A cazzicatummula di Monacazzo - versione p. T (prima - santoro rupert
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PAOLO<br />
RUPERT<br />
SANTORO<br />
‘A<br />
CAZZICATUMMULA<br />
DI<br />
MONACAZZO
‘A <strong>cazzicatummula</strong> <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong><br />
ovvero<br />
Il 68 a <strong>Monacazzo</strong> ( aspettando il 69 )<br />
<strong>di</strong><br />
Paolo Rupert Santoro
INDICE<br />
ANTEFATTO :1967<br />
FATTO :1968<br />
1: A PRETESSA<br />
2: CICETTO MIO<br />
3: LI CONSIJ DE MAMMA'<br />
4: ER PITTORE<br />
5: ER FATTACCIO SESSUALE<br />
6: A MONACA<br />
7: ER MARCHETTARO<br />
8: LI MARINAI<br />
9: FRATE BARTOLOMEO<br />
10: ER PAPABILE<br />
11: ER PRESIDENTE<br />
12: SORA MIGNOTTA<br />
13: L’EDUCAZIONE SESSUALE<br />
14: NATALINO ER MAGNACCIA<br />
15: MAMMA SIMONA<br />
16: ER CORNUTO<br />
17: IO E L’UTOPIA<br />
POSTFATTO : 1969
A Maruzzedda<br />
A Bastianu e Maruzzedda<br />
- Per una madre che non c’è più.-<br />
Passano gli anni, scorrono<br />
come l’acqua dell’Anapo eterno..<br />
E passano pure per te..<br />
Passano e lasciano il segno..<br />
La tua faccia ha mille rughe..<br />
Centomila espressioni..<br />
Un miliardo <strong>di</strong> miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> sorrisi..<br />
Tutti per nascondere i dolori <strong>di</strong> una vita ..<br />
Per <strong>di</strong>re sempre “va bene”..<br />
Per dare coraggio e fiducia<br />
Alla carne della tua carne..<br />
Alla vita della tua vita…<br />
All’unico frutto del tuo amore…<br />
Solo fiducia, fiducia e coraggio..<br />
Fino alla fine , quando stavi per partire<br />
Per l’ultimo viaggio..<br />
Dicevi “ non è niente, coraggio…”<br />
“ Ad<strong>di</strong>o cari atomi eterni ...<br />
Ad<strong>di</strong>o cari atomi materni..<br />
Ad<strong>di</strong>o.. anzi arrivederci…”
ANTEFATTO:<br />
1967<br />
E già che siamo all’argomento “ liberi tutti “ ; non importa che<br />
siate single, sposati, con o senza figli, eterosessuali, bisex,<br />
omosessuali o dormite solo con dei babbuini: questo libro fa per<br />
voi. Mi ha dato un grande piacere scriverlo, spero che regali a voi<br />
altrettanto piacere. In tutti i sensi. Godetevelo!<br />
Tracey Cox<br />
Il sesso è uno e infinito… non esiste mascolo o femmina...<br />
godetevelo il sesso.. da soli, in due, in tre, in quattro, ma anche <strong>di</strong><br />
più.. l’importante è che sia una libera scelta e non una<br />
imposizione..<br />
Micio Tempio da <strong>Monacazzo</strong><br />
Chiamiamo libero colui che esiste per se stesso e non per un altro.<br />
Aristotele<br />
Io non sono veramente libero se non quando tutti gli esseri umani<br />
che mi circondano, uomini e donne, sono ugualmente liberi.<br />
M. A. Bakunin<br />
Uno spettro si aggirava per l’Europa: lo studentismo. Dopo circa 180 anni dalla<br />
rivoluzione francese una nuova rivoluzione era nell’aria. Una rivoluzione meno<br />
sanguinaria ma con gli stessi ideali <strong>di</strong> libertà, fratellanza e uguaglianza . Ma stavolta<br />
non era interessata solo la Francia. Era qualcosa <strong>di</strong> più internazionale, qualcosa <strong>di</strong><br />
soprannazionale. Una voglia <strong>di</strong> libertà contro i moralisti, i bacchettoni, i bigotti, gli<br />
inquadrati, i servi <strong>di</strong> partito, i costruttori <strong>di</strong> regole e regolamenti libertici<strong>di</strong>. Contro i<br />
tiranni, i tirannucci e i tirannetti. Gran<strong>di</strong> e piccoli. E anche a <strong>Monacazzo</strong>, piccolo<br />
paese della Sicilia, c’era questa voglia <strong>di</strong> libertà. Anche se molte cose erano cambiate<br />
la realtà era rimasta legata alla tra<strong>di</strong>zione. Anche se il paese era amministrato dalla<br />
sinistra le tra<strong>di</strong>zioni del perbenismo, del bacchettonismo, del moralismo, del<br />
servilismo, dell’autoritarismo erano rimasti in pie<strong>di</strong>. L’arroganza del potere era<br />
rimasta la stessa. Di certi poteri e <strong>di</strong> certi potenti. Ingegneri tangentisti e avvocati<br />
delinquenti, preti sfruttatori e gentaglia senza parola e <strong>di</strong>gnità. Magari camuffati sotto
le regole della democrazia, ma sempre in vigore. Il prete, il maresciallo, il preside,<br />
l’assessore, il dottore, l’ingegnere erano sempre il potere che manovrava i fili. Il<br />
mascolo era l’autorità della casa, la femmina la sua serva. Il mascolo che conquistava<br />
tante femmine era cacciatore, la femmina che si lasciava conquistare quella cosa<br />
<strong>prima</strong> <strong>di</strong> essere stata benedetta dal parrino era una grannissima buttana patentata. La<br />
vita del cristiano perfetto iniziava col battesimo, proseguiva con la comunione , la<br />
cresima, il matrimonio, la nascita <strong>di</strong> tanti cristianuzzi perfetti e infine la morte. E nel<br />
mezzo tante processioni, confessioni, <strong>di</strong>giuni, lacerazioni della carne e dell’anima e<br />
tante tante veglie <strong>di</strong> preghiera. E soprattutto tante offerte alla santa cattolica<br />
apostolica chiesa locale. Per il sostentamento dei preti, dei loro capricci, dei loro figli<br />
e delle loro amanti. Non solo <strong>di</strong> bocca mangiavano i parrini, mangiavano anche<br />
d’aceddu e a volte pure <strong>di</strong> culo.<br />
Ma il sindaco Tonino Incardasciò, barone <strong>di</strong> sinistra, non apparteneva a quella banda<br />
<strong>di</strong> ammuccaparticoli e caca<strong>di</strong>avoli; e sua moglie, la ginecologa Eusebia Ferretti, s’era<br />
data da fare per fare la sua piccola rivoluzione sessuale. Per dare al mascolo quello<br />
che era del mascolo , ma nello stesso tempo per dare alle donne quello che non<br />
avevano mai avuto. Il <strong>di</strong>ritto a una sessualità fatta anche <strong>di</strong> piaceri e non solo <strong>di</strong><br />
doveri. La parola “orgasmo” girava come un fantasma nelle teste delle femmine <strong>di</strong><br />
<strong>Monacazzo</strong> e metteva paura ai mascoli che iniziavano a soffrire <strong>di</strong> “ ansia da<br />
prestazione”. Le gloriose minchie siciliane, quelle dotate <strong>di</strong> una gran coppola dello<br />
zio Vincenzo, iniziavano a incrinarsi come la torre <strong>di</strong> Pisa e qualcuna era anche<br />
crollata. Crollata inesorabilmente <strong>prima</strong> <strong>di</strong> trasiri dentro. Il famoso “ Phallus<br />
gloriosus” <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong> era <strong>di</strong>ventato “ Phallus ingloriosus.”<br />
Ma intanto la chiesa continuava a insistere sui peccati della sessualità. E circolava<br />
voce che il papa stava elaborando una enciclica fortemente repressiva in materia <strong>di</strong><br />
sesso. Non solo quello omo, anche quello etero. La chiesa voleva controllare a suo<br />
piacimento gli affari della minchia e dello sticchio <strong>di</strong> tutti e farli lavorare solo come<br />
voleva lei. Cunnomentulamachie erano possibili solo secondo certi canoni. Le<br />
alternative erano da escludere al cento per cento. Intanto a <strong>Monacazzo</strong> le nuove<br />
generazioni pensavano a vivere la loro vita e se ne strafottevano <strong>di</strong> quello che<br />
<strong>di</strong>cevano le mamme scassacazzo, le nonne rompicoglioni, i preti sessuofobi e<br />
cacaced<strong>di</strong>, le monache scassaminchia e tanta altra gente religione-<strong>di</strong>pendente. Il detto<br />
<strong>di</strong> Marx “ La religione è l’oppio dei popoli “ era più che mai attuale. Ma le nuove<br />
generazioni , più libere in tutto e quin<strong>di</strong> anche nel sesso, preferivano altre droghe alla<br />
droga religiosa, alla teo-<strong>di</strong>pendenza. Per esempio la droga politica. O altro. Tanto<br />
altro. La marijuana <strong>di</strong>lagava. E non solo quella. Se la cocaina era stata la droga dei<br />
signori ricchi, adesso c’era la droga per tutti. “ Proletari <strong>di</strong> tutto il mondo, ecco il<br />
vostro spinello” . Oppure, se uno era catto-comunista, “ Padre nostro, dacci il nostro<br />
spinello quoti<strong>di</strong>ano”. Le nuove generazioni erano stanche anche <strong>di</strong> quella cazzo <strong>di</strong><br />
frase che recitava “ Date a Cesare quello che è <strong>di</strong> Cesare e a Dio quello che è <strong>di</strong> Dio”.<br />
Quella era una frase coniata per fare andare a braccetto il potere religioso e quello<br />
politico. si chiedevano in tanti.
Adesso era venuto il tempo <strong>di</strong> pensare a sé stessi, al proprio corpo , al proprio<br />
piacere: il tempo <strong>di</strong> abbandonare il concetto che la vita è un dono <strong>di</strong> Dio. Ma <strong>di</strong><br />
credere che la vita è nostra e che possiamo farne quel cazzo che ci pare. L’importante<br />
è non rompere i coglioni agli altri. E in questa atmosfera <strong>di</strong> poteri forti, che si<br />
sentivano minacciati e in pericolo, cresceva la voglia <strong>di</strong> libertà in tutti i campi, e si<br />
preannunciava la rivoluzione del sessantotto.<br />
Forse aveva ragione Michele Nostraddammuso, che parlava sempre <strong>di</strong> palingenesi.<br />
><br />
E invocava la palingenesi rigeneratrice. Soprattutto la famosa frase <strong>di</strong> Nostradamus:<br />
><br />
Ci volevano ancora trentanni. Ma poteva sucedere dell’altro.<br />
> pinsava<br />
Michele.<br />
La libertà <strong>di</strong> pensare è la libertà <strong>prima</strong>ria…<br />
L’utero è mio e lo gestisco io..<br />
Slogan femminista<br />
Io sono mio e no <strong>di</strong> <strong>di</strong>o.. mio è il mio corpo, la me ciolla e il mio<br />
ciriveddu... soprattutto il mio ciriveddu..<br />
Micio Tempio da <strong>Monacazzo</strong><br />
A <strong>Monacazzo</strong> , nume della libertà totale e generale, era lo scrittore Micio Tempio.<br />
Che scriveva pure su un giornale locale, La Gazzetta <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>, dove <strong>di</strong>fendeva i<br />
locali martiri della libertà. Questo prestigioso giornale era <strong>di</strong>retto dal veneziano<br />
Giorgio Baffo, uomo <strong>di</strong> cultura stu<strong>di</strong>ata e vissuta, e soprattutto amante della libertà<br />
pura, della libertà al cento per cento. E regista per passione. Famoso il suo motto:<br />
><br />
Tra i casi <strong>di</strong> cui si era occupato Micio Tempio quell’anno, c’erano quello della<br />
ragazzina scappata da casa per sfuggire al matrimonio imposto dalla famiglia e quello<br />
<strong>di</strong> un’altra ragazzina, anche lei scappata da casa, che era stata costretta a fuirisinni<br />
con la forza. Costretta a questo da un mascolo invasato che poi l’aveva ripetutamente<br />
violentata. E che adesso doveva, secondo tra<strong>di</strong>zione, per salvare il violentatore dal<br />
carcere e sé stessa dall’essere considerata una buttana, maritarselo. Ma le due ragazze<br />
si erano ribellate. E per la massa si erano conquistate la patente <strong>di</strong> buttanone<br />
grannissime. Come buttanone erano quelle che lasciavano il marito o si facevano un<br />
amante. Se ha fare questo era il mascolo, era solo uno sperto a cui la minchia<br />
tracimava dalle mutande. Micio Tempio <strong>di</strong>fendeva a libertà in quanto tale. Micio<br />
Tempio <strong>di</strong>fendeva queste vittime della società liberticida. E la sua era anche una<br />
battaglia continua contro la censura.
La “ parolaccia” era interdetta sia in pubblico che in privato. Troppe signore a sentire<br />
la parola “ minchia” arrossivano e stavano male, e alcune arrivavano a svenire. Per<br />
tanta gente adulta il sesso era e restava un tabù. Una cosa assolutamente privata.<br />
>sosteneva il vecchio cavaliere Paolo<br />
Sebastiano Michele Addolorato Masculuchebad<strong>di</strong>.<br />
La sessuofobia pertanto era sia fisica che ideologica. E ci stava troppa gente, sia<br />
fimmini ca masculi, ca si lu faceunu strittu strittu. Parravanu sulu pulito assai assai,<br />
anche se sparavano minchiate incommensurabili. Specialmente gli uomini . In<br />
pubblico parlavano pulito e lavato con la candeggina, ma in privato facevano volare<br />
cazzi e minchie a tutto spiano. E a volte anche le loro signore. In privato però. In<br />
pubblico la parola “ minchia “ e i suoi parenti e compari erano e restavano interdette.<br />
E Micio Tempio aveva de<strong>di</strong>cato alla sua amata <strong>Monacazzo</strong>, terra <strong>di</strong> cazzi amari e<br />
cunna duci, una bella poesia che illustrava la sua lunga vita dalle origini greche a<br />
oggi. “ MONACAZZO BEDDA E PITITTUSA”<br />
<strong>Monacazzo</strong> bedda , pitittusa , <strong>di</strong> la vita sperta e sapienti<br />
Picchì bedda e sapienti <strong>di</strong> pititta è la to genti…<br />
Terra millenaria da lu suli abbruciata,<br />
Terra bedda, terra biniritta da soccu <strong>di</strong>u anticu, terra amata…<br />
Forse da Giove, o da soccu autru bossi <strong>di</strong> l’Olimpo..<br />
Pari ca iddu sicuru fu ,ca gu<strong>di</strong>ennu cu na fimmina bona,<br />
Ammentri ca scoppiaunu lampi e trona,<br />
Dissi ” Viva sta minchia e la banna ca la sona.”<br />
Ma a <strong>di</strong>ri lu veru veru, cu minchia lu sapi<br />
Qualu <strong>di</strong>u si innamurau <strong>di</strong> stu paisi <strong>di</strong> uommini e <strong>di</strong> crapi,<br />
Di scecchi e <strong>di</strong> vacchi, <strong>di</strong> puorci e <strong>di</strong> lupi, <strong>di</strong> genti cu e senza marruna ,<br />
Di ommini, mezzommini, uomminicchi, piglianculu e quaquaraquà..<br />
E <strong>di</strong> tanti fimmini ca la danu e si la godunu tutta<br />
E <strong>di</strong> quarcu fimmina ca si la teni stritta e poi si la fa fritta…<br />
Forsi fu Priapo ca cu lu so granni capitali<br />
Capiu ca cà ci stavunu travagghi pilusi da fari…<br />
<strong>Monacazzo</strong>, petri antichi <strong>di</strong> la magna grecia …<br />
Balati e balated<strong>di</strong>, archi trionfali e curtigghia…<br />
Petri popolari, petri nobbili, petri colti <strong>di</strong> lu teatro grecu..<br />
Petri cini <strong>di</strong> cultura ca da mill’anni e autri mill’anni,<br />
Da quannu li sarausani ficinu stu paisi filici e ranni,<br />
Vistunu lu minnitta <strong>di</strong> Medea , la sofferenza <strong>di</strong> Prometeo
O la rabbia <strong>di</strong> E<strong>di</strong>po ca si cucca cu la matri<br />
E pi la gioia canta nu gloriapatri…<br />
Petri ca sanu puru <strong>di</strong> filosofia e <strong>di</strong> Platone<br />
E quannu nu culu <strong>di</strong> spettatore si assetta<br />
Capisciunu se apparteni a pirsuna colta o a un coglione…<br />
Terra bedda e antica pronta a ririri<br />
Di l’aced<strong>di</strong> <strong>di</strong> Aristofane e <strong>di</strong> li corna <strong>di</strong> Anfitrione<br />
Ammentri ca Alcmena cu lu <strong>di</strong>u si la annaca<br />
Dintra nu lettu a forma <strong>di</strong> naca<br />
Pi fari nu picciriddu nicareddu e beddu a lu maritu<br />
E nu Erculuni cinu <strong>di</strong> curaggiu<br />
Cu tantu <strong>di</strong> palli e <strong>di</strong> battagghiu….<br />
A lu Giovi eternu, pluvio, tonanti e trombanti<br />
<strong>di</strong>ntra li cunna bed<strong>di</strong> e vacanti…<br />
E puru li proverbi <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong> sunu bed<strong>di</strong> assai<br />
“ Nicchiu nacchiu , nicchiu nacchiu<br />
Viva lu piripicchiu e lu piripacchiu. “<br />
“ Mentula ranni, mentula bedda<br />
ficchiti <strong>di</strong>ntra ogni vanedda”.<br />
“ O cunnu sanu o cunnu ruttu,<br />
lu pitittu <strong>di</strong> lu brigghiu veni <strong>prima</strong> <strong>di</strong> tuttu .”<br />
<strong>Monacazzo</strong> bedda epicurea ca purtavi Veniri Callipigia in processioni<br />
E ci cantavi la litania <strong>di</strong> li natichi tunni e boni..<br />
“ Natichi , a tutti li latidunini duci emisferi,<br />
colline iperboree, isoterme <strong>di</strong> lu piaciri,<br />
torti, ‘npanati, mezzelune e puru vasted<strong>di</strong><br />
da ‘npastari cu sti manazzi pitittusi .Bed<strong>di</strong><br />
Natichi profumati c’attirati tutti l’aced<strong>di</strong>…”<br />
Mentri a Priapo l’itifallico ca la teni sempri ad<strong>di</strong>tta<br />
Ci addumavi na cannila biniritta..<br />
Priannu pi la saluti <strong>di</strong> lu to citrolu<br />
Ca avia siri sempri prontu a spiccari lu vulu…<br />
Ma poi, na matina, vinni lu viscuvu Marzianu<br />
E lu paisu ad<strong>di</strong>vintau cristianu…<br />
A Veniri ci misinu li mutanni , la vistina e la scialletta<br />
E a Priapu ci la tagghianu tutta cu nu cuorpu d’accetta…<br />
E da allura lu sessu nun fu ciui na cosa naturali<br />
Ma ad<strong>di</strong>vintau piccatu ranni e mortali….<br />
Ad<strong>di</strong>o <strong>Monacazzo</strong> terra bedda e antica cina <strong>di</strong> fantasia…..<br />
Ad<strong>di</strong>o <strong>Monacazzo</strong> , terra <strong>di</strong> cunnomentulamachie …<br />
Una città deve essere costruita in modo<br />
da dare ai suoi abitanti sicurezza e felicità.<br />
La città ideale . Aristotele
FATTO : 1968<br />
Quella categoria <strong>di</strong> uomini votati all’ufficio <strong>di</strong>vino e de<strong>di</strong>ti alla<br />
contemplazione e alla preghiera devono astenersi<br />
completamente dal frastuono degli affari temporali.<br />
Uomini <strong>di</strong> Chiesa. Decretum Gratiani, testo me<strong>di</strong>evale<br />
Cazzicatummuli d’amuri su buoni a tutti l’uri.<br />
Detto popolare<br />
Esiste il sesso, poi c’è il buon sesso e infine c’è il sesso super.<br />
Sto parlando <strong>di</strong> quello che fa arricciare le <strong>di</strong>ta, attorcigliare lo<br />
stomaco e per cui si sarebbe <strong>di</strong>sposti a vendere la propria<br />
madre. Il tipo <strong>di</strong> sesso che non basta mai.<br />
Tracey Cox<br />
Il sesso dovrebbe essere <strong>di</strong>vertente, ricordate? E per questo che<br />
genitori, insegnanti e preti ,continuano a <strong>di</strong>re agli adolescenti <strong>di</strong><br />
non farlo. Se non fosse <strong>di</strong>vertente, non avremmo la tentazione <strong>di</strong><br />
farlo, o no?<br />
Tracey Cox<br />
Nessun precedente sconvolgimento politico, per quanto violento,<br />
aveva mai sollevato un entusiasmo così appassionato, perché<br />
l’ideale proposto dalla rivoluzione non consisteva in un semplice<br />
cambiamento del sistema francese, ma in una vera e propria<br />
rigenerazione dell’intera razza umana. Creò un’atmosfera <strong>di</strong><br />
fervore missionario ed assunse davvero tutti gli aspetti <strong>di</strong> una<br />
rinascita religiosa, spesso con grande costernazione degli<br />
osservatori contemporanei. Sarebbe forse più esatto <strong>di</strong>re che si<br />
andò sviluppando in una specie <strong>di</strong> religione, anche se<br />
singolarmente imperfetta, dato che non aveva un Dio, né un<br />
rituale, né prometteva la vita futura. In ogni modo, questa strana<br />
religione, come l’islamismo, ha invaso il mondo intero con i suoi<br />
apostoli, militanti e martiri.<br />
A. de Tocqueville
UNO : A PRETESSA<br />
Gaude mihi…<br />
Selten habt ihr mich verstanden<br />
Selten auch verstand ich Euch..<br />
Heine<br />
Attenzioni a li babbi arrinisciuti….<br />
><br />
L’avvocato Cicciu Cicidda spalancò i suoi occhietti <strong>di</strong> rapace della vita in tutte le sue<br />
manifestazioni e si tuccau tri voti li palli. Poi si fici tri voti il segno della croce.<br />
L’avvocato Cicciu mittia sempre insieme le cose sacre e le cose profane. Prima le<br />
profane , poi le sacre. Le prime le viveva per sé, le seconde le recitava per gli altri.<br />
Cioè per la massa deficiente.<br />
><br />
E si toccava la minchia. La sua Roma caputtimmun<strong>di</strong>. Ma soprattutto taliava il busto<br />
della buonanima che stava sulla scrivania: il Duce. E al Duce ogni anno faceva <strong>di</strong>re<br />
una messa. Perché anche se lui non credeva a certe cose, l’importante era far credere<br />
il popolo bestia.<br />
> <strong>di</strong>ceva nella sua<br />
testa.<br />
Cicciu era figlio del fu Concetto Cicidda, avvocato pure lui e podestà <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong><br />
dopo la tragica morte <strong>di</strong> Calogero Incardasciò. Podestà per tanto tempo. Podestà fino<br />
alla caduta del fascismo. Quando gli abitanti <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong> si erano in parte ven<strong>di</strong>cati<br />
dei tanti suoi abusi <strong>di</strong> potere. E l’avvocato Ciccio, in una stanza del suo palazzo, avia<br />
realizzato un piccolo museo personale <strong>di</strong> cimeli fascisti. C’erano la <strong>di</strong>visa del padre e<br />
tutte le sue uniformi <strong>di</strong> balilla, balilletto, balillino, figlio della lupa , figlio <strong>di</strong> buttana e<br />
altro. Ma soprattutto ci stavano tre lettere scritte personalmente al suo caro genitore<br />
da sua Eccellenza il Duce del Popolo Italiano.<br />
Quella sera, a sentire quelle notizie che arrivavano da Roma, il povero avvocato si<br />
impressionò nu tanticchia e si intisi già prigioniero politico in una Italia russificata,<br />
stalinizzata, lieninizzata e altro. Quella notte non dormì. Pinsau che pure a<br />
<strong>Monacazzo</strong> c’erano cazzi da pelare. Gli studenti erano in agitazione da tempo. E tra i
tanti c’era pure quella testa <strong>di</strong> minchia male arrinisciuta <strong>di</strong> suo figlio Benito. Che però<br />
si faceva chiamare Ben. Ben Cicidda.<br />
><br />
Ciccio passò la notte insonne stinnicchiato accanto alla sua cara moglie, la signora<br />
Mariannella Manuzza in Cicidda. Quella dormiva, anzi eseguiva il solito concerto in<br />
re maggiore rumpicugghiuna per naso e in fa minore piritante per culo . E lui, il<br />
marrugghio della casa, il mascolo con le appen<strong>di</strong>ci giuste, pinsava. All’oggi, al<br />
passato, ma soprattutto al futuro. E dentro si sentiva ardere una fiamma, una fiamma<br />
tricolore , come quella che era il simbolo del suo partito, l’MSI. Il Movimento<br />
Sociale Italiano. Partito per il quale stava assittato dentro il consiglio comunale.<br />
All’opposizione ma <strong>di</strong>ntra il palazzo, con due pie<strong>di</strong> e quel culo enorme da obeso che<br />
non ci stava dentro la scanno <strong>di</strong> consigliere.<br />
> gli<br />
<strong>di</strong>cevano gli amici scherzando.<br />
> rispondeva lui secco.<br />
E d’altra parte aveva veramente sperato <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare sindaco. Ma gli elettori<br />
avevano scelto il barone Tonino Incardasciò che era nobile e comunista, quin<strong>di</strong><br />
bastardo e senza<strong>di</strong>o.<br />
> <strong>di</strong>ceva a sé<br />
stesso.<br />
Ben Cicidda era uno dei leader dell’MSM, il Movimento Studentesco <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>.<br />
Capelli lunghi e neri, pullover sformato, ginsi strazzati ed eskimo erano la sua <strong>di</strong>visa<br />
in quella <strong>prima</strong>vera del 68, una <strong>prima</strong>vera ancora freddosetta in quel <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>.<br />
Insieme ai giovani del paese , che tra l’altro era guidato da una giunta <strong>di</strong><br />
centrosinistra, stava cercando <strong>di</strong> fare la sua rivoluzione. La sua e quella dei giovani in<br />
generale. Per cambiare il mondo, per cambiare la Sicilia, per “aggiornare” la testa ai<br />
tanti suoi concitta<strong>di</strong>ni che la tenevano chiù dura della pietra lavica. Tinia <strong>di</strong>ciottanni e<br />
si apprestava a sostenere l’esame <strong>di</strong> maturità. Ma se ne strafotteva della scuola e <strong>di</strong><br />
quei cacaced<strong>di</strong> dei professori, un pugno <strong>di</strong> ammuccaparticoli assetati <strong>di</strong> titoli e <strong>di</strong><br />
stupi<strong>di</strong>tà e che non sapevano cos’era la vera cultura. La cultura con la C maiuscola.<br />
Ma soprattutto non sapevano cos’era la vita. Per loro era solo una sceneggiata fatta <strong>di</strong>
atti pubblici. Vissuta per gli altri. Una recita a tempo pieno. I professori erano dei<br />
semplici nozionisti, delle semplici comparse della vita sociale, degli amanti dei titoli<br />
che piazzavano dappertutto. Sulla porta <strong>di</strong> casa, nei bigliettini da visita, nell’elenco<br />
del telefono. Per esempio , quella <strong>di</strong> scienze del geometra, nota ammuccaparticoli,<br />
non trattava mai il darwinismo e saltava tutto intero l’apparato riproduttore.<br />
><br />
<strong>di</strong>ceva la professoressa Addolorata Nattrovulaceddu.<br />
Poverina, era creazionista convinta e signorina <strong>di</strong> quelle vere. Quella <strong>di</strong> italiano,<br />
Filippa Cacciaballe, non parlava mai <strong>di</strong> certe opere e <strong>di</strong> certi autori.<br />
><br />
E la stessa cosa accadeva nelle altre scuole <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>. Ma il più rompicoglioni <strong>di</strong><br />
tutti era padre Bernar<strong>di</strong>no Cacaceddu, il professore <strong>di</strong> religione, che li obbligava a<br />
recitare una preghiera all’inizio <strong>di</strong> ogni lezione. Ben non recitava la preghiera, nun si<br />
facia il segno della croce e non <strong>di</strong>ceva né “ amen” né “ così sia”. E tanti la<br />
recitavano, ognuno a modo suo. Ma il parrino era convinto che i carusi partecipassero<br />
col cuore e con la mente. Poi faceva <strong>di</strong>scorsi sulla purezza e contro il peccato, sul<br />
valore della famiglia e contro la moderna visione della sessualità. Sparava contro quei<br />
partiti che volevano introdurre in Italia il <strong>di</strong>avolo del <strong>di</strong>vorzio e legalizzare l’aborto<br />
assassino. Parlava a ruota libera ed esponeva idee antiche. Parlava del mal’esempio<br />
che dava quella scatola maliritta ca era la televisione. E <strong>di</strong> quella porcheria pubblica<br />
che era <strong>di</strong>ventato il cinema.<br />
><br />
Ma il tasto che più batteva era quello della purezza. I peccati che più lo<br />
angustiavano erano gli atti impuri. E su questo si batteva con eroico furore. Da<br />
perdente, ma con eroico furore. Perché padre Bernar<strong>di</strong>no voleva la purezza dei suoi<br />
alunni, purezza <strong>di</strong> corpo e <strong>di</strong> anima, <strong>di</strong> pensieri e <strong>di</strong> atti. Guai a toccarsi l’aceddu o le<br />
sue palle. Guai a grattarsi la chitarrina a quattro corde e il bottoncino.<br />
> <strong>di</strong>ceva il parrino.<br />
> ci addumanna qualcunu per provocarlo.<br />
><br />
> era la sua frase preferita.<br />
Ma anche gli altri professori non scherzavano.<br />
> <strong>di</strong>cevano loro.<br />
> pensava Ben.<br />
> <strong>di</strong>cevano spesso gli studenti.
E quell’anno c’erano stati scioperi a minchia cina, ma il peggio, o il meglio, ( <strong>di</strong>pende<br />
dai punti <strong>di</strong> vista ) doveva ancora venire. Ma era imminente. Era nell’aria la tempesta<br />
sessantottina.<br />
Ben era studente dell’Istituto Tecnico per Geometri “ Ingegnere Benedetto<br />
Immacolato Marrugghione ”. E la sua scuola si trovava al piano terreno dell’ex<br />
palazzo della cultura del fascio. Un e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> tre piani. Ogni piano una delle tre<br />
istituzioni scolastiche <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>. Al piano terreno il geometra, al primo piano<br />
l’Istituto Tecnico per Ragionieri “ Dottore Concetto Carmelo Ciollone ”, e al piano<br />
nobile, al piano superiore, il Liceo Classico & Scientifico “Salvatore Fer<strong>di</strong>nando<br />
Brigghione.” E dati i nomi degli illustri monacazzesi cui le scuole erano intitolate, il<br />
palazzo veniva in<strong>di</strong>cato come la “ scola <strong>di</strong> li minchioni”. Brigghione, Ciollone e<br />
Marrugghione , in <strong>di</strong>aletto siciliano, erano sinonimi <strong>di</strong> minchia. Anzi <strong>di</strong> grande<br />
minchia. Di minciazza. Ben frequentava il geometra e la sua carusa, Maria Concetta<br />
Immacolata Portusodoro , detta Iatata, il liceo classico.<br />
Iatata era una bella ragazza. Magra ma con le curve al punto giusto. Occhi scuri ,<br />
capelli lunghi, ricci e neri, nasino che era un <strong>di</strong>amante incastonato in quel viso<br />
preraffaellita che la picciotta si trovava. Teneva anche due belle cosce che la<br />
minigonna, suo abituale capo d’abbigliamento, mettevano generosamente in mostra.<br />
> <strong>di</strong>cevano i mascoli.<br />
Tanto che il gioco preferito da certi compagni <strong>di</strong> classe <strong>di</strong> Iatata era quello <strong>di</strong> vedere<br />
<strong>di</strong> che colore quel giorno la picciotta portava le mutande. Ma Iatata era bella anche<br />
nelle parti che non si vedevano. Era bella <strong>di</strong> culo, <strong>di</strong> minne e del resto. E Ben lo<br />
sapeva. Soprattutto pazziava per quelle minne quarta misura che la ragazza esibiva<br />
sotto pulloverini aderenti se era inverno o sotto magliette altrettanto aderenti e molto<br />
ma molto scollate se era estate. Ben pazziava per quelle tette che a suo tempo aveva<br />
conquistato con <strong>di</strong>fficoltà ma che adesso erano alla portata delle sue mani e della sua<br />
minchia quando , quanto e come voleva. Così come Ben era ha <strong>di</strong>sposizione <strong>di</strong> lei.<br />
Iatata era stata la sua <strong>prima</strong> ed unica ragazza. O per lo meno, l’unica con cui aveva<br />
fatto l’amore. Prima volta per lui e <strong>prima</strong> volta per lei. E stavano ancora insieme.<br />
Iatata lo amava con la A maiuscola. E lui pure. E lei era pure brava a scuola. Una<br />
delle migliori della III C, la sua classe. Dove stava assittata all’ultimo banco, perché<br />
si sentiva più libera, libera <strong>di</strong> fare quel cazzo che voleva. Al ginnasio era stata presa<br />
in giro per quel suo vizio <strong>di</strong> portarsi una banana per la ricreazione. E tutti, mascoli e<br />
femmine , la taliavano quando si sbucciava il frutto esotico e poi se lo ammuccava.<br />
Con innocenza e senza malizia alcuna. Ma le compagne s’erano fatte l’idea che la<br />
carusa fosse una buttanona <strong>di</strong> <strong>prima</strong> qualità; e i compagni che la ragazza fosse una<br />
gran<strong>di</strong>ssima sucaminchia pompinara. E avevano iniziato a fare battute. Ma Iatata ,<br />
sperta <strong>di</strong> lingua e senza inibizioni, li aveva messi a posto. Adesso era amica <strong>di</strong> tutti.<br />
Adesso, quando qualcuno faceva qualche battuta, la faceva riferendosi a Ben.<br />
><br />
><br />
><br />
Ma lei rispondeva per le rime.
