzini, Saffi, Costa,<br />
Turati, Bovio, Colajanni, Labriola, Ferri, Prampolini, Massarenti, Badaloni, Rigola, Chiesa,<br />
Bissolati, Bonomi) più in generale nella cultura laica e nell’impegno civile e politico che la<br />
sinistra sociale ha sempre espresso verso il lavoro ed i lavoratori e, soprattutto, nel<br />
sindacalismo riformista di Buozzi, cui idealmente la confederazione si è ispirata fin dalle sue<br />
origini. Lo spirito riformista è riconoscibile nei temi del valore del lavoro, della difesa del<br />
lavoratore, della sua dignità, della tutela dei più deboli e di tutti coloro che non riescono a<br />
vedere riconosciuti i propri diritti. Ne esprime l’anima e ne promuove l’azione, affinché si<br />
migliori la società, con l’obiettivo esplicito di dare una certezza ed una prospettiva reale al<br />
superamento del liberismo capitalistico, inteso come modello non democratico d’espansione,<br />
di dominazione economica e di negazione del valore dell’uomo.<br />
La <strong>Uil</strong> espresse i propri punti fermi d’azione ed ideologici in cinque punti programmatici: 1.<br />
raccogliere e realizzare, nella lotta contro l’egoismo delle classi capitalistiche e l’insufficienza<br />
22
della politica di governo, le aspirazione della classe lavoratrice, in piena indipendenza da ogni<br />
ingerenza partitica, governativa o confessionale, nella visione di una migliore società; 2. darsi,<br />
ai fini della sua funzionalità e per il conseguimento dei suoi obbiettivi, la massima<br />
articolazione strutturale nelle categorie, opportunamente coordinandole, nell’assoluto rispetto<br />
della loro autonomia; 3. imprimere allo sviluppo dell’azione sindacale una procedura<br />
rigidamente democratica tale da rendere i lavoratori partecipi e coscienti delle lotte che<br />
affrontano; 4. impegnarsi ad imporre alle altre organizzazioni sindacali nei limiti più ampi e<br />
possibili ed attraverso un sano e coerente indirizzo sindacale, impostazioni e soluzioni<br />
unitarie dei problemi che interessano i lavoratori; 5. intervenire attivamente in tutti i problemi<br />
di politica sociale ed economica ed ogni volta che, direttamente o indirettamente siano in<br />
gioco le sorti della classe lavoratrice.<br />
Nel periodo della ricostruzione, dopo la fine della seconda guerra mondiale, il sindacato<br />
lottava per l’occupazione, per i miglioramenti salariali e per un maggiore coinvolgimento sul<br />
posto di lavoro; anche in quegli anni la <strong>Uil</strong> non rinunciò mai di porre al centro del proprio<br />
dibattito i problemi e le preoccupazioni derivanti dall’andamento della situazione generale del<br />
Paese e della condizione economico-sociale non solo dei lavoratori, ma anche dei disoccupati<br />
e più in particolare dei pensionati e degli emarginati. Elaborazioni che partivano dalla crisi<br />
economica aggravata da una inflazione galoppante, dai salari legati a gabbie che rendevano<br />
ancora più mortificanti le condizioni dei lavoratori, da riforme politiche ed economiche —<br />
come quella della terra per la quale la UIL si spese molto - che tardavano ad arrivare, in un<br />
Paese che cambiava, crescendo in modo disarticolato e mantenendo vaste aere in una<br />
condizione di bassa cultura e ignoranza, rendendo ancora più difficili le condizioni di vita e di<br />
lavoro dei lavoratori e dei più poveri.<br />
Nel decennio successivo alla costituzione della UIL, una delle preoccupazioni costanti fu<br />
quella di creare i presupposti affinché la classe lavoratrice crescesse insieme allo sviluppo del<br />
paese, in modo da essere garante della costruzione di una società nel benessere, nella<br />
concordia e per la pace tra i popoli. Nel 1958 il congresso nazionale della <strong>Uil</strong> fu aperto dalla<br />
relazione di Viglianesi: “Il potere contrattuale del sindacato forza propulsiva della società”,<br />
titolo esemplificativo della volontà di voler costruire un soggetto politico capace di apportare<br />
tutti quei cambiamenti indispensabili per costruire una moderna società. Il congresso, poi,<br />
approvò la mozione conclusiva, individuando, tra l’altro, come problema principale da<br />
risolvere con lo sviluppo della occupazione, anche la riforma strutturale dell’economia, come<br />
il motore per tutti i cambiamenti.<br />
Le risposte che venivano dal mondo politico e delle imprese erano ancora lontane dagli<br />
obbiettivi che il sindacato in generale, e la <strong>Uil</strong> in particolare, ponevano. Escludendo alcuni<br />
“esperimenti”, su tutti Olivetti ed il mondo Fiat, esisteva una cesura tra lavoro e società.<br />
Questa con tutte le sue problematiche restava fuori dei cancelli della fabbrica e dai posti di<br />
lavoro. Così come il sindacato spesso si fermava dietro quei cancelli non uscendo, anzi come<br />
si disse poi non “riversandosi nella società.”<br />
Lo sviluppo disarticolato ed in parte anche caotico dell’Italia poneva, con crescente urgenza,<br />
problemi nuovi che aumentavano le difficoltà di quelli già presenti, sofferti non solo dai<br />
lavoratori, ma anche da tanti cittadini. La <strong>Uil</strong> facendosene carico, divenne la principale<br />
organizzazione portatrice delle rivendicazioni indispensabili per risolverli.<br />
Un caso per tutti è l’attenzione con cui fu seguita la situazione della politica abitativa, degli<br />
sfratti e il bisogno di case nelle grandi città, a seguito dell’inurbamento di grandi masse di<br />
lavoratori, in particolare modo per l’imponente flusso migratorio che dal Mezzogiorno<br />
spostava centinaia di migliaia di disoccupati e sottoccupati alla ricerca di lavoro al nord.<br />
I cambiamenti maggiori si cominciarono ad intravedere intorno agli anni sessanta. In quegli<br />
anni si comincerà a parlare di politica dei redditi e di politica di piano, dell’attuazione di<br />
quelle misure che oltre a rilanciare lo sviluppo economico fossero capaci di tutelare il potere<br />
23
d’acquisto dei lavoratori, attraverso il contenimento e il controllo dei prezzi e delle tariffe<br />
anche con la creazione d’appositi strumenti.<br />
Questi eventi hanno permesso di elevare la partecipazione e la democrazia nel paese, e di far<br />
crescere una maggior consapevolezza sociale e politica in tutti i cittadini.<br />
La conquista di rappresentare non solo le richieste sociali, ma anche gli interessi diffusi dei<br />
lavoratori, la certezza di diventare parte del sistema di relazione, come modello di mediazione<br />
ed indirizzo, ha consentito al sindacato di affermarsi come soggetto attivo, portatore delle<br />
istanze generali del mondo del lavoro. Tutto questo sforzo ha dato un notevole contributo alla<br />
crescita complessiva della società, non lasciando immune lo stesso modo di essere del<br />
sindacato che, cambiando se stesso, cercava di cambiare la società che lo circondava,<br />
contribuendo all’apertura di una stagione di riflessione e d’elaborazione, che porterà al<br />
consolidamento delle politiche di riforma. Sullo sviluppo positivo della situazione inciderà<br />
anche il riavvicinamento e successivamente il processo di riunificazione dei partiti socialisti,<br />
che troverà il suo naturale sbocco nei governi di centro sinistra e nella politica di<br />
programmazione economica.<br />
Nel 1962 La Malfa presentò la “Nota aggiuntiva” alla Relazione generale sulla situazione<br />
economica del Paese. Il documento è considerato come il primo tentativo di programmazione<br />
economica per lo sviluppo del Paese.<br />
Sono gli anni del boom economico, ma anche quelli nei quali si registra la disparità esistente<br />
fra uno sviluppo accelerato del nord ed una lentezza e conseguente maggiore povertà ed<br />
arretratezza del Mezzogiorno.<br />
La programmazione economica diveniva lo strumento per riequilibrare lo sviluppo<br />
economico-produttivo, all’interno del quale cercare di migliorare - nelle zone più povere del<br />
paese - le condizioni di vita e di sconfiggere la persistente miseria.<br />
Sulla programmazione la UIL incentrò il congresso del 1964, che ebbe come slogan “La<br />
programmazione rafforza l’azione sindacale e ne garantisce l’efficacia democratica”. Nella<br />
sua relazione d’apertura Viglianesi rilevava: “Noi sappiamo che rivendicare, da parte di un<br />
sindacato, una politica di programmazione, vuol dire, non soltanto rivendicare diritti, ma<br />
anche, e soprattutto, dover responsabilizzare la propria azione, dovere cioè accedere alla<br />
assunzione di impegni. È evidente che gli investimenti, che noi richiediamo per i consumi<br />
civili (…) e che l’attuazione, seriamente coordinata, di una politica di piano non potrà non<br />
frenare la gara alle rivendicazioni settoriali, anche se questo freno, noi, sindacato di classe,<br />
geloso della propria autonomia, intendiamo usarlo attraverso l’autodisciplina e l’autonoma<br />
indicazione degli obbiettivi dell’azione sindacale”.<br />
Ovviamente non era intesa, né poteva esserla, come la panacea, ma con l’aiuto di strumenti<br />
quali l’IRI, la Cassa per il Mezzogiorno, la GEPI e gli altri enti di tutela e di promozione,<br />
nonostante la gestione non sia sempre stata pienamente utilizzata solo per i veri scopi<br />
istitutivi, si è saputo dare un importante contributo alla crescita complessiva del paese.<br />
Per quasi un decennio, la <strong>Uil</strong> continuerà ad accompagnare la propria strategia con azioni<br />
basate sulle analisi e sulle scelte riformiste in merito a: programmazione, incentivazione per i<br />
settori strategici, sviluppo di una politica industriale, difesa e sviluppo della occupazione,<br />
innovazioni sulla formazione e mercato del lavoro. Con il passare del tempo, nel sindacato si<br />
rafforzò la convinzione che la partecipazione all’assunzione di responsabilità nella gestione<br />
dell’economia del Paese diventava un aspetto non più secondario dell’azione e dell’essere.<br />
Il comitato centrale del 31 gennaio 1965 parla esplicitamente di riforme di struttura. Casa,<br />
scuola, urbanistica, lotta all’analfabetismo, sicurezza sociale. Entrano prepotentemente<br />
all’ordine del giorno i temi che i lavoratori ora sentono più urgenti, al di là delle richieste<br />
contrattuali: quelli per il soddisfacimento dei bisogni e dei propri diritti come cittadini e la<br />
voglia di partecipare come protagonisti al nuovo corso della storia politica e sociale del paese.<br />
24
E’ in questo periodo, che la <strong>Uil</strong> mette a fuoco come e quanto il sindacato confederale abbia<br />
ormai raggiunto pienamente la condizione per avanzare rivendicazioni ed esprimere<br />
elaborazioni sulle trasformazioni del Paese. La <strong>Uil</strong> ha ben chiaro come le aspirazioni, che<br />
erano tali in quel marzo 1950, prendono corpo con sempre maggiore convinzione nel paese e<br />
che una nuova “epoca” sta per aprirsi.<br />
Fino alla fine degli anni sessanta l’azione del sindacato passerà alternativamente da forti<br />
avanzate a battute d’arresto, dimostrando comunque che la vera forza del suo operare era nella<br />
certezza di continuare ad agire nel solco dello sviluppo, coinvolgendo e facendo partecipare<br />
quella parte del mondo del lavoro che si riconosceva nell’idealità riformista e che sempre più<br />
era disponibile ad un impegno di “governo” del Paese.<br />
La tumultuosità degli avvenimenti di quegli anni, scuote profondamente tutta la società<br />
italiana, mette in discussione molte situazioni ritenute inamovibili o insuperabili, introduce<br />
nuove forme di rappresentanza sindacale e sociale, coinvolge parti della società, che in altri<br />
tempi sarebbe stato impensabile vederle partecipare, apre nuovi orizzonti ed obbliga le forze<br />
organizzate della società a rapidi adeguamenti e veloci rincorse. Il sindacato partecipa<br />
attivamente, divenendo protagonista della crescita democratica del paese e contribuendo alla<br />
determinazione delle nuove e complesse condizioni nelle quali la società si sarebbe andata ad<br />
assestare.<br />
Si spostano i rapporti di potere e di forza in fabbrica, come nella società. Il sindacato riesce a<br />
far accogliere, pressoché integralmente, molte piattaforme contrattuali dai contenuti<br />
fortemente innovativi. Esse, infatti, non solo spostano il centro delle relazioni industriali dalle<br />
problematiche individuali e professionali a quelle aziendali e di settore, ma accentuando le<br />
rivendicazioni di tipo egualitario, su temi come salario e qualifiche, diminuiscono la loro<br />
tecnicità tutto a profitto di una maggiore intelligibilità d’insieme. E’ così arrivano in un sol<br />
colpo: la riduzione dell’orario di lavoro a 40 ore, gli aumenti salariali uguali per tutti, il<br />
riconoscimento del diritto di assemblea e dei consigli di fabbrica, la completa definizione<br />
dell’obbligo da parte delle imprese di trattenere le contribuzioni sindacali volontarie. Ed<br />
ancora: l’abolizione delle gabbie salariali - stabilite e rinnovate nel dopoguerra – fino<br />
all’accordo raggiunto sulle pensioni, che consentirà al sindacato di compiere quella svolta che<br />
lo portava per la prima volta a condizionare direttamente i flussi di spesa pubblica.<br />
Il sindacato accresce notevolmente la sua capacità d’influenza a scapito dei maggiori centri di<br />
potere politico ed economico, le confederazioni si ritrovano ad essere soggetti politici di<br />
primo piano nelle scelte di sviluppo industriale e sociale di tutto il paese.<br />
I due fatti importanti, in alcune circostanze anche decisivi, che permettono tali successi sono,<br />
da un lato una sempre più praticata autonomia dai partiti (in quel tempo si comincia a parlare<br />
d’incompatibilità) e dall’altro l’avvio di un processo d’unificazione delle tre confederazioni,<br />
alimentato dalle nuove forme di rappresentanza sui posti di lavoro garanti, con la raccolta del<br />
capillare consenso, della partecipazione dei lavoratori al processo stesso.<br />
Tra il 1966 ed il 1970 i temi al centro dell’analisi della <strong>Uil</strong>, nei lavori dei propri organi<br />
direttivi, furono il confronto ed il ruolo del sindacato nella società democratica, la legge sui<br />
diritti dei lavoratori, la riforma penale, la riforma tributaria, tanto per citare alcuni argomenti<br />
distanti dalla normale politica rivendicativa del sindacato confederale.<br />
Dal 1970 la <strong>Uil</strong>, dando più di un segnale di continuità alla propria azione cominciata<br />
vent’anni prima, accompagnò questa evoluzione della politica sindacale, in modo da impedire<br />
che la radicalizzazione del confronto-scontro sulle vicende dell’unità sindacale, all’interno<br />
come all’esterno con CGIL e CISL, non pregiudicasse la sostanza delle risposte che il mondo<br />
del lavoro richiedeva. Il documento finale del comitato centrale della <strong>Uil</strong> – 13 aprile 1970 –<br />
rilevava:” La <strong>Uil</strong> ritiene che il significato delle lotte unitarie dell’autunno stia essenzialmente<br />
nell’aver saputo collegare le battaglie contrattuali con le iniziative di rinnovamento della<br />
società civile, attraverso un processo di sintesi che impegna ormai l’intero movimento<br />
25
sindacale italiano sui piani congiunti dell’autonomia, della democrazia interna, dei contenuti<br />
rivendicativi e della strategia sindacale. La rinnovata funzione e l’allargato impegno del<br />
sindacato ripropongono ed esaltano il motivo dell’autonomia come caratteristica<br />
fondamentale della presenza e del modo di operare del sindacato nella società per la società”.<br />
Nonostante le tensioni avessero provocato una articolazione interna, dividendo<br />
l’organizzazione in maggioranza e minoranza, subendo anche l’influenza dei partiti alle quali<br />
le tre componenti idealmente si richiamavano, nei documenti, sia in quelli elaborati dalla<br />
maggioranza, sia in quelli dalla minoranza, sia in quelli unitari, si ritrovano tutte le comuni<br />
aspirazioni e le idee che avevano animato i fondatori della <strong>Uil</strong>.<br />
Nel sesto congresso del 1973, Raffaele Vanni presentava una relazione unitaria a nome della<br />
segreteria confederale, con un’analisi della situazione nella quale sottolineava: “Non abbiamo<br />
stabilito, come <strong>Uil</strong>, dando per scontato che ci muoviamo nel sistema, una rigida alternativa fra<br />
partecipazione e contestazione, momenti entrambi d’azione del modello di sindacato che ci<br />
prefiguriamo. Sindacato della partecipazione non può significare movimento prono alle<br />
logiche altrui, (..) significa che dobbiamo elaborare proposte alternative, ma essere anche in<br />
grado di valutare quanto delle nostre piattaforme è accolto e di operare in modo da non<br />
vanificarne la realizzazione (..) l’obiettivo non è certo quello di seguire passivamente<br />
l’evoluzione dell’organizzazione capitalistica del lavoro, ma di approfittare delle sue<br />
contraddizioni per imporre una diversa e più umana”.<br />
Il sindacato continuava ad avere una marcia in più nel confronto con la Confindustria, infatti,<br />
il 25 maggio 1977, arrivò alla firma dell’accordo sul punto unico di contingenza, che favoriva<br />
la crescita del salario delle fasce meno qualificate.<br />
In questo decennio il sindacato fornì la prova di avere il coraggio di guardare avanti sia nelle<br />
proposizioni sui problemi, sia nell’individuazione delle risposte da dare alle richieste della<br />
società. Questa con sempre maggiore insistenza chiedeva che le spinte e le nuove necessità<br />
avessero il loro soddisfacimento insieme ad una maggiore democratizzazione e<br />
partecipazione, non solo alla vita politica, ma anche in tutte quelle strutture nelle quali la<br />
gestione degli interessi collettivi era prevalente.<br />
Ciò si riscontra nell’istituzione delle regioni, nell’elezioni dei rappresentanti nelle scuole,<br />
nella smilitarizzazione della polizia, nel nuovo diritto di famiglia, con la presa di coscienza<br />
del flagello della droga come problema sociale, nel disagio giovanile, nella necessità di una<br />
riforma della sanità, concessa a tutti e gratuita, fino ai nuovi soggetti sociali — le donne, i<br />
giovani, i disoccupati — ai quali il sindacato, nonostante i ritardi accumulati, le resistenze ed i<br />
preconcetti, duri a morire anche al suo interno, ha offerto la possibilità di fare nuove<br />
esperienze di partecipazione.<br />
L’aspetto “politico” assume una valenza sempre maggiore ed il sindacato, come soggetto<br />
autonomo, non si lascia intimidire dalle sfide che il Paese affronta.<br />
Il 12 maggio 1975 la riunione del comitato esecutivo della <strong>Uil</strong> fu dedicata interamente<br />
all’impegno del sindacato in difesa della democrazia, dalle minacce e dagli attacchi del<br />
terrorismo, divenendo uno dei baluardi più forti nella lotta. Da quel momento in avanti, il<br />
sindacato tutto. non abbasserà più la guardia.<br />
La <strong>Uil</strong> affrontò apertamente, attraverso l’attività degli organi direttivi, congressi in testa, lo<br />
sforzo per rinnovare l’organizzazione sia per farla continuare ad essere un punto di<br />
riferimento capace di ottenere sempre maggiori consensi fra i lavoratori, sia come strumento<br />
al passo con le nuove esigenze dettate dai tempi della modernizzazione. In particolare ciò<br />
avvenne nei congressi del 1977 “Partecipare per cambiare”, del 1981 “Dall’antagonismo al<br />
protagonismo” e del 1985 con il “Volgersi al nuovo” del sindacato dei cittadini.<br />
Con il congresso del 1989 la <strong>Uil</strong> si presentò con l’imperativo messaggio di “Far funzionare<br />
l’Italia”, sintesi di un percorso elaborativo, passato oltre che al vaglio degli organismi, anche<br />
dei seminari, il cui punto più alto sono stati quelli tenuti al Ciocco. Benvenuto nella sua<br />
26
eplica al dibattito congressuale sottolineava: “Il sindacato dei cittadini è una grande<br />
acquisizione e non è giusto falsificarla fingendo di credere che il sindacato dei cittadini non<br />
sia più il sindacato dei lavoratori. (…) Certo, siamo per il metodo del dialogo anziché per<br />
quello dello scontro. Siamo per il metodo della partecipazione e del confronto”. E proseguiva:<br />
“Per farla funzionare, l’Italia bisogna capirla. Bisogna capire e vivere dentro i processi di<br />
trasformazione. (…) Quando parliamo di flessibilità del Sindacato pensiamo proprio alla<br />
capacità di leggere dentro questa complessità e di interpretarla sul piano della domanda<br />
sociale e politica”.<br />
La <strong>Uil</strong> non ha cercato il consenso per il consenso, infatti, non si è lasciata scoraggiare dalle<br />
critiche o dalle contingenze ed ha sempre risposto riproponendo le proprie convinzioni che<br />
poi erano, sono e saranno, le idee che ne hanno portato alla sua fondazione e guidato lo<br />
sviluppo. Ciò è avvenuto anche nei confronti di verità scomode, con percorsi alternativi, non<br />
allettanti e non sempre limpidi.<br />
E’ in questo periodo che la UIL offrirà un altro grande contributo per il rilancio della cultura<br />
riformista e della partecipazione. Accetta, infatti, la sfida della gestione, sostenendo la politica<br />
dei redditi ed assumendo la propria parte di responsabilità, non lasciando fare solo agli altri.<br />
La costruzione di una democrazia edificata semplicemente come rapporto istituzione—<br />
sudditi, non risponde più alle reali situazioni del Paese. Anche la Costituzione comincia ad<br />
essere messa in discussione. Prende avvio, con scosse sempre più forti, quel lento distacco tra<br />
paese legale e paese reale che peserà non poco sull’ordinamento costituito.<br />
La <strong>Uil</strong> si avviava ad essere nuovamente protagonista del riformismo e della laicità con<br />
l’apertura del sindacato alla società. Con il Sindacato dei cittadini tutto il gruppo dirigente ha<br />
voluto segnare definitivamente il distacco dalle logiche dei partiti e da quelle tradizionali<br />
contrattuali, per ridisegnare un sindacato impegnato nel Paese, come rappresentante non solo<br />
dei lavoratori in quanto tali, ma di tutti i soggetti che si identificano nelle analisi e proposte<br />
che la <strong>Uil</strong> ha inteso realizzare. Resta traccia di questa attenzione nelle tantissime iniziative che<br />
hanno portato la <strong>Uil</strong> a denunciare: la massiccia evasione fiscale tra i professionisti (il<br />
convegno “Io pago le tasse, e tu?), le condizioni di profondo disagio in cui la sanità si trovava<br />
e, di conseguenza, tutti gli operatori sanitari (il convegno “La sanità è malata”), le nuove<br />
malattie sociali, come le droghe pesanti e l’Aids, le condizioni e la qualità dei trasporti e non<br />
per ultimo la sensibilità verso l’ambiente e le trasformazioni dell’habitat.<br />
Gli anni novanta hanno avuto per il sindacato in generale, e nello specifico per la <strong>Uil</strong>, un<br />
particolare significato, poiché con il crollo della prima repubblica, in seguito al ciclone di<br />
tangentopoli, il sindacato rimase uno dei pochi punti di riferimento saldi e costanti per i<br />
lavoratori e per la nazione tutta. La <strong>Uil</strong> aveva visto scomparire in breve tempo i partiti a cui si<br />
ispirava, ma non ha lasciato che ciò comportasse un naufragio anche delle idealità di cui erano<br />
depositari e di cui la <strong>Uil</strong> se ne è sempre fatta orgogliosamente portatrice.<br />
Il segno della continuità dell’assunzione di responsabilità di cui il sindacato si è fatto carico<br />
nella lotta all’inflazione e per la difesa del potere d’acquisto di tutti i lavoratori, come<br />
sostegno all’azione per lo sviluppo del Paese, è la firma del protocollo della politica dei<br />
redditi il 25 luglio 1993.<br />
Pur in presenza di un impegno sempre più ampio sul versante della democratizzazione<br />
dell’economia, come verso le necessità di fornire alcuni servizi per la tutela e l’assistenza ai<br />
cittadini e, ovviamente agli iscritti, la <strong>Uil</strong> non ha mai distolto l’attenzione dal lavoro, inteso<br />
come valore assoluto, rivendicandone la difesa e la dignità, così come indicato dalla<br />
Costituzione repubblicana. La UIL, infatti, ha realizzato gli ultimi congressi proprio su questo<br />
valore, che, purtroppo, si va perdendo, su questo diritto che rischia continuamente di essere<br />
negato. Il valore del lavoro e del sindacato, sono stati posti al centro del dibattito richiamando<br />
con forza l’attenzione di tutto il Paese. Gli slogan dei congressi sono stati: “I diritti del lavoro.<br />
Il lavoro per lo sviluppo” del 1993; “Più sindacato” del 1998. Pietro Larizza nella sua<br />
27
elazione al congresso del 1993, inoltre scrive: ”La gamma dei diritti del lavoro è funzionale<br />
allo sviluppo e da esso dipende: non sono interessi costituiti che si oppongono ad altri<br />
interessi. È materia sociale e civile che interessa il Paese e le caratteristiche della sua crescita.<br />
È materia sociale, è una grande questione politica. (…) Noi siamo e resteremo il sindacato<br />
della solidarietà, il sindacato dei diritti, il sindacato delle responsabilità, il sindacato della<br />
partecipazione, un sindacato di lotta. (…) Il sindacato è uno strumento con una ragione<br />
sociale, che deve contenere ed esprimere valori; valori che resistono nel tempo, perché<br />
appartengono a tutti coloro che in essi si riconoscono”.<br />
Nell’ultimo congresso “Il valore del lavoro”, celebrato a Torino nel 2002, Luigi Angeletti<br />
sottolinea tra l’altro: “La necessità di ricollocare al centro dello scenario economico e politico<br />
il fattore lavoro non è il frutto di una scelta ideologica, bensì il segno del XXI secolo. La forza<br />
intrinseca del lavoro sarà l’elemento di una nuova rivoluzione culturale che riproporrà la<br />
persona al centro dell’evoluzione del sistema sociale. (..) Siamo nel mondo della conoscenza.<br />
Il lavoro in quanto espressione di conoscenze avrà più valore del capitale: la creazione di<br />
ricchezza sarà determinata più dall’accumulazione delle conoscenze che da quella dei capitali.<br />
La formazione è il motore dello sviluppo. Non c’è progresso, non c’è modernizzazione se non<br />
si alimentano i processi della conoscenza e, in un’epoca in cui i beni immateriali<br />
rappresentano una vera risorsa, la ricchezza di una nazione risiede proprio nella capacità di<br />
mettere a frutto il valore delle persone. Sono più familiari ai giovani i valori che le ideologie,<br />
le forti speranze che le illusorie certezze, la proposta di impegni che le altisonanti e vuote<br />
prospettive politiche. Ed è innanzitutto una sfida culturale quella alla quale il Sindacato è<br />
chiamato nel proporsi come soggetto rappresentativo anche di questo mondo, ancora poco<br />
sindacalizzato ma non meno bisognoso di forti tutele. Noi siamo gli eredi di uomini e di<br />
donne che hanno sempre creduto che la libertà e la giustizia sociale fossero indivisibili. (..)<br />
Noi siamo gli eredi del riformismo, di quella cultura politica che ha rappresentato il tratto<br />
migliore della storia sociale di questo paese. Abbiamo un dovere ed una grande<br />
responsabilità: perpetuare nel tempo questi valori e consegnarli a coloro che verranno dopo di<br />
noi così come essi ci sono stati tramandati”.<br />
Nel 2006 si è svolto a Roma il 14° congresso della UIL con lo slogan: “Il lavoro vera<br />
ricchezza del Paese”. Il documento finale elenca 14 obiettivi da raggiungere. Tra questi si<br />
legge: ” E’ l’ora di restituire il giusto a chi vive del proprio salario …. un’Italia che non<br />
valorizza e riconosce il lavoro, le lavoratrici, i pensionati è destinato alla emarginazione.<br />
Troppa ricchezza si è spostata verso altri. …. Vogliamo che il Paese cresca, con equità e<br />
velocemente. …. Si deve, e si può rimettere al centro la dignità del lavoro. La flessibilità può<br />
essere una opportunità per far crescere il lavoro e l’impresa. se utilizzata solo come copertura<br />
alle difficoltà dell’azienda non serve e diventa inutile e ingiusta precarietà. …. La buona<br />
contrattazione che possa, e debba, ridistribuire anche ai lavoratori la ricchezza che si crea, che<br />
valorizzi, con una vera formazione, il lavoro e che premi chi favorisce il lavoro sicuro e<br />
salubre. …. Più contrattazione sarà possibile con più concertazione. …. Tanti e grandi<br />
obiettivi necessitano di un sindacato ancora più aperto, più giovane, più multietnico e attento<br />
alle differenze di genere. A tutti i livelli. Un sindacato sempre più attento e sensibile a capire,<br />
conoscere e accompagnare i cittadini e lavoratori, donne e uomini di questo Paese. Un<br />
sindacato che potrà, e dovrà, sentirsi dire, da milioni di persone: cara UIL, mi fido di te”.<br />
28
LA RISCOPERTA DELLE RADICI LAICHE RIFORMISTE E SOCIALISTE<br />
Il sindacato e chiamato ad un’azione decisa per allontanare il rischio di smarrire un valore e<br />
per ribadire come e quanto più di ogni altro, esso sia capace di mantenerne alto il significato e<br />
strategico il ruolo per il Paese e tutta la collettività.<br />
Oggi il sindacato resta uno dei principali interlocutori della vita politica e sociale del Paese e<br />
la <strong>Uil</strong> continua ad essere sicuramente uno dei punti di riferimento.<br />
Ma con i cambiamenti istituzionali, di “gestione” del potere da parte della politica, di una<br />
sempre maggiore articolazione della società, con le difficoltà di intercettare e di dare risposte<br />
ai giovani, impegnati in nuove tipologie di lavori, precari e, molte volte, isolati dal contesto<br />
produttivo, con una parte del paese sempre più distratta, per alcuni versi anche appagata dalle<br />
conquiste acquisite e scarsamente sensibile ai pericoli della loro perdita, per effetto di una<br />
silente e continua erosione delle stesse, sembra essere sparita quella consapevolezza che i<br />
diritti acquisiti e le vittorie progressiste vanno sempre difese, poiché senza far ciò, come la<br />
storia dimostra chiaramente - soprattutto quella degli ultimi tempi, tutto può essere spazzato<br />
via, modificato o stravolto.<br />
Questa particolare condizione di voler assolutamente mantenere un passaggio aperto, un ponte<br />
tra il passato delle nostre radici ed il futuro, perché non si smarriscano le origini ed il<br />
patrimonio delle idealità, hanno prodotto una fortissima integrazione tra ciò che alcuni dei<br />
maggiori rappresentanti del socialismo italiano hanno detto e quello che idealmente la UIL<br />
continua a mantenere nel proprio DNA, nelle proprie elaborazioni politiche e sindacali.<br />
La ricerca delle radici ideali, culturali e politiche della nostra organizzazione laico-socialista<br />
ha preso le mosse dalla promozione di un convegno a Reggio Emilia, insieme all’Opera<br />
benefica Prampolini, in occasione del 75° anniversario della morte di Camillo Prampolini e<br />
abbinandovi l’inaugurazione della nuova sede della Camera Sindacale Provinciale. L’incontro<br />
che ha visto presenti le massime autorità locali, regionali con la presenza di illustri studiosi<br />
dell’opera del grande “apostolo” del socialismo riformista e con le conclusioni del Segretario<br />
generale Angeletti. L’iniziativa ha consentito di poter verificare quanto il pensiero di questo<br />
grande maestro sia, non solo ancora attuale, ma soprattutto ampiamente trasfuso all’interno<br />
delle idealità che sono alla base dell’essere UIL.<br />
Per approfondire e conoscere ancor di più le ragioni dell’essere nel solco laico-socialista è<br />
stato organizzato a Genova un convegno insieme alla <strong>Uil</strong> della Liguria, sull’opera di uno dei<br />
primi organizzatori sindacali e della cooperazione, il socialista riformista Pietro Chiesa. Una<br />
iniziativa assunta unitamente alla compagnia portuale Pietro Chiesa, da lui fondata oltre cento<br />
anni fa ed ancora attiva nel porto di Genova, esempio di grande solidarietà fra lavoratori.<br />
La prima trilogia si è conclusa con il convegno di Rovigo sull’opera e il pensiero di Nicola<br />
Badaloni. Grande protagonista del riscatto dei lavoratori, dei poveri e dei malati di una della<br />
zone più povere del Paese: il Polesine. La figura di un socialista che ha dedicato la sua opera<br />
di medico, di scienziato e di organizzatore delle leghe bracciantili nel Polesine per combattere<br />
la pellagra, la malaria e lo sfruttamento dei lavoratori,con la crescita culturale, sconfiggendo<br />
l’ignoranza e l’analfabetismo e trasmettendo il credo del riformismo socialista.<br />
L’attività di riflessione e di riscoperta delle radici proseguirà, organizzando manifestazioni<br />
rievocative di quanti, risalendo nel tempo, hanno lasciato e tramandato quei profondi<br />
insegnamenti, che ancora oggi come UIL sentiamo al nostro interno.<br />
29
Convegno promosso dall’Istituto di Studi Sindacali della UIL unitamente alla Opera<br />
benefica Camillo Prampolini in occasione del 75° anniversario della morte di Prampolini<br />
e della inaugurazione della UIL di R. Emilia R. Emilia, 30 maggio 2005<br />
Comunicazione di Gianni Salvarani<br />
Sono convinto che Prampolini sarebbe sicuramente molto felice d’essere oggi qui tra noi,<br />
certamente per avere la possibilità di testimoniare sulla sua attività, ma in particolare per<br />
prendere parte all’inaugurazione di una sede sindacale. In quanto non solo è un evento verso il<br />
quale indirizzava tutti i suoi sforzi affinché i lavoratori si unissero e costituissero<br />
l’Associazione di Resistenza, come lui definiva l’organizzazione dei lavoratori, richiamandosi<br />
al modello delle Trade Union inglesi ed alle altre forme di sindacato già operanti, in America,<br />
in Francia e in Belgio, ma soprattutto perché ciò avviene con il riconoscimento e la<br />
considerazione della società, delle autorità civili e religiose, cosa che al suo tempo non<br />
sarebbe mai potuta avvenire. Ecco perché penso di non forzare né la storia, ed ancor meno il<br />
pensiero di Prampolini, affermando che oggi avrebbe esultato con noi per quest’ulteriore<br />
progresso compiuto da un’organizzazione di lavoratori. Ciò, naturalmente, prescindendo dalla<br />
sigla che realizza l’iniziativa, anche se l’idealità prampoliniana e la nostra militanza in<br />
un’organizzazione d’ispirazione laico-socialista lasciano trasparire la convivenza di ampie<br />
convergenze.<br />
Il suo impegno in favore dei lavoratori si riscontra fin dal momento dei suoi studi universitari.<br />
Infatti, lui giovane rampollo di famiglia benestante, educato nel rispetto del re, della società<br />
così come costituita, non riesce a vedersi come un “padrone” che risponde alle logiche<br />
politiche e gestionali dominanti. E’ proprio all’università, che Prampolini matura il<br />
convincimento che le teorie degli economisti “conservatori” si scontravano con il diritto al<br />
lavoro di tutti i proletari e come tali andavano combattute. Era per lui inaccettabile la teoria<br />
secondo la quale l’operaio non poteva avere nessuna ragione di pretendere il diritto al lavoro,<br />
avendo riconosciuto il diritto del lavoro, e che con ciò si stabiliva la parità fra capitale e<br />
30
lavoro, con il riconoscimento ai primi della proprietà delle terre e dei capitali e all’operaio la<br />
proprietà del lavoro.<br />
La prima elaborazione di risposta alle teorizzazioni conservatrici la presentò nella sua tesi di<br />
laurea intitolata “il diritto al lavoro” e data a soli 24 anni nel 1881 all’Università di Bologna,<br />
dopo aver frequentato la Sapienza di Roma, nella quale affermava fra l’altro: “Che vale<br />
all’operaio la decantata libertà di lavorare se poi gli manca il lavoro, se non ha diritto di<br />
averne, se la società può imporgli e gli impone, di fatto, l’ozio forzato e la fame, oppure la<br />
supplica della carità?”. Prampolini continuamente, con ostinazione e forza, ritorna su quello<br />
che ritiene essere il cuore della sua scelta di vita: il riscatto dei lavoratori e l’affermazione dei<br />
loro diritti. Ogni volta che scrive un articolo, sui diversi giornali che dirige o collabora,<br />
v’insiste come sullo SCAMICIATO, scrivendo: “Sia anzi riconosciuto e tutelato in tutti i<br />
cittadini il diritto inviolabile di ottenere lavoro: poiché è assurdo, è inumano, è ingiusto che,<br />
mentre il lavoro è un dovere e mentre senza lavorare non posso vivere, vi abbia ad essere un<br />
padrone al quale debbo chiedere come in carità il permesso di compiere questo mio dovere, e<br />
che potendo perfino negarmi di guadagnare con le mie braccia la vita, mi umilia col peso di<br />
un’autorità che non gli riconosco nel mentre lui istesso mi deruba nel mio lavoro.”<br />
In occasione di uno dei primi e più importanti scioperi, quello organizzato dai muratori, i<br />
valori e la spinta prampoliniana si fecero sentire ancora attraverso la riaffermazione del diritto<br />
al lavoro: …“ se per vivere io non ho altra risorsa che il mio ingegno, le mie braccia, il mio<br />
lavoro è evidente che io ho il diritto che mi si dia da lavorare. Altrimenti mi si nega il diritto<br />
di vivere.”<br />
Il riconoscimento all’impegno di Prampolini viene dal crescente seguito che ottiene<br />
all’interno del movimento socialista e tra i suoi concittadini, nonostante l’ostilità manifestata<br />
e praticata sia dalle autorità costituite, sia dagli agrari e da una parte del clero. Anche dalle<br />
colonne di LOTTA DI CLASSE, di cui né fu direttore per volontà di Turati e della Kuliscioff,<br />
Prampolini continua la sua azione, che troverà la naturale prosecuzione con la fondazione de’.<br />
LA GIUSTIZIA della quale fu non solo ideatore e direttore, ma l’anima. Il giornale uscirà con<br />
il sottotitolo “difesa degli sfruttati”<br />
E’ su’ LA GIUSTIZIA che lancia un appello per la costituzione delle Associazioni di<br />
Resistenza con un articolo avente per titolo: “Operai, contadini di Reggio associatevi”<br />
spiegando come le associazioni di resistenza fossero “quelle unioni di lavoratori le quali si<br />
propongono di formare (mediante piccoli versamenti settimanali o mensili) un fondo sociale,<br />
un capitale col quale poi resistere ai padroni, sostenere gli scioperi ed ottenere così un<br />
aumento di salario. ” Polemizzando sulle società di mutuo soccorso definendole un<br />
“miscuglio” per essere formate in modo misto da ricchi e poveri (mentre le associazioni<br />
dovevano essere formate solo da lavoratori salariati) e accusandole di pensare all’operaio,<br />
solo, quando vi era da fargli il funerale e ricordandosi di lui, sempre, per fargli pagare la quota<br />
associativa.<br />
Dalle colonne del giornale chiarisce la sua visione della società: “La miseria nasce non dalla<br />
malvagità dei capitalisti, ma dalla cattiva organizzazione della società, dalla proprietà privata,<br />
perciò noi predichiamo non l’odio alle persone né alla classe dei ricchi, ma l’urgente necessità<br />
di una riforma sociale che alla base dell’umano consorzio ponga la proprietà collettiva” Un<br />
concetto etico di proprietà collettiva, non certamente economico ed ancor meno<br />
rivoluzionario. Così come etica è la Predica di Natale, non certamente avversa alla religione.<br />
In una lettera inviata a Colajanni chiarisce ancor meglio il suo “volere”, “non la lotta tutti<br />
contro tutti, ma la pace, l’associazione, la solidarietà, la mite uguaglianza dei diritti e dei<br />
doveri”. In ciò è l’estrema sintesi del riformismo prampoliniano<br />
Le Associazioni e le cooperative che sempre più numerose si andavano costituendo<br />
rappresentavano la realizzazione del progetto politico-sociale prampoliniano. Voglio solo<br />
ricordarne uno per tutti citando la lettera di Roversi, il grande sindaco socialista, inviata a<br />
31
Prampolini nel 1899, in merito alla costituzione della cooperativa fra sarti e sarte: “…mi è<br />
oltre modo caro aggiungere che nella detta adunanza venne ricordato, con affetto e<br />
riconoscenza, ed in mezzo a grande entusiasmo, il tuo nome e si sono fatti voti - che per<br />
incarico dei convenuti con lieto animo ti trasmetto- perché fra breve trionfi la giustizia e tu<br />
possa ritornare fra noi (Prampolini era stato per l’ennesima volta arrestato). Codesti voti<br />
emessi con tanta spontaneità in un ambiente nuovo e gentile (era massiccia la presenza<br />
femminile nell’assemblea) mentre danno motivo a sperare nell’emancipazione cosciente<br />
dell’operaio, dimostrano quanta parte tu abbia preso per l’emancipazione della classe operaia,<br />
la quale dovrà sempre esserti vivamente riconoscente.”<br />
Prampolini, tanto umile quanto grande, non solo è stato uno dei padri del socialismo italiano,<br />
ma all’interno del movimento socialista un riformista convinto, di quel riformismo emilianoromagnolo<br />
e reggiano in particolare, con Reggio da molti considerata la terra primogenita del<br />
riformismo o come la definì Turati “il cuore socialista d’Italia”. Una regione che vide<br />
contemporaneamente operare uomini di grande levatura morale e politica come Agnini,<br />
Badaloni, Baldini, Costa e poi Massarenti, la Altobelli,e tra gli altri i reggiani Bellelli,<br />
Vergnanini, Salsi, Roversi, il veneto-mantovano di nascita, ma reggiano di adozione Zibordi e<br />
poi Simonini fino ai qui presenti Amadei e Felisetti. Riformismo che era un misto di<br />
marxismo per la lotta di classe che sosteneva, di positivismo per l’alta considerazione che<br />
aveva dello sviluppo della scienza, e di cristianesimo primitivo e laico, di cui Prampolini fu<br />
sicuramente l’apostolo e il predicatore per antonomasia. Prampolini seppe coniugare l’essere<br />
al tempo stesso produttore di cultura e divulgatore, maestro di vita e predicatore.<br />
L’insegnamento di Prampolini era non solo adeguato ai tempi, ma molto più avanzato e per i<br />
suoi profondi ideali sicuramente ancora oggi valido.<br />
L’appartenenza al partito socialista per Prampolini voleva dire applicare una ferrea morale,<br />
un’etica che faceva premio su tutto, in quanto i valori e gli ideali socialisti non dovevano<br />
essere solo trasmessi, ma continuamente praticati. Infatti, in quel periodo nelle sezioni<br />
socialiste molte erano le espulsioni e le sospensioni dall’iscrizione e dalla frequentazione del<br />
partito per coloro che non avevano avuto comportamenti conformi all’etica imposta dalla<br />
morale dell’essere socialisti.<br />
Le insofferenze per le ingiustizie erano sempre molto forti anche in un uomo mite come<br />
Prampolini fino al punto che fu tra i protagonisti del rovesciamento delle urne durante la<br />
votazione di una legge illiberale che il governo Pelloux voleva far approvare dalla camera, in<br />
forza della sua convinzione che “resistere all’arbitrio non è che una forma di rispetto e di<br />
ossequio alle leggi”. Commentava poi quel gesto compiuto “ Quelle urne rovesciate danno<br />
una lezione al popolo italiano: resistete agli arbitri, difendete ad oltranza i vostri diritti”<br />
Possiamo considerare conclusa la “vita” politica di Prampolini, dopo anni di violenze e<br />
censure subite, prima e durante il fascismo, il 30 ottobre 1925 con la chiusura de LA<br />
GIUSTIZIA, divenuto organo ufficiale del Partito Socialista Unitario, una delle ultime libere<br />
voci soffocate dal regime.<br />
Il mito Prampolini è sopravvissuto non solo alle ostilità dei potenti ed alle barbarie del<br />
regime, ma anche alla “corrosione” del tempo ed alla perdita della memoria che, purtroppo in<br />
molti di questi tempi vorrebbero si verificasse, liberando, così, dai tanti personaggi scomodi<br />
come Prampolini il nostro quotidiano. La sua vita divenne una leggenda soprattutto nel<br />
reggiano. Forse alcuni fatti che ci sono stati tramandati non si sono proprio svolti così come<br />
raccontati. Ciò non scalfisce la grandezza dell’uomo, dei suoi ideali e soprattutto di quel<br />
“socialismo” praticato fino alla fine, morendo povero per aver donato tutto il suo patrimonio.<br />
Nel testamento scritto il 1 maggio 1929 e lasciato all’avv. Giaroli affinché ne fosse fedele<br />
esecutore delle sue volontà, in poche righe autografe condensa tutta la sua immensa levatura<br />
morale: “La mia salma, non vestita ma soltanto avvolta in un lenzuolo, sia trasportata al<br />
cimitero in forma civile, sopra un carro d’ultima classe, senza fiori, non seguita dai miei<br />
32
famigliari e venga cremata non sepolta. Né al cimitero né altrove nessuna lapide nessun segno<br />
che mi ricordi”<br />
A conferma di ciò desidero richiamare solo due, dei tanti, episodi significativi che ci aiutano a<br />
capirne meglio la sua grandezza di uomo prima che di politico: il primo quello che in molte<br />
case delle famiglie reggiane, di qualunque fede politica o religiosa fossero, non mancava<br />
l’immagine di Prampolini e non stupiva che fosse posta vicina al Crocefisso, o alle foto di<br />
famiglia o a quelle del proprio partito; il secondo quando in una fredda notte d’inverno donò il<br />
suo ultimo tabarro ad un povero che stava rannicchiato sulle scale della chiesa praticamente<br />
morente per il freddo e lui che prosegui il suo cammino verso casa pestando la neve e<br />
gesticolando per evitare di congelarsi.<br />
Spesso la storia dei grandi uomini si fa leggenda e la distinzione non ha più molta importanza<br />
quando di questi gesti l’uomo ha riempito tutta la sua esistenza.<br />
Il sindacato è cresciuto oltre e al di là delle ispirazioni ideali verso questo o quel partito, verso<br />
questo o quel padre della patria, ma nella sostanza del suo agire quotidiano vi è tutto il<br />
pensiero di Prampolini, tutto quell’impegno per l’affermazione dei diritti della classe<br />
lavoratrice e anche per la ferma volontà di mantenere salde due grandi idealità: quella contro<br />
la guerra, ed oggi anche contro il terrorismo, e quella di battersi sempre nell’esclusivo<br />
interesse dei lavoratori.<br />
Nel concludere questo breve volo sulla figura di Prampolini, certo che le relazioni degli<br />
illustri professori Landolfi e Pellicani, e nelle conclusioni del segretario generale della UIL,<br />
più di me sapranno illustrarvene la grandezza e l’attualità del pensiero, consentitemi da<br />
reggiano di ricordare quello che in quell’epoca si diceva a Reggio di chi s’iscriveva al partito<br />
socialista: LE ANDEE IN DI GALANTOM, AL SE INSCRET IN DI SOCIALISTA! Nella<br />
convinzione che in questa società nella quale i valori etici hanno perso la loro evidenza e<br />
soprattutto la loro sostanza, vi è non solo il bisogno di sentirlo dire, ma soprattutto di vederlo<br />
praticare.<br />
33
Comunicazione di Gianni Salvarani al convegno sul 90° anniversario della morte di<br />
Pietro Chiesa.<br />
Genova, 14 dicembre 2005<br />
Questa iniziativa ha visto congiuntamente impegnate la UIL di Genova e della Liguria, la<br />
Compagnia portuale Pietro Chiesa e l’Istituto di Studi Sindacali per voler contribuire a<br />
mantenere viva nella memoria l’opera e il pensiero di un uomo tra i più prestigiosi del<br />
