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Antonio De Ferrariis detto il Galateo - culturaservizi

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<strong>Antonio</strong> <strong>De</strong> <strong>Ferrariis</strong><br />

<strong>detto</strong> <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong><br />

(Continuazione, v. A. VI, n. 1)<br />

Cap. VI.<br />

L" Esposizione del Pater Noster " 11 " <strong>De</strong> Pugna tredecim<br />

equitum" - Il " <strong>De</strong> Educatione ".<br />

Prima di passare a considerare l'opera del <strong>Galateo</strong> come<br />

pedagogista, come geografo e medico, mi sembra opportuno<br />

dare notizia dell'« Esposizione del Pater Noster », opuscolo sul<br />

quale non si è fermato nessuno di coloro che si sono occupati<br />

del <strong>Galateo</strong> e che mi sembra invece necessaria integrazione<br />

Heremita ». Esso ci permette inoltre di fissare la posizione<br />

del <strong>Galateo</strong> riguardo a un problema molto interessante.<br />

Sappiamo che verso la metà del '400 <strong>il</strong> simpatico empirismo<br />

dei primi umanisti aveva cominciato a cedere alla nuova tendenza<br />

storicistica (1). Ora, da qual parte dobbiamo collocare <strong>il</strong><br />

<strong>Galateo</strong>? Fra i seguaci di Poggio o fra quelli del Valla? Chi<br />

consideri in blocco la sua opera, inquadrandola nella tradizione<br />

letteraria italiana di quello scorcio del secolo XV e dei due<br />

primi decenni del XVI, sarebbe tentato di dichiararlo un ritardatario,<br />

tanta è l'<strong>il</strong>lusione di trovarsi dinanzi a un rappresentante<br />

della prima generazione umanistica. E' un nuovo empirismo,<br />

non meno spigliato e seducente del primo: la classicità<br />

non è un cadavere sottoposto a dissezione anatomica; è un mon-<br />

(1) Rossi. Op. cit., pag. 77 e segg.


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Dina Colueci - <strong>Antonio</strong> <strong>De</strong> <strong>Ferrariis</strong> <strong>detto</strong> <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> '213<br />

do vivo al quale ci si accosta per ricevere lezioni di vita. Il<br />

latino non è foss<strong>il</strong>izzato negli schemi del ciceronianismo: è una<br />

lingua disinvolta, che magari non obbedisce sempre scrupolosamente<br />

alle regole della sintassi, ma che è originale, vivacissima<br />

espressione di una forte e cosciente individualità. Leggendo<br />

la « Vita Antonii Galatei » scritta dal Pollidori, ci si diverte<br />

a notare come <strong>il</strong> latino dell'umanista appaia riposante<br />

in confronto a quello cattedratico e solenne dell'erudito settecentesco.<br />

« Atticissent qui velint, nos loquamur ut libet », dichiara<br />

con un'alzata di spalle <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> <strong>De</strong>ll'« Apologeticon ad Aquaevivum<br />

». I grammatici gli danno addosso perchè non osserva i precetti<br />

« nescio cujus Laurentii » e perchè parla « parum latine »;<br />

dall'altra parte i « novi ph<strong>il</strong>osophantes » e i medici gli scagliano<br />

sul viso come un'offesa l'appellativo di retore se presso i principi<br />

e gli amici dice qualche cosa latinatnente, se adduce la<br />

sentenza di qualche poeta (« ut sapientissimi veteres fecerunt »)<br />

o qualche esempio dalla storia, maestra della vita, o l'autorità<br />

degli antichi latini e degli stessi greci: egli si ride degli uni e<br />

degli altri e va tranqu<strong>il</strong>lo per la sua strada: « libere vivo, liberius<br />

loquor (O»; gli basta di evitare i solecismi « in vita et<br />

in arte medica ».<br />

Umanesimo empirista dunque ? Sì, ma osservando bene l'opera<br />

galateana ci si accorge che si è agli albori del secolo XVI<br />

e che <strong>il</strong> tempo di Poggio, del Bruni, del F<strong>il</strong>elfo è passato. Questo<br />

medico non vive esclusivamente rinchiuso nel sogno di restaurazione<br />

dell'antichità. Egli in fondo si oppone alla scuola storicistica<br />

solo per un più acuto senso storico.<br />

Ecco quel che scriveva intorno al '96 nel « <strong>De</strong> Podagra »:<br />

La « perversa subt<strong>il</strong>itas » (lei grammatici è stata sempre molesta.<br />

« Nos non euramus si quando graeca, aut arabica et nonnunquam<br />

persica verba inculcamus, modo intelligamur ». Dobbiamo<br />

aver cura non delle parole, ma delle cose: bisogna viver<br />

sempre coi costumi antichi, ma si deve parlare con parole<br />

ora antiche, ora, se è d'uopo, anche moderne: pure in questa<br />

cosa bisogna servire al tempo. « Serviendum est tempori »: non<br />

(1) Coll. III, pag. 66.


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214 Rinascenza Salentina<br />

si può certo rimproverare al <strong>Galateo</strong> di non esser vissuto con<br />

gli occhi bene aperti su quel che lo circondava, di non aver<br />

capito la malattia di quel particolare momento storico e di non<br />

averne saputo proporre <strong>il</strong> rimedio. « Quid agendum nobis sit co-<br />

•itemus, non quid dicendu► » (1) insegnava, proprio mentre dalla<br />

vita e dalla letteratura italiana andava scomparendo ogni ideale<br />

che non fosse quello della bella forma. E mentre <strong>il</strong> eiceronianismo<br />

imperversava fra la turba dei mediocri, egli esponeva<br />

sulla lingua questo interessante parere: « Le parole mi sembrano<br />

sim<strong>il</strong>i a certi frutti che paiono acerbi; poi serbati a casa<br />

dentro vasi di creta o fra la paglia o esposti al sole, <strong>il</strong> tempo<br />

li rende dolci e li matura e porta a perfezione, come tutte le<br />

altre cose... Che anzi, per quanto sembri ridicolo a costoro che<br />

decretano nulla doversi dire se non in latino, non temo le parole<br />

arabe, veramente barbare e orrib<strong>il</strong>i alle nostre orecchie, come le<br />

parole nostre a quei popoli » (2). Non c'è dunque da meravigliarsi<br />

se, nel 1504, cominciando ad esporre <strong>il</strong> Pater Noster, dichiara<br />

senz'altro che lo farà con quella medesima lingua che ha imparata<br />

dalla nutrice e che ha dalla natura, ossia nel suo « vernacolo<br />

». Si adira pensando che la lingua greca aveva ben cinque<br />

dialetti, tutti ornati, tutti decorosi, da usarsi tutti a piacere,<br />

senza timore di esser biasimati nella scelta, e che invece<br />

noi latini, avendo la lingua povera, la rendiamo ancor più mendica<br />

con regole vane e superflue. « Oggi è in Italia venuta la<br />

cosa ad tale, che chi non parla a punto el toscano, non pare<br />

che sia italiano » (3), La soverchia d<strong>il</strong>igenza sta male in tutte<br />

le cose; ci vuol la giusta misura, sempre, anche nel parlare.<br />

« Sia felice quello ch'è nato in patria dove se parlasse bene:<br />

ma più felice saria quello, chi frisse nato in patria dove se vivesse<br />

bene ». Verso la fine dell'opera pensa a quanti diran male<br />

del suo lavoro: quelli « chi godono de toscanigiare » giudicheranno<br />

<strong>il</strong> suo volgare non elegante, alcuni « con uno certo bello<br />

modo de detrahere » già sono andati a dirgli che è peccato<br />

che egli non abbia scritto in latino, « come si le sentencie havessero<br />

più forza in latino che non in volgare: o vero come si non<br />

(1) Coll. III, pag. 66.<br />

(2) Coll. III, pag. 67.<br />

(3) Coll. IV, pag. 149.


Dina Colucci - <strong>Antonio</strong> <strong>De</strong> <strong>Ferrariis</strong> <strong>detto</strong> <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> 215<br />

fossero più quelli chi intendono et se delettano di lo volgare,<br />

di lo toscano O di lo romano, che non di lo latino o de la lingua<br />

greca » W. Qui viene a mente <strong>il</strong> giudizio dato dal Salutati,<br />

dal Pahnieri e da Poggio sulla Divina Commedia. In settant'anni<br />

le idee del Brutti hanno fatto strada, e in questo riconoscer<br />

la necessità di farsi intender dalla « multitudine »<br />

scorge l'evoluzione che verso la fine del '400 aveva condotto<br />

la letteratura umanistica a divenir letteratura italiana. E' naturale<br />

che alla difesa generica del volgare, vada unita quella<br />

delle parlate regionali ( 2): <strong>il</strong> nostro medico salentino occupatissimo<br />

nell'esercizio della professione e che poteva dedicare allo<br />

studio delle lettere soltanto le ore « succisivae », non aveva<br />

tempo nè modo di apprendere <strong>il</strong> toscano come più tardi lo apprese,<br />

per esempio, <strong>il</strong> Betnbo. Il <strong>Galateo</strong> scriveva che in Terra<br />

d'Otranto c'erano allora due lingue: la greca e la latina (due<br />

dialetti di derivazione greca e latina). Ambedue abbondavano<br />

di termini che si accostavano più che in alcun'altra lingua alla<br />

greca e alla latina « simplicità antiqua » (3). Nel suo volgare infatti<br />

sono numerosissimi i latinismi. I termini prettamente dialettali<br />

invece, come già notava <strong>il</strong> Barone, sono relativamente<br />

pochi. C'è da notare: nisciuno=nessuno; poteche=botteghe; robba=<br />

roba; bascio=basso, paccia; buscia=bugia; masculo, pizir<strong>il</strong>li=bambini;<br />

spruvieri=sparviere; timpagni=coperchi; ticato=fegato; nui,<br />

vui, nei=ei; stracchi=stanchi; picca=poco; lassarc, simighiare, partuto,<br />

cecato, p<strong>il</strong>ato, precare=sotterrare, facimo, dicimo, ecc. In<br />

generale la lingua è abbastanza italianizzata. Non mancano parole<br />

e frasi spagnuole (leydo, verdatero, sable, sinoble, allas<br />

armas, donayri, gran mercè a mis manos, conia con todos, dorye)<br />

e qualche francesismo. Sarebbe interessante un confronto<br />

tra <strong>il</strong> volgare dell'Esposizione del P. N. e quello del contemporaneo<br />

poema inedito « Lo Balzino » di Ruggero di Pazienza<br />

(1) Coli. XVIII, pag. 101.<br />

(2) P. SAVI LOPEZ nei suoi Appunti di napoletano antico (in Zeitschrift<br />

fiir Romanische Ph<strong>il</strong>ologie del Griiber, XXX, 1906, pp. 28 e 31) negava<br />

al persistere di forme dialettali nel volgare napoletano, carattere di deliberata<br />

e cosciente opposizione al toscano. Egli però non accenna per nulla all'opuscolo<br />

del GALATEO.<br />

(3) Coll. IV, pag. 151.<br />

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216 Rinascenza Salentina<br />

da Nardò» ( 1 ). In complesso <strong>il</strong> poema è più vicino alla forma<br />

vernacola che <strong>il</strong> trattatello: ma di quello è giunto fino a noi<br />

l'autografo, mentre di questo non si conservano che copie tardive.<br />

Qui cade a proposito parlare della posizione del <strong>Galateo</strong><br />

nei riguardi della grande letteratura volgare trecentesca. I suoi<br />

giudizi sono sempre legati alla concezione morale ch'egli ha<br />

della letteratura. L'arte per l'arte non la capisce: la poesia, come<br />

tutte le altre discipline, ha secondo lui lo scopo preciso di<br />

condurre alla virtù. E' naturalissimo quindi che non nutra molta<br />

simpatia per l'opera volgare del Boccaccio e del Burchiello,<br />

pei « minatici » e pei « sogni dei Paladini » ( 2): forse per questa<br />

ragione stessa metteva vicini a Dante e al Petrarca, fra i moderni,<br />

solo <strong>il</strong> Sannazzaro e <strong>il</strong> Cariteo, e non <strong>il</strong> Pontano, pure<br />

amicissimo suo ( 3). <strong>De</strong>l Petrarca conosceva certamente i trionfi<br />

e <strong>il</strong> Canzoniere, ma non espresse mai un giudizi() esplicito su<br />

di essi; una volta sola notò come messer Francesco, nel primo<br />

trionfo, « per excusare lo suo errore, nei pose tutto <strong>il</strong> mondo,<br />

li Dii et li homini ». Invece era entusiasta delle canzoni politiche<br />

e raccomandava a Crisostomo, nei riguardi del principino<br />

Ferrante: « Si velit legere ver►ac,ulain, legat etruscam, legat<br />

Dautem et Petrarcam, poetas meo indici() non contemnendos,<br />

►raecipne <strong>il</strong>lud nob<strong>il</strong>e Petrareae car►en verius oraculis Syb<strong>il</strong>larum:<br />

Italia mia, benchè 'I parlar sia indarno » ( 4 ). Ma la grande<br />

poesia italiana di cui <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> si nutri, fu quella di Dante.<br />

Non dobbiamo ricavar dalla parca lode la misura dell'ammirazione<br />

che senti pel grande fiorentino. Diversi f<strong>il</strong>i avvincevano<br />

l'anima del modesto umanista all'anima immensa del sommo<br />

poeta: religiosità sentita e vissuta, salda morale, passione politica.<br />

L'influsso dantesco si avverte nella concezione dell'« Heremita<br />

», nell'ardore dì certe invettive all' Italia — amata fino<br />

allo spasimo —, nell'avanzo di ghibellinismo che si manifesta<br />

nella lettera ad Eleazaro. Dante è cinto dell'aureola della clas-<br />

(1) Pubblicato in parte da S. PANA1tE0 in « Isabella del Balzo in Terra<br />

d'Otranto secondo un poema inedito del tempo.. Tra<strong>il</strong>i, 1906.<br />

(2) Coli. IV, pag. 201.<br />

(3) o. c., I. c.<br />

(4) Coll. II, pag. 154.


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Dina Colueci - <strong>Antonio</strong> <strong>De</strong> <strong>Ferrariis</strong> <strong>detto</strong> <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> 217<br />

sicità: nel • <strong>De</strong> nob<strong>il</strong>itate » è posto accanto a Solone, Licurgo<br />

Aristotele, <strong>De</strong>mostene, Cam<strong>il</strong>lo, Scipione, Boezio ecc.: nella « Vituperati()<br />

literarum (1) » come esempi di donne cui la cultura<br />

nacque, son riportate Saffo, Sempronia e Francesca, in opposizione<br />

a Penelope e Lucrezia. Numerose sono le reminiscenze<br />

dautesche nell'e Esposizione del P. N. » e non mancano i versi<br />

inseriti per intero (2). Dal modo come son fatte le citazioni, appar<br />

chiaro che <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> li riporta a memoria.<br />

Questa stessa larghezza di vedute che gli permise di gustare<br />

<strong>il</strong> bello dovunque lo trovava, fece sì ch'egli sapesse pure<br />

apprezzare <strong>il</strong> buono e <strong>il</strong> vero di tutti i secoli e di tutti i sistemi.<br />

Nel « <strong>De</strong> Situ elementorum » a riduce testimonianze di autori<br />

recenti, e rimprovera tanto coloro che sembrano aver congiurato<br />

contro i moderni, quanto gli altri che, stando ai sofismi<br />

gallici e britannici, odiano chi attende agli studi classici: egli,<br />

è vero, ama più la f<strong>il</strong>osofia attica, che la parigina o la padovana:<br />

tuttavia riconosce che anche le scuole occidentali hanno<br />

avuto dei dotti e non teme di offendere le latinissime orecchie<br />

del suo Sincero, esponendo le loro sentenze ( 3). Venera l'antichità,<br />

ma senza cadere in una gretta idolatria. Sa affermare, con buona<br />

pace di Platone, Cicerone, Averroè ed Alessandro di Afrodisia,<br />

<strong>il</strong> contrario d'una loro sentenza. Nella « <strong>De</strong>seriptio Callipolis<br />

» domanda adirato se <strong>il</strong> mondo e l'ingegno umano siano.<br />

talmente invecchiati che non sia più possib<strong>il</strong>e dire o fare alcunchè<br />

di nostra testa: gli antichi furono grandi ed eccellenti<br />

uomini, ma uomini, nè conoscevano ancora la f<strong>il</strong>osofia cristiana<br />

M. La posizione del <strong>Galateo</strong> si potrebbe forse definire empirismo<br />

storicista, o storicismo empirista, a piacere: e, « mutatis<br />

mutandis • a seconda dei temperamenti individuali, sim<strong>il</strong>e<br />

atteggiamento mi sembra comune a tutta la scuola napoletana<br />

fiorita tra <strong>il</strong> 1470 e <strong>il</strong> 1530 all'incirca.<br />

Riassumiamo <strong>il</strong> contenuto dell'opuscoletto. Il <strong>Galateo</strong>, dopo<br />

aver dichiarato che adopererà non <strong>il</strong> latino, ma <strong>il</strong> suo parlar<br />

patrio, dice di essere stato indotto a commentare <strong>il</strong> Patcr No-<br />

(1) Coll. IV, pag. 160-184.<br />

(2) Coll. IV, pag. 42 e segg.<br />

(3) Nella Vituperatio<br />

(4) Coll. II, pag. 219.