><br />
Qualcuno le cantava qualche canzonetta ironica. “Ventiquattro mila morsi.. Fatti<br />
mandare dalla mamma a sucare il latte <strong>di</strong> brigghiu.. Zum, zum, zum, zum… Finché<br />
la minchia va.. lasciala andare.. Attisa .. il pomeriggio sempre attisa.. Io, tu e la rosa..<br />
io , tu e la banana .. Pren<strong>di</strong> questa minchia zingara..”<br />
Ma lei replicava <strong>di</strong>cendo che loro potevano cantare solo Mina. Perché solo il verbo<br />
minare sapevano cantare, recitare, declinare e mettere in atto.<br />
><br />
> replicava qualcuno.<br />
><br />
Così andava avanti la vita. Ma lei la sua vita sessuale l’aveva veramente. Con Ben<br />
oramai erano marito e moglie per quanto riguarda il sesso. Farsi una scopata e uno<br />
spinello era il loro modo <strong>di</strong> essere felici. Non una o due pacchetti <strong>di</strong> sigarette più un<br />
litro <strong>di</strong> vino e mezza bottiglia <strong>di</strong> liquore. A loro bastava uno spinello. Solo uno. E poi<br />
una ficcata. Ma se quella raddoppiava non era un problema. Anzi, era un piacere.<br />
Iatata era figlia <strong>di</strong> Sconcepito Portusodoro e Piccatuzza Originale. Due figli <strong>di</strong> NN, <strong>di</strong><br />
nullun momen. Nessun nome. Come s’usava allora. Da piccoli erano stato depositati<br />
da mani ignote nella “ Rota <strong>di</strong> Lignu Santissimu a Santissimi Casciuledda <strong>di</strong> lu<br />
Cummentu delle Innoccenziane degli Innoccentissimi Piccirid<strong>di</strong> Figghiuzzi <strong>di</strong><br />
Mentula e Cunnus Anonimi ”. Accussì recitava la formula <strong>di</strong> chista rota dove<br />
venivano deposti i futuri figli <strong>di</strong> NN. A cui la fantasia delle monache davano un nome<br />
che era tutto un programma. Ma Cepito e Tuzza, come avevano deciso <strong>di</strong> chiamarsi,<br />
fattisi ziti ammucciuni già dentro il convento , si erano ben inseriti nella società<br />
altamente classista <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>. Lui era uscito dal convento <strong>prima</strong> e s’era messo a<br />
travagliare con un falegname, poi era passato alla muratura e era <strong>di</strong>ventato bravo.<br />
Guadagnava assai assai e si era accattato anche na bella motocicletta. Quin<strong>di</strong> si era<br />
messo a lavorare nella putia della signorina Concettina Inconsolata Cazzamari. Che<br />
lo prese a ben volere. E ci desi gratis l’appartamentino per stari nel suo palazzuccio.<br />
Le malelingue si misero subito a <strong>di</strong>re che il picciotto, appena <strong>di</strong>ciottino, ripagava la<br />
vecchia signorina a dosi <strong>di</strong> minchia. Quella era in arretrato da una vita e adesso che ci<br />
era capitata questa ghiotta occasione, la sfruttava a più non posso .Questo <strong>di</strong>cevano<br />
le malelingue pettegole <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>. Per loro la notte Cepito la passava sempre tra<br />
le cosce della signorina Cazzamari. E c’era pure qualcuno pronto a giurare <strong>di</strong> aver<br />
sentito, in piena notte, le grida <strong>di</strong> incontenibile piacere della signorina al culmine del<br />
go<strong>di</strong>mento. Erano certi che la signorina Cazzamari ultimamente era chiù allegra e<br />
contenta. E questo miglioramento si poteva spiegare solo con le alti dosi <strong>di</strong> fresca e<br />
giovane minchia che gli venivano somministrate. A lui invece lo vedevano stanco,<br />
afflitto e nu tanticchia deperito, segno del superlavoro che doveva fare per sod<strong>di</strong>sfare<br />
quello sticchio affamato. Nella realtà tutto era <strong>di</strong>verso. La signorina Cazzamari era<br />
contenta <strong>di</strong> avere trovato un valido aiuto, ma era contenta anche per un altro motivo.<br />
Cepito invece era giù perché gli mancava Tuzza. Comunque tutto questo era<br />
successo in soli sei mesi. Ma a iddu , come detto, gli mancava Tuzza. E la notte <strong>di</strong>
natale <strong>di</strong> quel suo primo anno <strong>di</strong> libertà, approfittando della messa <strong>di</strong> mezzanotte, si<br />
ni fuiu con la sua carusa. O meglio , si la purtau a casa sua e ammentri li campani<br />
sunaunu la mezzannotti e annunciavano al mondo la nascita <strong>di</strong> Gesùbamminu, anche<br />
lui figlio del mistero, loro due consumavano il loro amore. E per tutta la notte lui fece<br />
nascere e rinascere la sua minchia nello sticchio fresco, giovane e ardente della sua<br />
carusedda. Tutto col permesso della signorina Concettina Inconsolata Cazzamari che<br />
l’aveva preso a trattare come un figlio. Quel figlio che la vita non le aveva dato, visto<br />
che uno straccio <strong>di</strong> marito non l’aveva mai trovato. Ma adesso il signore glielo aveva<br />
mandato sotto forma <strong>di</strong> figlio <strong>di</strong> NN. E non solo aveva trovato un quasi figlio, ma<br />
quello gli aveva adesso portato una quasi figlia. E lei, la signorina Concettina<br />
Inconsolata Cazzamari, era contenta. Se da cosa nasce cosa, dall’attività pilusa del<br />
quasi figlio e della quasi figlia, sarebbero <strong>prima</strong> o poi arrivati dei quasi nipotini. E le<br />
cose andarono proprio così. Idda non poteva più tornare in convento e lui se la<br />
doveva per forza sposare, se non voleva finire in carcere. Lui sarebbe stato<br />
felicemente obbligato a maritarisilla. Ed era quello che il picciotto voleva. Iddu era<br />
giovane ma con la testa sopra le spalle. Idda tinia appena quattor<strong>di</strong>ci anni. Era<br />
picciridda. Era innoccenti e pura. E carusi carusi si maritano. Adesso erano<br />
proprietari <strong>di</strong> una putia, la putia della signorina Concettina, che per un prezzo<br />
stracciato o ad<strong>di</strong>rittura simbolico, l'aveva venduta a quei quasi figli che gli avevano<br />
dato tre quasi nipoti.<br />
“Nonna “ la chiamavano i ragazzi. Anche adesso che erano gran<strong>di</strong>celli e sapevano la<br />
verità. Ma i rapporti che si instaurano tra le persone spesso vanno al <strong>di</strong> là della<br />
parentela e dei legami <strong>di</strong> sangue. La putia, ovvero il negozio <strong>di</strong> generi alimentari, li<br />
facia guadagnare bene. Pertanto tenevano tutte le como<strong>di</strong>tà moderne come la<br />
televisione, la macchina , il frigorifero e la lavabiancheria. Ma soprattutto tenevano<br />
tre gioielli, i frutti del loro amore, la gioia dei loro occhi, il cuore del loro cuore.<br />
Questo erano per loro i figli . Maria Concetta Immacolata, detta Iatata, Maria<br />
Concetta Innocenza, detta Macoin e infine Palmiro. Perché dopo la nascita della<br />
seconda figlia, Cepito e Tuzza avevano litigato, e <strong>di</strong> grosso, con quel fottisol<strong>di</strong><br />
autorizzato <strong>di</strong> padre Bernar<strong>di</strong>no Cacaceddu, che era il padre confessore attuale del<br />
convento dove erano cresciuti. Non si è mai saputo il motivo della litigata, ma si sa<br />
che Cepito uscì dalla sagrestia gridando come un ossesso:<br />
><br />
Tanti che erano in chiesa sentirono chiaramente questa ultima frase, ed escludendo<br />
che il parrino si potesse essere interessato a Tuzza, pinsarono che sicuramente si era<br />
interessato a Cepito. Che era un bell’esemplare <strong>di</strong> mascolo siciliano, <strong>di</strong> quello che<br />
sapeva batacchiare col suo batacchio che sicuramente doveva essere un pezzo da<br />
novanta. D’altre parte tutti a <strong>Monacazzo</strong> sapevano delle inclinazioni <strong>di</strong> padre<br />
Cacaceddu per i mascoli. Ma il problema era che lui alcuni li voleva soltanto come<br />
marito e altri come moglie. Ovvero, alcuni come mascoli attivi e altri come mascoli<br />
passivi. Insomma , da alcuni voleva il marrugghio che pinnuliava tra le loro cosce, da
altri il portuso che giaceva tra le loro natiche. E tanti si chiesero: da Cepito, il parrino<br />
cosa voleva? ‘U davanti o ‘u darreri? Comunque Cepito e Tuzza da allora non<br />
avevano più frequentato la chiesa, si erano iscritti al PCI e quando era arrivato il terzo<br />
figlio l’avevano chiamato Palmiro.<br />
Il compagno <strong>di</strong> banco <strong>di</strong> Iatata, al liceo, era un ragazzo romano , tale Pompeo<br />
Sorcaealtro. Figlio del <strong>di</strong>rettore della banca <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>, da due anni viveva in<br />
questo paesino siciliano e si trovava bene. Dalla Romacaputtimun<strong>di</strong> a<br />
<strong>Monacazzo</strong>caputtiminchia. Aveva portato con sé le sue idee libertarie, <strong>di</strong> sinistra<br />
estrema, maoista, anticlericale, ra<strong>di</strong>cale e altro. Ma soprattutto aveva portato la sua<br />
visione liberale del sesso in tutte le sue forme e varianti. Del sesso come fonte <strong>di</strong><br />
piacere e basta. Citava sempre l’espressione latina “ Gaude mihi”. E lui era uno che<br />
godeva e faceva godere. E aveva reso famoso il detto “ A li mortacci tui e de tu<br />
nonno…io vado in culo a tutto er monno.. “. Con Iatata era amico al cento per cento.<br />
Un amico che ci aveva provato. Un amico che taliava sempre le sue zinne portentose.<br />
Ma avendo capito che non ci stava niente da fare, si era rassegnato. Si accontentava<br />
<strong>di</strong> dare una taliata e <strong>di</strong> immaginare.<br />
> le <strong>di</strong>ceva ogni tanto.<br />
> rispondeva Iatata.<br />
><br />
><br />
><br />
Lei rideva. Del suo romanesco e delle sue sparate. E lui le sparava sempre più grosse.<br />
Più monumentali:<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Una volta gliel’aveva anche fatta vedere. Se l’era tirata fuori e lasciata sotto la<br />
cammisa. Poi s’era messo a cantare:<br />
><br />
> aveva detto Iatata ><br />
Ma lui aveva continuato.<br />
><br />
Ma lei niente.<br />
>
A queste parole lei s’era girata e aveva visto il creapopoli dell’amico in tutto il suo<br />
splendore. Paria un missile. Pronto a sparare a vuoto. E la mano dell’amico che<br />
faceva su e giù. Ed era scoppiata a ridere.<br />
Le gemelle Marietta e Maruzza Cacapitrud<strong>di</strong>, che sedevano davanti a Pompeo e a<br />
Iatata, si erano firriate e avevano fatto in tempo a vedere la minchia del romano che si<br />
la minava. Ma era stato un lampo. Il ragazzo aveva fatto sparire l’uccello tiso sotto la<br />
cammisa. Il sipario era calato <strong>di</strong> botto.<br />
> avevano gridato le due verginelle ammuccaparticoli e caca<strong>di</strong>avoli. Ed<br />
erano svenute. Per trenta secon<strong>di</strong>. La professoressa <strong>di</strong> scienze, la signorina<br />
Crocefissa Sucato, che stava spiegano la partenogenesi, si bloccò <strong>di</strong> colpo.<br />
> <strong>di</strong>sse, facendosi il musso a culo <strong>di</strong> gallina.<br />
> <strong>di</strong>ssero in coro le due ragazze che intanto erano rinvenute.<br />
><br />
><br />
><br />
> gridò la professoressa Sucato.<br />
> <strong>di</strong>sse Iatata.<br />
><br />
> gridò la Sucato.<br />
> Il caruso era con la minchia tisa<br />
sotto la cammisa. E cercava <strong>di</strong> rimetterla dentro le mutande. Non poteva alzarsi in<br />
quelle con<strong>di</strong>zioni.<br />
> rigridò la Sucato.<br />
><br />
><br />
Intanto Iatata aveva tirato fuori dalla borsa la sua solita banana e l’aveva passata a<br />
Pompeo.<br />
> aveva detto Pompeo impadronendosi della banana dell’amica.<br />
> aveva replicato la professoressa<br />
aci<strong>di</strong>ssima.<br />
><br />
> gridava la<br />
professoressa Sucato.<br />
<br />
><br />
><br />
Intanto non riusciva a sistemare l’uccello. Era quasi in crisi. Non perché aveva la<br />
minchia <strong>di</strong> fuori, non per la professoressa Sucato, che poteva venire a controllare.<br />
Aveva paura <strong>di</strong> perdere l’anno. Del resto se ne fotteva.<br />
> gridò la Sucato che in vita sua forse non aveva<br />
mai “sucato” una minchia. Era Sucato solo <strong>di</strong> nome. Pompeo stava per sentirsi male.<br />
Temette <strong>di</strong> svenire. E fece una taliata sofferente a Iatata.<br />
> <strong>di</strong>sse con gli occhi.
La ragazza fece cadere l’astuccio suo e si calò per riprenderlo. Nel fare ciò aiutò<br />
l’amico a rimettere la minchia dentro le mutande. E fu costretta a toccarla. Era calda<br />
come la lava e dura come il ferro.<br />
> pensò Iatata.<br />
In fondo il materiale era lo stesso. Cambiava solo il proprietario. Poi Pompeo fece il<br />
resto. Ed era anche contento . S’era sistemato l’uccello dentro l’uccelliera in maniera<br />
definitiva.<br />
> gridava l’isterica.<br />
> <strong>di</strong>sse Pompeo che oramai aveva risolto i suoi problemi <strong>di</strong> uccello scappato<br />
fuori dalla tana. E Pompeo si alzò, mostrando la banana dell’amica. La sua era al<br />
sicuro.<br />
> <strong>di</strong>sse la professoressa.<br />
> chiese Pompeo.<br />
> gridò l’isterica<br />
professoressa.<br />
Pompeo andò fuori e passando davanti alla cattedra lasciò la banana alla<br />
professoressa.<br />
> <strong>di</strong>sse piano piano.<br />
> gridò la professoressa.<br />
Pompeo fu mandato dal preside con tanto <strong>di</strong> nota della professoressa Sucato. A<strong>prima</strong><br />
passò dal cesso e si fece uno spinello.<br />
“ L’alunno Pompeo Sorcaealtro dopo aver sottratto la banana alla compagna <strong>di</strong> banco<br />
simula, utilizzando la stessa, l’organo riproduttore maschile e compie gesti che<br />
appartengono al biblico personaggio <strong>di</strong> Onan. E come se non bastasse, fa uso <strong>di</strong><br />
parolacce..” Questa la nota della professoressa Sucato.<br />
Ben fu sospeso per cinque giorni. Per avere giocato con una banana. La professoressa<br />
e il preside si ammuccarono la <strong>versione</strong> della banana. Ma i compagni <strong>di</strong> classe<br />
sapevano la verità. Le gemelle invece furono prese dal dubbio: quella cosa che<br />
avevano visto era una banana o era una minchia? Una se la ricordava gialla l’altra<br />
color carne. Una con la punta rossa, l’altra con la punta gialla. Se veniva fuori la vera<br />
verità Pompeo sicuramente ci appizzava l’anno. Le gemelle invece furono prese in<br />
giro da tutti perché non sapevano <strong>di</strong>stinguere tra una minchia e una banana.<br />
> aveva detto Pompeo a Iatata.<br />
Poi Pompeo Sorcaealtro era <strong>di</strong>ventato amico anche <strong>di</strong> Ben. D’altra parte lui non<br />
cercava una ragazza , cercava solo avventure. Avventure a trecentosessanta gra<strong>di</strong>. E<br />
siccome era un picciotto bello, biondo e con gli occhi azzurri le caruse ci correvano<br />
appresso. Ma appresso ci curria pure il professore <strong>di</strong> religione, padre Bernar<strong>di</strong>no<br />
Cacaceddu. Il prete aveva capito che il ragazzo andava con mascoli e femmine. E<br />
s’era messo in testa l’idea che potesse andare anche con lui. E per la <strong>prima</strong> volta<br />
aveva avuto un desiderio fuori dal comune, dal normale. Voleva quel picciotto sia<br />
come marito che come moglie. Era la <strong>prima</strong> vota che questo succedeva, ma lui adesso<br />
voleva così. Ma Pompeo, che tenia un creapopoli che era una delle sette meraviglie<br />
del mondo, aveva risposto picche. Lui era si bisessuale, anzi multisessuale come
amava <strong>di</strong>re lui, ma andava con chi cazzo voleva lui e faceva quel cazzo che voleva<br />
lui. E mai sarebbe andato con quel sacco <strong>di</strong> merda obeso, pelato e brutto come un<br />
franchistainni <strong>di</strong> paese. E per giunta parrino. Mai. E in occasione del primo natale<br />
passato a <strong>Monacazzo</strong> Pompeo organizzò uno bello scherzo al parrino. Andò a<br />
confessarsi, tanto per giocare, perché lui era ateo convinto e straconvinto, e ci cuntau<br />
quattro fesserie altamente stu<strong>di</strong>ate a tavolino. Quattro fesserie misero il fuoco nelle<br />
vene del parrino e lo indussero a osare. A osare <strong>di</strong> ottenere l’impossibile.<br />
> esordì il prete<br />
con voce impostata tra il finocchiesco e il pre<strong>di</strong>catore..<br />
><br />
> propose il prete.<br />
><br />
><br />
><br />
<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
> precisò il prete.<br />
<strong>di</strong>sse Pompeo.<br />
> chiese il prete sorridendo mentalmente.<br />
><br />
> <strong>di</strong>sse il prete.<br />
><br />
><br />
> >><br />
><br />
><br />
> replicò il prete.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
> rispose il prete.<br />
><br />
><br />
><br />
>
><br />
><br />
> propose il prete.<br />
> <strong>di</strong>sse Pompeo al<br />
prete.<br />
><br />
><br />
Al prete piacio quel capita capita, Poteva capitare tra lui e il picciotto.<br />
< E vai solo con coetanei o anche con adulti..>><br />
><br />
E <strong>di</strong> questo passo contò tante minchiate, tutte regolarmente false, mica poteva <strong>di</strong>rle<br />
cose vere. Gli affari del suo creapopoli erano affari suoi e basta; se andava a ficcarlo<br />
a destra o a manca erano cazzacci suoi e non degli altri. In ogni caso non erano fatti<br />
<strong>di</strong> competenza <strong>di</strong> quello scassacojoni autorizzato. Comunque i <strong>di</strong>scorsi <strong>di</strong> pilo fecero<br />
effetto sul prete. Gli piacque a padre Bernar<strong>di</strong>no la parola “ crescinmano”. E alla fine<br />
il prete osò. Si tirò fuori l’arnese , che era già cresciuto <strong>di</strong> suo sotto la tonaca, e <strong>di</strong>sse<br />
a Pompeo, dopo avergli dato l’assoluzione, <strong>di</strong> aiutarlo ad uscire dal confessionale.<br />
> <strong>di</strong>sse il prete.<br />
Pompeo si alzò e fece per aprire la porta del confessionale. Ma appena aprì quella<br />
porta si trovò il prete impegnato a praticare l’antica arte <strong>di</strong> Onan.<br />
> <strong>di</strong>sse padre<br />
Bernar<strong>di</strong>no.<br />
><br />
rispose il romano. E scappò via.<br />
Successivamente, con l’aiuto <strong>di</strong> Carmela, che era la sua amica del momento,<br />
appiccicò una bella poesia al confessionale <strong>di</strong> padre Cacaceddu. Una poesia in<br />
romanesco, la sua lingua “ de romano de Roma”, <strong>di</strong> appassionato lettore e amatore <strong>di</strong><br />
Gioacchino Belli e <strong>di</strong> altri poeti romaneschi. Questa la poesia. O meglio, il sonetto.<br />
Un sonetto codato. Titolo “ A PRETESSA”.<br />
Conosco n'prete detto la pretessa,<br />
grosso frocione molto conosciuto,<br />
e in parrocchia tanti so so' fottuto<br />
poiché je piace er cazzo e no la fessa.<br />
E da vedè quanno che <strong>di</strong>ce messa,<br />
parla cor culo - perché io l'ho veduto -<br />
e se lo smena peggio de la badessa<br />
quanno ch'ariceve er frate pizzuto.<br />
Mo' , sto pretaccio fottuto e puttano,<br />
l'antro ieri, ner corso de la confessione,
su la patta me mette la mano.<br />
Poi me fa " fijo mio, come sei bello,<br />
io te do' subito l'assoluzione<br />
se tu me fai n'certo ber giucarello".<br />
Al ch'io " sor puttanello,<br />
ite affanculo voi e l'assoluzioni<br />
che mo' m'avete rotto li cojoni".<br />
Se vogliamo essere liberi, creiamo noi stessi la nostra libertà e<br />
non atten<strong>di</strong>amola da altra parte.<br />
C. H. de Saint-Simon<br />
In una libera comunità dovrebbe essere lecito ad ognuno<br />
pensare quello che vuole e <strong>di</strong>re ciò che pensa.<br />
B. Spinoza<br />
Le persone virtuose e colte <strong>di</strong>fficilmente fanno una<br />
rivoluzione, perché sono sempre in minoranza.<br />
Aristotele
DUE : CICETTO MIO<br />
La rappresentazione del pericolo quando ci si è abbandonati al male<br />
della masturbazione, è forse il più potente motivo <strong>di</strong> correzione: è un<br />
quadro spaventevole, quanto mai adatto a far in<strong>di</strong>etreggiare per l’orrore.<br />
Sulla masturbazione. S.A.A.D. Tissot<br />
Li ricchi moderni virunu cazzi pi lanterni…<br />
Le tre scuole <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong> , doppio liceo, geometra e ragioneria, per i cazzi del<br />
destino, o il destino del cazzo, erano in mano alle tre sorelle Stoccacitrolo. Cirina,<br />
Alfia e Filadelfia Stoccacitrolo. Le “tre <strong>di</strong>sgrazie <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>” erano chiamate<br />
dagli studenti. E tre <strong>di</strong>sgrazie a tempo pieno erano. Le tre scuole infatti, più che<br />
scuole dalla Repubblica Italiana, laica almeno sulla carta, parevano tre dependance<br />
dell’arcivescovado o tre conventi <strong>di</strong> frati oranti e <strong>di</strong> monache <strong>di</strong> clausura. Le tre<br />
sorelle scassacazzi avevano imposto il grembiule nero e lungo fino al polpaccio alle<br />
ragazze, che dovevano indossare solo e sempre la gonna; vietato quella porcheria che<br />
si chiama ginsi ai ragazzi, che dovevano usare sempre la giacca e la cravatta; e poi<br />
ancora avevano proibito le barbe e i capelli lungi e imposto finanche la preghiera<br />
mattutina. Ma nel corso del famigerato anno sessantasette avevano dovuto, a forza <strong>di</strong><br />
scioperi, retrocedere su tanti punti . Avevano ceduto sul vestiario, ma non su quelli<br />
che loro chiamavano “Valori”.<br />
> <strong>di</strong>cevano pubblicamente.<br />
Le tre presi<strong>di</strong> abitavano nella stessa casa, ma solo una era sposata. Cirina era la<br />
moglie del dottor Paolo Sebastiano Concetto Minchiatrina. E a <strong>di</strong>re il vero, il<br />
fortunato dottore o sfortunato, a seconda dei punti <strong>di</strong> vista, maritandosi Cirina si era<br />
idealmente maritato anche Filadelfia e Alfia. Se erano mogli legalmente virtuali,<br />
perché la trigamia in Italia è vietata, nella realtà, carnalmente parlando, lui era il<br />
marito <strong>di</strong> tutte e tre. Il destino <strong>di</strong> un cognome come Minchiatrina. Il destino <strong>di</strong> avere<br />
tre nomi. Lui era Paolo per la moglie ufficiale Cirina, Sebastiano per la moglie<br />
ufficiosa Alfia e Concetto per l’altra moglie virtuale Filadelfia. E quando uscivano<br />
per la passeggiata al corso erano tutti e quattro a braccetto. Lui nel mezzo, a destra la<br />
consorte legittima, a sinistra, alternativamente, le altre due sorelle Stoccacitrolo. Che<br />
tante stoccacitrolo non erano, o meglio, lo stoccavano, ma lo stoccavano con piacere,<br />
con arte e con passione. Erano si ammuccaparticoli e caca<strong>di</strong>avoli specializzate, ma<br />
anche ammuccaminchia e cunnacuntenti <strong>di</strong> madre natura. E tanti ammiravano il<br />
dottor Minchiatrina che a casa aveva tre cunni a <strong>di</strong>sposizione del suo aceddu. Che<br />
senz’altro doveva essere una minchia, s’intende, <strong>di</strong> qualità. Con tre fornaci da<br />
sod<strong>di</strong>sfare. Vita bella ma nu tanticchia dura. Infatti il dottor Minchiatrina era l’unico<br />
me<strong>di</strong>co <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong> che non avesse una bella amante. Già a casa, <strong>di</strong> lavoro da fare<br />
per la sua minchia, ci ni stava abbastanza, che andarsi a trovare altri lavori fuori,
magari più piacevoli, non era proprio il caso. Anche se la sua minchia era <strong>di</strong> ottima<br />
fattura e resistenza sempre <strong>di</strong> carne era e l’osso non lo teneva.<br />
> scherzava con gli amici il dottor Paolo<br />
Sebastiano Concetto Minchiatrina. L’uomo con una minchia e tri cunna.<br />
Nella valle <strong>di</strong> Pantalica si era stabilita da tempo una comunità hippy. “I figli dei fiori”<br />
li chiamavano la gente comune. A vederli erano uno spettacolo. Quando scendevano<br />
a <strong>Monacazzo</strong> mettevano colore al corso. Coi loro abiti colorarti, i loro capelli lunghi e<br />
tutto il resto. Soprattutto con la loro voglia <strong>di</strong> libertà totale. Erano <strong>di</strong>o per qualcuno e<br />
il <strong>di</strong>avolo per tanti altri. I mascoli anziani <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong> taliavano quelle ragazze con<br />
le cosce <strong>di</strong> fuori che vivevano liberamente. E le invi<strong>di</strong>avano. Le consideravano<br />
buttane, ma invi<strong>di</strong>avano i mascoli <strong>di</strong> oggi. Invece ai loro tempi per vedere nu<br />
tanticchia <strong>di</strong> coscia c’era da fare la <strong>prima</strong> guerra mon<strong>di</strong>ale e pure la seconda. Per<br />
arrivare poi a toccare una minna o quell’altra cosa, l’oscuro oggetto del desiderio,<br />
bisognava fare dei miracoli. Per evadere la sorveglianza, per convincere la picciotta a<br />
fare soccu cosa e per trovare il momento giusto per attuare l’impresa. Adesso invece<br />
il pacchio era abbondante e alla portata <strong>di</strong> tutti.<br />
E infatti la comunità hippy “ I Figli della Kanapa” ( questo era il loro nome ufficiale )<br />
praticava la comunità <strong>di</strong> tutti i beni, sia materiali che immateriali. Anche i loro corpi e<br />
i loro sessi erano della comunità. Praticavano quello che suonava tanto pericoloso,<br />
rivoluzionario, peccaminoso, osceno e immorale all’orecchio <strong>di</strong> tutti i benpensanti. Il<br />
libero amore. A <strong>Monacazzo</strong> tanti avevano gridato allo scandalo. C’erano state<br />
interpellanze al consiglio comunale e denunce anonime e firmate contro questi<br />
hippy. Li accusavano <strong>di</strong> tutto. Di fatti veri e <strong>di</strong> fatti irreali. Era una sorta <strong>di</strong> santa<br />
inquisizione alle prese con un modello nuovo <strong>di</strong> stregoneria. Li accusavano <strong>di</strong> stare<br />
nu<strong>di</strong> all’aperto e <strong>di</strong> fare il bagno in tale tenuta, <strong>di</strong> consumare droghe , <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffondere<br />
idee illegali e sovversive , <strong>di</strong> essere miscredenti, <strong>di</strong> praticare il libero amore, <strong>di</strong><br />
adorare satana, <strong>di</strong> essere s<strong>di</strong>sanorati e senza onore, orgoglio , morale, <strong>di</strong>o e patria.<br />
In una lettera anonima arrivata ai carabinieri stava scritto “ .. e fanno ficca ficca come<br />
capita capita e senza taliare dove ficcano e con chi ficcano.. e ficcano anche ai bor<strong>di</strong><br />
del fiume.. sotto gli occhi dei compagni.. e a volte fanno pure le orge come gli<br />
antichi romani <strong>di</strong> Roma.. e giuro.. perché io li ho visti dentro il mio binocolo. Un<br />
rispettabile e preoccupato padre <strong>di</strong> famiglia .”<br />
Infatti erano tanti i rispettabili padri <strong>di</strong> famiglia <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>, <strong>di</strong> quelli che la<br />
domenica andavano in chiesa in doppiopetto , un doppio petto sotto il quale<br />
nascondevano una marea <strong>di</strong> altarini, che amavano fare i talia talia. Questi<br />
rispettabilissimi padri <strong>di</strong> famiglia spesso andavano a Pantalica e armati <strong>di</strong> binocolo si<br />
mettevano a spiare gli hippy. Si eccitavano a taliare le picciotte nude <strong>di</strong>cendo “ che<br />
culo.. che sticchio.. chi minni.. chi ci facissi.. comu ci la mittissi .. unni ci la mittissi.”<br />
Ma <strong>di</strong>cevano “ che schifo.. che vergogna..” appena nel loro campo visivo trasiva<br />
qualche battagghio a riposo o ad<strong>di</strong>tta. Ma si eccitavano chiù assai se trovavano una<br />
coppia in azione. Eccitazione che aumentava se acchiappavano due femmine in<br />
amore. Ma anche due mascoli. Perché molto spesso questo ricordava loro episo<strong>di</strong>
omoerotici <strong>di</strong> quando erano picciuttazzi senza testa. Ma il massimo dell’eccitazione<br />
era vedere un mascolo con due femmine o ad<strong>di</strong>rittura l’amore <strong>di</strong> gruppo. La <strong>prima</strong><br />
combinazione molti mascoli <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong> l’avevano concretizzata. La seconda no.<br />
Era pertanto bello per questi mascoli vedere dal vivo quello che spesso sognavano la<br />
notte, ma che non erano mai riusciti a concretizzare. L’orgia, ovvero il ficca ficca<br />
generale.<br />
Tra i mascoli che si recavano a vedere gli hippy, tutto travestito da barbone e pertanto<br />
irriconoscibile, c’era padre Bernar<strong>di</strong>no Cacaceddu. Si ad<strong>di</strong>vertiva a vedere tutta<br />
quella gente nuda. Gli sembrava una scena dantesca. Un girone dell’inferno <strong>di</strong> carne<br />
umano. Un giu<strong>di</strong>zio universale del piacere. Un quadro <strong>di</strong> Hieronimussu Bosci dal<br />
vivo. Taliava tutto il parrino, ma soprattutto taliava i mascoli. E puntava il suo<br />
potente binocolo sui loro genitali e sui loro culi. E nel taliare si alliccava il musso. E<br />
poi valutava. Infine tornava a casa e si la minava. Davanti allo specchio della camera<br />
da letto. Gli piaceva mettersi in poltrona nudo e taliare le sue performance nella parte<br />
<strong>di</strong> Onan. Gli piaceva taliare il suo corpo obeso, taliare il suo grasso e cercarsi la<br />
minchia tra tanta ciccia. E poi, quando la trovava, darsi da fare. Fino alla fine ,<br />
quando sborrava contro lo specchio.<br />
Il professore Fer<strong>di</strong>nando Bisticchiò , detto Ciccillone uno e due, si era maritato con la<br />
signora Nina Mezzacappella. Nina era affezzionatissima alla sorella Gina. Pertanto<br />
Ciccillone si trovò in casa sempre più spesso la cognata. E a forza <strong>di</strong> averla tra le<br />
palle, finì che se la ritrovò, col permesso della moglie, sopra la minchia. Iniziò<br />
accussì una storia a tri che andava avanti felicemente e che molti mascoli <strong>di</strong><br />
<strong>Monacazzo</strong> invi<strong>di</strong>avano. Avere una femmina da fottere e una che faceva l’assistente<br />
alla minchia era una bella cosa.<br />
> lo chiamavano.<br />
Il professore Ciccillone Bisticchiò insegnava Topografia al geometra. Ed era un<br />
insegnante <strong>di</strong> Ben. Ogni mattina i ragazzi scherzavano.<br />
><br />
> si chiedevano altri ragazzi.<br />
> <strong>di</strong>ceva Ben.<br />
> <strong>di</strong>ceva qualcuno.<br />
> rispondeva Ben.<br />
><br />
><br />
><br />
rispondeva Ben.<br />
Anche i carabinieri andavano spesso a fare dei controlli tra gli hippy. Cercavano i<br />
loro i documenti e li identificavano. Comunicavano eventuali nuove denunce contro<br />
<strong>di</strong> loro e poi cercavano <strong>di</strong> capire se la cosa aveva un riscontro o no, ma finora non<br />
avevano mai trovato hascisc e roba simile. O forse non l’avevano voluto trovare.
Avevano trovato solo vino e birra. E quello era materiale che non era reato detenere.<br />
Non avevano mai trovato materiale satanico e altra roba vietata. E neanche ragazzi<br />
minorenni scappati <strong>di</strong> casa o altro. L’unica accusa che aveva trovato conferma sin<br />
dalla <strong>prima</strong> volta era “ l’oltraggio al comune senso del pudore”.<br />
> aveva chiesto Ianka, che era uno dei capi, e che tinia<br />
una faccia <strong>di</strong> quelle alla “ io mi ni futtu <strong>di</strong> tuttu.” Era una domanda fatta tanto per<br />
fare. Per <strong>di</strong>re una minchiata in pù.<br />
> aveva risposto il maresciallo Minico Mezzocazzone.<br />
><br />
><br />
rispose il maresciallo Minico Mezzocazzone.<br />
> chiese Ianka.<br />
><br />
> <strong>di</strong>sse Ianka.<br />
> <strong>di</strong>sse il maresciallo Mezzocazzone.<br />
> aggiunse il suo compagno, l’appuntato Gerlando Pirlabon <strong>di</strong> Venezia.<br />
> concluse l’altro appuntato, Puddu Purceddu, che era sardegnolo.<br />
> <strong>di</strong>sse Ianka.<br />
E vinni subito una bionda tutta nuda ca purtau tre belle birrette ai carabinieri.<br />
> <strong>di</strong>ssero i C.C.<br />
> <strong>di</strong>sse la femmina che teneva le tette all’altezza degli occhi<br />
dei carabinieri.<br />
Era nuda, bionda e bella assai assai. Le palle degli occhi dei carabinieri non sapevano<br />
dove taliare. Passavano in un amen dalle tette al pilo del pacchio e poi risalivano<br />
verso la faccia, ma subito tornavano alle altre parti. Soprattutto al pilo del pacchio.<br />
Perché lì c’era il mistero da esplorare. Lì c’era da vedere quello che stava tra quelle<br />
cosce. La porta santa del piacere. Ma quannu Tirka si allontanò non riuscirono a<br />
staccare lo sguardo dal culo della picciotta. Restarono come imbambolati. L’unica<br />
cosa che non era rimasta come paralizzata era la loro minchia. Che s’era messa in<br />
pie<strong>di</strong> automaticamente. E non era una cosa bella, perché la minchia <strong>di</strong> un carabiniere<br />
deve essere sempre ligia al dovere e non deve mai attisare in servizio. Ma la loro era<br />
attisata. E tisa restò. Mentre quella <strong>di</strong> Ianka era tranquilla come una pasqua. Ianka<br />
l’aveva capito e sorrideva.<br />
><br />
> risposero laconici i C.C. ><br />
Ianka spiegò che i nomi utilizzati all’interno della comunità contenevano tutti la<br />
lettera K.<br />
><br />
> fecero i C.C. che tenevano il P.P. sempre tiso.
aggiunse Ianka.<br />
Poi i C.C. salutarono e andarono via. Con uno strano gonfiore sotto il bid<strong>di</strong>co e<br />
taliando a destra e a sinistra tutto quel ben <strong>di</strong> <strong>di</strong>o <strong>di</strong> pilo <strong>di</strong> femmina che stava a<br />
<strong>di</strong>sposizione della comunità.<br />
> <strong>di</strong>sse Ianka.<br />
> gridò da lontano Tirka, che stava per de<strong>di</strong>carsi un po’ allo yoga.<br />
In macchina, ritornando al paese, i tre C.C. parlarono <strong>di</strong> quella bella vita che<br />
conducevano gli hippy.<br />
> chiese Minico Mezzocazzone.<br />
> risposero Gerlando e Puddu.<br />
><br />
Gerlando e Puddu risero .<br />
><br />
> <strong>di</strong>sse Puddu.<br />
Risero, ma poi Minico sparò:<br />
><br />
> <strong>di</strong>sse Gerlando.<br />
> <strong>di</strong>sse Minico.<br />
><br />
> rispose Minico. ><br />
> <strong>di</strong>sse il<br />
veneziano.<br />
> <strong>di</strong>sse Minico.<br />
> <strong>di</strong>sse Puddu.<br />
> <strong>di</strong>sse Minico.<br />
><br />
><br />
>
<strong>di</strong>sse Minico.><br />
><br />
> sparò Minico.<br />
> rispose serio Gerlando.<br />
> <strong>di</strong>sse Puddu.<br />
> <strong>di</strong>sse Minico.<br />
> replicò Puddu.<br />
Restarono poi intesi che l’impresa dell’andare a fare il bagno con i figli dei fiori<br />
doveva essere imminente.<br />
> <strong>di</strong>sse Minico Mezzocazzone che tanto<br />
mezzocazzone non era.<br />
> replicò Gerlando Pirlabon che tanto pirla<br />
non era, ma minchiabon <strong>di</strong> sicuro sì.<br />
> soggiunse<br />
Puddu.<br />
> <strong>di</strong>sse Minico.<br />
> <strong>di</strong>sse Pirlabon.<br />
> <strong>di</strong>sse Puddu.<br />
> <strong>di</strong>ssero Gerlando e Minico.<br />
> specificò Puddu.<br />
><br />
risposero i colleghi.<br />
Ciccio Cicidda era sempre più preoccupato dalla situazione italiana. La vedeva<br />
degenerare verso l’anarchia.<br />
> <strong>di</strong>ceva dentro la sua testa <strong>di</strong> fine parlatore.<br />
E soffriva. E si preoccupava. E risoffriva, soprattutto per quel suo amato figlio, frutto<br />
della sua simenta, portatore del suo cognome, generato per volontà e capacità della<br />
sua minchia. Quel pezzo <strong>di</strong> carne della sua carne era un comunista ateo rivoluzionario<br />
marxista leninista stalinista maoista e chi più ne aveva più ne metteva. Era rosso e<br />
miscredente.<br />
> <strong>di</strong>ceva dentro la sua testa. Ma poi aggiungeva: ><br />
Perché <strong>di</strong> sua moglie tutto si poteva <strong>di</strong>re tranne che fosse una buttana. Purtroppo Ben<br />
si era lasciato influenzare dalla moda, dall’ideologia dominante, dalla pubblicità<br />
occulta o semiocculta, che propagandava solo e soltanto idee <strong>di</strong> sinistra. Ed era<br />
caduto nella rete, dalla testa ai pie<strong>di</strong>. Per lui suo figlio era un ragazzo debole, un<br />
ragazzo senza carattere, senza coglioni. Un ragazzo che non aveva rispetto per il<br />
nome che portava . Tanto che si era innamorato della figlia <strong>di</strong> due NN.