movimento sindacale, cooperativo, politico e culturale degli anni intercorsi tra la fine dell’800<br />
e quelli immediatamente precedenti l’inizio del primo conflitto mondiale. Un’iniziativa, che<br />
per l’Istituto è nata, come tante altre già realizzate, avendo fatto proprio lo spirito e il<br />
significato delle parole di un altro grande uomo di questa terra ligure, Sandro Pertini, quando<br />
con insistenza ripeteva “gli anziani ricordino e i giovani sappiano”<br />
Parlare di Pietro Chiesa vuol dire ripercorrere l’impervia e lunga strada di chi, trovandosi in<br />
miseria, ha sofferto duramente, prima per sopravvivere e poi nel lottare per riscattare una<br />
siffatta condizione. E’ la storia di quanti avevano la sfortuna di nascere in una famiglia<br />
povera, che oltre agli stenti spesso si vedeva costretta ad abbandonare la propria terra per<br />
emigrare verso luoghi dove si offrivano maggiori opportunità di lavoro e quindi di vivibilità,<br />
com’è stato per la famiglia Chiesa trasferitasi dal Monferrato a Genova.<br />
Nella Genova delle industrie, del porto e delle attività marittime, Chiesa iniziò come semplice<br />
operaio verniciatore a Sampierdarena distinguendosi subito per il suo impegno verso i<br />
compagni di lavoro e più in generale partecipando all’attività politica, unendosi a quanti già la<br />
svolgevano e con loro fu protagonista della costruzione del partito operaio italiano. In politica<br />
e nel sindacato la sua azione la dedicò principalmente ad affrontare, con grande decisione, il<br />
gravissimo problema dello sfruttamento e delle condizioni di lavoro degli operai negli<br />
stabilimenti industriali e nel porto, al punto<br />
che s’improvvisò organizzatore ancor<br />
prima di sapere cosa volesse dire fare<br />
sindacato. Era un’intuizione spontanea<br />
basata sulla solidarietà di classe e il<br />
comune impegno contro lo sfruttamento.<br />
Seppe, anche in politica, farsi subito<br />
apprezzare e conoscere, non solo a<br />
Genova, infatti, essendo tra i promotori e<br />
animatori del partito operaio fu presto<br />
conosciuto anche in molte altre province,<br />
tanto che nel 1892 alla giovane età di 34<br />
anni fu chiamato a presiedere il congresso<br />
di scioglimento del partito operaio, per<br />
fondare, sempre a Genova il 15 agosto del<br />
1892, il Partito dei Lavoratori Italiani che<br />
nell’anno successivo, al congresso di<br />
Reggio Emilia, cambierà il nome in Partito<br />
Socialista dei Lavoratori Italiani e solo nel<br />
successivo congresso di Parma prenderà il<br />
nome di Partito Socialista Italiano. Da quel<br />
momento in avanti Chiesa fu tra i massimi<br />
protagonisti della vita del partito, sempre al<br />
fianco di Turati e dei riformisti. Fin dal<br />
congresso di Reggio Emilia, Chiesa fu la<br />
voce sindacale del partito, non solo perché<br />
fu relatore, in quel congresso, sullo stato<br />
34
delle Camere del Lavoro, o perché protagonista della costituzione delle Camere del Lavoro di<br />
Sampierdarena nel 1895 e di Genova l’anno dopo, ma soprattutto per essere diventato<br />
protagonista nelle lotte per la difesa e tutela dei lavoratori genovesi e d’esempio per le altre<br />
aree produttive del paese.<br />
Per questa sua attività fu perseguitato, condannato e costretto a fuggire all’estero. Passata la<br />
tempesta politica e i termini della condanna, al momento del suo rientro non potendo più<br />
svolgere la sua precedente attività, per sopravvivere, fu costretto a adattarsi lavorando in porto<br />
come facchino e contemporaneamente impegnarsi a ricostruire il sindacato, a più riprese<br />
sciolto dalle autorità, in tutta l’area genovese. La sua forza e solidità dell’azione si riscontra<br />
nel continuo ampliamento dell’impegno d’organizzatore, fuori della provincia di Genova<br />
andando a costituire la Camera del Lavoro di Savona e spronando a farlo in tante altre località<br />
della Liguria, spingendo la sua azione anche in Piemonte e in Emilia.<br />
Il 1900 è per Chiesa un anno di grande importanza sia sotto l’aspetto politico, sia quello<br />
sindacale, uno per l’ottenimento del riconoscimento della sua rilevanza politica con l’elezione<br />
a deputato del regno, in rappresentanza del PSI. Elezione che portò l’ingresso in parlamento<br />
di solo due operai, insieme a Chiesa fu eletto il biellese Rigola, che rappresenteranno<br />
com’ebbe a dire Turati, richiamando l’attenzione di tutta la Camera, che con loro entrava in<br />
parlamento la classe operaia. L’altro nell’organizzazione dello sciopero generale contro lo<br />
scioglimento, su ordinanza del prefetto, della Camera del Lavoro genovese, di quella di<br />
Samperdarena, della Lega della metallurgica navale di Sestri Ponente, di diversi circoli<br />
culturali, ricreativi e assistenziali della sinistra, con Chiesa e gli altri dirigenti locali deferiti<br />
all’autorità giudiziaria.<br />
Perché Genova? Perché questo accanirsi contro le organizzazioni sindacali, i suoi dirigenti e i<br />
lavoratori ad esse aderenti? Perché Genova, all’epoca, aveva il porto più importante d’Italia e<br />
della vecchia Europa, capace di condizionare lo sviluppo sia dei traffici internazionali, sia<br />
dell’intera nazione e con le organizzazioni dei lavoratori attive non solo perdevano potere gli<br />
imprenditori, ma soprattutto lo Stato autoritario che il governo voleva mantenere.<br />
Lo sciopero generale di Genova è considerato e ricordato come il primo sciopero generale<br />
della storia del nostro Paese, fu uno sciopero che dal giorno seguente l’ordinanza di chiusura<br />
delle sedi, il 20 dicembre, vide la crescente e convinta partecipazione degli operai con<br />
l’adesione unanime di tutti i lavoratori delle industrie cittadine e del circondario e con il<br />
sostegno delle loro famiglie.<br />
Furono tre giorni di lotta esemplare e quando il 23 dicembre del 1900 in un teatro Carlo<br />
Felice stracolmo di lavoratori, malgrado fosse domenica, alla presenza di molti deputati della<br />
sinistra: da Agnini a Bissolati, da De Andreis a Mazza ed altri, Chiesa ufficializzò la fine<br />
dello sciopero con il successo della lotta degli operai genovesi e l’elezione della nuova<br />
commissione esecutiva della rinata Camera del Lavoro, con parole di grande significato,<br />
affermando: “….Lo sciopero di Genova resterà famoso e farà epoca negli annali dei lavoratori<br />
di tutto il mondo per la grandezza, la solennità, e la serietà delle dimostrazioni….” Il concetto<br />
fu ripreso dal settimanale socialista “Era Nuova” che scrisse a tutta pagina: “Gloria a voi,<br />
lavoratori genovesi poiché avete saputo dare esempio magnifico ai lavoratori di tutto il mondo<br />
che con ammirazione e stupore hanno seguito le rapide fasi dell’insorgere e del trionfo”. Una<br />
testimonianza ed un riconoscimento, ancora più autorevole, sarebbe arrivato molti anni dopo<br />
da parte di Luigi Einaudi, che da giovane cronista della Stampa di Torino aveva seguito tutto<br />
lo svolgimento della lotta degli operai genovesi. Il futuro Presidente della Repubblica<br />
scriverà: “…A tanta distanza di tempo, riandando con i ricordi a quegli anni giovanili, quando<br />
assistevo alle adunanze operaie dalle terrazze di Via Milano a Genova o discorrevo la sera in<br />
umili osterie dei villaggi del biellese con operai tessitori, mi esalto e mi commuovo. Quegli<br />
furono gli anni eroici del movimento operaio italiano….” Un riconoscimento più grande e<br />
35
gratificante il sindacato non poteva ottenerlo, tenuto conto l’appartenenza sociale e politica di<br />
Einaudi.<br />
La presenza del deputato “operaio” Chiesa ebbe un riconoscimento d’essere tale, quando il<br />
ministro Sonnino rispondendo alle richieste di miglioramenti sociali che per i lavoratori erano<br />
fatte da parte socialista, alle proteste di Turati per la loro mancata concessione ed alle grida<br />
degli altri deputati della sinistra, che per rimarcare l’imperativa necessità dell’ottenimento dei<br />
miglioramenti e il ruolo insostituibile delle Camere del Lavoro gridavano “viva gli operai<br />
genovesi, ” disse: “…Basta gettare uno sguardo sui banchi dell’estrema sinistra. La su 90<br />
deputati, che tutti reclamano leggi sociali, io vedo almeno 89 buoni borghesi, professionisti e<br />
possidenti…” quell’uno che mancava, Sonnino sapeva benissimo che era “l’operaio” Pietro<br />
Chiesa.<br />
Lo sciopero generale del 1900, fu decisivo per la caduta del governo Saracco, lasciato in balia<br />
delle critiche della destra guidata da Sonnino, attaccato dalla sinistra e messo alle corde dallo<br />
stesso Giolitti, che con un forte discorso d’apertura verso l’opposizione, fece un’affermazione<br />
di grande importanza, sia con riferimento alle lotte e alle repressioni che erano in corso, sia<br />
come messaggio del futuro governo verso la sinistra e il sindacato. Giolitti affermò:<br />
“…Purtroppo persiste ancora nel governo, ed in molti suoi rappresentanti, la tendenza a<br />
considerare come pericolose tutte le associazioni dei lavoratori. Questa tendenza è effetto di<br />
poca conoscenza delle nuove correnti economiche e politiche che da tempo si sono<br />
determinate nel nostro come in tutti i paesi civili, e rivela che ancora non si è compreso che<br />
l’organizzazione degli operai cammina di pari passo col progresso della civiltà. La tendenza,<br />
della quale ora ho parlato, produce il deplorevole effetto di rendere nemiche dello Stato le<br />
classi lavoratrici….” Parole che il nuovo governo, Zanardelli-Giolitti, mise in pratica,<br />
allentando la pressione sui lavoratori e sulle loro organizzazioni. Molti uomini della sinistra,<br />
illudendosi, considerarono quegli avvenimenti come l’atto conclusivo delle tante repressioni<br />
attuate dai governi che da Crispi in avanti si succedettero, con i vari Sonnino, Pelloux e<br />
Saracco, per il mantenimento dello stato autoritario, con la definitiva apertura di una nuova<br />
stagione di maggior democrazia e libertà. Purtroppo fu solo una breve parentesi in quanto le<br />
repressioni ripresero con esse i tentativi di distruzione del tessuto organizzativo dei lavoratori.<br />
Chiesa, essendo un operaio e non possedendo rendite, era mantenuto a Roma dalle collette<br />
che i suoi elettori, cioè i suoi compagni di lavoro e del sindacato, i quali raccoglievano i fondi<br />
necessari per consentirgli di partecipare alle sedute del parlamento. E’ per questa ragione che<br />
fra le prime sue battaglie parlamentari, tra quelle rivolte contro l’eccesso delle spese militari;<br />
per l’ottenimento delle pensioni di vecchiaia per i lavoratori; una maggior tutela contro gli<br />
infortuni sul lavoro; il sostenere la causa dei lavoratori portuali e marittimi e delle ripetute<br />
denunce contro le prepotenze dei padroni, vi fosse anche la richiesta dell’istituzione<br />
dell’indennità parlamentare per i deputati, in modo da sgravare dell’onere i lavoratori suoi<br />
elettori.<br />
Sono le rivendicazioni di politica sociale che i deputati socialisti, da Costa in avanti, hanno<br />
sempre tentato di far passare in un parlamento gestito da una maggioranza conservatrice di<br />
destra, che spesso diventava violenta e reazionaria, contro i lavoratori. Sono il cuore<br />
dell’azione sviluppata, dai socialisti, in quello che fu definito il ventennio riformista, dal 1890<br />
al 1910.<br />
Dall’attività parlamentare di Chiesa si evincono non solo i suoi convincimenti, ma soprattutto<br />
le scelte che nella società intende perorare e portare avanti. Il 5 febbraio del 1901 in un<br />
appassionato intervento pronunciato contro l’ennesimo scioglimento della Camera del lavoro<br />
di Genova affermò: “…Il bene degli umili non si fa con la filantropia, con la carità, ma si fa<br />
con la libertà e libertà vuol dire educazione, istruzione, vuol dire pane. Chi pensasse<br />
altrimenti, chi cercasse di combattere queste organizzazioni civili, vuol dire che tende a<br />
ricondurre l’Italia al passato, all’oscurantismo….”.<br />
36
La passionalità e la capacità di Chiesa d’essere un capo e soprattutto di dare sostanza al suo<br />
impegno in favore dei lavoratori si evidenzia, più che in altri, nel’ intervento pronunciato il 7<br />
giugno del 1902 nel quale per richiamare l’attenzione del governo e del paese sulle condizioni<br />
dei lavoratori della cantieristica addetti alla costruzione delle navi militari afferma:<br />
”…..Questi lavoratori per il loro interesse personale, sono obbligati a domandare armamenti<br />
che sono contrari agli interessi della classe alla quale appartengono. Essi dicono: noi per<br />
vivere abbiamo bisogno che si facciano delle navi, e non pensano che per costruire queste<br />
navi ci vogliono milioni e che devono darli essi stessi, unitamente a quei compagni di lavoro,<br />
più numerosi di loro, che sono impegnati in altre industrie, non pensano che questi milioni,<br />
nel partire dal punto d’origine per venire a Roma e nel tornare laddove si fa il lavoro, in gran<br />
parte sì perdono per strada e non son certo goduti dai lavoratori…..” Prosegue rilevando come<br />
sulle commesse da assegnare, onde evitare lo sfruttamento dei lavoratori sia necessario<br />
prevedere “…nei capitolati potremmo mettere che, a preferenza, saranno scelti quegli<br />
stabilimenti che hanno orari normali, e non mettono gli operai nelle condizioni di subire un<br />
numero considerevole d’infortuni….”.<br />
Queste parole le sentiamo, purtroppo, ancora oggi attuali, potrebbero essere riferite<br />
all’andamento di una qualsiasi discussione sulle commesse militari e non solo di quelle.<br />
L’azione di Chiesa è stata costantemente rivolta, oltre che al miglioramento delle condizioni<br />
di vita e di lavoro, all’ottenimento dei diritti dei lavoratori e grande è stata la sua battaglia per<br />
l’ottenimento del diritto di sciopero dei marittimi e il diritto all’assistenza delle famiglie dei<br />
caduti in mare.<br />
Genova e le sue attività erano costantemente presenti nell’azione di Chiesa, maggiormente,<br />
quando si discutevano problematiche che riguardavano direttamente la città. Come in<br />
occasione della discussione della legge sul consorzio autonomo del porto: “…il porto di<br />
Genova non dovrebbe essere considerato alla stregua comune di tutti gli altri porti, ma<br />
dovrebbe essere considerato come un porto concorrente con tutti gli altri porti del mondo..”<br />
Queste sue convinzioni lo fecero muovere decisamente per l’ottenimento della<br />
municipalizzazione del porto con l’amministrazione affidata al comune di Genova<br />
“…progetto accolto con benevolo compatimento, disse Chiesa, quasi come utopia…. Ma se<br />
questa soluzione non fosse possibile si faccia un Consorzio con la presenza anche dei ministri<br />
interessati (marina, lavori pubblici, finanze) unitamente alla città e alle rappresentanze sociali,<br />
prevedendo l’unificazione di tutte le attività presenti (stabilimenti, impianti, chiatte, mezzi<br />
mobili e immobili) disciplinando tutte le prestazioni manuali favorendo lo sviluppo delle<br />
cooperative e tutte le norme per regolarne l’attività..” Eravamo nel 1902 e la lungimiranza di<br />
Chiesa sulla gestione delle attività portuali balza oggi in tutta la sua evidenza e valenza e la si<br />
ritrova anche nello svolgimento dell’attività che da cent’anni la compagnia portuale, che porta<br />
il suo nome, conduce.<br />
Chiesa è sempre più impegnato per la sua Genova, instancabile organizza cooperative, le<br />
leghe delle cooperative e delle mutue nella regione, fonda il quotidiano “Il Lavoro” creando<br />
una voce alternativa e di confronto, principalmente con gli altri due giornali locali, “Il Secolo<br />
XIX”, e il “Corriere Mercantile”, ma anche con gli altri minori, tutti controllati<br />
dall’imprenditoria cittadina e dalla destra politica. “Il Lavoro” spiega la pubblicità con<br />
raffigurata l’immagine di un lavoratore nudo, è un “giornale quotidiano politico e<br />
commerciale” al costo di 5 cent. la copia e con premi per chi contraeva un abbonamento<br />
annuo a 15 lire. Alla direzione del giornale chiama Giusepe Canepa altro uomo di prestigio<br />
del socialismo genovese, fondatore e direttore del settimanale socialista “Era Nuova” di<br />
Genova e de “La Lima” d’Oneglia, il quale resterà alla guida del quotidiano per ben 35 anni,<br />
fino al 1938, e che sarà suo compagno di lotta e d’impegno in parlamento, anche dopo aver<br />
lasciato il PSI per seguire Bissolati nel partito riformista. Con il tipografo Lodovico Calda,<br />
giovane esponente sindacale, responsabile della federazione dei lavoratori del mare, che negli<br />
37
anni sostituirà prima Chiesa alla presidenza del giornale e poi Canepa alla direzione. Chiesa,<br />
Canepa e Calda formeranno un formidabile trio d’uomini dediti contemporaneamente alla<br />
causa politica socialista e quella dei lavoratori.<br />
Gli anni d’inizio secolo sono anni durissimi per i lavoratori e le loro organizzazioni sia<br />
professionali, sia delle Camere del Lavoro, la repressione è sempre più accanita nel vano<br />
tentativo di impedirne lo sviluppo e Chiesa non demorde dal suo impegno di continua<br />
denuncia contro i soprusi e le violenze dei padroni contro i lavoratori, che passano impunite<br />
anche grazie alla compiacenza dei tribunali del regno che regolarmente condannano i<br />
lavoratori, nonostante i diritti a loro riconosciuti. Chiesa ha un quadro chiaro della situazione<br />
nazionale per l’attività che svolge nel partito e i collegamenti che ha con i tanti compagni<br />
impegnati nel far rispettare i diritti dei lavoratori: Agnini, Badaloni, Rigola, Prampolini, Tasca<br />
e tanti altri, arrivando ad affermare in parlamento che “..I proprietari si sono organizzati<br />
contro le leghe e le Camere del Lavoro e qualunque cosa commettano questi organismi<br />
padronali ottengono sempre l’immunità nei loro contrasti con i lavoratori…” (Camera dei<br />
deputati 7 aprile 1905) Nonostante le tante resistenze e violenze dei padroni e del governo il<br />
sindacato e i socialisti con la sinistra parlamentare continuano a far progredire la classe<br />
lavoratrice, in particolare migliorano le condizioni dei lavoratori portuali tanto che alle<br />
critiche della destra alla gestione del consorzio Chiesa elenca tutti gli interventi compiuti in<br />
favore dei lavoratori, sottolineando tra gli altri quelli presi per il finanziamento della cassa di<br />
previdenza e della cassa di soccorso delle famiglie in difficoltà, affermando con forza<br />
“….Tutte queste cose utili, belle e buone ha fatto il consorzio ed io ho ben ragione<br />
d’indignazione, quando sento che si critica il Consorzio..” (Camera dei deputati 5 giugno<br />
1905) Chiesa è tra i protagonisti della fondazione, della prima Confederazione Generale del<br />
Lavoro, di cui Rinaldo Rigola sarà il primo segretario generale, restando in carica fino al<br />
1918. E’ un ricorso storico significativo ed importante per il movimento dei lavoratori che i<br />
primi due deputati operai si ritrovano fra i protagonisti della fondazione della CGdL.<br />
L’attività di Chiesa nel sindacato e nella cooperazione trovò conferma della sua validità,<br />
l’anno dopo quando la Confederazione Generale del Lavoro stipulò patti d’unità d’intenti con<br />
la Lega delle Cooperative e la Federazione Nazionale delle Società di Mutuo soccorso, patti<br />
condivisi e sostenuti anche dal Partito.<br />
Dopo le vicissitudini all’interno del partito socialista che lo videro impegnato con i riformisti<br />
di Turati – per il quale andò a Milano a fare la campagna elettorale- e per questo motivo la<br />
maggioranza del partito, detenuta dai massimalisti, gli tolse la candidatura nel suo collegio di<br />
Sampierdarena e per rientrare in parlamento dovette ricorrere alle elezioni suppletive<br />
presentandosi nel collegio di Budrio controllato dai riformisti. Fatto che non allontanò Chiesa<br />
dal proseguire testardamente la sua azione in favore di Genova, della città che ormai era<br />
diventata, sindacalmente e politicamente la sua città, non più solo quella d’adozione.<br />
Tornato in parlamento, nel 1909, riprese la sua battaglia per i diritti dei lavoratori con<br />
rinnovato vigore al punto che prendendo la parola per rispondere al discorso della corona<br />
pronunciato dal Re, Chiesa richiamò le parole dette dal Sovrano nel discorso del 1904,<br />
quando affermò solennemente “…Io ho sperimentato la libertà e gli esperimenti di libertà<br />
m’incoraggiano a perseverare in essa…” ricordando anche i fatti succedutesi in quegli anni<br />
con il perdurare dell’attacco padronale alle condizioni e ai diritti dei lavoratori finendo con<br />
affermare “…la libertà non può essere fine a se stessa, il più forte che vince oggi sarà vinto<br />
domani. Oggi sono più forti i lavoratori e vanno essi all’attacco e domani sono più forti i<br />
padroni e noi dobbiamo perdere le nostre conquiste, Questo non è un bene per nessuno…”. La<br />
statura dell’uomo che, da semplice operaio scarsamente istruito, da autodidatta è diventato<br />
uno dei più prestigiosi dirigenti sindacali e politici, si manifesta, in tutta la sua grandezza, in<br />
uno dei suoi ultimi e più significativi discorsi tenuto al parlamento di fronte alle<br />
comunicazioni del governo con le quali si denunciava l’eccessiva crescita dei salari, con un<br />
38
costo del lavoro che metteva in crisi la produzione italiana nei confronti della concorrenza<br />
estera (ci si potrebbe domandare se siamo nel 1909 o nel 2005?) Chiesa così replicò al<br />
governo “…io mi trovo d’accordo con qualcuno dell’altra riva a sostenere la necessità di<br />
proteggere il lavoro in patria evitando l’intervento di concorrenti esteri. Io pur sapendo che<br />
quei lavori venivano a costare il 20-25% in più, approvai nella speranza che quegli industriali<br />
avrebbero saputo migliorare i loro prodotti invece no. Essi non possono competere con gli<br />
stabilimenti esteri perché in Italia la burocrazia e il favoritismo prevalgono su ogni buona<br />
norma. Lo stato può risparmiare milioni cercando di favorire quelle cooperative che in campo<br />
industriale producono meglio e a minor prezzo…”. Questo ragionamento colpisce per la sua<br />
attualità in generale, anche se riferito alle sole commesse pubbliche, e se ne possono trarre<br />
alcune considerazioni: la prima che gli industriali italiani accusavano l’alto costo dei salari<br />
come unico motivo della perdita di mercato, la seconda che praticando prezzi più alti<br />
incassando di più non miglioravano né la qualità del prodotto né le prestazioni, la terza che<br />
favoritismi, quindi interessi privati in quelli pubblici, rendevano ancor più difficile reggere la<br />
concorrenza per i costi aggiuntivi che si dovevano pagare. Infine la quarta che se le commesse<br />
statali avessero tenuto conto delle aziende cooperative, ed anche di quelle private, che erano<br />
in grado di produrre meglio e a minori costi avrebbe ottenuto due risultati quello di fermare la<br />
concorrenza estera e quello di premiare il lavoro di qualità. Su quest’interpretazione e<br />
soprattutto sull’azione di Chiesa si aprì uno scontro molto duro all’interno del PSI fra i<br />
riformisti e i massimalisti, questi ultimi criticavano aspramente la “debolezza” le “concessioni<br />
“ che i riformisti facevano ai conservatori, sostenendo che le cooperative erano sempre più il<br />
capitalismo dei poveri, e con esse non solo si conservava il sistema, ma si abbandonava l’idea<br />
rivoluzionaria di abbatterlo per conquistare il potere.<br />
L’agire dei riformisti era considerato come la negazione della rivoluzione.<br />
La dura realtà della situazione italiana veniva ancor più sottolineata dai circa 700.000 emigrati<br />
che in media ogni anno abbandonavano il nostro Paese, per l’impossibilità di poter<br />
sopravvivere. Milioni di uomini e donne che non venivano fermati né dal governo, per<br />
mancanza d’interventi atti allo scopo, né dall’opposizione in mancanza di un univoco<br />
messaggio di speranza e di prospettiva, impegnata com’era in una dilaniante polemica sul<br />
cosa fare per prendere il potere e sul come gestirlo.<br />
Un dibattito aperto che troverà il suo punto culminante nel cosiddetto biennio rosso 1919-<br />
1920, quando esplose in modo netto lo scontro tra il sindacato guidato in maggioranza dai<br />
riformisti e il partito dai massimalisti o comunque fortemente da essi condizionato, con<br />
l’occupazione delle fabbriche e l’imbarazzo della sinistra sul cosa farne. E’ esemplare quel<br />
periodo per capire meglio la situazione sindacale e politica della sinistra, e le polemiche sorte<br />
sull’azione dei riformisti come Chiesa e Turati. Comprendere meglio anche le varie crisi che<br />
hanno attanagliato il movimento fin dai primi scontri all’inizio del secolo, proseguite e pagate<br />
con il travaglio delle scissioni, sia nel partito, sia nel sindacato, culminate con la profonda<br />
spaccatura sulla posizione da tenere nei confronti della prima guerra mondiale.<br />
Quando accadevano quegli avvenimenti Chiesa era già morto, ma il suo pensiero era<br />
sicuramente più vivo nei dirigenti della Confederazione che in quelli del partito.<br />
Morì la sera del 14 dicembre in Via De Amicis a Sampierdarena, nella via dedicata<br />
all’educatore che aveva ammirato e amato Pietro Chiesa per averlo sentito vicino non solo<br />
politicamente, ma soprattutto per averlo considerato anch’esso educatore, emancipatore e<br />
lucida guida dei lavoratori.<br />
Persino il conservatore e avversario “Secolo XIX” dovette ammettere la grandezza di Chiesa e<br />
l’importanza della sua opera, dedicandogli un articolo, apparso il giorno dopo la morte, il<br />
15/12. nel quale alla sua figura era dato il giusto valore come espressione genuina, onesta e<br />
fedele interprete dello stato d’animo e dei bisogni dei lavoratori e il giusto posto nella storia<br />
della città e della nazione.<br />
39
Comunicazione di Gianni Salvarani al convegno su Nicola Badaloni, “antesignano del<br />
movimento sindacale nel Polesine”Rovigo, 24 febbraio 2005<br />
Con l’avvio della stagione congressuale della UIL, l’Istituto di Studi Sindacali ha promosso,<br />
unitamente alle diverse strutture di volta in volta interessate, una serie d’approfondimenti sui<br />
principali protagonisti della nascita delle forme d’associazionismo fra lavoratori, che in fasi<br />
successive diventeranno organizzazioni sindacali.<br />
Abbiamo iniziato questo percorso con una riflessione sull’apostolo per antonomasia del<br />
socialismo riformista Camillo Prampolini, come secondo incontro abbiamo scelto di onorare<br />
la memoria, nel 90° della morte di un altro grande socialista riformista Pietro Chiesa, anche<br />
lui come Badaloni nato in una regione diversa da dove ha svolto la sua attività, per lui si<br />
trattava del Piemonte, come per Badaloni le Marche; per lui rimanere legato per tutta la vita<br />
alla Liguria e alla “sua” Genova, anziché al Veneto e al “suo” Polesine, ma ambedue, come<br />
Prampolini, così grandi da superare i confini provinciali e regionali.<br />
La nostra scelta facendo tesoro della affermazione di Sandro Pertini “gli anziani ricordino e i<br />
giovani sappiano”, ci ha portato anche a coinvolgere organizzazioni che contribuissero<br />
all’arricchimento delle iniziative, ed è per questo che abbiamo voluto avere con noi<br />
l’Università Popolare del Veneto intitolata ad un grande figlio di questa terra veneta “Silvio<br />
Trentin”. Un uomo del quale, fra le tante e importanti elaborazioni ideali prodotte in nome<br />
della “liberazione dell’umanità”, come lui soleva definirla, e che nel suo ultimo appello ai<br />
lavoratori delle venezie, lanciato in piena lotta di liberazione dalla dittatura nazi-fascista,<br />
riaffermando la validità della scelta socialista concludeva con “vivano i popoli per la loro<br />
redenzione! Viva l’Italia libera!”, purtroppo un’Italia libera che egli non poté vedere,<br />
cessando di vivere prima della totale liberazione del Paese. Ebbene, di questo grande uomo<br />
voglio solo ricordare l’episodio legato alla vostra terra quando il 4 novembre del 1924 sfidò<br />
apertamente i fascisti, del suo paese e quelli disseminati lungo il percorso da S. Donà di Piave<br />
al cimitero di Fratta Polesine, ad impedirgli di arrivare alla tomba di Giacomo Matteotti per<br />
onorarne la memoria.<br />
Come Istituto abbiamo<br />
cercato e individuato, fra i<br />
tanti protagonisti, coloro<br />
che sono più vicini al<br />
nostro bagaglio ideale e<br />
culturale. Uomini che non<br />
solo si sono impegnati per<br />
il riscatto delle genti, ma<br />
hanno anche saputo<br />
trasmettere quella<br />
coscienza di classe che è<br />
stata alla base dei<br />
miglioramenti conquistati<br />
dai lavoratori.<br />
Uomini d’ogni estrazione<br />
sociale e delle più varie<br />
professioni, ma con un<br />
denominatore comune:<br />
l’impegno per<br />
l’affermazione<br />
dell’uguaglianza dei diritti<br />
per tutti i cittadini e il<br />
40
diritto ad una vita dignitosa dei lavoratori.<br />
L’impegno nella sinistra di fine ottocento, che vedeva presenti le diverse espressioni politiche,<br />
andava dalla idealità socialista a quella repubblicana, da quella anarchica a quella radicale, ma<br />
tutte e tutti in ogni modo impegnati contro il dispotismo del potere costituito e padronale e per<br />
alleviare la condizione dei lavoratori, dei poveri e dei malati.<br />
Nicola Badaloni era uno di questi e per le genti del Polesine era il loro apostolo, il loro<br />
benefattore, l’uomo che dedicò tutto se stesso alla loro causa.<br />
La nostra Federazione dei Poteri Locali che organizza al suo interno tutto il settore della<br />
sanità, dai medici agli ausiliari, ha condiviso la proposta dell’Istituto per dar vita ad una<br />
riflessione sull’opera di questo grande medico che se avesse svolto la sua attività<br />
professionale nei tempi nostri, per i contenuti e il significato che ad essa ha voluto dare, per<br />
averla accompagnata con la scelta politica del socialismo riformista, siamo sicuri di non fare<br />
nessuna forzatura alla sua storia affermando che un uomo come Badaloni può essere<br />
considerato un antesignano di un sindacato laico-socialista come la UIL e all’interno di essa<br />
far parte della grande famiglia della UIL sanità.<br />
Non spetta certamente a me approfondire l’opera, svolta in tanti anni di attività, con enorme<br />
dispendio di energie, del Badaloni scienziato della medicina, lo hanno fatto ben più autorevoli<br />
personaggi, parlandone e scrivendone a partire dal premio nobel Rita Levi Montalcini, ma<br />
molto più modestamente svolgere il compito di mettere in risalto il contributo che ha dato alla<br />
causa dei lavoratori ed ha quella socialista, nella speranza di sapervi dare il giusto valore e<br />
cogliere almeno la parte essenziale di quegli aspetti, della sua attività sociale e politica, sui<br />
quali molti storici, studiosi e politici si sono soffermati, mantenendo viva nella memoria<br />
l’azione e il pensiero di un così grande “benefattore”, in particolare l’importante opera svolta<br />
dal prof. Mario Cavriani che è sicuramente il depositario di tanta storia Rodigina e del<br />
Polesine.<br />
Il primo impatto che abbiamo con Badaloni è quello derivante da una sua precisa scelta di<br />
campo, infatti, fin dalla sua giovanissima età, in quella<br />
Recanati, culla di una delle prime Società di Mutuo Soccorso fra lavoratori e di personaggi<br />
autorevoli nell’esercizio della professione medica, ma ancor più nella manifestazione delle<br />
idee riformiste come lo fu il suo mentore Giovanni Falleroni, scelse di essere dalla parte degli<br />
oppressi e non degli oppressori. Così appena laureatosi, con lode, all’università di Napoli e<br />
dopo un breve passaggio alla condotta medica di Cesi, in provincia di Terni, nel marzo del<br />
1878 assunse la responsabilità della condotta medica di Trecenta.<br />
Badaloni, come affermerà più tardi in uno dei suoi interventi alla Camera, interpretò da subito<br />
come il ruolo del medico condotto fosse: “…il cardine del nostro sistema sanitario” e un<br />
“istituto essenziale per la tutela della pubblica igiene che sotto vario nome si trova nelle<br />
Amministrazioni sanitarie di tutte le nazioni più progredite”. Insistendo sulla necessità di<br />
intervenire sui problemi della salute non come fine a se stessi, ma legandoli ai problemi<br />
sociali e della criminalità al punto da compiutamente definirla nel senso più ampio del<br />
termine e della sua applicazione, in questo modo: “la salute pubblica è veramente ricchezza<br />
pubblica, ma non basta essa è moralità pubblica. Se è vero che la delinquenza, che è<br />
soprattutto una conseguenza dolorosissima dello squilibrio sociale, con le migliorate<br />
condizioni sociali si attenua, noi rimuovendo le ragioni di un numero infinite di malattie e di<br />
morti, veniamo a togliere una delle cause e delle non meno gravi, del malessere sociale.<br />
D’altra parte non si può revocare in dubbio che nel malessere fisico, nelle continue sofferenze<br />
materiali, nella conseguente depressione morale, si debbano ricercare coefficienti di non lieve<br />
importanza della spinta al mal fare: ma appare evidente che, tutelando efficacemente la salute<br />
pubblica, noi tuteliamo altresì efficacemente la pubblica moralità….”queste parole<br />
pronunciate nel 1888, le sentiamo ancora attuali oggi nel 2006!<br />
41
Come medico condotto si rese conto, più di ogni altro uomo politicamente impegnato, che<br />
oltre al dover far fronte alle necessità mediche, di igiene, prevenzione e cura era<br />
indispensabile condurre una azione di promozione culturale e di lotta alle cause della povertà.<br />
Ciò dovuto al fatto di aver trovato una situazione drammatica per la diffusione della pellagra,<br />
causata dal denutrimento, della malaria, per la mancanza di bonifiche dell’ambiente e dello<br />
sfruttamento messo in atto dai proprietari terrieri. Per sfuggire ad una situazione così grave,<br />
alla povera gente del Polesine non restava, come unica alternativa alle sofferenze e al morire<br />
di stenti, che l’emigrazione.<br />
Le ragioni che spingevano decine di migliaia di contadini del Polesine ad andare “raminghi”<br />
per il mondo, tra il 1887 e il 1899 gli emigrati furono più di 60.000, erano, come affermò<br />
Badaloni in un suo intervento al Parlamento sulla legge sull’emigrazione, “la scarsezza e<br />
intermittenza del lavoro, che vuol dire insufficienza del salario, vuol dire avara o nessuna<br />
partecipazione fatta al contadino nei prodotti del suolo, vuol dire mancanza di difesa dei diritti<br />
del lavoratore cui vengono imposti patti leonini, vuol dire nessuna speranza di migliorare la<br />
propria condizione economica….queste sono le cagioni della migrazione di gran parte delle<br />
nostre popolazioni rurali…..Le province nelle quali l’emigrazione assume le maggiori<br />
proporzioni sono quelle desolate dalle febbri e dalla pellagra e, recentemente corse dagli<br />
scioperi dei contadini…..Il contadino del Polesine che dopo aver richiamata invano<br />
l’attenzione sulle sue miserevoli condizioni, rifiutò l’opera sua per una mercede che non lo<br />
solleva dal bisogno, e, al grido de “la boje” iniziò lo sciopero che si estese a tanta parte delle<br />
campagne del Veneto, dell’Emilia e della Bassa Lombardia…, (fu il grande sciopero del 1884<br />
che resterà famoso per la dura repressione, la carcerazione di 140 braccianti, ma soprattutto<br />
per una delle poche ma significative sentenze di assoluzioni dei lavoratori, da parte del<br />
tribunale di Venezia). Badaloni proseguiva “quali provvedimenti per rimuovere almeno<br />
alcune fra le più dolorose cause dell’emigrazione vengono proposti con questo disegno di<br />
legge? Nessuno!” concludendo che per limitare l’emigrazione “…non vi è che un mezzo, fare<br />
all’interno tutte le riforme sociali indispensabili, cominciando dall’applicazione dell’imposta<br />
progressiva, abolire tutte le ingiustizie legali cominciando dal togliere tutte le barriere feudali,<br />
che trasformano i liberi mestieri in corporazioni chiuse; preparare con un lavoro serio, diretto<br />
al pacifico svolgimento morale ed economico dei popoli, la sostituzione agli eserciti<br />
permanenti della nazione armata…” Molti altri medici condotti, come Badaloni si ispiravano<br />
agli ideali socialisti e repubblicani essi furono il lievito dell’associazionismo e della<br />
diffusione dell’impegno di classe per risolvere i problemi delle popolazioni di cui avevano la<br />
giurisdizione. Badaloni, quindi, era non solo impegnato come medico, non lesinando buona<br />
parte del suo tempo agli studi sul come combattere efficacemente pellagra e malaria, ma<br />
anche per lottare contro governo e padroni per la difesa del lavoro in generale e di quello delle<br />
donne e dei fanciulli in particolare, condannando in ogni suo dire e agire lo sfruttamento. Per<br />
meglio divulgare il suo pensiero fondò anche un giornale “La Lotta”, quale giornale socialista<br />
del Polesine, che si contrapponeva ai giornali della destra conservatrice e degli agrari.<br />
Il suo impegno socialista fu a tutto campo, fornendo contributi di grande qualità alla politica<br />
del partito in parlamento come nella società, un intervento qualificante fu quello fatto,<br />
annunciando il voto contrario del gruppo socialista, sul bilancio del ministero della guerra:<br />
”……non perché nemici della Patria, ma perché a tutti i cittadini noi vogliamo assicurare una<br />
patria che sia una realtà e non una astrazione, come oggi è per la massa proletaria: non perché<br />
nemici dell’esercito, ma perché vogliamo distruggere codesto dualismo per cui, teoricamente,<br />
il soldato muore per la Patria, mentre la massa proletaria combatte – come ieri in Africa, come<br />
domani forse in Cina – per interessi che nessuno vorrà sostenere essere quelli del proletariato<br />
il quale, vincitore o vinto, non ha dalla guerra che i danni, i dolori e i lutti; noi combattiamo la<br />
vostra politica militare. Mentre a voi il militarismo appare come guarentigia della vita civile<br />
della nazione, agli occhi nostri il prevalere della politica militare nella politica dello Stato<br />
42
appare come una smentita a tutta l’opera della civiltà. Una civiltà, signori, non si regge, se<br />
tutte le classi sociali non godono di una agiatezza relativa, ed è assai vicina alla agonia una<br />
società che non sia in grado di mantenere coloro del cui lavoro mantiene se stessa…” Un<br />
intervento fatto alla Camera nel mese di giugno del 1899 la cui attualità, anche in questo caso,<br />
merita di essere evidenziata.<br />
Per combattere la miseria e la precarietà di vita, da consigliere provinciale di Rovigo si batte<br />
strenuamente per far approvare, durante la sua lunga militanza in consiglio durata quasi<br />
ininterrottamente dal 1889 al 1919, le opere pubbliche: ferrovie, strade, bonifiche opere<br />
idrauliche, servizi postali e luoghi di cura, in modo che attraverso il lavoro si arrivasse a<br />
quella elevazione sociale indispensabile per fermare il degrado persistente.<br />
In questa sua opera trovò non solo la disponibilità del consiglio, ma soprattutto il forte<br />
sostegno in Amos Bernini, sia in parlamento, sia nella sua qualità di sindaco di Rovigo.<br />
Badaloni, alla camera nella seduta del 29 novembre 1909, né fece una commossa<br />
commemorazione affermando fra l’altro: “…uno degli esempi più luminosi del genio delle<br />
nostre genti, per intelletto, per intraprendenza, per tenacia, per equilibrio” valorizzando<br />
l’importanza delle opere realizzate e quanto il Polesine tutto gli doveva essere riconoscente<br />
per l’attività svolta.<br />
Badaloni accompagnò sempre l’impegno in Provincia con altrettanta intensità, anzi in alcuni<br />
casi anche maggiore, con quella parlamentare, dove fu eletto per ben otto legislature.<br />
Fu eletto la prima volta come esponente di democrazia radicale, ma dopo la costituzione del<br />
partito socialista italiano nel 1892 Badaloni sì iscrisse al partito socialista, tanto che nelle altre<br />
elezioni fu sempre eletto nelle liste del partito, all’interno del quale, pur confrontandosi con le<br />
diverse correnti di pensiero che si manifestavano, rimase sempre fedele alla componente<br />
riformista, schierandosi con Turati, Prampolini e Treves solo per citare alcuni fra i più<br />
prestigiosi rappresentanti del riformismo socialista.<br />
Come è possibile verificare il suo impegno politico fu principalmente rivolto alla questione<br />
sociale, divenendo promotore della costituzione delle leghe bracciantili, di società di mutuo<br />
soccorso, di cooperative fra braccianti per l’esecuzione di lavori pubblici, di circoli socialisti<br />
in tutto il Polesine. Cominciò con la lega dei contadini di Trecenta , forte di ben 350 iscritti,<br />
per proseguire in tanti altri comuni della provincia. Organizzando rivendicazioni e scioperi,<br />
finendo per essere anche l’interlocutore capace di risolvere le vertenze, pur senza esserne<br />
titolato nella gestione diretta delle leghe.<br />
Lo riconobbe lo stesso Giolitti che più di una volta sollecitò le autorità di PS di chiamarlo,<br />
affinché si adoperasse “per aiutare la conciliazione al fine di ottenere con i proprietari accordi<br />
ragionevoli”.<br />
Badaloni in un intervento alla Camera, in occasione della discussione del bilancio del<br />
ministero dell’interno, così descrisse la sua opera di organizzatore<br />
“sindacale”:….L’organizzazione dei contadini del Polesine è il frutto di un’opera lenta di<br />
educazione, l’epilogo di oltre 20 anni (siamo nel 1901) di lavoro e di lotte. Per risalire alle sue<br />
origini , bisognerebbe risalire al tempo in cui l’opera dei partiti democratici cominciava a<br />
solcare le campagne del Polesine…..l’opera di organizzazione del nostro proletariato è<br />
attraverso quest’opera di educazione civile e politica che il proletariato agricolo del Polesine<br />
ha conseguito la sua ascesa morale…..Questo movimento vuol dire movimento sociale ed<br />
etico, vuol dire la conquista della salute e la vita, che sono quotidianamente insidiate<br />
dall’insufficienza del pane…..affermando il loro diritto all’esistenza, non più né soltanto<br />
come individui per il beneplacito del padrone che dia ad essi da vivere, ma come classe, sotto<br />
la tutela della legge, pretendono che nell’economia dello Stato e nella politica del Governo i<br />
loro diritti e i loro interessi siano rispettati e difesi , come sono difesi e rispettati quelli dei<br />
proprietari.” L’azione organizzativa di Badaloni fu tanto efficace che il governo Crispi<br />
preoccupato qui, come in altre zone, per il diffondersi delle iniziative, da lui giudicate<br />
43
sovversive, fece scattare anche in questa lontana e depressa provincia la sua repressione .Una<br />
repressione, dura e cruenta con centinaia di morti fra i lavoratori in sciopero e che spesso si<br />
trasformava in atti di gratuita barbarie, come quando, qui vicino, sull’altra sponda del Po a<br />
Berra, un contadino staccatosi dal corteo di scioperanti chiese, con il cappello in mano, la<br />
parola, l’ufficiale che comandava le truppe intervenute per reprimere lo sciopero gli rispose “<br />
sì eccola” sparandogli tre colpi di pistola alla testa. Il bracciante Calisto Desiò cadde<br />
fulminato e prima che i suoi compagni si potessero mettere in salvo altri di loro caddero sotto<br />
i colpi dei fucili dei militari.<br />
Una situazione che veniva continuamente denunciata da tutti i deputati socialisti e spesso a<br />
nome del gruppo era Badaloni a svolgere l’intervento. In occasione del dibattito su uno dei<br />
tanti eccidi di lavoratori, Badaloni sottolineò con forza: “Noi o signori, siamo stati quelli che<br />
abbiamo allontanato le masse ignare e misere dalle strade della violenza; noi abbiamo<br />
strappato loro dal cuore le collere omicide, additando ad esse la via pacifica e civile<br />
dell’organizzazione, che sono la leva più potente dell’ordine pubblico in un paese civile.<br />
Questo noi abbiamo fatto….” Aggiungendo che quando non era il tribunale a condannarli,<br />
“…venivano colpiti dalla classe proprietaria. E appartenere alle leghe fu reato, punito con la<br />
esclusione dal lavoro e con lo sfratto dalle case….”<br />
Era la risposta socialista all’applicazione violenta dei famigerati articoli 166 e 167 del codice<br />
penale, che prevedevano pene durissime per chi scioperava e chi si faceva promotore degli<br />
scioperi. Era la risposta democratica di chi sosteneva la legalità degli scioperi. Era il<br />
ribadimento della insostenibile condizione dei lavoratori.<br />
Badaloni intensificò il suo impegno per la costituzione delle leghe bracciantili e soprattutto<br />
affinché queste fossero decisive per l’azione rivendicativa che conducevano. In altre parti del<br />
Polesine sorsero, ad opera sopratutto dei socialisti rivoluzionari, le Camere del Lavoro,<br />
anch’esse organizzate in leghe e con un loro giornale “Lotta di Classe” che si trasformerà in<br />
“Protesta Proletaria”, con gli stessi obiettivi immediati, ma con finalità diverse e per questo in<br />
costante polemica con le organizzazioni promosse da Badaloni e con il suo giornale “La<br />
Lotta”.<br />
Badaloni accompagnò costantemente la sua azione di organizzatore con l’esercizio della<br />
professione e gli studi su come combattere e debellare le malattie, non solo per le popolazioni<br />
del Polesine. I suoi interventi sulla legge contro la pellagra si fecero più insistenti con<br />
denunce puntuali per la parziale applicazione della legge, per la mancata somministrazione<br />
gratuita del sale, dei medicinali ai poveri, allargando il suo interesse di scienziato alla<br />
tubercolosi, da lui definita la malattia della miseria, sostenendo che “..la povertà con tutte le<br />
sue conseguenze: con i patimenti del bambino scolpiti nelle ossa gracili, contorte dalla<br />
rachitide: è la povertà con l’alimentazione insufficiente, con le abitazioni malsane, dove, nel<br />
breve spazio di una stanza buia sono addensate otto, dieci, dodici persone, come ho visto<br />
anche a Roma, in mezzo alla più nauseante mefite materiale e morale: è la povertà con la<br />
ignoranza e la impossibilità di ogni pratica della igiene, che prepara il terreno sul quale<br />
prospererà il germe funesto…”.<br />
A causa dei forti contrasti che continuamente esplodevano all’interno del partito socialista,<br />
Badaloni si defilò dalla vita interna del partito, ma non altrettanto dall’impegno sociale, sia<br />
nel territorio, sia in parlamento dove condusse una delle ultime battaglie: la richiesta di un<br />
intervento legislativo contro il commercio degli stupefacenti mettendo a nudo l’esistenza di<br />
una organizzazione criminosa, affermando che “introduce il veleno dai centri di produzione<br />
all’estero e lo diffonde nel Paese”. Battaglia vinta, con l’ottenimento di una legge contro l’uso<br />