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218 Rinascenza Salentina<br />

ster dalla devozione con cui l'ode recitare dalla duchessa Isabella,<br />

alla quale dedica <strong>il</strong> suo lavoro. Anch'egli, non potendo<br />

dir lunghi uffici, ricorre spesso a questa santa e breve orazione.<br />

Come si debba pregare: con mente e corpo puri, aboliti <strong>il</strong> formalismo<br />

e la superstizione. Condanna l'« allegrezza, per non dir<br />

eresia » di Pietro d'Abano che voleva si pregasse « quando caput<br />

Dragonis stat cum love in medio coeli ». Alla preghiera l'uomo<br />

è condotto dalla natura. Alcuni per parer più savi si fingono<br />

atei, fornendo occasione al volgo indotto, anzi ad alcuni « ippocriti<br />

soldati di Cristo, e mangiatori de le fatiche aliene » di<br />

dire che i f<strong>il</strong>osofi non credono in Dio, mentre la f<strong>il</strong>osofia non<br />

è per altro « si non per conoscere Dio, amar la virtù e biasimar<br />

li vicii e li omini viciosi » (1). Anche la religione è virtù che<br />

consiste nel giusto mezzo tra due estremi: incredulità e superstizione.<br />

« Pater ». Testimonianze di gent<strong>il</strong>i che tale chiamarono Iddio:<br />

Aristotele, Mercurio Trimegisto, Omero, Virg<strong>il</strong>io. Qui si<br />

confonde l'errore di coloro che dissero Dio non esser causa efficiente,<br />

ma solo finale: se cosi fosse, si chiamerebbe non padre,<br />

ma rettore.<br />

« Noster ». Siamo fratelli e tutti eguali: non la natura, ma<br />

le leggi umane hanno creato lo disuguaglianze. I Re siano dunque<br />

pastori e non tiranni.<br />

< Qui es in coelis ». Condanna la sentenza di Averroè che<br />

ammette due dei creatori: uno solo creò le cose visib<strong>il</strong>i e le invisib<strong>il</strong>i.<br />

Dio è onnipresente (testimonianze di pagani) ma la somma<br />

potenza e virtù si scorge meglio nelle cose celesti che nelle<br />

terrene. Nessuna cosa ne fa venire tanto « iu cognizione de Dio<br />

e de le substauzie separate quanto el celo, el moto suo ». Anche<br />

« li rustici ed imperiti », mirando l'incanto di una notte serena,<br />

« li vene allo animo naturalmente ed occultamente lo pensamento<br />

e la opinione de quella maestà che ha creato e regge<br />

le cose » (qui ha luogo una bella descrizione del firmamento<br />

stellato e dell'aurora: la natura è guardata con una simpatia<br />

commossa che la rende partecipe di umanità). Il moto del cielo<br />

genera la vita; da esso provengono tutti i beni. Le stelle soli<br />

(1) Coll. IV, pag. 154.


J <strong>il</strong> hi "." 111211TH liu;IIIII I IT11 1,111 '1111‘2,9',1,1 1:9111<br />

Dina Colueci - <strong>Antonio</strong> <strong>De</strong> <strong>Ferrariis</strong> <strong>detto</strong> <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> 219<br />

tutte benigne, tutte felici, come ogni cosa creata da Dio. Siamo<br />

noi e non loro la causa del nostro male medesimo.<br />

« Sanctifieetur nonrien tuum ». Nessun dono umano possiamo<br />

offrire a Dio: nè col far pellegrinaggi o affliggerci con discipline,<br />

nè col costruir monasteri possiamo piacergli, se l'animo<br />

non si emenda. Condanna i monaci ipocriti, riportando le<br />

parole di S. Girolamo: « Sacrificio accetto a Dio è <strong>il</strong> benedirlo,<br />

<strong>il</strong> ricever devotamente l'Eucaristia, l'esser giusti e caritatevoli<br />

col prossimo, senza nutrir speranza di premio « condigno del<br />

benefizio », perché ci si comportarebbe da usurai. Quel che conviene<br />

ai principi: « donar e perdonar ».<br />

« Adveniat Regnum tuum ». Il Regno di Dio non è caduco al<br />

pari dei terreni, come quello di Puglia, che in dieci anni ha mutato<br />

otto re, non per difetto del popolo, ma per colpa (lei principi<br />

e pontefici cristiani. I regni del mondo sono tutti del diavolo.<br />

Il <strong>Galateo</strong> passa in rapida rassegna tutta la storia d'Israele, di<br />

Grecia, di Roma e (l'Italia, sino agli imperatori tedeschi, per<br />

dimostrare che <strong>il</strong> Regno di Dio non si è mai avuto sulla terra;<br />

a proposito dei Giudici e dei Re osserva che l'amore dell'immoderata<br />

libertà conduce alla schiavitù, com'è accaduto alla<br />

Grecia e alla maggior parte (l'Italia. A proposito del castigo<br />

che cadde sugli ebrei per le colpe di David, si domanda « non<br />

meravigliato ma stupefatto » perché <strong>il</strong> peccato (lei re ricada<br />

sui sudditi, e conclude che questo è segreto di Dio che l'uomo<br />

non può conoscere. Il Regno di Dio sarà non nella città platonica,<br />

ma nella beata Gerusalemme celeste, dove la felicità<br />

consisterà nella coscienza della ben passata vita, nella conversazione<br />

cogli spiriti <strong>il</strong>lustri, nella visione e comprensione dell'essenza<br />

divina. Per giungervi non basta la legge antica, .che<br />

è incompleta e solo è figura della nostra fede; non bastano le<br />

leggi dei f<strong>il</strong>osofi nè <strong>il</strong> diritto romano (qui rivede le bucce a tutti<br />

i re e gl'imperatori di Roma, Numa compreso) nè le leggi dei<br />

re (accomuna in mia sola condanna tutti i re svevi ed angioini):<br />

ci vuole la dottrina evangelica. Un'altra fierissima requisitoria<br />

centro gl'ipocriti: non parla del suo gran Roberto, principe della<br />

cristiana eloquenza, nè di Mariano o di Egidio, ma di tanti altri,<br />

4 sacchi di pane, utri de vino », ecc., i quali, sol che uno<br />

abbia « qualche lettera, qualche particella de f<strong>il</strong>osofia o vero de<br />

lume naturale de conoscere <strong>il</strong> bianco dal negro » e conosca le


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II.. , ';II,,II!i'I .Il<strong>il</strong>ii!! II!IIII <strong>il</strong>ii I''I^I! I. ^ _VIII Ilio, 11111: I.II''II 1 <strong>il</strong><strong>il</strong>lll^lll!^111^1 <strong>il</strong>'llll^,rlllll l^^l i li I^^ III !III^Ì'<br />

220 Rinascenza Salentina<br />

loro frodi, gli levati subito nome di eretico (1). E qui uno sfogo:<br />

<strong>Galateo</strong>, « otno sessagenario » non ha perduto <strong>il</strong> tempo nelle<br />

curiose questioni della teologia, che oggi sono in uso, ha servito<br />

ottimi principi e non ha praticato se non con persone dotte,<br />

giuste e consumate; i suoi antenati non sono stati uomini d'arme<br />

ma di lettere, e devotissimi a Casa d'Aragona: non gli sarà<br />

dunque lecito parlare del bene e del male, della virtù e dei<br />

vizi, nella quale disputazione è occupata tutta la f<strong>il</strong>osofia morale,<br />

tutta la Sacra Scrittura, tutti gli storici, tutti i poeti? Se<br />

non lo facesse, stimerebbe di venir meno al suo dovere di f<strong>il</strong>osofo,<br />

perchè come la medicina cura i corpi, così la f<strong>il</strong>osofia è<br />

medicina delle anime. Forse non ne ha l'autorità, non. avendo<br />

abito di monaco l « Io me tengo assai bene barbato tutto de<br />

bianco e vestito de sacro battismo ». Ancora torna a scagliarsi<br />

contro la presuntuosa audacia dei « fraticelli » che, oltre alla<br />

cura delle anime, abbracciano <strong>il</strong> governo del mondo: ne conosce<br />

molti, ma ne lascia i nomi nel bianco della carta. Se <strong>il</strong> Regno<br />

di Dio si trova sulla terra, è nei pochi che amano la verità<br />

e cercano <strong>il</strong> suo trionfo: è da uomini santi e giusti la indignazione<br />

che si concepisce per amor della virtù.<br />

« Fiat voluntas tua ». Dobbiamo sempre tener per migliore<br />

la parte che Dio ci dà, e non preoccuparci se i buoni sono sfortunati.<br />

Dio e la natura non fanno cosa invano.<br />

« Sicnt iii coelo et in terra ». Nel cielo le sfere superiori<br />

guidano le inferiori: se la nostra virtù intellettuale, che è superiore,<br />

comandasse all'« appetito » che è inferiore, si sarebbe felici.<br />

Invece gli uomini commettono <strong>il</strong> male senza preoccuparsi<br />

del castigo, poichè credono che Dio non badi alle loro cose.<br />

Anch'egli ha dichiarato talvolta amaramente che questo mondo<br />

è fatto per gli altri e che Dío venne per i peccatori, però « V. S.<br />

che ha acutissima vista deve conoscere quale sia la vita e la<br />

coscenzia mia; credo che in tanti anni non ha conosciuto in me<br />

peccato si non de poca importanza per grazia di N. S. Iddio » (2).<br />

Non bisogna lasciarsi ingannare dal fatto che tanti poeti e f<strong>il</strong>osofi<br />

pagani hanno negato a parole la Provvidenza, pera()<br />

(1) Op. cit., pp. 193-194.<br />

(2) Coll. IV, pag. 219.


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Dina Colueei - <strong>Antonio</strong> <strong>De</strong> <strong>Ferrariis</strong> <strong>detto</strong> <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> 221<br />

non hanno mai cessato di praticare la virtù e se coloro che<br />

dovrebbero esser di esempio sono avvolti in più folte tenebre,<br />

bisogna non badarci e comportarsi secondo le loro parole, non<br />

secondo le loro opere. Chi potrà negare la provvidenza, considerando<br />

l'ordine mirab<strong>il</strong>e della natura! Pensiamo che la scienza<br />

nostra è ignoranza davanti a Dio e non presumiamo di giudicare<br />

Colui che ha da giudicar noi: « non se pò fare più gran<br />

peccato al mundo che volere ponere legge a Dio ».<br />

« Panem nostrum quotidianum •. Questo solo dobbiamo<br />

chiedere, e non ricchezze e onori. L'ir:Lo6cnov di S. Matteo allude<br />

chiaramente a un pane soprasostanziale, e così bisogna intendere,<br />

perchè i testi greci sono migliori dei latini: ad essi S. Girolamo<br />

consigliava di ricorrere. Chi non conosce <strong>il</strong> greco, non può<br />

apprender bene nessuna scienza: « Et me dò ad intendere, che la<br />

più parte de le cose, de che se hanno fatti belli et copiosi li<br />

nostri et hanno pieni li libri, son state fatiche de greci, li quali<br />

teneano in casa, che li cantassero la nette, come rosignoli<br />

Qui segue un lungo elenco di poeti e f<strong>il</strong>osofi e scienziati che<br />

seppero <strong>il</strong> greco: fra gli antichi latini, <strong>il</strong> più dotto è riputato<br />

Boezio; fra i moderni S. Tommaso. Anche Dante, Petrarca, Boccaccio,<br />

Pietro d'Abano, Simon genovese ebbero lettere greche:<br />

e dopo di loro tutti gli umanisti, moltissimi veneti e molti arabi.<br />

A Dio bisogna rivolgere domande misurate e convenienti: se<br />

chiedessimo troppo e ottenessimo, sarebbe per noi gran male,<br />

perchè « lo più delle volte soli più veloci le cascate che le sagliute<br />

». La preghiera dev'essere onesta: « se vole parlare a Dio<br />

come si homini fossero presenti ». Il quotidianum significa che<br />

dobbiamo campare alla giornata e non esser solleciti del futuro:<br />

due sono i « tortori • dell'animo umano, speranza e timore, e<br />

ambedue appartengono al futuro. Basta aver prudenza e confidenza<br />

nel Signore: sono superstizioni le vanità dei libri, le acromantie,<br />

hyeromantie, geomantie, chiromantie, negromantie et<br />

sim<strong>il</strong>i paccie », compresa la parte giudiziale dell'astrologia, edificata<br />

« supra tanto infimo fundamento, che mai orno savio se<br />

ne volse impaziare » (2).<br />

(1) Coli. XVIII, pag. 7.<br />

(2) Coll. XVIII, pag. 18.


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229 Rinascenza Salentina<br />

« Et dimitte nobis debita nostra ». Dio solo può rimettere<br />

i peccati, perchè solo contro di lui si pecca. Ai « grandi signori »<br />

della terra conviene invece donare e perdonare.<br />

• Sicut et nos dimittimus ». Qui comincia un po' sconfortato.<br />

« In questa parte non so che mi dica... Dio voglia che la<br />

nostra orazione non sia contro di noi stessi ». Dappertutto risse<br />

e odii: e invece <strong>il</strong> massimo precetto del Vangelo è un comandamento<br />

d'amore. Che è <strong>il</strong> barbaro costume della vendetta e<br />

l'uso dei duelli venutoci dalla pazza Gallia E (lire che i nostri<br />

giuristi, o meglio « iniuristi o vero juris imperiti » hanno<br />

commentato e approvato con la testimonianza delle leggi le<br />

vane invenzioni francesi « di lo Blasone e de le Recheste ». Sarebbe<br />

meglio adoprar questa nostra « volenteza e gagliardia »<br />

contro i nemici della fede. Se <strong>il</strong> sangue cristiano sparso in Italia<br />

dalla infelice e scellerata venuta di Re Carlo in qua, fosse stato<br />

speso in servizio di Dio, già saremmo padroni di Terra Santa.<br />

Ma <strong>il</strong> re cattolico si è accinto alla gloriosa impresa e <strong>il</strong> suo<br />

esercito è in Africa: « Speramo in Dio che con lo aiuto di la<br />

grande et potentissima, si fosse più savia, Italia conquistarla<br />

quelle parti, che non è cosa nova, et forsi è lo fato o la ragione<br />

d'Italia comandare, subjugare la Africa » (1). I singoli devono<br />

dimenticar le offese ricevute: ai re spetta invece rendere<br />

giustizia e punire i colpevoli; però lo devono fare con senno,<br />

tenendo presente che la povera plebe erra solo perchè sob<strong>il</strong>lata<br />

dai . capifazione. Perchè, invece, la plebe « è stracciata per le<br />

paccie et controversie de li principi, de le citati / ». Perchè i<br />

giusti han male per gli ingiusti ! Non lo possiamo sapere, ma<br />

dobbiamo tenere per articolo di fede che quel che Dio fa è ben<br />

fatto.<br />

« Et ne nos indueas in tentationem ». La tentazione si può<br />

intendere « active » — quando noi tentiamo altri — e « passive »<br />

— quando altri tenta noi. Noi tentiamo Dio quando perseveriamo<br />

nel peccato (tra gli esempi biblici, classici e moderni di<br />

re che tentarono Iddio, reca anche quello di Carlo VIII, che,<br />

« come christianissimo, venne a far guerra a christiani » col consenso<br />

del Santo Padre: « che dicerrimo altro, se non che semo<br />

(1) Ivi, pag. 27.


