10/ottobre - Santuario della Guardia

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Francesco un semplice padre santo Questa è la storia di un frate cappuccino che scelse di rimanere fratello laico per umiltà, sull’esempio di san Francesco: si tratta di Francesco Maria da Camporosso, più conosciuto come “il Padre Santo”. Fu proprio il popolo di Genova che cominciò a chiamarlo così, conquistato dalla sua bontà e dalla sua modestia. Per quarant’anni la sua alta e magra fi gura, a piedi nudi, con la bisaccia a tracolla entrò a far parte del panorama cittadino. Fu frate questuante, dopo essere stato infermiere, cuoco, ortolano, sacrestano “sempre infaticabile e sereno” come dicono le testimonianze del processo di beatifi cazione. Nei primi anni percorse specialmente la vallata del Bisagno a contatto col mondo contadino che ben conosceva provenendo anche lui da una famiglia contadina: era nato infatti nel 1804 a Camporosso, piccolo borgo vicino a Ventimiglia e già da bambino aveva incominciato a lavorare nei campi per aiutare il padre. L’ottimo risultato della “questua di campagna” spinse il padre guardiano ad affi dargli quella “di città”. Fu così che la gente si abituò a vederlo specie nei vicoli e nelle piazzette della zona portuale in colloquio con bottegai, mamme e bambini, operai, portuali, mendicanti... Egli ascoltava tutti, piccoli e grandi e a lui tutti impararono a rivolgersi con fi ducia, affi dandogli le proprie ansie quotidiane. Nel 1840 fu nominato dai superiori “capo-sportella”, ossia capo questuante, guida e coordinatore del gruppo dei frati cercatori. Era autorizzato a entrare nel portofranco, a questuare generi alimentari più pregiati per i malati, poteva disporre in convento di un locale-deposito e questo gli permise di aiutare con più immediatezza e continuità famiglie e individui in diffi coltà, particolarmente le famiglie degli emigrati in America e quelle dei marinai costretti a prolungate assenze da 8 di Anna Gatti Ricostruzione della cella del Padre Santo. casa. È da sottolineare che tra i suoi benefattori ci furono anche protestanti, ebrei e non credenti, che contribuirono volentieri alla sua raccolta, sicuri che il provento sarebbe andato ai poveri. Ricordiamo che Genova, in quegli anni viveva un periodo di agitazioni politiche molto forti: si era in pieno Risorgimento ed è noto come certi ordini religiosi fossero minacciati da un anticlericalismo che cercava ogni mezzo di provocazione. Solo i Cappuccini furono esenti da atti di ostilità forse grazie anche al Padre Santo la cui popolarità si era estesa presso ogni classe sociale. Una caratteristica della sua spiritualità fu la grande devozione alla Madonna: a 10 anni, gravemente ammalato, era stato portato al santuario della Madonna del Laghetto presso Nizza; era guarito e da allora ebbe sempre una fi ducia illimitata nella sua intercessione. Anche il santuario della Guardia lo vide spesso salire il monte e di fronte a richieste di aiuto soverchianti le sue forze invitava ad affi darsi con fede a Maria: “Dite che vi manda il suo servo Francesco”. Negli ultimi anni di vita proseguì nel suo impegno, nonostante una grave infermità che lo aveva colpito alle gambe e quando nel 1866 Genova fu colpita da un’epidemia di colera, Francesco Maria, impossibilitato a soccorrere i malati per le sue precarie condizioni di salute, offrì la sua vita per la sconfi tta del morbo. Morì, dopo tre giorni di malattia, il 17 settembre 1866 e, contemporaneamente, secondo alcune fonti dell’epoca, i decessi causati dal colera presero a diminuire. Dopo la sua morte la gente continuò a ricorrere a lui e si verifi carono grazie e miracoli: la voce popolare che già lo aveva dichiarato santo in vita ebbe la conferma uffi ciale nel 1962 quando Francesco Maria da Camporosso fu canonizzato da papa Giovanni XXIII.