degli stupefacenti e dello zolfo bianco.<br />
Nel 1920 il governo Giolitti lo nomina senatore del Regno compiendo un atto di<br />
riconoscimento al grande valore assunto dall’opera svolta in oltre quarant’anni di attività.<br />
44
Quando il fascismo imperversò Badaloni ebbe un sussulto politico schierandosi apertamente<br />
contro, ma nonostante le pressioni ricevute non volle più rientrare nell’attività politica.<br />
Con il passare degli anni le sue sofferenze aumentarono fino a paralizzarlo e farlo diventare<br />
cieco. Morì in tarda età, in miseria, vivendo gli ultimi anni della sua vita assistito e mantenuto<br />
dai vecchi amici, avendo rifiutato l’assegno di sostentamento che il regime fascista voleva<br />
assegnarli, fu la conclusione di una vita spesa per il bene degli altri che si chiuse con la stessa<br />
grande dignità di così come era iniziata.<br />
Fu un apostolo, prima ancora che “sindacalista” tenace e politico capace, il suo parlare dolce e<br />
fluido era l’espressione concreta della sua bontà, rettitudine e inflessibilità nel comportarsi<br />
con se stesso, come con i lavoratori e gli avversari di classe.<br />
L’opera e la personalità di Badaloni non poteva essere meglio ricordata di com’è stato fatto<br />
nell’epigrafe impressa sulla sua lapide nel cimitero di Trecenta e su quella apposta nella sua<br />
casa natale a Recanati, ma senza voler nulla togliere alle amministrazioni che hanno voluto<br />
dare l’importante riconoscimento e trasmettere, con parole di così alto significato, alle<br />
generazioni future il ricordo del pensiero e dell’opera di Badaloni. Credo che ugualmente<br />
importante e significativo sia il riconoscimento spontaneo contenuto in una nota poesia<br />
popolare a lui dedicata da Guido Rizzati, laddove il poeta in un passo condensa con semplicità<br />
come la gente “sentiva” l’opera di Badaloni “l’ha speso tute le so energie e capacità par<br />
solevar la pora zente della poertà.”<br />
✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵<br />
Il 22 settembre 2006 si è svolto a Recanati il convegno su Nicola Badaloni. Le motivazioni<br />
che hanno spinto l’Istituto di studi sindacali a proporre questa celebrazione - ricordo è molto<br />
bene espressa nella presentazione del pieghevole del programma e cioè “quella di organizzare<br />
due incontri: uno nella terra che lo ha visto protagonista del riscatto delle povere genti del<br />
Polesine, tenutosi a Rovigo il 24 febbraio 2006e l’altra a Recanati nella città che gli ha dato i<br />
natali. Un incontro omaggio del sindacato ad un uomo che, senza mai essere stato sindacalista<br />
come si è usi intendere l’attività svolta per conto di un organizzazione sindacale, ha saputo<br />
realizzare come politico e scienziato, per i lavoratori ed i cittadini del Polesine, molto di più<br />
da solo di quanto abbia saputo e potuto fare le neonate organizzazioni sindacali dell’epoca.<br />
Un riconoscimento che la FPL e<br />
l’Istituto di Studi Sindacali<br />
sentitamente partecipano nei<br />
confronti di un compagno socialista<br />
riformista che, con l’attività politica<br />
svolta, è stato uno dei protagonisti<br />
della formazione di quelle radici<br />
ideali che da sempre sono parte<br />
integrante del bagaglio culturale e<br />
dell’azione della UIL.<br />
L’opera e la personalità di Badaloni non<br />
poteva essere meglio ricordata di<br />
come è stato fatto nell’epigrafe<br />
impressa sulla sua lapide: “Medico,<br />
Scienziato, Apostolo, Deputato e<br />
Senatore socialista riscattò dalla<br />
pellagra la Padania, dalla servitù<br />
della miseria il Polesine e ne sollevò a dignità umanai lavoratori. Nel cuore delle popolazioni<br />
riconoscenti è il suo monumento”.<br />
45
Il 9 novembre 2006, l’Istituto della Enciclopedia Italiana, ha presentato il volume del<br />
“Dizionario biografico degli italiani” dedicato ai sindacalisti, a cui ha partecipato l’Istituto di<br />
Studi Sindacali che ha curato la parte riguardante i protagonisti della UIL.<br />
La giornata di studio ed approfondimento ha permesso di evidenziare il grande contributo che<br />
il sindacato confederale ha dato e consegnato alla storia del nostro Paese.<br />
✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵<br />
In occasione del 135° anniversario della nascita e del 61° della morte, si è tenuto a Forno<br />
di Zoldo (BL) il 25 novembre 2006, un convegno commemorativo dell’operaio socialista<br />
e primo deputato cadorino GIUSTO SANTIN (nato a Forno di Zoldo il 16/4/1871 e<br />
morto a Belluno il 25/11/1945).<br />
SINTESI DELLE CONCLUSIONI DI GIANNI SALVARANI<br />
Roma, 27 novembre 2006<br />
Di famiglia poverissima, quasi analfabeta, avendo fatto solo la terza elementare, Santin<br />
conobbe direttamente la miseria, la disoccupazione, l’emigrazione, l’emarginazione sociale, le<br />
ingiustizie dell’essere operaio di modesta<br />
cultura e la sfortuna di vivere in una delle<br />
zone più povere del Paese. In Italia come<br />
all’estero fu molto attivo nell’organizzare<br />
leghe tra lavoratori, in particolare fra quelli<br />
dell’edilizia. Iscritto alla sezione socialista<br />
di Forno di Zoldo dal 1895 fu, dal partito<br />
socialista, più volte candidato: nel 1913 alla<br />
Camera, ma non fu eletto e neanche al<br />
consiglio provinciale di Belluno nelle<br />
elezioni del 1914. Venne, però, eletto<br />
consigliere nel suo comune Per comprendere<br />
meglio come venivano eletti i deputati alla<br />
Camera e gli amministratori negli enti locali,<br />
occorre tener presente che all’Italia unita<br />
furono estese tutte le leggi sabaude, ivi<br />
comprese quella elettorale, secondo la quale<br />
per votare occorreva: primo saper leggere e<br />
scrivere, secondo aver compiuto i 25 anni, terzo aver pagato tasse per almeno 40 lire l’anno,<br />
che nella generalità dei casi voleva dire quanto poteva guadagnare un contadino o un operaio<br />
in un mese, sempre insufficienti per sfamare la propria famiglia. Si dovette attendere il 1877<br />
per avere una legge sulla istruzione obbligatoria e il 1882 per una nuova legge elettorale,<br />
queste “democratiche” innovazioni determinarono il passaggio dei votanti dal 2%-5% a circa<br />
46
il 10% allargando, quindi, ad una fascia più ampia di elettori comprendente anche una parte di<br />
lavoratori, artigiani e borghesi “illuminati”. Santin continuando l’impegno politico e di<br />
organizzatore sindacale, riuscì ad affermare la sua personalità politica ed avere sempre<br />
maggiore seguito, tanto che dalle informative della Questura si può costatare come e quanto<br />
sia stato capace di “farsi da solo” una nota affermava che: “ nel frequentare le adunanze e le<br />
persone colte del partito in cui milita ha acquisito istruzione superiore agli studi fatti (dalla<br />
Questura gli era attribuita la frequentazione solo della seconda elementare) Seppe elevare la<br />
sua condizione culturale al punto che, nel 1915, fu in procinto di sostituire Serrati alla<br />
direzione dell’Avvenire del lavoratore di Lugano. Da semianalfabeta a direttore di un<br />
giornale! Tra l’altro di un giornale socialista, che era tra i primi per importanza e diffusione<br />
tra quelli dell’epoca e che era letto non solo nel Ticino, ma anche nelle zone confinanti della<br />
Lombardia. Nei dieci anni d’emigrazione tra Germania, Austria e Svizzera tra il 1900 e il<br />
1910, poi di nuovo emigrante in Svizzera durante il periodo della prima guerra mondiale dal<br />
1914 al 1918, fu tra i protagonisti nell’organizzare i lavoratori emigrati, venendo registrato<br />
dalle polizie tedesche e svizzere come elemento anarcoide e sovversivo. In patria sostenne le<br />
grandi battaglie dei riformisti socialisti, come Prampolini e Badaloni, in particolare nella<br />
rivendicazione di adeguati interventi per lo sviluppo e il lavoro con il fine di bloccare la piaga<br />
dell’emigrazione per fame e bisogno. Rivendicazioni molto sentite nelle zone più povere del<br />
Veneto, il Polesine e il Bellunese, nelle quali l’emigrazione era l’unica alternativa al morire di<br />
stenti. Santin, con gli altri deputati socialisti, chiedeva la diminuzione delle spese militari per<br />
aumentare quelle in favore dell’occupazione, schierandosi conseguentemente contro la guerra<br />
di Libia e sostenendo la linea del partito “né aderire né sabotare” nella guerra 15/18. Come<br />
esponente autorevole del triveneto si confrontò spesso e duramente con il costituito ministero<br />
delle terre liberate, che alla fine della grande guerra fu appositamente istituito per affrontare la<br />
grave crisi esistente nel nord-est del Paese, sostenendo le ragioni del popolo veneto affamato.<br />
Il termine non era usato propagandisticamente, ma per raffigurare la cruda realtà esistente,<br />
tanto che durante una manifestazione di protesta di disoccupati e lavoratori, a Pieve di Soligo,<br />
un brigadiere uccise 4 manifestanti e l’autopsia rivelò che questi avevano lo stomaco vuoto da<br />
giorni, tanto era la loro miserevole condizione nutrizionale. Il 15 luglio del 1920 Santin<br />
intervenne alla camera con un duro discorso, chiedendo una commissione d’inchiesta per i<br />
tanti soprusi che proprio i rappresentanti del ministero commettevano a danno dei cittadini, i<br />
quali avevano già subito i soprusi da parte degli invasori austriaci e tanto sofferto per due anni<br />
di guerra combattuta sulle loro terre: “ Ormai la necessità di un’inchiesta senza alcun limite su<br />
tutte le amministrazioni militari e civili delle tre venezie si impone. Rimediare prontamente<br />
efficacemente per colpire inesorabilmente tutti i colpevoli delle malversazioni del pubblico<br />
denaro, degli altri effetti, tanto di vestiario, quanto di generi alimentari ed altro. Si ricordi il<br />
governo che i fatti accaduti in occasione dell’ultimo sciopero possono verificarsi nuovamente<br />
e non a grande distanza. Pensi il governo a provvedere, altrimenti saranno guai: guai per la<br />
popolazione, ma anche per il governo” La sua presenza alla Camera derivava dall’elezione<br />
avvenute nel 1919 dove fu eletto, nel collegio del Cadore con 3512 voti unitamente ad altri<br />
due candidati socialisti, due avvocati, Luigi Basso e Oberdan Vigna di Feltre. Scrisse<br />
l”Avvenire” foglio socialista di Feltre “ Giusto Santin umile, oscuro operaio che della vita del<br />
proletariato ha provato e prova tutt’ora gli stenti, le fatiche, le miserie, le umiliazioni, saprà<br />
portare alla Camera la voce sincera dei bisogni delle classi povere, calpestate e derise”.<br />
(L’Avvenire era il giornale socialista del territorio, organo del Partito delle leghe proletarie<br />
della provincia di Belluno.) Facile fu la profezia dell’Avvenire, infatti, Santin lavorava con<br />
grande passione e continuità per il partito e il sindacato, non solo nel suo collegio ma<br />
nell’intero triveneto, nella sua attività di deputato rifiutava in principio le raccomandazioni e i<br />
favoritismi dei quali soleva ripetere “Noi socialisti siamo per principio contro questi sistemi e<br />
li dobbiamo combattere non solo, ma lavorare per instaurare un regime di giustizia e non di<br />
47
favoritismi. Col sistema dei favoritismi si danneggia sempre qualcuno, e i danneggiati sono<br />
sempre i più deboli, ragione per cui si deve combattere i favoritismi…”. Fu grande amico di<br />
Fortunato Viel, anche lui operaio emigrato e socialista, con il quale fondarono insieme il<br />
22/8/1920 la CdL di Belluno, evento che avvenne nella sala del varietà, oggi cinema Italia, del<br />
capoluogo, di cui Viel né fu il primo segretario, un sindacato che iniziava la sua attività con<br />
oltre 20.000 iscritti e per quella piccola provincia e per quell’epoca erano una forza notevole.<br />
Negli anni dell’immediato dopoguerra nelle elezioni che si svolsero fra il 1919 e il 1920<br />
videro, da parte dei socialisti, la conquista del Comune e provincia di Belluno così come le<br />
amministrazioni della stragrande maggioranza dei comuni della provincia, facendo della<br />
provincia Bellunese un’isola socialista in un mare di amministrazioni guidate dalla destra, una<br />
storia che si è spesso ripetuta giungendo fino ai giorni nostri. Nella xxv legislatura Santin si<br />
trovò, all’interno del numeroso gruppo socialista, in compagnia di due muratori come lui<br />
eletti a Lucca e Biella e altri 35 fra operai, contadini e sindacalisti. Questi ultimi furono 17 tra<br />
cui D’Aragona e Buozzi e ben 10 segretari di Camere del lavoro, tra i quali quelli delle CdL<br />
di Alessandria, Gallarate, Lodi, Firenze, Novara, Padova, Parma, Reggio Emilia, Roma e<br />
Varese. Nelle elezioni del 1921 i socialisti persero 2 posti e Santin non fu eletto. Fu eletto<br />
solo l’avv.Basso, il partito fu in netto calo e prese 15048 voti contro i 13890 dei popolari e<br />
soprattutto contro i 9920 del blocco d’ordine con un aumento, di queste ultime forze, di oltre<br />
il 50% dei voti rispetto alle precedenti consultazioni. La mancata elezione non impedì né<br />
ancor meno rallentò l’impegno di Santin verso la politica, sia nel territorio che all’interno del<br />
partito. Nello scontro in essere nel partito, tra le diverse anime, scontro culminato nel<br />
congresso di Livorno del 1921 Santin con la maggioranza dei delegati Bellunesi portarono<br />
886 voti agli unitari, contro i 274 voti confluiti verso i comunisti, con tre parlamentari su tre<br />
rimasti nel PSI. Le tensioni si svilupparono anche per il possesso della CdL di Belluno tanto<br />
che al congresso, che si tenne a Belluno il 17/4/1921, nello scontro fra PSI e PCI su quale<br />
alleanza e con chi farla, vinsero i socialisti ottenendo 4725 voti contro 1037 dei comunisti<br />
dando vita ad un esecutivo formato da 7 del PSI e 2 del PCI Per sfamare la famiglia Santin<br />
riuscì a trovare un lavoro come ispettore per la provincia di Belluno delle assicurazioni contro<br />
la disoccupazione, l’invalidità e vecchiaia, continuando nel suo impegno politico e<br />
schierandosi apertamente contro il fascismo. Nel 1923 la prefettura lo accusa di fare<br />
propaganda sovversiva utilizzando il posto di lavoro occupato. Continuamente perseguitato<br />
tanto da rendere sempre più difficile e pericoloso svolgere attività politica, malgrado ciò<br />
testardamente continuò nel suo impegno soprattutto verso i suoi compagni edili e il sindacato<br />
in generale tanto che durante la celebrazione del 1 maggio, ad Agordo, fu aggredito dalle<br />
squadracce fasciste salite appositamente da Padova per impedire la manifestazione. L’anno<br />
successivo, sempre il 1 maggio, è arrestato per aver tentato di organizzare uno sciopero.<br />
Santin comprese che per lui e soprattutto la sua famiglia l’aria si era fatta sempre più<br />
irrespirabile e per chi aveva tanto sofferto e duramente pagato era giunto il momento di<br />
abbandonare la lotta, onde evitare ulteriori e forse definitive ripercussioni negative sulla<br />
famiglia, così dal 1926 si ritira a Belluno e si allontana dalla politica. Dal 1895 al 1925 ha<br />
dedicato trent’anni della sua vita alla politica, al partito socialista, ad organizzare leghe di<br />
lavoratori e alla camera del lavoro e soprattutto alla loro causa. Intelligente, autodidatta, con<br />
grande credo nella sua opera seppe dare un enorme contributo per il riscatto delle sue genti.<br />
Fu giustamente definito un socialista che esprimeva un “socialismo empirico” per la sua<br />
intransigenza nei confronti degli altri partiti ritenuti emanazione della classe borghese alla<br />
quale contrapporsi sempre e comunque, nei confronti di un’etica morale che faticava molto ad<br />
affermarsi nella politica come nella società, ma anche portatore di sano riformismo di chi<br />
vuole risolvere per tappe le iniquità esistenti. Ricordare la figura di Giusto Santin non<br />
significa solo onorare la memoria di un compagno che tanto ha dato e pagato, senza nulla<br />
ottenere in cambio anzi ricevendo solo soprusi e sofferenze, per contribuire a darci quello che<br />
48
oggi abbiamo, ma anche poter far conoscere l’esempio luminoso di chi avendo un ideale per<br />
cui battersi tramandandoci un modello di vita, in modo particolare per i giovani, capace di far<br />
ritrovare i veri valori e le superiori ragioni della nostra esistenza, anche in questo mondo<br />
moderno che sembra tutto voglia calpestare e dimenticare.<br />
✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵<br />
Il 15 dicembre 2006 a Recanati, presso l’Aula Magna del Palazzo comunale si è tenuta la<br />
Conferenza su Filippo Acciarini. L’iniziativa nasce dal solco inaugurato tempo prima,<br />
per la riscoperta delle radici ideologiche ed ideali del sindacato, ed illustra un<br />
personaggio unico, come sono unici questi pionieri del socialismo in Italia.<br />
Intervento di Gianni SALVARANI -Vice Presidente dell’Istituto di Studi Sindacali UIL-<br />
alla conferenza su Filippo ACCIARINI Recanati 15<br />
dicembre 2006<br />
Ad essere socialista alla fine del 1800 ci voleva<br />
molto coraggio, era necessario avere una grande<br />
fede e soprattutto credere nella giustezza di quello<br />
che si faceva. Una scelta ancora più coraggiosa e<br />
difficile avveniva quando alla idealità politica si<br />
accompagnava il voler anche essere “organizzatori<br />
di lavoratori”, in pratica essere uno degli embrioni<br />
che contribuivano a far nascere l’organizzazione<br />
sindacale. In quanto li esponeva doppiamente, una<br />
nei confronti del potere costituito e l’altra di fronte<br />
ai padroni, che all’epoca non erano certamente<br />
teneri con chi osava mettere in dubbio il loro potere<br />
assoluto nella gestione dei lavoratori che<br />
“collaboravano” con loro. Non è che con il passare<br />
degli anni la scelta d’essere socialisti e organizzatori<br />
sindacali, nonostante le affermazioni sia del partito<br />
sia del sindacato, fosse più semplice e meno<br />
rischiosa. Infatti, prima della grande guerra il potere<br />
politico della destra e dei padroni, nella società<br />
come sui posti di lavoro, era continuamente imposto<br />
ed utilizzato per reprimere e impedire ogni<br />
progresso civile e sociale, successivamente con<br />
l’avvento della dittatura fascista l’essere socialisti e<br />
sindacalisti voleva dire essere considerati dal<br />
regime come i primi nemici da battere. Seguendo le<br />
orme dei tanti apostoli del socialismo Filippo Acciarini compì, fin da giovanissimo, questa<br />
difficilissima scelta, qui a Recanati, che pur non essendo politicamente un’isola felice, però vi<br />
si respirava un’aria impregnata di socialismo e riformismo e il credo nella mutualità operaia.<br />
Cittadina dove non nacque, ma di famiglia originaria con la quale vi fece ritorno nel 1898 per<br />
risiedere nella casa dei nonni, posseduta dai suoi fin dal 1700, frequentando le scuole e<br />
iniziando ad avere i primi rudimenti d’idealità sociale da un anarco-individualista, come<br />
49
amava definirsi il ciabattino del paese, il quale soleva dire “ i signori sfruttano i lavoratori e il<br />
governo protegge i signori”. Acciarini compie la sua scelta politica in contrasto con il padre,<br />
vivendo in una famiglia molto religiosa e non aperta alle sue aspirazioni ideali. Il padre<br />
affrontò decisamente il problema della scelta compiuta dal figlio dicendogli: “La politica è<br />
una brutta cosa. Tu hai scelto la causa dei poveri, conoscendoti capisco che non poteva essere<br />
altrimenti. Guarda però che ti sei messo su una strada pericolosa, piena di sacrifici. Questo ti<br />
dico perché ti credo sincero, questo perché ho cercato di distogliertene con tutta la mia forza.<br />
Non vi sono riuscito e so che è inutile insistere. Ardi, dunque, finché non brucerai.”<br />
Proseguiva ricordandogli che il suo modo di fare procurava fastidi anche a lui, sul suo lavoro,<br />
era dipendente dell’ospedale di Recanati, con ripercussioni così gravi da portarlo a dire al<br />
figlio che avrebbe dovuto cercare lavoro altrove. Con un grande gesto Filippo rispose al padre<br />
che se né sarebbe andato lui in modo da lasciare vivere in pace la famiglia. Solo andandosene<br />
capì quanto sentisse sua la cittadina, ma anche che non vi sarebbe mai più tornato, forse era<br />
un presentimento di una conclusione anticipata della sua vita. E’ da qui e non solo, come<br />
vedremo anche in altri momenti decisivi per la persona e per il Paese, che si può valutare la<br />
grandezza dell’uomo, che neppure di fronte alla rottura con la famiglia rinuncia alle sue<br />
convinzioni, come neanche quando deve affrontare le prime avversità sul posto di lavoro nelle<br />
ferrovie, ottenuto grazie all’intervento di uno stravagante nobile recanatese che aveva<br />
simpatia per lui e per le sue idee, difficoltà che avrebbero consigliato a chiunque un<br />
atteggiamento più prudente, ma che non fermò il suo marciare diritto per la strada intrapresa.<br />
Anzi le repressioni lo convinsero ancor di più sulla giustezza del suo agire e lo fortificarono<br />
dandogli nuove energie per sostenere la lotta per il riscatto dei compagni di lavoro e per<br />
l’affermazione degli ideali socialisti. Tant’è che alla giovanissima età di 19 anni e come unico<br />
impiegato entra nel comitato d’agitazione promosso dal sindacato ferrovieri in lotta per il<br />
miglioramento delle condizioni di lavoro ed economiche. Per questo suo impegno fu isolato<br />
dai suoi stessi compagni di lavoro che, come impiegati, si sentivano più dalla parte del<br />
padrone che di quella degli operai, e naturalmente perseguitato dall’amministrazione tanto che<br />
fu prima trasferito da Roma a Tivoli e poi a Torino. Sia a Tivoli ed ancor più a Torino, come<br />
vedremo in seguito, trovò modo non solo di continuare l’attività sindacale, ma anche quella<br />
politica. Era evidente che un uomo così politicamente “tosto” non avrebbe avuto vita lunga<br />
nelle Ferrovie, infatti, dopo tanti soprusi subiti, nell’agosto del 1923 fu licenziato“per scarso<br />
rendimento”! Per essere rispondente alla realtà si dovrebbe dire licenziato per repressione<br />
politico-sindacale. Come quasi tutti i socialisti fu contro l’intervento dell’Italia in guerra<br />
anche se il “non sabotare e non aderire” non lo esentò dal prendervi parte nel genio ferrovieri.<br />
Acciarini scrisse molti articoli sul conflitto e sulle sue conseguenze, uno che più degli altri<br />
merita di essere citato è quello che oltre alle analisi politiche contiene anche un appello diretto<br />
“al soldato di qualsiasi paese, non importa di quale, tanto la condizione è uguale per tutti<br />
indipendentemente dalla divisa indossata”. Scrive con giusta durezza Acciarini “Soldato<br />
fermati e ascolta, per colpa di una masnada di vampiri, nella vita non vi fu giorno in cui tu<br />
non fosti uomo! Il capitalismo ha sempre succhiato il tuo sangue e quello di coloro che come<br />
te, in qualsiasi posto del mondo, sono condannati a guadagnarsi la vita col sudore della<br />
fronte.” Acciarini esplicitamente attribuisce la responsabilità della guerra all’espansionismo<br />
capitalista, definendoli mistificatori al punto di far credere che la guerra deve essere fatta per<br />
la difesa della Patria e non per i loro interessi. Acciarini forza ancora di più la sua accusa e il<br />
suo appello “Soldato non uccidere, non credere alle promesse mendaci, …non renderti<br />
strumento di rapina, …non farti ingannare che dopo questa non vi saranno più guerre, che le<br />
ingiustizie e le tirannie scompariranno, ….ti alettano per spingerti al supremo sacrificio<br />
dell’unico bene che possiedi – la vita – “ mettendolo in guardia che “finita la guerra, se<br />
tornerai, gli avversari di sempre saranno pronti a sfruttarti come e più di prima” La prima<br />
guerra mondiale non portò né benessere né allori, ma anzi aumentò la disoccupazione e la<br />
50
miseria. Il PSI non era preparato ad accogliere ed organizzare lo scontento delle masse,<br />
Acciarini lo sottolineò affermando che il partito era rimasto quello di Costa e Prampolini,<br />
quello del socialismo evangelico incapace, malgrado avesse accresciuto il suo potere<br />
conquistando, nelle elezioni del 1919, ben 156 deputati, 2500 amministrazioni comunali e 36<br />
provinciali, di gestire la difficile situazione economica e sociale attraversata dal Paese, non<br />
riuscendo ad affrontare i problemi che la stragrande maggioranza della popolazione<br />
rivendicava fossero risolti. Acciarini era anche contro la “scioperomania” perché non avendo<br />
sbocchi rivoluzionari la trovava inutile e dannosa per il movimento e per il partito. Come<br />
accadde a tanti altri uomini della sinistra, anche lui sottovalutò il movimento messo in piedi<br />
da Mussolini, liquidandolo con una critica al programma definendolo un manifesto che<br />
parlava di socialismo senza i socialisti, di repubblica senza i repubblicani, della abolizione<br />
del Senato e di modifica per tante istituzioni senza far conoscere le alternative proposte. Nel<br />
ventennio Acciarini è tra i pochi autorevoli esponenti antifascisti resistenti in Patria, sempre<br />
impegnato in prima linea, sia nel dibattito politico sia all’interno delle agitate acque del<br />
partito. Nel 1921 si schierò tra coloro che contrastarono la scissione comunista, proprio lui<br />
che aveva interpretato il pensiero e l’azione dell’ala “dura” di “sinistra” del PSI, ma anche in<br />
quella occasione, come sempre, antepose a tutto l’unità del partito, rimanendo nel PSI. Un<br />
importante capitolo della sua vita fu senz’altro quello rappresentato dai gravissimi fatti di<br />
Torino del 17/12/1922 nei quali squadracce fasciste uccisero 11 antifascisti ferendone oltre<br />
20. Questi furono i numeri ufficiali fatti conoscere dalla prefettura, mentre, purtroppo, i morti<br />
furono di più e i loro corpi mai trovati, i loro nomi andarono ad allungare l’elenco delle<br />
persone scomparse. Eccidio dal quale Acciarini sfuggì per miracolo e sul quale scrisse uno<br />
dei pezzi più belli dei tanti editoriali da lui pubblicati sull’Avanti, giornale di cui era l’anima<br />
assommando su di sé tutti i compiti della redazione, direzione e diffusione. Un altro<br />
bellissimo articolo Acciarini lo scrisse dedicandolo alla Torino operaia antifascista, quella<br />
Torino che Mussolini odiava, temeva e riservava, per i lavoratori torinesi, tutto il suo<br />
disprezzo, odiandoli per il coraggio che in ogni circostanza mostravano contro il regime.<br />
Memorabile fu il trattamento riservato al dittatore in occasione della visita alla FIAT<br />
nell’ottobre del 1923. Quel giorno i lavoratori ebbero un contegno impassibile, di silenzio<br />
totale, di assenza pur essendo presenti, una accoglienza che Mussolini non digerì, abituato<br />
com’era ad essere ovunque applaudito, osannato e ricoperto di allori da folle festanti.<br />
L’incessante impegno politico di Acciarini emergeva anche dal fatto che i suoi articoli<br />
apparivano, oltre che sull’Avanti, su molti fogli socialisti, anch’essi pubblicati in clandestinità<br />
e come tali diffusi fra i lavoratori, ottenendo un notevole seguito tanto da essere dagli stessi<br />
voluto come segretario della federazione del PSI di Torino. La partecipazione del partito,<br />
comprendente anche la sua candidatura, alle elezioni del 1924 fu un estremo tentativo fatto<br />
dal PSI per salvare la democrazia. Tutto fu inutile, ivi compreso la coraggiosa denuncia dei<br />
brogli elettorali che avevano contraddistinto quella consultazione, di cui Matteotti fu il<br />
supremo martire. Acciarini rivolse il suo impegno alla ricostruzione del partito e del fronte<br />
antifascista, divenne membro del C.L.N. piemontese, organizzatore di “soccorso rosso”, fece<br />
parte del comitato delle opposizioni al regime in rappresentanza del PSI, nel 1943 entrò nella<br />
direzione nazionale del partito ed assunse la collaborazione per la pagina sindacale della<br />
Stampa di Torino, mantenendo anche la direzione dell’Avanti clandestino per l’edizione<br />
torinese. Attraverso il giornale Acciarini portò fra i lavoratori non solo le notizie di cronaca e<br />
della Resistenza, ma anche la sua perorazione politica, “la classe operaia – scriveva – non<br />
chiede ai socialisti delle previsioni, non chiede la critica soltanto, vuole dei fatti, vuole la lotta<br />
e l’organizzazione della lotta. La rivoluzione non è un epilogo, ma un processo, non è una<br />
giornata inebriante di morte e di gloria, ma uno sforzo quotidiano che mette alla prova gli<br />
uomini, i partiti, le classi e fa dei migliori i protagonisti dell’azione. Nella risoluzione che il<br />
nostro partito ha pubblicato all’indomani del 23 luglio, si dice che la via che conduce alla<br />
51
ivoluzione proletaria è quella dello sviluppo della rivoluzione popolare. Il posto dei socialisti<br />
è quindi alla testa della rivoluzione popolare, nella lotta di ogni giorno per risolvere i<br />
problemi concreti che essa pone e che sono i problemi del potere, della lotta contro tedeschi, i<br />
fascisti, delle bande, del lavoro e del pane agli operai, dell’assistenza alle masse popolari. Non<br />
è astenendosi di fronte ai problemi di oggi, in attesa di affrontare quelli di domani che il<br />
proletariato pone la sua candidatura al potere come nuova classe dirigente, ma è dimostrando<br />
coi fatti la sua capacità di iniziativa e di azione. Come diceva Mazzini – pretendere di fare<br />
tutto per astenersi dal fare qualunque cosa, mi stomaca- L’unione di tutti gli antifascisti<br />
rappresenta oggi una necessità d’ordine squisitamente rivoluzionario. Il popolo la vuole, la<br />
situazione la impone. Si tratta di dare alla nostra ventennale battaglia contro la dittatura<br />
mussoliniana la sua logica conseguenza che è<br />
“ TUTTO IL POTERE AGLI ANTIFASCISTI PER UNA INFLESSIBILE POLITICA<br />
DI SALUTE PUBBLICA CONTRO IL NEMICO DI FUORI E DI DENTRO – “.<br />
Acciarini era sicuramente un puro, sempre pronto a pagare in prima persona, anche quando<br />
qualche suo compagno riteneva necessario essere più duttili, più flessibili verso alleati ed<br />
avversari. Quale instancabile organizzatore della attività politica, sindacale, delle azioni dei<br />
lavoratori e di resistenza, non poteva mancare alla organizzazione dello sciopero generale del<br />
1 marzo 1944, occasione che purtroppo non lo vide protagonista nella sua esecuzione come<br />
invece lo fu nella fase preparatoria. Sciopero del quale scrisse, sul n. 14 dell’Avanti!<br />
clandestino l’articolo di fondo titolandolo “o viviamo di lavoro o pugnando si morirà”. Il<br />
giornale non fu mai distribuito e fu distrutto a seguito degli arresti compiuti dai nazi-fascisti e<br />
soprattutto di quello di Acciarini, che era il principale diffusore delle copie stampate.<br />
Fortunatamente di quell’importante numero, grazie al coraggio del tipografo, né è stata<br />
salvata una copia, Acciarini fu arrestato dalle SS e imprigionato a Torino, poi trasferito a<br />
Milano nel carcere di S.Vittore, da lì portato nel campo di concentramento di Fossoli (Carpi),<br />
divenuto tristemente famoso per essere il centro di smistamento dei prigionieri verso quella<br />
che era considerata comunemente la loro destinazione finale. Furono più di 100.000 i<br />
lavoratori italiani arrestati e portati nei lager per aver promosso e realizzato gli scioperi nel<br />
1943-1944, la stragrande maggioranza di loro non tornerà più a casa. La stessa sorte toccò ad<br />
Acciarini portato, con altri sventurati compagni, a Mauthausen dove il 1 marzo 1945 all’età di<br />
58 anni morì di stenti e di freddo, alcuni<br />
giorni prima che le forze alleate<br />
liberassero i pochi internati ancora vivi.<br />
L’avverso destino volle che la data del<br />
primo marzo ricorresse per la seconda ed<br />
ultima volta nella vita di Acciarini,<br />
obbligandolo ad essere presente agli<br />
appuntamenti scelti per lui da i suoi<br />
carnefici, prima quello con l’arresto e poi<br />
con la morte. Nel libro “autobiografia di<br />
un socialista da Torino a Mauthausen” vi<br />
è una bellissima testimonianza di Mino<br />
Micheli estratta dal suo libro “ I vivi e i<br />
morti” nella quale si descrive l’incontro<br />
fra l’autore e Acciarini nel lager, sono<br />
pagine di storia da leggere e far leggere<br />
che nella loro dolorosa rappresentazione<br />
mostrano fin dove può arrivare la crudeltà<br />
umana, ma anche quanto sia grande un uomo che grazie alla forza dei suoi ideali si<br />
contrappone ad essa fino alla fine della sua esistenza, ma non alla morte delle sue idee.<br />
52
Quando si parla o si scrive di martiri troppo spesso ci si dimentica dei familiari, dei congiunti,<br />
delle loro sofferenze, dei sacrifici che hanno affrontato per le scelte compiute dal loro caro,<br />
quanto gli è costato sostenerlo e condividerne gli impegni di lotta e soprattutto al dolore che<br />
per tutta la vita gli accompagna per la sua perdita, anche se si verifica questa dimenticanza, i<br />
familiari devono però sapere che il dolore da loro provato è condiviso da tutti coloro che<br />
ricordano la presenza, le gesta e il pensiero del loro congiunto. Fondamentale per un Paese<br />
ricordare i propri figli, la propria storia e come amava ripetere il più grande Presidente della<br />
nostra Repubblica, Sandro Pertini “gli anziani ricordino i giovani sappiano”. Sollecitazione<br />
ancor più attuale oggi in presenza di tentativi di revisionismo storico, di voler riscrivere<br />
pagine gloriose della Resistenza e della conquista della libertà, quella libertà della quale<br />
questi personaggi abusano per strumentalizzare alcune delle loro stravaganti teorizzazioni per<br />
fini personali o di parte politica. Nel libro “autobiografia di un socialista, da Torino a<br />
Mauthausen”, la figura di Acciarini viene molto efficacemente proposta nell’introduzione<br />
scritta dal prof. Marziano Guglielminetti il quale la descrive puntualmente traendola dai suoi<br />
scritti. Leggendola mi sono però posto la domanda di quanto questa introduzione,<br />
sicuramente autorevole e di alto livello scientifico, sia stata dal punto di vista dell’attività<br />
politica e sindacale svolta da Acciarini la più rispondente. La domanda non vuole<br />
minimamente sminuire l’alto valore culturale che il prof. Guglieminetti ha profuso a piene<br />
mani soprattutto laddove individua: il parallelismo fra lo scontro di Acciarini con il padre con<br />
quello fra Leopardi e suo padre, in Acciarini un appassionato lettore e seguace del Foscolo,<br />
nella cultura carducciana che traspare nella lettura di uno scrittore ironico e ribelle come lui lo<br />
definisce, oppure classificandolo come un duro nel partito per i suoi no a Bissolati, Turati e ai<br />
riformisti, ma anche a Mussolini e ai rivoluzionari, come un socialista pieno di una moralità<br />
Leopardiana che emerge anche nella sua polemica con Gramsci sui fondi ad Ordine Nuovo. In<br />
questo caso Guglieminetti ha una visione riduttiva dello scontro di Acciarini con Gramsci,<br />
dato che la polemica fu molto più ampia ed aspra, politicamente di maggior spessore<br />
investendo tra l’altro la diversa concezione che essi avevano del rapporto da doversi<br />
intrattenere tra il partito e il sindacato. Così come anche il giudizio severo emesso su una<br />
Recanati ostile ad ogni atto di generosità, ignorando gli illustri figli come Falleroni, Badaloni<br />
e Brodolini e la presenza della solidarietà mutualistica e cooperativa fin dalla metà del 1800.<br />
Stride soprattutto il silenzio assordante relativamente al periodo 1927-1943 che ha come<br />
conseguenza una sottovalutazione del grande impegno politico nella lotta antifascista di<br />
Acciarini. E’ una introduzione contenente analisi di grande valore culturale che forse avrebbe<br />
assunto ancora maggior rilievo ed efficacia se fosse stata accompagnata da un’altra fatta da<br />
uno storico o da un politico che avrebbero potuto meglio interpretare e in maniera più<br />
rispondente non solo la “passione politica e sociale di Acciarini, ma anche la sua azione, con<br />
una particolare considerazione di un uomo che ha fatto della coerenza, della continuità<br />
nell’azione e della fermezza nelle scelte il suo modello di vita. Con quest’iniziativa non<br />
abbiamo voluto onorare solo la memoria di un compagno socialista, di un organizzatore<br />
sindacale, di un martire della Resistenza, ma fornire anche un’occasione di riflessione per<br />
tener viva la memoria su uomini e fatti che possono, anzi devono, non solo essere tramandati<br />
per gli insegnamenti che il loro sacrificio ha consegnato alla storia ma anche per stimolare,<br />
soprattutto ai giovani, a “coltivarne”, la memoria per mantenerla viva, nella coscienza della<br />
gente. Il positivo esempio di uomini come Acciarini, è sicuramente tale da essere capace di far<br />
riscoprire gli ideali per i quali si sono battuti e hanno sacrificato la vita. Un’azione alla quale<br />
abbiamo voluto, come Istituto di Studi Sindacali UIL, dare il nostro apporto contribuendo<br />
all’organizzazione di questo convegno e all’illustrazione, con grande e convinta<br />
partecipazione, della figura di un compagno socialista che con molta modestia, ma con una<br />
straordinaria forza ci ha lasciato un contributo di inestimabile valore.<br />
53
Il 19 gennaio 2007 alla Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, nell’ambito della<br />
partecipazione ad iniziative di altre fondazioni od istituti di ricerca storica, e della volontà<br />
dell’Istituto di creare, ogni qualvolta se ne presenti l’occasione, azioni di sinergia e di<br />
collaborazione, l’ISS ha aderito all’incontro di commemorazione del Senatore Viglianesi<br />
svoltosi a Roma.<br />
Italo Viglianesi, l’immagine del leader sindacale nei ricordi della periferia della UIL<br />
di Gianni Salvarani*<br />
54
Dopo le iniziative dedicate ai protagonisti del sorgere del socialismo in Italia nel secolo XIX,<br />
dalle radici ideali incarnate in alcuni protagonisti, l’Istituto ha avviato una riflessione su<br />
coloro che poi hanno realizzato quegli ideali. Dopo Viglianesi è stato organizzato insieme alla<br />
<strong>Uil</strong> di Roma e del Lazio - a Roma il 29 marzo 2007, presso la Camera dei Deputati, Sala<br />
del cenacolo - un convegno sulla figura di Ezio Vigorelli.<br />
67
COMUNICAZIONE DI GIANNI SALVARANI Vice Presidente dell’Istituto di Studi<br />
Sindacali UIL Al convegno su: IL CONTRIBUTO DELLA UIL E DEI SOCIALISTI PER IL<br />
LAVORO. Il socialista EZIO VIGORELLI Da dirigente della UIL a Ministro<br />
del Lavoro.<br />
Roma, 29 marzo 2007, Camera dei Deputati, Sala del Cenacolo<br />
Guardando con attenzione la storia personale e politica di Vigorelli, la sua azione sindacale e<br />
parlamentare, l’agire nel sociale e come amministratore, possiamo affermare che è stato<br />
troppo presto dimenticato e il suo valore sottovalutato.<br />
Ecco perché mi sento di dire che ricordarlo è come ricordare uno dei grandi protagonisti degli<br />
albori del socialismo, tanto è stato prestigioso e alto il suo apporto alla causa del lavoro, della<br />
libertà, della democrazia, dei lavoratori e del sindacato,ed anche di affermare che nel<br />
dopoguerra uno dei primi e qualificati contributi dei socialisti in generale e della UIL in<br />
particolare per dare valore al lavoro è venuto con l’assunzione, da parte di questo dirigente<br />
della confederazione, della responsabilità del Ministero del Lavoro Vigorelli fu un<br />
combattente in armi come nella politica e nella società.<br />
Giovanissimo militare in Africa e sul Carso, quando ferito volle ritornare al fronte dopo la<br />
caduta di Caporetto, così come partigiano nella Resistenza.<br />
Alla fine della prima guerra mondiale fu decorato e come grande invalido fu tra i fondatori dei<br />
Comitati d’azione tra i mutilati e invalidi di guerra, per rivendicare dallo Stato, una maggiore<br />
considerazione sociale ed economica della categoria.<br />
Questa condizione non gli impedì di battersi contro il fascismo, né di partecipare alla guerra<br />
di Resistenza, neppure di essere protagonista in Parlamento di un incessante impegno politico<br />
in favore dei lavoratori, dei più deboli e in particolare della categoria degli invalidi civili e di<br />
guerra. In uno dei suoi tanti interventi svolti in aula difese la legittimità della manifestazione<br />
che la categoria organizzò davanti a Montecitorio per rivendicare miglioramenti alla loro<br />
condizione e contro la quale vi fu un intervento “brusco” delle forze di polizia, Vigorelli,<br />
contestato dall’estrema destra, concludendo il suo discorso si rivolse con fierezza e<br />
determinazione verso di loro affermando: “Tenete presente voi dell’estrema destra, che io<br />
sono fra coloro che hanno concorso a restituire all’Italia questo parlamento che voi avevate<br />
distrutto” ottenendo la convinta approvazione di tutti gli altri gruppi presenti in aula. Il suo<br />
impegno nella Resistenza, nella clandestinità prima e come combattente poi nella repubblica<br />
dell’Ossola, fu totale e continuò con immutata intensità anche dopo la valorosa morte in<br />
combattimento dei suoi unici due figli, Fofi e Bruno, decorati rispettivamente di medaglia<br />
d’oro e d’argento al valor militare. Un uomo che come lo ha definito Saragat nella prefazione<br />
del libro “l’Offensiva contro la miseria” scritto da Vigorelli nel 1948 “….Che continua a<br />
combattere per la liberazione per cui sono caduti i suoi due figli ai quali, con le sue opere, sta<br />
elevando il monumento più degno”..<br />
Quella tragedia familiare segnò profondamente tutta la sua esistenza e in tutte le attività<br />
intraprese vi si dedicò con una straordinaria forza d’animo, spinto da quella idealità che lo<br />
aveva strettamente unito ai suoi figli e nella quale riviveva in ogni momento il loro sacrificio<br />
per la patria e la libertà.<br />
68
Due giovani vite, non avevano ancora compiuto 23 e 24 anni, che non solo dimostrarono la<br />
loro maturità politica, il loro coraggio e sprezzo del pericolo, ma soprattutto quanto gli<br />
insegnamenti e le scelte compiute dal padre fossero state da loro condivise e praticate fino<br />
all’estremo sacrificio. Nella casa, di corso di Porta Vittoria, dove abitavano a Milano fu posta<br />
una lapide a ricordo del loro sacrificio per la libertà e sulla è stato impresso:<br />
Per ricordare/ Bruno e Fofi Vigorelli/ e quanti immolarono/ la giovinezza ardente/ per la<br />
libertà/ per la pace/ in ogni focolare in ogni cuore/ gli abitanti di questa casa/ memorando il<br />
loro sacrificio/ per sempre. La popolarità di Vigorelli era tale che in molti, come singoli e<br />
come istituzioni, vollero dargli testimonianza di affetto e di considerazione, uno dei più<br />
significativi esempi fra i tanti è quello del comune di Portofino che nel 1946 pose un cippo sul<br />
quale ancor oggi si legge “ Bruno e Foffi Vigorelli partigiani dell’Ossola martiri della libertà<br />
qui adolescenti in tempo servile volsero l’animo alla ribellione” Il 29 ottobre del 1964 davanti<br />
ad una camera partecipe e commossa il Presidente Bucciarelli Ducci commemorò la figura di<br />
Ezio Vigorelli ricordando come egli fosse stato “un italiano nel senso più pieno della parola,<br />
di quella italianità esemplare che ha sempre trovato nella tradizione del civismo e del<br />
patriottismo lombardo le più alte e qualificanti espressioni. Infatti, proprio un glorioso<br />
episodio della Resistenza, quello della val d’Ossola, aveva conferito l’aureola di un sacrificio<br />
tremendo ma luminoso ad Ezio Vigorelli, che vedeva cadere sotto il piombo nemico i due<br />
unici figli ancora nel fiore della loro giovinezza. A questa altezza morale era giunto Ezio<br />
Vigorelli”.<br />
Vigorelli, come scrisse di lui Flavio Orlandi, “fece della continuità dell’impegno il suo modo<br />
di essere nella vita politica, prioritariamente preoccupato della liberazione della società<br />
dall’oppressione dell’autoritarismo e dalle angustie della miseria, con un’attività che lo portò<br />
alla ricostruzione dell’ECA di Milano contribuendo ad alleviare i drammi della miseria nel<br />
capoluogo lombardo, ed alla costituzione di un’Associazione nazionale fra gli enti di<br />
assistenza, della quale divenne presidente.” Instancabile fu la sua attività organizzatrice tanto<br />
da fondare sempre a Milano l’Associazione dei mutilati e invalidi civili; l’Ospedale della<br />
associazione per fornire assistenza oltre ai propri soci anche agli indigenti e un ricovero ai<br />
senza tetto ed un Istituto, dedicato ai figli, per assistere i dimessi dalla tubercolosi.<br />
Un’attività che ebbe alla base la pratica di quel socialismo municipale che contraddistinse le<br />
amministrazioni socialiste delle città italiane di inizio secolo, con l’obiettivo di lenire le<br />
sofferenze non solo dei più deboli e dei poveri, ma anche dei tanti lavoratori sia occupati, che<br />
disoccupati. Un’azione che contribuì ad elevare l’attività sindacale della componente<br />
socialista nella CGIL unitaria e poi quella della UIL, alla cui vita partecipò fin dalla sua<br />
fondazione.<br />
Eletto deputato alla costituente nelle file del PSI, svolse un’intensa attività parlamentare<br />
occupandosi seriamente e appassionatamente di tutte le questioni più rilevanti, ma in<br />
particolare la sua azione e attenzione era sempre rivolta alla condizione di chi aveva bisogno.<br />
La sua incessante opera per conoscere e poter contribuire come migliorare le condizioni di<br />
vita degli italiani raggiunse il culmine con all’ottenimento della costituzione della<br />
commissione parlamentare d’inchiesta sulla miseria e sulle misure da adottare per<br />
combatterla, della quale né divenne presidente. I poveri iscritti nelle liste comunali erano oltre<br />
quattro milioni, ma quelli che realmente vivevano in miseria almeno il doppio, con oltre un<br />
quarto delle famiglie italiane che vivevano con un tenore alimentare insufficiente in modo<br />
grave. Per il suo generoso impegno sociale e sindacale la UIL lo volle fra i suoi dirigenti<br />
eleggendolo membro del comitato centrale. In quella UIL, come ha giustamente ricordato<br />
69
Scardaone, i cui valori di libertà di democrazia, incardinati nel riformismo laico e socialista<br />
sono ancora oggi, come ieri, inalienabilmente vivi nel patrimonio della nostra organizzazione.<br />
L’impegno diretto di Vigorelli nel sindacato fu breve ma inteso, tanto da lasciare una traccia<br />
indelebile della sua autorevole presenza, ma soprattutto per la continuità che seppe darvi in<br />
parlamento e come ministro del lavoro in tre governi di coalizione dal 1954 al 1959.<br />
La lettera con la quale Vigorelli si dimise dal Comitato Centrale della UIL, per una<br />
incompatibilità non scritta ma nobilmente sentita, era il suo riconfermato impegno verso<br />
l’organizzazione a continuare ad operare in favore dei lavoratori. La UIL commentò anche sul<br />