E Ciccio Cicidda dava della simbolo NN una sua particolare interpretazione.<br />
><br />
L’idea che il figlio, il suo unico figlio, finisse maritato a una figlia <strong>di</strong> NN lo mandava<br />
in bestia.<br />
><br />
A <strong>di</strong>re il vero papà Ciccio una bella idea in testa l’aveva. Una delle due vicine <strong>di</strong><br />
casa, le sorelle Devozione e Consolata Bucochiuso. Ricche da fare schifo, sante e<br />
pure da potere stare sull’altare, appitittate <strong>di</strong> zito, da trasformare in marito, da potere<br />
stare in un postribolo.. e tutto sommato pure belline.. ma bucochiuso <strong>di</strong> nome e <strong>di</strong><br />
fatto.. Cercavano zito, ma non uno qualsiasi.. erano ragazze che seguivano il<br />
consiglio <strong>di</strong> mamma e papà.<br />
Il marito PLM. Professionista, laureato e possibilmente minciazza.<br />
Pompeo era <strong>di</strong>ventato amico <strong>di</strong> Ben e una sera , tanto per fare una cazzata, decisero <strong>di</strong><br />
fare una scappata all’Arcazzo, il quartiere delle buttane <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>. Arcazzo<br />
perché si sviluppava a ridosso <strong>di</strong> un grande arco <strong>di</strong> epoca romana. E non perché in<br />
quel quartiere si trattassero affari legati “ar cazzo”. Questa invece era stata<br />
l’interpretazione che ne aveva dato il romano Pompeo.<br />
><br />
Ogni tanto ci andavano per taliare. Ma stavolta volevano consumare.<br />
> proponeva spesso Pompeo.<br />
> rispondeva Ben.<br />
><br />
D’altra parte loro non avevano bisogno <strong>di</strong> fare sesso a pagamento. Pompeo aveva<br />
fatto del sesso già a Roma e a <strong>Monacazzo</strong> si era subito ambientato anche dal punto <strong>di</strong><br />
vista sessuale. Aveva già messo su un <strong>di</strong>screto curriculum che comprendeva<br />
rappresentanti <strong>di</strong> entrambi i sessi. Ben invece aveva fatto sesso solo con Iatata. Se il<br />
primo era bisessuale, il secondo era stato , almeno fino ad un certo punto,<br />
eterosessuale al cento per cento. Anche se Ben aveva capito che Pompeo lo<br />
corteggiava e voleva avere una storia <strong>di</strong> pilu con lui. Una storia da aggiungere al suo
icco curriculum. E Ben, a <strong>di</strong>re il vero, era tentato <strong>di</strong> accettare le avance dell’amico.<br />
Tanto per provare. Per sperimentare. Per concretizzare quel detto che recitava “ Il<br />
sesso è conoscenza”. Ogni volta che erano stati a passiari all’Arcazzo si erano<br />
sottratti all’invito pressante delle “impiegate della minchia” ed erano tornati al paese<br />
eccitati ma felici. Avevano <strong>di</strong>scusso a lungo del sesso a pagamento ed avevano<br />
concluso che era una cosa buona e giusta. Ma una volta avevano approfon<strong>di</strong>to<br />
l’argomento.<br />
> <strong>di</strong>ceva Ben.<br />
> chiese Pompeo.<br />
> tentennò Ben ><br />
> replicò Pompeo.<br />
><br />
> richiese Pompeo.<br />
> sparò Ben.<br />
><br />
> rispose Ben.<br />
><br />
><br />
><br />
> <strong>di</strong>sse Ben.<br />
><br />
Alla fine Ben si fece convinto che i due sessi avevano lo stesso <strong>di</strong>ritto al piacere.<br />
Anche <strong>di</strong> quello a pagamento. E che se una femmina andava con un prostituto non era<br />
certo una buttana, ma solo una che s’era livato il pititto <strong>di</strong> farsi una ficcata senza<br />
impegni e complicazioni.<br />
> aveva chiesto Ben quella volta.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
> aveva proposto<br />
Pompeo. Spontaneamente Ben rispose <strong>di</strong> sì.<br />
A casa <strong>di</strong> Pompeo non c’era nessuno. Andarono nella stanzetta del ragazzo e<br />
incominciarono a scherzare.<br />
> <strong>di</strong>sse Pompeo.<br />
Pompeo si tolse i pantaloni. La coppola dello zio Vincenzo stava soffocando e decise<br />
autonomamente <strong>di</strong> pigliare una boccata d’aria. Si affacciò dal bordo dello slippi. Ben<br />
scoppiò a ridere. Per tutta risposta Pompeo gli aprì la patta e gli prese in mano la
minchia tisissima. Ben lasciò fare. Non avvertiva <strong>di</strong>fferenza tra le mani dell’amico e<br />
quelle <strong>di</strong> Iatata. Il su e giù era lo stesso. Chiuse gli occhi e pensò che quella mano<br />
fosse quella della sua ragazza. E senza accorgersene allungò la mano verso il basso<br />
ventre dell’altra persona, cercava la fica <strong>di</strong> Iatata ma trovò il cazzo dell’amico.<br />
Risautò ma lo acchiappò. E fece anche lui su e giù. Fino alla fine. Vennero insieme<br />
ma non <strong>di</strong>ssero niente.<br />
Adesso invece stavano andando insieme a buttane. Tanto per fare l’esperienza del<br />
sesso a pagamento. E ci andarono. Una volta fuori si raccontarono i fatti e conclusero<br />
che il sesso a pagamento era nu tanticchia insod<strong>di</strong>sfacente. Bello ma insod<strong>di</strong>sfacente.<br />
Questo il resoconto <strong>di</strong> Ben.<br />
><br />
> concluse Pompeo.<br />
> aggiunse Ben.<br />
> <strong>di</strong>sse Pompeo.<br />
><br />
Passeggiando fecero ritorno a <strong>Monacazzo</strong>.<br />
Una volta in paese Pompeo <strong>di</strong>sse: ><br />
Ben <strong>di</strong>sse <strong>di</strong> sì. Nella domanda e nella risposta era automaticamente inserita una<br />
nuova voglia <strong>di</strong> sperimentare ulteriormente il loro omoerotismo. E accussì fu.<br />
Pompeo corse sotto la doccia e invitò Ben a seguirlo. Ben , dap<strong>prima</strong> indeciso, si<br />
godeva lo spettacolo dell’amico che si insaponava un po’ <strong>di</strong> qua e un po’ si là . Ma<br />
alla fine finiva sempre ad insaponare il marrugghio. Come se lo volesse sciacquare<br />
all’infinito, purificare da quel sesso a pagamento fatto poco <strong>prima</strong>. Dell’aroma, degli<br />
odori e degli umori <strong>di</strong> quella rispettabile mignotta con cui si era accompagnato. La<br />
ciolla era tisa e Pompeo la strapazzava. Quella era anche una minata camuffata da<br />
doccia.<br />
<strong>di</strong>sse Pompeo. Ben era eccitato ma continuava a taliare. Taliava<br />
l’aceddu dell’amico. Ma pure il suo culo. Era bello il culo del romano. Si sentì preso<br />
dal desiderio. Ci l’avrebbe ficcato veramente volentieri nel culo all’amico. Ma poi<br />
quello avrebbe voluto fare la stessa cosa. Certo, sarebbe stata una esperienza in più.<br />
Se è vero che il sesso è conoscenza. Ma lui ci teneva all’integrità del suo culo. Al
massimo ci poteva giocare Iatata. Che ci lo cartigghiava e a volte ci ficcava il <strong>di</strong>tino<br />
piccolo, il mignolo. Ma una cosa era il mignolo della sua zita, un'altra la minciazza<br />
dell’amico. Eppure la sua minciazza nel culo <strong>di</strong> Iatata ci trasiva con facilità. Anche se<br />
la <strong>prima</strong> volta era stata una avventura. Comunque rinunciò all’idea <strong>di</strong> inculare<br />
Pompeo. Solo e soltanto per la scanto <strong>di</strong> dovere ricambiare il favore.<br />
> <strong>di</strong>sse Pompeo in<strong>di</strong>cando il suo creapopoli tutto<br />
insaponato. Ben finalmente si decise , si spogliò e lo raggiunse. Spogliandosi<br />
l’uccello si era acquietato. Pompeo prese ad insaponarlo e le sue cure si<br />
concentrarono sul creapopoli dell’amico che in quattro e quattr’otto rimise le ali e<br />
riprese il volo interrotto. A questo punto si abbracciarono. Seguì un bacio intanto che<br />
le relative appen<strong>di</strong>ci erette sciabolavano tra <strong>di</strong> loro in un duello virtuale. Una vera<br />
bimentulamachia. Poi Pompeo passò ai capezzoli, quin<strong>di</strong> scese più in basso e fece un<br />
pompino all’amico. Questi chiuse gli occhi e pensò che inginocchiata davanti a lui,<br />
sotto la doccia, ci fosse Iatata. Alla fine concluse pensando che le bocche erano tutte<br />
uguali. Non c’erano bocche <strong>di</strong> mascoli e bocche <strong>di</strong> femmine, c’erano solo bocche<br />
brave a fare pompini e bocche che non li sapevano fare.<br />
> <strong>di</strong>sse Pompeo dopo essersi rialzato ><br />
Ben scoppiò a ridere. Intanto le mani <strong>di</strong> Pompeo gli accarezzavano la testa e lo<br />
spingevano verso il basso. Ben capì cosa voleva l’amico. Capì che era un invito a<br />
provare. E Ben provò. Con ansia e preoccupazione. Alliccò i capiccia tisi dell’amico.<br />
Poi ci ficcò la lingua nell’ombelico. Intanto sentiva l’aceddu romano sotto il mento.<br />
Sentiva il salsicciotto caldo, duro. Prima lo vasò, poi l’alliccò e alla fine si<br />
l’ammuccò, si lu sucò e il latte s’ingoiò. Ma decise anche che era meglio farsi<br />
ciucciare che ciucciare.<br />
> <strong>di</strong>sse con atteggiamento da pre<strong>di</strong>catore Ben.<br />
> addumannò curioso<br />
Pompeo.<br />
><br />
> <strong>di</strong>sse serio<br />
Pompeo.<br />
> chiese Ben.<br />
><br />
><br />
><br />
>
><br />
><br />
><br />
> rispose Pompeo ridendo.<br />
><br />
<br />
> <strong>di</strong>sse ben tenendosi stretto l’aceddu.<br />
Dopo questi <strong>di</strong>scorsi culturali si fecero una canna.<br />
Su quell’esperienza dei viaggi a vuoto all’Arcazzo Pompeo scrisse, come al solito,<br />
un bel sonetto romanesco intitolato “ CICETTO MIO”.<br />
TRE : LI CONSIJ DE MAMMA’<br />
’A mamma sta ’n capo o’ cape ’e casa; è nu cappiello.<br />
R. Viviani; <strong>di</strong>aletto napoletano<br />
Sutta sta coppola <strong>di</strong> celu jarrusu<br />
lu megghiu iocu è lu iocu pilusu..<br />
Un pomeriggio Ben era andato a trovare a casa Iatata. Sapeva che i genitori <strong>di</strong> lei e il<br />
fratello e la sorella erano andati a Catania e sarebbero tornati la sera. Mancava poco<br />
alle vacanze pasquali. La ragazza era raffreddata e teneva pure la febbre. Bussò tre<br />
volte ma non rispose nessuno. Stava per andare via ed era già sulle scale quando sentì<br />
aprire la porta. Si girò e tornò in<strong>di</strong>etro. Ad aprirgli era stato Pompeo.<br />
> <strong>di</strong>sse il romano.<br />
> chiese Ben entrando.<br />
> E gli <strong>di</strong>ede una manata sul cazzo.<br />
> chiese ridendo Pompeo.<br />
><br />
> rispose Ben dando una pacca sulla spalla all’amico.<br />
Arrivati nella stanzetta <strong>di</strong> Iatata Ben salutò la zita che stava sotto le coperte. Era bella<br />
anche con la febbre e i lunghi capelli ricci tutti scomposti. Sul letto stava aperto il<br />
libro <strong>di</strong> anatomia. Stavano stu<strong>di</strong>ando veramente l’apparato riproduttore.<br />
> <strong>di</strong>sse Ben.<br />
> rispose Iatata.<br />
> chiese<br />
Pompeo.<br />
> rispose<br />
provocatoria la ragazza.<br />
> <strong>di</strong>sse il romano.<br />
> sparò Ben che non era per niente geloso <strong>di</strong> Pompeo.<br />
<strong>di</strong>sse Iatata a Ben.<br />
> <strong>di</strong>sse Ben.<br />
> rispose Pompeo.<br />
><br />
><br />
> risposero in coro Ben e Iatata.<br />
Andato via Pompeo Ben si buttò sul letto della zita malata e le <strong>di</strong>ede un bacio ad hoc.<br />
Poi la scoperchiò e andò ad esplorare la valle del piacere. Come previsto la zita era<br />
senza mutande.
> rispose lei.<br />
><br />
Ben ficcò un <strong>di</strong>to nella vagina calda <strong>di</strong> lei e poi titillò a lungo il clitoride della zita.<br />
Forse cercava segnali <strong>di</strong> corna, o forse no. Lei invece le abbassò i pantaloni e gli<br />
ciucciò il birillo che era già tiso . A lui piaceva essere ciucciato dalla zita. Gli piaceva<br />
vedere quella testa con una marea <strong>di</strong> capelli neri, ricci e lunghi piegarsi su <strong>di</strong> lui. Si<br />
eccitava a sentirsi la minchia circondata da tutti quei capelli. Si eccitava al punto tale<br />
che alcune volte si era masturbato tra quei capelli. Era venuto in quella foresta <strong>di</strong> peli<br />
neri. Aveva ficcato con i capelli. E la considerava una bella esperienza erotica: la<br />
tricofilia. Ma poi, un po’ <strong>prima</strong> <strong>di</strong> venire, Ben <strong>di</strong>sse:<br />
><br />
Iatata si girò e lui le alzò la cammisa da notte. Ben prese a massaggiare il culetto. Si<br />
vedeva il puntino lasciato dall’ago. Il massaggiò cauriò la carusa e accese ancora <strong>di</strong><br />
più la candela <strong>di</strong> carne <strong>di</strong> lui. Che piazzò l’aggeggio nella vallata intrachiappale.<br />
> chiese lei sapendo dove voleva andare a parare lo zito.<br />
><br />
><br />
E Ben fece. Iatata lasciò fare. Poi parlarono a lungo. Iatata le raccontò tutta la storia<br />
della puntura. O meglio, quasi tutta. Lei la gnizioni non voleva farsela fare, ma non<br />
per vergogna. Non voleva farsela fare per non mostrare il culo all’amico che la<br />
desiderava non solo come amica. Ma Pompeo aveva insistito.<br />
> le aveva detto lui ironico come sempre..<br />
> aveva risposto lei mentendo ><br />
> aveva risposto lui papale papale.><br />
> replicò aci<strong>di</strong>na Iatata.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
> chiese lei curiosa.
><br />
><br />
><br />
><br />
Allora Pompeo aveva improvvisato uno strippi. E si era fermato allo slippi. Aveva<br />
sculettato a lungo in quella tenuta. Il romano era eccitato. Il pacco ballava. Lei<br />
conosceva la misura del giovane. Di vista naturalmente.<br />
> <strong>di</strong>sse lei.<br />
E lui , girandosi, si abbassò le mutande. Solo allora lei accettò <strong>di</strong> farsi fare la<br />
gnizione. Si mise a pancia in giù e si lasciò la cammisa da notte abbassata.<br />
> <strong>di</strong>sse lei.<br />
Lui si piazzò a cavacecio sulle sue cosce e iniziò a sollevare piano piano la cammisa<br />
da notte. E intanto cantava. “ Ta, ta, ta, tan, tan, tam, tim, tum..”<br />
> <strong>di</strong>sse lei.<br />
Alla fine lui mise il culo della picciotta a bella vista. E finalmente ci azziccò la<br />
puntura, ma solo dopo aver massaggiato a lungo la zona interessata. Scendendo<br />
spesso al limite tra la natica e la zona tra le cosce. Scostando spesso la natica destra<br />
dalla sinistra e taliando così il buchetto <strong>di</strong> Iatata. Poi finalmente gliela fece. Gliela<br />
fece col creapopoli che s’affacciava dall’elastico delle mutande. Forse voleva taliare<br />
pure lui. Infine lei, girandosi e vedendo la situazione che s’era venuta a creare,<br />
scoppiò a ridere. Lui era sempre a cavacecio sulle sue cosce e dalle mutande veniva<br />
fuori, tutta sorridente , la sua coppola dello zio Vincenzo. Una risata a bocca<br />
spalancata e incontenibile si impadronì <strong>di</strong> lei. E più lei rideva più la cammisa da notte<br />
si alzava. Pompeo invece taliava l’alzata <strong>di</strong> quel sipario particolare. E taliava pure la<br />
punta della sua minchia. Sperava <strong>di</strong> vedere San Cunno affacciarsi. E più la cammisa<br />
s’alzava, più Santa Mentula s’affacciava. Iatata continuava a ridere e finalmente San<br />
Cunno venne fuori. Lui taliava. Sempre a cavacecio sulle sue cosce. Anche la<br />
minchia taliava il cunno <strong>di</strong> Iatata. E la cammisa saliva ancora. Adesso anche<br />
l’ombelico era a bella vista. Lei rideva sempre più e la cammisa saliva ancora. Lui<br />
continuava a taliare. La minchia pure. Ma anche lei taliava santa Mentula uscire<br />
sempre più fuori dalle mutande. E rideva. Accussì la cammisa-sipario salendo liberò<br />
pure le tette. Lei rideva e forse non si rendeva neanche conto <strong>di</strong> essere esposta tutta<br />
sana sana allo sguardo <strong>di</strong> Ben. L’ultima ondata <strong>di</strong> riso incontenibile si estese anche<br />
alla muscolatura delle gambe e Iatata allargò involontariamente le cosce. Anche se<br />
per poco, Pompeo vide la fregnetta tutta pelosetta <strong>di</strong> lei. A portata del suo creapopoli.<br />
A quel punto non ce la fece più e attaccò a minarsela davanti a lei. Poteva tentare un<br />
approccio. La sua minchia tisa era a poca <strong>di</strong>stanza dalla fica <strong>di</strong> lei. Lui era sempre a<br />
cavacecio sulle sue cosce, ma per rispetto <strong>di</strong> lei e <strong>di</strong> Ben attaccò a minarsela.<br />
Convinto che la sua simenta sarebbe finita su quella fica ,su quella pancia, su quelle<br />
tette. E forse anche su quel viso. A quella vista lei smise <strong>di</strong> ridere. Capì che quella<br />
sega era un omaggio alla sua bellezza. E un segno <strong>di</strong> rispetto per lei e Ben.<br />
> gli <strong>di</strong>sse.
Lui non sentì neanche. O non volle sentire. Allora lei sgattaiolò da sotto le sue gambe<br />
e andò a dargli una mano. E quando capi che la simenta stava per uscire, non avendo<br />
fazzolettini <strong>di</strong> carta a portata <strong>di</strong> mano, per evitare <strong>di</strong> sporcare per terra o il letto o <strong>di</strong><br />
farsi sporcare lei, pigliò la decisione <strong>di</strong> ammuccarisi il cannolo dell’amico e <strong>di</strong><br />
agghiuttirisi il suo spumante personale. Il latte <strong>di</strong> creapopoli romano.<br />
> <strong>di</strong>sse lui.<br />
> rispose lei.<br />
> ri<strong>di</strong>sse Pompeo.<br />
> ririspose Iatata che teneva ancora nelle sue<br />
mani la minchia dell’amico. E intanto si passava la lingua sul musso.<br />
> aggiunse la ragazza.<br />
> <strong>di</strong>sse<br />
Pompeo contento.<br />
Proprio allora bussarono alla porta. Lui si rivestì <strong>di</strong> fretta . Ribussarono. Lei si<br />
sistemò la cammisa e si rimise a letto. Bussarono ancora una volta. Solo allora<br />
Pompeo andò ad aprire.<br />
Adesso lei aveva raccontato tutto allo zito, tutto tranne l’ultima parte. Allo zito <strong>di</strong>sse<br />
che aveva fatto una sega a Pompeo e che poi l’aveva pulito con un fazzolettino. Il<br />
racconto riaccese il desiderio <strong>di</strong> lui. Lui che era già stato sod<strong>di</strong>sfatto , mentre lei non<br />
lo era. Per questo Ben si <strong>di</strong>ede da fare con la sua lingua esperta e la fece godere<br />
come una maiala. Se il latte del suo brigghiu era finito nel culo <strong>di</strong> lei, adesso era lu<br />
sculu della passerina dolce <strong>di</strong> lei che riempiva la sua bocca, l’odore stimolava il suo<br />
naso, e la vista della stessa i suoi occhi. Il suo aceddu era sempre arrapatissimo.<br />
Allora lui la convinse a fare ancora sesso, ma sul letto dei genitori. Lo fecero nel<br />
lettone, nella classica posizione del missionario. Dopo questa ficcata lui, taliando in<br />
giro, vide una vecchia foto sul cantarono, una foto che lo fece rabbrivi<strong>di</strong>re.<br />
> chiese Ben a Iatata.<br />
> rispose lei raggiungendolo <strong>di</strong> spalle e stricandogli la<br />
passera sul culo.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Poi parlarono a lungo. Anche dei loro genitori. Il papà <strong>di</strong> Ben e quello <strong>di</strong> Iatata<br />
avevano la stessa età. Solo che il primo era figlio del podestà, l’altro <strong>di</strong> NN. Uno era<br />
figlio <strong>di</strong> simenta certa e documentata ma non assomigliava al padre, l’altro era figlio<br />
<strong>di</strong> simenta ignota ma assomigliava al padre dell’altro.<br />
> chiese Iatata che adesso gli stava arriminando<br />
i cabasisi.<br />
> rispose Ben .<br />
>
E il cazzo <strong>di</strong> Ben stava rinascendo. Era un ennesimo miracolo del cazzo. Era meglio<br />
sfruttare l’occasione. E tornare a letto. Ma Ben volle fare tutto ad<strong>di</strong>tta. E accussì<br />
fecero. Conclusero sucandosi la stessa canna.<br />
Cepito Portusodoro se la passava bene e desiderava la stessa cosa per i figli. Era<br />
contento <strong>di</strong> Iatata che s’era messa con Ben. Lui stimava il picciotto. Ma gli stava sulla<br />
coppola della minchia suo padre, quel bastardo <strong>di</strong> Ciccio Cicidda. E soprattutto il<br />
padre <strong>di</strong> suo padre, l’oramai defunto Concetto Cicidda, il tanto o<strong>di</strong>ato podestà <strong>di</strong><br />
<strong>Monacazzo</strong>. Se lo ricordava quando portava i “ regali del fascio” ai carusi frutto <strong>di</strong><br />
simenta ignota. Parlava e <strong>di</strong>ceva minchiate mirabolanti. Qualcuno <strong>di</strong>ceva che era un<br />
grande figlio <strong>di</strong> buttana. Che forse lì dentro c’erano pure figli suoi. Tutti sapevano<br />
che era un buttaniere patentato e che non faceva un piacere a nessuno se qualche<br />
femmina della famiglia in questione non gli dava quella certa cosa.<br />
> era il suo detto preferito.<br />
Alla caduta del fascismo lui e il figlio si erano rifugiati nel convento e avevano<br />
vissuto per parecchio tempo nascosti nella cantine. Come due cani arrabbiati. Poi ,<br />
quando le acque si erano calmate , l’ex podestà era tornato a vivere a casa sua<br />
insieme col figlio. E con due criate. Era stato processato da un tribunale della<br />
Repubblica e assolto. Poi si era risposato. Ma per fortuna la simenta maliritta non<br />
aveva dato altri frutti. E la nuova moglie era morta giovane. Lui era vissuto ancora<br />
un po’. Poi si era sparato nel suo stu<strong>di</strong>o; ma su questa notizia che tutti sapevano era<br />
caduto il silenzio. Tutti parlarono <strong>di</strong> incidente intanto che l’ex podestà puliva i suoi<br />
cimeli del periodo nero.<br />
Tutti invece sapevano quello che era successo alla caduta del fascismo. L’uomo era<br />
stato sorpreso <strong>di</strong>etro la scrivania da <strong>di</strong>eci antifascisti intanto che una nota signora ,<br />
una dama <strong>di</strong> una famosa confraternita locale, gli faceva un pompino sotto la stessa.<br />
La signora era stata rispe<strong>di</strong>ta a casa in un amen, ma solo dopo che aveva fatto lo<br />
stesso piacere ai <strong>di</strong>eci componenti il “ tribunale della libertà ”. E tutto sotto gli occhi<br />
<strong>di</strong> Concetto Cicidda, che era stato denudato e attaccato a una colonna come un<br />
sammastiano. Processato seduta stante da quella sorta <strong>di</strong> tribunale popolare il podestà<br />
era stato condannato alla fucilazione.<br />
Ma il desiderio <strong>di</strong> vendetta era nelle menti e nei cuori <strong>di</strong> tanta gente. Qualcuno lo<br />
voleva torturare in quelle stesse sale dove tanti nemici del fascismo erano stati<br />
torturati. Qualcuno voleva una sua pubblica confessione. Quante femmine si era<br />
fatte? Quanti figli aveva? Ma forse non lo sapeva neanche lui. Alla fine fu deciso <strong>di</strong><br />
sodomizzarlo. Tanto per fargli assaggiare nel culo quella minchia che lui aveva fatto<br />
assaggiare a tante femmine del posto in tutti i posti possibili. Stinnicchiatu sulla<br />
scrivania e tenuto da quattro persone fu sodomizzato a ripetizione .<br />
Poi gli fu appeso alla minchia una cartello che <strong>di</strong>ceva ” questo cazzo <strong>di</strong> questa testa<br />
<strong>di</strong> cazzo che si chiama Concetto Cicidda ha offeso e umiliato le femmine <strong>di</strong><br />
<strong>Monacazzo</strong>”. E così conciato fu portato in processione per il paese. E tutti lo<br />
sputavano. In faccia, sul culo, ma soprattutto sulla minchia.<br />
Tutto questo in attesa <strong>di</strong> essere fucilato. Qualcuno lo voleva sodomizzare in<br />
pubblico. Ma non si arrivò a questo. E neanche all’esecuzione. Un gruppo <strong>di</strong>
fedelissimi mascherati lo portò in salvò. Così, coperto da un mantello, arrivò al<br />
convento dove altri fedelissimi avevano già portato suo figlio. E li dentro papà<br />
Concetto e suo figlio Ciccio erano vissuti per un po’ <strong>di</strong> tempo in incognito.<br />
Commare Filomena Senzazonna, vedova del falegname Turi Minabrigghiu, teneva<br />
due figlie in età da marito. Le ragazza avevano il <strong>di</strong>ploma <strong>di</strong> “sarte specializzate in<br />
abiti femminili e vestiti maschili” e lavoravano con la mamma nella sartoria <strong>di</strong><br />
famiglia. Che teneva la sede in due tammusa che stavano sotto casa Cicidda. Mentre<br />
al primo piano dello stesso abitavano. E allato a loro c’era casa Sorcaealtro. La<br />
figlia grande teneva <strong>di</strong>ciott’anni e si chiamava Tonina, la piccola ne aveva <strong>di</strong>ciassette<br />
e si appellava Ninetta. E alla mamma ci parevano già due sticchiaredda aci<strong>di</strong> ca ci<br />
sarebbero arristati sulla panza. Tutti le volevano le figlie sue ma nessuno si li<br />
pigliava. Le caruse tenevano pititto dello zito ma avevano una idea dell’amore fuori<br />
dal comune. E la colpa <strong>di</strong> tutto era della mamma che le aveva fatte crescere con l’idea<br />
del peccato che si ficcava dappertutto e specialmente in certi posti. Mamma Filomena<br />
era la sessuofobia fatta persona.<br />
><br />
> rispondevano le ragazze col forno già accesso anche se senza<br />
tizzone a <strong>di</strong>sposizione.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
> chiedevano le picciotte che<br />
si <strong>di</strong>vertivano a sentire la mamma fare il suo corso <strong>di</strong> <strong>di</strong>seducazione sessuale<br />
altamente professionale.<br />
><br />
> chiedevano le caruse.<br />
><br />
><br />
>
Alle caruse a <strong>di</strong>re il vero piacevano i vicini <strong>di</strong> casa Ben Cicidda e Pompeo<br />
Sorcaealtro. Ma l’uno ficcava con la zita e l’altro ficcava unni capitava capitava.<br />
Mica si sarebbero messi a perdere tempo con loro, che non sapevano <strong>di</strong> dove<br />
minchia ancuminciari per rendere felice n’aceddu. Comunque i due vicini erano due<br />
picciotti biddazzi. La mamma invece pensava e ragionava a suo modo.<br />
><br />
Poi pensava alla sua vicina e al suo famoso detto.<br />
> <strong>di</strong>ceva donna<br />
Santinedda Cunnucinu, la moglie del ragioniere Sacchettavacanti.<br />
In realtà tanti si facevano avanti per prenotare la mano <strong>di</strong> Tonina o <strong>di</strong> Ninetta, ma<br />
visto che poi era impossibile <strong>di</strong>alogare “ sessualmente “con loro le mandavano<br />
affanculo. In quattro e quattr’otto.<br />
> era la <strong>prima</strong> dumanna che facevano al malcapitato.<br />
> <strong>di</strong>cevano molti.<br />
><br />
> <strong>di</strong>cevano i picciotti <strong>di</strong> campagna. <strong>di</strong>ceva qualcuno.<br />
> rispondevano le sorelle. ><br />
> <strong>di</strong>ceva il malcapitato <strong>di</strong> turno.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
rispondeva qualcuno.<br />
> rispondeva<br />
qualcun’altro.<br />
><br />
rispondevano altri ancora.
Accussì il tempo passava e Tonina e Ninetta sognavano sempre l’arrivo <strong>di</strong> una<br />
minchiazza impiegata. Dalla finestre della loro camera taliavano sempre casa<br />
Sorcaealtro e spiavano Pompeo. Si <strong>di</strong>vertivano a taliare le sue nu<strong>di</strong>tà. Perché il<br />
caruso stava sempre smutandato. L’avevano visto pure intento a segarsi o farsi segare<br />
da una carusa. Ma anche alle presse con dei mascoli.<br />
> <strong>di</strong>ceva una.<br />
> <strong>di</strong>ceva l’altra . E ridevano.<br />
> <strong>di</strong>ceva l’una.<br />
> <strong>di</strong>ceva l’altra sospirando.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
> <strong>di</strong>cia la <strong>prima</strong>.<br />
> rispondeva la sorella.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
> chiedeva la sorella.<br />
> rispondeva l’altra.<br />
E scoppiavano a ridere. E correvano sul letto a fare il tocca tocca. Che questi erano i<br />
soliti commenti delle sorelle Tonina e Ninetta Minabrigghiu. Avevano infatti assistito<br />
a tante cose.. a un pompino e a una ficcata lampo con una carusa che loro<br />
conoscevano. E la carusa se l’era fatta mettere <strong>prima</strong> davanti e poi l’aveva fatto finire<br />
<strong>di</strong> darreri. E loro s‘erano fatti infiniti segni della croce. Ogni volta che Pompeo<br />
trasiva si segnavano, ogni volta che usciva sospiravano. Ma erano rimasti sorpresi<br />
quando lo avevano scoperto con un altro mascolo. Erano scappati sotto le coperte del<br />
letto matrimoniale che con<strong>di</strong>videvano e si erano strette l’una all’altra. Poi s’erano<br />
accarezzate le minne e alla fine la filazza. Che era poi questo il loro gioco preferito.<br />
In attesa <strong>di</strong> avere anche loro una bella minciazza a <strong>di</strong>sposizione. Minchia maritale<br />
naturalmente.
Pompeo sapeva <strong>di</strong> essere spiato e a volte si la minava contro il vetro della finestra<br />
apposta. Perché sapeva <strong>di</strong> essere guardato. Aveva anche sentito raccontare le idee<br />
me<strong>di</strong>evali che circolavano in quella casa. E s’era convinto che quelle due sarebbero<br />
restate zitelle vita natural durante. Pertanto con i compagni <strong>di</strong> classe decise <strong>di</strong><br />
organizzare uno scherzo. Costruirono due minchie <strong>di</strong> cartapesta e le spe<strong>di</strong>rono alle<br />
due sorelle. Insieme a un sonetto, scritto sempre in romanesco da Pompeo, che<br />
s’intitolava “LI CONSIJI DE MAMMA'.” E che era tutto un programma.<br />
QUATTRO : ER PITTORE<br />
Dobbiamo strappare alla pittura la sua antica abitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> copiare,<br />
per renderla sovrana. Invece <strong>di</strong> riprodurre gli oggetti, essa deve<br />
provocare eccitazioni me<strong>di</strong>ante le linee, i colori e i contorni ricavati dal<br />
mondo esterno, ma semplificati e frenati: una vera magia.<br />
A. Rimbaud<br />
Li strunza criscinu suli…<br />
Il giorno dopo Ben tornò a trovare la zita. La mamma aprì la porta.<br />
><br />
><br />
Ben raggiunse la zita che s’era nascosta sotto le coperte. Con la cammisa alzata e<br />
senza mutande. Lui trasì e ficcò la testa sotto le coperte, a metà letto, e la mozzicò nel<br />
pacchio.<br />
> <strong>di</strong>sse lei.<br />
> rispose lui.<br />
> rispose lui . E gliela <strong>di</strong>ede.<br />
> <strong>di</strong>sse Iatata ><br />
><br />
E tornò a mozzicare il pacchio.<br />
> <strong>di</strong>sse Ben.<br />
> rispose Iatata allargando le cosce.<br />
Lui mozzicava e alliccava, lei taliava la foto del nonno <strong>di</strong> Ben. Il podestà e Cepito<br />
avevano la stessa faccia.<br />
> <strong>di</strong>sse la ragazza.<br />
> rispose lui con la voce che pareva venire dall’oltretomba.<br />
Infatti stava con la faccia sotto le coperte e la lingua infilata nella filazza. L’idea che<br />
avevano era la stessa. Ma non c’era modo <strong>di</strong> verificarla.<br />
Una sera Ben e Pompeo volevano parlare dei fatti loro . Pompeo aveva quella sera la<br />
macchinona del padre, un vecchio Mercedes. Pertanto decisero <strong>di</strong> andare a mangiare<br />
una pizza fuori paese . Era una bella serata <strong>prima</strong>verile. Ma nel locale il <strong>di</strong>scorso non<br />
fu neanche iniziato. C’era troppa gente e Ben non trovava le parole adatte per <strong>di</strong>re<br />
quello che sentiva. E neanche Pompeo le trovava queste benedette parole. Dopo la<br />
pizza passeggiarono a lungo, ma poi Pompeo sbottò.<br />
><br />
><br />
>
Pompeo era sorpreso da tanta liberalità.<br />
> concluse Ben.<br />
Pompeo scoppio a ridere. Ben lo imitò. Si abbracciarono. Pompeo baciò l’amico.<br />
> precisò.<br />
Pompeo sentì che l’amico era eccitato. E a <strong>di</strong>re il vero era eccitato anche lui. Erano al<br />
buio e <strong>di</strong>etro un albero. Pompeo si rese conto che poteva dare <strong>di</strong> più. E ficcò la mano<br />
dentro le mutande dell’amico. Che contraccambiò il gesto. Nel momento del bisogno<br />
si stavano reciprocamente dando una mano. Ma Pompeo capì che poteva dare ancora<br />
<strong>di</strong> più. Lo pregò <strong>di</strong> ritornare in macchina e lì gli abbassò i pantaloni e iniziò a<br />
ciucciare. Ben lasciò fare. Il pompino era una bella cosa, l’importante era farlo bene.<br />
E Pompeo sapeva pompare. Ma non lo fece venire il romano. Pompeo sapeva <strong>di</strong><br />
potere dare e fare <strong>di</strong> più. Infatti smise <strong>di</strong> ciucciare, si abbassò i pantaloni e gli offrì il<br />
sedere.<br />
> <strong>di</strong>sse Pompeo che sapeva che Ben amava il culo<br />
in sé stesso. Il culo per il culo.<br />
Ben l’inculò e venne dentro quel bel culo. Si sentiva sod<strong>di</strong>sfatto ma vedeva l’amico<br />
con la minchia sempre tisa. Voleva ricambiare il favore ma non se la sentiva. Non<br />
adesso. Non ancora. Allora usò le mani. Ma capendo che Pompeo venendo avrebbe<br />
sporcato la macchina, all’ultimo momento usò la bocca e ingoiò la simenta amica.<br />
Involontariamente aveva fatto , nei confronti <strong>di</strong> Pompeo, lo stesso gesto <strong>di</strong> Iatata.<br />
> aveva detto Pompeo all’amico.<br />
> rispose Ben.<br />
> <strong>di</strong>sse Pompeo.<br />
> chiese Ben.<br />
> rispose il romano.<br />
> chiese Ben.<br />
><br />
> ripeté Ben.<br />
><br />
> concluse Ben. Poi risero a iosa. Incularsi era n’autra cosa.<br />
Uno dei rompicoglioni chiù rompicoglioni <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong> era lo scrittore Micio<br />
Tempio. Scrittore <strong>di</strong> pilo e basta. Ma anche ateo. E a proposito dei preti citava sempre<br />
Müntzer : ><br />
Per lui <strong>di</strong>o tutt’al più era la reazione chimica che aveva scatenato il binghi-benghi.<br />
Micio interpretava la storia del mondo come una cunnomentulamachia. Tutto firriava
intorno al sesso. Paria figlio <strong>di</strong> Froid<strong>di</strong> chistu tizio. Se Giove s’era maritato con sua<br />
sorella e in Egitto era tutto un casino, anche il cristianesimo per lui non scherzava con<br />
il suo misterioso caso, scientificamente non verificabile, <strong>di</strong> partenogenesi nella specie<br />
umana. Lui si sentiva ateo e innocente, invece tutti i credenti in qualche zona del<br />
mondo avevano dovuto combattere qualche guerra santa. Fare una crociata. Una<br />
inquisizione più o meno santa. Un processo. Una censura. Lanciare un anatema.<br />
Lanciare una scomunica. Chiedere confessioni e lanciare assoluzioni. Una guerra<br />
continua e sempre <strong>di</strong> parte. Un <strong>di</strong>o contro un altro, ma anche una guerra <strong>di</strong> uomini<br />
contro altri fratelli uomini. E le guerre che avevano insanguinato il mondo nel passato<br />
erano sempre state, gira e rigira, guerre <strong>di</strong> religione. E anche adesso erano la stessa<br />
cosa. Micio invece amava la libertà totale. Aveva in mente il modello francese, dove<br />
la rivoluzione del 1789 aveva fatto piazza pulita del passato. Piazza pulita violenta fu<br />
purtroppo. Ma il passato era troppo “duro e crudo ” e non c’erano alternative. Se oggi<br />
l’Europa era un po’ più libera <strong>di</strong> altre zone della terra lo doveva a quella rivoluzione.<br />
Lì era stata stato lanciato il seme che aveva dato un po’ <strong>di</strong> libertà all’uomo. Micio<br />
amava la Francia e il modello francese. I suoi paesani invece non amavano né lui né<br />
la sua opera infetta, lurda, fitusa, ingrasciata e pornografica.<br />
> l’aveva definito la mamma.<br />
> l’aveva<br />
definito il parrino della sua parrocchia.<br />
> lo chiamava una vicina.<br />
> l’aveva soprannominato uno zio ammuccaparticoli.<br />
> lo definivano in tanti.<br />
> puntualizzavano alcuni.<br />
La sua carriera era incominciata per caso. Avia scritto per i cazzi del caso, o per i<br />
casi del cazzo, un romanzo piluso dal titolo “ Cent’anni <strong>di</strong> pilazzu” . E per i casi della<br />
minchia , o per le minchie del caso, aveva vinto il primo premio per la narrativa al<br />
TERRE DI FICUPALA che si era svolto nel comune <strong>di</strong> Ciappacuppini, uno dei paesi<br />
della famosa Ficupalan<strong>di</strong>a. Il concorso era intestato a un prestigioso rappresentante<br />
della cultura locale, certo Turiddu Evva. Ma quel concorso era stato organizzato<br />
male . Ed era nato ancora chiù male. Per esempio, tanto per <strong>di</strong>rne una, il sindaco del<br />
paese in questione aveva stanziato solo la metà della somma necessaria per pagare i<br />
premi. E il coor<strong>di</strong>natore aveva coor<strong>di</strong>nato e scoor<strong>di</strong>nato a suo piacimento. Il concorso<br />
era stato partorito nel caos e nella confusione e forse già siminato ammalamenti.<br />
Infatti il povero Micio aspettava il premio in lire e la stampa del libro. Ma non<br />
arrivava nè l’una nè l’autra cosa. Poi scopriu per caso che il secondo arrivato era stato<br />
pagato dal coor<strong>di</strong>natore in persona.<br />
> pinsau Micio Tempio.<br />
E si rivolse ad un avvocato per risolvere la questione. Ma <strong>prima</strong> scrisse a destra e a<br />
manca e ci fu pure una bella trasmissione ra<strong>di</strong>ofonica che si occupò del caso. E<br />
accussì vennero fuori certi retroscena da far mannari affanculo la sicilietta intera.<br />
> aveva detto<br />
il famoso conduttore ra<strong>di</strong>ofonico.
<strong>di</strong>sse<br />
Micio Tempio a sé stesso.<br />
Per esempio, il coor<strong>di</strong>natore si era giustificato <strong>di</strong>cendo che il secondo era stato<br />
pagato in quanto non siciliano . Allo scopo <strong>di</strong> non far parlare male della Sicilia.<br />
> <strong>di</strong>sse Micio. E pensò a Cecco<br />
Angiolieri. Il suo sonetto era il suo Pater. Altro che porgi l’altra guancia.<br />
> <strong>di</strong>sse ancora a sé<br />
stesso.<br />
E come <strong>di</strong>re che il <strong>di</strong>avolo fa li pignati ma i cupeccia li mette solo dove vuole lui. Il<br />
coor<strong>di</strong>natore aveva intascato i sol<strong>di</strong> , ma aveva pagato solo chi voleva lui. In base a<br />
un co<strong>di</strong>cillo che non si sapeva dove minchia stava scritto. Ma a parte questa schifosa<br />
vicenda <strong>di</strong> malasicilia, e la Sicilia <strong>di</strong> cazzate ne combinava dai tempi che era magna<br />
Grecia, lo scrittore continuava a scrivere <strong>di</strong> pilo, pilo e poi ancora pilo.<br />
> <strong>di</strong>ceva spesso Micio Tempio.<br />
Adesso era nelle librerie con un libro in <strong>di</strong>aletto dal titolo molto ma molto esplicito.<br />
“Sticchio glorioso” . Il volume era de<strong>di</strong>cato a uno degli amori più belli <strong>di</strong> Zeus.<br />
Quello per Danae. E Micio come capezzale teneva proprio la “ Danae” <strong>di</strong> Gustav<br />
Klimt. Bello assai quell’amplesso <strong>di</strong>vino. Lu beddu sticchiu <strong>di</strong> la principissa<br />
rappresentato con una cosciona in primo piano, una bella minna a vista e la faccia <strong>di</strong><br />
chi si abbannua a lu piaciri. Perché Danae è raffigurata nel momento dell’abbandono.<br />
Nel momento in cui Zeus ci passa la so bedda minchia <strong>di</strong>vina sotto forma <strong>di</strong> pioggia<br />
d’oro. Una pioggia <strong>di</strong> cazzi. Di cazzi d’oro. Una pioggia <strong>di</strong> simenta d’oro per un<br />
alluvione <strong>di</strong> sticchio. E da chidda futtuta <strong>di</strong>vina e preziosa nasciu nu omminu cu li<br />
bad<strong>di</strong>, tale Perseo.<br />
> aveva scritto nel 1903 il teorico viennese<br />
della misoginia Otto Weininger. E Klimt aveva reso su tela quel momento .. <strong>di</strong>vino.<br />
O meglio, quel momento <strong>di</strong>.. minchia <strong>di</strong>vina.<br />
> <strong>di</strong>ceva Micio ogni volta che taliava il quadro. E<br />
se Micio aveva de<strong>di</strong>cato a Danae chista opera dal titolo esplicito, non era solo pirchì<br />
nu sticchiu ca infiamma il <strong>di</strong>o capo non può che essere glorioso. C’era anche un altro<br />
motivo. Storico. O meglio, mitologico. Pare, secondo una leggenda riportata da<br />
Virgilio <strong>di</strong> Munipuzos nella sua “ Danaede” , che Acrisio, il papà <strong>di</strong> Danae, saputo<br />
del vaticinio che gli preannunciava la morte per mano del futuro nipote , per<br />
sicurezza facissi chiuriri la figlia nella torre <strong>di</strong> bronzo del suo castello . Per<br />
proteggerla dalle tentazioni del cazzo. Ma non la rinchiuse in Grecia, bensì nella<br />
lontana città <strong>di</strong> Munipuzos. Città bellissima ma lontanissima, città della magna<br />
Grecia. Cioè l’antica <strong>Monacazzo</strong>. Ma in quella torre Zeus l’aveva fecondata.<br />
> <strong>di</strong>ceva Micio Tempio.<br />
> <strong>di</strong>ce Giorgio Baffo.