Dina Colucci - <strong>Antonio</strong> <strong>De</strong> <strong>Ferrariis</strong> <strong>detto</strong> <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> 223<br />

cascati in mano di Papa spagnolo, Re francese ed un tiranno<br />

italiano ! » (1); tentiamo la natura quando ci fidiamo troppo della<br />

nostra forza valentia ingegno; tentiamo <strong>il</strong> prossimo quando con<br />

parole e con fatti, « lo carricamo più che non pote comportare<br />

»; tentiamo la fortuna quando fidiamo nel suo aiuto per<br />

riuscire in cosa che secondo la ragione non è da tentare. Talvolta<br />

è necessario affidarsi alla fortuna: allora si vada e si usi<br />

prudenza, ricordando che la vera prudenza consiste non nell'astuzia<br />

e nella frode, ma nella semplicità. Iddio ci tenta per<br />

provare la nostra costanza. Altre tentazioni ci vengono dalla<br />

nostra natura, in quanto è guasta dal peccato originale. Perchè<br />

ogni creatura umana sia soggetta al peccato dei primi parenti,<br />

è questione ardua e che non si deve sollevare: « Non voglia<br />

Iddio che io habbia di entrare in quella vana, inut<strong>il</strong>e, supersticiosa<br />

et scandalosa disperatione de li mendicanti, che<br />

ha posta quasi in scisma la fede » M. Questi son segreti di<br />

Dio che intenderemo quando lo vedremo faccia a faccia e non<br />

« i <strong>il</strong> aenigmate ». Tentazioni inerenti alla nostra natura di uomini<br />

son pure le guerre, le carestie, le pest<strong>il</strong>enze. Nessuno può<br />

evitare le fatiche e gli affanni, ognuno ha <strong>il</strong> suo stimolo in 'questa<br />

vita: solo Dio sta nella beata quiete. Appena nasce, l'uomo<br />

ama affaticarsi, e mai si riposa dal piangere, « nè se adorme,<br />

si non se ►ove la cuna ». Come bisogna comportarsi nelle guerre:<br />

non fare offesa ai nemici, nè vincitori, nè vinti, nè in parole<br />

l'è in fatti, se non quando sono armati e quanto la ragione della<br />

guerra permette. Sopratutto, si deve serbar fede alla propria<br />

parte e non volere mutare stato di proprio arbitrio: « questo<br />

l'ha da fare Dio et la revolutione di questa rota ín che<br />

semo ». Ma quando ci viene addosso « furia grande e forza »,<br />

come fare a perseverare I Non sa che si dire: non si può condannare<br />

questa « mutazione, la quale Dio fa, et non li homini ».<br />

Chi si accosta al vincitore, segue la volontà di Dio, perchè vince<br />

solo chi Dio vuole. Nelle tentazioni di guerre universali è meglio<br />

passare dritto e mansuetamente, senza dimostrar « soverchia<br />

affettione »; quanto alle guerre civ<strong>il</strong>i, non vi è altro rimedio che<br />

(1) Coll. XVIII, pag. 44.<br />

(2) Ivi, pag. 59.


2, •<br />

224 Rinascenza Salentina<br />

vendere le robe e fuggire. Ma i veri diavoli tentatori sono gli<br />

adulatori, dei quali tutta Italia è appestata, dopo che i costumi<br />

dell'occidente passarono a noi. Dappertutto adulazione: Per<br />

certo la vita nostra non è altro, se non una alchimia, uno figmento,<br />

una simulaeione et pegio (D. Adulazione e calunnia:<br />

ecco i due veleni « de li alti palazi »; non c'è virtù che non sia<br />

assalita dal morso dei maledici. Unico rimedio è l'opporre alle<br />

serpentine lingue lo scudo della nostra pura coscienza. Terza<br />

tentazione: la carne. Lodi della castità: se qualche cosa lo ha.<br />

trattenuto presso Isabella per tanto tempo e in mezzo a tanti<br />

pericoli, non è stata speranza di premio, chè la duchessa si<br />

trova in tale fortuna da aver bisogno lei dell'aiuto degli altri,<br />

ma solo la devozione alle sue virtù e specialmente alla sua onestà.<br />

Quarta tentazione: l'antico) serpente, invidioso persecutore<br />

del genere umano. Ma le tentazioni del diavolo son quasi quelle<br />

stesse del mondo e della carne, e se sapremo far sì che la parte<br />

razionale dell'anima nostra comandi alla irrazionale, allora lo<br />

avremo vinto.<br />

« Sed libera nos a inalo ». Dal confronto col testo greco, deduce<br />

che quell'e a malo » si dovrebbe intendere per « ab homine<br />

malo ». Infatti la maggior parte dei mali che patisce l'uomo<br />

procedono dall'uomo. Bisognerebbe evitare la pratica coi malvagi,<br />

ma come si fa ? E' vero che non ci può essere amicizia<br />

dov'è disparità di costumi, e quindi <strong>il</strong> buono non potrebbe mai<br />

diventar amico del cattivo: ma siamo in tempi che chi volesse<br />

evitare la compagnia dei cattivi resterebbe solo e gli converrebbe<br />

andarsene nel deserto a farsi compagno delle fiere. «A<br />

inalo » si può intendere anche per « dal male »: di quante specie<br />

siano i mali e, per contrario, i beni.<br />

Amen ». Origine e significato della parola. Sa che a questa<br />

sua piccola opera verranno mosse molte critiche. Egli prega<br />

Isabella che non lo reputi arrogante e presuntuoso per averle<br />

osato dare dei precetti: ha scritto solo per spronarla a perseverare<br />

nelle buone, consuete e sante opere. <strong>De</strong>l resto, dica ciascuno<br />

quel che gli pare: a lui basta l'aver predicato le parole<br />

di Cristo, dei profeti e degli apostoli.<br />

(1) Coli. XVIII, pag. 79.


i<br />

Dina Colneei - <strong>Antonio</strong> <strong>De</strong> <strong>Ferrariis</strong> <strong>detto</strong> <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> 225<br />

In una breve esposizione del trattatello è impossib<strong>il</strong>e far<br />

risaltare ciò che ne costituisce l'interesse maggiore: le frequentissime<br />

digressioni riguardanti la vita contemporanea, i giudizi<br />

sagaci sui fatti e sulle idee e sugli uomini del giorno, <strong>il</strong> carattere<br />

intimo della cultura classica e biblica, la disinvoltura con<br />

cui son recati esempi dalla storia, dalla f<strong>il</strong>osofia e dalla letteratura<br />

antica a documentare la verità degli insegnamenti cristiani<br />

(eerdità medievale e umanesimo del più squisito a un<br />

tempo), l'opportunità e la suggestività delle belle citazioni dai<br />

più bei libri della Bibbia, <strong>il</strong> calore appassionato con cui si muove<br />

a difesa della virtù conculcata, la vivezza dello st<strong>il</strong>e che, smesse<br />

le fasce — davvero non molto strette — del latino, si muove a<br />

suo agio ben sciolto e vispo nella libera veste del vernacolo leccese.<br />

Ma anche da uno scarno riassunto risalta subito quel che<br />

è veramente essenziale notare: qui ci troviamo nello stesso punto<br />

di vista dell'Heremita. Le due opere, pur se scritte con diverso<br />

fine, sono animate da un medesimo spirito, e ciascuna di esse<br />

si spiega e si completa con l'altra. Alcuni dei primi biografi del<br />

<strong>Galateo</strong> (1) dissero che l'Esposizione aveva lo scopo di difendere<br />

l'autore dall'accusa di irreligiosità mossagli in seguito alla divulgazione<br />

dell'Heremita. I moderni osservarono col Barone che<br />

invece nel trattato sono ripetuti e di molto accentuati quegli<br />

attacchi, che già si trovavano nel dialogo, ai degenerati ordini<br />

religiosi. In fondo, hanno ragione glí uni e gli altri. L'Esposizione<br />

è un'apologia dell'Heremita, ma in quanto, facendoci cogliere<br />

la continuità che lega tutta l'opera del <strong>Galateo</strong>, ci permette<br />

di penetrare <strong>il</strong> senso dell'allegoria del dialogo, di capire<br />

la genesi e l'anima di quella critica. E' la stessa lotta contro<br />

la superficialità e <strong>il</strong> formalismo, lo stesso sforzo di ricostruire<br />

una coscienza profondamente e non ipocritamente religiosa; la<br />

stessa appassionata discussione sugli stessi problemi morali, la<br />

stessa difesa contro le solite accuse d'incredulità e (l'infedeltà,<br />

Io stesso dubbio torturante: — perchè gringiusti sono esaltati e<br />

i giusti perseguitati — lo stesso acquietarsi nella serena fede<br />

che la Provvidenza guida tutte le umane cose al bene: d'altra<br />

(1) Il Da ANGELIS, <strong>il</strong> CALOGERÀ, 10 ZENO, <strong>il</strong> COLANGELO. Quest'errore<br />

fu ripetuto, insieme con molti altri, dal CORNIANE I Secoli della Letteratura<br />

Italiana dopo <strong>il</strong> suo Risorgimento. Torino, 1855. Voi. II, pag. 99.<br />

;


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226 Rinascenza Salentina<br />

parte, i retti giudizi sulla storia biblica e sul suo significato di<br />

simbolo e preparazione (1), insieme col valore assegnato all'autorità<br />

degli Apostoli e dei Dottori chiariscono qualche fraintesa<br />

situazione del dialogo. Tanto l'Heremita che l'Esposizione<br />

del P. N. non sono opere puramente teoriche di f<strong>il</strong>osofia e di<br />

teologia; diventano incomprensib<strong>il</strong>i se avulse da quella che era<br />

la realtà presente delle condizioni di vita nella corte aragonese<br />

e nelle città e borghi pugliesi tra <strong>il</strong> 1490 e <strong>il</strong> 1510. Nella realtà<br />

viveva tuffato <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong>: era essa che gli premeva. Natura profondamente<br />

morale, non ci fu aspetto della vita su cui non portasse<br />

<strong>il</strong> suo giudizio, non ci fu piega così nascosta dell'animo<br />

umano in cui non penetrasse <strong>il</strong> suo acuto occhio clinico. Infatti<br />

le due opere, pur così sim<strong>il</strong>i, sono diverse: e quel alcunchè che<br />

le separa è proprio la vita. Quasi dieci anni erano passati, travolgendo<br />

una monarchia, mutando faccia con le loro guerre tempestose<br />

a molti staterelli feudali e città libere, distruggendo la<br />

gioia di tante care abitudini: anni davvero brutti, in cui pochi<br />

riuscirono a non capitombolare, con quel terreno che vac<strong>il</strong>lava<br />

continuamente sotto i piedi. (le lo immaginiamo <strong>il</strong> nostro <strong>Galateo</strong>,<br />

<strong>il</strong> più candido degli umanisti, persuaso che la vera accortezza<br />

consista nella semplicità, fra principi come Cesare Borgia<br />

e politici come <strong>il</strong> Guicciardini i La triste esperienza di quel<br />

decennio ha arricchito la sua anima meditativa; l'interrogativo<br />

penoso presentatoglisi in un'ora amara, dimenticato durante la<br />

breve parentesi del ritorno alla dimestichezza col buon Re Federico,<br />

era risorto più imperioso dinanzi a tanti sventurati capovolgimenti,<br />

e lo sforzo duro, la grave disciplina imposta a<br />

sè stesso dall'animo ribelle di natura, per credere alla medesima<br />

risposta, per trovare ancora, fra tanta mina, <strong>il</strong> punto stab<strong>il</strong>e<br />

su cui iniziare la ricostruzione, avevano comunicato in premio<br />

alle pagine del <strong>Galateo</strong> un più profondo senso di umanità, gli<br />

avevano insegnato a guardare più dall'alto, e quindi a giudicare<br />

più serenamente la storia umana. Nell'FIerernita c'era un<br />

più fiero e simpatico ardor di lotta; qui invece domina un tono<br />

di sott<strong>il</strong>e malinconia.<br />

L'« Esposizione del Pater Noster » — dedicata, come abbia-<br />

(1) Cfr. Coli. IV, pag. 187.


'u , inwt!I iiiitH n <strong>il</strong> <strong>il</strong> P:11.1!! !III` ihurh<strong>il</strong> H1 H1';'`,.'w<strong>il</strong><br />

_Dina Oolueei - <strong>Antonio</strong> <strong>De</strong> <strong>Ferrariis</strong> <strong>detto</strong> <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> 227<br />

mo visto, a Isabella d'Aragona Sforza — fn composta in parte<br />

durante <strong>il</strong> tranqu<strong>il</strong>lo soggiorno a Bari, nella piccola corte della<br />

duchessa. Il <strong>Galateo</strong> vi s'era forse ritirato poco dopo la sua<br />

fuga da Napoli, e di lì assisteva allo svolgimento della guerra<br />

franco-ispana, che si combatteva tutto all'intorno.<br />

La magnifica cripta romanico-bizantina della bas<strong>il</strong>ica di<br />

S. Nicola vide un giorno un ometto che indossava l'abito dei<br />

sacerdoti di rito greco cercar la sua penombra suggestiva e<br />

pregare fervidamente presso l'urna del Santo. Era <strong>il</strong> 13 febbraio<br />

1503: fra Andria e Corato tredici cavalieri italiani spronavano<br />

in campo chiuso contro tredici francesi. Che importava,<br />

se dopo <strong>il</strong> duello i campioni d'Italia sarebbero ritornati<br />

a m<strong>il</strong>itare sotto insegne straniere Scelti dalle varie provincie<br />

italiane, quei giovani sapevano che, per tutta la durata<br />

della breve lotta, avrebbero combattuto « pro amore et gloria<br />

patriae »; sentivano dietro a sè la grande tradizione, pensavano<br />

a Torquato e Corvino, a quel popolo che un giorno aveva<br />

imperato a tutto <strong>il</strong> mondo e del quale essi erano figli. E <strong>il</strong> buon<br />

<strong>Galateo</strong> faceva voti ai quattro santi cavalieri, a Giorgio, Martino,<br />

<strong>De</strong>metrio e Niceta, perchè gl'italiani riuscissero vincitori.<br />

Quando intese che sulle bocche italo e spagnole si era levato dopo<br />

<strong>il</strong> duello un unico grido alto: Italia ! quando vide i cavalieri<br />

italiani entrare in trionfo a Bari, fra le acclamazioni della folla (1),<br />

allora un'immensa gioia gli gonfiò <strong>il</strong> cuore e scrisse al suo amico<br />

Crisostomo narrandogli minutamente l'accaduto e chiudendo la<br />

lettera con un saluto ottimista « Bene vale et spera meliora ».<br />

Questa lettera, pubblicata per la prima volta da G. B. Tafuri<br />

nell'edizione leccese del « <strong>De</strong> Situ Iapigiae » del 1727, fu<br />

subito molto apprezzata, e le edizioni e le traduzioni si susseguirono.<br />

Contemporaneamente al Grande ( 2), la traduceva <strong>il</strong> Do<br />

Pace (3 ), stimando che <strong>il</strong> suo lavoro sarebbe riuscito di gradimento<br />

a chi « nato in Italia e stanco della vita del presente,<br />

sentesi italiano in quella del memore passato ». Il Faraglia, raccontando<br />

la storia della famosa disfida nel suo « Ettore e la<br />

(1) Coll. II, p. 269.<br />

(2) Coll. degli scrittori Salentini. Lecce 1867, Vol. II, pag. 259 e segg.<br />

(3) Opuscoli Letterari. Napoli, 1867, e. 2.


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228 Rinascenza Salentina<br />

casa Fieramosca » (1) affermava di valersi della lettera del <strong>Galateo</strong><br />

e dell'anonima «Historia del Combattimento dei tredici italiani<br />

con altrettanti francesi, scritta da autore di veduta » (2 ) come di<br />

fonti più sicure rispetto alle altre, ossia al Guicciardini, al Passaro,<br />

al Giovio, al Cantalico, al Summonte, al Mambrin Roseo,<br />

al Notar Giacomo, allo itrita, al Sabellico. Nel 1903, ricorrendo<br />

<strong>il</strong> centenario della sfida, si . ebbe un'altra edizione della lettera<br />

galateana (3). Poi tornò ad occuparsene A. <strong>De</strong> Lina (4 ), che, confrontandola<br />

con quanto avevano scritto in proposito <strong>il</strong> Gaie,<br />

ciardini (5) e <strong>il</strong> Giovio (6), trovava « molto più bella, più poetica<br />

e certamente più vera » la descrizione del combattimento fatta<br />

dal <strong>Galateo</strong>, « <strong>il</strong> medico dotto e sapiente, che fra le cure degli<br />

ammalati e Io studio della storia antica della sua terra e le ricerche<br />

sul veleno delle tarantole, trovava modo di narrare per<br />

esteso e famigliarmente i fatti più notevoli che avvenivano allora<br />

nella sua Puglia » (7). Il medesimo <strong>De</strong> Lina credeva di riconoscere<br />

in questa lettera una delle fonti del romanzo del D'Azeglio.<br />

Alcuni anni fa, essendo sorta una polemica intorno alla<br />

nazionalità dell'unico morto nel famoso duello, Graiano d'Asti,<br />

(che secondo <strong>il</strong> La Sorsa era invece francese d'Aste), G. Petraglione<br />

interveniva a chiuderla con la testimonianza esplicita<br />

della lettera galateana, « documento redatto da uno storico di<br />

provata scrupolosità, in un ambiente benissimo. informato e ancora<br />

tutto vibrante del clamore che la superba vittoria dei tredici<br />

campioni italiani aveva destato » (8). Parecchi storici — e<br />

fra questi <strong>il</strong> Gothein (9) — cercarono di gettare dell'acqua fredda<br />

(1) Archivio Storico -Napoletano. Il, fase. 4°; III, fase. 3°.<br />

(2) Capua, 1547.<br />

(3) G. GIGLI. Due lettere del G. sulla disfida di Barletta e su Ettore Fieramosca.<br />

Fan f. della Doni., XXV, 6.<br />

(4) A. Dm F. e La disfida di Barletta. Rivista Storica Salentina. III, 1907,<br />

pp. 325-35.<br />

(5) Historia d'Italia. Venezia, 1563, L. V., pag. 145 e segg.<br />

(6) La V<strong>il</strong>a di Consalvo Fernando di Cordova, <strong>detto</strong> <strong>il</strong> Gran Capitano.<br />

Firenze, 1550, pp. 136-45.<br />

(7) Op. eit., pag. 333.<br />

(8) Japigia, a. II, 1931, pag. 373.<br />

(9) Op. cit., pag. 125.