pescando nel tesoro... cose nuove e antiche editoriale di Marco Granara Vi racconterò una mia bizzarria. L’ho combinata – non so ancora oggi se una bizzarria o un’ispirazione di Dio – almeno due anni or sono. In confessionale, alla Guardia. Il penitente che si era devotamente presentato, fatta una sua classica “confessione”, mi chiede l’assoluzione... Ecco la birbonata: io gli dico, con scontata naturalezza: “Sì, ma lei non mi ha ancora confessato il peccato più grave!”. Imbarazzo... silenzio interminabile... e poi, con sforzo enorme, il malcapitato con ’sto prete un po’ strano tira fuori – ma che fatica poveretto – un grosso rospo, davvero per lui pesantissimo che, fi nora, aveva taciuto per vergogna. Non volendo dilaniarlo ulteriormente, mi affretto a toglierlo dall’imbarazzo e continuo – sadico – “No, non è questo il più grave, è un altro ancora”. La... vittima sembra arrendersi: “Reverendo, se non è quello che le ho detto, Dio solo sa quanto mi è costato, non saprei proprio che cosa avrei potuto fare di peggio...”. Rispondo, fi nalmente liberante: “Se vuole, le dirò io il suo “peccato più grave”. Interessatissimo, il mio interlocutore esce dal riparo della grata per sentire dove vuole arrivare ’sto prete. Ed io, con tutta normalità quasi dicessi una scontatezza: “Si, lei non mi ha ancora confessato di non avere neppure ancora deciso di essere santo!”. Così, secco e senza altri commenti! La risposta del malcapitato? Un sorriso, come dire: “Beh, se è solo questo...”. “Lei sorride perché di fatto non crede che per questo è nato, così è stato concepito, a questo è chiamato... Dio lo ha pensato a ‘Sua immagine e somiglianza’, questo il suo DNA di partenza e sarà se stesso in proporzione di quanto si mette in questa prospettiva. Dio l’ha pensata aquila e lei si accontenta di essere un pollo. Le pare giusto ‘ridursi così in basso’, lei che era stato chiamato – costituzionalmente – a livelli così alti? E come può, con quale diritto, proporre/imporre lo stesso livello ai suoi fi gli? È una prevaricazione indebita nei loro confronti, una violenza inaudita ridurre a nanerottolo chi era stato pensato gigante...” Parlammo ancora un po’ con quell’amico, che avevo sentito dalle prime battute un uomo in gamba. La sua stretta di mano fi nale e la sua gratitudine mi convincono che la mia birbonata era forse stata un’ispirazione dall’alto... Ringrazio il Signore e prego per quel mio fratello che se ne va illuminato. Io però rimango con me stesso e mi Il peccato più grave... chiedo: “E tu, prete, a che punto sei, per questa strada? Aquila o pollo? Lo dici agli altri, ma tu ci credi? Tu, ci provi a lasciarti portare in alto?” Fra qualche giorno, ai primi di novembre, ricorderemo i nostri come “Santi”. Una predichetta stantia, qualche fi ore su una tomba e poi... si ritorna nel pollaio in cui viviamo alla perenne ricerca di soddisfazioni e emozioni? Cos’è questo “non averne mai basta” di soddisfazioni e di emozioni forti? Come mai questa scontentezza senza limiti che prende un po’ tutti ad ogni età? Segno di qualcosa di fondamentale mai risolto? Come non capire che, se è giusta e connaturale ad ogni uomo/donna la domanda che inesorabilmente nasce dal cuore di ognuno, la risposta rimane sempre più inadeguata? Qualcuno ha scritto che “alla fi ne della vita, avremo un solo rimpianto, quello di non essere stati santi a suffi cienza”. Un’esagerazione? O la “norma” chiarifi catrice di tutte le gioie e di tutte le tragedie del mondo? Santità per ogni uomo... un optional per pochi privilegiati o un indirizzo per tutti? E tutto questo è solo “roba da preti e da prediche spirituali” o la cartina di tornasole per valutare la consistenza di ogni iniziativa umana? 9