Adesso Micio era superultraincazzato perché padre Ciollardente aveva minacciato <strong>di</strong><br />
scomunica i lettori della sua opera.<br />
> aveva<br />
detto il prete in preda alla più lucida follia.<br />
>s’era chiesto Micio.<br />
E per tutta risposta, un giorno che era più incazzato del solito, aveva spe<strong>di</strong>to una<br />
lettera al prete della parrocchia dov’era nato e vissuto pregandolo <strong>di</strong> cancellare il suo<br />
nome dalla lista dei battesimati, dei comunicati e dei confermati. Che lui non aveva<br />
bisogno del battesimo, della comunione e della cresima. Che gli erano stati imposti<br />
dai suoi quando lui non capiva un cazzo. Lui era fatto <strong>di</strong> atomi e atomico voleva<br />
restare. Era ateo, rispettava coloro che professavano il cattolicesimo come e allo<br />
stesso modo <strong>di</strong> coloro che professavano altre religioni. Ma lui era ateo e come tale<br />
voleva essere rispettato anche lui.<br />
>
E nella piazza principale del paese <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>, figlio legittimo dell’antica<br />
Munipuzos, ci stava proprio una bella fontana de<strong>di</strong>cata a Danae e Zeus. Bello il<br />
gruppo scultoreo <strong>di</strong> Carmelino Canovedda, posto al centro <strong>di</strong> una enorme vasca<br />
circolare. Una femmina in stato <strong>di</strong> abbandono sensuale , sdraiata su tanti puttini, che<br />
offriva il suo corpo alla pioggia continua che le piombava addosso.<br />
> <strong>di</strong>ceva Micio parlando della vasca.<br />
> era invece il detto <strong>di</strong><br />
Giorgio Baffo.<br />
> <strong>di</strong>ceva poeticamente parlando<br />
Micio Tempio.<br />
> <strong>di</strong>ceva qualcuno facendo riferimento alla cronica<br />
mancanza d’acqua pomeri<strong>di</strong>ana che si verificava <strong>Monacazzo</strong>, specie nel periodo<br />
estivo. E poi c’era sempre qualcuno che litigava davanti alla fontana.<br />
> <strong>di</strong>ceva qualche spiritosa amata minchia alla sua<br />
consorte.<br />
> rispondeva la consorte acida al marito.<br />
><br />
><br />
> <strong>di</strong>ceva il marito incazzato.<br />
><br />
><br />
><br />
Litigavano anche le coppiette <strong>di</strong> ziti.<br />
> <strong>di</strong>ceva qualcuno alla zita.<br />
> rispondeva la zita.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
>
Litigavano pure le vecchie signorine.<br />
><br />
><br />
><br />
> <strong>di</strong>ceva la signorina Genoveffa Nullaresi.<br />
> chiedeva la signorina assai<br />
assai appitittata Gelsomina Senzaciolla.<br />
> sentenziava la signorina all’anagrafe Addolorata Millecicie.<br />
Sui bor<strong>di</strong> della vasca , dove questa gente stava assittata per cazzuliari, un bassorilievo<br />
raccontava le avventure <strong>di</strong> Perseo, il frutto <strong>di</strong> quella <strong>di</strong>vina ficcata.<br />
Come <strong>di</strong>ceva Giorgio Baffo all’amico Micio , ><br />
Durante la messa <strong>di</strong> mezzogiorno <strong>di</strong> quella sessantottina domenica delle palme padre<br />
Bartolomeo Ciollardente, durante la pre<strong>di</strong>ca, ci andò pesante con il modernismo,<br />
questa droga <strong>di</strong>lagante che minacciava la famiglia e lo stato . E in particolare si<br />
scagliò contro i nemici della fede. E <strong>di</strong>sse che a <strong>Monacazzo</strong> , purtroppo, oramai<br />
c’erano parecchi nemici mortali della fede. Invitò i fedeli a fare attenzione, a non<br />
cadere nelle loro trappole artificiali, nei loro para<strong>di</strong>si peccaminosi , ad alzare il livello<br />
<strong>di</strong> attenzione generale. Poi parlò <strong>di</strong> una missiva che aveva ricevuto e senza fare<br />
nomi lesse parte della stessa. Infine lanciò una sorta <strong>di</strong> anatema, <strong>di</strong> condanna, <strong>di</strong><br />
scomunica contro il peccatore pubblico ma ignoto e lo invitò, se era in chiesa, se<br />
aveva coraggio, a farsi avanti e a chiedere perdono a lui, alla comunità cristiana e<br />
soprattutto a Dio.<br />
><br />
Seguì il quasi anatema o scomunica o altro che lo vogliamo chiamare. E l’invito a<br />
farsi avanti e chiedere perdono. Ma nessuno si fece avanti. D’altra parte quell’uomo<br />
non frequentava la chiesa. Tanti comunque avevano capito che quell’uomo era lo<br />
scrittore pornografico Micio Tempio.<br />
Micio quella mattina, intanto che il prete sparlava <strong>di</strong> lui anonimamente, passeggiava<br />
al corso con l’altro libertario <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>, Giorgio Baffo. E gli raccontava della<br />
missiva che aveva spe<strong>di</strong>to a messer Ciollardente <strong>di</strong> nome e <strong>di</strong> fatto. Poi parlarono <strong>di</strong><br />
viaggi e pilo, che erano i loro argomenti preferiti, oltre all’arte e al teatro, alla politica<br />
e all’impegno sociale ma laico. Passeggiavano in quell’insulso annavanti e annarerri<br />
da esaurimento nervoso, che sicuramente un novello Froid<strong>di</strong> avissa interpretato in
modo <strong>di</strong>verso. Ovvero come pititto <strong>di</strong> fare trasi e nesci, annavanti e annarerri, in un<br />
altro tipo <strong>di</strong> corso, corso Ciolla Sticchiale. Micio e Giorgio passeggiavano e<br />
cazzeggiavano.<br />
> chiese Micio.<br />
><br />
><br />
> rispose Giorgio in veneziano.<br />
><br />
> <strong>di</strong>sse Giorgio.<br />
> <strong>di</strong>sse Micio.<br />
><br />
><br />
><br />
> <strong>di</strong>sse Micio.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
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>
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><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
<br />
E continuavano nella loro squisita arte del cazzeggio. Passeggiavano e curtigghiavano<br />
e si facevano sfacciatamente i cazzi degli altri. Fu allora che si sentì una voce.<br />
> gridava il professore Bisticchiò.<br />
> chiese Micio.<br />
><br />
> <strong>di</strong>sse Micio che<br />
era stato preso da una incre<strong>di</strong>bile e improvvisa logorrea .<br />
> <strong>di</strong>sse Giorgio Baffo.<br />
> <strong>di</strong>sse il professor Bisticchiò .<br />
> replicò Micio ><br />
> chiesero gli amici.<br />
><br />
><br />
lui.. anzi, lo so fare meglio <strong>di</strong> lui... reciterò io e farò recitare pure lui.. ma io saprò la<br />
mia parte , lui no...>><br />
> <strong>di</strong>sse Bisticchiò.<br />
> <strong>di</strong>sse Giorgio.<br />
> concluse l’eretico ed erotico Micio Tempio,<br />
che tutto era tranne che un pisellino.<br />
La sera della domenica delle palme a <strong>Monacazzo</strong> si svolse una bella processione ma i<br />
ragazzi non parteciparono. Iatata , Ben e Pompeo erano insieme.<br />
> <strong>di</strong>sse Ben.<br />
> aggiunse Pompeo.<br />
> sentenziò Iatata.<br />
> <strong>di</strong>sse Pompeo.<br />
> aggiunse Ben.<br />
><br />
precisò Iatata.<br />
><br />
Tutti i ragazzi delle scuole superiori decisero <strong>di</strong> <strong>di</strong>sertare le manifestazioni religiose e<br />
<strong>di</strong> riunirsi allo sta<strong>di</strong>o per fare una sorta <strong>di</strong> assemblea generale . O meglio, un sit-in <strong>di</strong><br />
protesta contro quello che stava succedendo in Italia e nel mondo. E per capire megli<br />
fumarono assai. E Pompeo quella sera <strong>di</strong>ede agli amici un sonetto che aveva scritto in<br />
loro onore. Titolo “ER PITTORE “<br />
So n'artista ,so er mago der pennello,<br />
la mia arte è moderna, mica antica,<br />
quarcuno nun la capisce , lo <strong>di</strong>ca:<br />
io so pronto, je'llumino er cervello.<br />
Dice “ è ambigua”. Ma questo è er bello.<br />
Devi sape' che costa assai fatica<br />
<strong>di</strong>pingere n'cazzo e dì ch'è na fica.<br />
So capac’io, parola 'e Pompeobello.<br />
Er mi stu<strong>di</strong>o è tutta n'antra cosa:<br />
c'è un grande letto che fa da pedana<br />
n'dove li modelli se mettono n'posa.<br />
Io fo all'amore con queste persone,<br />
n'frocetto n'zuccherato e na puttana,<br />
fino a trovare l'ispirazione.<br />
Via la mano brutale, infame sbirro! Te stesso frusta, non quella puttana!<br />
Tu bruci dalla voglia <strong>di</strong> far con lei ciò per cui la punisci.<br />
W. Shakespeare
CINQUE : ER FATTACCIO SESSUALE<br />
La donna, in verità, o Gothamo, è un fuoco sacrificale. Seguendo questa<br />
immagine, l’organo sessuale maschile è il combustibile; la seduzione, il<br />
fumo; la vulva, fiamma; l’accoppiamento, i carboni; il piacere, le scintille.<br />
In questo fuoco gli Dei offrono lo sperma; dall’oblazione nasce il feto.<br />
Upanishad, testo in<strong>di</strong>ano<br />
Tanto la minchia chi ni capisci..<br />
Arrivarono le vacanze pasquali. Il tempo era bello. Quasi una estate anticipata. La<br />
sera dei sepolcri, il giovedì santo , le gemelle Marietta e Maruzza Cacapitrud<strong>di</strong> ,<br />
nella chiesa <strong>di</strong> san Sebastiano, abbordarono Pompeo e Ben. I ragazzi accettarono il<br />
loro invito a girare le sette chiese. Secondo tra<strong>di</strong>zione. Quando non ci sta un cazzo da<br />
fare anche le tra<strong>di</strong>zioni possono essere utili. Pompeo era libero <strong>di</strong> suo, Ben quella<br />
sera tinia la zita impegnata in questioni <strong>di</strong> famiglia. Era bello conoscere due<br />
verginelle e magari farici, se possibile , una stricatina. Magari farici canusciri qualche<br />
funzione della minchia, fariccilla taliari e maniari e tutt’al più ammuccari Perché<br />
sperare <strong>di</strong> più era impossibili. Verginelle erano, ma anche curiose. Le ragazze<br />
passando sotto casa loro, proposero ai carusi <strong>di</strong> salire un attimo, per sbrigare un<br />
improvviso bisognino biologico.<br />
> <strong>di</strong>sse Ben<br />
> rispose Pompeo.<br />
Pompeo e Ben salirono, la casa era vuota. La signora e il signor Cacapitrud<strong>di</strong> erano<br />
andati in comunità e sarebbero tornati a notte fonda. Nella stanzetta delle ragazze<br />
Pompeo e Ben stavano taliando un giornale <strong>di</strong> moda intima femminile quando<br />
Maruzza e Marietta ritornarono dal cesso.<br />
> <strong>di</strong>ssero i mascoli.<br />
> E li accompagnarono al cesso.<br />
Ma invece <strong>di</strong> tornare in<strong>di</strong>etro restarono <strong>di</strong>etro la porta ed entrarono dentro appena<br />
sentirono il rumore della piscia che veniva giù. I ragazzi stavano pisciando, pipì<br />
contro pipì. Pompeo continuò a pisciare tranquillo, Ben si coprì l’aceddu e si pisciò le<br />
mani.<br />
> <strong>di</strong>sse Pompeo ridendo.<br />
><br />
><br />
<strong>di</strong>sse Pompeo.<br />
> <strong>di</strong>ssero le ragazze.<br />
> rispose<br />
Ben.<br />
> aggiunse Pompeo.<br />
> <strong>di</strong>ssero le ragazze.
sussurrò Ben.<br />
> proposero in coro Maruzza e Marietta.<br />
> sparò Ben.<br />
> <strong>di</strong>sse Pompeo.<br />
Le ragazze misero il muso.<br />
> <strong>di</strong>sse il<br />
romano.<br />
Pompeo attaccò. E coinvolse Ben, che accettò suo malgrado.<br />
> <strong>di</strong>cevano le gemelle.<br />
Ma loro si fermarono alle mutande. E non certamente per vergogna.<br />
> chiese tanto per chiedere Pompeo che sapeva della<br />
sessuofobia della madre come anche della sessuofilia delle figlie. Sessuofilia<br />
ideologica naturalmente. Le ragazze accettarono ed eseguirono mentre i maschi,<br />
sdraiati sul <strong>di</strong>vano, taliavano. Taliavano e si tenevano le mani sul pacco. Le ragazze<br />
tolsero tutto e loro taliarono tutto. Erano belle.<br />
> <strong>di</strong>sse Ben all’amico.<br />
> rispose il romano. Che per spezzare la tensione<br />
<strong>di</strong>sse:<br />
><br />
E intanto per taliare le belle fregnette si affacciarono pure le loro coppole dello zio<br />
Vincenzo. Erano, i loro uccelli, interessati assai assai a quella vista.<br />
> proposero i maschi, che però speravano in una sega.<br />
><br />
> <strong>di</strong>ssero Ben e Pompeo che ripresero sperare in una sega.<br />
E si alzarono per togliersi le mutande. Invece le due ragazze li acchiapparono e li<br />
buttarono sul lettino. In un attimo li smutandarono. Loro pensarono a un gioco. La<br />
sega si stava concretizzando. E pertanto lasciarono fare. Prima alle mani e poi alle<br />
bocche. Le ragazze erano esperte. Ma non conclusero li travagghi in questo modo. La<br />
minchia, per fare le cose giuste, deve finire nel cunno. Pertanto Maruzza acchianau<br />
addosso a Pompeo e Marietta supra a Ben.<br />
> <strong>di</strong>ssero i<br />
ragazzi.<br />
Ma quelle si erano già impalate. Le minchie dei ragazzi erano scivolate dentro in un<br />
amen, senza ostacoli <strong>di</strong> sorta e barriere. E pensare che tutti le consideravano vergini.<br />
> pensò Pompeo. La stessa cosa pensò Ben.<br />
Alla fine si rivestirono. E le femmine <strong>di</strong>edero loro il benservito con la sorpresa.<br />
> <strong>di</strong>ssero in coro.<br />
> chiese Ben.<br />
><br />
> <strong>di</strong>sse Ben per niente incazzato.
aggiunse<br />
Pompeo.<br />
><br />
> <strong>di</strong>sse incazzatissimo Ben.<br />
> <strong>di</strong>sse il romano.<br />
> <strong>di</strong>ssero quasi isteriche le gemelle.<br />
> <strong>di</strong>sse<br />
incazzatissimo Pompeo.<br />
> aggiunse Ben.<br />
A questo punto le ragazze scoppiarono a piangere. E raccontarono la cosa. Due<br />
gemelli della vicina Buccheri le avevano messe incinte. Erano i fratelli Memè e Mimì<br />
Cazzicchiò. Due ragazzi che frequentavano la ragioneria. A forza <strong>di</strong> parole le<br />
avevano fatte crollare.<br />
> <strong>di</strong>sse<br />
Pompeo.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
> chiese Pompeo.<br />
><br />
> <strong>di</strong>sse Ben.<br />
> <strong>di</strong>ssero le gemelle.<br />
> <strong>di</strong>ssero i ragazzi a cui le gemelle facevano<br />
pena.<br />
> <strong>di</strong>ssero le<br />
gemelle Maruzza e Marietta Cacapitrud<strong>di</strong>.<br />
> chiese ironico Pompeo.<br />
> <strong>di</strong>ssero le caruse.<br />
><br />
chiese Pompeo.
> <strong>di</strong>ssero i ragazzi.<br />
><br />
> E allungarono le mani sul culo della ragazze.<br />
><br />
> chiese il romano.<br />
><br />
><br />
><br />
propose Ben.<br />
> propose Pompeo.<br />
Le ragazze si talianu un attimo tra <strong>di</strong> loro.<br />
> <strong>di</strong>ssero le caruse come se si stavano sottoponendo a un<br />
supplizio.<br />
Ben e Pompeo non si fecero pregare. E poi, ci pareva una giusta ricompensa. Se la<br />
minchia in fica era stata una scelta delle caruse, la minchia in culo era una loro<br />
scelta. Tutto accadde con piacere anche se la trasuta fu nu tanticchia complicata.<br />
Perché non trasiu solo la coppola o solo mezza cicia. Trasiu la minchia tutta.<br />
>commentò poi Pompeo.<br />
> aggiunse Ben.<br />
><br />
><br />
><br />
Finito che ebbero si fecero uno spinello. I ragazzi. Le ragazze si arrifiutano. Ma poi,<br />
alla fine sucanu magari id<strong>di</strong>. Prima la canna <strong>di</strong> erba e poi la canna <strong>di</strong> carni.<br />
> <strong>di</strong>sse Pompeo una volta fuori.<br />
Le sorelle Tonina e Ninetta Minabrigghiu avevano adocchiato un bel ragazzo.<br />
Ragazzo per modo <strong>di</strong> <strong>di</strong>re. visto che era trentino. Il ragazzo era l’ingegnere Nicola<br />
Cannolo s’era fatto fare un vestito su misura da loro. Il vestito l’avevano cucito loro<br />
personalmente. E loro avevano seguito tutte le procedure. Dalla pigliata delle misure<br />
alle prove , dalle prove alla consegna. L’ingegnere Nicola era un ragazzo buono e un<br />
buon partito e godeva fama <strong>di</strong> essere scicchigno. Quannu era arrivato nel loro atelier<br />
le ragazze si erano precipitate. Ingegnere <strong>di</strong> qua e ingegnere <strong>di</strong> là.<br />
E insieme ci avevano preso le misure. Le spalle. Il petto. Il giro vita. I fianchi. E in<br />
particolare quella del cavallo. Che non corrispondeva mai. L’avevano dovuta<br />
riprendere più e più volte sia Tonina che Ninetta. E la misura non coincideva mai.<br />
Colpa <strong>di</strong> quella cosa che si muoveva dentro le mutande dell’ingegnere. Forse anche<br />
lei , trattandosi <strong>di</strong> minchia <strong>di</strong> un ingegnere, voleva partecipare ai calcoli.<br />
La <strong>prima</strong> misurazione del cavallo l’aveva fatta Tonina. La mano ci trimau quando<br />
toccò il punto dove la gamba destra incontra quella sinistra. Li ci stava un ospite che<br />
tinia la testa troppo grossa. E ci stavano pure due palle che erano gran<strong>di</strong> e grosse più
del normale. Questo pensò Tonina , anche se a <strong>di</strong>re il vero lei non sapeva cosa fosse<br />
normale e cosa no. Ma le voci popolari erano le voci.. e le voci hanno sempre un<br />
sottofondo <strong>di</strong> verità.<br />
Se girava voce che l’ingegnere era scicchignu.. vuol <strong>di</strong>re che era scicchignu. La<br />
stessa sensazione ebbe Ninetta. Nicola invece stava soffrendo un po’. Quelle mani<br />
sempre nei pressi del cavallo lo avevano allupato. Quelle teste delle picciotte sempre<br />
vicine alla cittera ci faceva pensare cose oscene. Pinsau ad<strong>di</strong>rittura a dei pantaloni col<br />
portaminchia. La stessa cosa pinsarono le sorelle Ninetta e Tonina.<br />
> Le sorelle andavano oltre col pensiero.<br />
> si chiesero.<br />
Alla <strong>prima</strong> prova, <strong>di</strong>etro il séparé necessario a spogliarsi e vestirsi, misero uno<br />
specchio posizionato ad hoc. In modo da taliare lo spogliarello dell’ingegnere. Se<br />
invece lui preferiva il camerino, ci stavano dei purtusa da dove guardare. Li avevano<br />
fatti dei cuginetti mascoli per taliare le signore durante le prove e fare la classifica<br />
delle minne più grosse.<br />
Alla <strong>prima</strong> prova l’ingegnere si piazzò <strong>di</strong>etro il séparé e loro si taliarono la scena.<br />
Nicola si tolse i pantaloni e <strong>prima</strong> <strong>di</strong> uscire cu li causi incimati, si sistemò il pacco.<br />
Che era veramente grosso.<br />
Ninetta e Tonina videro che cadevano a puntino. Li avevano tagliati con cura e<br />
incimati con amore. Specie nella zona che a loro interessava <strong>di</strong> piu. Non c’era<br />
cerniera però e neanche bottoni. Per vedere l’esatta caduta del nuovo pantalone<br />
Tonina ci mise due spille. Stando attenta a non pungere la minchia del professionista.<br />
Ma per piazzare le spille dovette infilare una mano dentro. E per causa <strong>di</strong> forza<br />
maggiore sentì la coppola della minchia del professionista che bussava alla sua mano.<br />
Ninetta gelosa volle piazzare la seconda spilla. La minchia dell’ingegnere bussò pure<br />
alla sua mano. Quando Nicola si tolse il modello, <strong>di</strong>etro il séparé, aveva veramente un<br />
pacco esplosivo. Alla seconda prova, siccome si era sentito taliato, l’ingegnere scelse<br />
il camerino. Si tolse i pantaloni e indossò il modello. Non c’erano ancora nè bottoni<br />
nè altro. Cadeva bene il pantalone, secondo lui. Tonina mise la <strong>prima</strong> spilla, Ninetta<br />
la seconda, ma per sbaglio pungiu l’aceddu.<br />
> <strong>di</strong>sse Nicola.<br />
> chiesero le sorelle preoccupate.<br />
> <strong>di</strong>sse ridendo Nicola.<br />
> <strong>di</strong>ssero<br />
le sartine minchiofile.<br />
> chiese il professionista che ci stava pigliando gusto a quel<br />
gioco.<br />
><br />
><br />
>
chiese l’uomo.<br />
><br />
L’uomo tornò in camerino e le ragazze si piazzarono <strong>di</strong>etro li purtusa. Lui si tolse il<br />
modello. Poi si taliò lo slippi. C’era una macchiolina rossa. Le ragazze si alliccavano<br />
il musso. Nicola volle vedere cosa era successo. E si calò le mutande.<br />
> <strong>di</strong>sse a sé stesso.<br />
Le sartine taliavano a occhi spalancati quella minchia che era un capolavoro <strong>di</strong><br />
madre natura. Nicola si accorse allora <strong>di</strong> essere taliato e con occhio da ingegnere<br />
in<strong>di</strong>viduò subito i buchi nella parete. E si esibì per loro. Con la scusa <strong>di</strong> vedere il<br />
purtusiddu fatto dallo spillo ci stricau l’aceddu vicino agli occhietti. E il pensiero<br />
mise lo strumento sull’attenti. Se non era per quella maledetta parete ci l’avissi<br />
stricato facci facci. Per un attimo pensò <strong>di</strong> minarsela. Ma rinunciò all’idea. Si rivesti<br />
ed uscì. Loro s’erano taliati tutto. E chiesero curiose.<br />
><br />
> rispose Nicola. E andò via .<br />
Quella notte Ninetta e Tonina non riuscirono a dormire. L’idea della minchia, la<br />
visione del cazzo dell’ingegnere le ossessionò per tutta la notte. Solo alle prime luci<br />
dell’alba, dopo allisciamenti a non finire, si addormentarono. Ma il poco sonno fu<br />
inquieto. Il fantasma della minchia <strong>di</strong> Nicola fu il protagonista dei loro sogni.<br />
All’ultima prova Nicola decise <strong>di</strong> provocare. E intanto che era nel camerino, in<br />
mutande, fece la finta <strong>di</strong> svenire. Le ragazze lo soccorsero e lo misero sul tappeto. Poi<br />
contemplarono il pacco. Taliavano il pacco e si taliavano tra loro. Quin<strong>di</strong>, come per<br />
un tacito accordo <strong>di</strong>scusso a forza <strong>di</strong> taliate, calarono lo slippi all’ingegnere. E si<br />
taliarono il giocattolo che a loro mancava, quello che poteva farle <strong>di</strong>ventare femmine<br />
praticanti e non solo <strong>di</strong> forma. Ninetta osò parlare per <strong>prima</strong>.<br />
> E lu tuccau.<br />
Pure Tonina allungò la mano. E la minchia iniziò a crescere.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
> <strong>di</strong>sse Ninetta toccando la cappella ><br />
><br />
Intanto la minchia, che <strong>prima</strong> pendeva verso i pie<strong>di</strong>, adesso riposava sulla pancia e<br />
arrivava sopra il bid<strong>di</strong>co. Presero il metro. Venticinque centimetri. Nicola continuava<br />
a fingere. Fu allora che le sartine attaccarono a minare. Poi Ninetta <strong>di</strong>sse.<br />
><br />
><br />
Ma Ninetta non intese ragione e alliccò la cappella.<br />
> esclamò Ninetta.
<strong>di</strong>sse la sorella.<br />
><br />
Allora pure Tonina alliccò. Poi Ninetta osò <strong>di</strong> più. Si l’ammuccau. E Tonina la imitò.<br />
Nicola faceva finta <strong>di</strong> essere ancora privo <strong>di</strong> sensi. Ma sentiva che stava per venire.<br />
Loro non smettevano. Una alliccava a destra e l’altra a sinistra. E lui venne verso<br />
l’alto. E la simenta, per la forza <strong>di</strong> gravità, ricadde sulle facce delle caruse, che si<br />
scantarono.<br />
> <strong>di</strong>sse una.<br />
> aggiunse l’altra.<br />
><br />
><br />
><br />
Alliccarunu insieme e siccome il sapore ci piaciu, lo pulirono tutto con la lingua.<br />
Neanche una goccia <strong>di</strong> simenta andò persa. Quella era la panna del cannolo<br />
dell’ingegnere Cannolo. Poi lo rivestirono <strong>di</strong> mutande e pantaloni e aspettarono il<br />
risveglio. Nicola fece passare ancora <strong>di</strong>eci minuti e poi iniziò ad aprire gli occhi e a<br />
fare la sceneggiata.<br />
><br />
Ninetta e Tonina non parlavano. Non sapevano che <strong>di</strong>re. Poi lui le riconobbe.<br />
><br />
><br />
><br />
E si alzò. Pareva che non fosse successo niente. Invece era successo tanto, ma non ne<br />
potevano parlare.<br />
La notte successiva nessuno dormì. Nicola Cannolo aveva problemi <strong>di</strong> cannolo. Ma a<br />
un certo punto si alzò e fece quello che faceva sempre in questi casi. Andò con due<br />
buttane contemporaneamente.<br />
Ninetta e Tonina si allisciarono a lungo ma non ottennero nessuna sod<strong>di</strong>sfazione. Il<br />
cannolo era il cannolo. Non potevano certo uscire <strong>di</strong> notte per accattare una guantiera<br />
<strong>di</strong> cannoli. Alla fine si alliccanu e arrussicanu due chili <strong>di</strong> banane. Poi ebbero la mala<br />
nottata. Per il mal <strong>di</strong> pancia.<br />
Il venerdì mattina , il venerdì santo, era prevista la consegna, e consegna ci fu. Poi<br />
l’ingegnere pagò il conto e l’invitò per la sera successiva a mangiare fuori. Ninetta e<br />
Tonina accettarono. Tutti avevano in testa il caso Bisticchiò. Lui pensava ad avere<br />
due amanti. Loro ad essere l’una una moglie ufficiale e l’altra una moglie ufficiosa.<br />
Ben e Pompeo, il venerdì mattina, scrissero una bella e seria lettera anonima ai<br />
genitori <strong>di</strong> Memè e Mimì. Poche parole non tanto stu<strong>di</strong>ate. Quasi una comunicazione<br />
d‘ufficio. Tanto per fare sapere ai genitori quello che i loro amatissimi figghitti<br />
avevano combinato a <strong>Monacazzo</strong>, ficcannu senza tante precauzioni l’aceddu <strong>di</strong>ntra un<br />
pacchio.
“ Gentilissimo Signori Cazzicchiò, vi informiamo che i vostri figli hanno messo<br />
incinte due sorelle <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>. Le gemelle Cacapitrud<strong>di</strong>. Pertanto, o si provvede al<br />
matrimonio riparatore oppure preparate pure due casse da morto per i vostri figli e<br />
abiti neri per voi. Un amico degli amici delle due sorelle. Ma anche vostro amico. Se<br />
fate le cose giuste. Altrimenti sarò nemico vostro per sempre, e mortale per giunta.<br />
Congratulazione e figli maschi . Oppure condoglianze. Fate voi. L’omminu <strong>di</strong> la<br />
pace.”<br />
Pompeo invece, durante la notte insonne, sulla vicenda scrisse un bel sonetto. Anzi ,<br />
tre, in sequenza. Titolo “ ER FATTACCIO SESSUALE”<br />
Io tengo un ber pennolo bello bello,<br />
n'saccoccia a du palle pe' compagnia,<br />
mo' propongo de fa co te Maria,<br />
un certo - mo' te spiego - giucarello.<br />
Tu devi accarezzare mi fratello.<br />
E lui per via della tua gran magia<br />
farà un miracolo tipo messia:<br />
alzerà la testa e metterà cappello.<br />
Se tu l'accarezzerai con amore,<br />
lui ,dall'occhio ch'ha, te darà n'occhiata,<br />
como a <strong>di</strong>rti " Cocca bella ch'onore".<br />
Poi de corpo farà n'improvvisata,<br />
pe' <strong>di</strong> " mo' te farei n'inciciata",<br />
dannote n'faccia na gran sputazzata.<br />
Fija mia, t'è piaciuto ieri er sollazzo:<br />
sappi che du palle so li cojoni<br />
e producheno li gran sputazzoni<br />
mentre er pennolone se chiama cazzo.<br />
Fija mia bella, nun è p'esse pazzo<br />
se mo' propongo certe situazioni<br />
<strong>di</strong> cui te do pure le spiegazioni.<br />
Ch'io in ste cose so er primo der mazzo.<br />
Fija , tu n'mezzo e cosce tiè un casotto,<br />
che fra l'antro e ancora bell'e murato,<br />
capace e contenè sto sarsicciotto.<br />
Mo' fija bella, se t'arzi la vesta,<br />
io co sto cazzo già bell'e arrapato,<br />
in un attimo te faccio la festa.<br />
Cazzo! Dunque a sto gioco nun sei nova.<br />
Visto ch'io de corpo so tutt'entrato<br />
e l'ostacolo mica l'ho trovato.<br />
Chissà quante vorte hai fatto sta prova.
Evviva a mangia salame cull'ova!<br />
Fija mia, sei n'ottima attrice, hai recitato<br />
così benone che ce so cascato.<br />
Brava, brava, chi cerca, se sa , trova.<br />
Che <strong>di</strong>re, sei na bona puttanella,<br />
in cerca de no straccio de marito,<br />
così fai la parte de la verginella.<br />
Cu me però sbaj, io nun so cojone.<br />
Se voi, er fatto po' durà, sia chiarito,<br />
come puttana però , moje none.<br />
Se pensate alla rivoluzione, sognate la rivoluzione, andate a letto<br />
con la rivoluzione per trent’anni: verrà il giorno che la rivoluzione<br />
la farete.<br />
N. Lenin
SEI : A MONACA<br />
Non girino la testa con leggerezza, ma lo facciano con gravità quando è<br />
necessario; la tengano un poco inclinata, senza piegarla né da un lato né<br />
dall’altro. Di solito abbiano gli occhi bassi. Quando parlano non osservino<br />
fissamente i loro interlocutori.<br />
Antiche <strong>di</strong>sposizioni per le Suore <strong>di</strong> Nazareth<br />
Quannu manca lu stigghiolu va bene pure nu citrolu….<br />
Il venerdì santo, durante la processione dei “santi addolorati “ <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>, una<br />
monaca dell’or<strong>di</strong>ne delle Phallofiline Poppanti scappò con un vigile urbano, tale<br />
Michele Sciccazzo, che era cognato dell’avvocato Cicidda. Da parte sua suor<br />
Giggetta delle Sette Pene lasciò la processione con la scusa <strong>di</strong> un mal <strong>di</strong> pancia e salì,<br />
vista da qualche occhio pettegolo assai e altrettanto assai curtigghiaro, sulla<br />
cinquecento del suo vecchio moroso. Scapparono in una casetta <strong>di</strong> campagna e lì<br />
consumarono il loro amore. Suor Giggetta in fondo era stata solo una vittima del<br />
sistema.<br />
Siccome da carusa <strong>di</strong>mostrava assai assai pre<strong>di</strong>sposizione orale verso l’altro sesso, e<br />
non certo nel modo reso qualche tempo fa celebre da Clinton, ma semplicemente<br />
chiacchierando e annacandosi più del normale quando c’erano dei carusi maschi.<br />
Parlare e mettersi in mostra , solo questo faceva Itria Alliccacannili, la futura suor<br />
Giggetta. Poi, crescendo, la ragazza, che era sempre in calore o quasi, per un<br />
semplice fatto ormonale, si parrava sempri chiù ammucciuni e sempre chiù stritta con<br />
Michele. Un caruso più grande che faceva Sciccazzo <strong>di</strong> cognome e godeva già fama<br />
<strong>di</strong> essere sciccazzo anche nelle parti interessate. E siccome una volta a Itria la<br />
attruvanu che arriminava dentro li causi del suo morosetto, <strong>prima</strong> che la minchiata<br />
succirissi e lu papa trasissi a Roma, era doveroso pigliare provve<strong>di</strong>menti. E su<br />
consiglio <strong>di</strong> un parente parrino, che però era un grande buttaniere, la carusa fu chiusa<br />
<strong>di</strong>ntra il famigerato carcere – convento - collegio delle Maddalenazze. Qui le ragazze<br />
venivano sfruttate alla sanfasò nel nome <strong>di</strong> Dio, trattate come buttane patentate , rese<br />
sessuofobiche al mille per mille e soprattutto costrette a tormentare e mortificare la<br />
loro femminilità. Fasce castranti sul seno, capelli a zero e tuniche sporche, rognose e<br />
informi addosso. Ma soprattutto dovevano lavorare. Lavorare per la santissima gloria<br />
<strong>di</strong> Dio e per il santissimo portafoglio delle monache.<br />
Per “ presunte tendenze alla buttanità” la famiglia la chiuse in quel carcere che era la<br />
reale porta dell’inferno anche se prometteva il para<strong>di</strong>so. Era l’inferno reale che<br />
prometteva il para<strong>di</strong>so dopo la morte. In quel lager Itria soffrì assai . L’unica<br />
consolazione a Itria gli arrivava dai cetrioli.<br />
Solo una volta aveva toccato il cetriolo <strong>di</strong> carne dello zito. Ed era stata scoperta. Lei<br />
soffriva e pensava a quel giocattolo che non era riuscita neanche a vedere, ma solo a<br />
toccare. Ma l’aveva toccato a lungo e ricordava tutto. Ricordava la sua lunghezza, la<br />
sua grossezza, ricordava la sua coppola, le palle che stavano sotto. Ma ricordava pure
le sue vibrazioni, il suo calore. E ricordava anche quel liquido caldo che era venuto<br />
fuori e le aveva incilippiato le manine innocenti. Proprio allora la mamma, quella<br />
grande scassapiselli autorizzata, l’aveva scoperta in fragrante reato <strong>di</strong> “masturbatio<br />
peccaminosa” e l’aveva sgridata nel peggiore dei mo<strong>di</strong>. Michele era scappato con la<br />
cittera aperta, lei invece era corsa in casa alliccandosi le mani, per cancellare le tracce<br />
del peccato commesso. Ma la mamma, che sapeva dei giochi che fanno i mascoli e le<br />
femmine , <strong>prima</strong> <strong>di</strong> passare al gioco finale, l’acchiappò e ci ciaurau li manu.<br />
><br />
> <strong>di</strong>sse l’innocente Itria.<br />
> <strong>di</strong>sse la mamma.<br />
Seguì una <strong>di</strong>scussione in famiglia. Ovvero tra moglie e marito. La madre la sottopose<br />
anche a una visita ginecologica fatta da lei stessa. Ma non convinta <strong>di</strong> quello che<br />
vedeva, la portò da una mammana che confermò l’integrità fisica della carusa.<br />
> <strong>di</strong>sse la mammana.<br />
><br />
><br />
><br />
> <strong>di</strong>sse la mammana ><br />
Non convinta la mamma la portò da un maiaro. Tale Mago Iside.<br />
> <strong>di</strong>sse il maiaro.<br />
> chiese la madre.<br />
><br />
E tirò fuori dalla muarra <strong>di</strong> maiaro un particolare pendolino che anziché una pallina<br />
teneva una minchietta ca paria <strong>di</strong> plastica ma invece era fatta <strong>di</strong> simenta <strong>di</strong> <strong>di</strong>avolo<br />
capo impastata cu pila <strong>di</strong> cunno <strong>di</strong> strega arsa a Campo dei Fiori nel 1600. Nello<br />
stesso giorno <strong>di</strong> Giordano Bruno. Accussì sosteneva il maiaro. In realtà si trattava <strong>di</strong><br />
materiale sintetico termosensibile.<br />
> spiegò il mago.<br />
E accussì il mago fece il tentativo <strong>di</strong> esorcizzare quel <strong>di</strong>avolo che lei, poverina, sulu<br />
una volta aveva solo maniato.<br />
> <strong>di</strong>sse il mago Iside.<br />
> <strong>di</strong>sse la carusa.<br />
> addumannò la mamma.<br />
vera verità, la carusa nuda si deve mettere, tutta nuda, come nuda è la verità.>> <strong>di</strong>sse<br />
Iside serio serio.<br />
Itria si denudò tutta quanta e con una mano sul piripacchio e l’altra davanti a li minni<br />
andò dentro il cerchio magico.<br />
> <strong>di</strong>sse il maiaro.<br />
> <strong>di</strong>ssero madre e figlia.<br />
> precisò il maiaro<br />
facendo vedere la stampa in questione.<br />
La ragazza obbedì e si mise come l’uomo vitruviano. Così facendo allargò le braccia<br />
e le gambe ed espose tutte le sue cosette alla vista del maiaro. Il mago allora prese il<br />
Minchiandolo e lo mise sulla mano destra.<br />
><br />
La minchietta si riscaldò e gonfiò.<br />
> <strong>di</strong>sse il mago.<br />
> <strong>di</strong>sse la mamma.<br />
Fece lo stesso con la mano sinistra.<br />
> chiese il mago sistemando il<br />
Minchiandolo. L’aggeggio gonfiò e si riscaldò.<br />
> <strong>di</strong>sse il mago.<br />
> <strong>di</strong>sse la mamma.<br />
Poi avvicinò il Minchiandolo alla bocca.<br />
><br />
chiese il mago.<br />
La minchietta si riscaldò ma non si gonfiò.<br />
> <strong>di</strong>sse il<br />
maiaro.<br />
> <strong>di</strong>sse la mamma. Poi aggiunse: ><br />
Finalmente il mago mise il Minchiandolo davanti al cunno. Lu stigghiolu restò freddo<br />
e non gonfiò.<br />
> precisò il mago.<br />
> <strong>di</strong>sse la mamma. ><br />
> chiese il mago.<br />
><br />
> <strong>di</strong>sse il mago che si era eccitato a causa <strong>di</strong> tutto quel ben <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>o.<br />
> <strong>di</strong>sse alla ragazza.<br />
La ragazza si firriò ed espose il suo culetto giovane e fresco alla sguardo assatanato <strong>di</strong><br />
quel vecchio porco che era il mago. L’uomo sistemò il Minchiandolo sopra le<br />
chiappe.<br />
> <strong>di</strong>sse il mago. Ma non successe niente.