•<br />

TwHi( iiiii<strong>il</strong>ThiurPHinti,',i1'L<br />

Dina Oolucci - <strong>Antonio</strong> <strong>De</strong> <strong>Ferrariis</strong> <strong>detto</strong> <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> 229<br />

sull'entusiasmo degli italiani dell'800 per la celebre disfida, osservando<br />

che era esagerato considerar come simbolo della gloria<br />

nazionale una corona riportata in una giostra da cavalieri che<br />

servivano nell'esercito spagnuolo. Questo è vero, ma quand'anche<br />

si volesse distruggere tutto <strong>il</strong> valore ideale che si è attribuito<br />

a quel fatto, è impossib<strong>il</strong>e negare che un umanista, educato<br />

dal culto dei classici e dei grandi trecentisti ad un arde:, -<br />

tissituo e quasi moderno sentimento nazionale, sentì l'animo d<strong>il</strong>atarsi<br />

in un'im►ensa speranza, vedendo che agl'italiani neque<br />

prudentiam neque animi et corporis vires, nih<strong>il</strong>que aliud<br />

deesse, nisi bonam tnentem coneordiamque, ut iterum toto orbi<br />

dominarentur » (1). La discordia era la prima fonte di tutti i<br />

mali d'Italia: in ogni suo scritto <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> martellò su questa<br />

idea. Gliel'avevano insegnato Dante e <strong>il</strong> Petrarca: la triste storia<br />

di ogni giorno trasformò <strong>il</strong> loro monito in esperienza vissuta.<br />

Ecco un ah ro carattere del <strong>Galateo</strong>, sul quale non ci eravamo<br />

fermati che di sfuggita: l'amore per l'Italia. Fu proprio<br />

questo ad attirargli nel 1867 — appena apparvero in un sol volume,<br />

insieme con gli altri opuscoli, <strong>il</strong> <strong>De</strong> Situ Japigiae », <strong>il</strong><br />

« <strong>De</strong> educatione » e <strong>il</strong> « <strong>De</strong> Pugna tredecim equitum » — gli entusiasti<br />

elogi del Fanfani e del Capuana (.2). < Fu una singolare<br />

inaspettata affermazione del carattere nazionale » scrive <strong>il</strong> <strong>De</strong><br />

Fabrizio ( 3), alludendo specialmente al « <strong>De</strong> educatione >, e invero<br />

<strong>il</strong> tono alteramente e sanamente patriottico conferisce alle<br />

idee pedagogiche del <strong>Galateo</strong> un carattere tutto particolare. Il<br />

« <strong>De</strong> educatione » trovò subito molti <strong>il</strong>lustratori. Il Celesia ne<br />

parlò con calore nella sua « Storia della pedagogia italiana » (4),<br />

dichiarando <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> superiore al Vegio, al Vergerio, al Piccolomini<br />

e al F<strong>il</strong>elfo, in grazia appunto della 4 sacra carità di<br />

patria » che ispira unicamente <strong>il</strong> suo libro. Di molte note lo<br />

corredò <strong>il</strong> Croce (5), additandolo come « una delle espressioni<br />

(1) <strong>De</strong> pugna tretlecim equ<strong>il</strong>um. Coli. II, pag. 267.<br />

(2) Coll. III, app., pag. 7 e segg.<br />

(3) Il sentimento nazionale nella Rinascenza. Una voce pugliese. Japigia,<br />

1930, I, 1, pp. 4853<br />

(4) M<strong>il</strong>ano, 1872-74, pag. 205 e segg.<br />

(5) Il trattato «Da educatione di A. G. Giorn. storico lett. ital., XII,<br />

1894, t'. 69, pp. 394 406.


3-21<br />

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230 1?inascenza Salentina<br />

più efficaci della ripugnanza dell'italiano del Rinascimento al<br />

contatto dei nuovi costumi del popolo spagnuolo ' e facendo<br />

risaltare l'importanza dei particolari concernenti la storia del<br />

costume. Dal punto di vista storico egli se ne valse ancora nei<br />

suoi studi su « La Spagna -nella vita italiana durante la Rinascenza»<br />

( 1 ), sempre per documentare l'atteggiamento dei rappresentanti<br />

della cultura italiana contro l'invadenza spagnuola,<br />

da essi giudicata barbarica.<br />

II « <strong>De</strong> educatione », certo, ha un carattere assai curioso,<br />

al pari di tutte le altre opere del <strong>Galateo</strong>. 4( Sa dissertation pédagogique<br />

est surtout une diatribe » osservava A. Morel-Fatio (2).<br />

AI nostro umanista riusciva assolutamente impossib<strong>il</strong>e sedere a<br />

tavolino e scrivere una sola pagina di astratta teoria, obliando<br />

nella calma speculazione le cure della realtà. Macellò l Scrivere<br />

significava per lui gettare sulla carta tutto ciò che lo angustiava<br />

e lo rallegrava, così, con la massima libertà, senza uno schema<br />

preordinato, seguendo la penna dovunque lo volesse portare,<br />

saltando di palo in frasca, aprendo ad ogni passo delle immense<br />

parentesi che fanno perdere completamente di vista <strong>il</strong> tenue<br />

f<strong>il</strong>o logico. Per scrivere al suo Acquaviva o al suo Crisostomo<br />

o al suo Sincero di f<strong>il</strong>osofia o di morale o di scienza o di qualsivoglia<br />

altra cosa, non s'impaludava solennemente e non saliva<br />

in bigoncia, circondato da mucchi di bene ordinate carte piene<br />

di appunti: si valeva sopratutto della sua esperienza, ed esperienza<br />

vissuta era diventata per lui la stessa cultura classica<br />

profondamente assim<strong>il</strong>ata. La più gran parte delle citazioni le<br />

faceva a memoria. Se non ricordava le precise parole degli antichi,<br />

non si preoccupava certo di andare a rovistare nelle biblioteche,<br />

perciò non aveva <strong>il</strong> tempo di « volvere volumina ».<br />

E poi, a che sarebbe servito trascrivere una per una le opinioni<br />

dei vari autori I A comporre un libro colle fatiche degli altri I<br />

E se la cavava col consigliare disinvoltamente ad Alt<strong>il</strong>io: — Tu,<br />

si libet, omia perlegito (3) —. Non sappiamo che cosa fossero le<br />

sue opere smarrite che dal titolo appaiono di carattere più stret-<br />

(1) Bari, 1922, pp. 109-122.<br />

(2) Romania, 24 luglio 1895, pp. 477-78.<br />

(3) Coll. III, pag. 285.


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Dina Colucci - <strong>Antonio</strong> <strong>De</strong> Perrariis <strong>detto</strong> <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> 231<br />

tamente teorico e tecnico, quali l'« Expositio super Petolomaei<br />

tabulas », l'altra « Expositio in Aphorismos Hippocratis », i<br />

« Problemata », l'« Encrasia » ecc.: i trattati che ci restano non<br />

si potrebbero a rigore inventariare ordinatamente per genere<br />

e materia e disporre ad uno ad uno nel casellario fabbricato<br />

necessariamente dagli storici della letteratura. Il « <strong>De</strong> educatione<br />

» non è esclusivamente un trattato pedagogico, come nel<br />

« <strong>De</strong> Situ Japigiae » non si parla di sola geografia e nel « <strong>De</strong><br />

Podagra » di sola medicina. Dopo le pagine dedicategli dal Celesia<br />

e dal Croce, sono state poche le storie della pedagogia<br />

italiana che non abbiano parlato del <strong>Galateo</strong> (1), facendo risaltare<br />

specialmente la difesa dell'integrità italiana e la riab<strong>il</strong>itazione<br />

della letteratura volgare nel campo pedagogico, ambedue<br />

da lui propugnate. Ma la migliore e più suggestiva interpretazione<br />

dell'opera del <strong>Galateo</strong> come educatore si trova nel bel<br />

libro del Vidari su « L'educazione in Italia dall'Umanesimo al<br />

Risorgimento » (2), dove l'umanista leccese è annoverato fra i primi<br />

agitatori di un pensiero pedagogico nazionale. Di fronte alla<br />

concezione eudemonistico-estetica, vuota di ogni serio contenuto<br />

morale e religioso, del Palmieri, dell'Alberti, di Alessandro<br />

Piccolomini, del Castiglione, nella quale era venuta a chiudersi<br />

la parabola del pensiero educativo italiano, sorto nel '300<br />

con l'esigenza di una nuova educazione non più meccanicistica<br />

e verbalistica, ma viva e sostanziosa, <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> rappresenta la'<br />

reazione in nome (li più forti ed alte idealità morali e nazionali.<br />

Egli è l'uomo «che vive tra le cose, e sente la coltura, come elemento<br />

e alimento essenziale di una coscienza operosa rivolta a<br />

fini altamente sociali ». Tanto lui che <strong>il</strong> Machiavelli si sollevano,<br />

• sotto <strong>il</strong> pungolo della esperienza vissuta », alla intuizione di<br />

un modo più robusto e più realistico di concepire l'educazione.<br />

Ma <strong>il</strong> metodo educativo del Machiavelli subordina l'educazione<br />

religiosa, morale e intellettuale alla politica e m<strong>il</strong>itare. Più urna-<br />

(1) Cfr. G. B. GERINI. Gli scrittori pedagogici italiani del secolo XVI, Torino,<br />

1877, cap. I, e recens. di R. RENIER sul Giornale Storico, XXXI, 1898,<br />

pp. 133-135. — Dizionario di scienze pedagogiche, diretto da MARCHESINI, M<strong>il</strong>ano,<br />

1929: articolo sul <strong>Galateo</strong> di E. TROILO. — BORLA e TESTORE. Manuale<br />

di Storia della pedagogia. Torino, 1935, ecc.<br />

(2) Roma, 1930, p. I, S. II, c. 20.


232 Rinascenza Salentina<br />

nisticamente larga e armonica è invece la concezione del <strong>Galateo</strong>.<br />

Quella ch'egli sogna pel suo principe giovinetto è davvero<br />

una « institut.io italica », che sv<strong>il</strong>uppi in sano equ<strong>il</strong>ibrio tutte<br />

le facoltà dell'individuo. Il suo programma educati vo è svolto<br />

in tre o quattro pagine, che però contengono più cose che non<br />

tutti i voluminosi trattati pei suoi contemporanei. Fra le grandi<br />

linee di quel piano pedagogico, schizzato così alla buona, circola<br />

l'aura vitale che si respirava nei giardini della Casa Gioiosa.<br />

Invero, se andiamo cercando a quale dei pedagogisti italiani<br />

del '400 si avvicini di più <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong>, è la simpatica figura del<br />

Feltrense che ci si fa subito innanzi. In quello spronare <strong>il</strong> fanciullo<br />

a saper gustare la bella natura, i « cantus avium » e la<br />

« dulcis aurorae amoenitas ( 1 ) i. a temperar la severità degli esercizi<br />

ginnici e della caccia alle fiere colla soavità della musica,<br />

condendo di sale italico i modi francesi, troppo concitati e tumultuosi,<br />

e quelli spagnuoli, troppo languidi e snervati ( 2); in<br />

quell'esporre criteri così larghi e così alieni da pedanteria in un<br />

programma di studio che comprende « res gestas heroum et<br />

exempla maiorum et naturalium rerum historiam et moralis<br />

ph<strong>il</strong>osophiae praecepta » ( 3); nel raccomandar modesta e parca la<br />

mensa, ben distribuita fra lo studio e l'esercizio fisico la giornata,<br />

nell'inculcare l'odio per ogni menzogna (« nunquam aut<br />

ioco aut serio mentiatur ») o la necessità di pregare sinceramente,<br />

con cuore puro, senza ambizione o ipocrisia, si coglie<br />

l'affinità spirituale che lega <strong>il</strong> nostro umanista al principe degli<br />

educatori quattrocenteschi. Ma lo stare a contatto col popolo<br />

preservava <strong>il</strong> metodo del <strong>Galateo</strong> dall'estetismo e dall'aristocraticismo<br />

latente in quello di Vittorino. II Vidari ha notato<br />

quello che di reazione al proprio tempo c'era nell'anima del <strong>Galateo</strong>.<br />

L'inquadramento sarà completo se comprenderemo come<br />

egli anche si riallacciasse alla vecchia tradizione, pentirò forse<br />

noli si sentirebbe proprio a suo agio se lo lasciassimo in compagnia<br />

del solo Machiavelli. Il suo « <strong>De</strong> educatione » che da<br />

(1) Coll. II, pag. 145.<br />

(2) Ivi, pag. 152.<br />

(3) Ivi, pag. 146.


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Dina Colucci - <strong>Antonio</strong> <strong>De</strong> <strong>Ferrariis</strong> <strong>detto</strong> <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> 233<br />

una parte mette a profitto l'anteriore esperienza pedagogica<br />

umanistica, e dall'altra si protende verso i nuovi tempi, dimostra<br />

come i migliori umanisti, i più coscienti, i più forniti di<br />

senso storico, quelli che avevano saputo unificare nel proprio<br />

spirito gl'insegnamenti umani del inondo classico col tesoro della<br />

tradizione cristiana, e questa loro delicata esperienza interiore<br />

arricchivano con l'operosità multiforme, con l'interesse vivo ai<br />

massimi problemi religiosi, morali, politici del tempo, sapessero<br />

assurgere ad una robustissima coscienza d'italianità, alla intuizione<br />

di un pensiero pedagogico che solo diversi secoli più tardi<br />

potè pienamente sv<strong>il</strong>upparsi e trovare attuazione (1),<br />

(1) <strong>De</strong>l ,<strong>De</strong> educatione» e degli altri opuscoli pedagogici del <strong>Galateo</strong><br />

si sono occupati a lungo anche <strong>il</strong> DE FABRIZIO: Le idee pedagogiche di un<br />

accademico ponlaniano. Riv. di f<strong>il</strong>os. e se. affini, A. III, 1891, Vol. V, n. 5;<br />

A. <strong>De</strong> F. pensatore ecc., pag. 92 e segg.; e G. VAGLIO. A. G. nella morale<br />

e nella pedagogia. Lecce, 1914.


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234 Rinascenza Salentina<br />

Cap. VII.<br />

Il " <strong>De</strong> Situ Japygiae " e la sua storia esterna. Il <strong>Galateo</strong><br />

geografo. Il <strong>Galateo</strong> medico.<br />

Ecco <strong>il</strong> nostro umanista, ormai ritirato definitivamente —<br />

salvo qualche sporadico viaggetto a Roma o a Bari — nella sua<br />

terra natale, accingersi a descriverla al suo amico Giovambattista<br />

Spinelli, conte di Cariati, celebrità giuridica, diplomatico<br />

nato » (1), genero di Tristano Caracciolo che lo amava moltissimo<br />

e ne scrisse la biografia. Dato <strong>il</strong> carattere dello scrivente,<br />

ed anche <strong>il</strong> gusto del destinatario, già si sa che <strong>il</strong> • <strong>De</strong> Situ<br />

Japygiae » non sarebbe stata una più o meno ordinata aridissima<br />

comp<strong>il</strong>azione, in cui si desse fondo a tutte le conoscenze<br />

degli antichi su Terra d'Otranto, e basta. Infatti, • Spinelle, vir<br />

excellentis et animi et ingenii — dichiara <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> dopo poche<br />

pagine -- non alibi cura est omnia exquisite narrare, quae auctores<br />

scripsere, sed summatim aliqua, ut tibi morem gerani, et<br />

ut ph<strong>il</strong>osophum, non ut historicum decet ( 2). Scriverà dunque<br />

da f<strong>il</strong>osofo e non da storico: ricordiamocene, se vogliamo. ben<br />

giudicare e apprezzare <strong>il</strong> trattatello. Le fonti sono: Strabone,<br />

Dionigi, Potnponio Mela, Tolomeo, Plinio, Livio, Stefano di Bisanzio<br />

e, fra i più recenti, Guido di Ravenna: son citati talvolta<br />

Galeno, Ippocrate, Plutarco, Teofrasto, Avieenna, Averroè, Alfragano,<br />

Alberto Magno; spessissimo Aristotele, caro all'autore.<br />

Ogni tanto fanno capolino i pred<strong>il</strong>etti poeti: Virg<strong>il</strong>io, Lucano,<br />

Orazio con la sua ode del • Dulce fiumen Galesi »; un ricordo<br />

catulliano si affaccia in quali'« insularum omnium peninsularumque<br />

ocellus ì, affettuoso epiteto con cui <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> accarezza la<br />

sua terra salentina (3). Ma quel che egli attinge dalle fonti geografiche<br />

e storiche è pochissimo, in sostanza: spesso menziona,<br />

soltanto, gli autori antichi che si occuparono della tale o tal<br />

altra città, senza riportarne l'opinione. In massima parte, <strong>il</strong> « <strong>De</strong><br />

Situ Japygiae » è originale e « in ciò sta <strong>il</strong> suo valore, poichè è<br />

(1) GOTHEIN, op. cit.<br />

(2) Coll. pag. 26.<br />

(3) Coll. II, pag. 12.