settimanale della confederazione “Il Lavoro Italiano” il suo gesto “E’ stato uno dei nostri<br />
come uomo politico e come dirigente sindacale fino a ieri sarà ancora uno dei nostri, come<br />
uomo di governo a partire da oggi” proseguiva l’articolo “Ogni qualvolta l’on.<br />
Vigorelli si troverà ad affrontare problemi che la classe operaia pone come proprie istanze, la<br />
UIL sarà al suo fianco per condividerne l’operato. Ed anche quando, per caso, l’azione del<br />
sindacato dovesse momentaneamente discostarsi da quella dell’uomo di governo, anche allora<br />
potremo dire di essere tutti dalla stessa parte della barricata.<br />
La barricata dei contadini, degli operai, degli impiegati e degli artigiani: di tutti coloro che<br />
lottano per una Italia migliore e si batteranno sotto l’insegna della democrazia e del<br />
socialismo.” Vigorelli, non c’è ne vogliano D’Aragona e Romita, può essere considerato il<br />
primo ministro del lavoro socialista, in quanto i 6 mesi di D’Aragona e i 4 di Romita nei primi<br />
governi di unità nazionale subito dopo la liberazione del Paese, sono state presenze<br />
importanti, ma che non potevano lasciare un segno, mentre il segno fu lasciato dai 7 anni di<br />
gestione democristiana del dicastero –nel periodo 1947 - 1954 - con una forte impronta di<br />
quel solidarismo cattolico che teneva scarsamente conto delle richieste di riforme sociali<br />
avanzate dai socialisti.<br />
Vigorelli si impegnò per modificare la gestione del ministero, cercando di attuare quelle<br />
provvidenze che man mano emergevano dall’indagine come le più urgenti da doversi<br />
approntare, non senza difficoltà per le resistenze che il vicepresidente DC Montini poneva in<br />
essere. La commissione lavorò per quasi due anni mettendo a nudo gli enormi problemi che in<br />
quei primi anni 50 attanagliavano il Paese e quanto fosse lungo il cammino da percorrere per<br />
raggiungere le conquiste sociali già presenti nei paesi europei più progrediti. L’Italia era un<br />
Paese nel quale l’assistenza era ancora regolata da una legge del 1890, gli interventi<br />
avvenivano con una totale inefficienza, frantumati in una miriade di Istituti privati che, senza<br />
alcun controllo, operavano a fianco di quelli pubblici, tanto che per elencare solo gli enti<br />
operanti fu necessario riempire un libro di 350 pagine pur dedicando ad ognuno di loro una<br />
descrizione di pochissime righe-.<br />
Gli enti pubblici erano esposti alle degenerazioni del sottogoverno e del clientelismo, come se<br />
non bastasse ad appesantire ulteriormente la situazione, ogni ministero gestiva in proprio<br />
attività assistenziali contribuendo, in tal modo, ad aumentare gli sprechi.<br />
Quella dell’assistenza era una situazione drammatica e nella quale venivano spese delle<br />
somme ingenti, ma con scarsi risultati e con forti sperequazioni territoriali e categoriali. Gli<br />
ECA disponevano, nelle zone più ricche, di 10 lire al giorno per persona assistita, quando per<br />
una minestra ed un panino né occorrevano 40! Altrettanto grave era la situazione<br />
dell’assistenza agli invalidi dove al nord si spendevano 38.000 lire l’anno per persona, al<br />
centro 30.000 e al sud ben 2.600!!. La relazione conclusiva di Vigorelli, alla quale diede il<br />
70
pieno e incondizionato appoggio la UIL e subendo critiche ma non l’opposizione dalla CGIL,<br />
fu approvata all’unanimità dai comunisti ai monarchici. Il successo ottenuto spinse Vigorelli<br />
non solo ad insistere con i provvedimenti per contenere la misera, ma anche per attivare<br />
un’altra commissione interparlamentare per avviare un quadro organico di interventi per<br />
costruire un moderno ed efficiente sistema di sicurezza sociale. Questa volta la sua richiesta<br />
non passò e fu invece approvata quella dei cattolici per una inchiesta sulle condizioni dei<br />
lavoratori in fabbrica, i quali non avendo più il Ministero del Lavoro e temendo un nuovo<br />
successo del riformismo socialista, imposero la loro spinta solidaristica, affossando anche la<br />
proposta sul riordino della assistenza e quella di Tremelloni sulla disoccupazione.<br />
Vigorelli sosteneva che un moderno sistema di sicurezza sociale doveva separare nettamente<br />
le spese della previdenza da quelle per l’assistenza e prevedere l’unificazione degli enti<br />
previdenziali. Ciò dimostra quanto fosse lungimirante il suo pensiero sociale, tanto da essere<br />
ancora oggi più che attuale. Infatti, nella relazione finale della Commissione questi<br />
provvedimenti sono stati puntualmente indicati e per la loro realizzazione viene proposta la<br />
costituzione di una commissione ad hoc con l’incarico di elaborare un progetto compiuto di<br />
sistema di sicurezza sociale capace di realizzare quella “graduale applicazione dei principi<br />
costituzionali da cui è sancita la liberazione dell’uomo dal bisogno” Purtroppo anche in<br />
questa circostanza la storia non insegnò nulla, infatti, si passò dai 18 volumi dell’inchiesta di<br />
Jacini sulla condizione nelle campagne ai non meno ponderosi di quella del 1911 sulla<br />
situazione meridionale per arrivare ai 14 della Vigorelli, senza che nulla accadesse. Inchieste<br />
che denunciavano, con una nitida fotografia, la grave situazione italiana: dalle malattie non<br />
ancora debellate, alla miseria generalizzata, dalla disoccupazione imperante alla scarsa<br />
retribuzione del lavoro, tutte denunce lette più oggi dagli studiosi che dai politici di allora. Sul<br />
piano partitico Vigorelli dopo essere stato protagonista della costituzione del PSDI, nel 1959<br />
uscì dal PSDI per costituire il MUIS, per successivamente confluire, con i compagni che lo<br />
avevano seguito, nel PSI, anticipando, di qualche anno, l’unificazione socialista del 1966.<br />
Pur su sponda provvisoriamente diversa Vigorelli continuò il suo impegno polittico nazionale<br />
e di amministratore locale a Milano, dove si dedicò in particolare alla realizzazione della<br />
metropolitana milanese, opera che unanimemente fu definita una gigantesca impresa di<br />
progresso tecnico, d’evoluzione sociale e di sviluppo non solo della città di Milano.<br />
Bucciarelli Ducci ricordò, nel suo intervento commemorativo, che gli fu affidata la presidenza<br />
“per una naturale e felice designazione che aveva voluto associare un nome fra i più illustri e<br />
popolari della città alla grande impresa da realizzare.”<br />
Vigorelli alla vigilia dell’inaugurazione della prima linea della metropolitana lasciò la vita<br />
terrena, una targa alla fermata Duomo né ricorda il Presidente e la sua opera:<br />
“ Presidente della metropolitana alla quale aveva dedicato intensamente ogni sua attività in<br />
uno spirito di responsabile entusiasmo il 24 ottobre 1964 alla vigilia della inaugurazione della<br />
prima linea e al termine di una laboriosa giornata lasciava improvvisamente la vita terrena.”<br />
Deposta il 1 novembre 1964. Nel concludere la sua commemorazione Bucciarelli Ducci<br />
affermò che “ la perdita di Ezio Vigorelli colpisce la nostra Assemblea non soltanto perché<br />
essa si vede privata di una apprezzata competenza tecnica, ma anche e soprattutto perché essa<br />
non può più contare sul contributo di fede e di opere di un parlamentare che fu uomo di<br />
partito senza mai essere settario e fazioso e che ci ha lasciato una grande lezione di vita e di<br />
stile democratico, ricordandoci in particolare che la politica della assistenza, quella che più<br />
direttamente entra in contatto con la sfera dell’umano, con la zona nevralgica del dolore e dei<br />
bisogni dei nostri simili non potrà mai esser ridotta negli schemi di un partito né seguirne i<br />
particolari interessi.”<br />
Toccò al giovane rappresentante del governo e del PSDI Amadei associarsi a nome del<br />
governo al cordoglio espresso dal Presidente dell’Assemblea, il quale dopo aver precisato che<br />
come giovane deputato si era timidamente avvicinato a Vigorelli e quanto fosse stato<br />
71
enevolmente accolto con spirito paterno ed averne apprezzato le altissimi qualità morali ed<br />
umane, concluse: “ fu un politico di rilevante valore ed ottenne nella sua azione politica<br />
un’efficacia indiscutibile. Ma non soltanto la sua azione ebbe modo di esternarsi qui a Roma<br />
come parlamentare e come membro del governo, ma particolarmente in un lungo esercizio<br />
amministrativo condotto nella sua città di Milano”.<br />
Vigorelli rappresenta ancora oggi un punto di riferimento per la politica, per l’attività<br />
amministrativa, ma sopratutto per il sindacato in generale e per la UIL in particolare. Il<br />
dibattito politico che si sta svolgendo nel Paese, dalla legge elettorale, alle questioni sociali,<br />
dalle formazioni politico-partitiche alle riforme di struttura, dalle formule sulle alleanze al<br />
riformismo locale, non solo fa riflettere sull’attualità del pensiero di Vigorelli, ma rileggendo<br />
il suo libro “L’Italia è socialista e non lo sa” viene da concludere che gli italiani sono molto<br />
più socialisti e riformisti di quanto riescono ad ammettere.<br />
✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵<br />
Nell’ambito dell’anno europeo delle Pari Opportunità è stato organizzato un convegno che ha<br />
riscosso un vivissimo riscontro sia per la qualità degli interventi, sia perché l’argomento -<br />
ancorché non più recente – è ancora capace di suscitare sentimenti di pietà, di ribellione e di<br />
determinazione nella scelta politica democratica, per la pratica parlamentare e per la<br />
dimensione della partecipazione. Il vissuto di una generazione che, con emozionanti<br />
testimonianze, coinvolge anche i più giovani per dimostrare come davanti alla violenza e alla<br />
sopraffazione sia necessario opporsi per costruire qualcosa di diverso, migliore e più giusto.<br />
72
Per non dimenticare<br />
“ Ora e sempre Resistenza “<br />
Con l’Alto Patrocinio DELLA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA<br />
Patrocinio DEL SENATO DELLA REPUBBLICA<br />
Patrocinio DELLA CAMERA DEI DEPUTATI<br />
Patrocinio DEL CONSIGLIO DELLA REGIONE LAZIO<br />
ATTI DEL CONVEGNO<br />
A cura di<br />
M. Grazia Brinchi – Loredana Ruggini<br />
Roma 23 aprile 2007<br />
73
Eravamo giovani tu ed io<br />
Stavamo insieme ad altri<br />
sulle cime dei monti.<br />
La voglia di pace e libertà…………..<br />
(da “Ricordo di una partigiana” di Luigia Bimbi)<br />
La UIL, l’Istituto di Studi Sindacali e il Dipartimento Pari Opportunità dedicano gli Atti di questo<br />
Convegno a tutte le donne che hanno vissuto, sofferto e combattuto durante la dittatura fascista e nella<br />
lotta di resistenza.<br />
A tutte le donne come riconoscimento per la loro insostituibile presenza e per il ruolo di assoluta parità<br />
che meritano di occupare nella società ma anche, e soprattutto, ai giovani perché sappiano, perché<br />
mantengano vivo il ricordo e trasmettano alle generazioni future gli inestimabili valori che queste<br />
donne, a nome e per conto di tutte le donne che hanno vissuto quel tempo, ci hanno lasciato. Un<br />
insegnamento che trova nelle parole indirizzate ai giovani da Piero Calamandrei l’espressione più alta<br />
di quelle che sono state le radici della ritrovata libertà e democrazia del nostro Paese.<br />
Gianni Salvarani, Vice presidente ISS - Istituto Studi Sindacali UIL<br />
“quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Costituzione!<br />
Dietro ogni articolo di questa costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi caduti<br />
combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in<br />
Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la<br />
vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta.<br />
Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, è un<br />
testamento, è un testamento di centomila persone.<br />
Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione, andate nelle<br />
montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono<br />
impiccati.<br />
Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani, col pensiero,<br />
perché lì è nata la nostra Costituzione.<br />
74
Presiede<br />
Gianni SALVARANI<br />
Vice Presidente Istituto Studi Sindacali UIL<br />
Interventi di:<br />
Serenella BARTOCCI<br />
Ministero per i diritti e le pari opportunità<br />
Rosa RINALDI<br />
Sottosegretaria al Ministero del lavoro<br />
Massimo PINESCHI<br />
Presidente del Consiglio della Regione Lazio<br />
Relazioni di:<br />
Piero BONI<br />
Partigiano, Medaglia d’Argento al Valor Militare<br />
Antonio LANDOLFI<br />
Storico, Vice Presidente dell’ANPPIA<br />
Cinzia DATO<br />
Deputata, componente dell’OSCE<br />
Testimonianze di:<br />
Tina ANSELMI<br />
Ex Ministra, staffetta partigiana<br />
Vera MICHELIN SALOMON<br />
Deportata, Vice Presidente ANED -Lazio<br />
Marisa OMBRA<br />
Staffetta partigiana<br />
Conclusioni di:<br />
Nirvana NISI<br />
Segretaria Confederale UIL<br />
Letture delle motivazioni delle medaglie d’oro al valor militare concesse alle donne combattenti di:<br />
Leandro AMATO e Marisa SOLINAS<br />
Gli atti del Convegno “Le Donne e la Resistenza” sono stati fedelmente riprodotti in questa<br />
pubblicazione, nella sequenza in cui si sono svolti gli interventi di ciascun relatore e di ciascuna<br />
relatrice.<br />
Abbiamo inteso così mantenere intatta l’emozione delle testimonianze offerte quale contributo alle<br />
ragioni della Memoria perché nessuno possa dimenticare o costruire false sovrastrutture su uno dei<br />
periodi più dolorosi della <strong>Storia</strong> del ‘900.<br />
Lo dobbiamo a Uomini e Donne che con la loro vita hanno testimoniato quanto sia meravigliosa e<br />
irrinunciabile la LIBERTA’.<br />
Grazie infinite<br />
75
Introduzione di GIANNI SALVARANI<br />
Vice Presidente Istituto Studi Sindacali UIL<br />
Possiamo dare inizio ai lavori del nostro convegno. A nome della UIL, dell'Istituto di Studi Sindacali e<br />
del Coordinamento Pari Opportunità della Confederazione porgo a tutti voi il più caloroso saluto di<br />
benvenuto e il ringraziamento per aver accolto il nostro invito a partecipare a questo convegno.<br />
Prima di fare gli onori di casa, presentandovi i protagonisti di questo incontro, ci tengo a far rilevare<br />
che il motivo per il quale abbiamo ritenuto di dedicare il convegno alle donne nella Resistenza è<br />
quello di voler onorare, partendo proprio dall'impegno e dall'esempio fornito dalle decine di migliaia<br />
di donne che hanno preso parte alla Resistenza, tutte le donne che hanno vissuto quel periodo<br />
soffrendo, resistendo e pagando con pesanti sacrifici l'essere donne, madri, spose, figlie, sorelle,<br />
fidanzate di antifascisti e combattenti per la libertà del nostro Paese.<br />
Il percorso fatto dalle donne prima del 1943 non è stato meno agevole ed impegnativo di quello<br />
successivo, avendo dovuto affrontare i duri anni del dopoguerra, quelli sconvolgenti del sorgere del<br />
fascismo, che prima della sua affermazione ha devastato, con la vita delle persone, le istituzioni, le<br />
rappresentanze sociali e politiche fino all'instaurazione della dittatura. Fonti attendibili forniscono un<br />
quadro, sicuramente errato per difetto, della furia distruttrice fascista, tanto che in meno di tre anni<br />
sono state bruciate, saccheggiate e cancellate 59 Camere del lavoro, 85 sedi di cooperative, 43 leghe<br />
contadine, 36 circoli operai, 34 sezioni socialiste, 12 associazioni e 17 circoli culturali antifascisti, 10<br />
76
sedi di giornali, la chiusura totale di tutte le sedi delle organizzazioni sindacali, politiche e culturali<br />
che non avevano ancora subito la distruzione. Hanno accompagnato queste azioni innumerevoli<br />
spedizioni punitive, nelle quali sono stati uccisi, tra uomini e donne, oltre 3.000 oppositori del regime.<br />
In questo drammatico panorama mancano i dati relativi alle persone scomparse: migliaia di sparizioni<br />
che i servizi segreti, polizia e brigate nere hanno portato a termine in tutta Italia.<br />
Il fascismo ha voluto essere all'altezza delle nefandezze compiute, anche dopo la sua caduta. Infatti,<br />
durante la Repubblica sociale, il famigerato tribunale speciale in meno di un anno di attività, dal luglio<br />
del '43 al febbraio del '44, ha condannato 4.474 uomini e 122 donne, delle quali 42 a morte e, di<br />
queste, ben 31 eseguite, somministrando 27.735 anni di carcere. Così come non mancò di dare il suo<br />
contributo alla persecuzione degli ebrei, con oltre diecimila deportati italiani, dei quali ben 1.250<br />
provenienti dalla comunità ebraica romana, con solo 17 di loro trovati ancora in vita quando gli alleati<br />
FOSSE ARDEATINE<br />
giunsero nei campi di sterminio.<br />
Altrettanto fece collaborando attivamente alla realizzazione delle tante<br />
stragi, con decine di migliaia di vittime innocenti compiute dalla ferocia<br />
nazista, da Marzabotto a Sant'Anna di Stazzona, alle Fosse Ardeatine, solo<br />
per citarne alcune tra le tante ferite dolorose sofferte dal popolo italiano.<br />
Ugualmente problematico è arrivare con precisione al numero dei partigiani<br />
combattenti. Secondo le fonti più accreditate essi furono 240.969, dei quali 44.720 caduti in<br />
combattimento, 21.168 mutilati, con 124.813 patrioti impegnati al loro fianco, di cui 9.180 uccisi per<br />
rappresaglia, ai quali si devono aggiungere le decine di migliaia di<br />
partigiani combattenti all'estero, con alcune migliaia di caduti.<br />
Secondo i dati forniti dall'anagrafe di tutti i Comuni nel periodo 1943-<br />
1945, la guerra fascista costò la vita a 210.149 italiani fra militari e<br />
civili, tra i quali 36.381 donne. Per quello che è stato possibile<br />
ricostruire, soprattutto grazie alle associazioni partigiane e all'ANPI in<br />
particolar modo, sono state accertate oltre 40 mila donne combattenti,<br />
oltre 2 mila le patriote e oltre 70 mila quelle appartenenti ai gruppi di<br />
difesa della donna. Alto è stato il prezzo pagato per la loro<br />
partecipazione: 2.900 cadute in combattimento, o fucilate; 4.653<br />
arrestate e torturate; 2.756 deportate; oltre 40 le valorose decorate. A<br />
volte anche dalle alte cifre si possono comprendere i significati più alti e nobili di cosa e quanto la<br />
parte più debole del Paese ha dovuto soffrire e sacrificarsi per la nostra libertà.<br />
È con la soddisfazione di chi crede nella Repubblica ed è da sempre schierato tra i difensori della<br />
libertà, della democrazia, contro ogni forma di violenza e terrorismo, che abbiamo particolarmente<br />
gradito l'alto patrocinio che il Presidente della Repubblica ha voluto concedere al Convegno,<br />
accompagnandolo con l'apprezzamento per l'iniziativa. È motivo di orgoglio poter unire al massimo<br />
patrocinio quello del Senato della Repubblica, purtroppo arrivato dopo che avevamo già spedito gli<br />
inviti, e quello della Camera dei Deputati, quale testimonianza<br />
dell'attenzione che il Parlamento nutre nei confronti delle donne e<br />
della Resistenza, così come importante è quella del Consiglio<br />
Regionale del Lazio, Regione fra quelle che hanno pagato uno dei<br />
contributi più alti alla lotta di liberazione.<br />
È con quest'animo che vogliamo porgere un ringraziamento<br />
particolarmente sentito alla delegazione dell'ANPPI, guidata<br />
dalla Medaglia d'Argento al Valor Militare, Valchiria<br />
Terradura; al Presidente dell'Associazione Mutilati e<br />
Invalidi civili di guerra, il senatore Corrado Agostini; al<br />
Presidente dell'Associazione degli ex parlamentari,<br />
l'onorevole Franco Coccia; alle delegazioni delle Associazioni<br />
partigiane e combattentistiche delle donne, dei deportati, dei<br />
77
perseguitati politici; ai parenti dei partigiani della Brigata Maiella, degli antifascisti dell'Agro Pontino;<br />
agli studenti e alle studentesse e insegnanti del liceo Cannizzaro; alle rappresentanti del<br />
Coordinamento delle Pari Opportunità, dell'imprenditoria femminile, dell'Università, della Scuola di<br />
giornalismo; ai rappresentanti dell'informazione; ai colleghi della CGIL e della CISL, ai quali ci<br />
uniscono in modo particolare i valori che il prossimo 25 aprile e 1° maggio, ancora una volta,<br />
festeggeremo e celebreremo unitariamente; alla Segretaria Generale dell'UGL, Renata Polverini, che ci<br />
raggiungerà tra breve, per la sua gradita presenza.<br />
Ringraziamo soprattutto i rappresentanti delle istituzioni, che con la loro presenza confermano<br />
l'interesse manifestato con i patrocini concessi, dando il giusto valore che ogni manifestazione di<br />
ricordo e di celebrazione della Resistenza deve assumere per l'intero Paese. Un grazie al<br />
Vicepresidente della Camera, onorevole Carlo Leoni, per la sua adesione, purtroppo impedito alla<br />
partecipazione dal dover sostituire il Presidente Bertinotti, impegnato all'estero, alla presidenza della<br />
Camera, che questa mattina alle 9 ha iniziato i suoi lavori in seduta plenaria; al Presidente del<br />
Consiglio Regionale del Lazio, onorevole Massimo Pineschi; alla Sottosegretaria Rosa Rinaldi, che ci<br />
raggiungerà tra breve, in rappresentanza del Ministero del Lavoro; alla dottoressa Bartocci, portavoce<br />
dell'onorevole Linguiti, Sottosegretaria al Ministero delle Pari Opportunità.<br />
LIBERAZIONE<br />
Non sarà presente tra noi, pur avendo manifestato l'interesse e la<br />
volontà di esservi – ma purtroppo ciò non stato sufficiente – il<br />
Presidente emerito della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, il quale<br />
però non ha voluto mancare di farci conoscere il suo pensiero,<br />
inviandoci un messaggio che successivamente leggerò. Consentitemi di<br />
esprimervi la preoccupazione, che ancora non abbiamo superato, per<br />
l'assenza di uno dei protagonisti maggiori della Resistenza, dei più<br />
illustri padri della nostra Repubblica, purtroppo tra i pochi che ancora ci<br />
possono dare una testimonianza diretta del loro impegno e di quanto<br />
hanno fatto per tutti noi; mi riferisco al Presidente emerito della Corte Costituzionale, Giuliano<br />
Vassalli, che è stato operato mercoledì scorso e si trova ancora ricoverato in clinica, al quale, con gli<br />
auguri che possa riprendersi al più presto e tornare tra noi, desidero far arrivare anche quelli più<br />
affettuosi del buon compleanno, dato che dopodomani, il 25 aprile, compirà 92 anni. Auguri,<br />
Giuliano! Alla Medaglia d'Argento al Valor Militare, al fraterno e caro amico Piero Boni, nell'animo<br />
del quale la Resistenza non ha mai smesso di essere presente non solo per avere eroicamente<br />
combattuto, ma per essere un tenace difensore dei diritti e delle libertà di tutti, e in particolare dei<br />
lavoratori, guadagnandosi un posto nella storia e il riconoscimento di intere generazioni. Grazie, Piero,<br />
per la tua presenza, per te e per tanti di noi, senza retorica, ora e sempre Resistenza!<br />
È con il nostro particolare affetto – ma sono sicuro di interpretare anche quello di tutti voi – che<br />
ringraziamo l'onorevole Tina Anselmi che, nonostante la grave malattia, avrebbe voluto comunque<br />
essere presente tra noi. Nelle tante telefonate scambiate in questi giorni ho vissuto in prima persona la<br />
lotta indomita da lei condotta contro il male e contro il medico, che le vietava di alzarsi dal letto. È<br />
un'ulteriore lezione di straordinaria forza d'animo e riconosciamo in lei l'emblema delle donne<br />
combattenti, nella Resistenza come nel Parlamento. Ascolteremo telefonicamente la sua voce e il<br />
pensiero di questa staffetta della Brigata partigiana Cesare Battisti e del Comando del Corpo Volontari<br />
della Libertà.<br />
Al nostro iscritto Antonio Landolfi, che mi consentirà di appellarlo affettuosamente in questo modo<br />
anticipando la citazione di tanti titoli accademici, istituzionali e professionali, dei quali come storico,<br />
senatore, docente universitario, Presidente della Fondazione Mancini può fregiarsi, va il nostro<br />
ringraziamento, anche perché il suo impegno di democratico, socialista e riformista è proseguito<br />
incessantemente, dalla Resistenza in poi, profondendolo a piene mani nella politica e nella società.<br />
Dopo averlo presentato come iscritto UIL, lo ricordo a tutti voi come Vice Presidente<br />
dell'Associazione Nazionale Perseguitati Politici.<br />
Non vi nascondo l'emozione che mi pervade nel presentarvi due donne, che degnamente rappresentano<br />
le tante centinaia di migliaia di donne che in silenzio hanno sofferto, combattuto e pagato eroicamente,<br />
lontane dai riflettori, in prima persona, offrendo al Paese il nobile e generoso contributo del loro modo<br />
78
di essere donne. Sono Vera Michelin Salomon, deportata, e Marisa Ombra, staffetta partigiana. Due<br />
donne simbolo per tutte le donne italiane. Anche per loro non mi dilungo sui tanti meriti e<br />
riconoscimenti che hanno avuto. Desidero richiamare la vostra attenzione su quello che reputo,<br />
sperando di essere condiviso, quello che è attualmente il più importante: la loro costante presenza e<br />
testimonianza, con la quale ci trasmettono gli inestimabili valori della loro esistenza. Grazie Marisa e<br />
grazie Vera per essere tra noi!<br />
JOYCE LUSSO E IL MARITO<br />
La UIL, l'Istituto di Studi Sindacali e il Coordinamento Pari<br />
Opportunità considerano di primaria importanza l'apporto che le<br />
giovani donne parlamentari possono dare alla continuità della lotta<br />
intrapresa dal Risorgimento ad oggi, da Sara Nathan, da Jessie Waite<br />
Mario, da Anna Kuliscioff, da Argentina Altobelli, da Ada Gobetti,<br />
da Camilla Ravera, da Joyce Lussu, citandone solo alcune tra le<br />
tante, per l'emancipazione, i diritti e la parità. È per questo che<br />
salutiamo e ringraziamo l'onorevole Cinzia Dato per essere presente,<br />
assicurandole che ascolteremo con interesse il suo intervento.<br />
Purtroppo, i postumi congressuali hanno impedito alla senatrice Vittoria Franco di raggiungerci.<br />
Ho il piacere di presentarvi due artisti, che sicuramente ci emozioneranno con la lettura delle<br />
motivazioni delle Medaglie d'Oro conferite a 19 donne partigiane combattenti, e di alcune lettere di<br />
condannate a morte. Lei, un'attrice affermata da tempo nel firmamento dello spettacolo; lui, un<br />
giovane emergente, che sta ottenendo dei grandi successi nel cinema e nella televisione. Sono Marisa<br />
Solinas e Leandro Amato, ai quali va un ringraziamento particolare per aver voluto donare la loro<br />
professionalità al servizio della nobile causa delle donne e della Resistenza. Un sentitissimo grazie a<br />
Marisa e a Leandro.<br />
La Resistenza ha un valore assoluto e immodificabile per tutti, tanto che nessuna ricerca di una verità<br />
o presunta deformazione di quella esistente, o tentativi di strumentalizzazione attraverso i quali<br />
riscriverne la storia, non potranno mai rimetterla in discussione.<br />
MATTEOTTI BUOZZI<br />
Essa è il valore unico per tutto il popolo italiano, tale da superare ogni<br />
distinzione e divisione. È quella che ha generato il seme della nostra<br />
Costituzione e fatto sorgere la Repubblica libera e democratica,<br />
della<br />
quale oggi tutti beneficiamo. Repubblica e Costituzione che hanno<br />
assicurato la pacificazione del Paese, garantendo appieno di tutti i diritti,<br />
facendo loro spazio nelle istituzioni, così come nella società. Si è giunti a tanto grazie al<br />
CORBARI GALIMBERTI<br />
sacrificio di uomini e donne di ogni ceto sociale e fede politica: per gli<br />
oppositori politici del regime, e per tutti il giurista Giacomo Matteotti<br />
e l'operaio sindacalista Bruno Buozzi, agli uomini della Resistenza<br />
armata;<br />
dal benestante figlio di Ministro del Regno Duccio Galimberti,<br />
all'operaio Silvio Corbari, alle Medaglie d'Oro Irma Bandiera e Ines<br />
Versari, per richiamare, idealmente, con loro tutte le nobili figure della Resistenza e delle tante donne<br />
che oggi, con questa iniziativa, vogliamo ricordare come l'espressione più genuina del popolo italiano,<br />
della volontà di riscatto di una Nazione soffocata da oltre 20 anni di dittatura, trascinata in avventure<br />
coloniali e nella più disastrosa e drammatica delle guerre.<br />
Grazie!<br />
Diamo inizio agli interventi dando la parola al Presidente del Consiglio Regionale del Lazio,<br />
Onorevole Massimo Pineschi.<br />
79
Massimo PINESCHI,<br />
Presidente del Consiglio Regionale della Regione Lazio<br />
Cari amici, care amiche, cari compagni e care compagne, vi porto il saluto del Consiglio Regionale del<br />
Lazio e l'apprezzamento per questa bella e utile iniziativa da parte della UIL. Un ringraziamento,<br />
quindi, a Gianni Salvarani e a Carmelo Barbagallo, che con la loro presenza e con il loro impegno ci<br />
dimostrano ancora una volta come il tema della Resistenza sia un tema che è nei nostri cuori, nel<br />
nostro animo, che non dobbiamo assolutamente dimenticare.<br />
Purtroppo debbo scusarmi con tutti quanti voi perché dovrò, subito dopo il mio intervento, andare via.<br />
Oggi è giorno di seduta del Consiglio Regionale che ho il compito di presiedere.<br />
Mi avrebbe fatto molto piacere restare perché immagino che il proseguo del convegno sarà ricco di<br />
testimonianze importantissime e, pertanto, forte è il mio rincrescimento per non potervi assistere.<br />
Comunque, entrando immediatamente nel vivo del convegno, anche per il poco tempo a disposizione,<br />
vorrei partire dalla definizione data da un uomo politico, il cui nome è a noi famigliare, capo<br />
partigiano durante la Resistenza, primo Presidente del Consiglio italiano di un Governo di unità<br />
nazionale istituito alla fine della guerra, il comandante Maurizio, ovvero Ferruccio Parri. Dice Parri:<br />
“le donne furono la resistenza dei resistenti”.<br />
Un'immagine scultorea, forte, commovente delle donne che hanno avuto un ruolo, per lo più oscuro<br />
ma straordinario e decisivo, nella lunga fase della Resistenza, della lotta di liberazione, e molte di loro<br />
poi, nella fase della costituzione della Repubblica e della riorganizzazione dello Stato post-fascista<br />
libero e democratico.<br />
La storiografia nazionale - forse con ritardo - ha reso giustizia a queste donne, che furono tante, da<br />
quelle delle quali l'operato è rimasto nascosto tra le pieghe delle memorie famigliari, a quelle che<br />
hanno avuto una tragica visibilità con il loro sacrificio, che caddero vittime del nazifascismo, che<br />
furono deportate e si immolarono per i loro figli. Il riconoscimento dello Stato per il loro martirio ed il<br />
loro eroismo è documentato dall'elevato numero di quelle che sono state insignite di Medaglia d'Oro.<br />
E Marisa Solinas, poi, ci leggerà le motivazioni (che ho avuto modo di apprezzare, avendo visto la<br />
scheda che ci è stata data), per le quali queste donne sono state insignite della Medaglia d'Oro.<br />
Ed è proprio dalle motivazioni che possiamo desumere il reale grado di eroismo e di senso della<br />
giustizia di queste compagne e di queste donne.<br />
In effetti, per molti anni ancora, dopo la fine della guerra, quella della presenza e del ruolo delle donne<br />
nella Resistenza è stata una zona grigia e poco illuminata dalla stessa ricerca storica. Ci sono volute<br />
ricerche, studi meticolosi per far luce non solo sugli episodi più significativi di lotte e di eroismi locali,<br />
ma anche sul fenomeno nella sua generalità e complessità. Pesava ancora, forse, su quella oscurità, su<br />
quella scarsa visibilità della partecipazione femminile alla Resistenza, una certa immagine stereotipata<br />
della donna nella cultura fascista, l'immagine della donna angelo del focolare, protagonista, sì, ma del<br />
quotidiano famigliare, del lavoro domestico, della maternità, dell'educazione dell'infanzia. Nella<br />
simbologia del regime la politica, gli impegni d'armi erano categorie proprie dell'universo maschile;<br />
eppure, quello che le donne hanno fatto durante la Resistenza era straordinariamente evidente nella<br />
dimensione drammatica del tragico vivere quotidiano, fin dai primi anni della guerra.<br />
Chi non ha vissuto personalmente quel periodo avrà sicuramente la memoria nutrita di ricordi<br />
famigliari, delle madri, delle donne, delle nonne, delle tante donne che allora, quando le famiglie erano<br />
ben più numerose di adesso e c'erano tanti figli da sfamare, combattevano una lotta durissima, davvero<br />
eroica contro la fame, per affrontare il dramma della situazione<br />
alimentare, della borsa nera, del pane nero. Voglio ricordare in proposito<br />
un episodio che ha visto tragiche protagoniste di questa disperazione<br />
quotidiana tante donne di Roma: il 7 aprile del '43 ci fu l'assalto<br />
esasperato di un gruppo di donne di Ostiense, Garbatella e Portuense al<br />
deposito del pane, difeso dalle truppe di occupazione. Dieci di loro<br />
furono<br />
RESISTENZA ROMANA<br />
80
prese e fucilate contro la ringhiera; l'ultima, il 3 maggio venne fucilata al Tiburtino III. Ciò conferma il<br />
coraggio e il senso di responsabilità con cui tante donne sostennero la loro famiglia in anni tragici, di<br />
povertà, di privazioni, malnutrizione, indigenza, quando i loro uomini erano al fronte e spesso non<br />
erano in grado di concorrere al sostentamento delle famiglie. È un aspetto rilevante di quella<br />
Resistenza nascosta, invisibile, oscura, che vede le donne protagoniste autentiche di quel tragico<br />
periodo della nostra storia, un periodo che noi ricordiamo soprattutto per la gravità del momento<br />
politico e per i lutti e le devastazioni che provocò per il Paese.<br />
In quel quadro la Resistenza era essenzialmente il valore di un fenomeno politico che si esprimeva<br />
nella lotta partigiana, in armi e non, contro il nemico nazifascista. Ma fu invece anche una lotta di<br />
popolo di donne, nascosta, clandestina, segreta, giorno dopo giorno, una lotta morale di grande valore<br />
e di straordinaria importanza per tenere in piedi una comunità divisa, impoverita, devastata dalla<br />
violenza del conflitto. E sotto questo aspetto la donna fu autentica protagonista della vita sociale del<br />
Paese e della sua Resistenza, fu un vero pilastro, un sostegno fondamentale anche per coloro che la<br />
Resistenza la praticavano in armi, confrontandosi sul terreno politico e militare contro le barbarie<br />
nazifasciste. Per cui nella Resistenza la donna fu una grande risorsa, attiva su vari fronti, e proprio per<br />
questo purtroppo possiamo dire che ne fu anche una grande vittima. Vittima in primo luogo sul piano<br />
civile, per il semplice fatto di essere donna, e con questo non<br />
voglio dimenticare l'enorme sacrificio delle donne che hanno combattuto in prima persona e che hanno<br />
fatto parte anche militarmente della Resistenza, ma abbiamo e avremo sempre nei nostri occhi, per il<br />
suo alto valore simbolico, l'immagine di Cesira, la “Ciociara” interpretata da Sofia Loren, alla quale<br />
De Sica faceva gridare, con drammatico strazio, agli stupratori di sua figlia<br />
minorenne: ladri, cornuti, mentre questi fuggivano sulla jeep militare. E non<br />
dimenticheremo mai la visione di quella donna, Anna Magnani, che in<br />
“Roma città aperta” gridava:<br />
Francesco!, rincorrendo il camion nazista che portava via il suo uomo,<br />
prima di venire falciata da una raffica in mezzo alla strada.<br />
ANNA MAGNANI IN “ROMA CITTA’ APERTA<br />
Due donne, una madre e una moglie, simbolo di una condizione<br />
femminile calpestata.<br />
Questa era la storia realista, la verità vera della condizione di tante donne<br />
vittime inermi di una guerra che si accanì contro di loro con inaudita<br />
violenza. Non dobbiamo mai dimenticare, poi, Genoveffa Cecconi, mamma<br />
Cervi, moglie di Alcide Cervi e mamma di quei<br />
figli che furono trucidati all'alba del 28 FAMIGLIA CERVI<br />
dicembre del '43 al poligono di tiro di Reggio Emilia per mano nazista: sette figli per la Patria. E<br />
dobbiamo avere memoria profonda, ferma, indelebile, delle donne deportate e vittime della<br />
persecuzione e della shoah: migliaia e migliaia trovarono la morte barbaramente nei lager nazisti.<br />
Queste tragedie agghiaccianti e questi orrori sono drammaticamente presenti nel percorso della<br />
memoria di coloro che vissero nel campo di sterminio di Ravensbruck, il lager delle donne, dove<br />
trovarono la morte 92<br />
LAGER DI “RAVENSBRUCK<br />
mila persone, delle quali il 90% donne. Tante per fortuna furono salvate<br />
perché altre donne, altre figlie, altre mamme le salvarono con rischi e<br />
inauditi sacrifici personali; tante madri coraggio.<br />
Se questa è la storia delle donne nella brutale quotidianità della guerra,<br />
come non poteva non essere alta e straordinaria anche la storia delle<br />
donne nel movimento morale e civile della Resistenza? E come poteva<br />
non essere grande il loro apporto alla liberazione, alla rinascita della<br />
democrazia e poi allo sviluppo dell'Italia repubblicana? Dobbiamo<br />
ricordare queste cose perché viviamo un un'epoca in cui è arduo conservare la memoria della storia,<br />
per trarre dalla storia stessa un'alta lezione per la vita che verrà, per il nostro futuro. Il mondo di oggi,<br />
specialmente quello dei giovani è proiettato nel futuro, ma in un futuro confuso, in cui i valori<br />
appaiono incerti e contraddittori. Ancora troppe svastiche, troppi segni di odio e di violenza appaiono<br />
81
sui muri della nostra città e spesso sfilano nelle strade della città senza nemmeno sapere, senza<br />
nemmeno conoscere il significato della barbarie di questi simboli, di questi segni.<br />
La memoria deve servire per conservare e consolidare la nostra identità vera di italiani e di italiane,<br />
quella identità che era propria delle donne della Resistenza, fatta di valori assoluti: la famiglia, la<br />
libertà, la democrazia, la giustizia, la solidarietà. Quante donne della Resistenza sono state<br />
protagoniste, poi, proprio di questi valori nell'Italia repubblicana, con una loro forte presenza morale,<br />
intellettuale, politica, sociale, come dimostra la loro partecipazione alla Costituente, alla vita dei<br />
Parlamenti repubblicani, al governo del Paese, nelle istituzioni e nella società. In un Paese con tante<br />
ideologie e tante culture politiche, hanno animato su vari fronti la vita dei grandi partiti democratici,<br />
delle grandi organizzazioni sindacali e del lavoro, dei movimenti di emancipazione della donna e delle<br />
battaglie per i diritti civili, come l'aborto, il divorzio, la laicità dello Stato. Pensiamo, tra le tante, a<br />
Nilde Iotti, Carla Voltolina, Tina Anselmi, ed altre. Le ha citate molto bene anche Gianni prima.<br />
Qual è il patrimonio, il lascito di questo straordinario mondo femminile? Dopo le tragiche vicende<br />
della guerra, la donna ha radicalmente modificato anche la sua presenza nella società. Oggi la donna<br />
non più l'angelo del focolare, ma ha conquistato identità nuove che le rendono giustizia: quelle di<br />
lavoratrici e di cittadine. Questo significa che le donne sono diventate soggetti di diritti costituzionali<br />
fondamentali, come il lavoro e la titolarità piena di diritti civili. Dobbiamo essere grati per questo<br />
anche al sindacato, in particolar modo alla UIL, che ha sostenuto come obiettivi prioritari l'inserimento<br />
a pieno titolo della donna nel mondo del lavoro e dei diritti costituzionali. La donna si è riscattata dalla<br />
sua subalternità nella famiglia e nella società e tutte le visioni che la riconducono al ruolo<br />
essenzialmente biologico e ad un destino tutto privato tendono ormai ad essere spazzate via.<br />
La Resistenza ha testimoniato l'evidenza pubblica e politica della donna nella vita del Paese. Noi<br />
dobbiamo proseguire in questo percorso ideale, politico e morale, non solo riconoscendo alle donne le<br />
loro idee, le loro aspirazioni, i loro bisogni, i loro diritti, ma consacrando e rendendo onore a<br />
quell'immagine che è il simbolo della nostra Repubblica: l'Italia sormontata dal volto di una donna con<br />
corona turrita.<br />
Ma oggi è tempo soprattutto di coniugare al femminile la parola diritti; spetta a tutti, ma spetta<br />
soprattutto alla politica, che si deve aprire alla presenza femminile, che sarà scarsa di numero, ma è di<br />
elevato valore nella qualità. Ritengo importante al riguardo che in tutte le istituzioni elettive si<br />
determini una presenza delle donne e a tale scopo, nel presentare la riforma del Regolamento del<br />
Consiglio Regionale, ho voluto che questo problema fosse presente, quando si è previsto il sostegno ai<br />
gruppi politici in proporzione alla presenza femminile. È un'innovazione che ho voluto che fosse bene<br />
indicata e che deve costituire una ragione di un impegno di tutto il Consiglio Regionale, un obiettivo<br />
da qui ai prossimi mesi della nostra azione di risanamento e di regolamento del Consiglio.<br />
Questi sono i segnali concreti che dobbiamo dare, e la politica ha la grande responsabilità di coglierli e<br />
di tradurli in fatti concreti, soprattutto perché questo è il modo concreto per onorare tante donne che ci<br />
hanno lasciato, con le loro lotte, un patrimonio di libertà e di democrazia che dobbiamo difendere con<br />
il loro stesso coraggio e il loro stesso amore, per il nostro Paese.<br />
Diamo lettura del messaggio del Presidente della Camera, onorevole Bertinotti.<br />
“Sono lieto di rivolgere il mio più cordiale saluto a te, caro Segretario” - è indirizzato al Segretario<br />
Generale della UIL, Luigi Angeletti - “e a tutti i partecipanti al convegno sul tema delle donne e la<br />
Resistenza, promosso dalla UIL in occasione della celebrazione del 62° anniversario della<br />
Liberazione.<br />
Nella storia delle staffette partigiane e delle tante altre donne che rischiarono la propria vita per<br />
promuovere la rinascita dell'Italia alla democrazia e alla libertà, possiamo tutti riconoscere il valore<br />
straordinario del contributo femminile dato alla Resistenza. Si trattò di un fenomeno unico, che segnò<br />
l'inizio della partecipazione consapevole delle donne alla vita democratica del Paese ed aprì la strada<br />
ad un loro impegno sempre più determinante per il conseguimento di molte conquiste sociali e<br />
politiche della nostra Repubblica.<br />
82
Custodire la memoria di questo vissuto rappresenta un dovere civile verso ciascuno di noi, ma anche<br />
un'esortazione a proseguire con forza nel lungo cammino che ancora abbiamo davanti per consentire<br />
alle donne di esprimere pienamente tutte le loro potenzialità nella società, superando diffidenze e<br />
discriminazioni che ancora vi sono radicate, e di contribuire alla costruzione di una nuova fase della<br />
nostra democrazia, più matura ed avanzata. Nel ringraziarvi per l'attenzione rivoltami invio a te, caro<br />
Segretario, e a tutti gli intervenuti, i miei più sinceri auguri per il migliore esito dell'iniziativa odierna.<br />
Firmato: Fausto Bertinotti”.<br />
Ascoltiamo ora dalla voce di Marisa Solinas e da quella di Leandro Amato alcune motivazioni di<br />
Medaglie d'Oro conferite alle donne partigiane combattenti.<br />
Lettura di Marisa SOLINAS<br />
Bandiera Bandiera Irma, Irma, partigiana partigiana combattente combattente – Bologna.<br />
Bologna.<br />
Prima tra le donne bolognesi a impugnare le armi per la lotta e nel nome della libertà, e sempre con<br />
leonino coraggio, catturata in combattimento dalle SS tedesche, sottoposta a feroci torture non<br />
disse una parola che potesse compromettere i compagni. Dopo essere stata accecata, fu<br />
barbaramente trucidata e il corpo lasciato sulla pubblica via.<br />
Eroina purissima, degna delle virtù delle italiche donne, fu faro luminoso di tutti i patrioti<br />
bolognesi nella guerra di liberazione.<br />
Meloncello, 14 agosto 1944. Medaglia d'Oro al Valore Militare conferita alla memoria nel 1944.<br />
Lettura di Leandro AMATO<br />
Borellini Borellini Gina, Gina, partigiana partigiana combattente combattente combattente – San San San Possidonio Possidonio (Modena). (Modena).<br />
(Modena).<br />
Giovane sposa, fin dai primi giorni dedicava tutta se stessa alla causa della liberazione<br />
d'Italia rifugiando militari sbandati e ricercati, e aiutandoli nel sottrarsi al servizio con i<br />
tedeschi. Staffetta instancabile e audacissima, trasportava armi, diffondeva opuscoli di<br />
propaganda, comunicava ordini, sempre incurante del grave pericolo cui si esponeva.<br />
Arrestata con il marito, resisteva alle più atroci torture senza dire una parola sui suoi<br />
compagni di lotta. Tre volte condotta davanti al plotone di esecuzione, insieme al suo<br />
consorte, continuava a tacere. Immotivatamente rilasciata, rifiutava di nascondersi in montagna, per essere più vicina<br />
al marito tuttora detenuto. Fucilato questo, arrestatole un fratello, raggiunse una formazione partigiana, con la quale<br />
affrontava rischi e disagi inenarrabili e non esitava ad impugnare le armi dando frequenti e numerose prove di virile<br />
coraggio.<br />
Sorpresa la sua formazione dalle brigate nere, gravemente ferita ad una gamba nella disperata ed eroica resistenza,<br />
non permetteva ai suoi compagni di soccorrerla. Sola, riusciva a frenare la copiosa emorragia, e traeva coraggio dal<br />
pensiero dei propri figli. Si sottraeva alle ricerche nemiche. Nell'ospedale di Carpi, individuata dalla polizia fascista,<br />
subisce, sebbene già in condizioni gravissime, estenuanti interrogatori, ma tace incrollabile nella decisione eroica.<br />
Amputatale la gamba, l'insurrezione la sottrae alla vendetta del nemico fuggente. Fulgido esempio di sacrificio e di<br />
eroismo.<br />
Modena, 8 settembre 1943 - aprile 1945. Medaglia d'Oro al Valor Militare conferita alla memoria nel 1945.<br />
Bianchi Bianchi Livia, Livia, partigiana partigiana combattente combattente – Melara Melara Melara (Rovigo).<br />
(Rovigo).<br />
Lettura di Marisa SOLINAS<br />
Nel settembre del 1943 accorreva con animo ardente nelle file dei partigiani, trasfondendo nei<br />
compagni di lotta il fuoco della sua fede purissima per la difesa del sacro suolo della Patria<br />
oppressa. Volontariamente si offriva per guidare nell'ardita ricognizione, attraverso l'impervia<br />
montagna, una pattuglia che, scontratasi con un grosso reparto nemico, impegnava dura lotta<br />
cui essa, virilmente impugnando le armi, partecipava con leonino valore fino all'esaurimento delle<br />
83
munizioni. Insieme ai compagni veniva catturata e sottoposta ad interrogatori e sevizie, che non piegarono la loro<br />
fede. Condannati alla fucilazione, lei veniva graziata, ma fieramente rifiutava, per essere unita ai compagni anche nel<br />
supremo sacrificio. Cadde sotto il piombo nemico, unendo il suo olocausto alle luminose tradizioni di patriottismo nei<br />
secoli fornite dalle donne d'Italia.<br />