concluse il mago.<br />
> <strong>di</strong>sse la mamma.<br />
Poi Iside fece l’esorcismo per santificare le mani e la bocca . Alla fine <strong>di</strong>sse:<br />
><br />
Dopo tutte queste faccende e questi controlli la carusa fu ficcata in collegio.<br />
Ma Michele, che s’era fatto amico interessato del commerciante che portava la frutta<br />
e la verdura al convento, pinsò <strong>di</strong> consolare Itria con qualche palliativo. Se lui<br />
pensava alle mani <strong>di</strong> lei sul suo aceddu, la carusa sicuramente pensava a chiddu<br />
aceddu che aveva toccato. Allora prese ad inviargli un citrolo firmato. “Pi tia.<br />
Michele.” Itria lo pigliava e se lo portava nella sua stanza . Poi si lu alliccava, si lu<br />
passava tra li minni e tra li cosci e alla fine se lo mangiava. Intanto fu cumminciuta a<br />
farsi monaca. E si ci fici. Ma continuava a trafficare col citrolo che gli mandava<br />
Michele. E na vota, pigliata da un raptus erotico più forte del solito, si lu ficcau <strong>di</strong>ntra<br />
lu sticchiu. Gu<strong>di</strong>u assai assai, e poi, anche se insanguinato, si lu mangiau. Dopo<br />
quella <strong>prima</strong> volta, col citrolo <strong>di</strong> Michele, ci faceva sempre l’amore. Fino a quando<br />
qualche consorella acida e gelosa ci fici la spia. Scoperta e condannata a tre mesi <strong>di</strong><br />
celletta d’isolamento, restò senza citrola. Ma decise, in quell’isolamento totale, <strong>di</strong><br />
scappare appena possibile. Di riprendersi la libertà. Ma soprattutto la sua vita.<br />
> <strong>di</strong>sse a sé stessa.<br />
E la sera del venerdì santo scappò. Passando dal cetriolo vegetale al cetriolo <strong>di</strong> carne.<br />
Da una sessualità vegetariana a una carnivora. Ma soprattutto dal carcere alla libertà.<br />
Quella sera al corso l’ingegnere Nicola osservò a lungo la gente che passeggiava.<br />
Taliò assai le tre sorelle Stoccacitrolo con il loro uomo comune, il dottore<br />
Minchiatrina. E gli sembrò <strong>di</strong> capire che il me<strong>di</strong>co fosse stanco, stanco <strong>di</strong> corpo e <strong>di</strong><br />
testa. E sicuramente stanco <strong>di</strong> minchia. Anche se felice. E capi che tre femmine erano<br />
assai. Taliò il professore Bisticchiò e gli parve <strong>di</strong> vederlo tranquillo. Una annacata a<br />
destra e una a sinistra. Procedeva a testa alta con allato la moglie da una parte e la<br />
cognata dall’altra. Ci parse la cosa ideale. Uno e due. Uno e due. Dava l’idea <strong>di</strong><br />
marciare. Una e due. Una ficcata con la moglie e una con la cognata. Tanto per non<br />
cucinare l’aceddu sempre dentro lo stesso pentolino.<br />
Lui aveva in testa le sorelle Minabrigghiu. Se ci riusciva poteva <strong>di</strong>ventare il novello<br />
Bisticchiò. D’altra parte guadagnava bene e poteva campare due mogli come due<br />
signore. E quannu visti passari a Tonina e Ninetta con la loro mamma, si scappellò<br />
assai assai e fece un inchino che quasi quasi vasò il terreno. Le caruse si misero il<br />
petto in avanti e si annacarono il culo. La mamma si arritirau la panza e si fici<br />
abballari li minnazzi spropositati ca tinia. Si sintia già suocera dell’ingegnere<br />
Cannolo.<br />
All’ingegnere invece ci vunciau lu cannolu e corse <strong>di</strong> nuovo dalle due buttane solite.<br />
Che ci costavano parecchio. Meglio maritarsi una femmina che tinia una sorella e<br />
organizzare il triangolo in famiglia. Era più genuino e costava meno. E sicuramente<br />
dava più sod<strong>di</strong>sfazioni. Sei i due vertici femminini del triangolo erano <strong>di</strong> primo pelo,<br />
e Ninetta e Tonina lo erano, lui le poteva ammaestrare a suo piacimento e farle
<strong>di</strong>ventare strumenti <strong>di</strong> piacere. Per il piacere della sua minchia. Del cannolo<br />
dell’ingegnere Cannolo.<br />
L’indomani la madre badessa fece la denuncia e raccontò il fatto ai carabinieri. Tutto<br />
raccontò, anche la storia del citrolo.<br />
> <strong>di</strong>sse la madre<br />
badessa.<br />
> rispose<br />
Minico Mezzocazzone.<br />
Ma chissà come fu, il giorno stesso, la storia della “ monica col citrolo” fu sulla<br />
bocca <strong>di</strong> tutti. La storia del citrolo si <strong>di</strong>ffuse in un amen. E Pompeo ci scisse su un bel<br />
sonetto. Titolo “A MONACA”<br />
So suor Giggetta e er fatto sia detto:<br />
poiché nun potei avere un certo lui<br />
- me <strong>di</strong>cea sempre "li mortacci tui" -<br />
me misi sto vestito maledetto.<br />
A notte me sentivo sola a letto,<br />
sempre senza er cazzo e li cojoni sui,<br />
er tempo nun passava, fatto per cui<br />
da me m'accarezzavo <strong>prima</strong> er petto,<br />
poi le cosce, er culo e pe' finì la monna,<br />
che tra l'altro era ancora tutta sana<br />
facendomi sentire na madonna.<br />
Così na brutta sera m'enbriacai,<br />
poi pijai n'cetriolo e da gran puttana<br />
tutto quanto dentro me l'infilai.<br />
La sorte dei poveri, sempre sottomessi, sempre soggiogati e<br />
sempre oppressi, non potrà mai migliorare con mezzi<br />
pacifici.<br />
J. P. Marat
SETTE : ER MARCHETTARO<br />
Più l'uomo coltiva le arti, meno scopa. Si ha un <strong>di</strong>vorzio sempre più<br />
sensibile fra lo spirito e il bruto. Soltanto il bruto fotte bene, e<br />
fottere è il lirismo del popolo . Scopare è aspirare ad entrare in<br />
un altro, e l'artista non esce mai da se stesso.<br />
C. Baudelaire<br />
La fimmina lu poli sulu pigghiari.<br />
Lu masculu fa comu cazzu ci pari.<br />
A casa Cazzicchiò, l’arrivo della lettera anonima il sabato mattina, fece succedere il<br />
finimondo. Fece quasi quasi scoppiò la terza guerra mon<strong>di</strong>ale. Alla mamma ci pigliò<br />
il solito firticchio. Al papà la solita botta <strong>di</strong> nervoso con relativa cacaredda.<br />
> <strong>di</strong>sse la<br />
mamma <strong>prima</strong> <strong>di</strong> svenire.<br />
Al papà ci pigliò il solito attaccò <strong>di</strong> coliti spastica e fici un siccio e una sporta <strong>di</strong><br />
cacaredda fitusa.<br />
><br />
A mezzogiorno, quannu turnanu Memè e Mimì, ci fu lu secunnu attu <strong>di</strong> l’opera<br />
teatrale “Cazzicchiò sciò”.<br />
> chiese il<br />
papà.<br />
I ragazzi , che stu<strong>di</strong>avano a <strong>Monacazzo</strong>, capirono cos’era successo e confessarono<br />
subito. Avevano scopato con due sorelle, ma non sapevano <strong>di</strong> averle messe incinte.<br />
In realtà lo sapevano, ma fecero finta <strong>di</strong> non saperlo per convenienza.<br />
><br />
chiese la mamma.<br />
> risposero imbarazzati i ragazzi .<br />
> <strong>di</strong>ssero mamma e papà.<br />
> <strong>di</strong>ssero i gemelli pensando <strong>di</strong><br />
cavarsela a buon mercato.<br />
pensarono all’unisono.<br />
Ma la cosa non poteva finire là. Mammà e papà Cazzicchiò erano maneschi. Pertanto<br />
una passata <strong>di</strong> legnate ci vulia. Anche a scopo educativo. Papa acchiappò a Mimì e ci<br />
calau causi e mutanni e ci desi quattro naticati ca lu culu da iancu si fici russu. La<br />
mamma fici lu stissu cu Memè, ma raddoppiò la dose. Lu culu <strong>di</strong> Memè ad<strong>di</strong>vintau<br />
chiù russu <strong>di</strong> chiddu <strong>di</strong> Mimì. Ma intanto che la mamma e il papà natichiavano, ai
curusi, sarà stato masochismo o altro, ci attisau. La mamma si intisi la ciolla del figlio<br />
crescere tra le ginocchia e circau <strong>di</strong> stritolariccilla. Per punizione. Il papà fece lo<br />
stesso con l’altro figlio. Papà e mammà si talianu e si capenu. La punizione doveva<br />
andare oltre. Pertanto li firrianu e ci desunu quattro tumbulati na l’aceddu tisu. O<br />
forse è meglio <strong>di</strong>re quattro minchialati. E in più na bedda sputazzata na li stissi parti<br />
colpevoli. Bum.. e la minchia ia a destra.. Bam.. e la minchia ia a sinistra .<br />
> gridavano i carusi. La loro minchia abballava il ballo si san Vito. O forse<br />
il ballo <strong>di</strong> san Cazzo. Erano comunque cazzicatummulitti <strong>di</strong> lu cazzu.<br />
> <strong>di</strong>sse la mamma intanto che tumbuliava la<br />
minchia del figlio. La stessa cosa fece il padre con l’altro figlio. Poi li chiurenu in<br />
camera. Ma la cosa nun finiu lì.<br />
Alle due, il pranzo poteva aspettare, arrivò lo zio canonico, il fratello del signor<br />
Cazzicchiò. Informatosi del tutto me<strong>di</strong>tò per cinque minuti. Poi chiese <strong>di</strong> bene<strong>di</strong>re gli<br />
acid<strong>di</strong>tti dei nipoti.<br />
><br />
Li carusi si talianu na li palli <strong>di</strong> l’occhi. Non restava che obbe<strong>di</strong>re. E lo zio fece<br />
quello che doveva fare. E consigliò il matrimonio riparatore per dare un padre e una<br />
madre a quelle anime innocenti che stavano per arrivare. Erano le tre quando,<br />
me<strong>di</strong>atore lo zio canonico, genitori e figli si abbracciarono piangendo. E le tre e<br />
mezzo quando stavano festeggiando con salsiccia, vino e pure lo spumante.<br />
> <strong>di</strong>ssero la mamma, il papà e lo zio canonico.<br />
> pensarono Mimì e Memè.<br />
Che dopo pranzo corsero nella loro stanzetta, si chiusero a chiave e presero a<br />
minarsela. Per vedere se lo strumento, dopo quelle botte e la bene<strong>di</strong>zione portasfiga<br />
dello zio canonico, funzionava ancora. Funzionò. Poi telefonarono alle zite. A<br />
Marietta e Maruzza Cacapitrud<strong>di</strong>. E <strong>di</strong>ssero che era tutto a posto. Mamma e papà<br />
avevano dato il benestare al loro matrimonio. Il problema adesso era <strong>di</strong>rlo ai signori<br />
Cacapitrud<strong>di</strong>. Raccontarono anche delle tumbulate ricevuti sulla minchia.<br />
> chiesero le zite telefonicamente.<br />
><br />
> chiesero quelle gelose.<br />
><br />
><br />
><br />
E si misero d’accordo.<br />
Arrivò la sera del sabato. E Minico Mezzocazzone e Gerlando Pirlabon , che erano<br />
liberi fino a lunedì, decisero <strong>di</strong> andare in pizzeria. Alla “Napoli <strong>di</strong> Sicilia” . E<br />
mangiando e bevendo chiacchierano assai. Decisero poi, che dopo la pizza, avrebbero<br />
potuto fare un salto all’Arcazzo. Tanto per svacantarsi le olivette. E decisero anche <strong>di</strong>
andare a Pantalica, dai Figli della Kanapa, per la pasquetta. Per fare un bagno, un bel<br />
bagno liberatorio.<br />
> chiese Gerlando.<br />
> <strong>di</strong>sse il siciliano.<br />
> <strong>di</strong>sse il mona<br />
venexiano.<br />
Al tavolo accanto c’erano Iatata , Ben e Pompeo. Parravano <strong>di</strong> quello che doveva<br />
succedere dopo la pasqua. Il <strong>di</strong>lemma era tra occupazione e autogestione. Intanto<br />
decisero <strong>di</strong> andare anche loro a Pantalica, per la pasquetta naturalmente, insieme ad<br />
altri amici che avevano organizzato.<br />
> <strong>di</strong>sse Pompeo.<br />
> chiese Ben.<br />
> replicò il romano.<br />
> <strong>di</strong>sse Iatata.<br />
> <strong>di</strong>sse il romano.<br />
> rispose ridendo.<br />
><br />
> intervenne Ben.<br />
Ad un altro tavolo ancora c’era la famiglia Cazzicchiò al completo. C’era pure lo zio<br />
canonico. Domani sarebbero andati tutti insieme a casa Cacapitrud<strong>di</strong>, a chiedere la<br />
mano <strong>di</strong> Maruzza e Marietta. Ben e Pompeo ogni tanto taliavano la famiglia <strong>di</strong><br />
bucchirisi e li vedevano calmi e tranquilli. Forse la lettera non era ancora arrivata. Ma<br />
a un certo punto entrarono Maruzza e Marietta e corsero ad abbracciare i loro ziti.<br />
Abbracciarono pure i futuri suoceri e lo zio canonico, che toccò loro le panze con<br />
tanto affetto. In un momento <strong>di</strong> <strong>di</strong>strazione altrui Maruzza e Marietta taliano Ben e<br />
Pompeo e lanciarono loro uno sguardo che vulia solo <strong>di</strong>re ><br />
Risposero con uno espressione che voleva <strong>di</strong>re ><br />
Poi Maruzza, Marietta, Memè e Mimì decisero <strong>di</strong> andare a Pantalica per la pasquetta.<br />
A fare un bel bagno. Possibilmente nu<strong>di</strong>. Insieme ad altri ragazzi della scuola che<br />
avevano organizzato.<br />
Ad un altro tavolo c’erano padre Cacaceddu e padre Ciollardente. Mangiavano come<br />
maialini affamati. Costate <strong>di</strong> porco e salsiccia a iosa annaffiata da tanto buon<br />
“Minciazzone”, il vino nero locale . Poi decisero <strong>di</strong> andare, per la pasquetta, a dare<br />
una taliata ai peccatori <strong>di</strong> Pantalica. Ognuno secondo le sue intenzioni.<br />
Ad un altro tavola c’era il sindaco con la moglie, la signora Eusebia Ferretti e degli<br />
amici. Parlavano <strong>di</strong> politica e querelle complicate.
Ad un altro tavolo ancora c’erano le tre sorelle Stoccacitrolo e il loro marito comune,<br />
il dottor Minchiatrina. Il dottore somministrava il vino con classe alle sue tre signore.<br />
E nel somministrarlo paria <strong>di</strong>re “Così come vi sparto il vino, vi sparto la minchia e il<br />
latte <strong>di</strong> minchia..”<br />
Ad un altro tavolo c’erano Micio Tempio, Giorgio Baffo e dei loro amici <strong>di</strong> entrambi<br />
i sessi. Molti forestieri. Tra loro la bellissima gnocca russa Kosetta Fikaminkianova.<br />
Che quando era comparsa al corso per la <strong>prima</strong> volta aveva fatto arrapare il<br />
novantanove per cento dei mascoli <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>. Micio e Giorgio parlavano <strong>di</strong> quel<br />
mona <strong>di</strong> padre Ciollardente, che stava assittato a pochi tavola <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza.<br />
> <strong>di</strong>sse<br />
Micio.<br />
> sparò Giorgio.<br />
Micio alzò la voce un po’. Lo fece apposta. Per fare arrivare il messaggio.<br />
><br />
Padre Ciollardente si girò. Il messaggio era arrivato a destinazione.<br />
><br />
> specificò Giorgio.<br />
Decisero poi che il lunedì <strong>di</strong> pasqua sarebbero andati a fare una passeggiata a<br />
Pantalica. Anzi, se la giornata era bella, il bagno.<br />
> <strong>di</strong>sse Micio.<br />
> aggiunse Giorgio.<br />
> <strong>di</strong>sse Bona, una cara amica<br />
fiorentina.<br />
> <strong>di</strong>sse Cicì Colibrì che era notoriamente<br />
omosessuale.<br />
Ad un altro tavolo, situato in un angolo, c’erano l’ingegnere Nicola Cannolo con le<br />
signorine Tonina e Ninetta Minabrigghiu. Stavano cenando alla grande. Tutto a base<br />
<strong>di</strong> pesce. Le caruse erano estasiate. Essere a cena con l’ingegnere era una bella cosa.<br />
Si alzava il loro prestigio sociale. Intanto che cenavano arrivò il professore<br />
Bisticchiò con la moglie e la cognata. Nicola fu contento <strong>di</strong> vedere il suo modello <strong>di</strong><br />
vita. Il problema era convincere le due sorelle Ninetta e Tonina ad accettare il<br />
triangolo. Allungò un piede e ci toccau il piede a Ninetta. Fece la stesa cosa con<br />
l’altra. Le caruse risautarono. Poi lasciò cadere il tovagliolo e si chinò per prenderlo.<br />
Voleva taliare da un altro punto <strong>di</strong> vista. E vide che le sorelle, appena lui fu con la<br />
testa sotto il tavolo, allargarono entrambe le cosce per fargli vedere il colore delle<br />
mutan<strong>di</strong>ne. Bianco immacolato era e semitrasparente. Si vedevano li pila del conno.<br />
A Nicola ci attisò. E si lu tirau fora dalla cittera. Le ragazze, per istinto o altro, si<br />
calano e taliano. In contemporanea. Videro quel cannolo tiso e si taliano in faccia.<br />
> si chiesero con gli occhi.<br />
Poi, pensando al professore Bisticchiò, seduto lì vicino, si <strong>di</strong>ssero, sempre con lo<br />
sguardo, che forse era per tutt’e due.
si chiesero, sempre con gli occhi.<br />
A pizza finita Ben , Pompeo e Iatata decisero <strong>di</strong> fare una passeggiata all’Arcazzo e<br />
vedere le Buttane davanti alla porta. E videro uscire i C.C. Pirlabon e Mezzocazzone<br />
dalla porta <strong>di</strong> Checca, la buttana più famosa dell’Arcazzo. Perché poteva e sapeva<br />
accontentare anche cinque mascoli contemporaneamente. Pompeo decise <strong>di</strong> andare<br />
con Pietruccio, l’unico mascolo che si prostituiva all’Arcazzo. Ma scolo ma in abiti<br />
femminili. Senza pili e senza minni. Truccato e coi capelli lunghi. Ma con tanto <strong>di</strong><br />
ciolla <strong>di</strong>ntra le mutan<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> pizzo <strong>di</strong> san gallo. E per giunta Entrarono tutti tre e<br />
mentre Pietruccio e Pompeo fecero quello che fecero nella stanza da letto, Ben e<br />
Iatata aspettarono nel salottino in finta pelle dell’anticamera.<br />
Sentivano gemiti arrivare dalla stanzetta e si eccitarono. Incominciano allora a<br />
baciarsi, accarezzarsi, toccarsi, arriminarisi li paesi alti e quelli bassi. E siccome il<br />
pititto crisciu assai, tanto per imitare Pompeo e Pietruccio, Ben ci calau li ginsi alla<br />
zita e ci lu ficcau in culo. A cose fatte Iatata <strong>di</strong>sse:<br />
><br />
> rispose Ben ridendo.<br />
><br />
><br />
La ragazza fece il gesto <strong>di</strong> svitare l’uccello e <strong>di</strong> avvitarlo davanti alla sua fica. Poi<br />
Ben si mise a pancia in giù e lei ci accarezzau lu culo a lu zito. Quin<strong>di</strong> fici finta <strong>di</strong><br />
iniziari a ficcariccilla.<br />
> <strong>di</strong>ceva lui.<br />
> rispondeva lei.<br />
><br />
> <strong>di</strong>ceva lei.<br />
><br />
> <strong>di</strong>ceva lei.<br />
><br />
><br />
><br />
> rispondeva lei.<br />
><br />
> <strong>di</strong>ceva Iatata stando al gioco e <strong>di</strong>menandosi<br />
come una ossessa sopra il culo dello zito.<br />
Iatata sapeva simulare bene i colpi <strong>di</strong> reni dell’inculatore. E lui si adattava ai suoi<br />
colpi. Un cazzo virtuale collegava la fica <strong>di</strong> lei al culo <strong>di</strong> lui.<br />
Intanto con le mani Iatata ci stimolava il bucio del culetto allo zito. Ci l’avia<br />
lubrificato bene. Lui, tanto per accontentarla, facia segnali au<strong>di</strong>o <strong>di</strong> dolore e piacere.<br />
E quannu si stava stancannu <strong>di</strong> recitare, col buco del culo ca ci mangiava assai assai,<br />
e la minchia che era risorta e minacciava l’eruzione, Iatata ci fici la sorpresa e ci<br />
ficcau un <strong>di</strong>to lì. Di botto. Di colpo. Fu una bella sensazione.<br />
> <strong>di</strong>sse Ben venendo sul <strong>di</strong>vano.<br />
Proprio in quel momento Pietruccio e Pompeo stavano uscendo.
gridarono. E ritornarono in<strong>di</strong>etro.<br />
Iatata e Ben si sistemarono. Poi , visto che non c’erano clienti, chiacchierarono a<br />
lungo. Di sesso e <strong>di</strong> libertà sessuale. Pietruccio raccontò gli abusi subiti. Familiari<br />
<strong>prima</strong>, quin<strong>di</strong> preteschi , e poi per finire dai compagni militari e non . L’unica scelta<br />
autonoma della sua vita era stata quella <strong>di</strong> prostituirsi. Disse anche che s’era, da<br />
grande, laureato in lettere classiche con 110 e lode. Con una tesi su “ Sodomia nella<br />
letteratura e nel <strong>di</strong>ritto”. E citò Anacreonte.<br />
><br />
Poi Luciano sulla pedofilia.<br />
><br />
E infine citò una or<strong>di</strong>nanza del Consiglio dei Dieci <strong>di</strong> Venezia del 1461<br />
><br />
E ci contò che molti mascoli etero venivano da lui e ci raccontavano della frigi<strong>di</strong>tà<br />
della moglie.<br />
> <strong>di</strong>sse Ben.<br />
> aggiunse Iatata.<br />
> precisò Pietruccio.<br />
> addmannò Pompeo.<br />
Ove esista una comunità maschile, le prostitute sono inevitabili,<br />
non altrimenti delle fogne e dei depositi <strong>di</strong> immon<strong>di</strong>zia.<br />
Parent-Duchatelet<br />
Dopo cena l’ingegnere Nicola , Ninetta e Tonina si ficiro una passiata. All’aria<br />
aperta. Avevano bevuto assai. Nicola faceva finta <strong>di</strong> barcollare. Loro lo<br />
abbracciavano e facevano finta <strong>di</strong> sostenerlo. Lui , brillo per finta, toccava per<br />
davvero. Le picciotte lasciavano fare. Nicola ne approfittò. Toccava ora una minna,<br />
ora nu culu, ora na coscia. Poi chiese se sapevano guidare.<br />
> <strong>di</strong>ssero.<br />
Allora chiese se lo potevano accompagnare casa.<br />
> <strong>di</strong>ssero.<br />
Una volta a casa Nicola , sempre barcollando, <strong>di</strong>sse:<br />
><br />
Tonina e Ninetta si guardarono e decisero <strong>di</strong> dargli una mano.<br />
> <strong>di</strong>ssero a sé stesse.<br />
Lo accompagnarono al cesso e gli aprirono la patta per tirarci fuori l’uccello. Ma<br />
quello non pisciava. Nelle loro mani gonfiò, nonostante il “pissi pissi” delle due<br />
ragazze. Che vista la minzione mancata, pensarono <strong>di</strong> risistemarlo al suo posto. Ma il<br />
coso vunciato non ci stava piu dentro le mutande. Nicola da parte sua continuava a<br />
fare la sceneggiata dell’ubriaco. E in preda all’alcol poteva <strong>di</strong>re tutto.<br />
><br />
Lo portarono a letto e lo spogliarono. Nudo come un bambino.<br />
> <strong>di</strong>sse Nicola<br />
> <strong>di</strong>ssero le donne.<br />
><br />
Ninetta e Tonina si talianu e con gli occhi <strong>di</strong>scussero la questione “pompino sì o no”.<br />
Decisero per il sì.<br />
> <strong>di</strong>sse Nicola.<br />
Ninetta e Tonina si impignanu assai. Ma iddu nun vinni. Si alzò e barcollando iu a<br />
pigghiari na buttigghia <strong>di</strong> champagne francisi.<br />
> <strong>di</strong>sse barcollando sia lui che il aceddu tisu.<br />
E bevvero. Lui fici finta <strong>di</strong> essere brillo totale. Loro lo catafuttenu sul letto.<br />
Poi si consultarono con gli occhi. Era ora <strong>di</strong> approfittare dell’occasione. Per<br />
assaggiare il cannolo nel loro portacannolo. E <strong>prima</strong> Ninetta e poi Tonina si<br />
impalanu. Fu un autoinfilamento, una autoficcata, una autosverginazione, una<br />
autoscopata, una autochiavata. La minchia c’era ma il proprietario era assente.<br />
Partecipava coi movimenti del corpo ma con la testa era nella terra degli ubriachi.<br />
Nel mondo dei folli. Nicola Cannolo sapeva recitare. Bene. Molto bene. Sia col<br />
cannolo che con la testa. Perché in realtà era presentissimo sia <strong>di</strong> testa che <strong>di</strong> minchia.<br />
I suoi progetti si erano <strong>di</strong>mostrati giusti. Il pititto <strong>di</strong> quelle due femmine era tanto e<br />
tale che esse si sarebbero pigliate il primo cannolo messo a loro a <strong>di</strong>sposizione in<br />
forma anonima.
A impresa fatta decise <strong>di</strong> aprire la bocca e chiese ancora da bere. Ma lo somministrò a<br />
loro e li fece ubriacare completamente. Con calma poi, ci la mise nel culo <strong>prima</strong> a<br />
Ninetta e dopo a Tonina. Finalmente, a cose fatte, si addormentarono tutti e tre, nu<strong>di</strong>,<br />
e uno sull’altro.<br />
A casa Minabrigghiu la mamma non vide arrivare le figlie e passò la notte in attesa.<br />
Pregando assai assai. Fece una sorta <strong>di</strong> veglia pasquale per motivi personali. Voleva<br />
andare dai C.C., ma se poi , per caso, trovavano le figlie con l’ingegnere, le<br />
classificavano automaticamente come “ buttane”. La notte <strong>di</strong> pasqua poi, a<br />
<strong>Monacazzo</strong>, era una notte speciale. C’era la “veglia degli insonni ” . E tanta gente<br />
passava da una chiesa all’altra per vegliare mezzora. Accussì passava la nottata. E se<br />
c’era gente che aveva visto le sorelle Minabrigghiu entrare a casa dell’ingegnere, ci<br />
sarebbe stato qualcuno che le avrebbe viste uscire.<br />
Alle cinque del mattino Tonina e Ninetta tornarono a casa. Si erano svegliate, e senza<br />
<strong>di</strong>sturbare Nicola, si erano rivestite e si erano avviate verso casa, che tanto <strong>di</strong>stante<br />
non era. La mamma le aspettava con il manico della scopa in mano.<br />
><br />
E dava colpi <strong>di</strong> scopa a minchia cina.<br />
> <strong>di</strong>sse la mamma.<br />
><br />
><br />
><br />
Su quella serata con Pietruccio, Pompeo scrisse il sonetto “ ER MARCHETTARO”<br />
Io so Pietruccio è fo, fo, fo er puttano,<br />
però de qualità e no de strapazzo:<br />
se tu me dai er culo, mbè , io te do' er cazzo,<br />
se invece me dai er cazzo io te do' l'ano.<br />
Na vota er bucio der culo era sano,<br />
mo' pare er portone d'un gran palazzo.<br />
Io in sto lavoro so er primo der mazzo<br />
e a fine resto 'gnissempre un cristiano.<br />
So pure nu poco specializzato:<br />
so er kamasutra tutt'a memoria,<br />
per questo da tutti so ricercato.<br />
So bello, so bono , so na gloria,<br />
so detto " culo-e-cicia mozzafiato<br />
È una delle superstizioni dell’animo umano immaginare che la<br />
verginità possa essere una virtù.<br />
Voltaire
OTTO : LI MARINAI<br />
Sfuggi al piacere <strong>di</strong> veneri feconde .<br />
Voltala invece, il culo rosato godendo.<br />
Antologia Palatina, testo greco<br />
Na minchia nun fa nu masculu. E due mancu.<br />
Il giorno <strong>di</strong> Pasqua ci fu lu scontru. In piazza, cu la maronna ca calava <strong>di</strong> cursa e lu<br />
signuri ca acchianava <strong>di</strong> cursa. Addolorata infelice l’una e infelice e addolorato<br />
l’autru, ma impegnati in una ricerca continua e spasmo<strong>di</strong>ca. Lei infelice alla ricerca<br />
del figlio che sa risorto ma non trova. Lui addolorato alla ricerca della mamma che lo<br />
sa morto. E poi , tanta era la foga che ci mettevano i “spaddanuristi “, ca si passavano<br />
accanto e non si incontravano, non si riconoscevano . E pirtanto firriavano attorno<br />
alla piazza. E firriavano fino a quannu uno dei gruppi <strong>di</strong> portatori, i maronnanti da<br />
una parte o i signuruzzi dall’altra, non si stancavano. Allora costoro si fermavano e<br />
aspettavano il riconoscimento da parte dell’autro gruppo. Pertanto ogni anno c’era la<br />
curiosità <strong>di</strong> sapere se si fermavano <strong>prima</strong> i maronnanti o i signuruzzi. Era una sfida<br />
che si riproponeva <strong>di</strong> anno in anno tra due parrocchie del paese. Tutto iniziava alle<br />
<strong>di</strong>eci <strong>di</strong> mattina. Ma non si sapeva quando finiva. E quell’anno c’erano tutti. Il<br />
sindaco con la famiglia, i coniugi Cicidda, la famiglia Portusodoro, Ben con la zita,<br />
Pompeo col cugino appena arrivato e tanti altri. C’era pure Micio Tempio. A cui lo<br />
scontro piaceva particolarmente. E anche Minico Mezzocazzone e Gerlando<br />
Pirlabon. E c’erano anche l’ingegnere Nicola con Tonina e Ninetta e la vedova<br />
Minabrigghiu. E c’era soprattutto la famiglia Cazzicchiò al completo. I figli con le<br />
zite, i genitori e lo zio canonico. Avevano telefonato a casa Cacapitrud<strong>di</strong> ed erano<br />
attesi subito dopo lo scontro. Forse per un altro scontro. O forse no. Dopo lo scontro<br />
le caruse e i carusi rimasero fuori a passeggiare ancora nu tanticchia.<br />
La questione “ panza cina e matrimonio riparatore” se la dovevano vedere i gran<strong>di</strong>.<br />
Ma con lo zio canonico sarebbe andato tutto liscio. Quello era l’uomo della pace. E i<br />
coniugi Cacapitrud<strong>di</strong> erano gente <strong>di</strong> chiesa, ammuccaparticoli e basta. Non erano<br />
capace <strong>di</strong> cagare <strong>di</strong>avoli. E infatti, quannu Marietta e Maruzza, turnanu a casa con i<br />
fidanzati, attruvanu li genitori che li aspettavano a braccia aperte e piangendo<br />
lacrime <strong>di</strong> felicità. Abbracciarono pure i futuri generi. Ma non avevano capito ancora<br />
chi era il marito <strong>di</strong> Marietta e chi il marito <strong>di</strong> Maruzza. A <strong>di</strong>re il vero questo non<br />
l’avevano capito neanche i signori Cazzicchiò. E a <strong>di</strong>re il vero neanche lo zio<br />
canonico, a cui un sospetto era venuto. Infatti tra le gemelle e i gemelli c’era stato un<br />
interscambio continuo. Anche se all’inizio le coppie erano state Memè e Maruzza e<br />
Mimì e Marietta. Ma adesso , giustamente, dovevano dare una forma ufficiale alle<br />
coppie.<br />
La mattina <strong>di</strong> Pasqua arrivò da Siracusa, dove era fermo con la nave su cui prestava<br />
servizio, il marinaio Checco Leccafregna, cugino per parte <strong>di</strong> madre <strong>di</strong> Pompeo.
Aveva tre giorni <strong>di</strong> libertà e decise <strong>di</strong> passarle col cugino e la sua famiglia. Il giovane,<br />
bello come un Adone, possente come un maciste, dolce come una verginella, era<br />
leggermente più grande <strong>di</strong> Pompeo e arrivò a <strong>Monacazzo</strong> nella sua can<strong>di</strong>da uniforme<br />
<strong>di</strong> marinaio. Era lui che aveva svezzato il cugino Pompeo sessualmente. Già nel<br />
pomeriggio, dopo la <strong>di</strong>gestione, si fece una bella doccia. E sotto lo scroscio<br />
dell’acqua calda il cugino lo raggiunse. E fecero una bella rimpatriata, una bella<br />
bimentulamachia. Anche lui era bisessuale.. Ai Ben e Iatata, Pompeo lo presentò al<br />
solito modo.<br />
><br />
Quella sera, uscendo con Pompeo , Ben e Iatata, Checco raccontò le sue avventure in<br />
giro per il mondo. Illustrò poi le usanze sessuali <strong>di</strong> mezzo mondo. Di come era<br />
<strong>di</strong>fficile trombare in certe nazioni, mentre in altre il sesso era facile assai assai. Poi<br />
raccontò la storia <strong>di</strong> un suo amico, un marinaio <strong>di</strong> Trapani, che aveva messo incinta la<br />
sua ragazzina giocando e scherzando sulla doppia patta dei pantaloni della <strong>di</strong>visa.<br />
> <strong>di</strong>sse ridendo.<br />
> <strong>di</strong>sse Pompeo.<br />
> <strong>di</strong>sse Ben.<br />
><br />
aggiunse Iatata.<br />
Allora Checco raccontò nei particolari la storia dell’amico trapanese.<br />
> chiese Ben.<br />
> rispose Checco.<br />
> <strong>di</strong>sse Pompeo.<br />
> aggiunse Checco.<br />
Quella notte i cugini Checco e Pompeo la passarono nello stesso letto. Minchia<br />
contro minchia. Ma soprattutto fecero delle mentulastomamachie e delle<br />
culomentulamachie eccezionali.<br />
La sera <strong>di</strong> Pasqua Marietta , Maruzza e i due bucchirisi uscirono per andare alla festa<br />
popolare che si svolgeva a <strong>Monacazzo</strong>. Invece andarono nella solita casetta <strong>di</strong> un<br />
curtigghio del paese e si <strong>di</strong> <strong>di</strong>edero alla pazza gioia. Tutti e quattro nello stesso letto.<br />
Infatti il loro era un amore trasversale. Si amavano tutti e quattro. E pertanto decisero<br />
<strong>di</strong> formare le coppie ufficiali in base ai risultati <strong>di</strong> un sorteggio. Fecero i puositi e<br />
Marietta risulto essere la zita <strong>di</strong> Memè e Maruzza quella <strong>di</strong> Mimì. Ma questo era per<br />
le famiglia, per la gente, per l’occhio sociale, per il comune e il parrino. Per loro no.<br />
Marietta e Maruzza sarebbero state mogli comunitarie , e i ragazzi sarebbero stati<br />
mariti comunitari. Come <strong>prima</strong> e più <strong>di</strong> <strong>prima</strong>. Anche perché dopo sposati sarebbero<br />
andati a vivere in una bella villetta formata da due appartamenti che papà<br />
Cacapitrud<strong>di</strong> aveva costruito per le sue figlie amatissime. Due appartamenti per due<br />
coppiette, ma per loro sarebbe stata una casa unica con una famiglia <strong>di</strong> quattro<br />
persone. Due mariti e due mogli reciprocamente intercambiabili. Quella sera fecero<br />
cazzicatummuli d’amuri alla sanfasò.
E i bucchirisi chiesero l’altra verginità. Le ragazze concessero quello che non<br />
avevano più. Memè e Mimì furono contenti <strong>di</strong> aver finalmente cazzicatummuliatu la<br />
loro ciolla in culo alle ragazze.<br />
La serra <strong>di</strong> pasqua l’ex suor Giggetta fece la sua comparsa al corso in compagnia del<br />
suo Michele. E il paese intero cazzuliò e curtigghiò sulla nuova coppia. E sulla<br />
storia del citrolo. Lei elegantissima e felice se ni strafotteva degli sguar<strong>di</strong> ipocriti<br />
degli ammuccaparticoli del suo paese. Lei aveva scelto la libertà. A quei coglioni che<br />
la taliavano fissa, lei rispondeva con un sguardo duro che stava a significare .<br />
><br />
Michele da parte sua era felice e non parlava più <strong>di</strong> andare all’Arcazzo. In passato, se<br />
a lei spe<strong>di</strong>va un cetriolo autografato, lui invece andava sempre dalla stessa buttana, la<br />
faceva vestire con un costume da suora e poi se la strafottteva alla sanfasò. Era un<br />
modo reale per fare l’amore virtuale con la sua Giggetta. Per illudersi. Ma adesso<br />
erano insieme.<br />
Lei , il giorno dopo la fuga, era stata chiamata dai carabinieri. Ma non s’era<br />
presentata. Pertanto Gerlando Pirlabon , Minico Mezzocazzone e Puddu Purceddu si<br />
erano precipitati a casa <strong>di</strong> Michele.<br />
> aveva risposto l’ex monaca ><br />
> <strong>di</strong>sse il Purceddu.<br />
><br />
> rispose l’uomo che stava<br />
abbracciato stretto stretto al sua donna. ><br />
Nicola passeggiava con Tonina e Ninetta . E sotto lo sguardo <strong>di</strong> tutto il paese rideva<br />
felice, mentre le ragazze si annacavano. Una alla sua destra e una alla sua sinistra. Un<br />
colpo <strong>di</strong> culo glielo dava Ninetta e un altro Tonina. E ad ogni colpo <strong>di</strong> culo<br />
rispondeva il suo aceddu tiso. Che oscillava ora verso Tonina ora verso Ninetta. Se<br />
solo la sua minchia poteva, si affacciava e si scappellava sia per l’una che per l’altra<br />
sorella. Ma soprattutto per dare una sputazzata , <strong>di</strong> quelle che lui sapeva dare, in<br />
faccia a tutte chidda gente curiosa , curtigghiara, ammuccaparticoli e caca<strong>di</strong>avoli che<br />
taliavano il suo proprietario e padrone e quei due sticchiazzi che l’affiancavano.<br />
Quella s’era , dopo la struscio al corso, Nicola portò le sorelle Minabrigghiu a cenare.<br />
Poi le invitò a casa sua, per un brin<strong>di</strong>si. Tonina e Ninetta accettarono in un amen.<br />
Avevano assaggiato il cannolo <strong>di</strong> carne e lo rivolevano. Al più presto. Era vero che
una volta assaggiata la minchia la femmina pazziava per la stessa. Come per i<br />
mascoli, che una volta ingignato il pipì lo volevano mettere sempre lì. Più che in altri<br />
posti.<br />
><br />
<strong>di</strong>ceva donna Pippina Minchiacina.<br />
Loro lo volevano ardentemente. Una volta a casa brindarono a champagne e si<br />
annacianu alla sanfasò. E senza parole e gesti particolari si trovarono nu<strong>di</strong> sul letto. E<br />
ficcanu e controficcanu con la massima serenità mentale. Senza sceneggiate alcune.<br />
Riaccompagnandole a casa Nicola le invitò a fare la pasquetta a Pantalica.<br />
> <strong>di</strong>sse Ninetta.<br />
> rispose Nicola.<br />
> rispose Tonina.<br />
> <strong>di</strong>sse Nicola.<br />
> <strong>di</strong>ssero in<br />
coro le sorelle.<br />
><br />
> <strong>di</strong>ssero le sorelle.<br />
Mamma Filomena e la zia Ciccina taliavano dalla finestra. Videro le caruse scendere<br />
dalla macchinona dell’ingegnere e fecero un sospiro sod<strong>di</strong>sfatto. Una da suocera,<br />
l’altra da zia <strong>di</strong> professionista.<br />
> chiese la zia.<br />
> rispose la mamma.<br />
><br />
> rispose sconsolata la mamma.<br />
><br />
><br />
> chiese la zia con la faccia amminchiolita.<br />
> rispose la mamma sempre con l’espressione consolata.<br />
><br />
> <strong>di</strong>sse Ciccina.<br />
><br />
><br />
> <strong>di</strong>sse la vedova<br />
Minabrigghiu.<br />
> <strong>di</strong>sse Ciccina.<br />
> raccontò<br />
sconsolatissima la vedova Minabrigghiu.