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Dina Colucci - <strong>Antonio</strong> <strong>De</strong> <strong>Ferrariis</strong> <strong>detto</strong> <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> 235<br />

una garbata, esatta, e qua e là vivace rappresentazione delle<br />

condizioni di Terra d'Otranto al principio del secolo XVI, rappresentazione<br />

che è un prodotto dell'esperienza personale dell'autore<br />

» (1). Aveva ragione chi notò che la lettera a Luigi Paladini<br />

è un'introduzione al < <strong>De</strong> Situ Japygiae » (2): quel breve<br />

documento c'indica con quali intendimenti <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> compose<br />

<strong>il</strong> suo opuscolo e ci colloca nell'esatto punto di vista, da cui lo<br />

dobbiamo guardare. « Duolmi, o mio Paladini, che la celebrità<br />

della nostra regione sia cosi decaduta, che, per quanto in più<br />

luoghi si scorgano le vestigia e, per così dire, i sepolcri di grandi<br />

città, pure nessuna memoria ci avanzi nè delle imprese, nè delle<br />

città stesse, nè di quei caratteri particolari di cui i nostri Japigi<br />

(da notare <strong>il</strong> possessivo) si servivano, prima che qui giungessero<br />

i Greci, dopo la caduta di Troia ». Così vanno le cose<br />

mortali, e tutto logora e distrugge <strong>il</strong> tempo. Una furia ininterrotta<br />

di guerre si è abbattuta su queste città, tutto distruggendo<br />

e desertando. Perdute le opere degli storici più antichi,<br />

quali Eratostene, Artemidoro e Ipparco: Strabone, Dionisio, Plinio<br />

ecc. già non possono dirci più nulla. «Sebbene abbia svolto<br />

parecchi libri di antichi geografici e storici, poco ho trovato<br />

degno di nota »: qualche cosa su Taranto, qualche cosa su Brindisi;<br />

tutto <strong>il</strong> resto è perito. Le antiche città messapiche son consunte<br />

da vecchiaia. Guido di Ravenna « nec recens nec vetus<br />

auctor » ci dà qualche notizia interessante sulla storia pugliese<br />

durante i tempi di mezzo: « Tu vero <strong>il</strong>lum legar, ut et tibi ipsi<br />

fidus sis testis ». Diffic<strong>il</strong> cosa è raccontare quel ch'è ormai caduto<br />

dalla memoria degli uomini: « nos tamen quoad possumus<br />

patrium solum <strong>il</strong>lustrare debemus » (3).<br />

Carità patria, desiderio di riunire le «frondi spade », culto<br />

amoroso delle scarse reliquie di un remotissimo passato di grandezza,<br />

struggimento di non poter sapere nè dire di più: ecco <strong>il</strong><br />

movente e lo spirito segreto del « <strong>De</strong> Situ Japygiae ». Si potrebbe<br />

osservare che in fondo questo spirito è <strong>il</strong> patriottismo<br />

(1) R. ALMAGIA. Le opinioni e le conoscenze geografiche di A. de F.<br />

Rivista geologica italiana, XII, 1905, pag. 461.<br />

(2) E. AAR: Gli studi storici in Terra d'Otranto. Firenze 1888, p. 11 e segg.<br />

(3) Coll. IV, pag. 134 e segg.


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236 Rinascenza Salentina<br />

locale che animava fin da vari secoli tutte le cronache italiane (1).<br />

Si, ma nel « Do Situ Japygiae » esso ha un colorito tutto speciale.<br />

I cronisti, quando volevano celebrare le vetuste origini<br />

della propria città, non risalivano più in là di Roma o di Troia,<br />

e, specialmente nel secondo caso, andavano sempre a cascare<br />

nel dominio della leggenda, più o meno allettante o suggestiva.<br />

Anche <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> s' intrattiene a favoleggiar di Diomede e di<br />

Idomeneo pizio, ma sa (li poter orgogliosamente dichiarare che,<br />

prima che Enea approdasse alle basse coste otrantine, prima<br />

che i Greci muovessero all'assedio di Troia, già nella sua terra<br />

fiorivano popolose città, i cui abitanti parlavano una strana lingua<br />

e si servivano di strani caratteri. Dagli scavi praticati intorno<br />

a Baleso o a Vaste egli vedeva tornare alla luce urne cinerarie,<br />

vasellame antico e bronzi e iscrizioni: la nuda storia<br />

qui ammaliava più di qualsiasi bellissima leggenda.<br />

In un rapido esame dell'opuscoletto r<strong>il</strong>everemo <strong>il</strong> contributo<br />

apportato dal <strong>Galateo</strong> alla conoscenza geografica della sua regione.<br />

Nelle notizie generali che premette c'è già qualche cosa<br />

d'interessante (2). Il geografo troverà le misure di distanze prese<br />

da Strabone e ridotte dallo stadio greco nel miglio romano — è<br />

riportato anche qualche dato di navigazioni più recenti — e una<br />

discussione sul quarto clima, nella quale <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong>, accettando<br />

l'opinione tolemaica e respingendo quelle di Avicenna ed Averroé,<br />

coglie l'occasione per rimproverare ai nostri di aver voluto<br />

attingere la f<strong>il</strong>osofia e la medicina dai « turbidi rivuli barbarorum<br />

», anzicchè dai • purissimi fontes » greci. Altri invece<br />

preferirà fermarsi a considerar la nostalgia con cui <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong><br />

si volge verso <strong>il</strong> buon tempo antico, quando l'Italia meridionale<br />

costituiva <strong>il</strong> centro del mondo, allora tutto greco; adesso<br />

che per la discordia dei greci coi latini e per la conquista turca<br />

l'unità si è spezzata, quella che altre volte fu chiamata la Maglia<br />

Grecia non è più che un piccolo sperduto angolo d'Europa.<br />

Già compare quello che sarà <strong>il</strong> motivo dominante del piccolo<br />

trattato: l'amara meditazione sull'incostanza della fortuna e sulla<br />

caducità delle umane cose. Passa a descrivere l'eccellenza dei<br />

(1) BURKHARDT, O. e., VOI. I, pag. 200; II, pag. 89.<br />

(2) ALMAGIA, O. e., cap. VI.


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Dina Colucci - <strong>Antonio</strong> <strong>De</strong> <strong>Ferrariis</strong> <strong>detto</strong> <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> 237<br />

prodotti vegetali, ma brevemente, chè più gli preme far notare<br />

<strong>il</strong> mite carattere degli abitanti. La temperie del loro clima li<br />

rende temperati anche nell'animo, umani e intelligenti. E qui<br />

una lunga parentesi per dimostrare che la mansuetudine conviene<br />

all'uomo più che l'ardore bellico e che i re dovrebbero<br />

essere inermi. Curioso principio, che si trova anche nen'« Esposizione<br />

del Pater Noster ». Il Machiavelli non la pensava così,<br />

ma in fondo tanto le considerazioni sue che quelle del <strong>Galateo</strong><br />

rampollavano dalla stessa esperienza e miravano ad eliminare<br />

dalla vita politica italiana con metodi diversi ed egualmente<br />

utopistici (date le condizioni storiche, anche quello del Machiavelli<br />

era praticamente inattuab<strong>il</strong>e) lo stesso gravissimo inconveniente:<br />

le m<strong>il</strong>izie mercenarie, troppo legate all'interesse particolare<br />

del signore che le assoldava. Dai re si passa ai papi:<br />

a S. Pietro fu dato esplicito comandamento di riporre le armi,<br />

ed ora egli, acquistatosi <strong>il</strong> dominio, si è abituato a maneggiarle<br />

e a suscitare le guerre, confondendo quello che è di Dio con<br />

quel che è di Cesare. Qui <strong>il</strong> tono è diverso da quello della lettera<br />

a Giulio II. Eppure non era trascorso molto tempo, se pel<br />

viaggio a Roma e pel • <strong>De</strong> Situ Japygiae » accettiamo le date<br />

proposte dal Barone (1510 e 1511 rispettivamente). Come <strong>il</strong> fiero<br />

pontefice, in tutt'altre faccende affaccendato, aveva accolto l'omaggio<br />

del nostro umanista Cos'era questa pretesa copia autentica<br />

della • constitutio » di Costantino I E fu davvero presentata<br />

a Giulio II E vi fu qualcuno che in una corte papale<br />

del '500 prendesse sul serio una così anacronistica riesumazione<br />

I Sono interrogativi ai quali forse sarebbe interessante poter<br />

trovare una risposta, che ci aiuterebbe anche a ricostruire la<br />

« fortuna » del libello del Valla (1).<br />

Intanto <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> parla della fauna salentina, e propriamente<br />

di quella nociva: tarantole, serpenti, bruchi ( 2). Sono tutto<br />

osservazioni originali, che egli corona col solito ragionamento<br />

sulla sapienza della natura, che nulla fa invano, e sulla necessità<br />

di accettare da Dio, insieme cogl'innumerevoli beni, anche<br />

(1) Cfr. PASTOR. Storia dei Papi. <strong>De</strong>sclèe 1910. introd., pag. 21.<br />

(2) A proposito del « nunc bruchi rediere » (Coll. II, pag. 17), si osserva<br />

che le Cronache di ANTONELLO CONIGER menzionano delle grandi invasioni<br />

di « brucoli » in Terra d'Otranto nel 1504 e nel 1505 (ediz. cit. pp. 516-18).<br />

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238 Rinascenza Salentina<br />

quelli che a noi sembrano mali: — Ti lamenti dei ragni, deí bruchi<br />

e delle mosche Va un po' a vedere cosa succede nella Scizia<br />

o presso gl'Iperborei o nell'Etiopia. Qui nessuno fin ora è morto<br />

di fame pei bruchi. -Non ci sono fiumi, ma nessuno soffre la<br />

sete, nè la piena ti porta via le stalle con tutti gli armenti.—<br />

Taranto: <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> fa <strong>il</strong> nome di alcuni autori che se ne occuparono,<br />

ma nella descrizione della città Ball' « imperiosus<br />

prospectus », che « sedet superba inter duo maria », si vale sopratutto<br />

di ricordi personali: fra l'altro accenna al bacino fatto<br />

scavare dagli aragonesi e al giudizio dato su Taranto dai turchi<br />

e dai francesi. Il ricordo della « politia » tarantina e del rimprovero<br />

del romano Fabrizio provoca un paragone colla realtà del<br />

XVI secolo: la ricchezza è causa dì depravazione: anche noi<br />

cristiani, dacchè siamo diventati ricchi, siam giunti all'apice<br />

dei vizi, ed è strano come gli uomini e gli dei ci sopportino<br />

ancora. Tralasciate le testimonianze degli autori classici intorno<br />

a Taranto, riporta invece le poche parole di Guido da Ravenna.<br />

E' caratteristica l'importanza attribuita dal <strong>Galateo</strong> alle dichiarazioni<br />

di questo storico, e <strong>il</strong> motivo che ne adduce: solo la storia<br />

che non è troppo antica nè troppo recente, riesce a interessare,<br />

perehè l'una va a finire in favola e nessuno ci crede,<br />

« ut quae Viterbiensis de Beroso et Petosyri et Necepso somniat<br />

» (da notarsi questo giudizio su Annio Viterbense), e l'altra<br />

è risaputa da tutti noi. « Coneupiscimus historias medii temporis<br />

»: per questo egli cita Guido, autore medievale, sebbene<br />

sappia che non gli si deve credere se non per quel che ha visto<br />

di persona, possedendo egli scarsa cultura greca e non avendo<br />

letto i buoni autori. Quanto. al disprezzo per le nebulosità mitologiche<br />

e la brama di notizie ben fondate e controllab<strong>il</strong>i, dimostrati<br />

dal <strong>Galateo</strong>, sono una conseguenza del cambiamento<br />

d'indirizzo avvenuto nel campo degli studi storici nella seconda<br />

metà del secolo XV; ma <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> ha pure delle intuizioni che<br />

oltrepassano i concetti definitivamente acquistati dalla critica<br />

a lui contemporanea, preannunziando quello che sarà <strong>il</strong> metodo<br />

dei grandi storici del '500. Parecchi anni prima, scrivendo a<br />

Marino Brancaccio, aveva dichiarato: « Qui nescit quaerere, ne-


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Dina Colucci - <strong>Antonio</strong> <strong>De</strong> <strong>Ferrariis</strong> <strong>detto</strong> <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> 239<br />

scit invenire; qui nescit dubitare, nescit solvere » (1). Con ciò non<br />

si può far certo di lui un Cartesio avanti lettera, ma, usando<br />

<strong>il</strong> solito granellino di sale, si può riconoscere ch'egli comprendesse<br />

la virtù del dubbio e la necessità di ricostruire sull'esperienza<br />

diretta <strong>il</strong> patrimonio culturale degli antichi. In quegli<br />

anni scriveva al Leoniceno: « Semper ph<strong>il</strong>osophis fuit contradicendi<br />

libertas. Non sunt nobis datae leges quibus obedire cogannis<br />

» ( 2). Gli si potrebbe obiettare che anche lui aveva indulto<br />

al costume (lei medievalisti quando, nel « <strong>De</strong> Gloria contemnenda<br />

», aveva <strong>detto</strong> all'Acquaviva di non voler scrivere nè<br />

di fisica nè di etica ecc., per non ledere i mani di Aristotele,<br />

poichè allo Stagirita • non c'è nulla da aggiungere o da togliere<br />

» ( 3). Così è: dal nostro <strong>Galateo</strong>, come da tutti i quattrocentisti<br />

in genere, dobbiamo accontentarci di accettare intuizioni<br />

confuse, baleni fuggitivi. Ci basti che essi riconoscano e pongano<br />

per primi i problemi le cui soluzioni costituiranno i gangli<br />

vitali delle generazioni venture: non possiamo chiederne loro<br />

la comprensione chiara nè pretendere sistemi compiuti. Abbiamo<br />

chiamato la posizione del <strong>Galateo</strong> empirismo storicista. La<br />

definizione può sembrare una contraddizione in termini, e forse<br />

non è esatta: ma non saprei che altro nome dare a questa situazione<br />

intellettuale. Il nuovo spirito del secolo — in quella<br />

seconda metà del '400 erano fioriti <strong>il</strong> Pulci, <strong>il</strong> Toscanelli, Leonardo<br />

— si manifesta nella disinvoltura con cuì <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> si<br />

sbriga in poche parole della famosa profezia di S. Cataldo:<br />

....« plumbens libellus de quo tot et tanta narrata sunt in toto<br />

orbe christiano » (4), che intorno alla Pasqua del 1492 aveva levato<br />

a rumore l'iutiero Regno di Napoli.<br />

E' tutta originale la breve descrizione della costa fra Taranto<br />

e Gallipoli. L'origine greca di questa città è difesa contro<br />

la gallica assegnatale da Plinio. La vista delle mura e del<br />

castello specchiantesi nel mare suscita <strong>il</strong> ricordo dell'eroiche difese<br />

da Gallipoli sostenute contro i veneziani nel 1484, contro<br />

i francesi di Carlo VIII nel '94, contro gli spagnoli ed i fran-<br />

(1) Coll. III, pag. 7.<br />

(2) Coll. III, pag. 48.<br />

(3) Coll. III, pag. 87.<br />

(4) Coll. II, pag. 28.<br />

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240 Rinascenza Salentina<br />

tesi di Luigi XI nel 1501. Poco prima <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> aveva dichiarato<br />

che la storia recente no» interessa: che importa ? Adesso<br />

ha cambiato opinione: « Quando eorum, qui in extremo Italiae<br />

amido latent (1), virtus et fides oblivioui ac s<strong>il</strong>entio datur, nos<br />

ipsi Callipolis et Hydrun ti fortia fatta non taceamus » (2): sí<br />

tratta di offrire all'Italia un esempio di fortezza civ<strong>il</strong>e, e <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong><br />

non esita. La storia ha un fine morale e altamente educativo:<br />

è questa veramente la sua idea madre e ad essa rimane<br />

sempre fedele. Ecco <strong>il</strong> devastato cenobio di S. Nicola: la paginetta<br />

che gli dedica <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> è tutto quel che sappiamo intorno<br />

a questo antico centro di studi. Segue un po' di storia<br />

di Otranto sotto i bizantini (fu allora che tutta la penisola salentina<br />

cominciò ad essere compresa sotto <strong>il</strong> nome di Terra d'Otranto).<br />