Cima Valsolda, settembre 1943 - gennaio 1945. Medaglia d'Oro al Valore Militare conferita alla memoria nel 1945.<br />
Lettura di Leandro AMATO<br />
Deganutti Deganutti Cecilia, Cecilia, infermiera infermiera volontaria volontaria CRI, CRI, partigiana partigiana combattente combattente<br />
– Udine. Udine.<br />
Valorosa crocerossina, consapevole, cosciente delle tragiche ore attraversate dalla Patria invasa,<br />
prendeva immediatamente la via del dovere e dava in terra friulana la sua entusiastica attività al<br />
movimento di liberazione contro l'oppressione nemica. In un lunghissimo mese di lotta senza<br />
quartiere, nella volontaria, diuturna, feconda e appassionata fatica, metteva in luce tutta la sua<br />
purissima fede e dava ripetute prove dei sentimenti più nobili e delle virtù miliari più salde.<br />
Individuata dal nemico ed esortata a porsi in salvo, preferiva continuare a svolgere la sua<br />
multiforme attività patriottica, finché veniva arrestata. Sottoposta a numerosi, snervanti interrogatori e a ripetute<br />
torture per costringerla a svelare le fila dell'organizzazione clandestina che l'avversario sapeva a lei ben note,<br />
opponeva sempre un netto e reciso rifiuto, anche quando i maltrattamenti superarono ogni limite di umana<br />
sopportazione. Non una parola usciva così dalle sue labbra. Condotta al supremo sacrificio, l'affrontava con la calma<br />
dei forti, dando un mirabile esempio di come la gente friulana sa servire la Patria e per essa morire.<br />
Zona d'operazione, giugno 1944 - aprile 1945. Medaglia d'Oro al Valor Militare conferita alla memoria nel 1945.<br />
Capponi Capponi Capponi Carla, Carla, partigiana partigiana comba combattente comba ttente – Roma.<br />
Roma.<br />
Lettura di Marisa SOLINAS<br />
Partigiana volontaria, ascriveva a sé l'onore delle più eroiche imprese nella caccia senza quartiere<br />
che il suo gruppo d'avanguardia dava al nemico, annidato nella cerchia dell'abitato della città di<br />
Roma. Con le armi in pugno, prima fra le prime, partecipava a decine di azioni distinguendosi in<br />
modo superbo per la fredda decisione contro l'avversario e per lo spirito di sacrificio verso i<br />
compagni in pericolo.<br />
Nominata Vice comandante di una formazione partigiana, guidava audacemente i compagni nella<br />
lotta cruenta, sgominando ovunque il nemico e destando attonito stupore nel popolo ammirato da tanto ardimento.<br />
Ammalatasi di grave morbo contratto nella dura vita partigiana, non volle desistere nella sua azione sino a fondo,<br />
impegnata per il riscatto delle concusse libertà. Mirabile esempio di civili e militari virtù, del tutto degna delle<br />
tradizioni di eroismo femminile del Risorgimento italiano.<br />
Roma, 8 settembre 1943 - 6 giugno 1944. Medaglia d'Oro al Valore Militare conferita alla memoria nel 1944.<br />
Lettura di Leandro AMATO<br />
Bedeschi Bedeschi Ines, Ines, partigiana partigiana combattente combattente – Conselice Conselice (Ravenna). (Ravenna).<br />
(Ravenna).<br />
Spinta da un ardente amor di Patria, entrava all'armistizio nelle formazioni partigiane<br />
operanti nella sua zona, subito distinguendosi per elevato spirito e intelligente iniziativa.<br />
Assunti i compiti di staffetta, portava a termine le delicate missioni affidategli, incurante<br />
dei rischi e dei pericoli cui andava incontro e dell'assidua sorveglianza del nemico. Scoperta,<br />
arrestata e barbaramente torturata, preferiva il supremo sacrificio, anziché tradire i suoi<br />
compagni di lotta.<br />
Nord Emilia, Parma, Riva del Po, Parma, 1° ottobre 1943 - 28 marzo 1945. Medaglia<br />
d'Oro al Valor Militare conferita alla memoria nel 1968.<br />
84
Rosa RINALDI<br />
Sottosegretario al Ministero del Lavoro<br />
E' davvero per me un onore, oltre che un piacere, partecipare ad una iniziativa come questa di questa<br />
mattina, così importante perché appunto è in nome delle partigiane, in nome delle resistenti, in nome<br />
di tante donne che hanno partecipato alla lotta di liberazione e che sono forse poco ricordate, spesso<br />
sottovalutate, mentre magari altri nomi hanno – pur valorosamente, naturalmente, con pieno merito –<br />
un maggiore ricordo da parte di tutti noi. E lo faccio con piacere perché da quando sono entrata nella<br />
istituzioni, prima alla Provincia di Roma ed ora in una funzione di Governo, mi capita in occasione del<br />
25 aprile di partecipare a diverse manifestazioni, tutte in nome delle donne. Così come mi è capitato di<br />
ricordare, tempo fa, Teresa Gullace, che è appunto una donna di popolo, quella che in Roma città<br />
aperta viene ricordata: per prendere il pane e per difendere suo marito viene uccisa.<br />
Quindi le partigiane, le donne di pace hanno scelto nella loro vita un impegno costante per la libertà e<br />
la dignità degli individui e dei popoli, che ritengo il lascito più importante della Resistenza e<br />
dell'antifascismo alle generazioni presenti e future, alle donne e uomini che nell'Italia repubblicana<br />
hanno scelto di continuare ad impegnarsi nelle istituzioni e nella società civile, in continuità con gli<br />
ideali che quella lotta hanno mosso e che la nostra Costituzione raccoglie.<br />
Parlare oggi, a 62 anni dalla Liberazione, di quel lascito non è a mio avviso soltanto commemorare<br />
persone, donne eroiche e fatti memorabili, ma significa essenzialmente interrogarci sull'oggi, sulla<br />
qualità del nostro essere nazione, sull'etica collettiva che ci distingue e ci guida nelle relazioni interne<br />
con i tanti popoli e cittadini stranieri che abitano le nostre città, così come in quelle internazionali con<br />
i popoli d'Europa e del mondo, col sistema di regolazione degli equilibri e dei diritti delle Nazioni, con<br />
l'accettazione e il riconoscimento della sovranità dell'autodeterminazione dei popoli.<br />
LIBERAZIONE<br />
L'Italia ripudia la guerra come elemento di regolazione dei<br />
conflitti, è scritto nell'articolo 11 della nostra Costituzione, e spesso<br />
dobbiamo sforzarci di ricordarlo. La pace in Europa oggi è una<br />
condizione necessaria ma tuttavia da sola non sufficiente per garantire<br />
la pace nel mondo. Al contrario, dal vecchio continente i conflitti si<br />
sono spostati sempre più verso zone del Sud del mondo, dove le<br />
logiche di un moderno imperialismo di dominio economico planetario<br />
aprono crepe e contraddizioni profonde con culture e potentati nazionali, o con esperienze originali di<br />
democrazia, scelte dai popoli<br />
Guardare quindi all'oggi, avendo nel cuore l'esempio dei nostri resistenti e delle nostre resistenti,<br />
significa scegliere da che parte stare ed avere sempre al centro dei propri intendimenti la libertà dei<br />
popoli dall'oppressione, dal dominio imposto dalle armi. Significa lavorare per un equilibrio<br />
internazionale, in cui non ci siano Nazioni che dettano leggi per altre, in cui non ci siano superpotenze<br />
che, grazie alla supremazia militare, ritengono di poter essere fuori e al di sopra di qualsiasi<br />
regolazione sovranazionale dei diritti.<br />
Due anni orsono abbiamo ricordato il 60° anniversario del 25 aprile che coincide con il 60° della<br />
Fondazione delle Nazioni Unite. E da due anni non solo stiamo celebrando, ma abbiamo anche<br />
sviluppato innumerevoli iniziative sul tema della MEMORIA . E mai, io credo, come ora, sentiamo la<br />
necessità che gli organismi internazionali recuperino il loro ruolo originale, in un rapporto fecondo<br />
non solo con gli Stati e i Governi, ma anche con i movimenti e le espressioni della società civile,<br />
avendo la capacità di connettersi con le moltitudini che si muovono ed operano fattivamente per un<br />
riequilibrio di sviluppo e delle risorse a favore del Sud del mondo, per l'emancipazione e il riscatto di<br />
intere popolazioni da fame e sete, povertà estreme ed epidemie distruttive, che ancora oggi<br />
condannano milioni di persone ad una vita senza speranza e ad una morte senza giustizia.<br />
Io voglio ricordare una frase di una grande personalità decedute solo pochi anni fa, Tom Benettoldo,<br />
che era un grande costruttore di pace, oltre che un mio carissimo amico. Ho voluto prendere spunto<br />
dalle parole con cui lui ha saputo indicare l'impegno morale di chi lavora per la pace. Lui diceva: “per<br />
sentirsi dalla parte buona della vita….”<br />
85
Così ha scritto, con un uso sapiente e pesante di quel aggettivo: “buono”, che pensiamo spesso sia<br />
confinato al lessico ingenuo dell'infanzia e che invece segna come un marchio a fuoco il solco tra il<br />
lecito e l'illecito, il giusto e l'ingiusto.<br />
Per sentirsi dalla parte buona della vita non basta avere buoni sentimenti e buoni principi, non basta<br />
neanche sentirsi a posto nei propri rapporti personali e famigliari, e neppure ben amministrare o<br />
governare con cura e coscienza i nostri territori e il nostro Paese. Va tenuta aperta ogni giorno una<br />
finestra sul mondo e va agita attraverso di essa una politica di giustizia e di liberazione. Significa,<br />
insomma, lavoro duro, scienza, cultura e pratica di una nuova mondialità, con il qui ed ora della nostra<br />
politica. Dobbiamo, insomma, saper dialogare ed intrecciare.<br />
Le donne che oggi qui ricordiamo, le prime note bibliografiche che abbiamo sentito dagli artisti, i<br />
nomi che ha fatto nella relazione Salvarani, i numeri presenti nella brochure, i numeri appunto sono<br />
storie di persone che, se lette, ti danno qualcosa di più del numero tragico che pure esse rappresentano.<br />
E quindi le donne che ricordiamo, i loro compagni, scelsero nella loro gioventù di rischiare le loro vite<br />
e quelle dei propri cari per conquistare per sé e per tutti noi la condizione per poter prestare attenzione<br />
e cura alla politica che prima di tutto significa arte del vivere collettivo e sapienza della giustizia. La<br />
libertà può essere oggi il nostro luogo proprio perché donne e uomini come loro ce l'hanno consegnata.<br />
Qui oggi verranno riconosciute e insignite due donne. Io voglio dire due cose per concludere. Nella<br />
mia esperienza, nel mio percorso di vita ho incontrato molte donne ex partigiane, ex<br />
resistenti, ex combattenti. Le ho conosciute nella mia vita politica, molte sono<br />
citate in questa raccolta di storie da Nilde Iotti, incontrata nel mio percorso<br />
politico, mai vista troppo da vicino: eravamo distanti ed io ero troppo giovane.<br />
Due, però, le ho conosciute molto dall'interno. Una è Marisa Murro, che<br />
appunto ci raccontava che a 17 anni, con i calzini corti, in bicicletta portava<br />
le armi da una parte all'altra, perché lei era una di quelle armate che appunto<br />
portava le armi. E stupiva anche il suo coraggio, la sua forza, proprio perché<br />
era una ragazzina. E Marisa anche dopo la Resistenza - anche lei è stata in<br />
carcere, non deportata, però - dopo la Liberazione ha continuato nella sua<br />
attività pedagogica, da giornalista e da insegnante.<br />
Un'altra che ho conosciuto, invece - è quasi un interno famigliare - negli ultimi 3-4 anni della sua vita,<br />
è stata Joyce Lussu. Ho avuto questo privilegio, ho conosciuto la scrittrice, la donna curiosa, la donna<br />
severa, la donna difficile, perché difficile era il rapporto con lei, mai retorica e spesso difficile persino<br />
da trattare. Che però raccontava, e ricordava i suoi viaggi, i suoi trascorsi, la sua via con Lussu, il non<br />
essersi mai accomodata.<br />
Ecco, io ho conosciuto queste due donne e ne sono stata davvero onorata e lieta, perché le ho<br />
conosciute più dall'interno. Credo che oggi a queste due donne, queste che ho voluto ricordare perché<br />
conosciute più da vicino e che non ci sono più, a chi c'è – ce ne sono molti, ma magari non possono<br />
essere qui per problemi di salute, come si diceva prima, perché l'età avanza – noi oggi abbiamo ancora<br />
da chiedere di continuare ad insegnarci la strada della libertà e di una liberazione che non è mai data<br />
per sempre; di indicarci la strada della democrazia, e di aiutarci soprattutto a prendere il testimone. È<br />
nelle grandi associazioni, dall'ANPPI ad altre, che noi, donne e uomini di altre generazioni, dobbiamo<br />
assolutamente entrare perché la memoria è fondamentale; perché non si pensi che chi ha potuto vivere<br />
- anche l'attimo (perché è morto immediatamente) – per la speranza della liberazione di un Paese<br />
migliore, non l'abbia fatto invano. E perché la memoria ci serve ogni giorno non solo per conservare<br />
quello che abbiamo, ma per poterlo rilanciare e qualificare.<br />
Serenella BARTOCCI<br />
Portavoce della Sottosegretaria alle Pari Opportunità On. Linguitti<br />
Rubo l'incipit a una famosa storica, Gianna Pomata, che iniziava il suo saggio sulla storia delle donne<br />
citando Jane Austin, che fa dire alla protagonista di un suo romanzo, a proposito dei libri di storia: “Li<br />
leggo qualche volta per dovere, ma non mi dicono niente che non mi irriti o non mi annoi. Ad ogni<br />
86
pagina litigi di papi e imperatori, guerre e pestilenze. Gli uomini in genere sono dei buoni a nulla. E<br />
le donne? Le donne praticamente non ci sono mai.”<br />
La studiosa procedeva poi con l'analisi dei motivi per cui le donne sono così trascurate dalla storia,<br />
riconducendoli a una dicotomia di fondo tra natura, cioè corpo, istinto, maternità, e cultura, cioè<br />
intelletto, norma, società e tutto quanto si pretenderebbe essere maschile, riconoscendolo al tempo<br />
stesso come superiore. Il saggio si concludeva con l'auspicio che queste vecchie dicotomie della<br />
tradizione occidentale, ormai anacronistiche ma ancora di forte presa sul nostro universo intellettuale,<br />
potessero essere superate da studi, necessariamente interdisciplinari, che esplorassero invece il terreno<br />
di confine, restituendo all'esperienza umana la sua complessità.<br />
Questa mi sembra sia appunto la strada che<br />
gli studi sulle donne e delle donne stanno<br />
percorrendo anche in Italia, e in particolare<br />
sulla Resistenza, a partire non a caso dagli anni<br />
'70, in un fecondo interscambio con il<br />
femminismo da una parte, e dall'altra con il rinnovato interesse verso<br />
tutti gli emarginati della storia. Anche qui, infatti, direi che si tratta di superare la dicotomia tra lotta<br />
armata, unica vera Resistenza, e quindi unico soggetto legittimato alla fondazione dello Stato<br />
repubblicano - il maschio in armi che già prima qualcuno ricordava – e la raffigurazione del<br />
contributo, spesso al massimo della partecipazione femminile, come espressione o di un innato senso<br />
materno, o di un altrettanto innato pacifismo. Non si tratta certo di discutere il senso materno o il<br />
pacifismo, ma la naturalezza, appunto, l'istintività da cui nascerebbero questi atteggiamenti, che in tal<br />
modo vengono svalorizzati, negando al contempo che le azioni di resistenza da parte delle donne<br />
possano essere frutto di una scelta consapevole. Osservava per esempio Miriam Mafai, nel famoso<br />
Pane nero, che per il senso comune è comprensibile che una donna abbia offerto assistenza a un<br />
prigioniero, a un disperso, a uno sbandato, tanto più se costui è il fidanzato, il padre, il fratello;<br />
l'ammirazione e la comprensione diminuiscono quando l'attività della donna sia stata più impegnativa<br />
e determinata da una scelta individuale, non giustificata da affetti e solidarietà famigliare. Un<br />
atteggiamento non diverso da quello del nemico – spiace dirlo – come si può vedere, per esempio, da<br />
una lettera dal carcere di San Michele di una partigiana del Vicentino, Eleonora Candia, che diceva:<br />
“Credo che sarò deferita al tribunale speciale.<br />
È un onore molto raro, questo, riservato alle maggiori delinquenti, ma a me pesa il fatto della laurea,<br />
per cui ho fatto coscientemente quello che ho fatto”.<br />
Appunto la consapevolezza della scelta è invece il primo cardine del protagonismo femminile nella<br />
Resistenza italiana. Come pensare che non fossero consapevoli della loro scelta e delle conseguenze di<br />
essa non solo le donne in armi, ma quelle che ciclostilano in casa, che contrabbandano le riunioni per<br />
incontri amicali, che fanno del proprio corpo un nascondiglio, che trasformano relazioni quotidiane in<br />
circuiti di iniziativa antifascista, e relazioni pericolose per rapporti famigliari, come la brava moglie<br />
torinese che, per proteggere un antifascista sorpreso a casa sua, dichiara di avere un relazione con lui,<br />
affronta il processo e la perdita della rispettabilità? Quelle donne che seducono, recitano, usano il<br />
richiamo e i simboli della maternità per chiedere, rivendicare, difendere di fronte alle armi, anzi,<br />
spostando nell'universo delle armi le proprie armi private, personali, in un rovesciamento che denuncia<br />
un sapiente uso delle contraddizioni del terreno di confine, appunto?<br />
Come pensare che non fossero consapevoli le protagoniste della più grande opera di salvataggio della<br />
nostra storia, come l'ha definita Galli Della Loggia, come quell'operaia torinese che accoglie e riveste<br />
in borghese i primi sbandati che bussano alla sua porta, ma che poi, rendendosi conto del carattere di<br />
massa dell'emergenza, coinvolge vicini e conoscenti e trasforma la sua casa in un efficientissimo<br />
centro di raccolta, dove sfama e riveste i soldati, che accompagna poi in stazione uno per uno,<br />
baciandoli e abbracciandoli come fossero parenti, per eludere i controlli?<br />
Sto parlando, è chiaro, di resistenza civile, secondo il concetto messo a punto alla fine degli anni '80<br />
da uno studioso francese, /Saintlaine/ che vi identifica le iniziative conflittuali disarmate, le quali<br />
rappresentano la risposta della società civile contro il nazismo. Lo studioso francese in realtà vi<br />
ricomprendeva solo azioni di massa e organizzate, ma già qui, per quanto riguarda l'Italia, rientravano<br />
87
in questo concetto i nostri deportati, le deportate, i militari internati in Germania per aver rifiutato<br />
l'arruolamento di Salò, i dipendenti pubblici che hanno aiutato sbandati e ricercati. Ma il concetto è<br />
stato poi ridefinito in Italia da molte studiose, in particolare da Anna Bravo, che dice questo: “E'<br />
resistenza civile quando si tenta di impedire la distruzione di cose e beni ritenuti essenziali per il dopo,<br />
o ci si sforza di contenere la violenza intercedendo presso i tedeschi, ammonendo i resistenti perché<br />
non bisogna ridursi come loro; quando si dà assistenza in varie forme a partigiani, a militanti in<br />
clandestinità, a popolazioni, o si agisce per isolare moralmente il nemico; quando si sciopera per la<br />
pace o si rallenta la produzione per ostacolare lo sfruttamento delle risorse nazionali da parte<br />
dell'occupante; quando ci si fa carico del destino di estranei sconosciuti, sfamando, proteggendo,<br />
nascondendo qualcuna delle innumerevoli vite messe a rischio dalla guerra”.<br />
E allora, dalla resistenza militare (scontro armato, informazione, approvvigionamento e collegamento,<br />
stampa e propaganda, trasporto armi e munizioni, organizzazione sanitaria e ospedaliera, soccorso<br />
rosso, con la significativa esclusione dei vertici di comando), alla resistenza civile, con una presenza<br />
tanto più ampia e finora poco riconosciuta, non esistono nella Resistenza<br />
italiana compiti o settori dove le donne siano assenti. Certo, anche nella lotta<br />
armata, con una scelta sempre dolorosa, ma talvolta ineludibile, e comunque<br />
sempre una scelta, frutto di molta consapevolezza e riflessione, anche<br />
strettamente politica. E qui basta appena ricordare l'organizzazione dei gruppi<br />
di difesa della donna.<br />
Forse, allora, tenere lontane queste donne dalla storia ha contribuito a quello<br />
che un'altra storica, Delfina Tromboni, parlando di linguaggio definiva: lo<br />
scarto tra ciò che una donna si pensava potesse fare prima della Resistenza, e<br />
ciò che si pensa possa fare dopo, per il semplice motivo che l'ha fatto. Ma questo scarto, se può far<br />
paura a molti, se può aver fatto perdurare certe forme di ambiguità nel riconoscere ciò che<br />
effettivamente le donne avevano fatto in quegli anni difficili, questo scarto è la matrice di tutto quello<br />
che le donne italiane hanno realizzato nei successivi 60 anni, fino ad oggi, nella consapevolezza di sé<br />
sempre crescente, nella convinzione che non ci siano strade precluse, nella capacità di riconoscersi, di<br />
organizzarsi, di lottare. In questo modo di essere, che è stato della mia generazione e che, nonostante<br />
tutto, vediamo ancora nelle nostre figlie, è l'eredità che noi abbiamo ricevuto dalle resistenti.<br />
L'esperienza femminile attraversa e partecipa alla storia con proprie caratteristiche, ed oggi come<br />
allora essa è preziosa per tutti, per le complesse domande che pone e che qui ho appena sfiorato, dalla<br />
grande questione su violenza e non violenza, ai complicati meccanismi della memoria, alle forme<br />
organizzative, all'immagine del nemico. In particolare, in questo momento storico mi sembra<br />
importante il tema della pace. Insieme alla libertà, la pace era senza ombra di dubbio lo scopo ultimo<br />
delle resistenti, sia di quelle in armi che di quelle inermi.<br />
Il sentimento delle prime è evidente in molte memorie: sono tutte spinte non dall'odio, non dal<br />
desiderio di emulare o invadere il campo dei maschi – cosa che in effetti fanno – ma dall'urgenza di<br />
porre fine al fascismo, all'ingiustizia, alla guerra. E si convincono contro il proprio desiderio a battersi<br />
per tutti coloro che avevano sofferto ed erano morti ingiustamente, che erano ingiustamente<br />
perseguitati, come dice – e mi scuso di aver preso a prestito parole da tanto esempio – Carla Capponi,<br />
come forse molti di noi hanno sentito ieri sera anche nelle parole di Tina Anselmi, nell'intervista di<br />
Enzo Biagi, che diceva appunto qualcosa di questo genere. Più in generale, lo scopo politico della lotta<br />
delle donne è espresso in un volantino clandestino dei gruppi di difesa della donna,<br />
a Milano: nonostante l'occupazione – dice il volantino – sapremo però ugualmente<br />
affermare la nostra volontà di farla finita con la guerra.<br />
No, sono convinta, le donne non sono pacifiste per natura, solo perché sono donne.<br />
La pace è un valore degli uomini e delle donne, che richiede impegno, volontà,<br />
scelte consapevoli, troppo spesso anche resistenza all'interno di un sistema di valori<br />
che non può che essere centrato sulla democrazia e sulla giustizia per tutti.<br />
88
Diamo lettura del messaggio del Presidente emerito della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi,<br />
affermando di considerare particolarmente felice la scelta di celebrare il 25 aprile con un convegno<br />
dedicato a un tema che ancora oggi può offrire elementi di riflessione, oltre ad aggiungere<br />
conoscenza di fatti e vicende che segnarono gli anni della nostra ritrovata dignità. Scrivendo al nostro<br />
Segretario Generale, così dice: “Voglia considerarmi idealmente presente, anche con le accluse brevi<br />
considerazioni che il tema del convegno mi ha suggerito”.<br />
Scrive Ciampi: “Della presenza femminile nella lotta di liberazione si è talora parlato come di una<br />
parte della Resistenza, lungamente taciuta. Se silenzio c'è stato, certamente la storiografia più recente<br />
ha provveduto con ricchezza e varietà di contributi a dar voce a quella esperienza. Di quella stagione<br />
abbiamo anche alcune importanti testimonianze in prima persona; penso ad Ada Gobetti, a Giuliana<br />
Benzoni, a Carla Capponi, che in forma diaristica o autobiografica ci hanno trasmesso, con accenti<br />
semplici, la memoria di vicende come semplici non furono.<br />
Le donne giustiziate o cadute in combattimento dal '43 al '45 sono quasi tremila, ma assai di più<br />
furono quelle non meno valorose, certo più fortunate, che dettero in vario modo il loro contributo<br />
all'azione collettiva di riscatto morale, a quel soprassalto di dignità con cui il popolo italiano scelse di<br />
reagire, all'8 settembre. In alcuni casi la scelta fu la resistenza armata; in molti, tantissimi altri fu<br />
resistenza civile, fu un opporsi alla brutalità, all'abbrutimento causato dalla guerra e dall'occupazione<br />
nazifascista, chi cercando di salvare dalla distruzione quello che serviva per vivere, chi fornendo<br />
assistenza nei più svariati modi, chi assicurando con discrezione i collegamenti, essenziali non meno<br />
dei piani di battaglia. Erano mogli, madri, figlie, sorelle, che ripetevano i gesti consueti di ogni giorno,<br />
quelli ordinari, che in tempi che ordinari non erano potevano essere eroici.<br />
Sfamare un partigiano, ospitare un clandestino o un ebreo, travestire un militare in fuga da Salò,<br />
proteggere, insomma, è la scelta di resistenza magari inconsapevole di molte donne, che<br />
nell'accudimento della protezione di chi correva un pericolo, assecondavano un insopprimibile istinto<br />
di vita, opponevano la forza della vita a quella scellerata e distruttrice dell'odio. Donne che in fondo<br />
volevano solo che il domani, se non per sé, almeno per i propri figli potesse essere diverso e migliore.<br />
Non a caso qualcuno, con una immagine suggestiva, ha parlato di maternità collettiva.<br />
Sono ormai passati più di 60 anni da allora, è un tempo lungo, anche se sembra non esserlo, lungo<br />
abbastanza per dimenticare i troppi lutti, il troppo dolore, il troppo odio. Ugualmente, non è<br />
abbastanza lungo per oscurare la luce dei sentimenti, che nonostante l'odio, la morte, il dolore,<br />
rischiarò la mente e il cuore di molti di quegli uomini e di quelle donne.<br />
ADA GOBETTI<br />
È alle parole di Ada Gobetti che affido il mio saluto e il mio augurio a tutti i<br />
partecipanti della odierna manifestazione. Dedico questi ricordi ai miei amici, vicini<br />
e lontani, di vent'anni e di un'ora sola, perché proprio l'amicizia, legame di<br />
solidarietà fondato non su comunanza di sangue, né di Patria, né di tradizione<br />
intellettuale, ma sul semplice rapporto umano del sentirsi uno, come uno tra molti,<br />
mi parso il significato intimo, il segno della nostra battaglia. E forse lo è stato<br />
veramente, e soltanto se riusciremo a salvarla e perfezionarla, o a ricercarla al di<br />
sopra dei tanti errori e dei tanti smarrimenti, se riusciremo a capire che questa unità,<br />
questa amicizia, non è stata e non deve essere solo un mezzo per raggiungere<br />
qualche altra cosa, ma è un valore in se stessa, poiché in essa forse è il senso dell'uomo, soltanto allora<br />
potremo ripensare al nostro passato e rivedere il volto dei nostri amici, vivi e morti, senza malinconia<br />
e senza disperazione. Carlo Azeglio Ciampi”.<br />
Piero BONI, partigiano, Medaglia d'Argento al Valor Militare<br />
E' già stato sottolineato, introducendo questo nostro convegno, il valore che esso sia stato promosso da<br />
un'organizzazione sindacale e io non vorrei essere un po' maligno - anche se talvolta, come dice<br />
qualcuno, se si pensa male si fa peccato, però ci si azzecca – a pensare che ci sia un'attenuazione nel<br />
89
sottolineare la permanenza e l'importanza fondamentale e continua dei valori della Resistenza nello<br />
sviluppo della nostra azione e della nostra politica nazionale.<br />
È giusto certamente creare le condizioni perché il confronto politico avvenga con rispetto reciproco,<br />
con la volontà di pervenire quanto prima e il più rapidamente possibile a soluzioni valide e concordate,<br />
però queste non devono avvenire al prezzo di certi abbandoni. E, per essere un po' attuale, certi<br />
congressi si aprono con le canzoncine americane, dimenticando<br />
altre canzoni storiche, che sono un patrimonio. A me non<br />
entusiasmano, perché credo che pure malgrado la mia ormai lunga,<br />
lunghissima età, io, i miei figli e i miei nipoti continueremo a<br />
cantare Bella ciao, ma non perché siamo dei conservatori,<br />
assolutamente. Ormai pervenuti alla terza generazione, bisogna<br />
rinnovarla questa storia della Resistenza, togliere da essa alcuni<br />
episodi che l'appesantiscono, ma perché con tutto questo lavoro che<br />
pur bisogna fare, con questo ammodernamento indispensabile, essa<br />
rimane l'espressione dei valori fondamentali sui quali si basa un<br />
popolo, e il suo ordinamento, e la nostra Costituzione. E di qui l'importanza del valore dell'apporto<br />
femminile.<br />
Io dico, per la mia esperienza abbastanza complessa, perché io sono stato partigiano di città e<br />
partigiano di montagna, che senza le donne la Resistenza non ci sarebbe stata. Certi numeri sono<br />
significativi e importanti, ma senza il complesso dell'apporto femminile in ogni suo significato, forse<br />
noi non saremmo stati in grado di portare avanti la nostra azione. È stata una partecipazione decisiva,<br />
consapevole, che ha subito mostrato il grado di maturità che avevano raggiunto le masse femminili.<br />
SCIOPERI<br />
BELLA<br />
CIAO<br />
In questa direzione voglio ricordare soltanto, perché a me sembra<br />
significativa, la partecipazione delle donne agli scioperi del '43, del 44 e<br />
del '45; voglio ricordare quelle operaie che si sono opposte alle SS e alle<br />
truppe fasciste che venivano in fabbrica per portare via gli operai, a<br />
Tutto quel complesso dell'azione, di un movimento così vasto, che è stato<br />
l'unico in Europa. All'infuori della Iugoslavia, non c'è in Europa un<br />
episodio così importante, così largo, così incisivo, come sono stati gli<br />
scioperi dal '43, che ha segnato la data dell'inizio della fine del fascismo,<br />
al '44, quando si sono salvate le fabbriche e si è consentito che gli alleati arrivassero nelle nostre città<br />
salve, ancora una volta.<br />
E forse non è il caso di insistere troppo che certo revisionismo, molto, molto discutibile, oggi venga a<br />
contestare il fatto che a Milano, a Genova e a Torino sono arrivati prima i partigiani delle truppe<br />
alleate. E direi di mancare ai fatti storici fondamentali a condurre quel tipo di revisionismo che non<br />
serve, di fare della strumentalizzazione bassa, inutile e contraddittoria. In questa direzione, la<br />
partecipazione femminile è lì a dimostrare, insieme a tutta l'altra partecipazione di tutta la popolazione,<br />
che la nostra è stata, è e rimane, malgrado certi storici, una partecipazione popolare, di tutti. La<br />
Resistenza non è stata di una minoranza di volontari nel quadro dell'azione del popolo italiano, ma è<br />
stata la risposta completa, larga, decisa di tutto il popolo italiano, sia da quando essa è cominciata a<br />
Napoli, fino a quando essa è terminata, a Piazza del Duomo, il 25 aprile.<br />
E quindi in questa direzione, ormai alla terza generazione, vorrei che finalmente sul concetto di<br />
Resistenza, su quello che la Resistenza ha segnato nella storia italiana, su quello che essa continua ad<br />
essere, un permanente indirizzo, ci fosse ormai il consenso. Ricordiamo e speriamo che accompagni<br />
questa cultura di lasciare alle spalle le polemiche e la storia peggiore, la recente decisione della<br />
Comunità Economica Europea, nella quale i 26 Paesi hanno considerato reato penale non riconoscere<br />
l'apporto della shoah in tutte le comunità. Anche questa è un'indicazione.<br />
Noi non vogliamo una legge, ma vogliamo appunto questa cultura, nella quale si riconosca tutto il<br />
popolo e nella quale prosegua l'affermazione delle masse femminili. E in questa direzione due<br />
brevissime osservazioni. Vorrei che le masse femminili fossero più coerenti nell'affermare la loro<br />
presenza. È merito del sindacato avere concorso alla loro presenza negli organismi dirigenti; c'è la<br />
90
CGIL che è arrivata ad una segreteria di sei donne e di sei uomini ed io vorrei che questo esempio<br />
coraggioso fosse seguito in tutti gli organismi sindacali. Così come io mi auguro che dalle donne<br />
venga un particolare apporto per una politica di unità sindacale. Oggi, in questa direzione bisogna<br />
riprendere un cammino unitario, e come le donne sono state l'anima e l'unità della Resistenza, vorrei<br />
che fossero l'anima e l'unità del sindacalismo rinnovato.<br />
Siamo in attesa di collegarci con Tina Anselmi: dovrebbero passarci la telefonata in sala in modo che<br />
possiate ascoltare il suo pensiero sulla partecipazione delle donne alla Resistenza.<br />
Ecco l'applauso a Tina Anselmi dei partecipanti al nostro convegno sulle donne e la Resistenza.<br />
Questo è il saluto che il convegno le rivolge, con il ringraziamento per questo collegamento e la<br />
partecipazione. Ci vuol dare il suo contributo?<br />
Tina ANSELMI, ex Ministra, staffetta partigiana<br />
Mi pare importante che questo convegno abbia voluto sottolineare il ruolo e la presenza<br />
delle donne nella guerra di liberazione. Va bene che gli storici oramai hanno acquisito<br />
questa presenza, e il valore di questa presenza: ci sono storici che hanno documentato<br />
come la presenza delle donne sia stata una garanzia per la battaglia per la libertà, perché<br />
quasi 50 mila sono state le donne che hanno partecipato alla esistenza, e di queste,<br />
migliaia sono state fucilate, sono state torturate, sono state poste nella condizione di vita delle prigioni.<br />
E dunque non si poteva dimenticare tutto questo.<br />
È stato importante che si sia ricordato, e ci si sia stretti intorno a questo ricordo, che oggi accomuna le<br />
donne resistenti di 50 anni fa con le donne che oggi vogliono continuare il ruolo della donna nella<br />
società, perché questa continuazione della presenza delle donne è garanzia che la Resistenza avrà un<br />
solo punto di riferimento importante, sia sul piano militare, come sul piano della vita dei nostri Paesi,<br />
delle nostre realtà locali, e quindi c'è questa strada che si fa insieme oggi, ma che è una strada che<br />
continua la battaglia di ieri.<br />
Pensiamo anche ad un elemento, che non mi pare sia stato molto ricordato, ma che noi vogliamo<br />
invece ricordare: quando sono stati visti i partigiani, questa loro presenza si è accompagnata a quella<br />
delle donne partigiane, o delle mogli dei partigiani. Richiamo alla mente quanto la moglie di De<br />
Gasperi ebbe a dire: “non chiediamo amnistie, non chiediamo qualsiasi liberatoria, perché vogliamo<br />
che la libertà sia anche una conquista delle donne”. E così stato. E questo è molto importante che a<br />
cinquant'anni dalla Resistenza ci siano ancora donne che ricordano questa presenza come partigiane,<br />
perché questa presenza era anche un legame che rafforzava il ruolo delle donne partigiane accanto ai<br />
combattenti della guerra di liberazione.<br />
Grazie, onorevole Anselmi. E credo di interpretare il pensiero di molti che sono qui questa mattina,<br />
nel confermarle che alla prima Ministra donna della Repubblica italiana, senza nulla togliere ai<br />
Presidenti che, autorevoli, hanno guidato il nostro Paese, poteva essere l'occasione di avere la prima<br />
donna Presidente della Repubblica, Tina Anselmi. Grazie.<br />
Lettura di alcune motivazioni di Medaglie d'Oro conferite a partigiane combattenti.<br />
Lettura di Marisa SOLINAS<br />
Degli Degli Esposti Esposti Gabriella Gabriella in in Reverberi, Reverberi, partigiana partigiana combattente combattente – Crestellano (Bologna)<br />
Due tenere figliolette e l'attesa di una terza non le impedirono di dedicarsi con tutto lo slancio della<br />
sua bella anima alla guerra di liberazione. In quindici mesi di lotta senza quartiere si dimostrava<br />
instancabile e audacissima combattente, facendo della sua casa una base avanzata nelle formazioni<br />
91
partigiane, eseguendo personalmente numerosi atti di sabotaggio e contribuendo alacremente alla diffusione della<br />
stampa clandestina.<br />
Accortasi di un rastrellamento, riusciva ad allontanare gli sgherri dalla propria casa per breve tempo; incurante della<br />
propria salvezza, metteva al sicuro le figliolette ed occultava armi e documenti compromettenti. Catturata, fu<br />
sottoposta alle torture più atroci per indurla a parlare: le furono strappati i seni cavati gli occhi, ma ella resistette<br />
imperterrita allo strazio atroce, senza dire motto. Dopo dura prigionia, con le carni straziate, ma non piegata nello<br />
spirito fiero, dopo aver assistito all'esecuzione di dieci suoi compagni, affrontava il plotone di esecuzione con il sorriso<br />
sulle labbra e cadeva invocando un'ultima volta l'Italia adorata. Leggendaria figura di eroina e di martire.<br />
Castelfranco Emilia, 17 dicembre 1944. Medaglia d'Oro al Valore Militare conferita alla memoria nel 1944.<br />
Lettura di Leandro AMATO<br />
Del Del Din Din Paola, Paola, partigiana partigiana combattente combattente – Pieve Pieve di di Cadore Cadore (Belluno)<br />
(Belluno)<br />
Dopo aver svolto intensa attività partigiana nel Friuli, formazione comandata dal fratello, ad<br />
avvenuta morte di questi in combattimento venne prescelta per portare al Sud importanti<br />
documenti operativi, interessanti il Comando alleato.<br />
Oltrepassate a piedi le linee di combattimento, dopo non poche peripezie e con continuo rischio<br />
della propria vita, ultimata la sua missione chiedeva di frequentare un corso di paracadutisti. Dopo<br />
aver compiuto ben 11 voli di guerra in circostanze fortunose, riusciva finalmente, unica donna in Italia, a lanciarsi<br />
con il paracadute nel cielo del Friuli, alla vigilia della liberazione.<br />
Nel corso dell'atterraggio riportava una frattura alla caviglia e una torsione alla spina dorsale, ma nonostante il<br />
dolore lancinante, la sua unica preoccupazione era di prendere subito contatto con la missione alleata nella zona, per<br />
consegnare i documenti che aveva portato con sé. Negli ultimi giorni di guerra, benché claudicante passava ancora le<br />
linee di combattimento per recapitare informazioni ai reparti alleati avanzanti.<br />
Bellissima figura di partigiana, seppe in ogni circostanza assolvere con rara capacità e virile ardimento i compiti<br />
affidatile, dimostrando sempre elevato spirito di sacrificio e sconfinata dedizione alla causa della libertà.<br />
Zona di operazione, settembre 1943 - aprile 1945. Medaglia d'Oro al Valor Militare conferita alla memoria nel 1945.<br />
Lettura di Marisa SOLINAS<br />
Enriques Enriques Anna Anna Maria, Maria, Maria, partigiana partigiana combattente combattente combattente – Bologn Bologna Bologn<br />
Immemore dei propri dolori, ricordò solo quelli della Patria e nei pericoli e nelle ansie della lotta<br />
clandestina ricercò senza tregua i fratelli da confortare con la tenerezza degli affetti, e da<br />
fortificare con la fermezza di un eroico apostolato.<br />
Imprigionata dagli sgherri tedeschi per lunghi giorni, superò con l'invitta forza dell'animo la furia<br />
dei suoi torturatori, che non ottennero da quel giovane corpo straziato una sola parola rivelatrice.<br />
Tratta dopo un mese dal carcere, il giorno 12 giugno 1944, sul greto del Mugnone, in mezzo ad un gruppo di patrioti,<br />
cadeva uccisa da una raffica di mitragliatrice. Indimenticabile esempio di valore e di sacrificio.<br />
Firenze, 15 maggio - 12 giugno 1944. Medaglia d'Oro al Valore Militare conferita alla memoria nel 1944.<br />
Lettura di Leandro AMATO<br />
Lorenzoni Lorenzoni Maria Maria Assunta Assunta (Tina), (Tina), crocerossina crocerossina partigiana partigiana combattente combattente combattente – Macerata<br />
Purissima patriota della Brigata V, martire della fede italiana, compì sempre più del suo dovere.<br />
Crocerossina intelligente e informatrice, angelo consolatore tra i feriti, esempio e sprone ai<br />
combattenti, prestò sempre preziosi servizi alla causa della liberazione d'Italia, allo scopo di<br />
alleviare le perdite della Brigata, già duramente provata ed assottigliata nel corso delle precedenti<br />
azioni.<br />
Onde rendere possibile una difficile avanzata, volle recarsi al di là della linea del fuoco per scoprire e rilevare le<br />
92
posizioni nemiche. Il compito, volontariamente ed entusiasticamente assuntosi, già altre volte portato felicemente a<br />
termine, la condusse verso la cattura e verso la morte.<br />
Gloriosa eroina d'Italia, sicura garanzia della rinascita nazionale.<br />
Firenze, Via Bolognese, 21 agosto 1944. Medaglia d'Oro al Valore Militare conferita alla memoria nel 1944.<br />
Marchiani Marchiani Irma, Irma, partigiana partigiana combattente combattente – Firenze<br />
Firenze<br />
Lettura di Marisa SOLINAS<br />
Valorosa partigiana, animata da un grande ardimento, dopo essersi distinta per coraggio e sprezzo<br />
del pericolo nella battaglia di Montefiorino, veniva catturata dal nemico nel generoso tentativo di<br />
far ricoverare in luogo di cura un compagno gravemente ferito. Condannata alla deportazione e<br />
riuscita audacemente ad evadere, riprendeva il suo posto di lotta e partecipava ai combattimenti di<br />
Benedeiro, battendosi con indomito coraggio e prodigandosi nell'amorosa assistenza ai feriti.<br />
Caduta nuovamente nelle mani del nemico, affrontava impavida la morte offrendo fieramente il<br />
petto al piombo che troncava la sua balda esistenza.<br />
Pavullo nel Frignano, 26 novembre 1944. Medaglia d'Oro al Valore Militare conferita alla memoria nel 1944.<br />
Lettura di Leandro AMATO<br />
Marighetto Marighetto Ancilla, Ancilla, Ancilla, partigiana partigiana partigiana combattente combattente – Casteltesino (Trento)<br />
Generosa figlia del Trentino, abbandonò la propria casa e la famiglia per rispondere all'appello<br />
della Patria cui già il padre aveva sacrificato la vita. Unitamente al fratello maggiore divise i<br />
gravi rischi e i grandi sacrifici della lotta partigiana nella stagione più rigida e in zona impervia e<br />
pericolosa.<br />
Durante un rastrellamento, con uno sci spezzato da raffiche nemiche, si rifugiò sopra un albero. Individuata, scaricò<br />
la pistola sul nemico fino ad esaurimento delle munizioni. Catturata e sottoposta a sevizie e torture, non si piegò.<br />
Offertale salva la vita purché denunciasse i propri compagni, rifiutava sdegnosamente, sputando in faccia ai carnefici<br />
e gridando: “Ammazzatemi, ma non tradirò mai i miei fratelli”. Il piombo nemico stroncò la sua eroica esistenza.<br />
Col del Tocco, Passo Broccone, Comune di Casteltesino (Trento), 19 febbraio 1945. Medaglia d'Oro al Valor Militare<br />
conferita alla memoria nel 1945.<br />
Antonio LANDOLFI, storico, Vice Presidente dell'ANPI<br />
Debbo dire che concordo con chi poc'anzi ha sottolineato il contributo straordinario della<br />
partecipazione femminile alla Resistenza, intesa come opposizione al totalitarismo fascista e nazista.<br />
Del resto, è stata una donna, una filosofa che ha segnato di sé il pensiero politico del XX Secolo, Anna<br />
Arends, a sostenere con grande lucidità come fascismo e nazionalsocialismo fossero un aspetto<br />
dominante e centrale di una categoria di pensiero e di azione perversa, più vasta, quale quella del<br />
totalitarismo, e che quindi la lotta di opposizione al fascismo e al nazismo e la Resistenza abbia con<br />
questo assunto un valore universale che trascende un episodio ventennale, un episodio della storia<br />
terribile del '900, e che si proietta ancora oggi nel presente, e forse nel futuro.<br />
E da questo punto di vista concordo con chi poc'anzi ci ha indotto a pensare che il termine<br />
“contributo” sia un termine debole per significare questa partecipazione, e che bisogna individuare in<br />
questa partecipazione un atto di coscienza di singole donne, di gruppi di donne, di classi di donne, che<br />
è cominciato probabilmente già prima dell'inizio del fascismo. Non dimentichiamoci che l'Italia prefascista<br />
era un'Italia che aveva istituzioni che oggi sembrano anche ridicole, monosessuali: il<br />
Parlamento composto da soli maschi, il Senato composto da soli maschi, magistratura composta da<br />
soli maschi e votavano solo i maschi.<br />
93
Cosa significò il fascismo, la nascita del Governo fascista? Significò per le<br />
donne soprattutto questo: che la legge che nel 1919 aveva portato al<br />
compimento positivo della battaglia per il suffragio universale, che aveva<br />
messo il principio della partecipazione delle donne alla vita politica,<br />
attraverso la partecipazione del voto, era stato poi per le resistenze<br />
conservatrici, nel senso che si disse: sì, le donne – nel 1919 – hanno diritto al<br />
voto per completare il suffragio universale, però questo potrà diventare<br />
operante soltanto alla terza legislatura successiva. La terza legislatura non c'è<br />
stata, perché Mussolini e il fascismo abolirono il sistema delle libertà e le<br />
libere istituzioni nel nostro Paese, e le donne sono entrate nella storia<br />
politica del nostro Paese attraverso la battaglia contro il fascismo. Questo è<br />
stato, dal punto di vista storico, il significato più profondo di questa partecipazione femminile<br />
straordinaria, pagato a durissimo prezzo dalle donne, con le loro sofferenze, con il loro sopportare il<br />
disagio terribile del fascismo, ma già i disagi economici e sociali sotto il fascismo, come ha ricordato<br />
una storica di grande valore, Simona Codalizi, nel suo libro sulla storia della società italiana sotto il<br />
fascismo.<br />
Basti ricordare la partecipazione, che Simona Codalizi indica molto bene in questa sua opera, delle<br />
donne ai movimenti contadini che, nonostante il regime, ci furono nel 1924: il grande sciopero<br />
meridionale, fatto come risposta all'uccisione di Matteotti, in cui, secondo la Codalizi, in Puglia, in<br />
Campania, in Calabria e anche in Sicilia ci fu una fortissima partecipazione delle donne. Del resto,<br />
all'epoca, più del 60% della forza lavoro era nel mondo contadino, era nella terra, e le donne avevano<br />
un ruolo anche di produzione all'interno di quel sistema economico.<br />
Basti pensare ai movimenti che ci sono stati anche agli inizi degli anni '30 nel mondo contadino,<br />
sottolineati addirittura dai sindacalisti fascisti, del sindacato statalizzato del lavoro, per capire quale fu<br />
il grado di sopportazione economica e sociale del mondo femminile in quel periodo, per giungere poi<br />
alla battaglia della Resistenza, della lotta partigiana, al contributo di sangue, di partecipazione che ha<br />
ricordato poc'anzi Piero Boni, che ha reso possibile la Resistenza grazie alla presenza del mondo<br />
femminile, di queste figure straordinarie di donne, che hanno saputo dare se stesse, appunto sotto la<br />
spinta non di una originalità sessuale o di una distinguibilità del sesso femminile, ma per presa di<br />
coscienza per un atto politico di notevole importanza storica.<br />
Voglio ricordare qui anzitutto una figura di donna, che è stata la prima oppositrice del Governo<br />
Mussolini, che si ricorda poco e nulla in Italia, da un certo punto di vista. La ricordo perché, a<br />