<strong>di</strong>sse Ciccina Minabrigghiu.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
> <strong>di</strong>sse la vedova.<br />
><br />
> ri<strong>di</strong>sse la vedova.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
<strong>di</strong>sse la sorella.<br />
><br />
><br />
> <strong>di</strong>sse la vedova Minabrigghiu.<br />
><br />
> <strong>di</strong>sse la vedova.<br />
><br />
><br />
<br />
><br />
><br />
E si misero a piangere. Il defunto congiunto. E la buonanima dell’aceddu morto. Poi<br />
si ittanu nel letto e ancumincianu a fare tocca tocca. Ad un certo punto la vedova<br />
Minabrigghiu si susiu e tirau fora l’aceddu bifronte. Quello che seguì fu affar loro.<br />
Tonina e Ninetta acchiananu in casa e si aspettavano un cazziatuni. Invece non<br />
successe niente. Nella loro camera si catafuttenu sul letto e si addormentarono l’una<br />
nelle braccia dell’altra. Pensando alla minchia dell’ingegnere Nicola Cannolo.<br />
Pompeo quella notte <strong>di</strong>ede sfogo alla sua vena poetica componendo, sull’argomento<br />
“marinai” , un bel sonetto codato.
A Peppa , li marinai nei carzoni<br />
cianno du patte, tu 'o sai perché?<br />
No, nun lo sai. Mo' te lo spiego io cos'è:<br />
e ch'hanno du cazzi e quattro cojoni.<br />
Gesùmmaria che dorci sensazioni:<br />
varda che cosa mi è capitato a me.<br />
O marinaio <strong>di</strong>ce " viè, viè cumm'e,<br />
che te ne darò le <strong>di</strong>mostrazioni".<br />
Così semo iti in un ber casolare;<br />
lì , lui tira fora er primo gemello,<br />
già sull'attenti, pronto p'inciciare.<br />
Io vedenno quer grosso manganello<br />
me sentii tutta ma tutta sudare<br />
che già pregustavo quer coso bello.<br />
Io già er su' giucarello<br />
che pareva er bilisco de san Pietro<br />
mo' sognavo sia avanti che de retro.<br />
Io me sentii de vetro<br />
quanno, zum zum, lui varcò er mio portone<br />
mentr'io me scuajavo dall'emozione.<br />
Mbè, tante bell'e bone<br />
cose cor primo cazzo seppe fare,<br />
'gni tipo 'e bucio voleva otturare,<br />
ognissempre a chiavare.<br />
Dopo ecchilo tirà fora er siconno<br />
ch'era un cazzetto ciuco, corto e tonno,<br />
ch'io <strong>di</strong>ssi " Porco monno,<br />
ch'è sto cicetto tutto spaventato<br />
ch'accarezzallo n'se manco arrapato".<br />
Dice " Mbè, <strong>di</strong>osagrato,<br />
devi capillo, è geloso, è arrabbiato,<br />
voleva esse' er primo e s'è incazzato."<br />
Non s'inchinava a nessuna autorità e non accettava nessun<br />
principio senza esame.<br />
I.S. Turgenev<br />
Quando si hanno vent’anni si crede <strong>di</strong> aver risolto il mistero del<br />
mondo, a trenta ci si comincia a pensar su, a quaranta si scopre<br />
che è insolubile.<br />
A. Strindberg
NOVE : FRATE BARTOLOMEO<br />
Le vostre donne sono un campo per voi:<br />
andate quin<strong>di</strong> al vostro campo come meglio vi piacerà.<br />
Corano<br />
La ciolla al vento è segno <strong>di</strong> libertà..<br />
La pasquetta venne fuori che era quasi estate. L’ideale per tutti quelli che avevano<br />
programmato una scampagnata a Pantalica. Gli hippy erano già sul posto e alle <strong>di</strong>eci<br />
erano già tutti belli e stinnicchiati al sole. Poco dopo arrivarono Gerlando Pirlabon e<br />
Minico Mezzocannone. Vestiti sportivi non parevano manco carabinieri. Ianka e<br />
Tirka, nu<strong>di</strong> come al solito, li accolsero con gioia.<br />
> <strong>di</strong>ssero.<br />
> <strong>di</strong>sse Minico.<br />
> <strong>di</strong>sse il Pirlabon<br />
> propose Tirka. ><br />
> <strong>di</strong>sse il novello Niko.<br />
> aggiunse il novello Gerka.<br />
><br />
><br />
> <strong>di</strong>sse Ianka.<br />
> chiese Niko.<br />
> si propose Tirka. E li accompagnò nella sua tenda. Ed entrò con<br />
loro.<br />
> <strong>di</strong>sse ai ragazzi. E attese. Ma i due non si spogliavano.<br />
><br />
Alla fine Niko e Gerka si decisero. Girando le natiche a Tirka si tolsero tutto, tranne<br />
il costume . Si vergognavano perché erano eccitati.<br />
> <strong>di</strong>sse la ragazza.<br />
I due tentennavano. Stavano <strong>di</strong> culo e non si giravano.<br />
> <strong>di</strong>ssero.<br />
Tirka appena i due si girarono scoppiò a ridere.<br />
> <strong>di</strong>sse.<br />
Si alzò e toccò loro il pacco. Niko e Gerka restarono immobili, come due statue, uno<br />
accanto all’altro. Tirka abbassò loro il costume e li prese per la minchia. Li mise<br />
aceddu contro aceddu e attaccau a sucari le due minchie contemporaneamente. I<br />
ragazzi, immobili, vennero in un amen. Poi lei ci scippò i costumi e nu<strong>di</strong> se li portò<br />
in riva al fiume. Niko e Gerka, a vedere tutto quel pacchio esposto, che pareva <strong>di</strong><br />
essere al mercato dello sticchio, si stavano <strong>di</strong> nuovo eccitando. Pertanto si misero a
pancia in giù. Tirka rise. Ma li lasciò stare. Loro parlavano e taliavano: pacchio a<br />
destra e pacchio sinistra, pacchio davanti e pacchio darreri. E tante ciolle<br />
in<strong>di</strong>fferenti, non perché insensibili ma perché abituate al nu<strong>di</strong>smo.<br />
In un posticino tranquillo, prossimo al campo degli hippy, l’ingegnere Nicola, Tonina<br />
e Ninetta si erano sdraiati al sole. In costume intero loro, col microcostume lui. A<br />
mezzogiorno in punto fecero il bagno. Giocarono come bambini. Lu si tolse il<br />
costume e senza farsi vedere pigliò le sorelle per le mani. E <strong>di</strong>ede loro il regalino già<br />
bello tiso.<br />
> fecero quelle. Che per onorare il loro cognome fecero a Nicola una<br />
sega acquatica perfetta.<br />
Proprio intanto che l’ingegnere pisciava la sua simenta nel fiume, passarono i C.C.<br />
Pirlabon e Mezzocazzone che venivano tirati per l’uccello da un pezzo <strong>di</strong> sticchio da<br />
novanta.<br />
> <strong>di</strong>ssero i C.C. rivolgendosi a Nicola e alle sue<br />
accompagnatrici.<br />
> rispose Nicola.<br />
> <strong>di</strong>ssero Ninetta e Tonina.<br />
> <strong>di</strong>sse l’ingegnere. ><br />
> <strong>di</strong>ssero le caruse ridendo.<br />
><br />
> spararono le ragazze.<br />
> <strong>di</strong>sse Nicola Cannolo.<br />
><br />
Nicola le abbracciò e le convinse a levarsi il costume. Loro accettarono.<br />
Erano le un<strong>di</strong>ci quannu arrivanu Ben, Iatata, Pompeo, Checco e altri amici. Si<br />
piazzarono poco <strong>di</strong>stanti dagli hippy. Si misero in costume e corsero subito in acqua.<br />
E si sciaquariarono assai assai. E fecero anche un gioco. Il cambio dei costumi. Tra<br />
mascoli e femmine. Nell’acqua le trasparenze erano eccitanti e alla fine se ne videro<br />
<strong>di</strong> tutti i colori. Era un gioco che portava i carusi a taliare li minni e il resto delle<br />
caruse. Mentre le ragazze puntavano a certi particolari e poi facevano calcoli <strong>di</strong><br />
cazzometria pura e applicata.<br />
Alle do<strong>di</strong>ci arrivarono Marietta, Maruzza, Mimì e Memè. E si unirono al gruppo.<br />
Adesso il gioco era <strong>di</strong>verso. I ragazzi bendati dovevano riconoscere le ragazze<br />
toccando loro il seno. Ben riconobbe la robba sua, cioè Iatata. Ma riconobbe anche<br />
Marietta e Maruzza. I bucchirisi riconobbero sia Maruzza che Marietta.<br />
Toccò poi alle ragazze riconoscere i carusi. Si doveva decidere da cosa. Il petto non<br />
andava bene. Ci stava il culo. Ma alla fine, osando, decisero per il marrugghio. Ben<br />
fu riconosciuto dalla zita, ma anche da Marietta e Maruzza. Pompeo da Iatata e dalle<br />
caruse pregne.
Era l’una quando si ricomposero per mangiare panini , coca e birra. E per farsi un po’<br />
<strong>di</strong> fumo.<br />
In un posticino tranquillo c’erano il famoso artista Nikj Sciò, sua moglie Meg e il<br />
loro figlio Alex con la zita , una certa Tuta <strong>di</strong> Roma. Con loro Nitta Santonocito, che<br />
era simenta <strong>di</strong> casa Incardasciò, e il suo compagno Vic Wilde. Tutti nu<strong>di</strong> anche loro.<br />
Aspettavano altri parenti. E infatti arrivò il sindaco Tonino Incardasciò con la bella<br />
moglie Eusebia Ferretti e il piccolo Pascal <strong>di</strong> appena quattro anni. Eusebia si tolse il<br />
costume, Tonino no . Il piccolo Pascal faceva leva e metti. Levava per fare come la<br />
mamma, metteva per essere come il padre. Tonino, col costume , si sentì troppo<br />
imbarazzato, quasi fuori luogo. E all’improvviso, nessuno ci credeva, se lo tolse.<br />
><br />
iniziarono a gridare gli altri del gruppo.<br />
> gridò il piccolo Pascal<br />
buttando all’aria il costumino.<br />
La minchia <strong>di</strong> Tonino era irrequieta e Nikj scherzò:<br />
><br />
Pascal era nell’età del perché. Quando chiese improvvisamente al padre perché i<br />
maschi avevano pipì <strong>di</strong> grandezza <strong>di</strong>versa. Colto <strong>di</strong> sorpresa il papà non rispose.<br />
Intervenne la mamma.<br />
><br />
> chiese Pascal.<br />
> <strong>di</strong>sse papà.<br />
><br />
> intervenne il<br />
papà ><br />
> rispose il bambino.<br />
Tutti scoppiarono a ridere. Poi Pascal iniziò a fare un giro per vedere chi dei maschi<br />
aveva il pipi più grande e chi l’aveva il più piccolo. Quando si stancò, perché <strong>di</strong> pipì<br />
ci ni staunu assai, torno da papà Tonino e ci comunicò i risaltati della sua personale<br />
classifica dei pipì visti in zona.<br />
><br />
Papà Tonino capì. L’ingegnere Nicola Cannolo era famoso per la sua scicchitu<strong>di</strong>ni.<br />
> <strong>di</strong>sse al padre.<br />
E si mise a stu<strong>di</strong>are cula <strong>di</strong> femmine, minne e triangoli <strong>di</strong> pilo che stavano sopra la<br />
piscialera. E capì che la cosa ci dava più piacere. Il pipì suo <strong>di</strong>ventava duro. Ma<br />
restava piccolo.<br />
Allora arrivarono Vanni Santonocito con la bella moglie Immacolata Cicoriazza. I<br />
due si smutandarono in un amen. Erano belli sia lui che lei. Immacolata era una
Venere Callipigia ( l’aveva detto Nikj e pare che volesse <strong>di</strong>re che tinia un culo<br />
bellissimo ) e lui un Ercole con tanto <strong>di</strong> mazza e <strong>di</strong> ercoloni ( anche questo l’aveva<br />
detto Nikj e pare che avesse aggiunto “ beato chi si gode quella mazza” ).<br />
Pascal corse dal papà.<br />
><br />
Alex fu turbato dalla vista della cugina Immacolata. Il suo pipì iniziò a dare segni <strong>di</strong><br />
nervosismo. Faceva piccoli scatti e gonfiava nu tanticchia. Pascal penso che Alex era<br />
“nervoso <strong>di</strong> minchia”. Alex da parte sua andò in acqua con Tuta. Poi si fece una<br />
passeggiata con la ragazza. Pascal ci andò appresso. Tanto per vedere, per curiosare.<br />
E vide Tuta che maniava il pipì tiso e duro <strong>di</strong> Alex.<br />
> <strong>di</strong>ceva Alex.<br />
Lei si abbassò e attaccau a leccare come se il pipì fosse un gelato. Poi si l’ammuccò<br />
come se fosse un cannolo. E Pascal tutto contento, e col pipì duro in mano, corse<br />
verso i due gridando:<br />
><br />
Tuta e Alex si guardarono e si capirono. E Tuta iniziò a giocare col pipì <strong>di</strong> Pascal. E<br />
ci lu vasau magari. Poi gli <strong>di</strong>sse:<br />
><br />
Pascal giurò contento <strong>di</strong> avere un segreto, <strong>di</strong> aver fatto una cosa che si fa ma non si<br />
<strong>di</strong>ce.<br />
Sullo sperone roccioso <strong>di</strong> Pantalica padre Bernar<strong>di</strong>no Cacaceddu e padre Bartolomeo<br />
Ciollardente si erano assittati su un masso e taliavano in basso. Con tanto <strong>di</strong> binocolo<br />
tedesco <strong>di</strong> ultima generazione. Padre Cacaceddu cercava mascoli, padre Ciollardente<br />
femmine. E taliavano. E tra una taliata e l’autra si ienu sucaunu na bottiglia <strong>di</strong> vino<br />
rosso <strong>di</strong> Pachino.<br />
Poco <strong>di</strong>stante c’era l’eremo dove si era spontaneamente rinchiuso padre Augustin. Il<br />
mitico confessore delle Orsoline, amico assai assai <strong>di</strong> suor Carmelina , la famosa<br />
santa botanica.<br />
Non molto <strong>di</strong>stante dai ragazzi e dagli hippy si trovavano Micio Tempio, Giorgio<br />
Baffo e dei loro amici, alcuni dei quali frustieri venuti in vacanza in Sicilia . Tra cui<br />
una cara amica <strong>di</strong> Micio, Kosetta Fikaminkianova ,una russa esponente della “ Body<br />
art”. Il gruppo faceva <strong>di</strong>scorsi colti e li inframmezzava con battute al vetriolo su tutto<br />
l’urbe e l’orbe pure. Comunque erano in costume.<br />
Micio era incazzato con padre Ciollardente e me<strong>di</strong>tava vendetta. Kosetta, che doveva<br />
passare due mesi <strong>di</strong> tempo in Sicilia, ebbe un’idea e ne parlò a lungo a Micio. Soli<br />
soletti passeggiarono e <strong>di</strong>scussero. E Micio quell’idea l’ampliò.<br />
> <strong>di</strong>sse lo scrittore.<br />
> <strong>di</strong>sse Kosetta.<br />
> <strong>di</strong>sse Micio.<br />
> rispose lei.<br />
> rispose lui.
E per festeggiare corsero in acqua… dopo aver lasciato i costumi sulla sabbia. E<br />
nell’acqua, in un posto isolato, scoparono. Ritornarono nel gruppo nu<strong>di</strong> e col costume<br />
il mano. Gli altri li imitarono passando dal costumismo al nu<strong>di</strong>smo.<br />
Non molto <strong>di</strong>stante da loro c’erano un gruppo <strong>di</strong> tedeschi che facevano nu<strong>di</strong>smo.<br />
Famiglie intere con piccirid<strong>di</strong> al seguito . Era quello un esempio felice <strong>di</strong> para<strong>di</strong>so<br />
terrestre.<br />
Piu in là ancora c’era il famoso critico Calogero Bellarmino - Gugliotta che con<br />
alcuni amici faceva il nu<strong>di</strong>sta pure lui. Con lui anche la sorelle Bona. Il critico<br />
parlava <strong>di</strong> tutto. Soprattutto <strong>di</strong> sesso. Il sesso nell’arte e nella vita. Perché per lui tutto<br />
firriava intorno al cunnus e alla mentula.<br />
Ninetta e Tonina, dopo essersi tolte il costume, restarono nude nude e per proteggersi<br />
da sguar<strong>di</strong> libi<strong>di</strong>nosi in<strong>di</strong>screti si abbracciarono strette strette all’ingegnere. Che<br />
sentiva quattro capiccia contro il suo torace villoso. Mentre le ragazze sentivano<br />
tornare a nuova vita il cannolo dell’ingegnere Cannolo. Proprio allora passarono<br />
Calogero Bellarmino - Gugliotta e altri.<br />
> <strong>di</strong>sse l’ingegnere.<br />
> rispose l’onorevole.<br />
Le caruse si strinsero ancora <strong>di</strong> più. Per non farsi vedere in faccia . Per non farsi<br />
vedere li minni. Si vedeva solo mezzo culo. Che emergeva dall’acqua.<br />
Poi uscirono dal fiume, in un momento che non passava nessuno, e si <strong>di</strong>stesero al<br />
sole. Di culo, a pancia in giù. Nicola invece si sdraiò in mezzo a loro, a pancia in su<br />
e a cosce larghe. Come per esporre alla vista <strong>di</strong> tutti il suo cannolo. Taliava con un<br />
occhio il culo <strong>di</strong> Ninetta e con l’altro il culo <strong>di</strong> Tonina. E anche la gente che passava<br />
dava una sbirciata.<br />
> pensavano i conoscenti ><br />
Dopo la mangiata gli hippy si passarono qualche canna. Fumarono anche Niko e<br />
Gerka a cui , chissà perché, l’uccello stava sempre in pie<strong>di</strong>. Dopo un po’ Tirka se li<br />
portò a fare una passeggiata. Arrivati in un posto isolato la “figlia della Kanapa”<br />
Tirka si <strong>di</strong>ede da fare per far godere e stragodere i C.C. E ci riuscì. Tanto che alla fine<br />
li ricevette alternativamente, uno nella sala davanti e uno nella sala <strong>di</strong> <strong>di</strong>etro.<br />
Questa scena fu taliata dall’inizio alla fine da padre Ciollardente e da padre<br />
Cacaceddu. Che continuavano a bere vino. Erano già nu tanticchia ubriachi, ma<br />
soprattutto erano eccitati. In preda ai loro <strong>di</strong>versi desideri sessuali. Avevano<br />
comunque riconosciuto i carabinieri Pirlabon e Mezzocazzone.<br />
> <strong>di</strong>sse padre Cacaceddu ammirando la pirla tisa del veneto.<br />
> <strong>di</strong>sse Ciollardente.
aggiunse padre Cacaceddu usando il soprannome<br />
con cui era noto il C.C. siciliano.<br />
><br />
> <strong>di</strong>sse Cacaceddu che stava<br />
taliando il marrugghio tiso del carabiniere.<br />
><br />
><br />
Intanto bevevano e ognuno taliava le cose a cui era interessato. Padre Cacaceddu<br />
cazzi e cula <strong>di</strong> mascoli, padre Ciollardente cula, pacchi e minni <strong>di</strong> fimmina. Ma poi<br />
furono piacevolmente costretti, tra na sucata <strong>di</strong> vino e n’autra , a talari la performance<br />
sessuale dei tre. E i parrini si eccitanu assai assai. Padre Ciollardente avrebbe voluto<br />
essere al posto dei carabinieri, padre Cacaceddu al posto della buttana nu<strong>di</strong>sta figlia<br />
<strong>di</strong> chid<strong>di</strong> buttani ciuri. Ma in mancanza <strong>di</strong> altro si la minano tra <strong>di</strong> loro. Sotto le<br />
tonache.<br />
Quando ripresero in mano il binocolo si imbatterono in Nicola Cannolo, Ninetta e<br />
Tonina Minabrigghiu che stavano in acqua. Le signorine Minabrigghiu ci la stavano<br />
minando all’ingegnere .<br />
> <strong>di</strong>sse padre Cacaceddu.<br />
> chiese il Ciollardente.<br />
> E tirò fuori dallo zaino un<br />
cannocchiale piccolo ma sofisticato.<br />
> <strong>di</strong>sse padre Bartolomeo Ciollardente.<br />
> rispose serio padre Cacaceddu.<br />
> replicò padre Ciollardente. Padre<br />
Cacaceddu rise e si mise al lavoro col cannocchiale.<br />
> <strong>di</strong>sse sod<strong>di</strong>sfatto.<br />
> chiese padre Ciollardente.<br />
><br />
> chiese l’autru parrino.<br />
><br />
><br />
><br />
Intanto l’uno teneva in mano la ciolla dell’altro. Sempre sotto la tonaca.<br />
Nel primo pomeriggio i ragazzi si spinellarono un po’. Poi presero a giocare al “ Vasa<br />
Vasa”. Una variante del “Tuca Tuca”. Al posto delle mani si usava la bocca per<br />
toccare il corpo del partner.. che poteva essere dello stesso sesso o del sesso opposto.<br />
Le coppie venivano sorteggiate. Ed era bello sedersi a cerchio e taliare il<br />
comportamento dei ballerini. Le zone da vasare erano la fronte, le labbra, i capezzoli
e l’area genitale. Le ragazze baciavano tutto alle compagne, ai mascoli baciavano<br />
tutto tranne l’area genitale. Anzi, si mantenevano lontane con le labbra. Non si<br />
sapeva mai. Qualche minchia particolarmente irrequieta poteva sbucare fuori e fare la<br />
sorpresa. Meglio mantenere le labbra alla <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> sicurezza, venticinque<br />
centimetri. I ragazzi, più sfrontati, vasavano con grande piacere i capezzoli e l’area<br />
genitale delle ragazze. Si imbarazzavano a vasare le labbra e l’area genitale degli<br />
altri mascoli. A parte Pompeo e Checco che vasavano tutto. Anche le probosci<strong>di</strong> che<br />
stavano incarcerate sotto i costumi. E quando il caso li accoppiò nel gioco del “Vasa<br />
vasa” il loro fu uno spettacolo. Si annacarano come buttane patentate e i marrugghi<br />
eretti ballavano dentro il microcostume bianco. I baci sulle labbra e sui capezzoli<br />
erano con lo scroscio. E quelli sull’area genitali col doppio scroscio. A un certo punto<br />
a Checco la punta dell’uccello ci sciu <strong>di</strong> fora. Tutti taliavano quella coppola che<br />
pareva <strong>di</strong>re “ Ciao .. ciao..” , ma lui non ci faceva caso o forse non se n’era manco<br />
accorto. Solo che Pompeo , quando fu il momento, ci desi il bacio non sul costume,<br />
ma <strong>di</strong>rettamente sulla coppola. Tutti risero, ma Checco non ci fece manco caso.<br />
Anzi, ci lu tirau fora al cugino e ci ricambiò il bacio sulla coppola. Altre risa ; ma lui<br />
oramai era partito. E si fece il girò del cerchio vasando la coppola a tutti i maschi e le<br />
minne a tutte le femmine. Sempre con la sua coppola dello zio Vincenzo <strong>di</strong> fuori.<br />
> chiamò proprio allora qualcuno da lontano, dalle parte<br />
degli hippy.<br />
E s’avvicinò un gruppo <strong>di</strong> ragazzi nu<strong>di</strong>. Erano romani de Roma, amici <strong>di</strong> Checco.<br />
Tali Patrizia , Clau<strong>di</strong>o , Adriano e Massimo. Ma si presentarono come Paki , Kal ,<br />
Akri e Mak. Per un po’ parlarono. Poi gli hippy <strong>di</strong>ssero <strong>di</strong> aver visto uno con una<br />
minchia scicchigna pazzesca.<br />
> <strong>di</strong>sse Paki.<br />
> aggiunse Mak.<br />
> chiese Pompeo.<br />
><br />
rispose Mak.<br />
> <strong>di</strong>sse Pompeo che si<br />
ricordava <strong>di</strong> avergli suonato una sinfonia intera nel suo culetto bello.<br />
> chiese Checco.<br />
><br />
Ci furono poi presentazioni a iosa e quin<strong>di</strong> decisero tutti <strong>di</strong> spostarsi dalla parte degli<br />
hippy. Su invito <strong>di</strong> Paki & company. Ma <strong>prima</strong> furono convinti a lasciare i costumi.<br />
Quasi tutti lo fecero. Ma intanto che si spostavano Checco chiese a Paki:<br />
><br />
> E in<strong>di</strong>cò un uomo sdraiato con allato due culi a cui mancava solo al parola.<br />
> <strong>di</strong>sse Checco.<br />
> <strong>di</strong>sse Pompeo. ><br />
> <strong>di</strong>sse Ben.<br />
> <strong>di</strong>sse il romano Kal.
Allora i ragazzi decisero <strong>di</strong> fare una sorpresa al loro professore. Si avvicinarono<br />
piano piano e quando furono a pochi metri gridarono.<br />
><br />
Nicola risautò. Era con gli occhi chiusi e sognava fiche gemelle o sorelle<br />
> <strong>di</strong>sse imperturbabile Nicola coprendosi, come per caso,<br />
l’aceddu con le mani.<br />
> <strong>di</strong>ssero i ragazzi.<br />
> risposero quelle girando solo la testa e taliando quella marea <strong>di</strong><br />
cazzi giovani che pinnuliava tranquilla.<br />
Nicola aveva insegnato al geometra, come docente supplente, per tre mesi. E parte <strong>di</strong><br />
quei ragazzi li conosceva bene. Ma conosceva anche tanti della ragioneria e del liceo.<br />
<strong>Monacazzo</strong>, in fondo in fondo, era piccola. Prima <strong>di</strong> andare via Nicola ,Tonina e<br />
Ninetta furono invitati a raggiungere gli hippy.<br />
> <strong>di</strong>sse Nicola.<br />
> <strong>di</strong>ssero le due sorelle.<br />
Tutti scoppiarono a ridere., il verbo “venire” declinato con innocenza era poi stata<br />
interpretato da tutti con malizia.<br />
La comunità dei figli della Kanapa era in allegria, in totale euforia. Le canne<br />
continuarono a firriari. Forse firriò anche qualche altra cosa. Arrivò Nicola col suo<br />
batacchio e le sue due gnocche. Fumanu anche loro. Nell’euforia generale finenu tutti<br />
in acqua. Anche gli studenti che erano rimasti col costume a un certo punto se lo<br />
tolsero . Poi si formarono tante coppiette. Ma anche triangoli , quadrilateri e<br />
pentagoni. La formazione più complessa fu un esagono. Ben e Iatata fecero una<br />
coppia. I C.C. e Tirka un triangolo. Un altro triangolo lo formarono Nicola , Tonina e<br />
Ninetta. Maruzza, Marietta, Memè e Mimì fecero un quadrilatero. Parecchi furono i<br />
pentagoni. Ma solo uno l’esagono: Pompeo, Checco, Paki, Kal, Akri e Mak. Patrizia<br />
li accontentò tutti e cinque contemporaneamente e a rotazione. Due con le mani, uno<br />
con la bocca, uno con la fregna e l’altro col culo. Furono cazzicatummuli sessuali a<br />
trecentosessanta gra<strong>di</strong>.<br />
I parrini continuavano a taliare. Sotto l’effetto del vino s’erano spogliati <strong>di</strong> tutto. E<br />
taliavano. C’era solo l’imbarazzo della scelta in quella valle piena <strong>di</strong> pacchio e <strong>di</strong><br />
cazzo. Una valle del piacere e del peccato era. Novella Sodoma e Gomorra. Pertanto<br />
si eccitanu troppo . E a causa dell’effetto del vino iniziarono a spogliarsi. E taliannu<br />
taliannu si la riminaunu. Poi, visto che uno amava pigliare l’aceddu dei mascoli e<br />
l’altro darlo alle femmine in tutti li purtusa <strong>di</strong>sponibili, visto e considerato che le<br />
con<strong>di</strong>zioni generali erano quelle che erano, la ciollardente <strong>di</strong> padre Bartolomeo finì<br />
dentro il bucio del culu <strong>di</strong> padre Cacaceddu.<br />
A cose finiti, sod<strong>di</strong>sfatti e nu<strong>di</strong> com’erano, decisero <strong>di</strong> scendere a valle per iniziare<br />
una attività <strong>di</strong> missione contro gli atti impuri.
Per <strong>di</strong>sgrazia, verso le cinque del pomeriggio, si trovarono a passare dalla valle <strong>di</strong><br />
Pantalica, Santuzzo Minchianova e Santinedda Ficasana. Due fidanzatini vecchio<br />
stampo. Volevano fare una passeggiata nella valle incantata, respirare un po’ d’aria<br />
pura, raccogliere qualche fiorellino e farsi al massimo una stricata.<br />
Perché oltre quello non andavano l’impiegato della mutua Santuzzo Minchianova,<br />
detto “ Minchiaimpacchettata”, e la maestrina dell’asilo Santinedda Ficasana ,detta<br />
“Sticchioincassaforte” . Avevano promesso a sé stessi e a Dio <strong>di</strong> non consumare<br />
<strong>prima</strong> del santo matrimonio, che tra l’altro era previsto per il prossimo <strong>di</strong>cembre. Si<br />
toccavano con le mani ma non si scoperchiavano. Oramai erano pratici nell’arte <strong>di</strong><br />
infilare le mani nel posto giusto, per arrivare dove volevano. Il “tocca tocca” era la<br />
loro solo sessualità. Eppure avevano trent’anni lui e ventinove lei. Ma erano entrambi<br />
vergini.<br />
Adesso erano a Pantalica e avevano visto tanta gente nuda in giro, ma non ci avevano<br />
fatto caso. Anche se soltanto con la coda dell’occhio, lei taliava li bed<strong>di</strong> cazzi e lui li<br />
bed<strong>di</strong> sticchia. Ma tanto per curiosità.<br />
> <strong>di</strong>ssero all’unisono. Ma<br />
continuavano a sbirciare.<br />
Videro i tedeschi tutti bion<strong>di</strong> e belli e si schifano ancora <strong>di</strong> più.<br />
> <strong>di</strong>ssero in simultanea.<br />
Ma lei taliava, sempre con la coda del suo santo e innocente occhio, quello che<br />
meglio si prestava al caso, quei cazzi bianchi che giacevano felici sul pelame biondo;<br />
e anche se in fase <strong>di</strong> ammosciamento gli parevano chiù gran<strong>di</strong> <strong>di</strong> quello <strong>di</strong> Santuzzo<br />
che conosceva solo <strong>di</strong> mano. Santuzzo invece taliava quelle fiche bionde che<br />
luccicavano sotto i raggi del sole siciliano. Videro Micio Tempio e i suoi amici , tutti<br />
nu<strong>di</strong> come vermi.<br />
> <strong>di</strong>sse Santuzzo.<br />
> replicò Santinedda.<br />
><br />
><br />
><br />
Ma lei taliava quelle minchie scicchigne, lui quei pacchi da copertina. Lei stava<br />
pensando che forse era arrivato il momento <strong>di</strong> vedere la cosa dello zito, anche per<br />
fare un confronto con tutti quei volatili maschili che c’erano da quelle parti. Per<br />
sapere se il suo zito era nella norma o al <strong>di</strong> sotto della norma. Sopra non c’era<br />
sicuramente. Lui invece si sentiva attratto da tutto quel pacchio esposto. Solo potendo<br />
sarebbe corso tra le cosce <strong>di</strong> qualche pacchio per sperimentare il suo volatile. Tanto<br />
per farsi un’idea: che significava stare dentro una femmina, dentro un pacchio <strong>di</strong><br />
femmina. E non essere più chiamato “ Minchiaimpacchettata. “<br />
Finalmente si stavano appartando. Ma per <strong>di</strong>sgrazia ienu a sbattere contro una coppia<br />
in amore: Ben e Iatata. Lui era a terra e lei cavalcava. Accennarono un saluto. Ma<br />
quelli non li videro neanche.<br />
> <strong>di</strong>sse lei tutta rossa.<br />
> aggiunse lui altrettanto rosso.<br />
> <strong>di</strong>sse Santinedda.
<strong>di</strong>sse lui.<br />
> chiese lei.<br />
><br />
> riaddumannò lei.<br />
> sparò Santuzzu a cui la vista aveva<br />
addumatu l’acidduzzu.<br />
> <strong>di</strong>sse lei cercando <strong>di</strong> intravedere il pipì<br />
fare trasi e nesci.<br />
> concluse lui.<br />
> <strong>di</strong>sse lei.<br />
Cambiarono strada alla ricerca <strong>di</strong> un nuovo posto, ma andarono a sbattere contro un<br />
trio: due uomini cuccati allato a una femmina che gliela minava a tutti e due. Lui<br />
riconobbe subito i C.C. Pirlabon e Mezzocazzone. Lei taliò altrove. Taliò<br />
<strong>di</strong>rettamente l’aced<strong>di</strong>.<br />
> sparò Santinedda.<br />
> chiese lui.<br />
><br />
><br />
> <strong>di</strong>sse rossa come un pomodoro.<br />
><br />
><br />
> addumannò Santuzzo.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Cambiarono strada ma trovarono un altro trio. Nicola sdraiato con Ninetta impalata<br />
sulla minciazza del professionista e Tonina impalata sulla sua linguazza <strong>di</strong> esperto<br />
alliccatore.<br />
Cambiarono ancora strada ma trovarono un quartetto . Anzi un quadrato. Un mascolo<br />
ci la alliccava una femmina che ci la sucava a n’autro mascolo che a sua volta<br />
alliccava n’autra femmina che da parte sua ci la sucava al primo mascolo.<br />
> <strong>di</strong>sse Santuzzu.<br />
><br />
><br />
> <strong>di</strong>sse Santinedda..><br />
> <strong>di</strong>sse lui.<br />
> aggiunse Santuzzo.<br />
> chiese lei.
<strong>di</strong>sse lui.<br />
> <strong>di</strong>sse Santinedda.<br />
><br />
><br />
Idda poi si fici tri voti la cruci, ma lui iniziò a pensare che forse stava sbagliando a<br />
non ingignari l’aceddu. Forse era l’unica minchia impacchettata del paese. E<br />
Santinedda l’unica vergine della sua età. Cambiarono strada ancora una volta e<br />
s’imbatterono in una scena spaventosa. Una femmina che dava adenzia a tanti<br />
mascoli. Lui riconobbe Pompeo, il romano de Roma. Lei non riconobbe nessuno. Lei<br />
taliava solo l’aced<strong>di</strong> dei mascoli che ci parsero monumentali. Soprattutto taliava<br />
quello che entrava ed usciva dalla bocca della femmina e i due che facevano avanti e<br />
annareri nella mani della stessa.<br />
> <strong>di</strong>sse lui.<br />
> <strong>di</strong>sse lei..<br />
> rispose lui. ><br />
> <strong>di</strong>sse lei.<br />
><br />
><br />
> <strong>di</strong>sse lui. Che<br />
avrebbe voluto essere uno <strong>di</strong> quei cinque.<br />
Cambiarono ancora strada e finalmente attruvanu un posto tranquillo. Una grotta. Li<br />
incominciano a stricarisi. Santuzzu ci allisciava lo sticchio a Santinedda.<br />
> <strong>di</strong>sse lui.<br />
><br />
> chiese Santuzzu. ><br />
><br />
Santuzzu provò il pititto <strong>di</strong> spogliarsi nudo e <strong>di</strong> correre sul primo pacchio <strong>di</strong>sponibile.<br />
Poi si calmò. E pinsau <strong>di</strong> aspettare la sera per andare all’Arcazzo. Ma all’improvviso<br />
trasiu un ragazzo nudo.<br />
><br />
> <strong>di</strong>ssero Santuzzu e Santinedda che amavano le cose genuine.<br />
E pensarono che Pakistano era la qualità <strong>di</strong> quel tabacco che qualcuno amante delle<br />
cose genuine coltivava. E si la pigghiano la strana sigaretta che pensavano<br />
sicuramente fatta dai genitori <strong>di</strong> qualche caruso. Sulu ca ci avia vinuto un po’ male.<br />
Era <strong>di</strong> forma leggermente conica e non cilindrica.<br />
><br />
> <strong>di</strong>sse Santinedda.<br />
> specificò Santuzzo.