La storia d'Italia nel periodo bizantino e longobardo<br />

<strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> mostra di conoscerla abbastanza bene. Curioso però<br />

<strong>il</strong> fatto che non ne citi mai le fonti: forse la sua cultura non<br />

arrivava fino a Paolo Diacono, ma Procopio probab<strong>il</strong>mente lo<br />

aveva letto. Quanto alla storia più recente, del '200 e '300, la<br />

conosce solo nelle grandi linee: nei particolari dimostra spesso<br />

molta incertezza; anche per quel che riguarda <strong>il</strong> Regno di Napoli.<br />

Neppur di essa cita le fonti: del resto farà lo stesso anche<br />

<strong>il</strong> Marciano, che generalmente è invece minuziosissimo per<br />

quel che riguarda la citazione degli autori di cui si vale. La<br />

leggenda narrava che Otranto avesse preso per insegna <strong>il</strong> mitico<br />

serpe che ogni notte saliva sulla torre del Faro a succhiar<br />

l'olio dalla lampada. Il <strong>Galateo</strong>, uomo serio e non incline alle<br />

« fabulae », ci tiene a metter le cose a posto: <strong>il</strong> fiume Idro aveva<br />

dato alla città <strong>il</strong> nome — adduce la testimonianza di Tolomeo —<br />

e l'insegna. Come chiamare <strong>il</strong> mare di Otranto, Adriatico o Jonio<br />

? Le opinioni degli autori classici sono divergenti: <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong><br />

ne enumera alcune, ma si stanca presto e se ne libera con una<br />

scrollata: « confusio nominum perturbat rerum scientiam.... Nos<br />

de nominibus non curemur, custodita rerum notitia » (3). Quel<br />

(1) In « latent » è da correggere, sulla fede dell'ottob. 1922, <strong>il</strong> « Luceriae<br />

» dell'ediz. bas<strong>il</strong>eense del 1558, da essa derivato in tutto le edizioni posteriori<br />

che la seguirono, compresa la leccese del 1867.<br />

(2) Coll. II, pag. 30.<br />

(3) Coll. II, pag. 39.


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III iP4u, inn Thi ir 11`111 `fri r<strong>il</strong>li'`I' 11 . 1 <strong>il</strong>liuhm,<br />

Dina Colucci - <strong>Antonio</strong> <strong>De</strong> <strong>Ferrariis</strong> <strong>detto</strong> <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> 241<br />

che non bisogna ignorare è l'eroica difesa di Otranto contro i<br />

Saraceni e <strong>il</strong> martirio degli Ottocento per la patria e per la<br />

fede. Anche questa è storia recente, ma chi ci bada? Nel semplice<br />

scultoreo racconto latino dell'umanista, essa attinge lo<br />

splendore dell'epopea. Compose <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> una storia della guerra<br />

d'Otranto? Forse sì, ma non possono esserne traduzione quei<br />

« Successi dell'armata turchesca nella città di Otranto nell'anno<br />

1480 e progressi dell'esercito ed armata condottavi da Alfonso<br />

ecc. », gabellati come tali dall'autore Giovati Michele Marziano,<br />

canonico otrantino W. La questione — molto complicata —<br />

che sorse sulla loro autenticità, e alla quale parteciparono anche<br />

<strong>il</strong> Muratori e <strong>il</strong> Gregorovius, fu riassunta da L. G. <strong>De</strong> Simone<br />

( 2). Alla bibliografia addotta da lui c'è da aggiungere un<br />

nome, quello di Armando Perotti, <strong>il</strong> quale, riconoscendo che l'operuccia<br />

del Marziano è una falsificazione e una raffazzonatura,<br />

fatta per esaltare qualche famiglia del luogo, rimpiangeva la<br />

perdita della storia composta « quasi certamente » dal geniale<br />

umanista: « Peccato:— ci rifaremmo la bocca e lo spirito leggendo,<br />

in quel suo forbito latino, <strong>il</strong> racconto vivo di cose vedute e<br />

sofferte » (3).<br />

Originale è l'esattissima descrizione del lago Limini. Ecco<br />

ricostruita con amore la storia di Roca e confutato l'errore di<br />

Tolomeo che la identificava con Lecce. Poco più oltre, l'accenno<br />

alla Specchia Gallone, ai « cumuli lapidum » e ai « cumuli ex<br />

terra », così frequenti nella regione salentina, è servito al Teof<strong>il</strong>ato<br />

per ricavarne la distinzione di tre tipi di Specchie esistenti<br />

o esistite iu tutta la Puglia: la « Specula », castello, fort<strong>il</strong>izio,<br />

tutta di nude pietre; la « Spelunca », Specchia dall'aspetto cavernoso;<br />

<strong>il</strong> « Tumulus », specchia funeraria di terra (4). Poi <strong>il</strong><br />

<strong>Galateo</strong> s'indugia intorno al porto di Brindisi, sagace opera<br />

della natura « ludentis et providae »: la malaria secondo lui vi<br />

si è sv<strong>il</strong>uppata in seguito allo spopolamento ed anche all'in-<br />

(1) Copertino, per DEVA 1583; Napoli appresso L. SCORIGGIO 1612; Lecce,<br />

Coll. XVIII, 1871.<br />

(2) E. AAR, op. cit., pag. 87 e segg.<br />

(3) Storia e storielle di Puglia. Bari, 1923, pag. 248.<br />

(4) C. TEOFILATO. Analisi e critica del passo galateano sulle Specchie. Nel<br />

Gazzettino, A. VII, n. 28, 13 luglio 1935.


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242 Rinascenza Salentina<br />

curia dei cittadini; ecco perché i greci non costruivano se non<br />

piccole città. <strong>De</strong>lla testimonianza di Guido di Ravenna e di alcuni<br />

fatti della storia recentissima si vale per documentare l'integrità<br />

e la fedeltà di quella regione, « quae non visi veris imperatoribus<br />

parere solita est » W. Un rapido schizzo di Oria,<br />

città montana, e poi subito anche per lei un ricordo di fortezza:<br />

la strenua resistenza opposta all'assedio spaguuolo. Eppure,<br />

i difensori erano pochi e le mura distrutte: questo dimostra che<br />

i regni e le città possono essere difesi solo dalle braccia degli<br />

uomini e non da torri e fossati. Avevano forse ragione gli spartani<br />

e torto Aristotele (notare questi continui riferimenti all'antica<br />

vita greca, molt~pportuni riguardo a un paese dove<br />

la tradizione greca era così viva): essi non vollero la loro città<br />

chiusa da mura, affinché i cittadini fossero sempre pronti a correre<br />

alle armi. Non altrimenti giudicavano gli antichi quando<br />

volevano che nulla si affidasse alla carta, per non divenir smemorati:<br />

ora è tanta la quantità e la voluminosità dei libri, che è<br />

impossib<strong>il</strong>e tenere a mente, nonché le parole degli autori, neanche<br />

i lor nomi. Egli non condanna i libri in sè stessi, ma l'« inanem<br />

immensitatem • di tutti i volumi che ogni giorno vengono<br />

alla luce, scritti solo per arroganza e per dar da mangiare ai<br />

tipografi; così, non condanna certo le fortificazioni, « sed hoc<br />

mihi semper persuasum velim, quod nostris malis didicimus:<br />

nih<strong>il</strong> nobis tot sumptus, tot munitiones profnisse, solamque eam<br />

arcem ( 2) tutissimam esse, quam valentes volentesque tutantur<br />

» (3). Ritorna ad Oria. Ecco Casalnuovo: ma più che la borgata<br />

a lui interessano le rovine sulle quali è sorta, e quelle di<br />

Baleso, coperte di primi, e qua e là le superstiti traccio della<br />

via Traiana. Poco discosto sorgeva la sua v<strong>il</strong>letta, ed ivi un<br />

giorno era corso a chiamarlo un contadino che, scavando un<br />

pozzo, aveva trovato tavolette di candido marmo: erano i resti<br />

di sontuosissime terme. A poche miglia ecco un altro centro di<br />

lavoro e di studio, già nel '500 squallido e deserto, « come tutto<br />

ciò clic viene iu potere dei principi dei sacerdoti »: <strong>il</strong> tuona-<br />

(1) Coll. II, pag. 53.<br />

(2) Così è da correggere l'« artem » delle edizioni dipendenti dalla basi<br />

leense.<br />

(3) Coll. II, pag. 56.<br />

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Dina Colucci - <strong>Antonio</strong> <strong>De</strong> <strong>Ferrariis</strong> <strong>detto</strong> <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> 243<br />

stero bas<strong>il</strong>iano « de Ceratis ». Un po' più oltre, ancora rovine:<br />

Rudiae, la patria di Ennio. Strabone dichiarava di occuparsi<br />

solo delle città fiorenti e popolose ai suoi tempi; <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> non<br />

approva: preferisce aver notizia di quel che un tempo fu grande<br />

ed ora le vicissitudini del tempo hanno coperto di solitudine e<br />

« Meglio credere alle menzogne, che non esistettero,<br />

degli antichi, che alla verità dei moderni; meglio seguir la negligenza<br />

di quelli, che l'oscura d<strong>il</strong>igenza di questi ».<br />

Evidentemente, <strong>il</strong> « <strong>De</strong> Situi Japygiae » è germogliato da<br />

uno stato d'animo pessimista. Il <strong>Galateo</strong> non ha più nessuna<br />

fiducia in quello che è pensiero e, quel che più importa, sentitnento<br />

moderno. Questo suo cercar le rovine non è soltanto<br />

un voler assegnare un blasone di nob<strong>il</strong>tà alla propria stirpe:<br />

esse prestano sopratutto un tranqu<strong>il</strong>lo rifugio alla sua meditazione<br />

tutta protesa verso <strong>il</strong> passato; costituiscono l'austero scenario,<br />

che i fantasmi delle lontane età sorgono a popolare. Se<br />

nel 1496 la Puglia gli sembrava un es<strong>il</strong>io e la mente irrequieta<br />

rimpiangeva la spiaggia ridente di Mergellina e Pos<strong>il</strong>lipo, ora<br />

la vita nella capitale non gli fa più gola: non ci si troverebbe<br />

più. Cadute le speranze in un ritorno degli aragonesi, cadute<br />

quelle in Ferdinando <strong>il</strong> Cattolico, cadute anche quelle in Giulio<br />

II, dal quale <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> si attendeva molto più di quel che<br />

i tempi e <strong>il</strong> carattere e gl'intendimenti del della Rovere consentissero,<br />

l'orizzonte politico dell'umanista torna a restringersi,<br />

a raccogliersi intorno a quel lembo di terra italo-greca,<br />

donde un tempo la sua giovinezza aveva spiccato <strong>il</strong> volo verso<br />

<strong>il</strong> gran sogno di restaurazione imperiale romana. Ora al suo animo<br />

in ascolto parla con voce più intima e suadente la poesia<br />

della solitaria campagna salentina, dove l'aratro urta contro<br />

gl'ipogei messapici, dove l'elce e l'ulivo stormiscono intorno ai<br />

megaliti m<strong>il</strong>lenari, dove la terra custodisce con egual cura amorosa<br />

i semi delle messi e le arg<strong>il</strong>le e i bronzi della protostoria.<br />

Difendere i miseri avanzi del patrimonio di grecità ereditato<br />

dagli avi: ecco adesso <strong>il</strong> suo ideale. Il tono un po' agro che<br />

adopera verso i « principes sacerdotum » forse deriva anche da<br />

questo, che alcuni « circumforanei mendicantes latini » — quegli<br />

stessi che tanto spesso nelle sue opere ha accusato d'ipocrisia<br />

— avevano perseguitato i sacerdoti cattolici di rito greco,<br />

sollevando una lunga disputa intorno alla questione del pane<br />

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244 Rinascenza Salentina<br />

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azimo e fermentato, questione che si era finito col portare a<br />

Roma (1). L'appassionata difesa della grecità culmina in uno<br />

sfogo, che a dir vero non ci aspetteremmo: — O Spinello, io mi<br />

vergogno d'esser nato in Italia. Ls Grecia perì per vecchiaia<br />

e per avversa fortuna, l'Italia per sua deliberazione e per le<br />

sue discordie. L'una e l'altra servono agli stranieri, questa spontaneamente,<br />

quella costrettavi. La Grecia spesso liberò l'Italia<br />

dalla schiavitù dei barbari, l'Italia permise che la Grecia servisse<br />

ai barbari. « Sed nos sedermi] nostrornm poenas luimus<br />

luemusque; nam nostra mala, ut vidimus, nondum ad summum<br />

pervenere. Non sit verbo omen; dico non quod volo, sed quod<br />

sentio » (2). E' questa sul serio una rinnegazione dell'Italia Anche<br />

<strong>il</strong> Gothein giudicava di no. Chi conosca qual fremito di<br />

italica fierezza abbia avvivato l'opera del <strong>Galateo</strong>, comprenderà<br />

quale affetto doloroso si nasconda sotto le parole sdegnose.<br />

Andiamo avanti nell'itinerario japigio. Dopo aver rivendicato<br />

a Rudie di Lecce — identificata per mezzo delle iscrizioni scoperte<br />

in quel territorio — <strong>il</strong> vanto di aver dato i natali a Quinto<br />

Ennio (adesso, dopo qualche incertezza, si è !tornati all'opinione<br />

del <strong>Galateo</strong>) si passa a Lecce. L'autenticità del nome Lupiae è<br />

dimostrata sulla scorta di un'iscrizione vista a Napoli in Santa<br />

Maria della Libra e riportata per intero: si deve riconoscere<br />

che <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> è stato uno dei primi a ricercar fonti epigrafiche,<br />

onde servirsene nella ricostruzione della storia del suo paese.<br />

Poco più oltre, però, afferra un granchio: attribuisce l'anfiteatro<br />

romano di Lecce (gli « arens, cuniculi, forniees .) e le circostanti<br />

costruzioni antiche a Idomeneo, anzi agli antichi Japigi e a<br />

Mallennio. Però <strong>il</strong> <strong>De</strong> <strong>Ferrariis</strong> ha viste chiaramente due cose:<br />

che Japigi e Messapi avevano un'identica origine etnica, e che<br />

questa non era greca (3). Inoltre, egli afferma che la tradizione<br />

poetica che fa risalire le colonie greche del Salento a Idomeneo,<br />

re di Creta, è confermata indirettamente da Aristotele, che<br />

assegna ai Cretesi <strong>il</strong> dominio delle isole greche e di tutto l'Egeo.<br />

Le fonti antiche che fanno menzione di Lecce — Plinio, Stra-<br />

(1) Coll. II, pag. 89.<br />

(2) Ivi, pag. 82.<br />

(3) Coli. II, pag. 66.