settant'anni di distanza, è stato pubblicato l'anno scorso un suo romanzo, che aveva avuto un grande<br />
successo nel mondo, all'inizio degli anni '30, e soprattutto negli Stati Uniti. Questa donna, che è stata<br />
non la prima oppositrice, ma il primo oppositore, perché è stata una donna il primo oppositore del<br />
Governo Mussolini, lo fu – pensate – nel dicembre del 1922. Da pochi giorni Mussolini aveva ottenuto<br />
la fiducia dei giolittiani, dei popolari, dei liberali moderati, alla Camera, che<br />
si aggiungeva ai 35 voti fascisti al Parlamento regalatigli da Giolitti (perché<br />
questo va ricordato, perché furono candidati nel '21 nelle liste giolittiane i<br />
deputati fascisti, per riuscire ad entrare in Parlamento); nemmeno una<br />
settimana dopo il Governo Mussolini, che si apprestava a dare l'amnistia ai<br />
picchiatori fascisti e anche ai criminali fascisti delle squadre d'azione, decretava<br />
l'espulsione di fatto dall'Italia di una ancora giovane insegnante abruzzese,<br />
nata a Sulmona, che era anche giornalista, che era anche scrittrice – e che<br />
scrittrice! - che si chiamava Virgilia D'Andrea, un nome assai noto<br />
Virgilia D’Andrea<br />
nella letteratura americana, nella letteratura internazionale, pressoché sconosciuto in Italia, dove il suo<br />
maggiore romanzo è stato pubblicato solo nel 2006: Torce nella notte. Era una giornalista,<br />
un'insegnante, una sindacalista anarchica, che sarà poi la compagna del leader (non possiamo usare il<br />
termine capo) del Movimento anarchico italiano, che si chiamava Armando Borghi, il leggendario<br />
Armando Borghi.<br />
Ebbene, Virgilia D'Andrea si era recata come sindacalista rivoluzionaria - faceva parte dell'Unione dei<br />
sindacalisti italiani – a Berlino, e secondo quanto una spia aveva riferito al Ministero degli Interni,<br />
94
essa aveva sottolineato, anche fra l'incredulità dei presenti, dei partecipanti degli altri Paesi, come<br />
fosse un pericolo per la libertà del nostro Paese il Governo che Mussolini aveva da poco costituito. E,<br />
secondo questa spiata, avrebbe addirittura presentato la possibilità di un complotto per eliminare<br />
fisicamente Mussolini. Probabilmente non era nemmeno vero, ma questo indusse il Governo italiano a<br />
denunciarla alla magistratura dell'epoca e a decretarne l'espulsione dal Paese.<br />
E cominciò questa vita raminga all'estero, della D'Andrea, insieme poi ad Armando Borghi, che la<br />
raggiunse, che però già nel 1925 scrisse a Parigi, dove era andata a studiare alla Sorbona (a lavorare e<br />
studiare, ovviamente), un libro dal titolo estremamente significativo, che nessuno più ricorda, anzi, ci<br />
sono poche tracce anche negli studi storici del nostro Paese, che s'intitolava: L'ora di Maramaldo.<br />
Maramaldo era colui che aveva “ucciso un uomo morto”, e Maramaldo era Mussolini; e,<br />
singolarmente, in questo libro - nel capitolo finale - c'è un elenco dei provvedimenti liberticidi che<br />
Mussolini avrebbe - a suo giudizio – messo in atto, e che furono tutti puntualmente realizzati da<br />
Mussolini un anno dopo, con le leggi eccezionali del 1926. C'era questa lucidità di analisi, quasi<br />
profetica. Oggi, a posteriori, potremmo dire che ci voleva poco, per quello che è successo poi con la<br />
dittatura, però in quel momento era indicativo di una lucidità di analisi, di una consapevolezza politica<br />
della necessità di una lotta a fondo contro il regime, che poi la D'Andrea portò negli Stati Uniti<br />
d'America, dove c'era un forte Movimento anarchico. Ella si era andata a rifugiare negli Stati Uniti<br />
d'America, dove conobbe Trozski, si legò ad Armando Borghi, che aveva già conosciuto, fece<br />
centinaia e centinaia di conferenze girando tutti gli States con grande successo; scrisse questi due<br />
romanzi, che restano nella storia della letteratura americana, di cui ho citato il secondo, mentre il<br />
primo si chiama: Tormento, per vedere di poterlo leggere quando sarà pubblicato in Italia, chissà, forse<br />
tra altri cinquant'anni. Morì per un male incurabile a Boston nel 1933.<br />
E' una figura, a mio giudizio, emblematica della capacità delle donne ad assumere una coscienza<br />
politica, e più alta anche della politica, una coscienza etica che le ha portate, attraverso la lotta<br />
antifascista e la lotta di Resistenza, ad aprirsi un varco nelle resistenze conservatrici e reazionarie, che<br />
erano fortissime, e sono ancora abbastanza forti nel nostro Paese, alla presenza femminile nella storia.<br />
È emblematica e significativa perché, come ho accennato già prima, sappiamo tutti che questa<br />
Resistenza è andata man mano crescendo, anche quando si pensava che il fascismo avesse<br />
egemonizzato la coscienza collettiva del Paese. Ricordiamo quello che si scriveva anche all'estero nel<br />
1936-1938.<br />
Eppure, dai riscontri che abbiamo, ad esempio nelle ricerche che ha fatto l'ANPI, che ha raccolto<br />
migliaia e migliaia di fascicoli processuali dell'epoca del regime fascista, che mi auguro che siano<br />
presto resi pubblici e oggetto di studio e di ricerca da parte degli studiosi, sui perseguitati italiani di<br />
quei due decenni, risulta questa grande presenza delle donne non nella Resistenza passiva, ma anche<br />
nella Resistenza attiva, come i movimenti di protesta, che certamente non acquistarono un carattere<br />
ideologico, un carattere politico, ma erano movimenti che hanno avuto una forza e un significato<br />
notevoli.<br />
E poi la lotta della Resistenza. Abbiamo ricordato le donne, i sacrifici sono stati rievocati. Sono state<br />
rievocate alcune figure, ed io ne vorrei rievocare ancora una, che qualche volta ci sfugge, per<br />
distrazione: quella di Carla Voltolina, che sarà poi la signora Pertini, staffetta della Resistenza a<br />
Milano, sempre propugnatrice dei valori della Resistenza, dell'antifascismo,<br />
studiosa successivamente di psicologia e donna importante nella vita del<br />
nostro Paese. Vorrei rievocare, per concludere, anche un'altra donna<br />
estremamente significativa che rappresenta quella resistenza specifica, che<br />
nell'ambito del processo di formazione di una consapevolezza di una<br />
coscienza generale nel mondo femminile, nella battaglia antifascista e nella<br />
lotta partigiana, ha un suo posto non a sé, ma un suo posto di rilievo. È quella<br />
resistenza che comincia, o prosegue perché<br />
Carla Voltolina e Sandro Pertini<br />
era anche precedente, come abbiamo appreso da un libro della scrittrice Rosetta Loi: La parola ebreo),<br />
ma che si infittisce e si rafforza nel 1938, quando anche in Italia vengono applicate le leggi<br />
sanzionatrici degli ebrei nel nostro Paese. Se si leggono le pagine, bellissime, peraltro, di Rosetta Loi,<br />
95
si scopre come la Resistenza comincia dalla difesa della famiglia, la resistenza delle donne ebraiche<br />
per la loro libertà che viene conculcata. Sono i prodromi della shoah, che anche questa mattina è stata<br />
ricordata, che sfocia poi nella tragedia dell'olocausto. E le donne ebree sono una parte rilevantissima<br />
sia della lotta antifascista prima del secondo conflitto mondiale, che durante la guerra, nella lotta<br />
armata.<br />
E una figura estremamente significativa è quella di una ebrea di origine cecoslovacca, che viveva con<br />
la sua famiglia da qualche anno a Trieste, Rita Rosani, Medaglia d'Oro della Resistenza, che non esita<br />
a entrare nella lotta armata subito dopo l'8 settembre, nel fondare la Brigata Aquila, che agisce sulle<br />
montagne del Veronese, dove viene catturata nel settembre del 1944, viene gravemente ferita nel<br />
combattimento contro i rastrellatori repubblichini e viene poi finita con un colpo alla nuca. Era<br />
anch'essa una insegnante, era anch'essa un'antifascista, era una partigiana, era una ebrea.<br />
La Medaglia d'Oro al Valore Militare è un aspetto della memoria di Rita Rosani. Un altro aspetto<br />
fondamentale è la lapide che fu posta nella scuola dove insegnava, è la lapide che si può ancora<br />
leggere, nella comunità ebraica di Trieste, dove c'è scritta una frase da Bibbia, dedicata a Rita Rosani.<br />
Quella frase da Bibbia dice: “Molte donne hanno combattuto valorosamente; tu le hai superate tutte”.<br />
Cinzia DATO, Deputata, componente dell'OSCE<br />
Grazie di avermi voluto con voi oggi; grazie Nirvana, grazie al presidente Salvarani.<br />
Mentre sentivo la rievocazione di queste storie di vita, che poi è stato il grande contributo delle donne,<br />
vorrei innanzitutto riflettere su ciò che lo studio della Resistenza da parte delle donne ha dato alla<br />
storiografia della Resistenza: i racconti personali, il vissuto personale, la sofferenza, il dolore, il<br />
coraggio, l'eroismo quotidiano, quello a cui non ci si può sottrarre, perché si è tutti coinvolti. Io penso<br />
a queste madri della nostra libertà e credo che loro vogliano che noi pensiamo a loro con grande gioia<br />
e grande forza. Non possiamo pensare a loro soltanto con il peso e la tristezza della loro esperienza,<br />
perché non renderemmo onore e ragione al loro impegno.<br />
Le conquiste che, a partire da loro, noi abbiamo fatto, non sono mai conquiste fatte una volta per tutte.<br />
Bisogna andare avanti, e se non si va avanti, vi è sempre il rischio di ritornare indietro. E allora, per<br />
onorare loro, noi dobbiamo sentire la forza, la gioia e la vitalità che ogni madre intende dare al futuro<br />
per cui si batte, che produce, che alleva. E dobbiamo anche noi prendere il messaggio fondamentale:<br />
non possiamo tirarci fuori dall'impegno pubblico, dal nostro contributo per il bene collettivo, per<br />
l'interesse generale. Nessuna donna se ne può sentire esclusa, e questo è molto importante in questo<br />
momento della nostra vita nazionale in cui, da un lato troviamo ampie fasce di cultura femminile con<br />
un profondo disinteresse nei confronti della cosa pubblica (senza per questo, colpevolizzare le donne);<br />
e dall’altro, invece, ambiti ed esempi di grande partecipazione, che con molteplici difficoltà riescono<br />
a tradursi in partecipazione politica attiva. Ma questo dipende dalla<br />
politica, dai partiti, non certo dalle donne.<br />
Io credo che da questa rievocazione noi dobbiamo trarre la forza per<br />
l'impegno; possiamo capire che ognuno di noi parte è di una storia, che è<br />
la storia del Paese, che è la storia dell'umanità, che è la storia di una<br />
visione del mondo, che è la storia di noi donne e della nostra capacità di<br />
fare rete, di improvvisare l'organizzazione. Noi non siamo brave<br />
nell'organizzazione, così come lo sono a volte gli uomini, l'organizzazione per il potere, per la<br />
competizione, ma siamo insuperabili in questa nostra capacità di darci solidarietà, appoggio, di non<br />
doverci neanche spiegare le cose, di trovarci l'un l'altra.<br />
Cosa è stata la Resistenza? In qualche modo mi pare che, prima che scelta politica, sia stata il dovere<br />
di lottare contro l'ingiustizia, contro la violenza, di fare guerra alla guerra. La lotta della Resistenza, la<br />
guerra della Resistenza si è intrecciata con la resistenza alla guerra nelle donne, anche trovando il<br />
coraggio della partecipazione armata. Non vi è dubbio che per le donne la motivazione alta sia stata la<br />
lotta alla barbarie, alla violenza, anche perché era evidente che durante la guerra sono state messe a<br />
confronto due diverse visioni del mondo. E poi, quando la guerra entra nella memoria, quando cadono<br />
i confini tra fronte interno e fronte esterno, quando la guerra entra in casa, quando capiamo che è<br />
96
possibile la morte di ciascuno, in quel momento le donne, quelle relegate nel privato - come erano<br />
viste nella rappresentazione della cultura della società fascista, nel chiuso delle proprie case, nel luogo<br />
“sicuro” della famiglia, capiscono che non è sicuro nemmeno quel luogo, che la casa, il privato<br />
sicurissimo diventa pubblico, luogo a rischio di irruzione, di violenza, e quindi non possono tirarsi<br />
indietro in una guerra che prende tutto e dalla quale nessuno si può tirare indietro.<br />
Nelle donne avviene questa cosa straordinaria: tutte le dichiarazioni, da Parri, che è stato citato, che<br />
dicono che senza la donna non vi sarebbe stata la Resistenza, questo intrecciarsi della guerra in trincea,<br />
in prima fila, con il sostegno, con la rete, con le retroguardie, con l'appoggio, col supporto. Questa<br />
vicenda cambia l'universo femminile, fa irrompere prepotentemente la dimensione pubblica e<br />
collettiva anche nella vita della donna, nella percezione che la donna ha di se stessa e della società, e<br />
nella percezione che ne ha l'uomo.<br />
Nel racconto storico per alcuni decenni, probabilmente poiché c'è stata una qualche prudenza nella<br />
rievocazione della Resistenza come fenomeno fondativo del nostro essere Paese, Nazione, il primo<br />
passo indietro è stato un oblio sulla partecipazione femminile; ma prima e dopo abbiamo un<br />
atteggiamento diverso, e adesso c'è questa ripresa di interesse nella ricostruzione di questa dimensione.<br />
Cosa ha significato? Cosa ha comportato? Ha significato la conquista di diritti; la coscienza di lottare<br />
per la libertà - e mi pare chiaro dalle storie lette, dalle documentazioni lette – che è strettamente<br />
intrecciata con il desiderio e l'esperienza dell'emancipazione personale, della conquista dei diritti,<br />
come diritti non solo individuali, ma diritti collettivi, ma diritti civili di una società intera.<br />
A parte il fatto che avremo nella Costituente donne della Resistenza, che abbiamo il loro contributo<br />
nella Costituzione, la dimensione e la preoccupazione paritaria, ancora<br />
non del tutto attuata ed espressa, ma interamente intensamente<br />
presente nella Costituzione, parte da loro. Hanno messo le premesse<br />
proprio loro per tutto il lavoro che noi ancora oggi continuiamo a fare,<br />
con più meno coraggio, con più o meno alternità, ma che comunque<br />
stiamo continuando a fare. E il diritto al voto? Come si fa a negare il voto<br />
a chi sta costruendo la libertà del Paese? Quindi, in quel momento diventa<br />
definitiva la consapevolezza che anche le donne vi avevano influito in<br />
modo determinante. LE 21 DONNE DELLA COSTITUENTE<br />
Voi pensate a Grazia Deledda, che prese il Nobel e non votò mai; alla Montessori, che misero nelle<br />
“mille lire”, che ha rivoluzionato i metodi di approccio all'insegnamento, e non votò mai! Con la lotta<br />
di Resistenza diventa evidente che la donna non può non entrare a pieno titolo nella sfera pubblica,<br />
anche se noi sappiamo come siamo ancora lontani dall'attuazione di questa coscienza fondamentale,<br />
perché per esempio, nel numero di donne presenti in Parlamento non ci siamo discostati dalla<br />
Costituente, salvo questa elezione, che è un'eccezione in ogni senso. E quindi, che percorso c'è da fare<br />
in questa direzione!<br />
Ma che lezione dobbiamo prendere? Prima di tutto c'è il fenomeno chiamato del “carsismo” della<br />
politica femminile della partecipazione, un fiume carsico che ogni tanto sparisce nella storia e poi<br />
riemerge. È facile vedere attraverso esperienze, e questa fondamentale e fondativa della Resistenza,<br />
come la donna partecipi alla politica sempre, amiche e compagne, per rifondare la politica. Mai la<br />
partecipazione politica della donna appartiene ad un'accettazione dello status quo, delle cose come<br />
vanno, non c'è una donna che, come accade ad alcune figure maschili, voglia infilarsi e mettersi<br />
comoda nelle dinamiche. Chiunque di noi sa che deve dare un contributo rifondativo, migliorativo<br />
della politica. Poi, c'è chi ci riesce e chi non ci riesce. E invece, nei periodi in cui la politica è gestione,<br />
oppure pura, feroce competizione per il potere, lì la donna è più fragile, più debole, meno interessata,<br />
tende a ritirarsi; e quando c'è, non è espressione di una realtà autonoma, ma è uno strumento di un'altra<br />
logica di potere.<br />
E allora, se è così, in questo momento di rifondazione del nostro Paese,<br />
in questo momento in cui stiamo cercando di rifondare le regole del<br />
sistema politico, le regole del sistema dei partiti, della loro<br />
organizzazione – con l'amico Pierluigi Storti parliamo sempre, per<br />
esempio, dell'attuazione dell'articolo 49 della Costituzione - la<br />
97
democrazia interna ai partiti, i movimenti, i congressi di DS e Margherita di questo fine settimana ci<br />
dicono quanto sforzo si stia facendo per andare in questa direzione. Ma, donne mie, se non ci<br />
applichiamo noi, non sarà così innovativo il processo! Abbiamo un dovere assoluto di metterci in<br />
questa partita, un dovere assoluto. Non è<br />
LA COSTITUENTE<br />
un problema di sgomitamento perché qualcuna di noi si affermi; è un dovere preciso di dare un<br />
contributo ad una fase di rifondazione delle regole di democrazia nel nostro Paese, che non è pensabile<br />
di realizzare senza di noi.<br />
Quindi, ridefinire la politica.<br />
Vedete, fino a quando si va avanti con il sistema del tesseramento – alcuni dicono che è il sistema più<br />
democratico – rimane il problema che oggi non esiste un cittadino mediamente equilibrato che prenda<br />
la tessera di un partito. Questo perché le operazioni di tesseramento sono operazioni che comunque<br />
partono dall'alto, sono operazioni di ceto politico che si auto-perpetua. Allora, se noi riusciamo ad<br />
aprire le porte della politica, le porte dei partiti, a cambiare la logica organizzativa, a far sì che il peso<br />
non sia per chi detiene il pacchetto di figurine più o meno realisticamente raccolto, ma che la corsa<br />
decisionale, la capacità dipenda dalle battaglie che si portano avanti; dalle idee, dalla coesione, dal<br />
consenso di chi ci vuole lavorare, di chi ci mette le proprie risorse, la propria energia vitale, il proprio<br />
tempo perché crede in una causa. Se noi riusciamo a far cambiare così il sistema dei partiti, abbiamo<br />
onorato queste nostre madri della libertà e della democrazia.<br />
E quindi, davvero approfittiamo di queste occasioni per capire che noi stiamo nel presente e abbiamo<br />
il potere assoluto di costruire e lavorare per il futuro, certamente, a partire dalla forza e dalla<br />
conoscenza che ci dà l'esperienza del passato.<br />
Lettura di Marisa SOLINAS<br />
Meng Menguzzato Meng Meng zzato Clorinda, partigiana combattente combattente – Casteltesino (Trento)<br />
Valorosa donna trentina, fu audace staffetta, preziosa informatrice, eroica combattente,<br />
infermiera amorosa. Catturata dai tedeschi oppressori, sottoposta ad atroci sevizie, violentata<br />
dalla soldataglia, lacerate le carni da cani inferociti, con sublime fierezza opponeva il silenzio alle<br />
torture più strazianti e nell'ultimo anelito gridava agli aguzzini: “Quando non potrò più<br />
sopportare le vostre torture, mi mozzerò la lingua con i denti per non parlare”.<br />
La brutalità teutone poté violarne il corpo ma non piegarne l'anima ardente e l'invitto coraggio. La leonessa dei<br />
partigiani rimane fulgido esempio delle più nobili tradizioni di eroismo e di fede delle donne italiane.<br />
Casteltesino, 10 ottobre 1944. Medaglia d'Oro al Valore Militare conferita alla memoria nel 1944.<br />
Lettura di Leandro AMATO<br />
Pratelli Pratelli Parenti Parenti Norma, Norma, partigiana partigiana combattente – Massa Massa Marittima Marittima (Grosseto) (Grosseto)<br />
Giovane sposa e madre, fra le stragi e le persecuzioni, mentre nel litorale maremmano infieriva la<br />
rabbia tedesca e fascista, non accordò riposo al suo corpo, né piegò la sua volontà di soccorritrice, di<br />
animatrice, di combattente e di martire. Diede alle vittime la sepoltura vietata, provvide ospitalità<br />
ai fuggiaschi, libertà e salvezza ai prigionieri, munizioni e viveri ai partigiani. E nei giorni del<br />
terrore, quando la paura chiudeva tutte le porte e faceva deserte le strade, con l'esempio di una<br />
intrepida pietà donò coraggio ai timorosi e accrebbe la fiducia ai forti.<br />
Nella notte del 22 giugno, tratta fuori dalla sua casa, martoriata dalla feroce bestialità dei suoi<br />
carnefici, spirò, sublime offerta alla Patria, l'anima generosa.<br />
Massa Marittima, giugno 1944. Medaglia d'Oro al Valor Militare conferita alla memoria nel 1944.<br />
Rosani Rosani Rita, Rita, partigiana partigiana partigiana combattente combattente – Trieste<br />
Trieste<br />
Lettura di Marisa SOLINAS<br />
98
Perseguitata politica, entrava a far parte di una banda armata partigiana, vivendo la dura vita di<br />
combattimento. Fu compagna, sorella, animatrice d'indomito valore e di ardente fede. Mai arretrò<br />
dinanzi al sicuro pericolo, alle sofferenze della rude esistenza, pur di portare a compimento le<br />
delicate e rischiosissime missioni a lei affidate.<br />
Circondata la sua banda da preponderanti forze nazifasciste, impugnava le armi e, ultima a<br />
ritirarsi, combatteva strenuamente, finché cadeva da valorosa sul campo, immolando alla Patria la sua giovane ed<br />
eroica esistenza.<br />
Montecomune, 17 settembre 1944. Medaglia d'Oro al Valore Militare conferita alla memoria nel 1944.<br />
Lettura di Leandro AMATO<br />
Rossi Rossi Modesta Modesta in in Polletti, Polletti, Polletti, partigiana partigiana combattente combattente – Bucine (Arezzo)<br />
Seguiva il marito nelle impervie montagne dell'Appennino tosco-emiliano e con lui divideva i<br />
rischi, i pericoli, i disagi della vita partigiana, animata e sorretta dalla fede e dall'amore per la<br />
Patria. Incaricata di umili mansioni assistenziali, chiedeva ed otteneva di prendere parte attiva<br />
alla lotta, rifulgendo con le armi in pugno per coraggio e sprezzo del pericolo.<br />
Arrestata dai tedeschi, resisteva eroicamente a torture e lusinghe e, senza proferire parola che<br />
potesse essere rivelazione, affrontava il plotone di esecuzione che spietatamente stroncò, insieme alla sua, l'esistenza<br />
di un figlioletto di appena un anno che, quale giovane virgulto, era avvinto al seno materno.<br />
Zona di Solaia, Arezzo, 11 settembre 1943 – 29 giugno 1944. Medaglia d'Oro al Valore Militare conferita alla<br />
memoria nel 1944.<br />
Lettura di Marisa SOLINAS<br />
Tomelli Tomelli Virginia, Virginia, partigiana partigiana combattente combattente – Castelnuovo Castelnuovo del del Friuli Friuli Friuli (Pordenone)<br />
(Pordenone)<br />
Partigiana animata da profonda fede e dotata di elevate doti intellettive ed organizzative,<br />
svolgeva a lungo importanti e rischiosi incarichi di collegamento fra varie formazioni partigiane e<br />
gli organi direzionali del Movimento di resistenza del Veneto e della Lombardia.<br />
Ricercata attivamente, veniva catturata a Trieste e sottoposta per venti giorni ad atroci, inumane<br />
sevizie allo scopo di conoscere le preziose notizie in suo possesso. Vista l'impossibilità, grazie<br />
all'eroico spirito di sacrificio della martire, di trarre le informazioni richieste, gli aguzzini esasperati la bruciarono<br />
viva. Sublime esempio di cosciente sacrificio in nome della libertà della Patria.<br />
Trieste, 29 settembre 1944. Medaglia d'Oro al Valore Militare conferita alla memoria nel 1971.<br />
Vassalle Vassalle Vera, Vera, Vera, partigiana partigiana combattente.<br />
combattente.<br />
Lettura di Leandro AMATO<br />
Ventiquattrenne di eccezionali doti di mente, d'animo e di carattere, all'atto dell'armistizio,<br />
incurante di ogni pericolo, attraversava le linee tedesche e si presentava ad un comando alleato<br />
per essere impiegata contro il nemico. Seguito un breve corso di istruzione presso un Ufficio<br />
informazioni alleato, volontariamente si faceva sbarcare da un MAS italiano in territorio<br />
occupato dai tedeschi. Con un altro compagno, portava con sé una radio e carte topografiche,<br />
organizzava e faceva funzionare un servizio di collegamento tra tutti i gruppi di patrioti<br />
dislocati nell'Appennino toscano, trasmettendo più di trecento messaggi, dando con precisione<br />
importanti informazioni di carattere militare. La sua intelligenza e coraggiosa attività rendeva possibile 65 lanci<br />
d'aerei a patrioti.<br />
Sorpresa dalle SS tedesche mentre trasmetteva messaggi radio, riusciva a fuggire portando con sé codici e documenti<br />
segreti, e riprendeva la coraggiosa azione clandestina. Pochi giorni prima dell'arrivo degli alleati, passava nuovamente<br />
le linee tedesche portando preziose notizie sul nemico e sui campi minati.<br />
99
Animata da elevati sentimenti, dimostrava in ogni circostanza spiccato sprezzo del pericolo, degna rappresentante<br />
delle nobili virtù delle donne italiane.<br />
Italia occupata, settembre 1943 – luglio 1944. Medaglia d'Oro al Valore Militare conferita alla memoria nel 1944.<br />
Lettura di Marisa SOLINAS<br />
Versari Versari Iris, Iris, partigiana partigiana combattente combattente – Partico Partico Partico San San Benedetto Benedetto (Forlì)<br />
(Forlì)<br />
Giovane di modeste origini, poco più che ventenne, fedele alle tradizioni delle coraggiose genti di<br />
Romagna, non esitò a scegliere il suo posto di rischio e di sacrificio per opporsi alla tracotante<br />
oppressione dell'invasore, unendosi a una combattiva formazione autonoma partigiana locale.<br />
Ardimentosa ed intrepida, prese parte attiva a numerose azioni di guerriglia, distinguendosi come<br />
trascinatrice e valida combattente.<br />
Durante l'ultimo combattimento, circondata con altri partigiani in una casa colonica isolata, ferita<br />
ed impossibilitata a muoversi, non esitò e indusse i compagni a rompere l'accerchiamento e, impegnando gli avversari<br />
con intenso e nutrito fuoco, agevolò la loro sortita. Dopo aver abbattuto l'ufficiale nemico che per primo entrò nella<br />
casa colonica, consapevole della sorte che l'attendeva cadendo viva nelle mani del crudele nemico, si diede la morte.<br />
Immolava così la sua giovane vita a quegli ideali che aveva nutrito nella sua breve ma gloriosa esistenza.<br />
Terra di Romagna, 9 settembre 1943 – 18 agosto 1944. Medaglia d'Oro al Valore Militare conferita alla memoria nel<br />
1976.<br />
Vera MICHELIN SALOMON<br />
Deportata,Vice Presidente ANED – Lazio<br />
Vi ringrazio tutti di aver avuto la pazienza di arrivare fino alle nostre parole, dopo le<br />
tante cose giuste e importanti che sono state dette e che comunque hanno un valore<br />
di sintesi, di memoria di quello che è oggi nelle persone più informate, che più si<br />
occupano della vita pubblica e amministrativa del nostro Paese, della vita politica, e<br />
che hanno riflettuto per noi, che abbiamo avuto un'esperienza anche particolare,<br />
come la mia, e non hanno però potuto partecipare alla gioia del 25 aprile.<br />
La commozione poi in me è aumentata e comincerò con questo ricordo: la mamma di Iris Versari,<br />
Ines, era mia compagna di cella in Germania. Non sapeva certo che la figlia era morta; lei e il marito<br />
erano stati presi in ostaggio al posto della figlia,<br />
Che i tedeschi sapevano benissimo essere una comandante partigiana, ed erano stati trasportati<br />
ambedue in Germania, in un carcere. Io non ho fatto l'esperienza, mi è stata risparmiata l'esperienza<br />
del campo di concentramento, del lager nazista, perché sono stata arrestata a Roma come protagonista,<br />
se vogliamo, collaboratrice della Resistenza non armata romana, e in particolare del movimento<br />
studentesco, che si occupava di distribuire davanti alle scuole e all'università dei volantini che<br />
cercavano di spiegare la situazione ai giovani che ancora uscivano, come d'altronde anche noi, dalla<br />
scuola fascista, disorientati dall'occupazione tedesca dell'8 settembre, e disorientati anche dall'ambigua<br />
posizione e dalle parole di Badoglio che annunciavano l'armistizio.<br />
Eravamo in guerra, con chi non si sapeva, o la guerra era veramente finita?<br />
Che cosa ci si aspettava a Roma, quali le conseguenze, per i giovani, di<br />
questa occupazione tedesca e del risorgere della Repubblica di Salò?<br />
Ebbene, i nostri volantini cercavano di indurre questi giovani a nascondersi.<br />
Allora la Resistenza cominciava ad esistere, ma non era ancora conosciuta;<br />
comunque, i nostri volantini esortavano a reagire nascondendosi al bando di<br />
consegna di presentazione ai distretti militari per essere arruolati nell'esercito di Salò. E invitava le<br />
scuole a chiudere per uno sciopero definitivo, per non dare l'impressione ai tedeschi che questa città<br />
comunque chinava il capo e riusciva a funzionare nelle sue cose essenziali. E una di queste cose,<br />
essenziali per allora e essenziali anche per adesso, è certamente la scuola o, per lo meno, lo dovrebbe<br />
100
essere, o quanto meno noi ancora la consideriamo così. Quando dico noi, dico noi testimoni, i pochi<br />
rimasti, la cui unica possibilità di contare ancora in questo Paese è proprio quella di portare la propria<br />
testimonianza ai giovani, perché diventino veramente loro i nuovi testimoni.<br />
TRIBUNALE FASCISTA<br />
Le persone che sono qui, sono tutte persone informate dei fatti, come si<br />
dice, o per lo meno di fatti che però sono stati a lungo nascosti. A lungo<br />
di queste cose, non solo della Resistenza, ma soprattutto della<br />
deportazione, si è parlato molto tardi e molto poco, e ora, soprattutto a<br />
Roma, se ne parla anche in un modo parziale, nel senso che la<br />
deportazione ebraica, nella sua specificità orrenda, è vissuta come una<br />
politica dell'orrore fatta dai nazisti, dai quali noi ci consideriamo indenni.<br />
In realtà, la deportazione degli ebrei è stata l'aspetto più clamoroso e più<br />
crudele di un preciso disegno politico del nazismo, aiutato e anche promosso – perché c'erano dei<br />
campi di raccolta fascisti – dal fascismo italiano e dagli italiani.<br />
Perché parziale? Perché la deportazione politica italiana è stata per gran parte dimenticata e,<br />
Soprattutto qui, nella nostra città, assolutamente sottovalutata. I rastrellati del Quadraro sono passati<br />
come lavoratori volontari, ma il Quadraro è stato un posto dove la resistenza informale della città è<br />
stata fortissima. Non era forse sempre resistenza armata, non era sempre organizzata, però c'era<br />
questa resistenza diffusa, che era resistenza maschile, ma anche moltissimo resistenza femminile.<br />
Per il mio essere parte di questa organizzazione di studenti, sono stata denunciata da un italiano alla<br />
polizia fascista, che ha fatto sapere il mio nome alla Gestapo, e sono stata arrestata il 14 febbraio del<br />
'44. Quindi, anche la Resistenza romana per me è stato un episodio di relativamente poco tempo; ho<br />
vissuto la disperazione della città, la difficoltà della città nell'alimentarsi, nel sopravvivere, nel trovare<br />
uno spazio di apertura intellettuale proprio nella consapevolezza della situazione politica. Della guerra<br />
di Spagna si era saputo sempre molto poco; la mia scelta era stata una scelta dell'anima, ma una scelta<br />
che è stata sollecitata dal desiderio di aprire un mondo.<br />
Il mondo della mia scuola, il mondo fascista era un mondo chiuso, un mondo in cui contavano poche<br />
regole precise: la parola del capo era quella che ci raggiungeva attraverso i libri di testo; non si<br />
conoscevano praticamente, se non nelle famiglie più colte, nemmeno la musica, né la letteratura<br />
straniera. La scelta nostra, di noi giovani e delle ragazze, è stato un moto veramente di liberazione. E<br />
non tanto di perseguire i maschi per appoggiarli, ma era proprio una cosa fatta per noi, e come tale<br />
l'abbiamo pagata. L'abbiamo vissuta, chi l'ha vissuta in montagna, chi l'ha vissuta in città con le armi,<br />
chi l'ha vissuta in prigione e chi l'ha vissuta nei campi di sterminio. Nei campi di sterminio, poi, sono<br />
finite naturalmente moltissime operaie. L'ultima manifestazione che la mia Associazione, l'ANED, ha<br />
fatto, è stata a Empoli, in ricordo delle vetraie, delle operaie delle vetrerie di Empoli che, per uno<br />
sciopero, hanno pagato con la deportazione la loro partecipazione. Di questo anche il sindacato in<br />
fondo ne ha parlato poco.<br />
La forza, adesso qui si è sentito, qui siamo tra persone che su queste cose hanno riflettuto, però la<br />
deportazione politica è stata molto severa, altrettanto severa come la deportazione ebraica; quello che<br />
ha contraddistinto la deportazione politica dall'ebraica è stato che gli ebrei arrivavano in campo con la<br />
sicurezza che li aspettava la morte, che dovevano essere eliminati, Hitler l'aveva detto fin dal<br />
principio, mentre i deportati politici sono arrivati in campo con l'idea assolutamente ferma di resistere<br />
e di essere dalla parte della ragione.<br />
Le memorie fatte dagli uni e dagli altri si differenziano proprio su<br />
questo. Antelme, un deportato francese che ha scritto un libro<br />
che è uscito in Italia prima di quello di Primo Levi, così dice: “Io<br />
dovevo convincermi tutti i giorni che la bestia era il mio<br />
persecutore e che l'uomo ero io”. Nelle memorie delle donne<br />
deportate nei campi, nelle memorie scritte, ma anche nei racconti,<br />
quello che contraddistingue la deportazione femminile da quella<br />
maschile è che tutte parlano di solidarietà, più o meno forte, più o meno importante, ma a volte<br />
bastava un pezzo di pane per salvare una giornata di una persona, a volte bastava che una sostituisse<br />
101
nel lavoro coatto l'amica che non riusciva a muoversi dal letto. E questo è un sentimento diffuso, un<br />
sentimento che penso che abbia caratterizzato anche la presenza femminile nelle bande partigiane.<br />
Non era una cosa proprio connaturata alla natura femminile soltanto, ma era intendere la politica,<br />
intendere la ribellione, intendere il progresso verso cui si sperava di andare come una cosa collettiva,<br />
che doveva riguardare non il solo individuo, ma tutte le persone, donne e uomini, che vi<br />
partecipavano.<br />
Ma torniamo alla mia prigione e alla povera mamma di Iris Versari. Era una contadina estremamente<br />
semplice e molto disperata proprio di rimanere chiusa. Non era mai rimasta chiusa tra quattro mura<br />
strette. Avevamo una cella che doveva essere per una persona ed eravamo in tre, e lei la domenica,<br />
quando smetteva il lavoro obbligatorio che facevamo in cella, piangeva tutto il tempo e diceva: voi vi<br />
illudete, noi non torneremo mai in Italia. Ha poi ha saputo alla Liberazione, alla quale non so in che<br />
condizioni sia arrivata, perché già negli ultimi giorni del carcere era completamente sbalestrata e fuori<br />
di qualunque regola di comportamento, che suo marito era morto – credo - nel castello di Artain, e<br />
che la figlia si era data la morte per non essere sottoposta alle torture che lei già pensava l'avrebbero<br />
riguardata.<br />
Un'altra cosa va detta, ed è il ritorno delle donne, sia le donne del campo, ma in un certo senso anche<br />
le donne partigiane. Si dice – ma le fotografie lo dimostrano – che nella sfilata a Torino le donne<br />
partigiane sono state fatte sfilare in fondo perché avevano i calzoni corti,<br />
perché erano delle donne non abbastanza pulite e sistemate, perché<br />
portavano un messaggio di ribellione. Noi eravamo dieci donne nel carcere,<br />
tra cui c'era Elettra Pollastrini, che poi è diventata deputato<br />
dell'Assemblea costituente. Noi siamo state mandate dall'ufficiale di<br />
collegamento italiano, in attesa di rimpatrio, nella caserma dei<br />
militari italiani che erano prigionieri e che aspettavano anche loro che in<br />
qualche modo si organizzasse il loro rientro. Non abbiamo fatto in<br />
tempo a scendere dal camion che ci trasportava lì, che siamo state circondate e un po' prese in giro: ma<br />
voi donne che cosa fate qui, ma come mai siete arrivate qui, e perché non siete rimaste a casa a fare la<br />
calza? Questo era il succo. E poi hanno aggiunto: noi non abbiamo posto per darvi da dormire in<br />
questa caserma, c'è soltanto della paglia dove c'erano i cavalli. Noi abbiamo detto di no. Ci siamo<br />
guardate intorno, abbiamo visto che c'era l'infermeria e abbiamo chiesto di andare in infermeria. Lì<br />
abbiamo fatto un'occupazione del territorio, siamo andate in infermeria e ci siamo rimaste fino a che<br />
l'ufficiale medico, prigioniero anche lui, è venuto a dirci: voi non siete abbastanza malate per stare qui<br />
e dovete andare via. Per fortuna l'ufficiale di collegamento italiano, il maggiore Brengola, che era una<br />
persona molto cortese, che capiva la nostra situazione, ci ha detto che c'era posto nel campo francese.<br />
Il campo francese era un campo dove erano stati raccolti i francesi deportati che dovevano rientrare in<br />
Francia; era vuoto, erano già rientrati tutti. E noi siamo state accolte da molte pulci ma anche da molto<br />
DDT, e comunque abbiamo avuto ospitalità in questo campo francese, fino a che l'Italia ha organizzato<br />
per le altre un trasporto molto in ritardo, mentre il mio trasporto è stato fatto più presto per la storia<br />
particolare che mi riguardava. Infatti, insieme a me e mia cugina, che siamo state arrestate appunto il<br />
14 febbraio, sono stati arrestati altri tre: mio fratello, mio cugino e un terzo amico, e poi mio cugino è<br />
entrato in contatto con le Special Forces inglesi, ed ha avuto il permesso speciale per venirci a cercare<br />
in Germania.<br />
Altre due parole sul ritorno. È stato un ritorno dolorosissimo per tutte, ma soprattutto per le deportate<br />
dei campi. Perché doloroso? Perché la prima domanda che veniva fatta a una donna - non parlo tanto<br />
per la mia famiglia, ma per le altre – era: ma tu come ti sei salvata? Sei ancora quella che sei partita?<br />
Come hai fatto a venirne fuori? Chi poi era partita con un fidanzato, e magari incinta, come è successo<br />
a Ravensbruk, è tornata in piccoli paesi ed ha dovuto cambiare paese: il padre di quel bambino nato<br />
nel campo e morto subito dopo aveva trovato un'altra donna, e la vita ha dovuto continuare in quelle<br />
condizioni di ulteriore isolamento e lotta.<br />
Perché la partecipazione femminile al dopo è stata scarsa, e continua ad essere scarsa? Perché le<br />
difficoltà anche solo di raccontare sono state enormi, perché nessuno voleva ascoltare, e gli anni del<br />
buio sul discorso del fascismo, dell'antifascismo, della deportazione, sono stati anni in cui si è<br />
102
costruito il Paese, forse, ma non si è costruita la coscienza del Paese nel senso di andare fino in fondo<br />
rispetto alle responsabilità che il Paese ha avuto nel fondare il fascismo come prima pietra su cui il<br />
nazismo – Hitler poi lo diceva – si è ispirato, nel collaborare fino in fondo, anche dopo l'8 settembre,<br />
con questo regime totalitario, che ancora adesso ha delle radici che ogni tanto scopriamo nel desiderio<br />
di molti di respingere tutto quello che può essere una cultura politica diversa, un modo di pensare al<br />
futuro diverso, che non segua le regole soltanto del mercato, del denaro e dello sfruttamento, ma che<br />
cerchi di costruire una società nuova dentro di noi, e non solo nelle apparenze.<br />
Marisa OMBRA, staffetta partigiana<br />
Vorrei premettere due piccole cose. Prima di tutto vorrei ringraziare chi ha ideato e costruito questo<br />
fascicolo, che io vedo come un pantheon femminile, la cui lettura tra l'altro contraddice<br />
clamorosamente le stupide cose, le stupide parole che hanno accolto Vera e le altre deportate al loro<br />
arrivo dai campi di concentramento. Si vede in queste storie che cosa sono state veramente e perché<br />
queste donne hanno fatto quello che hanno fatto.<br />
La seconda cosa che vorrei premettere è questa: il fatto che una grande organizzazione dei lavoratori e<br />
un importante Centro di studi sindacali, come questo della UIL, abbiano deciso di dedicare un<br />
convegno alle donne nella Resistenza mi pare una cosa straordinaria; un segnale positivo, quasi un<br />
segno di luce in questo momento così pieno di confusione, così pieno di incertezze, in cui non si<br />
capisce più bene che cosa è stata e che cosa non è stata quell'epoca della nostra storia, e in cui sono<br />
rimesse in discussione le motivazioni e i fatti che sono all'origine della nostra attuale democrazia. È<br />
anche un momento, quello, – e questo va ricordato, a proposito del titolo – in cui riparte la storia<br />
politica delle donne, che era stata, come ben sapete, cancellata dal fascismo, storia politica che<br />
proseguirà e dilagherà dopo la fine della guerra, e che avrà un'importanza fondamentale specialmente<br />
nei primi anni del dopoguerra, quando in Italia è il caos, quando le scuole sono occupate dagli sfollati,<br />
da quelli che avevano avuto la casa distrutta dai bombardamenti, e i bambini quindi non avevano dove<br />
andare a scuola. Un momento in cui i bambini senza famiglia e senza casa si<br />
incontravano per strada, senza sapere dove andare; un momento in cui non<br />
c'erano i trasporti, non c'era più nulla, non c'era più niente da mangiare, e la<br />
presenza femminile in quegli anni è stata determinante. Tra l'altro,<br />
tornavano o non tornavano i prigionieri, non si capiva se erano vivi o se<br />
erano morti, e la presenza delle donne in quei primi mesi è stata<br />
determinante per portare un segno di minima normalità nel ripartire a<br />
ricostruire una vita normale.Mi è stato chiesto di portare una testimonianza<br />
di quello che le donne hanno fatto, di quello che le donne sono state nella<br />
Resistenza. Io vorrei non tanto raccontare dei fatti, ma cercare di restituire il<br />
senso di quella scelta, senza naturalmente sottrarmi a qualche brevissima esemplificazione, per rendere<br />
più evidente quello che dirò.Io sono stata staffetta partigiana nelle formazioni garibaldine. Avevo 19<br />
anni quando sono andata nelle Langhe, ne aveva 17 mia sorella che venne con me, ne aveva poco<br />
meno di 40 la mia mamma. L'occasione è stata data dagli scioperi del marzo '44, quelli di cui Piero<br />
Boni ha parlato, così importanti per la lotta contro il fascismo e per la fine della guerra. Mio padre era<br />
stato arrestato come organizzatore di questi scioperi e prelevato, e praticamente già condannato prima<br />
ancora di un processo che non si sapeva ancora se ci sarebbe stato o non stato, ma preventivamente<br />
condannato alla fucilazione e alla deportazione. Venne liberato rocambolescamente da un commando<br />
di partigiani travestiti da Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, che lo portarono nelle Langhe,<br />
dove cominciò a organizzare le bande partigiane. Noi, rimaste a casa, eravamo naturalmente molto<br />
esposte alla rappresaglia, e scegliemmo di andare anche noi nelle Langhe, dove subito ci separammo e<br />
ognuno andò ad operare in zone differenti. Questo per dire che per me la scelta di fare<br />
la partigiana non è stata altro che un semplice, naturale atto di coerenza con la storia famigliare,<br />
peraltro cominciata molto prima, nell'inverno del '42-'43 quando, ancora più bambine, io e mia sorella<br />
collaborammo a stampare dei fogli clandestini che preparavano lo sciopero del marzo '43 il quale,<br />
insieme allo sbarco alleato in Sicilia, determinò praticamente<br />
la caduta di Mussolini.<br />
Che cosa faceva una staffetta partigiana? Qui è stato detto<br />
103
ampiamente e vorrei dire che qualunque racconto rischia di essere molto misero rispetto a quello che<br />
stato letto con così grande commozione da Marisa e da Leandro. È stato misero per chi è sopravvissuto<br />
e, devo dire, del tutto casualmente, perché onestamente a decidere se sopravvivevi o non sopravvivevi<br />
è stato essenzialmente il caso.<br />
Vorrei cercare soprattutto di dare il senso di quello che abbiamo fatto, e vorrei dire prima di tutto che<br />
il lavoro della staffetta è stato un lavoro molto pericoloso, perché è stato essenzialmente un lavoro<br />
solitario. Voglio dire che la staffetta non aveva praticamente nessuna copertura alle spalle, era sola, gli<br />
veniva dato un ordine e andava a realizzare questo ordine. Naturalmente, da quel momento in poi tutto<br />
dipendeva da te, dalla tua lucidità, dal tuo coraggio, dalla tua prontezza di spirito nel capire che cosa<br />
era più giusto fare, e questo non era semplice. E posso dire che non avevi dietro alle spalle chi ti<br />
consigliasse, il distaccamento minimamente organizzato, in cui vi fosse un comandante al quale, anche<br />
se aveva soltanto la tua età, 19-20 anni, erano state impartite le istruzioni, per cui aveva comunque<br />
un'idea su come comportarsi; tu non sapevi niente di niente e dovevi immaginare, inventare<br />
velocemente qual era la cosa più giusta da fare. Più giusta nel senso che poteva salvare la tua vita e<br />
quella della formazione che ti aveva chiesto di andare a fare questa esplorazione, questa missione.<br />
Devo dire che in quei momenti tu ti misuravi con te stessa e, di colpo, da ragazzina diventavi persona<br />
adulta, imparavi il senso di responsabilità. Ecco, il senso di responsabilità è stata la cosa più<br />
importante che abbiamo imparato nella guerra di liberazione ed è quello che almeno personalmente mi<br />
ha guidato in tutte le fasi successive della mia vita, in cui ho continuato a fare politica con le donne,<br />
politica per le donne. Senso di responsabilità personale e senso di responsabilità verso gli altri, verso il<br />
mondo, vorrei dire, con una parola che forse è troppo grande ma che riassume bene quello che noi<br />
sentivamo.<br />
Devo dire quindi che proprio per quello che abbiamo sentito, per il senso di responsabilità che<br />
abbiamo avuto e per il coraggio, la guerra di liberazione non avrebbe potuto essere – ha ragione Piero<br />
Boni – senza la presenza delle donne, senza questa possibilità di collegamenti, senza questa possibilità<br />
di attraversare posti di blocco che naturalmente i partigiani non avrebbero potuto attraversare, cosa che<br />
soltanto la capacità diplomatica delle donne, la capacità di invenzione delle donne riusciva a fare,<br />
perché lì veramente ti inventavi delle piccole scene, dei piccoli racconti che cercavano di essere il più<br />
possibile credibili, perché fossero accettati per buoni dai tedeschi o dai<br />
brigatisti neri, e quindi potevi passare.<br />
Perché non si poteva fare la guerra partigiana senza le donne? Perché –<br />
questo lo ricordo soprattutto alle ragazze di 19-20 che sono qui presenti,<br />
mentre i più adulti hanno sicuramente sentito parlare da padri, fratelli, nonni<br />
in che cosa è consistita la guerriglia - perché questa era la qualità della<br />
guerra partigiana, era una guerriglia, per cui le formazioni continuamente si<br />
componevano e si disperdevano. Perché le zone, per esempio le Langhe e il Monferrato, dove io<br />
operavo, erano circondate costantemente da tedeschi e brigate nere, che continuamente entravano<br />