<strong>di</strong>sse Kard e accese loro le strane sigarette.<br />
> <strong>di</strong>sse Kard<br />
andando via e facendo vedere come fumare la canna.<br />
Fumarono e poi ripresero a stricari. Erano stranamente allegri.<br />
> <strong>di</strong>sse Santinedda.<br />
Non si oppose Santuzzo, anzi si calau li pantaloni. L’aceddu era piccolo ma a lei ci<br />
parse enorme. Adesso fu lui che gli tolse li causi e le mutande. E ci taliò la fica che<br />
era bella pelosetta. Ci la vasau e lei lasciò fare. Poi fu lei che ci vasò, e non solo, il<br />
piccolo aceddu tiso. Allora i due persero il controllo <strong>di</strong> sé in modo definitivo. Lei si<br />
buttò per terra, a cosce spalancate, gridando “ dammelo “. E lui, per tutta risposta, ci<br />
si ittau <strong>di</strong> supra, con l’intenzione <strong>di</strong> ficcare la sua minchia nel portaminchia <strong>di</strong> lei.<br />
Ma non riusciva a trovare la <strong>di</strong>rezione giusta. La cappella del suo aceddu non trovava<br />
la porta del portuso da sfondare. Fu lei che lo in<strong>di</strong>rizzò verso il punto giusto. E<br />
finalmente Santuzzo ficcau il marrugghieddu nel posto giusto. Lei fici appena<br />
“Ahi..”. Poi fecero insieme tanti sospiri.. fino alla fine. Quannu il pipì <strong>di</strong> Santuzzo si<br />
pisciau <strong>di</strong>ntra il portapipì <strong>di</strong> Santinedda,<br />
Fu allora che successe il fattaccio. Lui tirò fuori l’aggeggio tutto rosso e si spaventò.<br />
><br />
Lei vide l’uccello insanguinato <strong>di</strong> lui e si spaventò assai assai.<br />
><br />
Poi vide il sangue tra le sue cosce e lo spavento si decuplicò.<br />
><br />
Il panico si impadronì dei due ragazzi che si misero a gridare.<br />
><br />
Arrivarono dei ragazzi. Alcuni erano hippy - e c’era pure Kard- e alcuni erano <strong>di</strong><br />
<strong>Monacazzo</strong>. I ragazzi capirono subito quello che era successo. Li acchiappanu e li<br />
catafuttenu in acqua. Santuzzo e Santinedda ritornarono subito in sé e si misero a<br />
piangere. Furono consolati dai ragazzi e si convinsero che quello che avevano fatto<br />
era una bella cosa.<br />
Proprio allora arrivarono due uomini <strong>di</strong> mezza età, nu<strong>di</strong> e con una bottiglia <strong>di</strong> vino a<br />
testa. I ragazzi <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong> riconobbero subito padre Bernar<strong>di</strong>no e padre<br />
Bartolomeo.<br />
> gridavano i due.<br />
I ragazzi capirono anche in questo caso cosa era successo. Li acchiapparono, quattro<br />
a testa, e li catafuttenu in acqua. Anche loro ritornarono in sé in un amen.<br />
> <strong>di</strong>ssero arriprendendosi la capacità <strong>di</strong> intendere e volere.<br />
><br />
> <strong>di</strong>ssero i ragazzi in coro.
isposero imbarazzatissimi e calandosi in acqua per<br />
proteggere i loro gioielli <strong>di</strong> famiglia da sguar<strong>di</strong> in<strong>di</strong>screti.<br />
> risposero i ragazzi.<br />
> <strong>di</strong>ssero i preti focalizzando la situazione e riconoscendo alcuni dei<br />
presenti..<br />
><br />
> <strong>di</strong>ssero i ragazzi.<br />
> ripeterono i preti . E svennero.<br />
Li portarono all’asciutto e li deposero sul terreno . Ma propino allora comparvero una<br />
marea <strong>di</strong> carabinieri. Qualcuno li aveva chiamati e loro si erano precipitati per<br />
identificare i nu<strong>di</strong>sti. Accussì venne fuori che c’erano tanti carusi <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>.. che<br />
c’erano due carabinieri.. due preti.. uno scrittore.. un ingegnere.. intellettuali <strong>di</strong> fuori.<br />
E che c’era anche un onorevole e altra gente particolarmente importante.<br />
Il giorno dopo l’accusa <strong>di</strong> “ possesso e consumo <strong>di</strong> stupefacenti” fu cancellata per<br />
or<strong>di</strong>ne superiore. E decadde pure quelle <strong>di</strong> “atti osceni in luogo pubblico” . Restò in<br />
pie<strong>di</strong> solo l’accusa <strong>di</strong> “offesa al comune senso del pudore”. Alla fine vene fuori che i<br />
carabinieri Pirlabon e Mezzocazzone erano in missione… segreta… che i due parrini<br />
Cacaceddu e Ciollardente erano in missione… religiosa… che i ragazzi <strong>di</strong><br />
<strong>Monacazzo</strong> erano in missione.. goliar<strong>di</strong>ca.. che i giocherelloni ragazzi della comunità<br />
“ I figli della Kanapa” erano in missione scassaminchia a tempo pieno … che lo<br />
scrittore e i suoi amici era in missione.. culturale... e che l’onorevole Calogero<br />
Bellarmino- Gugliotta era in missione… politica.<br />
Qualcuno <strong>di</strong>sse che forse i carabinieri erano in missione <strong>di</strong>.. esercitazione.<br />
A quanto pare le uniche che avevano sbagliato erano state le cognate Filomena<br />
vedova Minabrigghiu e Ciccina Minabrigghiu. Scassamarruna per vocazione ed<br />
ispirazione, avevano deciso <strong>di</strong> fare una passiata nella parte alta <strong>di</strong> Pantalica. Ma con<br />
tanto <strong>di</strong> binocolo. S’erano imbattute in padre Cacaceddu e Ciollardente che firriavano<br />
nu<strong>di</strong> ed erano scappate dall’altra parte. A <strong>di</strong>re il vero cercavano <strong>di</strong> scoprire cosa<br />
stavano combinando Ninetta e Tonina con l’ingenere Nicola Ciolla. E taliavano.<br />
Avevano visto gente nuda da tutte le parti. Era un carnaio quella valle.<br />
> <strong>di</strong>sse Ciccina.<br />
> si chiese mamma<br />
Filomena vedova Minabrigghiu.<br />
><br />
><br />
><br />
Intanto esploravano la valle e vedevano gente nuda dappertutto. Avevano pure<br />
riconosciuto qualcuno. E gira e rigira acchiapparono <strong>di</strong>steso sulla riva l’ingegnere<br />
Cannolo col cannolo tiso e Ninetta e Tonina <strong>di</strong> culo ma con le mani sulla minchia<br />
dell’ingegnere.
gridò la mamma.<br />
> gridò la zia.<br />
Tornarono alla cinquecento e alla <strong>prima</strong> cabina telefonica chiamarono i carabinieri .<br />
Erano la mamma cornuta e la sorella incestuosa che avevano causato tutto quel<br />
trambusto. Non spaventati da qualche ciolla all’aria aperta. E neanche da tutto quello<br />
sticchio. Non spaventati dal vedere due parrini con la ciolla <strong>di</strong> fuori. Che poi quella <strong>di</strong><br />
padre Ciollardente la conoscevano bene entrambe. Non spaventati dall’aver visto<br />
ragazzi e ragazze che conoscevano bene come ragazzi e ragazze modello, come<br />
appartenenti a ottima famiglia, e che adesso erano tutti con le virivogne <strong>di</strong> fuori.<br />
Quello che le aveva mandato in bestia era stato vedere Ninetta e Nicola con in mano<br />
il cannolo <strong>di</strong> Nicola.<br />
Sulla bella esperienza Pompeo elaborò un bel sonetto de<strong>di</strong>cato a quel paraculo <strong>di</strong><br />
padre Bartolomeo.<br />
Giuro ch'a me oprono tute le porte;<br />
io, 'n'nome de san Pavolo e de san Pietro,<br />
entro sia de davanti che de <strong>di</strong>etro,<br />
a faccia de mariti minchiemorte.<br />
Co le femmine io so già la mia sorte ;<br />
devo cavalcarle com'un puledro<br />
col mio gran cazzo che misura un metro.<br />
Deosgrazie, er mio re entra sempre a la corte.<br />
Sono fra Bartolomeo entra-e-esce,<br />
bene<strong>di</strong>co cor mio ber manganello,<br />
pe' penitenza fo' assaggià er mio pesce.<br />
A le donne in peccato je do più che oro,<br />
perché ste 'ddu ova e sto gran pazzariello<br />
ch'ha un solo occhio, so tutt'er mio tesoro.<br />
Non credere al messia ascetico che t’invita a soffrire oggi per<br />
essere felice tra mille anni.<br />
Slogan anarchico, ca 1890<br />
Non si straccando gli heretici e gl'inimici, non so s'io devo <strong>di</strong>r più<br />
presto de questa Santa Sede o dell'anime proprie, <strong>di</strong> seminar<br />
continuamente le zizanie de i loro errori nel campo della<br />
cristianità con tanti libri perniziosi che alla giornata mandano<br />
fuori <strong>di</strong> novo, è necessario che non sidormi, ma ci affatichiamo <strong>di</strong><br />
estirpargli almeno in quei lochi dove potiamo.<br />
R. Bellarmino
DIECI : ER PAPABILE<br />
Non si può <strong>di</strong>re tanto male della corte Romana che<br />
non meriti che se ne <strong>di</strong>ca <strong>di</strong> più.<br />
F. Guicciar<strong>di</strong>ni<br />
La libertà <strong>di</strong> un paese si misura sui centimetri <strong>di</strong> pelle<br />
che si possono mettere in mostra.<br />
Il martedì a <strong>Monacazzo</strong> si parlava solo e soltanto <strong>di</strong> quello che era successo a<br />
Pantalica. Ognuno parlava <strong>di</strong> fonti atten<strong>di</strong>bili. E ognuno faceva il suo personale<br />
elenco dei mascoli e delle femmine sorprese cu li <strong>di</strong>scursa <strong>di</strong> <strong>di</strong>o all’aria, in<br />
esposizione. E a volte in attività. Si <strong>di</strong>sse che c’erano tutti. O quasi tutti. Ognuno<br />
teneva il suo personale elenco attinto a fonti certe, anzi certissime.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
A questo elenco <strong>di</strong> nomi veri ognuno aggiungeva i suoi personaggi preferiti.<br />
Quella mattina riaprirono le scuole e i ragazzi alle otto in punto entrarono in massa<br />
con zaini stracolmi e borse e sporte varie. Alle otto e cinque l’intero palazzo fu<br />
occupato. Al personale docente e non docente fu impe<strong>di</strong>to l’accesso alla scuola. E<br />
neanche le tre sorelle Stoccacitrolo, le presi<strong>di</strong>, poterono entrare nell’e<strong>di</strong>ficio<br />
scolastico. Il cortile <strong>di</strong>venne il punto d’incontro <strong>di</strong> liceali , ragionieri e geometri.<br />
Ben, Pompeo e Iatata erano tre dei leader dell’occupazione. Si erano inse<strong>di</strong>ati nella<br />
presidenza del geometra. Gli or<strong>di</strong>ni generali erano <strong>di</strong> non fare casini. Niente danni.<br />
Niente scritte sui muri. Né pulite né oscene. Solo la sporcizia legata all’occupazione<br />
era ammessa. Da casa i ragazzi s’erano portati acqua, bevande varie, biscotti, latte,<br />
fornellini elettrici, fette biscottate, pane <strong>di</strong> casa e accattato, salumi, formaggi e tante<br />
altre cose. Soprattutto scatolame vario. Speravano comunque nell’arrivo <strong>di</strong> provviste<br />
dall’esterno, in qualche forma <strong>di</strong> comunicazione col mondo esterno.<br />
Le sorelle Stoccacitrolo, non potendo trasiri, passarono subito dai carabinieri e<br />
comunicarono la cosa.
chiese il maresciallo Mezzocazzone che teneva un fratello<br />
a ragioneria.<br />
> <strong>di</strong>ssero le tre presi<strong>di</strong>.<br />
><br />
> <strong>di</strong>ssero le sorelle<br />
Stoccacitrolo.<br />
> chiese il maresciallo.<br />
><br />
> <strong>di</strong>sse il C.C.<br />
La <strong>prima</strong> notte <strong>di</strong> occupazione tra i tre piani ci fu traffico. Traffico <strong>di</strong> parole, gesti ed<br />
atti. Anche e soprattutto atti sessuali. Per terra era già un porcile . Ma piuttosto che<br />
scopare il pavimento con lo scopone dei bidelli, i ragazzi preferivano scoparsi tra <strong>di</strong><br />
loro. Quella <strong>prima</strong> notte Pompeo, Ben e Iatata si ficcarono , in mutande e maglietta,<br />
dentro lo stesso sacco a pelo. Lei nel mezzo e loro <strong>di</strong> lato. E parlarono, <strong>di</strong>scussero,<br />
filosofarono, sognarono ad occhi aperti. Parlarono molto <strong>di</strong> sesso . Parlarono della<br />
giornata <strong>di</strong> pasquetta. E dei figli della Kanapa. Dello loro liberalità su tutto .<br />
Soprattutto sul sesso. I ragazzi tenevano le braccia incrociate <strong>di</strong>etro la testa e<br />
guardavano il soffitto. Iatata taliava pure lei il soffitto, ma teneva le mani sul petto dei<br />
ragazzi e li accarezzava.<br />
> <strong>di</strong>sse la ragazza. ><br />
> risposero lo zito e l’amico.<br />
Era bello sentire quella mano giocare con le punte tise dei loro capiccia. Poi Iatata<br />
scese al bid<strong>di</strong>co. E col <strong>di</strong>tino mignolo ci lu stimolava.<br />
><strong>di</strong>sse Ben.<br />
> <strong>di</strong>sse Pompeo.<br />
Ma la ragazza continuò. Poi <strong>di</strong> colpo iniziò a scendere verso il sesso. Piano piano la<br />
sue mani s’impadronirono delle cicie dello zito e dell’amico. Iatata toccò la coppola,<br />
giocò con il filetto, accarezzò i coglioni . E intanto gli aggeggetti <strong>di</strong>ventarono<br />
aggeggioni. Ben e Pompeo non <strong>di</strong>cevano niente. Le braccia sempre <strong>di</strong>etro la testa e lo<br />
sguardo rivolto al soffitto. Iatata parlava a ruota libera. E intanto prese a remare con<br />
quei remi <strong>di</strong> carne. Un colpo su e uno giù. Parlava e remava. Un colpo a destra e uno<br />
a sinistra. E loro, i maschietti, mugolavano. E in un tempo relativamente breve,<br />
approdarono alle rive dell’isola del piacere, pisciando le manine delicate della<br />
minatrice. Iatata parlava ancora. E intanto risaliva con le mani incilippiate verso le<br />
facce dei ragazzi. A cui fece alliccare la loro stessa simenta.<br />
><br />
> risposero i ragazzi.<br />
Ben e Pompeo si taliarono. E intanto che lei parlava si misero <strong>di</strong> fianco. E fecero la<br />
stessa cosa che aveva fatto lei, conquistarono una minna testa.
Poi passarono alla pancia e infine, dopo essersi taliati, Pompeo voleva il permesso da<br />
Ben, gli calarono le mutan<strong>di</strong>ne e iniziarono ad esplorare la fica <strong>di</strong> idda. Due labbra<br />
allo zito, due all’amico. E il grilletto a turno. La fecero pisciare dal piacere e i<br />
mugolii <strong>di</strong> lei furono musica per le orecchie dei mascoli e nutrimento per la loro<br />
minchia. Iatata saltò addosso allo zito <strong>di</strong> botto e s’impalò. Ben, lì accanto , taliava il<br />
soffitto e si la minava. Ben e Iatata si taliano negli occhi, tra un sali e scen<strong>di</strong> e<br />
n’autro, e si scambianu mille opinioni. Poi <strong>di</strong>ssero insieme:<br />
><br />
Pompeo capì al volo e ci la mise nel culo a Iatata. Solo dopo si addormentarono. Tutti<br />
<strong>di</strong> fianco. Come un panino imbottito. Iatata nel mezzo sentiva la minchietta molle <strong>di</strong><br />
Pompeo tra le natiche. Ben davanti ci appoggiava la sua cicia tra le cosce.<br />
Il martedì sera Ninetta e Tonina fecero le valigie e si trasferirono a casa<br />
dell’ingegnere Nicola Cannolo.<br />
Il martedì sera l’avvocato Cicidda era chiù incazzato del solito. Suo figlio stava<br />
occupando un e<strong>di</strong>ficio pubblico. In none del comunismo e roba simile. Male<strong>di</strong>sse la<br />
sua simenta e male<strong>di</strong>sse l’Italia intera. Queste porcherie succedevano perché non<br />
c’era più gente con i coglioni quadrati. Gente come la buonanima del duce. Se lui<br />
fosse stato il preside, a calci nel culo li avrebbe sbattuto fuori. A calci nel culo li<br />
avrebbe fatti arrivare in un amen in mezzo alla strada. Ma le sorelle Stoccacitrolo, a<br />
parte che non avevano gli attributi per motivi biologici, e a parte che non li avevano<br />
neanche in senso virtuale, erano solo e soltanto delle stoccacitrolo <strong>di</strong> nome e <strong>di</strong> fatto.<br />
Ai ragazzi potevano stoccare il citrolo ma non la volontà o la schiena. Non<br />
appartenevano a quella razza <strong>di</strong> uomini che sapevano spezzare le reni anche alle<br />
nazioni. E il maresciallo, quel tale Mezzocazzone <strong>di</strong> nome e <strong>di</strong> fatto, poteva,<br />
volendo, decidere lui l’intervento della forza pubblica.<br />
Pure il sindaco poteva decidere in tal senso, ma quello era comunista e stava<br />
sicuramente dalla parte degli occupanti. Magari era capace <strong>di</strong> portare loro una bella<br />
ban<strong>di</strong>era rossa, la bene<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> qualche esponente del partito e il necessario per<br />
organizzare qualche sagra all’interno dell’e<strong>di</strong>ficio scolastico. Magari faceva una<br />
delibera per offrire a quel gruppo <strong>di</strong> s<strong>di</strong>sanorati qualche passatempo serale: musica ,<br />
teatro o altro. Per non farli annoiare. Magari la dentro si scassavano i coglioni.<br />
Il martedì notte le tre sorelle Stoccacitrolo si fecero passare il firticchio sfogandosi<br />
con la minchia del dottor Minchiatrina.<br />
Quella notte Pompeo sognò <strong>di</strong> essere papa. Il papa del movimento studentesco. Papa<br />
urbi et orbi. Papa rosso però. Ma poi sognò anche <strong>di</strong> <strong>di</strong>mettersi poco dopo perché il<br />
papa non poteva farei tanti papetti per guidare e salvare l’umanità. Su quel sogno<br />
scrisse in seguito un bel sonetto titolato “ ER PAPABILE ”<br />
Varda che bella e grossa cojonata,<br />
volevo fa er prete, volevo fare,<br />
ma visto ch'er cazzo nun ponn 'usare,
<strong>di</strong>ssi de no pe' sta legge <strong>di</strong>sgraziata.<br />
Ma i preti lo sonano e che sonata.<br />
E allora li si dovrebbe castrare,<br />
zac, un colpo netto p'anna' a cantare<br />
con le voci bianche " Maria sia lodata".<br />
A sto sarsicciotto ce so' 'ttaccato,<br />
chi l'assaggia <strong>di</strong>ce ch'è de qualità,<br />
che sa mejo assai de nu ber gelato.<br />
Vantamme no, ma s'ero Sua Santità,<br />
me scejevo na papessa che Dio 'o sa,<br />
pe'fa tanti papetti all'umanità.<br />
Tutta la storia finora fu scritta dal punto <strong>di</strong> vista del successo.<br />
F. Nietzsche
UNDICI : ER PRESIDENTE<br />
Potere, la preda che san cogliere<br />
due forze sole: numero e denaro.<br />
Sofocle<br />
Chi <strong>di</strong> minchia ferisce <strong>di</strong> minchia perisce…<br />
Dopo la <strong>prima</strong> notte <strong>di</strong> occupazione Pompeo e Ben si svegliarono con la minchia tisa.<br />
La minchia <strong>di</strong> entrambi era alloggiata tra le cosce della ragazza. E l’aced<strong>di</strong> si<br />
toccavano. I due pigliarono a muoversi e le minchie ha strofinarsi l’una contro<br />
l’altra. E contro le cosce <strong>di</strong> Iatata. Accussì, tra le cosce della picciotta, i due mascoli<br />
fecero l’amore tra <strong>di</strong> loro . Iatata si svegliò quando senti il liquido caldo tra le sue<br />
cosce. E capì subito quello che era successo. La simenta <strong>di</strong> Ben e Pompeo si era<br />
mescolata davanti alla sua porta dl piacere. Ma lei non era stata scomodata. Era un<br />
omaggio quello. O no. C’è chi da fiori e chi da simenta. O no.<br />
Quella mattina i vertici del movimento studentesco locale decisero <strong>di</strong> invitare, <strong>di</strong><br />
giorno in giorno , degli esperti. Per parlare <strong>di</strong> argomenti <strong>di</strong> particolare importanza. Fu<br />
fatta una lista e tra i tanti nomi spiccavano la dottoressa ginecologa Eusebia Ferretti,<br />
il critico tuttologo Calogero Bellarmino - Gugliotta, il sindaco barone e comunista<br />
Tonino Incardasciò, il pittore Nikj Sciò, lo scrittore Micio Tempio e altri ancora.<br />
Questi signori sarebbero stati tutti invitati, ma avrebbero accettato?<br />
> <strong>di</strong>ssero i ragazzi.<br />
Il telegiornale dell’una <strong>di</strong> quel giorno parlò delle <strong>di</strong>mostrazioni studentesche che<br />
crescevano in tutta Italia. E anche nel resto dell’Europa. In particolare, in Francia la<br />
situazione stava <strong>di</strong>ventando veramente esplosiva. C’era aria <strong>di</strong> rivoluzione tout court.<br />
Quel pomeriggio Iatata dovette tornare a casa . La nonna virtuale Concettina<br />
Inconsolata Cazzamari era morta improvvisamente.<br />
> <strong>di</strong>sse Iatata andando via.<br />
Ben voleva accompagnarla. Pompeo pure. Ma lei li convinse a restare sul posto, a<br />
continuare la lotta.<br />
> <strong>di</strong>sse Iatata.<br />
> aggiunse Ben.<br />
> aggiunse Pompeo che come romano sapeva bene cos’era o cos’era<br />
stato il potere papale.<br />
> saluto Iatata dando un bacione a<br />
Ben e un bacetto a Pompeo.<br />
> risposero i due maschietti.
Quella sera Pompeo e Ben si ficcarono insieme nello stesso sacco a pelo. In mutande<br />
e maglietta. Sentivano freddo. Ma il loro era un freddo interno, un freddo mentale,<br />
un freddo dovuto alla mancanza <strong>di</strong> un affetto, <strong>di</strong> una voce , <strong>di</strong> un corpo, <strong>di</strong> due mani<br />
che sapevano fare le carezze. Era un freddo dovuto al dolore <strong>di</strong> Iatata che a quell’ora<br />
stava piangendo per la sua cara nonnina acquisita. Scoppiarono a piangere . Si<br />
abbracciarono. Ma intanto tremavano. Sentivano la mancanza <strong>di</strong> Iatata. Ben voleva<br />
scappare e raggiungere la zita, per starle accanto. Pompeo le avrebbe fatto volentieri<br />
compagnia. Si abbracciarono ancora <strong>di</strong> più. E senza <strong>di</strong>re parola l’uno prese in mano<br />
l’uccello dell’altro. E senza parole si parlarono a sguar<strong>di</strong>. E si <strong>di</strong>ssero fin troppe cose.<br />
Pompeo si abbassò le mutande e si mise a pancia in giù. E aspettò che Ben si<br />
sfogasse. Che Ben sfogasse il suo desiderio, la sua rabbia, il suo dolore nel suo culo.<br />
Fu un atto d’amore reciproco quell’inculata. Nella simenta <strong>di</strong> Ben che finì dentro il<br />
corpo <strong>di</strong> Pompeo c’era tutta la sua rabbia. Dopo si parlarono ancora, in silenzio.<br />
Sguar<strong>di</strong>, gesti, carezze. E si <strong>di</strong>ssero ancora tante cose. Pompeo era <strong>di</strong>steso sul lato<br />
sinistro del corpo e teneva in mano la ciolla sod<strong>di</strong>sfatta dell’amico. Ben stava a<br />
pancia all’aria e teneva le mani incrociate <strong>di</strong>etro la nuca. La minchia tisa <strong>di</strong> Pompeo<br />
si appoggiava sul suo fianco e lo solleticava, sembrava chiedergli aiuto. Fu allora che<br />
Ben si girò piano piano e <strong>di</strong>ede le spalle all’amico. La minchia <strong>di</strong> Pompeo seguì<br />
quella rotazione e alla fine si trovò puntata contro il culo <strong>di</strong> Ben . Il ragazzo siciliano<br />
si sistemò meglio. Il suo corpo aderì a quello del romano. La minchia <strong>di</strong> Pompeo si<br />
collocò tra le chiappe <strong>di</strong> Ben. Solo allora il romano iniziò a muoversi. A poco a poco<br />
la punta trasiu. Poi trasì il resto. Se la sera <strong>prima</strong> Pompeo aveva visitato il culo <strong>di</strong><br />
Iatata, questa sera visitò quello <strong>di</strong> Ben. E la cosa durò a lungo. Ogni tamto i due<br />
acceleravano i movimenti. Quando il romano capiva che stava per venire , rallentava.<br />
E rallentava il ritmo pure Ben. Poi ripigliavano. Avrebbero voluto far durare<br />
quell’esperienza tutta la notte.<br />
> pensò Ben nella sua testa <br />
> pensò pure Pompeo.<br />
E cercavano pertanto <strong>di</strong> farlo durare il più a lungo possibile. E durò abbastanza. Alla<br />
fine Pompeo svuotò i suoi coglioni nel culo dell’amico. Poi si addormentarono <strong>di</strong><br />
colpo. Pompeo con la minchia sod<strong>di</strong>sfatta che giaceva tra le chiappe dell’amico.<br />
L’indomani Ben si svegliò con la ciolla dell’amico in mano. E si accorse che Pompeo<br />
teneva la sua. Rise. Il dolore e la rabbia della sera <strong>prima</strong> erano scomparsi. Contento e<br />
felice era pure Pompeo.<br />
Nel pomeriggio si svolse il funerale della signora Concettina Inconsolata Cazzamari,<br />
la nonna <strong>di</strong> Iatata. E quella sera Cepito trovò tra le carte della cara estinta una lettera<br />
in<strong>di</strong>rizzata a lui. Chiusa e sigillata. Sulla busta stava scritto “Per Sconcepito<br />
Portusodoro. Da aprire dopo la mia morte. Firmato Concettina Inconsolata<br />
Cazzamari.” L’ansia lo prese. E aprì <strong>di</strong> corsa e lesse.<br />
chiamato mamma pensando a quella mamma che non hai mai conosciuto. Mi hai<br />
dato dei nipoti che mi chiamavano nonna pur sapendo la verità. E io ti ho chiamato<br />
figlio sapendo la verità. La vera verità , caro Sconcepito, è che tu sei.. sei veramente<br />
mio figlio. >><br />
Cepito scoppiò a piangere. Poi continuò.<br />
><br />
Cepito pianse più forte. Qual era la verità che doveva ancora apprendere? Chi era suo<br />
padre? Era del posto? Era ancora vivo o era morto? Continuò a leggere.<br />
adesso hai tu. E attesi la tua uscita dal collegio. E mi <strong>di</strong>e<strong>di</strong> da fare per farti venire a<br />
lavorare da me. Il resto è storia nota. Ma non ti ho ancora detto la cosa che forse<br />
vorresti sapere. Chi era l’uomo <strong>di</strong> fiducia <strong>di</strong> Calogero Incardasciò. Quello che tradì<br />
mio padre, che mise incinta la sottoscritta e che portò al suici<strong>di</strong>o mia madre. Ma che<br />
è anche e pur sempre tuo padre. Se lo vuoi sapere, il suo nome e la sua fotografia<br />
stanno in una busta sigillata misa dentro il quadro della beddamatri del rosario. Se lo<br />
vuoi sapere, altrimenti niente, amatissimo figlio mio.<br />
La tua mamma Concettina Inconsolata Cazzamari.<br />
P. S. Tutto quello che possiedo in mobili e immobili è tuo, <strong>di</strong> Tuzza e dei tuoi figli.<br />
Grazie per avermi chiamato mamma, grazia anche a tua moglie che mi chiamava pure<br />
lei mamma . E grazie ai tuoi figli che mi chiamavano nonna. Grazie. >><br />
Cepito era basito. Era una statua <strong>di</strong> marmoro ma dentro tinia la voglia <strong>di</strong> conoscenza<br />
<strong>di</strong> uno scienziato, ma a lui interessava scoprire solo una cosa. Il nome dell’uomo <strong>di</strong><br />
fiducia <strong>di</strong> Calogero Incardasciò. Con gli occhi pieni <strong>di</strong> lacrime e le mani tremanti<br />
prese il quadro della beddamatri del rosario e circau <strong>di</strong> rapillu. Di togliere la<br />
copertura posteriore per pigliare la busta. Ma non riusciva ad aprirlo. Non si<br />
capacitava se era colpa della sua imperizia, della sua emozione o del fatto che il<br />
quadro fosse vecchio. Iniziò a perdere la pazienza e alla fine si mise a gridare.<br />
><br />
Ma la copertura posteriore del quadro non si staccava. Intanto le grida erano state<br />
sentite dalla moglie Tuzza e dai tre figli. Che corsero verso la stanza da letto della<br />
cara estinta. E trovarono Cepito che gridava come un ossesso, rivolto al quadro della<br />
beddamatri del rosario che teneva in mano.<br />
><br />
> <strong>di</strong>ssero la moglie e i figli ><br />
Ma Cepito continuava. E visto che il quadro non si apriva lo sbattiu contro lo la<br />
tistera del letto. Il vetro si ruppe, la beddamatri pure, ma la littra vinni fora.<br />
> <strong>di</strong>sse Palmiro. ><br />
> <strong>di</strong>ssero la moglie e le figlie.<br />
Cepito non s’era manco accorto della loro presenza. Aprì la lettera e lesse il nome:<br />
> gridau e svinni.<br />
La moglie e i figli si precipitarono sulla lettera. Era una foto. E <strong>di</strong>etro c’era scritto<br />
Concetto Cicidda. Poi la moglie e Palmiro si presero cura <strong>di</strong> Cepito. Iatata e sua<br />
sorella invece acchiappanu la lettera e si misero a leggere.<br />
> <strong>di</strong>ssero. ><br />
> <strong>di</strong>sse Palmiro.<br />
> <strong>di</strong>sse Tuzza e svenne pure lei.<br />
I figli li sistemarono nel letto della cara estinta e aspettarono il ritorno dei sensi sia<br />
nella mamma che nel papà. Iatata raccontò la storia della foto del nonno <strong>di</strong> Ben da<br />
giovane. Il podestà che somigliava tanto ma proprio tanto a papà Cepito. A lei e a<br />
Ben era venuto il sospetto che la cosa potesse essere andata come era realmente
andata. In fatto <strong>di</strong> paternità. Mai fatti pensieri su nonna Concettina. Ma comunque<br />
non c’erano strade per verificarlo. La somiglianza c’era , ma da sola non bastava a<br />
giustificare la paternità <strong>di</strong> Concetto Cicidda nei confronti <strong>di</strong> Cepito Portusodoro,<br />
figlio <strong>di</strong> NN.<br />
Quella notte Iatata pensò a mille cose. Lei e Ben erano mezzi cugini. Solo mezzi,<br />
perché avevano solo il nonno in comune . La nonna era <strong>di</strong>versa. Non vedeva l’ora <strong>di</strong><br />
rientrare a scuola per comunicargli la cosa. Ma si chiese anche come avrebbe reagito<br />
Ben. Era un ragazzo moderno e per niente geloso. Non aveva detto niente per la<br />
minata fatta da lei a Pompeo.<br />
> aveva detto . E in quel momento Pompeo<br />
ne aveva veramente bisogno. E vero che poteva fare da solo, ma una amica è sempre<br />
la benvenuta.<br />
Poi c’era stata la giornata libertaria <strong>di</strong> Pantalica. Tutti nu<strong>di</strong>. Quin<strong>di</strong> l’occupazione e<br />
quella notte passata insieme nello stesso sacco a pelo. La sua voglia <strong>di</strong> minarcela ad<br />
entrambi i ragazzi e la loro <strong>di</strong>sponibilità a quel gioco sessuale a tre. Lei, lo zito e<br />
l’amico. E c’era stata anche la storia della messa in culo. Lei e Ben avevano, intanto<br />
che scopavano, dato via libera a Pompeo per accedere alla suo bel culetto.<br />
Pertanto Ben non poteva preoccuparsi <strong>di</strong> un semiincesto. Lei d’altra parte era sicura<br />
che tra i due ci fosse stata qualche cosa a sua insaputa. Una storia omo. Ben era<br />
eterosessuale convinto, ma sicuramente si era lasciato convincere a provare con un<br />
altro mascolo. Ed era anche sicuro che in sua assenza, Ben s’era lasciato consolare<br />
dai gesti, dalle parole, dalle mani e dal corpo <strong>di</strong> Pompeo. Ma anche il romano aveva<br />
bisogno <strong>di</strong> conforto. E Ben si era sicuramente prestato. Insomma, i due si erano<br />
consolati a vicenda, mentre lei che aveva bisogno <strong>di</strong> tanta ma tanta, anzi tantissima<br />
consolazione, non aveva proprio nessuno che la consolasse. Neanche un cazzo a sua<br />
<strong>di</strong>sposizione. Sia in senso reale che metafisico. Non vedeva l’ora pertanto <strong>di</strong> rientrare<br />
a scuola per farsi consolare dal suo ragazzo e dal suo amico . Era una bella cosa<br />
quella liasonni a trua. Come <strong>di</strong>cono i francesi.<br />
Quella notte Pompeo e Ben non pensarono a niente. Non fecero niente. Dormirono e<br />
basta.<br />
Al circolo si parlava solo della storia delle sorelle Ninetta e Tonina che s’erano<br />
piazzate felicemente nel letto dell’ingegnere Nicola Cannolo. E si parlava del cannolo<br />
dell’ingegnere Cannolo che aveva due purtusa a <strong>di</strong>sposizione. Ma si parlava pure<br />
dell’occupazione delle scuole e <strong>di</strong> questo pugno <strong>di</strong> s<strong>di</strong>sanorati nullafacenti<br />
mangiapane a tra<strong>di</strong>mento che volevano fare pure la rivoluzione. Cioè gli studenti.<br />
> era l’opinione corrente.<br />
Il giorno dopo il comitato studentesco fu infornato che padre Ciollardente e padre<br />
Cacaced<strong>di</strong>, d’accordo con suor Carmelina e padre Fringuelli, volevano in<strong>di</strong>re una<br />
giornata <strong>di</strong> espiazione e preghiera totale e continua, una ventiquattrore come la
famosa corsa automobilistica, per i peccati <strong>di</strong> Pantalica e adesso anche per quelli che<br />
si stavano commettendo nelle scuole occupate <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>. Le sorelle Stoccacitrolo<br />
erano d’accordo. Anzi, avevano pregato i due parrini <strong>di</strong> effettuare, a occupazione<br />
finita, la bene<strong>di</strong>zione dell’istituto , per purificarlo da tutti le porcherie commesse in<br />
quel periodo nefasto.<br />
Padre Ciollardente quella mattina, vestito da prete in pompa magnissima e con tanto<br />
<strong>di</strong> cugino sacrestano che teneva in mano l’incensiere, bussò alla porta del triplice<br />
istituto, con l’intenzione <strong>di</strong> esorcizzare il <strong>di</strong>avolo rosso che si annidava là dentro.<br />
Appena Ben e Pompeo aprirono la porta il vecchio marpione iniziò col <strong>di</strong>re parole<br />
belle e dolci.<br />
> <strong>di</strong>ssero i ragazzi.<br />
Il prete si rivolse all’assemblea e parlo come ispirato . Solo parole belle e dolci. Paria<br />
fatto <strong>di</strong> zucchero quel giorno padre Ciollardente. Poi si fece più amaro e cercò <strong>di</strong><br />
convincere i ragazzi a porre fine all’occupazione. Ma tutti <strong>di</strong>ssero no.<br />
> chiese il prete <strong>di</strong>ventato <strong>di</strong> nuovo <strong>di</strong> zucchero.<br />
> risposero i ragazzi.<br />
Padre Ciollardente li benedì in silenzio. E il sacrestano intanto incensava l’aria. Poi<br />
l’incensò finì.<br />
> <strong>di</strong>ssero Ben e Pompeo.<br />
E ci misero dell’incenso ma anche tanta marijuana. Il sacrestano riprese ad incensare.<br />
Ma il fumo gli andava nel naso e iniziò a fare effetto. L’uomo si mise a incensare<br />
ballando. Anche il prete respirò quel fumo. E all’improvviso <strong>di</strong>sse:<br />
> E intanto barcollava.<br />
Ben e Pompeo risautano.<br />
> chiese il parrino mentre il<br />
sacrestano , famoso come “ autominatore”, ovvero “ colui che si la mina da sé ”,<br />
<strong>di</strong>ffondeva incenso e marijuana a destra e a manca. Ben e Pompeo ci pinsanu un<br />
secunnu. Poi si taliano e pigliano la draconiana decisione. “Mister Ciollardente fuori<br />
dalla ciolla e dai ciollini”.<br />
> gridarono in contemporanea.<br />
Ma quello continuava a gridare e a <strong>di</strong>menarsi. E il sacrestano a incensare. Ben e<br />
Pompeo chiamarono i rinforzi . E tutti insieme si caricano il parrino e il sacrestano e<br />
li deposero sugli scalini. Il sacrestano continuava ad incensare e il parrino a lanciare<br />
anatemi.<br />
Quel pomeriggio una infuocata assemblea studentesca decise <strong>di</strong> imitare il modello<br />
francese. Fuori dalle scuole ogni simbolo <strong>di</strong> propaganda religiosa. E in Sicilia, nel<br />
paesino stracattolico , conservatore e moralista <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>, <strong>di</strong> simboli religiosi in<br />
circolazione ci ni stava solo uno.<br />
Imposto dal regime fascista e definito “ arredamento “ <strong>di</strong> ogni aula scolastica, il<br />
crocefisso imperversava. Pertanto si provvide a togliere tutti i crocefissi e a<br />
impacchettarli ben bene. Fu presa anche la provocatoria risoluzione <strong>di</strong> spe<strong>di</strong>rli al<br />
mittente. Ma nessuno conosceva l’in<strong>di</strong>rizzo. Mentre nell’antichità , il <strong>di</strong>o Giove
aveva una casa sull’Olimpo, quest’altro non aveva una residenza nota. Allora si<br />
decise <strong>di</strong> spe<strong>di</strong>re tutto al suo rappresentate sulla terra. Il papa.<br />
Quella sera il telegiornale <strong>di</strong>ede la notizia che durante la notte precedente un noto<br />
esponente politico era stato arrestato. Era presidente <strong>di</strong> un ente finito nel mirino dei<br />
controlli . E adesso era in galera. Ma già il suo avvocato aveva presentato la richiesta<br />
<strong>di</strong> arresti domiciliari per il suo assistito perché le sue con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> salute erano<br />
inconcepibili con il carcere. La richiesta era stata accettata. E da un momento all’altro<br />
si aspettava la sua uscita dal carcere. Quin<strong>di</strong> in galera sì, ma solo per un giorno, notte<br />
esclusa. Al massimo le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> vita dell’onorevole erano compatibili solo con<br />
gli alberghi a cinque stelle, le buttane <strong>di</strong> lusso due alla volta, i ristoranti prestigiosi e<br />
l’auto blu con tanto <strong>di</strong> autista. Naturalmente tutto in conto al partito, allo stato o<br />
all’ente dui cui era presidente. Pompeo si straincazzò e quella sera stessa compose un<br />
bel sonetto titolato “ ER PRESIDENTE.<br />
Che <strong>di</strong>cevo? O faranno presidente.<br />
A faccia do' cazzo. Visto 'o buffone,<br />
mo' s'aggiusterà la sua posizione.<br />
Se voi giuro su Dio onnipotente.<br />
Fu fascista stronzo e pur'impotente,<br />
sminchiato ,fottuto e grande cojone,<br />
pronto a leccare er culo ar sor Puzzone,<br />
cattolico e poc'assai intelligente.<br />
Per mezzo secolo è stato inculato<br />
E mo' er popolo vorrebbe inculare:<br />
ma <strong>di</strong>je ch'è solo un grande <strong>di</strong>sgraziato.<br />
Anche se vole, nun sa comannare:<br />
spompato com'è, nun sa esse incazzato,<br />
che vada a morì o a fasse ammazzare.<br />
Possa io andare all’inferno, ma un tal Dio non otterrà mai il mio<br />
rispetto.<br />
J. Milton<br />
Ogni stregoneria <strong>di</strong>scende dalla libi<strong>di</strong>ne della carne, che nelle<br />
donne è insaziabile.<br />
San Giovanni Crisostomo<br />
La storia ricorda una sola rivoluzione veramente ra<strong>di</strong>cale: il<br />
<strong>di</strong>luvio universale.<br />
H. Ibsen
DODICI : SORA MIGNOTTA<br />
Dio mio, tutte le donne pubbliche con cui ho peccato, beatele!<br />
N. Tommaseo<br />
I moralisti vedono il mondo ma non lo capiscono.<br />
Di mattina presto Cepito partì per il cimitero. Con tutta la sua famiglia. Veniva<br />
seppellita mamma Concettina. Dopo la cerimonia Cepito, con gli occhi rossi per la<br />
rabbia e il dolore, <strong>di</strong>sse che aveva da fare. E andò a fare una visita alla cappella <strong>di</strong><br />
quel porco <strong>di</strong> “suo padre “ Concetto Cicidda, l’uomo che l’aveva seminato per forza<br />
e per libera scelta l’aveva abbandonato. Anzi, non l’aveva manco voluto conoscere.<br />
Arrivò nella cappella Cicidda . L’uomo era sepolto tra la <strong>prima</strong> e la seconda moglie.<br />
Tra lo sticchio vecchio e lo sticchio giovane. Oramai fracito sia l’uno che l’altro.<br />
Come pure il suo aceddu fascista e schifoso . Si avvicinò alla lapide. C’era solo<br />
scritto Concetto Cicidda. E la foto. Lui lo taliò in faccia e poi lo sputò. Na sputazzata<br />
data con piacere e dolore. Poi iniziò la crisi <strong>di</strong> sputtanamento generale.<br />
><br />
E ci risputò. Ma proprio in quel momento traisu Cicciu Cicidda. Aveva sentito solo<br />
le ultime parole. “ Anche se sei mio padre, ti o<strong>di</strong>o.. porco..”<br />
><br />
> rispose Cepito.<br />
> riprese Ciccio. Ma Cepito lo bloccò<br />
> <strong>di</strong>sse Cepito incazzatissimo a Cicciu. E gli <strong>di</strong>ede una fotocopia della<br />
lettera <strong>di</strong> Concettina Inconsolata Cazzamari.<br />
Il signor Cicidda lesse la lettera tutta in una tirata e, già <strong>prima</strong> della fine, incominciò a<br />
capire unni quello scritto andava a parare. Non attese il biglietto finale . A quel nome<br />
ci arrivò da solo.<br />
> <strong>di</strong>sse il professionista.<br />
> precisò Cepito.<br />
> <strong>di</strong>sse il politico Cicidda che pensava già a quanti<br />
voti nuovi ci portava la nuova parentela.<br />
Pinsava pure a suo figlio Ben, che saputa la cosa, avrebbe per dovere morale lassato<br />
la mezza cugina per evitare il mezzo incesto. Anche se già Ben si l’avia futtuta e<br />
controfuttuta il peccato era stato commesso inconsapevolmente. Adesso, con quella<br />
parentela, Ben non poteva non lasciare la mezza cugina. E magari pensare a una delle<br />
sorelle Bucochiuso.