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Dina Colucci - <strong>Antonio</strong> <strong>De</strong> <strong>Ferrariis</strong> <strong>detto</strong> <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> 245<br />

bone, Tolomeo sono discusse con molta accortezza; per descriver<br />

le condizioni di Lecce nel Medio Evo son citate le brevi<br />

esatte righe di Guido di Ravenna. Originale è la vivace e abbastanza<br />

particolareggiata descrizione della campagna leccese,<br />

della città e del caratteristico materiale da costruzione. Nello<br />

schizzo di storia leccese sotto i Normanni, gli Svevi, i Brienue,<br />

gli Enghien e gli Orsini, c'è al solito qualche inesattezza: Tancredi<br />

è <strong>detto</strong> nipote di Roberto <strong>il</strong> Guiscardo, mentre era pronipote<br />

di quel Ruggero incoronato re di Sic<strong>il</strong>ia nel 1130, del<br />

quale Roberto <strong>il</strong> Guiscardo era zio. Gualtiero VI di Brienue è<br />

confuso con Ugo, suo avo, nominato conte di Lecce da Carlo<br />

d'Angiò. Maria d'Enghien è fatta nipote di Gualtiero VI per<br />

parte (li una figlia, mentre lo era per parte di una sorella, e <strong>il</strong><br />

<strong>Galateo</strong> racconta ch'ella ricuperò <strong>il</strong> teschio di Gualtiero VI e<br />

lo fece seppellire nella Cattedrale di Lecce, mentre invece si<br />

trattava (li Gualtiero V (1). Il <strong>Galateo</strong> pone in r<strong>il</strong>ievo l'attaccamento<br />

conservato da tutte queste città salentine agli aragonesi.<br />

La ragione è evidente: scriveva a un gent<strong>il</strong>uomo che i d'Aragona<br />

avevano favorito ed innalzato, ed egli stesso, del resto, ancora<br />

dopo la caduta della dinastia, aveva continuato ad essere assistito,<br />

con mecenatismo se non lauto simpatico, dalla vedova e<br />

dalla sorella di Ferdinando II.<br />

Ecco S. Pietro in Galatina: città nuova « sed honestis civibus<br />

culta »Al <strong>Galateo</strong>, da uomo pratico, ne loda la posizione<br />

centrale, adatta ai commerci. Ecco la contrada di Muro, disseminata<br />

degli avanzi delle mura messapiche: quanto alla città<br />

che esse circondavano, • aut aratur aut olivis et <strong>il</strong>icibus obumbratur<br />

» (2). Ecco i sepolcri di Vaste e l'iscrizione misteriosa che<br />

egli a ragione giudica senz'altro, per primo, messapica: la ricopia<br />

accuratamente e l'inserisce nel suo manoscritto: « Solae enim<br />

hae reliquiae sunt tam longae vetustatis ». Dopo un breve accenno<br />

alle rovine di Montesardo e Vereto, ad Ugento, città vescov<strong>il</strong>e,<br />

e al suo Ninfeo, ci conduce finalmente alla sua Calatone.<br />

Per quanto <strong>il</strong> nome sembri accennare ai Galati dell'Asia,<br />

egli insiste sull'origine tessalica della città. Da lui attingiamo<br />

(1) BRIGGS: Nel Tallone d'Italia. Lecce, 1913, pag. 115-170.<br />

(2) Coll. II, pag. 76.


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24(i Rinascenza Salentina<br />

notizia della guerra che si svolse tra i vicini v<strong>il</strong>laggi di Calatone<br />

e Fulciguano — ambedue di origine greca — portandoli a<br />

fondersi in una sola borgata. Ecco la descrizione id<strong>il</strong>liaca del<br />

patrio « ager apricus semper vernans fioribus » e, a proposito<br />

della caratteristica produzione del croco, la questione — in cui<br />

forse c'è la rimembranza di un passo delle Georgiche — se tutto<br />

ciò che ora è sativo sia stato un giorno selvaggio. Il padre del<br />

<strong>Galateo</strong> aveva preso parte alla guerra tra <strong>il</strong> Cablora e Giovann'<strong>Antonio</strong><br />

Orsini, parteggiando per la regina Giovanna, come<br />

tutti i galatonesi: qui è riportata la lettera che, dopo la vittoria<br />

dell'Orsini, egli mandò dall'es<strong>il</strong>io al suo antico avversario.<br />

La lettera non c'entrebbe col fine principale del • <strong>De</strong> Situ Japigiae<br />

», ma è un capolavoro di dignitosa e magnanima apologia<br />

e si capisce come <strong>il</strong> nostro <strong>Galateo</strong> non potesse rinunziare<br />

ad inserirvela. Tra i vari nomi latini di Nardò, egli ritiene<br />

autentico quello di « Neritum », per la testimonianza di<br />

una lapide scoperta in territorio leccese. E' da notare la menzione<br />

(lei fenomeni carsici nell'agro lievitino. I fantasmi che <strong>il</strong><br />

popolo credeva di veder sorgere dalle paludi di Nardò e dai<br />

campi di Mauduria e Copertino sono accomunati in un sol disprezzo<br />

con tutte le altre superstiziose credenze, antiche e moderne,<br />

orientali e occidentali, di streghe, vampiri, larve, ecc., e<br />

attribuiti a deliri della stolta mente umana. Il <strong>Galateo</strong> è <strong>il</strong> primo<br />

a spiegare con la teoria della riflessione, delle cui leggi ha<br />

una visione chiara, <strong>il</strong> fenomeno della Fata Morgana, che aveva<br />

fatto talvolta impazzir dal terrore le popolazioni marittime pugliesi,<br />

presentando loro dall'oriente l'avvicinarsi di innumerevole<br />

flotta turca. A lui, infine, siamo debitori di quel poco che<br />

sappiamo intorno all'antica scuola greca di Nardò, <strong>il</strong> maggior<br />

centro di studi della regione per tutto <strong>il</strong> Medio Evo e buona<br />

parte del Rinascimento. La testimonianza dell'umanista riguardo<br />

a Nardò e all'abbazia casolana, insieme con quella dei numerosissimi<br />

codici greci di Puglia sparsi per <strong>il</strong> mondo ci per-.<br />

mettono di correggere, per quel che si appartiene al Salento,<br />

<strong>il</strong> giudizio dello Zabughin, che cioè <strong>il</strong> Mezzogiorno, la terra più<br />

(1) Cfr. VACCARI. La Grecia nell'Italia Meridionale. Studi letterari e bibliografici.<br />

In Orientalia Chrisliana. III, 19'25, 3.


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Dina Colucci - <strong>Antonio</strong> <strong>De</strong> <strong>Ferrariis</strong> <strong>detto</strong> <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> 247<br />

classica fra le regioni (l'Italia, nulla abbia dato, tranne Barlaamo<br />

e Leonzio P<strong>il</strong>ato, per la cultura ellenica dell'occidente (1).<br />

Con un saluto affettuoso alla città che aveva educato e protetto<br />

la sua adolescenza, <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> chiude la piccola opera.<br />

Il « <strong>De</strong> Situ Japygiae », data la sua originalità, costituisce<br />

una fonte preziosa per la conoscenza geografica e storica di<br />

Terra d'Otranto. Non c'è stato in seguito corografo di questa<br />

regione che abbia potuto prescinderne. Dopo <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong>, Girolamo<br />

Marciano fu <strong>il</strong> secondo a occuparsi di corografia salentina<br />

nei suo <strong>De</strong>scrizione, origine e successi della provincia di<br />

Terra d'Otranto » ( 2 ). Scorrendo <strong>il</strong> volume, si trova spesso citato<br />

l'umanista di Galatone: talvolta -- anche — <strong>il</strong> Marciano attinge<br />

da lui senza citarlo. Dal <strong>Galateo</strong> derivano, fra l'altro, le considerazioni<br />

malinconiche sull'antico splendore della Japigia e sull'incostanza<br />

della fortuna (p. 2 e segg.); egli è citato come fonte<br />

per la storia del Santuario di S. Pietro della Vaglia (pp. 85-86):<br />

alle misure da lui date è prestata maggior fede (pp. 138-139),<br />

sua è l'asserzione che la natura del paese influisca sulla natura.<br />

degli abitanti e che dalla temperie del clima derivi quella dei<br />

costumi (p. 143); sua la spiegazione assegnata al fenomeno delle<br />

« mutate » (p. 201); è citato ancora a proposito della sorgente<br />

sulfurea di Santa Maria presso Nardò (p. 359) e della battaglia<br />

fra gallipolini e veneziani (p. 364); è riportato quant'egli aveva<br />

scritto intorno a Leuca, alle grotte di S. Cesarea, a Vadisco,<br />

al monastero di Casole, al lago della Limbi:, a Rocca, al castello<br />

di S. Cataldo, alle Specchie (pp. 366-67, 375-78, 385, 394-<br />

95, 397-98), a Manduria, ai fenomeni carsici, alle rovine di Baleso,<br />

al Cenobio di Cerrate (pp. 460, 464, 466, 468), a Nardò (pagina<br />

483 e segg.). Anche se non è citato appare l'influenza dell'opuscolo<br />

del <strong>Galateo</strong> nella descrizione del porto di Brindisi e<br />

della chiusura fattane da G. A. Orsiní (p. 398 e segg.) e in quella<br />

della campagna galatonese (pp. 489-90). Nel capitolo 20° del libro<br />

IV (pp. 491-93) si parla di lui, col solito miscuglio di notizie<br />

esatte e inesatte (<strong>il</strong> Marciano lo fa vivere dal 143i al 1530 !).<br />

Lo cita ancora a proposito di Ugeuto, Vaste, Montesardo, Ga-<br />

(1) V. ZABUGHIN. Chiaroscuri umanistici. Roma, 1910.<br />

(2) Napoli, 1855.


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248 Rinascenza Salentina<br />

latina, Soleto, e della storia più antica di Lecce (pp. 494-501,<br />

513). Sulla sua fede dichiara falso (mentre invece è vero) quanto<br />

avevano scritto Matteo V<strong>il</strong>lani e Peregrino Scardino intorno<br />

alla morte di Gualtiero di Brienne duca d'Atene (p. 538). A<br />

p. 29 è l'iscrizione in lettere messapiche riportata dal G. nel<br />

<strong>De</strong> Situ Japygiae. Talvolta <strong>il</strong> Marciano si discosta dall'opinione<br />

del <strong>Galateo</strong>; ritiene ad esempio che Cesarea sia stata distrutta<br />

non dai gallipolini, ma dai goti e saraceni (p. 358); e che Gallipoli<br />

sia stata fondata non dai Greci, ma dai Galli Senoni, come<br />

voleva Plinio (p. 360). Ma per gli studiosi moderni <strong>il</strong> libretto<br />

dell'umanista è molto più pregevole della voluminosa opera dell'erudito<br />

del '600. Il vero e proprio contributo originale da quest'ultima<br />

arrecato alla conoscenza geografica e storica di Terra<br />

d'Otranto non è molto più grande: tutt'altro. Nell'opera del<br />

Marciano sovrabbondano le pagine di carattere generale (che<br />

ci stanno a fare col Salento le lunghe esposizioni di storia<br />

cretese, greca, romana, bizantina, longobarda, normanna ecc.<br />

ecc. ? e l'elenco di tutte le divinità pagane ? e le lunghe favole<br />

mitologiche ? e la descrizione dello sposalizio del mare a Venezia<br />

l) sì che in essa appare raccolto tutto quel che <strong>il</strong> Marciano<br />

aveva letto, in qualsiasi libro, su qualsiasi argomento. E' un<br />

ammasso di erudizione che sgomenta, e nel quale è diffic<strong>il</strong>issimo<br />

rintracciare quello che ancora può riuscirci ut<strong>il</strong>e. Le fonti<br />

sono citate l'una appresso all'altra, a decine: molte, anche se<br />

l'autore non lo dice, devono essere di seconda mano.<br />

Incredib<strong>il</strong>e la fac<strong>il</strong>ità con cui sono accostati scrittori per età,<br />

educazione e temperamento diversissimi. C'è talvolta un tentativo<br />

di mantenersi indipendente, di sceverar nel mucchio delle<br />

testimonianze quel ch'è vero o probab<strong>il</strong>e; c'è qualche vivace giudizio<br />

critico, come quando <strong>il</strong> Marciano scrive, per esempio, che<br />

Dionigi d'Alicarnasso « va stiracchiando la storia al suo immaginario<br />

pensiero » Ma sono rare fav<strong>il</strong>le; in generale <strong>il</strong> discernimento<br />

critico è molto inferiore a quello del <strong>Galateo</strong>. Ci si diverte<br />

a vedere la serietà con cui <strong>il</strong> Marciano espone le tradizioni mitologiche<br />

intorno all'origine delle diverse città e dedica un intero<br />

capitolo (<strong>il</strong> 45° del 1. III) a quella « profezia (li S. Cataldo<br />

(1) Op. cit., p. 22.


31.<br />

3-<br />

•<br />

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Dina Colucci - <strong>Antonio</strong> <strong>De</strong> Perrariis <strong>detto</strong> <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> 249<br />

ritrovata nel tempo di Ferdinando I d'Aragona », in massima<br />

buona fede, senza dubitare neanche un tantino della sua autenticità.<br />

Il <strong>De</strong> Situ Japygiae è un piccolo capolavoro, cui l'organicità<br />

della materia rivissuta dall'animo dell'autore, da lui<br />

dominata e riplasmata a suo bell'agio, e la suggestività della<br />

limpida forma latina conferiscono un sapore quasi classico (i);<br />

la « <strong>De</strong>scrizione, origini, ecc.» è una comp<strong>il</strong>azione farraginosa<br />

dalla quale la personalità dell'autore non emerge che a fatica.<br />

Lo spirito che guidava <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> nel suo amoroso pellegrinaggio<br />

attraverso la terra salentina è tornato a rivivere invece,<br />

dopo tre secoli, in uno studioso dell"800, Cosimo <strong>De</strong> Giorgi.<br />

Nella vasta sua opera, condotta per oltre cinquant'anni, di <strong>il</strong>lustrazione<br />

del Salento, più volte <strong>il</strong> <strong>De</strong> Giorgi si è riferito al<br />

<strong>Galateo</strong>, citandolo come fonte preziosa ed esatta. Ma chi scorra<br />

i due volumi dei « Bozzetti di viaggio », qualificati dall'autore<br />

come « terzo censimento dei monumenti di terra d'Otranto - (2)<br />

e gli altri due della « Geografia fisica e descrittiva della Provincia<br />

di Lecce» resterà sopratutto colpito dall'affinità spirituale<br />

che lega <strong>il</strong> medico e geografo umanista del secolo XV al<br />

medico e geografo del secolo XIX ( 3): la stessa carità patria —<br />

<strong>il</strong>luminata e non anuegantesi nel gretto campan<strong>il</strong>ismo — lo stesso<br />

sagace spirito d'osservazione, la stessa versat<strong>il</strong>ità o genialità di<br />

cultura, lo stesso equ<strong>il</strong>ibrio, lo stesso buon senso, la stessa vena<br />

arguta e spigliata; è, insomma, <strong>il</strong> fiore di quel tipo eclettico<br />

salentino quale si è costituito e selezionato nei m<strong>il</strong>lenni attraverso<br />

<strong>il</strong> succedersi delle razze.<br />

Ed ora, alcuni particolari intorno alla storia esterna del<br />

<strong>De</strong> Situ Japygiae. Anzitutto è proprio vero quel che asseriva<br />

<strong>il</strong> Giustiniani (4), che cioè l'edizione bas<strong>il</strong>eense del 1558 (quella<br />

del 1553, di cui parlano <strong>il</strong> <strong>De</strong> Angelis e <strong>il</strong> Soda è irreperib<strong>il</strong>e<br />

e forse non è mai esistita) è stata più tardi contraffatta. <strong>De</strong>l-<br />

(1) Cfr. P. Giovi°. Elogia veris clarorum virorum imaginibus apposita.<br />

Venezia, 1546, pag. 70.<br />

(2) Op. c<strong>il</strong>., pag. XVII.<br />

(3) Cfr. C. COLAMON►CO, Cosimo <strong>De</strong> Giorgi. In Rivista Storica Salentina,<br />

XIII, fol. 11-12.<br />

(4) Saggio storico-critico sulla topografia del Regno di Napoli. Napoli,<br />

1793, pag. 174.


•<br />

250 Rinascenza Salentina<br />

l'edizione vera, tipograficamente molto migliore, si possono vedere<br />

due copie nella Biblioteca Nazionale di Roma (segnate rispettivamente<br />

6-9-F-32 e 12-17-1-9-2, provenienti l'una dalla biblioteca<br />

dei Gesuiti del Collegio romano, e l'altra da quella (lei<br />

Cappuccini). <strong>De</strong>lla falsa, diverse copie sono disseminate nella<br />

Provinciale di Lecce, nella Nazionale di Roma, nella Vaticana,<br />

nella Casanatense, ecc. Le differenze fra le due edizioni — lievissime<br />

e riguardanti <strong>il</strong> frontespizio, <strong>il</strong> formato, la numerazione<br />

delle pagine, la ripresa delle parole, l'errata corrige — son quelle<br />

segnalate dal Giustiniani. Quanto al testo, l'edizione falsa riproduce<br />

esattissimamente la vera. Dove e quando fu compiuta<br />

questa contraffazione l Secondo <strong>il</strong> Giustiuiani, a Lecce. E' probab<strong>il</strong>e.<br />

Le copie che se ne trovano nella Vaticana, appartengono<br />

al fondo Barberiniano: poichè <strong>il</strong> Card. Francesco Barberini, fondatore<br />

della Biblioteca, tra gli altri suoi innumerevoli corrispondenti<br />

che gli raccoglievano materiale in ogni parte d'Italia,<br />

aveva pure S<strong>il</strong>vio Arcudi di Galatina (morto nel 1646: la<br />

biblioteca provinciale di Lecce possiede, fra i ms. galateani<br />

parecchie copie di sua mano), forse fu proprio questi a inviargli<br />

le opere del <strong>Galateo</strong> stampate e manoscritte W. Allora, la contraffazione<br />

(lel <strong>De</strong> Situ Japygiae di Bas<strong>il</strong>ea si potrebbe ritenere<br />

anteriore al 1650.<br />

Poi c'è un'altra questione. Giovan Bernardino Tafuri nella<br />

prefazione alla sua edizione leccese del <strong>De</strong> Situ Japygiae del<br />

1727 ( 2) accusava <strong>il</strong> primo editore dell'opuscolo, Giovan Bernar-<br />

(lino Bonifacio marchese di Oria, di avervi inserito delle frasi<br />

contrarie alla Chiesa Cattolica, che non si trovavano nei MISS.<br />

dell'autore, e dichiarava che, sulla fede di questi, avrebbe restituito<br />

la lezione alla pristina integrità, come aveva già fatto<br />

<strong>Antonio</strong> Scorrano, curando l'edizione napoletana del 1624. I<br />

passi incriminati nell'ediz. di Bas<strong>il</strong>ea sono i seguenti:<br />

1. — p. 24: Praecepit Petro dominus noster, ut arma conderet,<br />

quamvis <strong>il</strong>le nunc nescio quomodo aut quibus artibus rerum<br />

potitus, arma stringere ac bella exsuscitare tam prompte<br />

(1) Barberiniano è <strong>il</strong> ms. del <strong>De</strong> nob<strong>il</strong>itate (app. n. 2, p. XI e segg.).<br />

(2) Riprodotta da M. TAFURI, Op. cit.. pp. 9-10.