muniti di carte molto raffinate e rastrellavano cascina per cascina, sentiero per sentiero. Ovviamente,<br />
c'erano momenti in cui i partigiani erano in grado di dare battaglia, facevano la scaramuccia e poi si<br />
ritiravano, e c'erano momenti in cui l'unica possibilità era nascondersi per ricomporsi. Voi capite che<br />
in questa situazione, se non c'era chi ricercava, rimetteva in contatto, ricollegava, contribuiva a<br />
riformare le formazioni, nessuna guerriglia avrebbe potuto essere.<br />
È per questo che noi abbiamo avuto una testimonianza di grande riconoscimento molto prima che gli<br />
storici lo facessero e riconoscessero il nostro come protagonismo, e non solo come contributo. Il primo<br />
riconoscimento l'abbiamo avuto proprio dai partigiani con i quali vivevamo, perché loro tra l'altro<br />
sapevano in ogni momento che noi non eravamo obbligate ad andare a fare la guerra. I ragazzi erano<br />
obbligati, in qualche modo, perché c'erano i bandi dei tedeschi, dei repubblichini, e se non si<br />
presentavano venivano dichiarati disertori, e i disertori venivano naturalmente fucilati, o deportati. Per<br />
noi non c'erano stati bandi, l'abbiamo fatto per tutte le motivazioni che qui sono state lette.<br />
Io credo che riconoscevano che era la prima volta che le donne come massa entravano in guerra, e ci<br />
entravano in quel modo, in prima fila; uscivano dal ruolo famigliare e si assumevano responsabilità<br />
militari, politiche, sociali fondamentali. È la prima volta che le donne entrano effettivamente nella<br />
104
storia. In fondo il diritto al voto, la legge istitutiva del voto alle donne non è altro che una presa d'atto<br />
del tutto ovvia, naturale, di quello che le donne avevano fatto, avevano dimostrato di essere nell'ultimo<br />
periodo.<br />
Io credo che sia importante ricordare, riflettere ancora su quegli anni, perché una riflessione su quel<br />
periodo oltre tutto ci consente di riportare alla verità, alla realtà alcune cose, anche alcuni miti che<br />
ancora oggi in forme diverse e riferiti a situazioni diverse, continuano a circolare, per esempio il mito<br />
della guerra o del rifiuto della guerra senza se e senza ma. Ma io credo di poter sinceramente<br />
testimoniare che alla guerra tu non ci devi arrivare, devi fare di tutto, proprio fino all'estremo atto di<br />
diplomazia possibile, per evitare di arrivare alla guerra, perché se ci arrivi, o spari o sei sparato. Non è<br />
vero che se ti trovi in guerra puoi decidere di non usare le armi. Io avevo una minuscola 635 nella<br />
tasca, ed era una stupidaggine, perché facendo la staffetta l'ultima cosa che avrei dovuto portare con<br />
me era una rivoltella, perché mi avrebbe automaticamente denunciata, però c'erano altre che invece le<br />
armi le impugnavano, ed era secondo me inevitabile, perché se ti trovi<br />
in guerra – ripeto – o spari o sei sparato. Bisogna non arrivarci.<br />
Come l'altro mito delle donne che hanno portato nelle formazioni<br />
conforto, dolcezza, assistenza, aiuto. Io posso dire, credo molto<br />
sinceramente - ci ho ripensato molto a quegli anni - posso dire che<br />
ho visto ragazzi che mostravano senza pudore la loro fragilità e la<br />
loro dolcezza, e ho visto donne con coraggio e con grinta – penso a Breda, che è stata chiamata Breda<br />
perché lei ha insegnato ai partigiani come si smontava una bomba a mano chiamata Breda – e quindi<br />
non erano queste le differenze. Semmai, la differenza stava intanto nel fatto che i ragazzi erano<br />
storicamente allenati alla guerra: dietro ai maschi di tutte le Nazioni c'è una storia di combattimenti,<br />
mentre per le donne non c'era nessuna esperienza di questo genere. E alle donne forse possiamo<br />
riconoscere una qualità di maggiori arti diplomatiche, ma questo non è un fatto naturale, è un fatto<br />
culturale, è un fatto storico, perché le donne, se non imparavano ad essere diplomatiche in famiglia,<br />
non avrebbero mai tenuto insieme la famiglia. Quindi è una cosa che viene da lontano.<br />
E quindi, questa idea di maternage, che è vera per tante, per tutte quelle che l'8 settembre hanno<br />
accolto e vestito i soldati che fuggivano, non è vera, secondo me, per le ragazze che sono state dentro<br />
l'esercito di liberazione. Bisogna – ha ragione Piero Boni – fare delle distinzioni molto precise.<br />
Io non vado oltre, voglio dire che quel riconoscimento dei compagni partigiani è stato alla base di una<br />
profonda amicizia, che mai più ha potuto darsi, per ovvi motivi. C'era un di più in quella amicizia, e<br />
direi che è stato anche quello che ci ha guidato negli anni successivi, per far fronte a tutti i momenti in<br />
cui è stato necessario ancora resistere e in cui chi ha fatto la Resistenza ha cercato di conservare<br />
quell'idea della politica, quel senso della politica al quale erano estranei la carriera, il professionismo,<br />
il guadagnare, il farsi posto nella vita, eccetera, e devo dire che di queste cose io ho una profonda<br />
nostalgia.<br />
Dopo quello che è stato detto ed è stato scritto sulla Resistenza delle donne consentiteci, prima delle<br />
conclusioni del convegno, di ascoltare quello che le donne condannate a morte hanno scritto, hanno<br />
pensato, hanno sentito per il loro sacrificio, e lo hanno scritto ai loro famigliari.<br />
Lettura di Marisa SOLINAS<br />
Maria Luisa Alessi, Maria Luisa, di anni 33, impiegata. È staffetta partigiana della 184^ Brigata<br />
Morbiducci, operante in Val Varaita. Svolge numerose missioni. Catturata l'8 novembre 1944 da militi<br />
della V Brigata nera Litonici, fucilata il 26 novembre 1944 sul piazzale della stazione di Cuneo.<br />
“Cuneo, 14 novembre 1944.<br />
105
Come già sarete a conoscenza, sono stata prelevata dalla Brigata nera. Mi trovo a Cuneo nelle scuole, sto bene e sono<br />
tranquilla. Prego solo di non fare tante chiacchiere sul mio conto e di allontanare da voi certe donne, alle quali io<br />
debbo la mia carcerazione. Solo questa sicurezza mi può fare contenta e soprattutto rassegnata alla mia sorte. Anche<br />
voi non preoccupatevi, io so essere forte. Vi penso sempre, vi sono vicino. Tante affettuosità. Maria Luisa”.<br />
Franca Lanzone, di anni 25, casalinga. Si unisce alla Brigata Colombo. Arrestata la sera del 21<br />
ottobre 1944 nella propria casa di Savona da militi delle Brigate nere. Fucilata il 10 novembre 1944,<br />
senza processo, da plotone fascista. Ha scritto due lettere, prima di morire, una al marito e una alla<br />
mamma.<br />
“Caro Mario, sono le ultime ore della mia vita, ma con questo vado alla morte senza rancore delle ore vissute.<br />
Ricordati i tuoi doveri verso di me. Ti ricorderò sempre. Franca”.<br />
“Cara mamma, perdonami e coraggio. Dio solo farà ciò che la vita mia non sarà in grado di adempiere. Ti bacio. La<br />
tua Franca”.<br />
Lettura di Leandro AMATO<br />
Irma Marchiani, Anty, di anni 33, casalinga, nata a Firenze il 6 febbraio del 1911. Partecipa ai<br />
combattimenti di Montefiorino; catturata mentre tenta di far ricoverare in ospedale un partigiano<br />
ferito. Processata il 26 novembre del '44 a Pavullo da ufficiali tedeschi del Comando di Bologna, e<br />
fucilata alle ore 17 dello stesso 26 novembre 1944 da un plotone tedesco.<br />
“Sestola, Sestola, dalla Casa Casa del del tiglio, 10 10 agosto 1944. 1944.<br />
Carissimo Piero, mio adorato fratello, la decisione che oggi prendo, ma da tempo cullata, mi detta che io debba<br />
scriverti queste righe. Sono certa che mi comprenderai perché tu sai benissimo di che volontà io sono. Faccio, cioè seguo<br />
il mio pensiero, l'ideale che pure un giorno nostro nonno ha sentito. Faccio già parte di una formazione e ti dirò che il<br />
mio comandante ha molta stima e fiducia in me. Spero di essere utile, spero di non deludere i miei superiori. Non ti<br />
meraviglia questa mia decisione, vero? Sono certa che sarebbe pure la tua, se troppe cose non ti assillassero. Bene,<br />
basta uno della famiglia, e questa sono io.<br />
Quando un giorno ricevetti la risposta a una lettera di Baldi, che invitavo qui, tra l'altro mi rispose: che diritto ho io<br />
di sottrarmi al pericolo comune? È vero, ma io non stavo qui per stare calma, ma perché questo paesino piace al mio<br />
spirito, al mio cuore. Ora però tutto è triste, gli avvenimenti in corso coprono anche le cose belle di un velo triste e nel<br />
mio cuore si è fatta l'idea, purtroppo non da tutti sentita, che per tutti più o meno è doveroso dare un suo contributo.<br />
Questo richiamo è così forte che lo sento tanto profondamente, che dopo aver messo a posto tutte le mie cose, parto<br />
contenta.<br />
Hai nello sguardo qualcosa che mi dice che saprai comandare – mi ha detto il mio comandante – la tua mente dà il<br />
massimo affidamento. Donne non mi sarei mai sognato di assumerne, ma tu sì. Eppure mi aveva veduta solo due<br />
volte! Saprò fare il mio dovere e, se Dio mi lascerà il dono della vita, sarò felice; se diversamente, non piangere e non<br />
piangete per me.<br />
Ti chiedo una cosa sola: non pensarmi come una sorellina cattiva. Sono una creatura d'azione, il mio spirito ha<br />
bisogno di spaziare, ma sono tutti ideali alti e belli. Tu sai benissimo, caro fratello, che certo sotto la mia espressione<br />
calma, quieta, si cela forse un'anima desiderosa di raggiungere qualche cosa. L'immobilità non è fatta per me, se nei<br />
lunghi anni trascorsi immobilizzata nel fisico, la volontà non si è mai assopita. Dio ha voluto che fossi più che mai<br />
pronta oggi.<br />
Pensami, caro Piero, e benedicimi. Ora vi so tutti in pericolo, e del resto il pericolo è un po' dappertutto. Dunque ti<br />
saluto e ti bacio tanto tanto, e ti abbraccio forte. Tua sorella Paggetto. Ringrazia e saluta Gina”.<br />
“Prigione “Prigione di di Pavullo, Pavullo, 26.11.1944.<br />
26.11.1944.<br />
Lettura di Marisa SOLINAS<br />
Mia adorata Palli, sono gli ultimi istanti della mia vita. Palli adorata, dico a te: saluta e bacia tutti quelli che mi<br />
ricorderanno. Credimi, non ho mai fatto nessuna cosa che potesse offendere il nostro nome, ho sentito il richiamo della<br />
106
Patria per la quale ho combattuto. Ora sono qui, fra poco non sarò più. Muoio sicura di aver fatto quanto mi era<br />
possibile affinché la libertà trionfasse. Baci e baci dal tuo e vostro Paggetto.<br />
Vorrei essere seppellita a Sestola”.<br />
Marisa SOLINAS e Leandro AMATO<br />
Onorati, ringraziano.<br />
Nirvana NISI<br />
Segretaria Confederale della UIL<br />
La UIL ha voluto aprire l’anno europeo delle Pari Opportunità con un ricordo che è anche un doveroso<br />
atto di ringraziamento per le donne italiane che hanno partecipato alla guerra di liberazione del nostro<br />
Paese dal nazifascismo.<br />
E mai scelta – che cade a ridosso del 25 aprile – credo sia più opportuna di questa perché è proprio<br />
dalla Resistenza che parte la lenta conquista delle donne del nostro Paese alle pari opportunità, a<br />
quella assunzione di responsabilità che fa di loro i soggetti nuovi di una società in evoluzione.<br />
Ricordare le donne della Resistenza, il loro eroismo, la loro partecipazione alla Liberazione del Paese<br />
non è dunque solo una opportunità da non tralasciare ma soprattutto una esigenza civile, un dovere<br />
irrinunciabile affinché nella Memoria la società possa trovare e ritrovare le ragioni della propria storia,<br />
quella con la S maiuscola ma anche con la s minuscola, e le modalità di crescita e di sviluppo civile.<br />
È dalla Memoria che vengono gli insegnamenti per le nuove generazioni. È la Memoria che – come<br />
“saggio grillo parlante” – ci mette in guardia dai rischi e dai pericoli delle degenerazioni delle utopie,<br />
palesandoci in maniera cruda quanto queste possano costare in termini di vite umane e di sacrifici di<br />
nazioni intere quando dall’utopia si passa all’errore.<br />
È su questi sacrifici che è rinato – dopo il 25 aprile del 45 – il nostro Paese; e per non dimenticare il<br />
dolore che ha portato alla Liberazione dobbiamo fare nostro quanto è impresso sul cancello di<br />
Aushwitz “ Chi dimentica la <strong>Storia</strong> è costretto a riviverla!”. Un monito che è anche una urgenza,<br />
quella del ricordo, che si applica a qualunque tragedia abbia segnato un’epoca.<br />
E il novecento è stato punteggiato da immani tragedie, infiniti dolori che hanno sconvolto una intera<br />
generazione annullandola nel corpo ma non nello spirito. E queste donne che hanno offerto la loro vita<br />
sull’altare della libertà, quella vera, quella del pensiero, dell’autodeterminazione, della volontà di<br />
essere società civile attiva e non schiava di ideologie infami; queste donne sono il ponte ideale,<br />
costruito dall’amore per il proprio Paese, attraverso il quale tutti abbiamo potuto traghettare in<br />
un’epoca che rifiuta la guerra come metodo di conquista, privilegiando il dialogo e la comprensione<br />
tra diversi.<br />
Questo ci viene da loro, insieme al cadere di uno degli stereotipi più comuni. Quello cioè che il<br />
coraggio, sostantivo maschile, sia proprio del maschio e la debolezza, sostantivo femminile, sia<br />
assolutamente una peculiarità muliebre.<br />
La lotta di Liberazione ha determinato il sovvertimento di questo credere comune anche se nelle<br />
motivazioni d’onore dell’epoca, all’attribuzione delle medaglie d’oro alla memoria il coraggio e le<br />
azioni di queste donne venivano esaltati da aggettivi quali “virile” o vigoroso”.<br />
Non c’è niente di virile o vigoroso nel sopportare torture inenarrabili con la forza che soltanto la<br />
consapevolezza di essere componenti attivi di una società può dare. La forza della dignità che ognuno<br />
deve a se stesso, in quanto individuo e dunque portatore di valori che sono la storia stesa di un popolo.<br />
Queste donne, nel momento della verità più crudele, hanno risposto come qualsiasi persona deve e sa<br />
rispondere quando ad essere in pericolo non è soltanto la singola persona, ma la propria casa, la<br />
propria famiglia, in una parola la propria Patria. Qualsiasi persona, uomo o donna, senza differenze.<br />
107
Coraggio e dignità che lasciano ammirati quanti – dopo la tragedia - alla notizia del loro sacrificio,<br />
hanno potuto osservare con quanta semplicità esso si sia consumato.<br />
C’è una banalità nel male, come diceva Anna Arendt; c’è una banalità nel sacrifico che al male si<br />
oppone. Una banalità che diviene eroismo quando ad esprimerla sono donne comuni, di tutti i ceti<br />
sociali, casalinghe, impiegate, intellettuali, attiviste politiche, sindacaliste. Tutte animate dal desiderio<br />
– forse anche questo banale, perché comune, di tutti i giorni – di una vita serena purché libera.<br />
Siamo pieni di ammirazione quando, nel salutare per l’ultima volta i loro cari, queste donne scrivono<br />
dal carcere, alla vigilia della loro esecuzione, lettere esemplari di incitamento alla serenità d’animo,<br />
chiedendo solo il riconoscimento del valore del loro sacrificio senza dare ascolto a “chiacchiere”<br />
malevole sul loro conto.<br />
Da quelle lettere non traspare mai odio bensì un profondo senso di responsabilità nei confronti del<br />
proprio Paese, che non le esclude perché donne, ma proprio perché donne le coinvolge in quanto di più<br />
sacro ci può essere per un individuo, arrivando – come nel caso di Modesta Rossi- ad affrontare il<br />
plotone di esecuzione stringendo il figlioletto al collo.<br />
La fine della guerra e la ricostruzione del Paese ha segnato un maggior coinvolgimento delle donne<br />
alla vita sociale italiana, con la partecipazione femminile al voto per la prima volta con il referendum<br />
del ’46.<br />
Da allora, l’evoluzione sociale delle donne ha subito fasi alterne e lungo è stato il cammino per<br />
giungere alla comprensione piena del termine EMPOWERMENT che, uscito prepotentemente da<br />
Pechino nel ‘95, esisteva in nuce già dai tempi della Resistenza. Ed anzi, senza quei tempi forse, oggi,<br />
non sapremmo compiutamente cosa vuol dire assunzione di responsabilità e crescita consapevole degli<br />
individui, che é poi la traduzione letterale dell’empowerment!<br />
Dobbiamo dire grazie a queste donne se oggi tutti possiamo comprendere fino in fondo il grado di<br />
responsabilità che ognuno di noi, uomo o donna, può raggiungere. È la misura stessa della democrazia<br />
che ci è stata regalata dalla lotta di Liberazione e che non possiamo assolutamente offendere con<br />
l’indifferenza e con l’oblio.<br />
Ci uniamo a questo applauso in questa conclusione del convegno, un tangibile segno di<br />
riconoscimento di quella che è stata la partecipazione delle donne prima, durante e dopo la Resistenza.<br />
Grazie a tutti di aver partecipato.<br />
RINGRAZIAMENTI<br />
Al termine di ogni buon lavoro, e questo crediamo che lo sia soprattutto per la testimonianza offerta, è<br />
d’uopo ringraziare quanti hanno collaborato alla riuscita di una iniziativa che si colloca in maniera<br />
straordinaria nelle celebrazioni dell’Anno Europeo delle Pari Opportunità.<br />
Un ricordo affettuoso a Francesco Tosatti, prematuramente scomparso.<br />
Un particolare ringraziamento a Paolo Saija Responsabile dell’archivio storico UIL e, a seguire a:<br />
Enza Maria Agrusa Anna Bricca Simonetta Corsi Fabrizio Dessì Franco Gherardini Alessandra<br />
Menelao Rosaria Pucci Antonio Toscano<br />
Stampato nel mese di luglio 2007<br />
-IL SACRIFICIO DELLE NONNE, DELLE MADRI, DELLE SORELLE, DELLE SPOSE E DELLE<br />
FIGLIE DURANTE IL FASCISMO, LA GUERRA E LA RESISTENZA E’ STATO QUELLO PAGATO<br />
108
PIU’ A CARO PREZZO, SPESSO SOFFERTO IN SILENZIO E SEMPRE DONANDO, CON LA<br />
GENEROSITA’ DI CUI SOLO UNA DONNA PUO’ ESSERE CAPACE, AI FAMILIARI E AGLI ALTRI,<br />
TUTTO L’AMORE E L’OPERA CHE, PER IL RUOLO RICOPERTO IN CASA E NELLA SOCIETA’,<br />
VENIVANO CHIAMATE AD ESERCITARE.<br />
UN SACRIFICIO CHE E’ STATO TROPPO SPESSO SOTTOVALUTATO, POSTO SEMPRE IN<br />
SECONDO PIANO RISPETTO A QUELLO DEGLI UOMINI E SOPRATTUTTO MAL<br />
RICOMPENSATO, COME SE LE RESPONSABILITA’ E I DOLORI PROVATI DALLE DONNE<br />
FOSSERO INFERIORI.<br />
NELL’ANNO EUROPEO DELLE PARI OPPORTUNITA’ E IN OCCASIONE DELL’ANNIVERSARIO<br />
DEL 25 APRILE LA UIL, L’ISTITUTO DI STUDI SINDACALI E IN PARTICOLARE IL<br />
COORDINAMENTO FEMMINILE DELL’ORGANIZZAZIONE HANNO VOLUTO CONTRIBUIRE A<br />
MANTENERE VIVA LA MEMORIA DEI TANTI SACRIFICI COMPIUTI DA MILIONI DI DONNE.<br />
109
A cura della <strong>Uil</strong> Pensionati è stata organizzata una convegno su Sandro Pertini, come ricordo<br />
affettuoso, ma anche per la sua statura politica, la sua storia personale ed il suo rigore morale. Egli<br />
resta nel sentire comune “Il presidente più amato dagli italiani.<br />
110
Intervento conclusivo di Gianni SALVARANI al convegno su<br />
SANDRO PERTINI<br />
Bergamo, 25 maggio 2007<br />
17 anni fa, il 24 febbraio 1990, all’età di 94 anni moriva Sandro Pertini.<br />
Sembra ieri di averlo visto ancora tra noi con l’immancabile pipa e lo sguardo penetrante, quello di chi<br />
sa di essere contemporaneamente severo, prima con se stesso e poi con gli altri, così come<br />
affettuosamente gioviale e solidale con tutti e in particolare con i bambini e i giovani, tanto è ancora<br />
vivo il suo ricordo.<br />
Non vi è dubbio che il giovane Pertini si è formato, caratterialmente e politicamente più che in<br />
famiglia e nella scuola, dove ha avuto modo di sentire l’influenza politica del filosofo socialista<br />
Adelchi Baratono, soprattutto nel quotidiano affrontando i difficili momenti di un Paese in grave<br />
difficoltà economiche e politiche, con mire colonialiste e venti di guerra che spiravano sempre più<br />
forti. La laurea conseguita in giurisprudenza lo aiutava a comprendere, meglio di altri, le ingiustizie<br />
che venivano commesse a danno dei più poveri e di quanti non la pensavano come lo Stato e le classi<br />
dominanti imponevano.<br />
Affrontava le situazioni facendo leva sul suo carattere forte e reattivo, carattere che si forgerà sempre<br />
di più nelle esperienze di vita, accrescendo il suo innato coraggio fino a compiere in guerra, dopo<br />
essersi arruolato volontario appena superata la maggiore età, atti d’eroismo tanto da meritare la<br />
medaglia d’argento al valor militare durante una delle battaglie più eroiche della prima guerra<br />
mondiale: quella di Bainsizza. Medaglia che il regime fascista gli negò perché colpevole di essere un<br />
militante socialista.<br />
Per la sua fede politica, militò nel PSU ancor prima di andare in guerra, Pertini fu perseguitato,<br />
picchiato e più volte imprigionato.<br />
Costretto ad andare esule in Francia si stabilì a Nizza, lavorando come muratore, lui avvocato e già<br />
uomo di cultura superiore alla media, per mantenersi, divenendo uno dei capi della opposizione al<br />
regime in esilio.<br />
Rientrato in Italia fu scoperto e condannato ad oltre 10 anni di prigione. alla pronuncia della condanna<br />
gridò “Abbasso il fascismo e viva il socialismo.”<br />
Anche in carcere si mantenne fiero e intransigente come nella vita normale era sempre stato.<br />
Ammalatosi gravemente fu trasferito da un carcere ad un’altro e la madre fortemente preoccupata per<br />
la sua vita chiese per lui la grazia. Quell’atto fu sdegnosamente rifiutato e con una lettera durissima<br />
chiese alla madre il perché di quella debolezza:<br />
“perché mamma, perché? Qui nella mia cella di nascosto, ho pianto lacrime di amarezza e di vergogna<br />
quale smarrimento ti ha sorpresa perché tu abbia potuto compiere un simile atto di debolezza? E mi<br />
sento umiliato al pensiero che tu, sia pure per un solo istante, abbia potuto supporre che io potessi<br />
abiurare la mia fede politica pur di riacquistare la libertà. Tu che mi hai sempre compreso che tanto<br />
andavi orgogliosa di me, hai potuto pensare questo? Ma, dunque, ti sei così improvvisamente<br />
allontanata da me, da non intendere più l’amore, che io sento per la mia idea?” Era il 1933. Pertini<br />
scrisse una lettera così appassionata perché alla madre lo legava da sempre un bellissimo rapporto<br />
fatto oltre che di amore anche di intesa ideale.<br />
Anni di carcere nei quali conobbe e strinse amicizie con tanti altri compagni della opposizione al<br />
regime, tra tutti intenso fu il rapporto che ebbe con Antonio Gramsci. Appena tornato libero, il 7/8/43<br />
si unì nuovamente ai compagni della resistenza combattendo contro i tedeschi nella gloriosa battaglia<br />
di Porta S.Paolo a Roma.<br />
Personaggio troppo conosciuto e forse anche troppo spregiudicato per circolare e muoversi così come,<br />
incurante del pericolo, Pertini soleva fare, tanto che scoperto venne nuovamente incarcerato e dal<br />
tribunale speciale condannato a morte. Sentenza che non fu eseguita perché liberato, con un’abilissima<br />
azione da un commando partigiano guidato da Giuliano Vassalli, insieme con altri compagni e<br />
trasferito a Milano dove partecipò alla costituzione e direzione del CLNAI, attivandosi anche per la<br />
riorganizzazione del PSI Sempre pronto ad impegnarsi politicamente, militarmente e come<br />
organizzatore da Milano tornò a Roma, tra mille peripezie e pericoli, poi di nuovo a Milano per<br />
guidare l’ultima parte dell’insurrezione insieme a Valiani e Longo. Infatti, fu lui che, con la sua voce<br />
chiara e tonante, dalla radio invitò i lavoratori milanesi a ribellarsi e scioperare “Lavoratori! Sciopero<br />
generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle<br />
nostre case, delle nostre officine.<br />
111
Come a Genova e Torino ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire!<br />
Lo stesso 25 aprile 1945 il CNLAI guidato da Longo Pertini Valiani Sereni visto il fallimento della<br />
mediazione tentata dal card. Schuster con Mussolini decretò la condanna a morte del dittatore.<br />
Sull’Avanti Pertini scrisse di Mussolini quello che un intransigente idealista come lui giudicava essere<br />
stato il comportamento del dittatore: “Mussolini si comportò come un vigliacco, senza un gesto senza<br />
una parola di fierezza. Presentendo l’insurrezione si era rivolto al cardinale arcivescovo di Milano<br />
chiedendo di potersi ritirare con tremila dei suoi in Valtellina. Ai partigiani che lo arrestarono offrì un<br />
impero, che non aveva: Ancora all’ultimo momento piativa di aver salva la vita per parlare alla radio e<br />
denunciare Hitler che, a suo dire, lo aveva tradito nove volte…” Pertini mai avrebbe ceduto di una sola<br />
virgola della sua idea, mai si sarebbe comportato da vigliacco, e come hanno eroicamente fatto tanti<br />
uomini e donne della Resistenza, piuttosto che tradire i propri convincimenti o i propri compagni di<br />
lotta si sarebbe fatto uccidere.<br />
Mentre gioiva per la liberazione di Milano e riconosceva con entusiasmo “la capacità del popolo<br />
italiano di compiere le più grandi cose qualora fosse animato dal soffio della libertà e del socialismo”<br />
il fratello minore Eugenio moriva in un campo di concentramento nazista. Di Pertini di solito si<br />
ricorda il suo amore per i giovani, per i bambini che in centinaia di migliaia lo hanno incontrato alla<br />
Camera prima e al Quirinale poi, quale eroe della Resistenza, come giornalista e politico di<br />
grandissima levatura e di tanti altri aspetti del suo carattere e della sua vita,<br />
anche privata, ma poco si è scritto e parlato dei suoi rapporti con i lavoratori, con il sindacato e della<br />
considerazione che per loro aveva. In occasione dell’anniversario del 25° anniversario della<br />
Liberazione –25 aprile 1970- Pertini pronunciò alla Camera dei Deputati uno dei suoi tanti accorati<br />
interventi, quello fu tra i più significativi degli altri perché con grande forza e determinazione volle<br />
riconoscere il ruolo avuto dalla classe operaia nella partecipazione alla Resistenza e decisivo per la<br />
liberazione del Paese: “…senza questa tenace lotta della classe lavoratrice –lotta che inizia dagli<br />
anni 20 e termina il 25 aprile del 1945- non sarebbe stata possibile la Resistenza, senza la Resistenza<br />
la nostra Patria sarebbe stata maggiormente umiliata dai vincitori e non avremmo la carta<br />
Costituzionale e la Repubblica. Protagonista è la classe lavoratrice che con la sua generosa<br />
partecipazione da’ un contenuto popolare alla guerra di liberazione ed essa diviene così, non per<br />
concessione altrui, ma per virtù, soggetto della storia del nostro paese.” in questo passo del discorso si<br />
manifesta tutta l’importanza e il valore che Pertini assegna alla partecipazione dei lavoratori,<br />
esprimendo un giudizio di più e meglio di qualsiasi pronuncia storica. Per tutti e per i giovani in<br />
particolare a completamento di come e cosa sia stata la nascita della nostra Costituzione è importante<br />
ricordare le parole scritte da Piero Calamandrei per capirne il vero significato “ se voi volete andare in<br />
pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i<br />
partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati: Dovunque è morto<br />
un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani col pensiero perché li è nata la nostra<br />
Costituzione.” Pertini fu il primo segretario del PSIUP, dall’aprile 1945 ad agosto 1946, e protagonista<br />
del congresso che si tenne dal 9 al 13 gennaio 1947, quello della scissione dell’ala socialdemocratica.<br />
Tentò in tutti i modi di evitare la scissione altrettanto fece contro la costituzione del fronte popolare<br />
democratico con il PCI, sostenendo con gli uni l’importanza del ruolo dei socialisti uniti e con gli altri<br />
rivendicando la piena autonomia socialista.<br />
La sua intransigenza lo portò ad essere fermamente contro ogni amnistia nei confronti dei reati politici<br />
commessi dai responsabili di crimini fascisti.<br />
Così come fu contro il Patto Atlantico perché, a suo giudizio, con esso si stabiliva la spaccatura<br />
insanabile del mondo in due Uomo fortemente ancorato ai principi socialisti, non deflette né deroga,<br />
tanto che sia da esponente di partito, sia da deputato, sia da Presidente della camera e da Presidente<br />
della Repubblica egli martella con tenacia i politici, gli amministratori, i governi e il paese affinché si<br />
intervenga sulla casa, sulla salute, la scuola, l’assistenza, le pensioni, il lavoro, l’eguaglianza dei<br />
diritti, il no alla guerra e soprattutto per l’attenzione da dover avere verso i giovani. Seriamente<br />
preoccupato della disoccupazione giovanile, considerandola il male peggiore della società,<br />
continuamente sollecita le istituzioni e l’intero Paese ad affrontare e risolvere questo problema che se<br />
non risolto rischia di mettere in discussione il futuro dell’intera nazione. Con la stessa insistenza si<br />
rivolge ai giovani, appellandosi ad essi affinché i valori morali e ideali per i quali tanti uomini e donne<br />
si sono con lui battuti siano sempre presenti nell’animo e nell’agire di coloro che seguiranno “noi<br />
anziani oramai stiamo per chiudere la nostra giornata, stiamo per avviarci verso la notte che non<br />
112
conoscerà più albe, ebbene io vorrei avviarmi con animo sereno verso questa notte, se saprò che i<br />
nostri giovani raccoglieranno il patrimonio politico e morale della Resistenza, dell’antifascismo e non<br />
permetteranno che sia disperso e lo custodiranno per tramandarlo alle altre generazioni”<br />
Accompagnava tutto ciò con l’esortazione che ripeteva spesso “gli anziani ricordino i giovani<br />
sappiano” Aggiungiamo noi che se nessuno né raccoglie l’eredità “Quando un vecchio muore è come<br />
se bruciasse una biblioteca.”<br />
Come uomo politico fu senatore prima e poi deputato ininterrottamente dal 1953 al 1976 nel collegio<br />
ligure. Fu fortemente contrario alla tenuta del congresso del MSI a Genova il 1/7/1960 schierandosi<br />
apertamente con i manifestanti e contro i soprusi della polizia a Genova come in altre città prima fra<br />
tutte Reggio Emilia con gli operai uccisi dalla Polizia. Fermezza e intransigenza anche nel rapimento<br />
dell’on. Moro distaccandosi dalla linea del partito e di quanti si schierarono per aprire una trattativa<br />
con le B.R.<br />
Da presidente della Camera – 5/6/1968-4/7/1976 e da Presidente della Repubblica –9 luglio 1978 / 29<br />
giugno 1985 non smise mai di essere l’uomo che gli operai liguri, lombardi e piemontesi, i contadini<br />
emiliani e pugliesi, gli impiegati laziali, i lavoratori dei cantieri di Trieste di Napoli e di Palermo, i<br />
minatori sardi e toscani, i pastori abruzzesi e molisani e in particolare gli studenti e i bambini, avevano<br />
conosciuto come tenace lavoratore, eroico partigiano e fedele militante socialista.<br />
Il suo essere stato eletto con il maggior suffragio con il quale un Presidente della Repubblica non sia<br />
mai stato eletto è un titolo indiscutibile e che conferma il giudizio espresso su di lui da Montanelli<br />
“non è necessario essere socialisti per amare Pertini, Qualunque cosa egli dica o faccia, odora di<br />
pulizia, di lealtà e di sincerità.” Mai giudizio fu più calzante.<br />
Memorabili sono le sue sincere apparizioni di uomo insofferente verso i vuoti formalismi, dal rifiuto<br />
sdegnoso della falsità e delle meditate o studiate reazioni, sempre guidato dall’istinto di leale e<br />
generoso combattente.<br />
E’ stato così nel 1980 per il terremoto dell’Irpinia, quando assistette ai tentativi di salvataggio del<br />
povero Alfredino Rampi a Vermicino nel 1981, come nell’esplosione di gioia ai campionati del mondo<br />
di calcio a Madrid nel 1982, e nel giocare a scopone scientifico con Zoff contro Bearzot e Causio<br />
accusando Zoff di averlo fatto perdere – come capitava a chi giocava con Lama o con Dalla Chiesa e<br />
non applicava le regole di Chitarella, nella nomina dei senatori a vita quando fece cessare la polemica<br />
sul numero dei senatori che il presidente poteva nominare trovando cinque personaggi di una tale<br />
indiscussa levatura morale e politica da far finire tutte le polemiche, giacché nessuno poteva obiettare<br />
qualcosa su: Leo Valiani, Eduardo De Filippo, Camilla Ravera, Carlo Bo, e Norberto Bobbio. Così fu<br />
ai funerali di Berlinguer, a quelli di Sadat e del gen. Dalla Chiesa, o come mettere sovente in crisi la<br />
sua scorta in ogni occasione per le libertà che, come un qualunque cittadino, soleva prendersi a Madrid<br />
come a Nizza a Roma come a Genova.<br />
Orgoglioso del suo passato, fiero del suo presente Pertini alla mancata medaglia d’argento al V.M.<br />
aggiunse la medaglia d’oro successivamente conferitagli, nella motivazione oltre alla giusta<br />
considerazione delle sue gesta viene evidenziato l’uomo in tutta la sua grandezza “…Uomo di tempra<br />
eccezionale, sempre presente in ogni parte d’Italia ove si impugnassero le armi contro l’invasore. La<br />
sua opera di combattente audacissimo della resistenza gli assegnava uno dei posti più alti e lo rende<br />
meritevole della gratitudine nazionale nella schiera dei protagonisti del secondo risorgimento d’Italia”<br />
Della decina di libri scritti da vari autori su Sandro Pertini quello che maggiormente ci fa conoscere il<br />
presidente più amato dagli italiani è sicuramente quello di Antonio Ghirelli edito nel 1981 da Rizzoli<br />
intitolato “Caro Presidente” frutto dell’esperienza maturata nel periodo nel quale l’autore è stato il suo<br />
portavoce ufficiale.<br />
Sandro Pertini sempre impeccabile dentro e fuori, nota la sua eleganza, intransigente e leale sempre,<br />
non cedeva mai alle convenienze e severamente ammonendo tramandava il suo giudicare “Per me chi<br />
è canaglia nella vita politica resta canaglia anche nella vita privata”<br />
113
114
Convegno sull’attualita’ del pensiero e dell’opera di Nicola Badaloni nell’attivita’<br />
parlamentare 1886/1920 Camera dei Deputati Roma 12 ottobre 2007<br />
Conclusioni di Gianni Salvarani Vice Presidente dell’Istituto di Studi Sindacali della<br />
UIL<br />
Con l’intervento dell’Onorevole Bellotti, che ringrazio per il contributo, siamo giunti alla<br />
conclusione del nostro convegno, all’intervento dell’on Bellotti mi permetto di aggiungere<br />
una considerazione, quella che il patrimonio di Badaloni è veramente un patrimonio<br />
nazionale, un patrimonio di tutti, al punto che nessuno potrà mai vantarne l’esclusiva. Detto<br />
ciò desidero precisare che come Istituto di Studi Sindacali e di ricerca dell’Unione Italiana del<br />
Lavoro abbiamo realizzato, in collaborazione con la nostra Federazione dei Poteri Locali<br />
(UILFPL) a Rovigo, un primo Convegno su Badaloni e ritenuto di organizzarne un secondo a<br />
Recanati per completare l’approfondimento del pensiero e dell’opera di questo grande<br />
personaggio, il quale avendo trascorso la sua esistenza, si potrebbe dire all’estrema periferia<br />
dell’impero, confinato in una piccola provincia, non ha ottenuto i riconoscimenti che la sua<br />
personalità e importanza della sua opera avrebbero meritato, dobbiamo altresì ammettere che<br />
anche noi, come tanti altri, lo abbiamo scoperto tardi. Per questo abbiamo assunto le due<br />
iniziative e proposto la costituzione di un’associazione a lui dedicata, proposta per altro subito<br />
accolta e condivisa dalle amministrazioni comunali di Recanati e Trecenta, dalla<br />
amministrazione provinciale di Rovigo, dalla Minelliana e dalla nostra Federazione dei Poteri<br />
Locali, nell’intento di contribuire non solo per farlo ancor più conoscere, ma attraverso una<br />
continua attività farlo uscire da quella considerazione ristretta derivante dall’essere stato<br />
medico e apostolo delle povere genti del Polesine. L’Associazione, quindi, quale condizione<br />
indispensabile per valorizzarne l’importanza del suo pensiero, della sua opera e quant’altro gli<br />
era già stato riconosciuto, attraverso uno sforzo comune, che ancora dobbiamo completare di<br />
esercitare, di sprovincializzarne e di trasmetterne la memoria che è sicuramente molto più<br />
ampia ed importante di quella finora apparsa. Sia consentito anche al presidente, di questo<br />
interessantissimo convegno, di svolgere un breve intervento e dare un contributo sulle analisi<br />
e sugli approfondimenti che sull’attività parlamentare di Badaloni sono stati svolti. Nella sua<br />
attività parlamentare, Badaloni, riuscì ad essere un autorevole rappresentate della sinistra e<br />
acquisire un ruolo di grande importanza all’interno del movimento socialista, perché alle sue<br />
qualità umane e di dottrina vi univa altre grandi doti, almeno così si evince dalle cronache che<br />
né hanno raccontato la storia, quali quelle derivanti dall’essere un uomo attento e preparato<br />
sugli argomenti sui quali interveniva, distinguendosi per la passionalità, l’enfasi, l’eloquenza,<br />
la proprietà e la chiarezza del linguaggio usato, ma soprattutto per la forza con la quale<br />
esprimeva le sue opinioni derivante dalla profonda convinzione della giustezza delle battaglie<br />
che stava conducendo. Nei suoi interventi nulla era lasciato alla polemica, all’uso strumentale<br />
degli argomenti, alla interpretazione dei fatti in modo partigiano ed ancor meno svolti tanto<br />
per formulare accuse, tutto era invece documentato corredato di testimonianze e di<br />
motivazioni tali da scuotere nel profondo le coscienze di chi ascoltava e gli animi degli<br />
avversari politici, anche se le forti scosse provocate non si trasformavano in voti in suo favore<br />
ed ancor meno in favore del gruppo socialista a nome del quale parlava. Badaloni per queste<br />
sue qualità e per la notevole personalità di cui era dotato, si affermò tanto nel partito quanto<br />
nel gruppo parlamentare, divenendone con sempre maggior frequenza l’oratore ufficiale, ad<br />
accrescerne il valore, per il ruolo assunto, vi è da rilevare che il gruppo era composto da tanti<br />
autorevoli esponenti, alcuni dei quali da tutti riconosciuti come i capi storici del movimento<br />
socialista, da Costa, a Turati, a Trampolini, uomini tra i più prestigiosi della sinistra non solo<br />
italiana e tra i più temuti dai detentori del potere. L’attività politica e parlamentare, Badaloni,<br />
la seppe svolgere nel modo più elevato e con la dignità di chi era consapevole dell’importanza<br />
115
del compito che i suoi elettori e gli ideali di cui era portatore gli assegnavano. Ciò veniva da<br />
lui espresso su ogni argomento posto all’ordine del giorno della Camera, ma in particolare<br />
quando interveniva in difesa delle libertà dei cittadini, denunciando le violenze e i soprusi con<br />
i quali era esercitata la repressione poliziesca in generale e in particolare contro i lavoratori,<br />
nella persecuzione degli esponenti della sinistra, di quelli del partito socialista e dei loro<br />
giornali ed ancora contro le leghe, le cooperative, le organizzazioni mutualistiche fra e per i<br />
lavoratori. Interventi che lo stesso Badaloni promuoveva in un Parlamento che rimaneva<br />
sordo alle denunce e soprattutto rispetto ai diritti e alla centralità del lavoro e dei lavoratori,<br />
centralità che con insistenza veniva ribadita in tutti gli interventi degli esponenti socialisti<br />
presenti in Parlamento. Per comprendere il valore assoluto che i socialisti annettevano alla<br />
centralità del lavoro e al ruolo dei lavoratori, basta ricordare la circostanza nella quale Turati<br />
cogliendo tutta la Camera di sorpresa, richiamando a piena voce l’attenzione dei distratti<br />
parlamentari accompagnò l’ingresso nell’emiciclo di Pietro Chiesa e di Rinaldo Rigola<br />
gridando con voce tonante “Signori entra la classe operaia!”, per sottolineare l’importanza<br />
storica dell’ingresso, per la prima volta, di due operai, due umili operai eletti deputati in un<br />
consesso pieno di militari, nobili e professionisti, parole accolte nel gelo generale e con<br />
sguardi di compatimento. Ciò non toglie che il fatto fosse di straordinaria portata, di storica<br />
portata, tenuto conto che il sistema elettorale dell’epoca concedeva scarse possibilità<br />
d’elezione a coloro che appartenevano alla classe lavoratrice, che avevano scarsa cultura<br />
scolastica e soprattutto il neo di essere aderenti alla parte politica avversata, in tutti i modi e<br />
con tutti i mezzi, dai detentori del potere. Un sistema elettorale di censo, tanto basta che se<br />
non si aveva un certo reddito non si poteva partecipare alle elezioni, chi sapeva poco leggere e<br />
scrivere non poteva votare, privando del voto la stragrande maggioranza degli italiani.<br />
Superati questi sbarramenti per coloro che erano eletti diveniva molto difficile poter<br />
partecipare all’ attività parlamentare, in quanto non essendo prevista nessuna indennità e<br />
nessun rimborso spese, chi non aveva risorse proprie non rimaneva che una unica possibilità<br />
per reperire i fondi necessari, quella di ricorrere all’aiuto dei compagni di partito e di lavoro<br />
che attraverso delle raccolte raggiungessero i soldi necessari non solo per sopperire alle spese<br />
di viaggio e quelle di soggiorno a Roma, ma anche per potersi vestire alla bisogna. Oggi,<br />
dibattendo i costi della politica fa un certo senso costatare queste situazioni, resta difficile<br />
comprendere come quei grandi uomini riuscissero ugualmente a fare politica, difendere e<br />
diffondere le loro idee e i loro ideali senza alcun beneficio sono per chi svolge il mandato<br />
parlamentare. Badaloni era sicuramente un apostolo del socialismo come molti suoi<br />
contemporanei, ad iniziare da quello che lo è stato per antonomasia: Camillo Prampolini che<br />
più d’ogni altro meritò l’appellativo di apostolo, non solo per la sua azione politica e sociale,<br />
ma anche per la sua somiglianza fisica con le raffigurazioni che del Cristo né venivano<br />
rappresentate. Apostolo politico, quindi, ma anche come antesignano dell’organizzazione<br />
sindacale, sempre pronto a donare il suo aiuto a tutti, in modo particolare ai poveri ed ai<br />
bisognosi del Polesine come qui è stato ampiamente ricordato. Vi è da aggiungere che sulle<br />
capacità scientifiche di Badaloni si sono registrate delle testimonianze notevoli ed autorevoli,<br />
a cominciare dal Premio Nobel Rita Levi Montalcini che ha riconosciuto la sua<br />
professionalità di scienziato e di medico, tratteggiandone un profilo veramente importante dei<br />
suoi studi. All’Università di Padova – facoltà di Medicina - sono conservati oltre 200 testi,<br />
parte della notevole produzione degli studi di medicina, purtroppo non tutta recuperata, che<br />
non riguarda solo la malaria o la pellagra come si è abituati a pensare quando si parla dello<br />
scienziato, o dell’attività medica da lui svolta, ma che si riferiscono ai carcinoma e altre<br />
malattie contro le quali ancora oggi si combatte studiando sui suoi testi. La popolarità nelle<br />
elezioni al Parlamento così come al Consiglio Provinciale di Rovigo, dove è stato seduto per<br />
20 anni, la cui sala del Consiglio è a lui intitolata, i suoi voti hanno sempre superato, di gran<br />
lunga, quelli che il partito poteva disporre, tanto che egli era sempre vincente nei confronti<br />
116
degli avversari sia interni al partito che esterni, ciò come ulteriore dimostrazione di quanto<br />
fosse ampia la considerazione che godeva fra gli elettori del suo collegio. Landolfi ha<br />
ricordato lo scontro con Mussolini ed il risultato elettorale delle elezioni del 1913 dei 5.895<br />
voti ottenuti contro i 145 del futuro duce del fascismo, in un collegio elettorale dove anche il<br />
più rappresentativo uomo della destra poteva si e no contare su circa 1000 voti di<br />
rappresentanza. La prima volta Badaloni fu eletto nelle liste della Lega della Democrazia,<br />
presentandosi agli elettori con un programma che portava il titolo “Trasformazione degli<br />
ordinamenti politici come mezzo e ambiente delle trasformazioni sociali”, i cui contenuti<br />
erano quelli di una straordinaria visione riformista e progressista della società, talmente<br />
avanzato dal farlo considerare valido ed attuale ancora oggi, Il primo intervento lo fece il 6<br />
dicembre del 1886, con grande coraggio non tanto per essere un neo deputato, nemmeno<br />
perché facente parte di un piccolissimo gruppo di opposizione, ma per aver denunciato le<br />
pressioni che le prefetture e le autorità di polizia avevano fatto per manipolare la<br />
composizione delle liste dei giurati, eliminando dalla nomina le menti libere, per sostituirle<br />
con chi era allineato con il potere. Liste di giurati che formavano il collegio dei garanti con il<br />
compito di vigilare sul corretto funzionamento della “macchina elettorale” e quindi preposti<br />
alla conferma o meno dei risultati nei singoli collegi. Già in questo caso Badaloni si presentò<br />
documentando e puntualmente provando, quanto affermava, illustrò un caso particolarmente<br />
importante in quanto riguardava un patriota, ufficiale garibaldino decorato con la medaglia al<br />
valore militare: Amos Occasi di Massa Superiore, oggi Castelmassa, nei confronti del quale il<br />
Prefetto emanò il decreto di interdizione dal divenire giurato solo perché notoriamente di idee<br />
progressiste. Il fatto di essere inseriti tra i giurati significava anche partecipare ad<br />
amministrare la giustizia nei processi che normalmente si tenevano contro i lavoratori, da ciò<br />
si può capire perché questi processi finivano sempre con il dar ragione ai padroni che avevano<br />
denunciato i lavoratori. Solo con una diversa composizione delle liste dei giurati e quindi<br />
degli amministratori della giustizia si poteva garantire un corretto svolgimento delle elezioni<br />
ed una gestione più equa della giustizia stessa.. Badaloni, come è stato ricordato, intervenne<br />
spesso alla Camera e sui più diversi argomenti posti in discussione, seguiva con molta<br />
attenzione tutti i cambiamenti che si verificavano, approfondendo e cimentandosi su tutti,<br />
passando dai problemi dell’emigrazione a quelli dell’istruzione, dalle leggi comunali e<br />
provinciali alle opere pubbliche, a tal proposito sottolineo che anche nel messaggio inviatoci<br />
dal Presidente Marini tutto ciò è stato particolarmente evidenziato, dalla libertà individuale ai<br />
diritti, come prima ricordava Landolfi, dalle spese militari e di bilancio, per le quali e sulle<br />
quali fece delle notevoli battaglie, ma fu naturalmente e soprattutto sui problemi sanitari e<br />
delle condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori che dedicò il suo primario e maggiore<br />
impegno. Una intensa attività parlamentare che ha prodotto oltre 500 pagine di atti. Il suo<br />
ultimo discorso lo pronunciò il 26 novembre del 1918, con la presentazione di un ordine del<br />
giorno in favore della distribuzione della terra a chi lavora, argomentando che i contadini<br />
avendo rappresentato la maggioranza del popolo in armi e sconfitto il nemico della Patria, né<br />