pescando nel tesoro... cose nuove e antiche<br />

editoriale<br />

di Marco Granara<br />

Vi racconterò una<br />

mia bizzarria. L’ho<br />

combinata – non<br />

so ancora oggi se<br />

una bizzarria o un’ispirazione<br />

di Dio – almeno due anni or<br />

sono. In confessionale, alla<br />

<strong>Guardia</strong>. Il penitente che si era<br />

devotamente presentato, fatta<br />

una sua classica “confessione”,<br />

mi chiede l’assoluzione... Ecco<br />

la birbonata: io gli dico, con<br />

scontata naturalezza: “Sì, ma<br />

lei non mi ha ancora confessato<br />

il peccato più grave!”. Imbarazzo...<br />

silenzio interminabile... e<br />

poi, con sforzo enorme, il malcapitato<br />

con ’sto prete un po’<br />

strano tira fuori – ma che fatica<br />

poveretto – un grosso rospo,<br />

davvero per lui pesantissimo<br />

che, fi nora, aveva taciuto per<br />

vergogna. Non volendo dilaniarlo<br />

ulteriormente, mi affretto<br />

a toglierlo dall’imbarazzo e<br />

continuo – sadico – “No, non è<br />

questo il più grave, è un altro<br />

ancora”. La... vittima sembra<br />

arrendersi: “Reverendo, se non<br />

è quello che le ho detto, Dio<br />

solo sa quanto mi è costato,<br />

non saprei proprio che cosa<br />

avrei potuto fare di peggio...”.<br />

Rispondo, fi nalmente liberante:<br />

“Se vuole, le dirò io il suo<br />

“peccato più grave”. Interessatissimo,<br />

il mio interlocutore esce<br />

dal riparo <strong>della</strong> grata per sentire<br />

dove vuole arrivare ’sto prete.<br />

Ed io, con tutta normalità quasi<br />

dicessi una scontatezza: “Si, lei<br />

non mi ha ancora confessato<br />

di non avere neppure ancora<br />

deciso di essere santo!”. Così,<br />

secco e senza altri commenti!<br />

La risposta del malcapitato?<br />

Un sorriso, come dire: “Beh,<br />

se è solo questo...”. “Lei sorride<br />

perché di fatto non crede<br />

che per questo è nato, così<br />

è stato concepito, a questo è<br />

chiamato... Dio lo ha pensato a<br />

‘Sua immagine e somiglianza’,<br />

questo il suo DNA di partenza<br />

e sarà se stesso in proporzione<br />

di quanto si mette in questa<br />

prospettiva. Dio l’ha pensata<br />

aquila e lei si accontenta di<br />

essere un pollo. Le pare giusto<br />

‘ridursi così in basso’, lei che<br />

era stato chiamato – costituzionalmente<br />

– a livelli così<br />

alti? E come può, con quale<br />

diritto, proporre/imporre lo<br />

stesso livello ai suoi fi gli? È<br />

una prevaricazione indebita<br />

nei loro confronti, una violenza<br />

inaudita ridurre a nanerottolo<br />

chi era stato pensato gigante...”<br />

Parlammo ancora un po’ con<br />

quell’amico, che avevo sentito<br />

dalle prime battute un uomo in<br />

gamba. La sua stretta di mano<br />

fi nale e la sua gratitudine mi<br />

convincono che la mia birbonata<br />

era forse stata un’ispirazione<br />

dall’alto... Ringrazio il Signore<br />

e prego per quel mio fratello<br />

che se ne va illuminato. Io però<br />

rimango con me stesso e mi<br />

Il peccato<br />

più grave...<br />

chiedo: “E tu, prete, a che punto<br />

sei, per questa strada? Aquila<br />

o pollo? Lo dici agli altri, ma tu<br />

ci credi? Tu, ci provi a lasciarti<br />

portare in alto?”<br />

Fra qualche giorno, ai primi di<br />

novembre, ricorderemo i nostri<br />

come “Santi”. Una predichetta<br />

stantia, qualche fi ore su una<br />

tomba e poi... si ritorna nel<br />

pollaio in cui viviamo alla perenne<br />

ricerca di soddisfazioni<br />

e emozioni?<br />

Cos’è questo “non averne mai<br />

basta” di soddisfazioni e di emozioni<br />

forti? Come mai questa<br />

scontentezza senza limiti che<br />

prende un po’ tutti ad ogni età?<br />

Segno di qualcosa di fondamentale<br />

mai risolto? Come non<br />

capire che, se è giusta e connaturale<br />

ad ogni uomo/donna la<br />

domanda che inesorabilmente<br />

nasce dal cuore di ognuno, la<br />

risposta rimane sempre più inadeguata?<br />

Qualcuno ha scritto<br />

che “alla fi ne <strong>della</strong> vita, avremo<br />

un solo rimpianto, quello di non<br />

essere stati santi a suffi cienza”.<br />

Un’esagerazione? O la “norma”<br />

chiarifi catrice di tutte le gioie e<br />

di tutte le tragedie del mondo?<br />

Santità per ogni uomo... un<br />

optional per pochi privilegiati<br />

o un indirizzo per tutti? E tutto<br />

questo è solo “roba da preti e<br />

da prediche spirituali” o la cartina<br />

di tornasole per valutare la<br />

consistenza di ogni iniziativa<br />

umana?<br />

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