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Dina Colucci - <strong>Antonio</strong> <strong>De</strong> <strong>Ferrariis</strong> <strong>detto</strong> <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> 251<br />

assuetus est: atque ea, quae <strong>De</strong>i, cum iis, quae Caesaris erant<br />

con iu nxi t.<br />

2. — p. 35: Exewplo nobis sunt principes sacerdotum, quibus<br />

dum pauperes erant, satis fuerant oluscula et pisciculi<br />

nunc nee, terrae nec maria eorum gulae ac libidini sufflciunt.<br />

3. — p. 35: Nec non et nos christiani, ut dixi, dum pauperes<br />

et mendici fuimus, pio iusteet sarete diximus: et postquam<br />

res ehristiana ad tantas devenit opes, in apicem vitiorum ascendimus,<br />

nec habemus quo ulterius progrediamur.<br />

4. — p. 77: .... mine paeue desertum est monasterium, ut<br />

et caetera omnia, quae in potestatem Principum sacerdotuw<br />

deveniunt.<br />

Nell'ediz. del 1624, curata dallo Scorrano, <strong>il</strong> primo e <strong>il</strong> secondo<br />

passo mancano, nel terzo ali'• ut dixi » è sostituito un<br />

« (bonorum pace) »; nel quarto al « princípum sacerdotum » è<br />

sostituito un « principum iniquoriun ». Nella ediz. leccese del<br />

1727, curata dal Tafuri, <strong>il</strong> primo, <strong>il</strong> secondo e <strong>il</strong> terzo brano<br />

sono saltati; <strong>il</strong> quarto invece si trova a pag. 85 tale e quale come<br />

nell'ediz. di Bas<strong>il</strong>ea. Il D e Si tu J a p i g i a e curato e annotato<br />

dal Tafuri fu inserito nella « Raccolta d'opuscoli scientifici<br />

e f<strong>il</strong>ologici » del Calogerà ivi mancano tutti i quattro<br />

brani su riferiti e i tagli sono praticati ancora in modo diverso.<br />

L'edizione curata dal Giordano (2) pur recando <strong>il</strong> « Cum superiorum<br />

lieentia » come le tre precedenti edizioni italiane, riproduce<br />

integralmente quella di Bas<strong>il</strong>ea che era stata intanto seguita<br />

anche dal Burmann (3). Michele Tafuri ristampando <strong>il</strong> <strong>De</strong><br />

Situ Japygiae ( 4 ) seguì <strong>il</strong> Giordano. Il Grande ( 5) seguì M. Tafuri.<br />

<strong>De</strong>i manoscritti vaticani, <strong>il</strong> Barber. 2443 riproduce integralmente<br />

l'edizione di Bas<strong>il</strong>ea, compresa la dedica del Bonifacio<br />

(1) Venezia 1732, T. VII, pp. 29-205.<br />

(2) <strong>De</strong>lectus scriptorum rerum neapolitanarum ecc. Napoli 1735, pagine<br />

581-644.<br />

(3) Thesaurus antiquitatum et historiarurn Italiae. Lugduni Batavorum<br />

1723, T. IX, p. V.<br />

(4) Le opere di Angelo ecc., pp. 25-89.<br />

(5) Coll. cit., II, pp. 3-39.


3- •<br />

J<br />

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252 Rinascenza Salentina<br />

allo Zorzi. Il Regin. 1370 e l'Ottobon. 1922 rappresentano due<br />

tradizioni diverse, delle quali quella del secondo è la migliore.<br />

Il Reginense, che è scorrettissimo, manca soltanto del terzo<br />

brano, comprese le tre o quattro righe che seguono, fino a « Spinelle,<br />

vir excellentis ecc. •; l'Ottoboniano è completo, ma i quattro<br />

brani in cui si son voluti vedere degli attacchi alla Chiesa<br />

Cattolica sono segnati in margine con una crocetta. Insomma,<br />

dal confronto tra le varie edizioni e i manoscritti che ho potuto<br />

esaminare, mi sembra (li poter concludere che l'edizione<br />

di Bas<strong>il</strong>ea è fedele alla versione originale del <strong>De</strong> Situ Japygiae<br />

e che le edizioni dello Scorrano e di G. B. Tafuri sono invece<br />

espurgate, secondo l'uso corrente a quei tempi. Quanto ai manoscritti<br />

originali di cui si sarebbe servito <strong>il</strong> Tafuri, credo che non<br />

ci sia da prestargli fede.<br />

Quando si accinse alla sua opera corografica, <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong><br />

aveva già scritto anche diversi opuscoli di geografia generale:<br />

<strong>il</strong> « <strong>De</strong> Si tu elemeiitorum » sulla questione del dislivello fra la<br />

terra emersa e le acque; <strong>il</strong> « <strong>De</strong> Situ terrarum » sull'altra questione<br />

della permanenza della terra emersa e degli oceani; <strong>il</strong><br />

« <strong>De</strong> mari et aquis », dove espone la sua caratteristica opinione<br />

— che sarà poi ripresa dal Telesio (1) — delle alte temperature<br />

negli strati profondi dell'oceano, e <strong>il</strong> « <strong>De</strong> fluviorum origine »,<br />

dove si sostiene che questo calore marino è causa dell'ascendere<br />

sui monti (lei vapori contenuti nelle cavità della terra. Le<br />

idee geografiche del <strong>Galateo</strong> non sono nuove: sono attinte quasi<br />

tutte da Tolomeo e da Aristotele, dagli Arabi e dagli Scolastici.<br />

Ma egli non le accettava supinamente: amava discuterci<br />

su col solito buon senso e vedere se fossero o no confermate<br />

dalle esperienze dei navigatori moderni. Alla corte aragonese<br />

si era un po' tutti geografi ( 2): accadeva che <strong>il</strong> principe Federico,<br />

ammiraglio della flotta, si fermasse davanti ad una carta<br />

geografica a ragionar con l'Acquaviva e col conte di Potenza<br />

degli antichi cataclismi che un giorno avevano sconvolto l'uni-<br />

(1) R. ALMAGIA. Le dottrine geofisiche di B. TELESIO. -- Sta in: Scritti<br />

di geografia e di storia della geog. pubblicati in onore di GIUSEPPE DALLA<br />

VEDOVA. Firenze 1908, p. 371.<br />

(2) Cfr. A. Bmussics: La geografia alla Corte aragonese in Napoli. Roma,<br />

1897.


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Dina Colueei - <strong>Antonio</strong> <strong>De</strong> <strong>Ferrariis</strong> <strong>detto</strong> <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> 253<br />

verso, della favolosa Atlantide e delle isole scoperte recentemente<br />

dagli spagnuoli. Il <strong>Galateo</strong> prendeva parte anch'egli ai<br />

conversari, riflettendo malinconicamente che quelle felici popolazioni,<br />

rimaste fino ad allora nella semplicità primigenia, avrebbero<br />

appreso tutti i vizi della nostra civ<strong>il</strong>tà, e poi mandava al<br />

suo Saunazzaro un brioso resoconto della discussione. Talvolta<br />

anch'egli, ut<strong>il</strong>izzando <strong>il</strong> ricco materiale cartografico posseduto<br />

dalla biblioteca aragonese, si metteva a disegnar piccole carte<br />

geografiche, che poi regalava a qualche amico che si accingesse<br />

a un viaggio W. Le sue cognizioni geografiche sono state studiate<br />

in accurate monografie, alle quali non ho proprio nulla da aggiungere;<br />

mi limito quindi a riportare <strong>il</strong> giudizio — definitivo —<br />

dell' Almagià: «II <strong>Galateo</strong>, uomo di mente equ<strong>il</strong>ibrata, ricco<br />

di buoni studi, non più impegolato — come ancora al tempo<br />

suo alcuni dotti all'antica — nelle pastoie della scolastica, ma<br />

non sprofondato a capofitto — come tanti umanisti suoi contemporanei<br />

-- nello studio dell'antichità, forma un ponte di passaggio<br />

fra le idee vecchie e le nuove tendenze, e si segnala per<br />

<strong>il</strong> retto discernimento, e, fin dove lo permetteva allora lo stato<br />

della scienza, per accuratezza di vedute • e per d<strong>il</strong>igenza d'indagine<br />

» (5).<br />

Lo stesso sagace buon senso è da notare nell'opera del <strong>Galateo</strong><br />

come medico. Nella seconda metà del '400, sotto l'influenza<br />

dello spirito dell'Umanesimo, passava nelle vecchie facoltà di<br />

medicina delle famose università italiane un alito rinnovatore<br />

(3): <strong>il</strong> nostro <strong>Galateo</strong> non fu un arretrato. <strong>De</strong>i suoi numerosi<br />

opuscoli di medicina non ci resta che <strong>il</strong> « <strong>De</strong> Podagra »: perduto<br />

<strong>il</strong> « <strong>De</strong> eucrasia sive de bono temperamento » e l'« In Aphorismos<br />

Ippocratis Expositio » che sarebbe interessante possedere<br />

per studiarvi che cosa l'umanista italiano seppe aggiungere all'opera<br />

omonima dell'arabo Mosè Maimouide — che <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong><br />

conosceva — la quale aveva costituito dal '200 al '400 <strong>il</strong> fondamento<br />

della letteratura igienica italiana. Il <strong>Galateo</strong>, che in difesa<br />

della grecità aveva già combattuto altre battaglie, fu un<br />

(1) Cfr. A. BLEssicii: Le carte geografiche di A. DE F. <strong>detto</strong> <strong>il</strong> GALATEO.<br />

In Riv. Geog. Ital., III, 1906, 80.<br />

(2) R. ALMAGIÀ: Le opinioni e le conoscenze geografiche di A. DE F. p. 463.<br />

(3) A. CASTIGLIONI: Storia della medicina. M<strong>il</strong>ano 1927, p. 402.


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254 Rinascenza Salentina<br />

fervido seguace del movimento che mirava a liberare la medicina<br />

dalla tutela araba per ricondurla studio dei grandi<br />

Greci. Plinio e Celso, nella seconda metà del '400, erano gli più<br />

stimati e letti: egli studiava l'uno e l'altro, come studiava anche<br />

gli arabi, gli scolastici e i recentissimi, perchè era (l'avviso che<br />

la scienza medica dovesse avere per confini gli stessi confini<br />

dell'universo e « omnia legenda sunt ita ut multa sit et multorum<br />

lectio, et ut nih<strong>il</strong> contemnendum, sic et nih<strong>il</strong> temere eredendum<br />

» (1). Leggeva, e da ogni libro sceglieva quel grano di<br />

verità che vi fosse rinchiuso. Però, si orientò decisamente verso<br />

i luminari della scuola greca: e mentre per tutto <strong>il</strong> Medio Evo<br />

e i primi secoli dopo <strong>il</strong> M<strong>il</strong>le la base teorica all'esercizio della<br />

medicina era stata fornita dal sistema galenico, favorito dagli<br />

Scolastici, egli, pur inchinandosi all'autorità di Galeno, fu l'antesignano<br />

di un ritorno ad Ippocrate. Il nome del vecchio di<br />

Coo è « numen » per lui: Ippocrate è <strong>il</strong> « futuri praescius vates<br />

» i cui Aforismi sono oracoli di <strong>De</strong>lfo ( 2 ). Alla tempra geniale<br />

dell'intelletto del <strong>Galateo</strong>, educato alla larga speculazione<br />

f<strong>il</strong>osofica, era più consona la concezione biologica e cosmica di<br />

Ippocrate che quella morfologica ed analitica di Galeno. II post<strong>il</strong>lato<br />

galateano che fa derivare dal clima di una regione la<br />

disposizione fisica e morale degli abitanti dipende dal tentativo<br />

ippocratico di mettere in relazione diretta i fatti del micro e<br />

del macrocosmo. Proprio da quest'idea partiva <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> per<br />

concludere che nelle nostre regioni occidentali non si possono<br />

adottare i rimedi proposti dai medici arabi, e che conviene seguire<br />

invece i greci, cresciuti in una regione così sim<strong>il</strong>e alla<br />

nostra.<br />

A genialità ippocratica era improntato <strong>il</strong> suo metodo: « Non<br />

enim videntur medici ex libris fieri • dichiarava nel <strong>De</strong> Podagra<br />

(3 ). « Operari secundum libros absque perfecta razione et<br />

solerti ingenio molestum est » (4). Il bravo medico, secondo lui,<br />

deve possedere una larga cultura, ma sopratutto uu intuito rapido<br />

e sicuro, e deve saper cogliere l'attimo breve, quella che<br />

(1) DE PODAGRA: C011. III, p. 275, p. 92.<br />

(2) <strong>De</strong> gloria contemnenda, Coll. III.<br />

(3) Coll. III, p. 228.<br />

(4) Ivi, p. 214.


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<strong>il</strong><strong>il</strong>i,<br />

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Dina Colucci - <strong>Antonio</strong> <strong>De</strong> <strong>Ferrariis</strong> <strong>detto</strong> <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> 255<br />

Ippocrate chiamava « opportunitas acuta ». E' frequente <strong>il</strong> caso<br />

che <strong>il</strong> <strong>Galateo</strong> interrompa la sua serie di consigli per esclamare<br />

che « haec omnia melins factis monstrantur quam dictis »: c'è<br />

nn « quid » che sempre sfugge al teorico che traccia ricette seduto<br />

a tavolino, perchè « in medicina et in m<strong>il</strong>itari disciplina<br />

non minus valet ingenium et experentia quam ars et scriptorum<br />

traditiones et praecepta » (1). Con Ippocrate egli riconosce<br />

che la natura è <strong>il</strong> medico delle malattie: i preparati di farmacia<br />

son tutti molto sim<strong>il</strong>i ai veleni, e se da un lato giovano,<br />

dall'altro nuocciono ( 2); continenza ed esercizio fisico ci vogliono<br />

per conservar sempre ottima salute (3). Nei casi dubbi è meglio<br />

abbandonare l'ammalato al « beneficium naturae » che all'ambigua<br />

e incostantissima arte (4). Il suo « <strong>De</strong> Podagra » appartiene<br />

al genere di quei consulti medici così comuni nel '400,<br />

che ripetevano la loro origine dalle lettere pseudo-aristoteliche<br />

(5): enumera all'amico Gabriele Alt<strong>il</strong>io — collega nella pontaniana<br />

— ammalato di gotta, i rimedi indicati a guarire questo<br />

male, accompagnando l'arida esposizione (in cui ha molta<br />

parte anche la letteratura botanica, molto in uso a quel tempo)<br />

con un ricco corredo di osservazioni di carattere scientifico, f<strong>il</strong>osofico,<br />

morale. Sicuro, anche f<strong>il</strong>osofico e morale, perchè « profecto<br />

a medico nunquam corporis morbi saneutur, nisi prius a<br />

ph<strong>il</strong>osopho animus purgetur; est enim ph<strong>il</strong>osophia animi medicina<br />

» (6). La cultura umanistica e l'onnipresente fine morale avvivano<br />

l'opuscolo conferendogli un tono particolare di immediatezza<br />

e d'intimità, che lo caratterizza fra gli altri numerosissimi<br />

dei medici di quel tempo e ci fa ravvisare in chi lo<br />

scrisse l'autore dell'« Fleremita », del « <strong>De</strong> Educatione », dell'4<br />

Esposizione del Pater Noster » e del « <strong>De</strong> Situ Japygiae ».<br />

(Continua)<br />

(1) Ivi, p. 283.<br />

(2) Ivi, p. 244.<br />

(3) Coll. II, p. 142.<br />

(4) Coll. XXII, p. 89.<br />

(5) CASTIGLIONI: Op. C .a., p. 359.<br />

(6) Coll. III, p. 267.<br />

DINA COLUCCI

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