avevano acquisito il diritto, affermando tra l’altro: “i nostri contadini fino a ieri non<br />
conoscevano che il nemico, la miseria, oggi hanno affrontato e sconfitto il nemico d’Italia, se<br />
ad essi non è concessa gloria e per questo grandissimo titolo che la gloria loro non può<br />
separarsi dalla gloria della nostra Patria, essi chiedono che la terra che hanno difeso cessi<br />
dall’essere loro matrigna, non è la vecchia gente che invoca è la nuova gente che afferma il<br />
suo diritto”, fu questo l’ultimo intervento svolto in aula da Badaloni, il quale proseguirà<br />
l’attività parlamentare solo attraverso la presentazione di interrogazioni ed interventi scritti a<br />
causa del peggioramento del suo stato di salute. Fu nominato, come ha ricordato anche il<br />
Presidente Coccia, senatore del Regno dal Governo Giolitti, frequentò l’aula di palazzo<br />
Madama solo per poche sedute, nel 1921 e nel 1922, presentò però due disegni di legge molto<br />
importanti: uno contro il commercio e l’uso di sostanze stupefacenti, siamo nel 1921! E l’altro<br />
117
per far stanziare fondi in favore degli istituti d’istruzione sperimentale in agricoltura. Nelle<br />
sue iniziative, come si può capire da questi due disegni di legge presentati, era sempre<br />
presente una lungimiranza rispondente all’andare incontro ai bisogni della società, frutto di<br />
una lucida elaborazione che si accompagnava ad un agire pieno di concretezza, tanto da fare<br />
di Badaloni un gigante non solo dell’opera politica, ma anche di quella sindacale, per non dire<br />
di quella medica, un gigante, ribadisco un gigante per troppo tempo dimenticato e<br />
sottovalutato. In ogni suo agire si vedeva chiaramente la sua dirittura morale, la coerenza<br />
politica, l’etica professionale e scientifica e soprattutto la grande umanità che trasmetteva in<br />
ogni occasione. Dopo l’avvento del fascismo si ritirò dalla vita politica ufficiale, continuando<br />
ad avversare il regime e rifiutando l’assegno vitalizio che Mussolini, suo ex compagno di<br />
partito e competitore di collegio, volle assegnargli, anche se ridotto in miseria e bisognoso di<br />
cure, vivesse solo del conforto e dell’affetto dei tanti lavoratori da lui assistiti. L’ultimo<br />
discorso pubblico pronunciato lo rivolse, il primo gennaio 1945 nonostante l’età, la malattia e<br />
l’essere quasi cieco, agli amici che si erano radunati sotto casa sua insieme alla banda<br />
comunale di Trecenta, in quanto era d’uso che ogni primo dell’anno la banda si fermasse e<br />
suonasse sotto il suo balcone per porgergli gli auguri di buon anno da parte di tutta la<br />
popolazione, che numerosa era sempre presente, quale dimostrazione del grande affetto che i<br />
concittadini e le genti del Polesine gli volevano tributare. Badaloni disse delle nobili ed<br />
elevate parole sulla “pace”, sulla speranza di vederla presto arrivare insieme ad una unione<br />
serena tra i popoli. Egli amava sempre, in ogni suo dire, ripetere il messaggio di fratellanza tra<br />
i popoli, accompagnato dall’auspicio che i più umili, i più bisognosi, i lavoratori potessero<br />
presto conquistare i loro diritti e con essi il benessere di cui avevano tanto bisogno. Purtroppo<br />
non riuscì a gioire a pieno dell’arrivo della Liberazione e dell’avvento della Repubblica, di<br />
quella Repubblica fondata sul lavoro, come lui aveva sempre lottato perché il lavoro fosse<br />
posto al centro di ogni attenzione, essendo ormai giunto all’estremo delle forze, cessando di<br />
vivere il 21 maggio 1945. Grazie<br />
118
In occasione del centenario della morte di Edmondo De Amicis l’Istituto, in collaborazione<br />
con la UIL Scuola, le UIL regionali della Liguria e del Piemonte e la federazione degli<br />
Scrittori, ha organizzato tre convegni sull’opera e l’azione del grande scrittore socialista. Il<br />
primo si è tenuto a Roma, il secondo in Liguria, terra d’origine e dove è morto e il terzo a<br />
Torino, sua città d’adozione. L’ampia e qualificata partecipazione di docenti universitari e<br />
rappresentanti delle istituzioni, oltre che del sindacato, ha richiamato l’attenzione di un folto<br />
pubblico e la presenza di numerose classi di studenti dei licei cittadini, ad iniziare da quelli<br />
del Tasso di Roma – sede del primo convegno. La distribuzione di molto materiale prodotto<br />
dall’Istituto, con un inedito sunto del libro “Primo Maggio”, ha dato la possibilità di<br />
conoscere De Amicis sotto la sua vera veste d’intellettuale socialista, iscritto al partito,<br />
propugnatore delle lotte operaie e sostenitore della loro causa. Un De Amicis sconosciuto,<br />
antesignano con Turati della diffusione dell’idealità socialista e che consente di rileggere il<br />
libro Cuore in modo completamente diverso dalla tradizione di libro dolce strappalacrime per<br />
la costruzione di un modello di giovinetto fuori del tempo, ieri ed ancor più oggi. De Amicis è<br />
stato uno scrittore e giornalista molto prolifico ed ha marcato ogni sua fatica letteraria con il<br />
segno distintivo di chi è schierato da una sola parte, quella dei lavoratori e dei bisognosi.<br />
L’Istituto è orgoglioso di aver contribuito, unitamente alle altre organizzazioni della UIL, alla<br />
riscoperta di questo grande uomo del socialismo italiano.<br />
119
Intervento di Gianni Salvarani vice presidente dell'istituto di studi sindacali al convegno<br />
"Edmondo De Amicis Socialista Riformista"<br />
Roma 6 maggio 2008<br />
A nome della UIL Scuola, della Unione Nazionale degli scrittori ed artisti e dell'Istituto di<br />
Studi Sindacali della UIL desidero ringraziare il Dirigente scolastico prof. Achille Acciavatti,<br />
il personale docente e non docente per aver accolto la nostra richiesta di poter tenere l'odierna<br />
celebrazione in questa sede. Il Liceo Tasso è sicuramente uno dei più importanti Istituti<br />
italiani, vi hanno insegnato docenti di chiara fama e di grande prestigio: da Staderini a Cervi,<br />
da Calogero a Castelnuovo, l'elenco è lunghissimo così come quello dei discenti, uomini e<br />
donne, che in ogni campo si sono distinti a livello nazionale ed internazionale, solo per citarne<br />
alcuni, senza voler far torto ai tantissimi altri: da Majorana a Segre, da Bachelet a Malagodi,<br />
da Andreotti a Reichlin, da Gassmann a Curzi a Mieli, anche la UIL ha avuto tra i suoi<br />
dirigenti allievi del Tasso ed è qui presente Camillo Benevento per anni segretario confederale<br />
e direttore del nostro giornale Lavoro Italiano. Il Tasso ha contribuito e continuerà a<br />
contribuire a formare la futura classe dirigente del nostro Paese. Un ringraziamento<br />
particolarmente sentito agli studenti che assistono al convegno e ai loro compagni che<br />
sicuramente né seguiranno indirettamente il dibattito. Siamo tutti convinti che per la<br />
celebrazione di un personaggio come Edmondo De Amicis una sede più degna non poteva<br />
essere trovata. Con questo convegno prende avvio il secondo percorso, ideato dall'Istituto di<br />
Studi Sindacali, alla riscoperta dei padri fondatori delle prime forme di organizzazione<br />
mutualistiche, cooperative, sindacali, e partitiche e di quanti hanno contribuito alla loro<br />
affermazione nel nostro Paese. Obiettivo dell'Istituto di Studi Sindacali è di arrivare,<br />
attraverso la ricostruzione storica dell'attività svolta da questi primi pionieri e la ricerca delle<br />
radici della comune idealità, fino alla costituzione della nostra organizzazione. Ricordando,<br />
quindi, uomini e donne che con la loro azione hanno saputo formare nei lavoratori una<br />
coscienza di classe, organizzarne l'impegno sociale e l'azione rivendicativa. Celebrando il<br />
centenario della morte di De Amicis vogliamo ricordare uno dei personaggi tra i più<br />
impegnati nella battaglia ideale, ancor prima dell'unità d'Italia, in favore dei lavoratori,<br />
nell'abbracciare la loro causa unitamente a quella socialista. Una convinzione che De Amicis<br />
ha maturato, dopo aver conosciuto la miseria e gli stenti nei quali i lavoratori e le loro<br />
famiglie erano costretti a vivere, il dolore di chi doveva emigrare e la violenza della dura<br />
repressione dello Stato a tutela dello sfruttamento attuato dal padronato. Quest'iniziativa su<br />
De Amicis fa intersecare il nostro percorso con quello fatto dalla UIL Scuola e dell'Unione<br />
Nazionale Scrittori e Artisti, così com' è avvenuto in precedenza con altre categorie. In<br />
particolare, però, in questa circostanza, il rapporto si fa più stretto con la UIL Scuola, non<br />
soltanto per il convegno che su De Amicis ha organizzato ad Imperia lo scorso ottobre, ma<br />
soprattutto per l'importante esperienza da loro fatta con l'iniziativa titolata "dalle radici della<br />
nostra cultura alla scuola" con la quale hanno voluto ricordare i grandi della scienza e della<br />
cultura italiana da Vico a Pirandello, da Galileo ad Ariosto, dalla Deledda a Fermi, è in questo<br />
contesto che le nostre ricerche si uniscono, celebrando un personaggio che ha saputo dare non<br />
solo alla cultura un elevato contributo, ma anche e soprattutto nel sociale e nella politica,<br />
offrendone uno di un tale spessore da farlo andare molto al di là della sua meritata fama<br />
d'educatore, scrittore e giornalista. Una scelta che vuole significare anche il riconoscimento<br />
dell' organizzazione a quanti, De Amicis tra i primi, hanno dato un così importante contributo<br />
al movimento sindacale e al Paese. Il primo percorso ha avuto inizio celebrando, a Reggio<br />
Emilia, il 75° anniversario dalla morte di Camillo Prampolini, universalmente conosciuto per<br />
essere stato tra i padri fondatori del movimento cooperativo, di quello socialista e delle prime<br />
esperienze di organizzazione sindacale. Un apostolo nei cui scritti troviamo molte similitudini<br />
con quelli di De Amicis, la sua famosissima "Predica di Natale" così come gli articoli di<br />
fondo scritti sulla "Giustizia", il giornale da lui fondato, combaciano con molti degli articoli e<br />
120
saggi scritti dal De Amicis e pubblicati sul "Grido del popolo". Dall’apostolato rivolto ai<br />
lavoratori della terra, siamo passati ad approfondire la condizione dei lavoratori della nascente<br />
industria e delle attività portuali celebrando, a Genova, il 90° anniversario della morte di<br />
Pietro Chiesa. Un uomo che seppe organizzare le rivendicazioni operaie dei lavoratori dell'<br />
industria coniugando le con quelle dei lavoratori portuali. Situazioni che De Amicis ebbe<br />
modo di conoscere bene per come erano vissute dai lavoratori, nella sua Torino, città che non<br />
solo era la capitale dello Stato, ma anche quella più industrializzata del Regno e delle quali,<br />
con i suoi scritti né ha saputo dare una forte ed appassionata raffigurazione. La successiva<br />
tappa ci ha ricondotto ai lavoratori della terra, con la celebrazione, a Rovigo, del 60°<br />
anniversario della morte di Nicola Badaloni, un medico, uno scienziato, primo a trovare<br />
rimedi per combattere lo scorbuto e la pellagra, le principali malattie che affliggevano i<br />
contadini delle insalubri e povere terre del Polesine. Egli accompagnò la sua attività di<br />
medico condotto con la divulgazione del credo nell’organizzazione dei lavoratori, della<br />
indispensabilità della lotta sindacale e politica, quale mezzo per arrivare alloro riscatto. Un<br />
mondo, quello della scienza e della cultura, al quale De Amicis si è spesso rivolto, (basti<br />
ricordare la costituzione con Cesare Lombroso e Arturo Graf del movimento denominato<br />
"Socialismo dei professori") con lo stesso spirito con il quale Badaloni vi ha dato corpo con la<br />
sua opera, con una apertura verso il sociale e all'interno del sociale verso il bisogno, comuni<br />
assi portanti per indirizzare le rivendicazioni verso la costruzione di una nuova e diversa<br />
società. Il fil rouge tracciato ci ha portato in un'altra delle zone, all'epoca tra le più povere<br />
della penisola, particolarmente colpita dalla piaga dell'emigrazione, come fuga dalla miseria e<br />
dalla disperazione: il Cadore. Terra nella. quale abbiamo celebrato il 135° anniversario della<br />
nascita di Giustino detto Giusto Santin, un muratore analfabeta, costretto ad istruirsi da<br />
emigrato in Svizzera, imparando a leggere e scrivere studiando di notte, fino a diventare<br />
direttore di uno dei più importanti giornali socialisti del nord Italia. L'emigrazione è stata uno<br />
degli argomenti sui quali più volte si è soffermato De Amicis, descrivendo la come uno dei<br />
mali peggiori della società, non solo per averla studiata come fenomeno di quel periodo<br />
storico, ma anche per averla conosciuta e vissuta in un viaggio intrapreso come emigrante fra<br />
emigranti e quindi con una esperienza diretta che lo ha messo in condizione di scriverne le sue<br />
impressioni di giornalista e scrittore attento agli accadimenti e di farne conoscere, con<br />
straordinaria efficacia, la condizione disperata nella quale quella povera gente era costretta a<br />
vivere ed andare "ramenga" per il mondo. Per conoscere meglio quanto fossero capaci di<br />
unire non solo i lavoratori, ma molta parte del popolo italiano le idee professate da questi<br />
antesignani del sindacalismo e del socialismo, abbiamo voluto ricordare un uomo colto, di<br />
buona estrazione sociale, di famiglia molto religiosa, che si ribellò al conformismo, alla<br />
piattezza di una vita grigia e anonima di un piccolo centro, anche se onestamente condotta ed<br />
economicamente vissuta senza problemi, per dedicarsi fin da giovanissimo all'organizzazione<br />
sindacale e al partito socialista. Si tratta di Filippo Acciarini impegnato sindacalmente e<br />
politicamente a Torino, perseguitato e deportato in campo di concentramento, deceduto ancor<br />
in giovine età a Mauthausen. Una ribellione al conformismo sempre molto presente negli<br />
scritti di De Amicis, spesso esposta con grande garbo e in punta di penna, con un rifiuto<br />
motivato di quella società ordinata solo nella finalizzazione del mantenimento della netta<br />
divisione fra le classi e dell'esercizio del potere da parte del più forte, sia esso lo Stato o il<br />
padronato. Successivamente abbiamo affrontato i martoriati anni della dittatura fascista e<br />
della occupazione nazista, ma soprattutto quelli esaltanti della Resistenza. Per quel periodo<br />
storico abbiamo scelto di prendere, dall' interno della nostra organizzazione, l'esempio di uno<br />
dei nostri dirigenti, Ezio Vigorelli, che passato dall' antifascismo politico a quello della lotta<br />
armata nelle formazioni partigiane della VaI d'Ossola, contribuì alla costituzione della libera<br />
Repubblica dell'Ossola, continuando a combattere per la libertà del Paese anche dopo la<br />
perdita dei suoi due figli caduti in conflitto contro i nazifascisti per difendere la neonata libera<br />
121
Repubblica. Sacrificio riconosciuto assegnando loro una medaglia d'oro e una d'argento al<br />
valor militare. Un padre capace di sprigionare una così grande forza d'animo, al punto non<br />
solo da sopravvivere ad una simile tragedia, ma da saper generosamente continuare l'impegno<br />
politico anche dopo la fine del conflitto. Vigorelli entrato nella nostra organizzazione ne<br />
divenne presidente del comitato centrale, incarico che lasciò, con grande senso di<br />
responsabilità, quando chiamato a far parte del governo, per assumere l'incarico di Ministro<br />
del Lavoro, si dimise scrivendo una nobile lettera con la quale, pur riconfermando i suoi<br />
indissolubili legami con l'organizzazione, spiegò che per effetto dell' incarico assunto non<br />
poteva più mantenere alcuna responsabilità nel sindacato, volendo essere il Ministro di tutti i<br />
lavoratori e non il rappresentante di una sola parte. E' dalla sofferenza di padre e da quella del<br />
grande spirito di sacrificio e di combattente che troviamo una similitudine con De Amicis,<br />
anch'egli sfortunato padre, così come altrettanto coraggioso ufficiale nella guerra<br />
d'indipendenza e primo corrispondente di guerra alla presa di Roma. Abbiamo voluto<br />
terminare questo primo percorso ricordando quello che è stato il Presidente più amato degli<br />
italiani, Sandro Pertini. L'uomo tutto di un pezzo, il socialista puro, ciò detto nei termini più<br />
nobili del termine. Un uomo sul quale si possono scrivere fiumi d'inchiostro e oceani di parole<br />
tanto è stato stimato e rispettato ed in molti lo hanno fatto, ma una tra le definizioni migliori è<br />
sicuramente quella data di Indro Montanelli il quale così si espresse: "Non è necessario essere<br />
socialisti per amare Pertini. Qualunque cosa dica o faccia odora di pulizia, di lealtà e di<br />
sincerità". Questo giudizio espresso nei confronti di due grandi personaggi assimilati anche<br />
dall' adorazione che entrambi avevano per la propria madre, con De Amicis che scrivendo<br />
l'eccelsa poesia" A mia madre" rivelava, oltre alla sua vena poetica, il tanto amore provato per<br />
la genitrice, Pertini ha espresso un eguale sentimento attraverso una fitta e non meno poetica<br />
corrispondenza intrattenuta con la madre soprattutto dal carcere e dall'esilio. Pertini spesso<br />
soleva dire: "gli anziani ricordino affinché i giovani sappiano", è quest'insegnamento che ci<br />
sta accompagnando nel nostro ripercorrere e riproporre l' idealità e l'opera di quanti sono stati<br />
determinanti per la costruzione di questo Paese che, pur con i suoi non pochi difetti, resta il<br />
più bel Paese del mondo.<br />
La scelta di continuare le celebrazioni di De Amicis a Genova e a Torino nasce perché è li che<br />
ha vissuto, ha operato ed è morto. Una significativa partecipazione a questo grande socialista<br />
pacifista che abbiamo voluto condividere insieme ai giovani delle scuole. Nel giorno dei<br />
funerali di De Amicis il partito socialista fece affiggere un manifesto con scritto “Il più<br />
grande e il più buono dei socialisti italiani è morto, s’è spenta la voce che nel nostro fervido<br />
augurio dopo aver narrato con dolcezza le speranze dei poveri doveva dirne senza rancori il<br />
trionfo” Immancabilmente ogni 1° maggio il corteo di lavoratori sfilava sotto le sue finestre<br />
per acclamarlo come compagno di fede, come il socialista umanitario al quale ispirare le loro<br />
lotte.<br />
Nel romanzo intitolato 1° MAGGIO, De Amicis suggella la sua adesione al partito socialista e<br />
alla causa dei poveri, facendo dire al protagonista: “Ecco quello che penso. Penso che la parte<br />
che è data ai lavoratori sul prodotto generale della ricchezza non è proporzionata alla parte<br />
che essi rappresentano nell’opera generale della produzione della ricchezza medesima.<br />
122
123
La vivacità dell’Istituto si è rivolta, poi, alla promozione ed affermazione della propria attività<br />
stipulando accordi e convenzioni con altri istituti ed associazioni per creare uno sviluppo<br />
organico e sinergico di strutture dedicate alla stessa funzione. In questo ambito è l’iniziativa<br />
assunta per la costituzione dell’associazione Nicola Badaloni e la firma del protocollo d’intesa<br />
tra le fondazioni Giuseppe Di Vagno, Giacomo Matteotti, l'Associazione Nicola Badaloni e<br />
l'Istituto di Studi Sindacali -<strong>Storia</strong> del movimento operaio- della UIL.<br />
124
PROTOCOLLO D’INTESA<br />
125
126
L’attività dell’Istituto à proseguita non solo con la partecipazione ad iniziative promosse da<br />
altri Enti e Fondazioni, ma anche organizzando unitamente agli Enti Locali e alle<br />
Associazioni e Fondazioni con le quali ha da tempo promosso una collaborazione, convegni<br />
come quelli sulla sanità da Badaloni ai giorni nostri e sulle cinque generazioni di personaggi<br />
illustri di Recanati, Falleroni, Badaloni, Acciarini, Brodolini e Foschi.<br />
127
128
ARCHIVIO STORICO<br />
L’Archivio storico della <strong>Uil</strong>, ufficialmente costituito nel maggio del 1989, con le sistemazioni<br />
già in precedenza illustrate, ha ottenuto il riconoscimento di notevole interesse storico dalla<br />
sovrintendenza archivistica.<br />
Nell’archivio si trova la documentazione prodotta nel tempo dalla confederazione.<br />
I documenti sono consultabili e le serie sono organizzate secondo i criteri archivistici. Per<br />
brevità se ne indicano solamente alcune: i congressi, i comitati centrali, le direzioni, la<br />
corrispondenza degli uffici, le circolari, le iniziative, i convegni ed altro ancora.<br />
Esiste una guida dell’archivio per gli anni dal 1950 al 1992 ed un inventario per i congressi<br />
locali e di categoria per gli anni ottanta.<br />
L’archivio possiede una ricca collezione di manifesti prodotti dalla <strong>Uil</strong>, per le diverse<br />
occasioni ed iniziative (tesseramento, congressi, convegni ecc.).<br />
La raccolta dei documenti, dall’inizio della informatizzazione delle comunicazioni interne ed<br />
esterne della <strong>Uil</strong>, è continuata sostanzialmente seguendo i criteri precedentemente adottati.<br />
E’ una testimonianza preziosa dell’impegno della <strong>Uil</strong> nelle quotidiane battaglie per difendere i<br />
diritti dei lavoratori, modernizzare il mondo del lavoro e, nel confronto con la società,<br />
rivendicare i diritti della laicità dello stato.<br />
Per valorizzare questo patrimonio documentale l’Istituto ha stipulato una convenzione per<br />
entrare a far parte del progetto che l’Archivio storico del Senato della Repubblica ha<br />
promosso per creare un archivio dei soggetti politici e sindacali che hanno contribuito alla<br />
storia d’Italia. Nel comunicato stampa, che è stato diffuso al momento della firma, è illustrata<br />
la motivazione che ha portato l’ISS a compiere questo importante passo: ”…. Per promuovere<br />
ulteriormente la conservazione dei documenti archivistici e la loro valorizzazione attraverso la<br />
disponibilità delle fonti in un unico archivio virtuale. Si conferma così l’interesse del Senato<br />
della Repubblica e dell’Istituto di Studi Sindacali della UIL alla conservazione e<br />
valorizzazione degli ingenti patrimoni archivistici relativi alla storia dell’Italia Repubblicana.<br />
Una più ampia condivisione del patrimonio archivistico dell’Istituto della <strong>Uil</strong> e del complesso<br />
documentario dell’Archivio Storico del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati<br />
unificati, consentirà di dare una maggiore completezza dell’informazione relativa alla storia<br />
politico, sociale e istituzionale del Paese. All’atto della sottoscrizione il vice-presidente<br />
dell’Istituto, Gianni Salvarani, ha sottolineato l’importanza per la <strong>Uil</strong> della partecipazione al<br />
progetto, e ha ribadito il valore del patrimonio archivistico che, grazie a questa convenzione,<br />
potrà essere facilmente accessibile e meglio fruibile. Commentando la firma della<br />
Convenzione, il Segretario Generale della <strong>Uil</strong>, Luigi Angeletti, ha espresso la soddisfazione<br />
dell’Organizzazione per l’accordo raggiunto dall’Istituto di Studi Sindacali, formulando<br />
l’augurio che la collaborazione avviata oggi, possa essere sempre più intensa e fattiva nel<br />
superiore interesse della tutela del patrimonio archivistico. (Roma, 24 luglio 2007)<br />
LA BIBLIOTECA “ARTURO CHIARI”<br />
La realizzazione della biblioteca, già pensata al momento della costituzione dell’Istituto di<br />
studi sindacali, ha potuto essere impostata solo da poco e grazie al conferimento iniziale di<br />
importanti donazioni e collaborazioni, che ne hanno facilitato l’avviamento. Con questa<br />
struttura si è data una positiva risposta ad una necessità della quale si sentiva da tempo il<br />
bisogno, quella di poter disporre nella <strong>Uil</strong>, di uno strumento che permettesse a tutti coloro che<br />
lavorano, studiano o semplicemente seguono l’attività del sindacato, di avere un punto di<br />
riferimento che soddisfacesse le diverse esigenze di studio e ricerca, nonché le richieste<br />
culturali o politiche.<br />
129
Si tratta per l’attività interna di poter disporre di uno strumento attivo che coadiuvi lo<br />
svolgimento del lavoro degli uffici confederali, e della UIL nel suo complesso, ed inoltre<br />
essere una realtà per tutti coloro che vogliono studiare l’attività del sindacato, con particolare<br />
riferimento al patrimonio di idee laiche e socialiste che animano la <strong>Uil</strong> e di tutta l’area nella<br />
quale quella cultura politica è identificabile, come portatrice di modernità e progresso.<br />
E’ stata compiuta una scelta peculiare di costituire ed intestare ad ogni persona che ha voluto<br />
conferire il proprio patrimonio di carte e di libri uno specifico fondo, sia per conservare la<br />
memoria di impegni politici e sindacali di uomini e donne che hanno dedicato una vita a tale<br />
attività, sia per evidenziare i percorsi intellettuali e politici che ne hanno caratterizzato<br />
l’esistenza.<br />
Il primo nucleo della biblioteca è stato costituito grazie alla donazione della biblioteca della<br />
rivista Ragionamenti alla quale il direttore, senatore Giuseppe Averardi, ha voluto aggiungere<br />
parte anche della sua biblioteca personale, per una donazione complessiva di oltre tremila<br />
volumi, con raccolte di grande interesse storico, di atti istituzionali relativi all’attività del<br />
parlamento e dei governi. Da questa importante base, si è riusciti ad avviare una campagna di<br />
sensibilizzazione per un ulteriore allargamento dei fondi donati ed una progettazione a più<br />
largo respiro per la strutturazione della biblioteca che, pur essendo di genere sindacale,<br />
allargasse il proprio campo d’interesse al mondo della politica, alle problematiche della<br />
società in generale, con particolare riguardo alla storia movimenti sindacali, politici e sociali.<br />
Questo ha consentito di sommare altre donazioni, frutto di atti generosi che non solo<br />
rafforzano il progetto, ma, soprattutto, ne danno solidità e continuità per il suo futuro.<br />
All’interno della biblioteca sono state organizzate due sezioni: l’emeroteca e la fotovideoteca.<br />
EMEROTECA<br />
Proprio per far conoscere le idealità e le battaglie che la <strong>Uil</strong> ha sostenuto nel tempo,<br />
all’interno della biblioteca è prevista una emeroteca, con la raccolta delle riviste e dei<br />
periodici sindacali delle categorie e delle realtà territoriali della UIL, alcune già in possesso<br />
dell’archivio storico ed altre di recente acquisizione.<br />
E’ una collezione con alcuni limiti temporali, con alcuni numeri ed annate incomplete.<br />
Tuttavia, l’importanza è data dal catalogo, attraverso il quale sarà possibile risalire alla<br />
pubblicazione che interessa e come poterla reperire.<br />
Non tutte le pubblicazioni edite o stampate dalle categorie e sul territorio dalla UIL, come<br />
anche quelle distribuite all’interno delle fabbriche o che sono state diffuse nel tempo, fanno<br />
parte del patrimonio della biblioteca. Tuttavia una notevole rappresentanza di ciò che è stato<br />
pubblicato è presente ed è consultabile.<br />
E’ interessante, oltretutto, notare come tutto il materiale raccolto illustri anche come si è<br />
sviluppata ed evoluta la stampa sindacale, non solo con la scelta del nome della testata, ma<br />
anche nella grafica, nella scelta degli interlocutori e dell’impianto generale.<br />
Nella collezione sono comprese le rassegne stampa sindacali e le riviste di approfondimento,<br />
anche con numeri unici monotematici.<br />
Unica in Italia la collezione completa, de “IL LAVORO ITALIANO” organo di informazione<br />
della UIL, dalla costituzione ad oggi.<br />
130
FOTOVIDEOTECA<br />
Sono disponibili raccolte fotografiche, suddivise per occasioni d’incontro, argomenti e<br />
persone.<br />
L’altra importante sezione della biblioteca è quella destinata alla videoteca. Sono presenti<br />
videocassette delle maggiori iniziative pubbliche che la <strong>Uil</strong> ha sostenuto – comprese le<br />
manifestazioni di piazza unitarie durante gli ultimi scioperi. Sono presenti le registrazioni dei<br />
lavori degli ultimi congressi. Accanto a questo materiale della confederazione, esiste una<br />
sezione di video dall’origine molto eterogenea, comprendente anche le videocassette di<br />
propaganda dell’attività di alcune federazioni di categoria e di alcuni sindacati europei.<br />
Si è avviato con Cinecittà Luce – Archivio storico Luce un accordo per la catalogazione e<br />
conservazione di tutto il materiale presente in questa sezione. La conservazione del<br />
patrimonio audiovisivo accumulatosi negli anni è diventata col tempo sempre più importante.<br />
L’audiovisivo va, infatti, connotandosi sempre più come elemento centrale nello studio della<br />
storia contemporanea e le immagini si vanno sempre più qualificando come veri e propri<br />
documenti storici. La UIL – attraverso l’Istituto di studi sindacali - avverte con crescente<br />
chiarezza, come la propria identità e il proprio ruolo, nella società italiana, dipenda anche<br />
dalla possibilità di collegare il proprio segmento di memoria con quello più grande della<br />
memoria collettiva. Nell’attività di documentazione audiovisiva sono intervenute<br />
recentemente due grandi novità, frutto dello sviluppo tecnologico: da una parte le tecnologie<br />
digitali, dall’altra il ricorso alla catalogazione sistematica dei fondi archivistici. La stessa<br />
digitalizzazione dei documenti audiovisivi rende oggi possibile, tramite la rete, non soltanto<br />
una consultazione estesa ed allargata ad una infinità di utenti, ma soprattutto consente<br />
l’integrazione dei documenti provenienti da un giacimento con quelli di tutti gli altri. Dando<br />
così corso ad una valorizzazione del contenuto, aprendolo ad altre e più significative<br />
interpretazioni.<br />
✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵<br />
CONVEGNO PER L’INAUGURAZIONE DELLA BIBLIOTECA ARTURO CHIARI<br />
Si è svolto il 6 marzo 2006 nella sala Buozzi della sede nazionale della <strong>Uil</strong> il convegno per<br />
l'inaugurazione della Biblioteca Arturo Chiari , costituita presso la sede stessa.<br />
Aprendo i lavori il vice presidente dell'Istituto di studi sindacali Gianni Salvarani, ha illustrato<br />
gli alti valori ideali che hanno portato alla scelta di costituire una biblioteca. Ha poi,<br />
ringraziato tutti coloro che hanno contribuito al suo ulteriore sviluppo, auspicando che questa<br />
crescita sia costante e fruttuosa, per qualità e quantità di libri. Salvarani – proseguendo nella<br />
sua introduzione – ha sottolineato. Poi, come insieme all’archivio storico la <strong>Uil</strong> possa vantare<br />
due strumenti di grande valore non solo per l’organizzazione, ma anche per tutti coloro che<br />
desiderino approfondire, sia la conoscenza della storia del sindacato, sia gli ideali laico<br />
socialisti che da sempre sono la guida dell’agire della <strong>Uil</strong>.<br />
Ha preso poi la parola il sen. Giuseppe Averardi, che con la donazione dei propri<br />
numerosissimi libri ha costituito il primo nucleo della biblioteca. “ Credo che per spiegare il<br />
motivo di questa celebrazione dobbiamo fare un passo indietro nella nostra memoria di<br />
sindacalisti e uomini politici - ha detto Averardi - il grande problema italiano del dopoguerra<br />
è stato far radicare il sistema democratico. Chi ha diretto l’Italia dal 1945 all’89 è stato<br />
all’altezza dell’obiettivo che si era dato.<br />
Col centro–sinistra ci fu un’apertura alla sinistra non comunista rappresentata dal Psi.<br />
131
Fu immenso compito della <strong>Uil</strong> di Viglianesi, dei suoi compagni, degli uomini che la diressero<br />
dopo di lui, tenere ancorata alla democrazia una parte fondamentale del mondo sindacale e dei<br />
lavoratori. Con la seconda Repubblica c’è stata un’estremizzazione della lotta politica e si è<br />
riaperto un fossato pericoloso.<br />
La biblioteca della <strong>Uil</strong> sarà uno strumento importante a disposizione delle nuove generazioni<br />
di sindacalisti e politici e di quanti vorranno applicarsi allo studio e alla ricerca degli anni in<br />
cui è stata fatta l’Italia democratica.”<br />
In rappresentanza di Antonio Ghirelli, impossibilitato a partecipare per motivi di salute, ha<br />
parlato il prof. Pier Luigi Sorti, che ne ha portato il saluto ed una lettera dove tra l’altro<br />
afferma: “se fossi potuto intervenire alla vostra festa, vi avrei detto in poche semplici parole,<br />
tutta la mia fraterna solidarietà per il vostro lavoro e il compiacimento per questa vostra festa<br />
che, in qualche modo mi richiama alla mente le prime biblioteche popolari con cui i nostri<br />
padri socialisti aprirono ai contadini e agli operai la via della consapevolezza, della<br />
partecipazione, della lotta per la giustizia sociale. Troppo spesso, dagli anni novanta del<br />
secolo scorso in poi, l’impegno eroico e generoso dei socialisti nel sindacato, nelle<br />
cooperative, nelle leghe contadine, nel partito e nel parlamento, è stato dimenticato. La<br />
crociata giustizialista di Mani pulite ha risparmiato altri obiettivi per accanirsi su quello stesso<br />
partito che in verità è uscito vittorioso dal verdetto della storia perché in Italia come in tutto il<br />
resto del mondo, ha realizzato gradualmente la rivoluzione della riscossa proletaria senza<br />
seminare la morte a relegare i dissidenti nei lager o nei gulag. Da Andrea Costa a Turati, da<br />
Matteotti a Nenni, dai Rosselli assassinati da mano fascista ai sindacalisti siciliani massacrati<br />
dalla mafia, dall’approvazione dello Statuto dei lavoratori alla formidabile prova di due<br />
socialisti elevati per primi al Quirinale ed a Palazzo Chigi, Pertini e Craxi, corre ininterrotto<br />
un filo rosso che ha il colore della nostra passione e del sangue che è stato versato dai nostri<br />
compagni per la causa del socialismo. La vostra biblioteca servirà anche e soprattutto a<br />
questo: a ricordare quell’ineguagliabile apostolato, ad aiutare i lavoratori a prendere coscienza<br />
e ad impegnarsi perché – contro le insidie della globalizzazione e del precariato – torni a<br />
sventolare la bandiera della giustizia sociale e della libertà laica. Fraterni saluti.”<br />
Il prof. Aldo Ricci, sovrintendente dell'Archivio Centrale dello Stato, ha voluto portare il<br />
contributo derivante dallo studio di due documenti relativi uno alla vita di Bruno Buozzi e,<br />
l'altro, alla fondazione della <strong>Uil</strong> e al ruolo che il nuovo sindacato andava a svolgere,<br />
documenti che si trovano presso l'Archivio Centrale.<br />
"Nel verbale dell'interrogatorio di Bruno Buozzi effettuato dalla polizia fascista nel 1941, ho<br />
riscontrato - ha detto - come in Buozzi fosse ben chiara fin da allora , e come tenesse a<br />
precisarlo , che pure nella comune lotta antifascista egli aderisse all'ala riformista del<br />
movimento operaio , in alternativa alla visione massimalista dei comunisti, legati alle direttive<br />
del loro partito.<br />
Nella relazione della Questura di Roma, in occasione del congresso fondatore della <strong>Uil</strong>, il 5<br />
marzo 1950, ho potuto rilevare che si mettevano a fuoco i fondamenti essenziali a cui si<br />
ispirava il nuovo sindacato, cioè l'indipendenza dai partiti, l'autonomia delle categorie, la<br />
democraticità della struttura interna, la spinta a un'azione unitaria con gli altri sindacati al di là<br />
delle ideologie, pressione sui politici per l'approvazione di leggi a favore degli interessi dei<br />
lavoratori".<br />
Ha concluso i lavori l'intervento di Luigi Angeletti, segretario generale della <strong>Uil</strong>.<br />
"E' stato un nostro dovere - ha detto Angeletti - costituire la biblioteca della <strong>Uil</strong>, non solo per<br />
conservare il patrimonio culturale del nostro sindacato, ma anche, e soprattutto, per fare<br />
conoscere, in special modo ai giovani , ai "nuovi Italiani", come mi piace chiamarli, la storia e<br />
il perché della lotta della <strong>Uil</strong>.<br />
Oggi , valori come il riformismo, indipendenza del sindacato dai partiti, democrazia<br />
sindacale, sono dati per scontati, ma allora non era così.<br />
132
E bisogna ammirare profondamente i fondatori del nostro sindacato: la loro visione e le loro<br />
ragioni erano così radicate in essi che riuscirono a portarle al successo malgrado , a quel<br />
tempo , la costituzione di un sindacato come la <strong>Uil</strong> apparisse una scommessa quasi<br />
impossibile.<br />
C'era la guerra fredda, il mondo era diviso in due blocchi contrapposti. Di conseguenza anche<br />
il sindacato appariva monopolio di due schieramenti: quello di obbedienza comunista, e<br />
quello cattolico, che pretendeva di essere l'unica alternativa democratica al sindacalismo<br />
massimalista.<br />
In quella situazione i fondatori della <strong>Uil</strong> portarono al successo una visione sindacale<br />
riformista, anticomunista, ma laica e ispirata a principi socialisti e democratici. La nostra<br />
biblioteca sarà la testimonianza di questo percorso storico.<br />
✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵✵<br />
I PADRI FONDATORI<br />
La scelta di approfondire con giornate di studio e commemorazione di quanti hanno creduto e<br />
lavorato per la nascita della UIL, non è solo per esprimere un segno di gratitudine o per<br />
celebrare accadimenti ormai superati. Rinverdire la memoria ed il ricordo è necessario perché<br />
non si smarriscano le origini e si ripropongano idee e elaborazioni che hanno segnato la storia<br />
ed il percorso della Confederazione.<br />
Il 26 marzo 2005 in ricordo di Giovanni Gatti si è svolto il convegno organizzato<br />
dall'Accademia dei Benigni di Bertinoro, nella Rocca di Bertinoro. Gianni Salvarani, nel suo<br />
intervento ha voluto così ricordare uno dei fondatori della UIL ed un amico. “Qualche giorno<br />
prima della sua morte parlai con Giovanni Gatti affinché potesse ricevere un giovane studioso<br />
che sta scrivendo un libro sulla storia della UIL, Giovanni, nonostante le difficoltà derivanti<br />
dal male che lo stava divorando, fu come il solito disponibile, anzi contento della<br />
sollecitazione perché era questa un’ulteriore occasione per rimanere presente in quello che è<br />
stato sempre, per gran parte della sua vita, il suo mondo:la UIL. Ho conosciuto Giovanni Gatti<br />
quasi quarant’anni fa, ma l’occasione per instaurare e approfondire un’amicizia capitò nel<br />
133
1972 quando andammo insieme in Unione Sovietica per partecipare, come delegazione UIL,<br />
al congresso dei sindacati sovietici a Mosca, unitamente alla rappresentanza della CGIL<br />
guidata da Luciano Lama. Furono dieci giorni sindacalmente intensi, di notevole esperienza<br />
politica e umana, oltre che interessanti per l’impatto con una società tanto diversa dalla nostra.<br />
Il fatto che nella delegazione della CGIL vi fossero due romagnoli come Lama e Gino Guerra,<br />
quest’ultimo oltre che sindacalista bravissimo scultore e pittore, che nell’occasione fece un<br />
ritratto-caricatura a Gatti veramente pregevole, contribuì a rendere il soggiorno piacevole,<br />
italianamente coinvolgente anche verso le altre delegazioni presenti al congresso. Ricordo<br />
quell’occasione non solo per la trasformazione della conoscenza in amicizia con Giovanni e<br />
del periodo trascorso insieme, ma anche perché in occasione del ricevimento ufficiale, che i<br />
sindacati sovietici organizzarono per le due delegazioni italiane, la CISL non partecipò;<br />
concordammo se fosse lui a portare il saluto ufficiale della UIL, cosa che fece in modo<br />
brillante e passionale concludendolo con un abbraccio “alla russa” con Sceliepin che era il<br />
segretario generale di quel grande sindacato. Da quel momento in avanti furono molte le<br />
occasioni nelle quali, pur in presenza di tensioni politiche dentro l’organizzazione, mi invitò a<br />
partecipare ad iniziative della sua categoria e momenti nei quali ci scambiavamo opinioni.<br />
Con il passare del tempo ho avuto modo di apprezzarne oltre che le qualità di dirigente<br />
sindacale anche e soprattutto, quelle di uomo, di combattente repubblicano, d’appassionato<br />
della cultura, molto legato alle tradizioni e alla gente della sua terra di Romagna, generoso e<br />
ospitale come la sua Bertinoro. La UIL con lui ha perduto uno dei suoi fondatori, uno dei suoi<br />
massimi dirigenti che in oltre cinquanta anni di impegno ha dato un notevole contributo alla<br />
sua affermazione, in particolare nella categoria dei lavoratori del commercio di cui è stato per<br />
tanti anni segretario generale prima e presidente poi. Penso che altri, più di me, possano<br />
scrivere con altra competenza e conoscenza del tanto fatto per la UIL da Giovanni Gatti, nei<br />
diversi ruoli di responsabilità ricoperti nell’organizzazione. Io desidero ricordarlo per come<br />
l’ho conosciuto nella sua Bertinoro, come presidente dell’Accademia dei Benigni, come<br />
animatore delle tante iniziative culturali che promuoveva ed organizzava sia come<br />
Accademia, sia come gran anfitrione dell’ospitalità bertinorese, o come scrittore e uomo di<br />
cultura che trasmetteva il suo entusiasmo e la sua scienza, con il piacere di chi sente il<br />
bisogno di arricchire la propria conoscenza nella osmosi del continuo scambio del sapere, con<br />
una vastità di interessi e quella curiosità propria di chi fa della conoscenza una costante della<br />
propria vita. Per Giovanni Gatti la cultura popolare aveva lo stesso interesse e valore di quella<br />
che comunemente è chiamata con la C maiuscola: la cultura delle giornate Carducciane e<br />
Dantesche di Polenta, quella piena dell’amore per la cucina, per il convivio che si univa,<br />
sposandosi, con l’attività della società operaia, alla quale continuava ostinatamente a<br />
contribuire per il suo mantenimento in vita, quella dei ricordi dei grandi e piccoli fatti di storia<br />
e di vita vissuta nei sacrifici che la comunità della sua terra aveva avuto: la ricorrenza,<br />
l’anniversario ogni occasione era buona per richiamare alla memoria e far rivivere ai più<br />
giovani fatti, avvenimenti e persone in modo da poterli ancora tramandare. Una delle ragioni<br />
forti di Giovanni Gatti era quella del culto della memoria, di ricordare di trasmettere questo<br />
impegno ai più giovani e meno giovani che lo seguivano. Fra i tanti insegnamenti che da lui si<br />
potevano avere questo era quello che più mi colpì e continuò ad accompagnarmi, con grande<br />
piacere, in tutti gli anni seguenti, anche in considerazione della mia propensione ad essere uno<br />
come lui in fatto di voler conservare la memoria e di rispettare e rivivere i ricorsi storici.<br />
Molte volte ultimamente è venuto a trovarmi in ufficio per scambiare opinioni ed analisi sulla<br />
situazione sindacale e politica, ma soprattutto sull’istituto di Studi Sindacali al quale credeva<br />
come risorsa per l’organizzazione, per la sua cultura e per la sua storia. Quando, sul finire<br />
degli anni ‘90, gli esposi la mia idea di costituire un Istituto di Studi della UIL ne fu<br />
entusiasta come un ragazzino al quale si prospetta l’opportunità di intraprendere un viaggio<br />
verso nuove scoperte e, alla mia proposta di assumerne la presidenza del comitato scientifico,<br />
134
fu non solo molto interessato, ma anche commosso del coinvolgimento in una iniziativa che<br />
sentiva importante per l’organizzazione. Nelle nostre chiacchierate si finiva sempre per<br />
rammaricarci della scarsa attenzione che all’istituto era data dall’organizzazione, a<br />
dimostrazione di quanto fosse l’interesse per uno strumento sottovalutato per ciò che nel<br />
nostro pensare avrebbe dovuto e potuto essere. Farei un torto al suo ricordo se non richiamassi<br />
alla memoria tutte le “ragazze” della confederazione e della sua categoria, come e quanto<br />
siano state piacevolmente colpite da quel dirigente sindacale, che l’otto marzo mai faceva<br />
mancare loro la mimosa celebrativa della festa della donna, anche quando ragazze non erano<br />
più. Oppure quando con pochi “reduci” partecipava alla commemorazione della repubblica<br />
romana, all’anniversario della morte di Giuseppe Mazzini, o dei caduti della Resistenza a<br />
Bertinoro. Ecco, tutto questo era Giovanni Gatti uomo, dal quale era difficile staccarsi, far<br />
finire una conversazione, poiché era continuamente alimentata dalla sua inesauribile fonte di<br />
conoscenza e di scienza. Termino queste poche, ma sentite parole di omaggio alla sua<br />
memoria ricordandolo seduto a tavola, in mezzo a tutti noi avvolti dai profumi della cucina<br />
del ristorante Belvedere, beandoci gli occhi dello stupendo panorama, che dalla sua terrazza si<br />
può godere, dalla collina fino al mare di Cervia, di Milano Marittima fino a Ravenna.<br />
Malgrado che la sua salute lo condizionasse nella degustazione dei cibi e del bere, ci teneva<br />
ad avere in un bicchiere un sorso di grappa, della sua preferita: la Chicca, mentre ci<br />
intratteneva instancabile in un piacevole conversare. Oggi ti sei alzato caro Giovanni ci hai<br />
salutato e ti sei avviato per quelle terre sconosciute dell’infinito che, sono sicuro, ti vedranno<br />
curioso e pronto a trasmettere e ricevere anche lì la tua e altrui conoscenza e il tuo e altrui<br />
sapere. Un affettuoso arrivederci.<br />
A questa iniziativa, nel tempo si sono aggiunte altre celebrazioni, con importanti<br />
approfondimenti e ricadute per la conoscenza della UIL. Infatti se è vero che le idee<br />
camminano sulle gambe degli uomini è con queste iniziative che si riescono a conoscere<br />
percorsi e strategie adottate per l’affermazione delle idee della Confederazione. Gli<br />
appuntamenti per queste occasioni sono state: a Grosseto il 5 dicembre 2008 per Giuseppe<br />
Bacci, a Roma il 12 dicembre 2008 per Enzo Dalla Chiesa, a Firenze il 17 aprile 2009 per<br />
Arturo Chiari, a La Spezia l’11 dicembre 2009 per Amedeo Sommovigo.<br />
Convegni che hanno dato modo di verificare l’attualità del pensiero e delle scelte compiute da<br />
loro e dall’organizzazione, offerto l’occasione per mettere a confronto esperienze sindacali e<br />
politiche diverse e consentire la divulgazione e la conoscenza delle idee che hanno animato,<br />
nel passato recente, le vicende dalla UIL. Ma soprattutto, poter dare il giusto riconoscimento,<br />
da parte dei giovani e meno giovani, a chi si è tanto impegnato, perché altri potessero<br />
appartenere al sindacato, alla UIL.<br />
E’ in corso l’organizzazione e la stesura degli atti che saranno raccolti in una pubblicazione,<br />
in modo che tutta l’organizzazione possa conoscere la propria storia e con essa l’idealità che<br />
fa della UIL un sindacato modernamente laico riformista così com’è nato.<br />
135
136
137
138
Consegnato per la stampa alla Tipografia il 30 Ottobre 2009<br />
139