Anteprima PDF - Ordine Medici Firenze
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Saper fare saper essere<br />
e in prima persona… Così come la religione, il razionalismo<br />
ha la fobia della solitudine della morte…<br />
Conformemente all’esperienza della tragedia,<br />
nel Fedone, non si permette che Socrate resti solo<br />
nemmeno un minuto ad attendere la straziante solitudine<br />
della morte, né che taccia un solo minuto<br />
in attesa del grande silenzio defi nitivo della morte:<br />
gli ultimi momenti di Socrate saranno dunque<br />
un lungo dialogo che riempie di frasi ragionevoli i<br />
vuoti del silenzio che anima la solitudine desertica<br />
dell’agonia…”.<br />
La morte in “SECONDA PERSONA”: “… Tra<br />
la morte dell’altro, che è lontana e indifferente, e la<br />
morte-propria, che tocca il nostro stesso essere, c’è<br />
la prossimità della morte del prossimo. La morte<br />
di un essere caro è quasi come la nostra, quasi altrettanto<br />
lacerante della nostra…”.<br />
Il medico purtroppo però vive spesso la morte<br />
del suo paziente in “terza persona”. Spesso anzi<br />
per la diffi coltà di stare vicino al morente, si allontana<br />
da lui proprio nella fase più critica, anche se<br />
in realtà è compito del medico stare sempre vicino<br />
al paziente anche quando questi è morente.<br />
Il medico dovrebbe sempre ricordare le parole<br />
di Jerry L. Old, geriatra e medico di famiglia<br />
america no: “… Quando un paziente si rende conto<br />
che la propria morte è vicina, vive un momento<br />
di enorme crescita personale. Aiutare i pazienti in<br />
questo loro percorso può essere una delle cose più<br />
gratifi canti che un medico può fare in medicina. È<br />
richiesto per questo che il medico si senta a proprio<br />
agio quando pensa al proprio stato di fi nitezza e<br />
sappia rimuovere le barriere tra sé e il paziente. I<br />
medici che esercitano cure di fi ne vita sanno che è<br />
“OK” essere strettamente legati ai propri pazienti e<br />
vivere le emozioni che essi vivono…”.<br />
Bisogna quindi educare il nostro cuore ad<br />
“ascoltare”, riprendendo la frase biblica “lev shomea”<br />
(un cuore che ascolta - Il libro dei Re 3, 9).<br />
Spesso poi per la diffi coltà ad affrontare il<br />
problema della morte imminente, specialmente<br />
nell’ambiente ospedaliero, dove il primo obiettivo<br />
è quello di “salvare le vite”, si supera, anche senza<br />
rendersi conto, il limite delle/alle cure.<br />
Mi occupo nella mia professione degli ammalati<br />
di tumore polmonare, malattia dall’elevata<br />
letalità; dai dati forniti dal Registro Tumori della<br />
Regione Toscana sappiamo che elevata è la percentuale<br />
di soggetti che sono sottoposti fi no all’ultimo<br />
mese di vita a trattamento chemioterapico,<br />
quindi futile.<br />
Da qui l’importanza di un percorso formativo<br />
nell’approccio al morente e alle cure di fi ne vita. Il<br />
piano di studi attuale, sia per la professione medica<br />
che per quella delle scienze infermieristiche,<br />
ha cominciato solo da poco a ritenere importante<br />
la formazione anche sulle cure di fi ne vita.<br />
Il gruppo GRECALE (GRuppo Etico CAreggi<br />
per la LEniterapia), nato ormai 8 anni fa come<br />
gruppo spontaneo di operatori di Careggi e non<br />
solo, e poi costituitosi in associazione, che ho l’ono-<br />
64<br />
Toscana Medica 9/11<br />
re di presiedere, si riunisce mensilmente per affrontare<br />
le problematiche relative alle cure di fi ne<br />
vita. GRECALE ha tra i suoi principali obiettivi<br />
proprio quello di formare il personale sanitario<br />
tutto (sia questo ancora in formazione o sia già<br />
impegnato nel proprio campo di lavoro) a un approccio<br />
diverso col morente, che faccia considerare<br />
la morte non più la morte dell’altro, come morte<br />
in “terza persona”, ma che sia capace di aiutare a<br />
lenire le sofferenze globali del morente, che sia più<br />
vicino a tutti i suoi bisogni, siano questi fi sici che<br />
psicologici, anche se non è preteso, ma auspicabile,<br />
che la morte dell’altro venga vissuta sempre<br />
con la stessa partecipazione come avviene per la<br />
morte in “seconda persona”.<br />
È possibile formare perché gli appartenenti a<br />
GRECALE con i loro incontri mensili seguono loro<br />
stessi un continuo percorso formativo, che spesso<br />
si basa sullo scambio delle proprie esperienze coi<br />
morenti.<br />
Uno degli elementi principali che cerchiamo di<br />
trasmettere è che è più facile il rapporto col morente<br />
se vissuto in clima di verità.<br />
Senza violentare chi è alla fi ne della vita, con<br />
la trasmissione della verità non richiesta, bisogna<br />
però imparare a capire quando il morente vuole<br />
conoscere la verità della sua condizione di malattia<br />
e questo, nella mia esperienza, posso dire che<br />
accada quasi sempre, anche se è spesso più comodo<br />
per i sanitari e per tutti coloro che gli stanno<br />
vicini (familiari, care givers) nascondere la verità<br />
per più quanto tempo è possibile, trincerandosi<br />
sul fatto che sapere la verità potrebbe essere di<br />
danno per la persona alla fi ne della vita.<br />
Interessante sottolineare che in ambito etico<br />
medico ebraico esiste a questo proposito un vivace<br />
dibattito se dire o no la verità al morente, quando<br />
non ci siano più terapie specifi che per la propria<br />
malattia (anche se rimane immutata ovviamente<br />
la possibilità di prendersi cura dell’ammalato). C’è<br />
chi pensa che col comunicare la verità si rischi di<br />
accorciare la vita del morente, a causa dello stress<br />
psicologico che gli si potrebbe causare; dato che<br />
la vita è sacra, anche un minuto di vita in meno<br />
equivarrebbe a violare la sacralità della vita. D’altro<br />
lato nel Libro di Giobbe (28. 28) è scritto “…<br />
E disse all’uomo: «Ecco il timor di Dio è Sapienza,<br />
allontanarsi dal male è conoscenza»”. Dire la<br />
verità può aiutare a lenire la sofferenza per una<br />
malattia che peggiora progressivamente, per non<br />
dare false speranze e quindi poi amare delusioni<br />
per un miglioramento che non arriverà mai.<br />
Alle volte è suffi ciente uno sguardo, un silenzio,<br />
al quale l’ammalato risponde con un silenzio o<br />
sguardo egualmente eloquente, ma che comunica<br />
quasi sempre un “grazie”.<br />
Bibliografi a<br />
Le voci bibliografi che possono essere richieste a:<br />
lopespegnaa@aou-careggi.toscana.it<br />
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