Cepito si rifugiò in quelle braccia mezzo germane. Anche se il parente ritrovato era<br />
un pochino ingombrante in tutti sensi, gli faceva comunque piacere avere dei parenti<br />
e degli antenati. Era contento <strong>di</strong> aver scoperto le sue origini, anche se comprendevano<br />
persone antipatiche. Era contento <strong>di</strong> sapere da dove veniva la sua simenta. Aveva un<br />
passato, poco piacevole , ma l’aveva.<br />
All’uscita dalla cappella Ciccio e Cepito passanu davanti alla tomba del cavaliere<br />
Turi Chiappazza. La signora Carmela Filazzaddumata, la vedova del cavaliere, stava<br />
potando le piante <strong>di</strong> Rosa cornutella che circondavano la tomba. Tutti a <strong>Monacazzo</strong><br />
conoscevano la signora Carmela come “ la vedova allegrissima “ . Bastava chiedere<br />
la cosa per averla . E tanti chiedevano. E lei dava volentieri. Si calcola che a<br />
<strong>Monacazzo</strong> era quella che , a parte le buttane dell’Arcazzo, avesse maniato, e non<br />
solo maniato , il più grande numero <strong>di</strong> minchie <strong>di</strong> persone <strong>di</strong>verse. Cicciu <strong>di</strong>sse a<br />
Cepito:<br />
><br />
Cepito scoppiò a ridere. La signora Carmela si girò e li rimproverò.<br />
><br />
><br />
> chiese la vedova allegrissima<br />
che era allegra sì ma babba anche.<br />
Quella mattina Pompeo e Ben uscirono col pacco pieno <strong>di</strong> crocefissi e lo spe<strong>di</strong>rono al<br />
papa. L’impiegato postale Filomeno Bollettino non voleva manco fare la spe<strong>di</strong>zione.<br />
> chiese il signor bollettino.<br />
><br />
> rispose l’impiegato che era<br />
membro <strong>di</strong> una comunità religiosa. E il pacco partì.<br />
Quella sera le sorelle Devozione e Consolata Bucochiuso, che frequentavano il terzo<br />
e quarto anno del liceo scientifico, si recarono a trovare Pompeo e Ben. Loro erano<br />
interessate a farsi zite . Si erano immesse sul mercato da tempo ma nessuno le cacava.<br />
Volevano troppe qualità nel caruso. Troppe nello stesso caruso. Impossibili da trovare<br />
concentrate nella stessa persona. Ma la cosa più brutta è che lo volevano portare<br />
subito a casa. Il loro “ sì “ era con<strong>di</strong>zionato dal “ sì “ dei genitori.<br />
Volevano tastare il terreno in quanto erano interessate a quei due.<br />
> <strong>di</strong>ssero le sorelle, che avevano quel modo<br />
tanto particolare <strong>di</strong> parlare strascicato e che erano chiamate le sorelle ammosciatutto.<br />
> <strong>di</strong>ssero Ben Pompeo.<br />
> <strong>di</strong>ssero le belle sorelle Bucochiuso.<br />
> <strong>di</strong>ssero i leader.<br />
Le sorelle Bucochiuso non erano andate a Pantalica per volere dei genitori.
<strong>di</strong>cevano i benpensanti signora e signor<br />
Bucochiuso. Poi le ragazze avevano saputo quello che era successo a Pantalica e si<br />
erano rattristate per essersi persi quello spettacolo <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorsi <strong>di</strong> <strong>di</strong>o al vento. Almeno<br />
potevano catalogare visivamente i ragazzi <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong> in minchiette, minchie e<br />
minciazze. E poi tra i tanti minciazza scegliere e selezionare quelli benestanti e con<br />
un futuro da professionista. Ma nella loro testa comunque c’erano Pompeo e Ben. Il<br />
romano era libero, e Ben <strong>prima</strong> o poi avrebbe lasciato quella culo<strong>di</strong>fuori <strong>di</strong> Iatata. La<br />
presidenza era pulita a parte un po’ <strong>di</strong> puzza. Infatti Ben e Pompeo pisciavano<br />
spesso nel grande vaso <strong>di</strong> banano della preside.<br />
> <strong>di</strong>sse Devozione.<br />
> specificò<br />
Pompeo.<br />
> chiese Consolata.<br />
><br />
> chiese Devozione.<br />
> <strong>di</strong>sse il romano.<br />
Non si capiva se la sorelle avessero o meno capito. Sta <strong>di</strong> fatto che Pompeo <strong>di</strong>sse<br />
piano piano a Ben:<br />
><br />
I due si alzarono e dato il culo alle sorelle Bucochiuso e cervello corto si misero a<br />
pisciare sul banano.<br />
> chiese la moscia ammosciatutto <strong>di</strong> Consolata che non era<br />
buona manco a consolare n’aceddu arrapato.<br />
><br />
> <strong>di</strong>sse Devozione a Consolata. ><br />
I ragazzi pisciavano tranquilli.<br />
> <strong>di</strong>sse Ben<br />
piano piano all’amico. E infatti arrivarono le due sorelle.<br />
> <strong>di</strong>ssero quelle vedendo i<br />
ragazzi pisciare sul banano presidenziale. Ma non gridarono né scapparono.<br />
Restarono a taliare. Non avevano mai visto una minchia dal vivo. A parte quella <strong>di</strong><br />
qualche neonato. E quelle <strong>di</strong> qualche opera d’arte. A loro piaceva da morire quella<br />
michelangiolesca del David. Bella, piccolina e <strong>di</strong> marmoro. Ma soprattutto firmata.<br />
Una minchia d’arte. Quin<strong>di</strong> non pericolosa, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quella <strong>di</strong> carne che poteva<br />
pazziare e fare danno irreparabile. Ma loro restarono comunque a taliare la minzione.<br />
Lo spettacolo teatrale “ Pisciata <strong>di</strong> una coppia <strong>di</strong> minchie <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>”.<br />
> <strong>di</strong>sse<br />
Pompeo.<br />
> chiese Ben.<br />
> <strong>di</strong>ssero serie le sorelle Bucochiuso.
Ben e Pompeo scoppiarono a ridere. Non volevano credere alle loro orecchie. Intanto<br />
le loro minchie cominciarono a gonfiare. I ragazzi abbandonarono lo strumento per<br />
darsi la mano. Avevano giurato che quelle erano stolle. Ne avevano avuto la<br />
conferma. E la piscia finì intanto fuori dal vaso. Per terra, sui pantaloni, sulle scarpe<br />
dei ragazzi.<br />
Le sorelle si misero a ridere anche loro e poi <strong>di</strong> colpo fecero quello che nessuno, né le<br />
ragazze né i ragazzi, avrebbero mai pensato fosse realizzabile. Si precipitarono sullo<br />
pompa per pisciare e la <strong>di</strong>ressero sul banano. Tenendola con solo due <strong>di</strong>ta. Come<br />
fosse una cosa infetta. O una cosa che muzzica.<br />
> <strong>di</strong>ssero emozionate da quella <strong>prima</strong> toccata d’aceddu.<br />
I ragazzi lasciarono fare. Fino alla fine. Poi Ben e Pompeo restarono a taliare le<br />
caruse con le minchie in mano. Ferme come se aspettassero or<strong>di</strong>ni.<br />
> <strong>di</strong>ssero le sorelle.<br />
><br />
><br />
> <strong>di</strong>sse Ben.<br />
> aggiunse Pompeo.<br />
> chiesero le sorelle.<br />
><br />
><br />
> <strong>di</strong>ssero i ragazzi<br />
><br />
> <strong>di</strong>sse Ben.<br />
> precisò Pompeo.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Le ragazze ci misero tanta buona volontà, ma erano piuttosto maldestre. Per fare certe<br />
cose non basta la voglia, ci vuole l’ispirazione. O meglio, l’istinto. Ben e Pompeo si<br />
fecero nu tanticchia male e quell’esperienza ci passi na minata giurassica, na minata<br />
del tempo in cui le mani dovevano perfezionare la loro capacità <strong>di</strong> strumenti<br />
multiuso. Tra cui la capacità <strong>di</strong> maniare con gioia, delicatezza, arte e sapienza il<br />
marrugghiu maschile. In ogni modo, tra alti e bassi, più bassi che alti, la minata<br />
andò avanti. A un certo punto Ben e Pompeo capirono che stavano per venire.<br />
> <strong>di</strong>sse Pompeo.<br />
> aggiunse Ben.<br />
Le ragazze non risposero, fecero. Spalancano le loro boccucce innocenti e assoporanu<br />
il nuovo prodotto biologico.<br />
> <strong>di</strong>ssero le sorelle . E si alliccarono il musso.
chiese Ben.<br />
> <strong>di</strong>sse Devozione.<br />
> <strong>di</strong>sse l’altra sorella.<br />
Quella notte Ben e Pompeo parlarono dell’esperienza fatte con le sorelle Bucochiuso.<br />
Era stata una bella esperienza , solo nu tanticchia dolorosa. Ad entrambi faceva male<br />
la minchia. La cappella in particolare. Quelle ragazze avevano bisogno <strong>di</strong><br />
perfezionare la loro manualità. E iniziarono a pensare a uno scherzo per le sorelle<br />
Bucochiuso.<br />
Devozione e Consolata quella notte non dormirono molto. Erano felici <strong>di</strong> aver visto e<br />
maniato la <strong>prima</strong> minchia dal vivo. E <strong>di</strong> averla vista anche pisciare latte <strong>di</strong> minchia.<br />
E <strong>di</strong> averlo bevuto. Ma erano anche stanche. Tutto quel lavoro con le mani. La<br />
muscolatura delle braccia era stanca.<br />
> <strong>di</strong>sse<br />
Devozione a Consolata.<br />
><br />
Ma il sonno non arrivava. Allora Consolata si susiu e dallo zainetto tirò fuori due<br />
banane. Con quelle tornò dentro il sacco a pelo. Se la stricarono tra le mani, sulla<br />
bocca, tra le tette e poi se la piazzarono tra le cosce . Ma quella era fredda e non<br />
pisciava. All fine , ognuna con la sua banana tra le mani, si addormentarono. E<br />
sognarono <strong>di</strong> fare le dottoresse minchiologhe.<br />
Accussì tutti i mascoli <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>, e non solo, sarebbero venuti da loro per farsi<br />
controllare l’aceddu. E loro avrebbero toccato, valutato e catalogato. E nessuno le<br />
poteva pigliare per buttane perché erano dottoresse minchiologhe. E le dottoresse con<br />
quella specializzazione stu<strong>di</strong>ano e curano le minchie e i problemi della minchia.<br />
La tranquillità della notte fu <strong>di</strong>sturbata da una lite tra due ragazze. Lite per un caruso<br />
<strong>di</strong> ragioneria. Pompeo e Ben dovettero intervenire per risolvere la querelle. Le<br />
picciotte si accusavano tra <strong>di</strong> loro <strong>di</strong> essere delle buttane patentate. Ma a sua volta il<br />
caruso le aveva accusate <strong>di</strong> essere due buttane da strapazzo, buttane <strong>di</strong> nome ma<br />
senza arte né parte. Che lui, da parte sua, godeva <strong>di</strong> più quando andava da quella<br />
signora mezza matura che esercitava all’Arcazzo e che rispondeva al nome <strong>di</strong> Peppa<br />
delle Pippe. Quella era un <strong>di</strong>zionario enciclope<strong>di</strong>co dell’ars aman<strong>di</strong>, del kamasutra e<br />
<strong>di</strong> tutto il resto. D’altra parte veniva da uno dei più famosi casini <strong>di</strong> Catania, dove<br />
aveva fatto felici l’aced<strong>di</strong> dei pezzi da novanta <strong>di</strong> quel paese . Il caruso sparò che nei<br />
nuovi programmi ministeriali non ci voleva solo il corso <strong>di</strong> educazione sessuale, ma<br />
ci voleva pure il laboratorio <strong>di</strong> educazione sessuale. Per esempio, su bei manichini, le<br />
ragazze potevano apprendere l’arte della minata. Di come trattare l’aceddu dello zito.<br />
Potevano apprendere pure l’arte della fellatio. E apprendere la topografia delle zone<br />
erogene maschili. I ragazzi potevano fare lo stesso con un manichino femminile.<br />
Sapere come accarezzare una tetta, come succhiare o alliccare un capezzolo. Ma<br />
soprattutto come suonare la chitarrina e il bottoncino del campanello del piacere.<br />
Capire come portare la femmina al piacere. E qui non bastava il docente <strong>di</strong> scienze, ci
voleva l’esperto scientifico, ovvero il ginecologo e l’andrologo. Ma ci voleva pure<br />
l’esperto pratico. Ovvero una buttana patentata e doc. Su quella storia Pompeo scisse<br />
il sonetto “SORA MIGNOTTTA.”<br />
An ve<strong>di</strong> che faccione de mignotta.<br />
Vardala che gran culo tonno tonno,<br />
più 'o vedo , più me pare er mappamonno.<br />
Io giuro che in ogni bucio è rotta.<br />
Er su prezzo è dumila a la botta<br />
e cià un buco così largo e tonno<br />
che ce vo un maxicazzo p'arrivà n'fonno.<br />
Damose er cuplone a sta carne scotta.<br />
Le zinne fanno sue giù inutirmente,<br />
na cavarcate più lei che le cavalle,<br />
se la ve<strong>di</strong> intra a bocca è senza un dente.<br />
Che la morte se possa caricalle,<br />
a lei co tutte l'antre amorvendenti,<br />
a ufo rompicazzi e consumapalle.<br />
Ultimamente è giunta a noi la nuova, con nostra grande costernazione,<br />
che, in talune parti dell’Alta Germania, nelle province, nelle città, nei<br />
territori, nei paesi e presso i laghi <strong>di</strong> Mainz, Colonia, Treviri,<br />
Salisburgo e Brema, gran numero <strong>di</strong> persone d’ambo i sessi, <strong>di</strong>mentichi<br />
della salvezza dell’anima loro e contro la fede nel Credo Cattolico, si<br />
sono donate ai demoni sotto forma <strong>di</strong> ‘incubi’ e <strong>di</strong> ‘succubi’. Con i loro<br />
incantesimi, esorcismi e atti infami <strong>di</strong>struggono il frutto nel grembo<br />
delle donne, delle vacche e <strong>di</strong> vari altri animali; <strong>di</strong>struggono messi,<br />
vigneti, frutteti, prati, pascoli, frumento, orzo e altre piante vegetali;<br />
recano dolore e afflizione, gran<strong>di</strong> sofferenze e malattie terrificanti (sia<br />
esterne che interne) a uomini, donne e bestie, greggi ed altri animali;<br />
impe<strong>di</strong>scono agli uomini <strong>di</strong> generare e alle donne <strong>di</strong> concepire; rendono<br />
impotenti tanto le mogli che i mariti.<br />
Summis desiderantes affectibus, bolla <strong>di</strong> papa Innocenzo VIII, 1484
TREDICI : L’EDUCAZZIONE SESSUALE<br />
Piglia duecento ova <strong>di</strong> formiche et once una d'olio comune bono e sei once<br />
<strong>di</strong> latte <strong>di</strong> pecora o capra et impasta ogni cosa assieme e metti in vaso <strong>di</strong><br />
vetro che vi stia almeno per una notte e nel l'hora che tu vuoi usare il<br />
coito, ongi il membro che starà durissimo.<br />
Ricettario magico del XVI sec.<br />
Minchia <strong>di</strong> masculu la fimmina voli<br />
.. ma a chidda <strong>di</strong> lu sceccu pensa.<br />
Quella mattina l’assemblea studentesca era riunita nel cortile perché aspettavano<br />
un’esperta . La dottoressa Eusebia Ferretti, la moglie del sindaco barone Tonino<br />
Incardasciò. Erano tutti nel cortile, la giornata era bellissima. Mancavano solo le<br />
sorelle Bucochiuso.<br />
> <strong>di</strong>sse Cettina Localdo.<br />
> aggiunse Monja Ladò.<br />
> <strong>di</strong>sse Calogero Cannuni.<br />
> <strong>di</strong>sse la studentessa Marinella<br />
Cacatore .<br />
Pompeo prese la parola: ><br />
> <strong>di</strong>ssero maschi e femmine.<br />
><br />
> chiese Carmelo Obesone che voleva fare il modello e lo<br />
<strong>di</strong>ceva sempre. Il modello per le gran<strong>di</strong> forme.<br />
> rispose Pompeo.<br />
> <strong>di</strong>ssero tutti ridendo a crepapelle.<br />
Sia i mascoli che si dovevano esibire, sia le femmine che dovevano taliare. D’altra<br />
parte in un giornale era venuta fuori la notizia che all’estero, dove la società era più<br />
libera e aveva il portuso del culo molto più largo della signora morale italiana, che<br />
era una signora ammuccaparticoli e caca<strong>di</strong>avoli, c’erano <strong>di</strong> locali dove i mascoli si<br />
spogliavano nu<strong>di</strong> per la gioia <strong>di</strong> un pubblico femminile.<br />
> <strong>di</strong>ssero Ben e Pompeo.<br />
Proprio allora fecero la loro comparsa, mezze assonnate, le sorelle Bucochiuso.<br />
> chiesero.<br />
><br />
><br />
> <strong>di</strong>sse Mela Ficcatora<br />
>
specifico Mary Lovoglio.<br />
> risposero tutti in coro.<br />
Devozione e Consolata si taliano in facci.<br />
> si chiesero.<br />
> sparò Bastino Acchiladò.<br />
> risposero le sorelle.<br />
In quel momento entrarono i fratelli Cecè e Fefè Sparaminchiati con lo scheletro del<br />
laboratorio <strong>di</strong> biologia. Solo che avevano aggiunto tre palloncini belli lunghi che<br />
simulavano tre minchie. E sotto sei palloncini piccoli. Tutti scoppiarono a ridere. Su<br />
ogni palloncino lungo ci stava scritto un nome: Alfia, Cirina e Filadelfia. Poi lo<br />
misero sul pie<strong>di</strong>stallo del cortile. Alla base posarono un cartello che <strong>di</strong>ceva “ Homo<br />
dottoratus trimentulas.” Tutti capirono che quello era il dottore Minchiatrina e che<br />
quelle tre minchie <strong>di</strong> plastica erano per le tre sorelle Stoccacitrolo.<br />
Finalmente arrivo la dottoressa. Aveva con sé il piccolo Pascal. Quattro anni <strong>di</strong> peste<br />
bubbonica concentrata in pochi chili <strong>di</strong> carne. La dottoressa Eusebia a vedere il<br />
manchino scoppiò a ridere.<br />
> gridò Pascal. Tutti risero.<br />
> esordì la dottoressa.<br />
E fece una bella <strong>di</strong>scussione sulla sessualità responsabile. Parlò dell’intromissione<br />
ignobile della religione in genere sui fatti legati al sesso e la relativa negazione del<br />
piacere da parte della gente <strong>di</strong> chiesa. Poi rispose alle domande poste dei ragazzi.<br />
Senza omissioni e senza censure, ma soprattutto senza bacchettonismi. Intanto il<br />
piccolo Pascal girava e si fermava a parlare solo con le ragazze molto belle. Così, per<br />
istinto. Sentiva già il “ ciauro <strong>di</strong> sticchio.” E quelle belle facevano più ciauro delle<br />
altre. E il Pascal ne era attratto.<br />
Un ragazzo chiese se la masturbazione consuma il coso.<br />
><br />
> chiese un ragazzo.<br />
><br />
> chiese Francesco Arrapatazzo.<br />
><br />
> chiese Turri Lallupato.<br />
><br />
> <strong>di</strong>sse Minico Anticazzu.
ispose la<br />
dottoressa.<br />
> chiese Bastiano<br />
Autrasponna, che da tutti veniva sfottuto per le sue preferenze masculine e per come<br />
sculettava.<br />
><br />
><br />
><br />
Tutti risero. Anche Pascal. E alla fine volle parlare anche lui.<br />
> Tutti applau<strong>di</strong>rono.<br />
> chiesero le sorelle Bucochiuso.><br />
Tutti risero. E capirono che le sorelle Bucochiuso finalmente avevano maniato una<br />
minchia e forse assaggiato la stessa.<br />
> fu la domanda che ossessionò da quel momento in poi la testa delle<br />
ragazze e il cervello dei carusi che sospettavano l’uno dell’altro. Alla fine<br />
concordarono tutti sui noni <strong>di</strong> Ben e <strong>di</strong> Pompeo. E naturalmente sulle rispettive<br />
minchie. Loro soli dormivano in due in presidenza. E la terza incomodo, Iatata, era<br />
assente per motivi <strong>di</strong> famiglia.<br />
><br />
> urlò qualcuno dalla platea.<br />
> riprese Eusebia Ferretti maritata Incardasciò
comunicazione… Comunque adesso vi saluto e vi auguro <strong>di</strong> stare bene e <strong>di</strong> non fare<br />
fesserie.. il sesso è un piacere non una malattia.. la paternità e la maternità devono<br />
essere scelte volontarie e non imposte dal caso.. il sesso è conoscenza e non <strong>di</strong>sgrazia<br />
o male<strong>di</strong>zione.. quin<strong>di</strong> pigliatevi il piacere che vi tocca ma non combinate guai …<br />
per fare piccirid<strong>di</strong> ci sta tanto tempo..>> . Tutti applau<strong>di</strong>rono.<br />
><br />
Erano ancora le sorelle Bucochiuso.<br />
> <strong>di</strong>sse Eusebia.<br />
><br />
>. I ragazzi applau<strong>di</strong>rono.<br />
> <strong>di</strong>sse la dottoressa.<br />
> <strong>di</strong>sse Pascal.<br />
> riprese Eusebia ><br />
> <strong>di</strong>ssero le sorelle.<br />
> <strong>di</strong>sse Eusebia andando via.<br />
Quella sera Micio Tempio e la sua amica russa Kosetta Fikaminkianova si recarono<br />
da padre Ciollardente e gli <strong>di</strong>ssero che volevano sposarsi. Fare famiglia secondo<br />
tra<strong>di</strong>zione.<br />
> chiese il prete stupito, rincoglionito e amminchiolito al mille per<br />
mille.<br />
><br />
> chiese il Ciollardente basito.<br />
> rispose Micio Tempio.<br />
> <strong>di</strong>sse il prete rincoglionito assai assai.<br />
><br />
> <strong>di</strong>sse il prete.
aggiunse Kosetta.<br />
> aggiunse il prete.<br />
Padre Ciollardente fu preso da un brivido <strong>di</strong> piacere e assaporò il gusto della vittoria.<br />
Il pornografo laico calava le corna. Davanti a lui. Per amore <strong>di</strong> uno sticchio ma li<br />
calava.<br />
> <strong>di</strong>sse il prete.<br />
> <strong>di</strong>ssero Micio e Kosetta.<br />
> rispose il prete a cui la vittoria aveva fatto attisare l’uccello.<br />
><br />
Padre Ciollardente consultò la sua agenda. Il venticinque luglio andava bene. Segnò<br />
la data, la data del suo trionfo su quel miscredente <strong>di</strong> Micio Tempio. La data del<br />
ritorno del nuovo figliol pro<strong>di</strong>go, la data della nuova suonata delle trombe <strong>di</strong> Gerico<br />
e della caduta delle mura ideologiche che circondavano le idee malefiche <strong>di</strong> Micio<br />
Tempio. La pecorella assai assai smarrita ritornava all’ovile. Questi pensieri<br />
eccitarono il parrino assai assai. Oramai aveva un cannone sotto tonica. Doveva<br />
sparare. A mano o in altra maniera doveva espellere la tensione attraverso la sua<br />
ciolla, ma a mano non c’era tanto piacere. Meglio avere una collaboratrice.<br />
Infatti appena Micio e Kosetta andarono via padre Ciollardente telefonò a donna<br />
Carmela , la sua parrocchiana preferita, e la pregò <strong>di</strong> raggiungerlo in canonica per<br />
affari urgenti. Donna Carmela si precipitò. Sapeva che gli affari urgenti <strong>di</strong> padre<br />
Ciollardente era affari <strong>di</strong> ciolla addumata che lei, con amore e passione, doveva<br />
stutari in qualche modo. E donna Carmela era sperta assai nell’arte <strong>di</strong> stutari cannili<br />
addumati.<br />
Quel pomeriggio i maschi si riunirono in assemblea. Per parlare dello scherzo da fare<br />
alle sorelle Bucochiuso. Programmarono per il sabato. E aderirono tutti alla proposta<br />
<strong>di</strong> Ben e Pompeo. Sfilare nu<strong>di</strong> o parzialmente nu<strong>di</strong>, ma obbligatoriamente con<br />
l’uccello <strong>di</strong> fuori.<br />
> chiese Giovanni Sempreduro.<br />
> <strong>di</strong>sse Pompeo.<br />
> <strong>di</strong>ssero i ragazzi.<br />
Quella sera Devozione e Consolata Bucochiuso ritornarono in presidenza a fare<br />
quattro chiacchiere con Ben e Pompeo. Alla fine , non sapendo che cazzo fare, Ben e<br />
Pompeo convinsero le sorelle a giocare a scopa.<br />
><br />
><br />
>chiesero quelle.<br />
> risposero Ben e Pompeo.
><br />
Giocando con arte Pompeo e Ben a volte vinsero e a volte persero. Pertanto ci fu un<br />
progressivo spogliarello reciproco. Alla fine erano tutti e quattro in mutande. La<br />
partita conclusiva fu persa dalle ragazze che restarono nude. Ben e Pompeo invece<br />
erano in mutande.<br />
> chiesero quelle.<br />
> <strong>di</strong>sse Ben.<br />
><br />
> propose Pompeo.<br />
><br />
><br />
> <strong>di</strong>ssero le sorelle.<br />
Ben e Pompeo si tolsero le mutande e incominciò il balletto. Lo stato <strong>di</strong> eccitazione<br />
crebbe per tutti. Alla fine i ragazzi buttarono le caruse per terra e ci si piazzarono <strong>di</strong><br />
sopra . Con la testa tra le cosce. E la minchia che pendeva sulle facce <strong>di</strong> Devozione e<br />
Consolata.<br />
> chiesero le ragazze.<br />
><br />
Devozione e Consolata capirono che dovevano brindare ancora col latte <strong>di</strong> brigghiu.<br />
Ma fu piacevole anche quella lingua che alliccava il loro buco chiuso e quel<br />
pezzettino <strong>di</strong> carne che nei libri <strong>di</strong> biologia era in<strong>di</strong>cato col nome <strong>di</strong> clitoride. I<br />
ragazzi volevano fare <strong>di</strong> più, ma le ragazze posero l’alt.<br />
><br />
Quella notte Devozione e Consolata dormirono con le banane. Pompeo e Ben si<br />
proposero <strong>di</strong> rompere il buco alle sorelle <strong>prima</strong> del ritorno <strong>di</strong> Iatata. Erano felici ma<br />
sentivano la mancanza della zita e dell’amica. Devozione e Consolata erano il nulla.<br />
E visto che non avevano potuto trasiri nel corpo delle ragazze entrarono, a turno, nel<br />
loro corpo.<br />
> <strong>di</strong>sse Pompeo a Ben alla fine<br />
> precisò Ben.<br />
> <strong>di</strong>sse il<br />
romano.<br />
><br />
> chiese Pompeo.<br />
><br />
> <strong>di</strong>sse il romano.<br />
> puntualizzò Ben che nelle cose <strong>di</strong> pilu voleva la<br />
democrazia massima. Dormirono tenendosi la rispettiva ciolla in mano e pensando<br />
alla fica <strong>di</strong> Iatata . Che volevano visitare insieme contemporaneamente.
Su quel corso <strong>di</strong> sessualità libera Pompeo scisse poi un bel sonetto.<br />
< < Oggi, se fa educazione sessuale,<br />
Anzi, viè tu, Toto, sei interrogato.<br />
Hai capito quello che ieri ho spiegato?<br />
Dico, non è che ora risponni male?<br />
Te farò na domanna molto banale:<br />
tu ciai un<strong>di</strong>cianni o me so sbajato?>><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Conquisterò quella donna; la toglierò al marito che la profana: ar<strong>di</strong>rò<br />
rapirla sinanche al Dio che ella adora. Che delizia essere a volta a volta<br />
l’oggetto e il vincitore dei suoi rimorsi! Lontano da me l’idea <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>struggere i pregiu<strong>di</strong>zi che la circondano! Aumenteranno la mia<br />
felicità e la mia gloria. Creda alla virtù, ma me la sacrifichi, le sue<br />
colpe la spaventino, ma non la fermino.<br />
Ch. de Laclos<br />
Il genere umano che ha creduto e crede tante scempiaggini, non crederà<br />
mai né <strong>di</strong> non saper nulla, né <strong>di</strong> non essere nulla, né <strong>di</strong> non avere nulla<br />
da sperare.<br />
G. Leopar<strong>di</strong>
QUATTORDICI : NATALINO ER MAGNACCIA<br />
Quanno ’a matina, ’nfracetata ’e suonne,<br />
t’a avuote ’int’ ’e llenzole e quanno ’a sera<br />
jesce a fa’ ’a vita cu’ nu sciallo argiento, tu<br />
sempre, Granda, ’Nfame, m’arravuoglie.<br />
S. Di Natale; <strong>di</strong>aletto napoletano<br />
La fica è la cosa chiù moderna e chiù antica...............................................<br />
Quella mattina arrivò il tuttologo Kalò Bi- Gi. Che parlò e sparlò a trecentosessanta<br />
gra<strong>di</strong>. Ma sempre <strong>di</strong> sesso.<br />
><br />
Tutti applau<strong>di</strong>rono.<br />
illegittimi. E su questo potrei citare casi a iosa. . Anche <strong>di</strong> parrini <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong> e<br />
<strong>di</strong>ntorni. Ma lascio ai posteri l’arte del cazzeggio locale. Per fortuna ci fu , a suo<br />
tempo, la rivoluzione francese. E l’Europa iniziò a liberasi dal cappio strangolatore<br />
della chiesa. Quel cappio che circondava il collo <strong>di</strong> tutti. E non solo. Circondava<br />
anche i coglioni e la testa della ciolla. Pronta a strozzare gli uccelli del maschi. E a<br />
sterilizzarli. Mentre ai buchi femminini quelli volevano mettere il tappo. Poi i roghi si<br />
spensero e la mentula e il cunnu iniziarono il loro cammino verso una nuova libertà.<br />
Che è ancora poca, ma in futuro migliorerà.>><br />
Tanti fecero domande e il tuttologo rispose.<br />
Il venerdì sera le sorelle Devozione Consolata Bucochiuso tornarono in presidenza. E<br />
quella sera avevano pitittu <strong>di</strong> sentire la banana <strong>di</strong> carne , se non nel buco chiuso, che<br />
chiuso doveva restare, almeno nel buco alternativo. Ne avevano <strong>di</strong>scusso e avevano<br />
deciso <strong>di</strong> facilitare l’operazione, nel caso che Ben e Pompeo non ci avessero provato.<br />
Andarono a trovarli che era tar<strong>di</strong>. I ragazzi erano già nel sacco a pelo. Loro ci si<br />
ficcarono piano piano, dopo essersi smutandate. E dopo aver giocato con i piselli <strong>di</strong><br />
carne si misero a pancia in giù. Tutto accadde come previsto e senza <strong>di</strong>re una sola<br />
parola. Fu quella la messa in culo del silenzio. Solo quando Ben e Pompeo ripartirono<br />
all’attacco dell’altro buco Devozione e Consolata <strong>di</strong>ssero >.<br />
> <strong>di</strong>ssero i ragazzi.<br />
Le ragazze risposero >.<br />
Il giorno dopo venne Micio Tempio. Che parlò del suo matrimonio con Kosetta<br />
Fikaminkianova . E invitò tutti a vedere la cerimonia, che sarebbe stata esplosiva.<br />
Poi parlò del sesso nella letteratura. Parlò <strong>di</strong> robe antiche e <strong>di</strong> robe moderne. Parlò <strong>di</strong><br />
Elena <strong>di</strong> Troia e <strong>di</strong> una guerra fatta per una fica. Parlò <strong>di</strong> autori greci e latini che<br />
scherzavano col sesso degli dei e degli uomini. Parlò delle posizioni preferite dagli<br />
antichi per fare l’amore. Il cavallo <strong>di</strong> Ettore e la Venere a posteriori. Parlo<br />
dell’Aretino, del Boccaccio. Di conventi simili a bordelli e <strong>di</strong> frati e monache che si<br />
passavano il tempo a fare ficca ficca. Concluse parlando del suo “ Sticchio glorioso”.<br />
Un omaggio al buco che muove e smuove il mondo. Che muove e smuove i<br />
sottapanza masculini.<br />
> <strong>di</strong>sse Micio Tempio.<br />
E citò femmine della storia che con la fica avevano conquistato il potere.<br />
Quella sera gli occupanti videro tutti insieme un film su un magnaccia. Non alla tv<br />
moralista e bacchettona. Ma sulla parete del teatrino della scuola e utilizzando il<br />
proiettore della stessa. Il film era stato affittato a Catania. E su quello fecero un<br />
<strong>di</strong>battito. Tutti erano contrari allo sfruttamento del sesso. Si poteva fare la buttana sì,<br />
ma in piena autonomia. Non perché lo imponeva o lo desiderava il magnaccia. Il film<br />
era bellissimo. E per la <strong>prima</strong> volta <strong>di</strong> vedevano dei nu<strong>di</strong> maschili e femminili.
Nu<strong>di</strong> frontali. Con pacchi bed<strong>di</strong> pelosi e cazzi in erezione. Ci mancava solo il sesso in<br />
azione. Ma era ben simulato. Il film era tedesco. Su quella storia il solito Pompeo<br />
esercitò la sua arte poetica scrivendo il sonetto “NATALINO ER MAGNACCIA”<br />
Io so Natalino e fo er magnaccia,<br />
vivo sur lavoro de le cristiane<br />
ch'aricevono uccelli in cerca 'e tane.<br />
Così tiro avanti sta vitaccia.<br />
So un tipo ch'a ha tutti rido in faccia,<br />
nun ho gnente da perde , monno cane,<br />
nun m'accontento d'un tozzo de pane,<br />
nun penso mai a sarvà l'animaccia.<br />
E donne pe' me vanno a fasse fotte<br />
in cambio de na certa protezione.<br />
E per chi la sbaja un sacco de botte.<br />
Mo' renno grazie - e non p'esse cojone -<br />
a san Cazzo patrono de mignotte<br />
che ma fatto fa' na gan posizione.<br />
Ubi rationabilitas, ibi necessario libertas.<br />
Dove avrai spazio per ragionare, lì necessariamente la libertà.<br />
G. Scoto Eriugena<br />
Disgrazia a chi provoca le rivoluzioni, ma anche a chi le fa.<br />
G. Danton
QUINDICI : MAMMA SIMONA<br />
Ner monno ha fatto Id<strong>di</strong>o 'ggni cosa deggna:<br />
Haffatto tutto bbono e tutto bbello.<br />
Bono l'inverno, più bbona la leggna:<br />
Bono assai l'abbozza, mmejjo er cortello.<br />
Bona la santa fede e cchi l'inzeggna,<br />
Più bbono che cce crede in der ciarvello:<br />
Bona la castità, mmejjo la freggna:<br />
Bono er culo, e bbonissimo l'uscello.<br />
G. Belli; <strong>di</strong>aletto romanesco<br />
“Minchia.. e chi chiovunu cazzi pi mia..”<br />
<strong>di</strong>sse Danae intanto che Giove la futtia.<br />
Arrivò il sabato sera. La sera della sfilata. Tutte le ragazze erano in platea. Nessun<br />
ragazzo aveva rinunciato ad esibire le sue qualità nascoste. Sul palco c’erano i<br />
presentatori ufficiali della serata. Ben Cicidda e Pompeo Sorcaealtro. Erano in pareo.<br />
> <strong>di</strong>sse Ben.<br />
> aggiunse Pompeo.<br />
> <strong>di</strong>sse Ben.<br />
> <strong>di</strong>sse Pompeo. >.<br />
> concluse
Ben. Così <strong>di</strong>cendo Ben e Pompeo fecero cadere il loro pareo e restarono nu<strong>di</strong>, con la<br />
ciolla semigonfia esposta alla pubblica visione.<br />
> fecero le ragazze che sapevano in cosa consisteva lo spettacolo.<br />
Anche le sorelle Devozione e Consolata fecero “Ohhhh..”. Ma la loro era sorpresa<br />
autentica. E per la <strong>prima</strong> volta pensarono che tipo <strong>di</strong> sfilata poteva essere. E<br />
indovinarono. Col commento <strong>di</strong> Ben e Pompeo sfilarono tutte le minchie dei tre<br />
istituti. Sarebbe stato bello avere in platea anche le sorelle Stoccacitrolo per<br />
contemplare la gamma varia e variabile dei citroli <strong>di</strong> quelle tre scuole. Sfilò <strong>di</strong> tutto.<br />
Cazzi piccoli e gran<strong>di</strong>, cazzi mosci, semimosci e cazzi duri, cazzi chiari e cazzi scuri,<br />
minchie incappellate e minchie scappellate, minchie nude e minchie ficcate dentro un<br />
preservativo, cazzi col fiocco e cazzi colorati, cazzi con la panna e cazzi con la salsa.<br />
I commenti dei due presentatori furono esilaranti.<br />
><br />
E durante la sfilata la minchia <strong>di</strong> Ben e il creapopoli <strong>di</strong> Pompeo , a picca a picca<br />
gonfiarono. Si arrivò alla fine che i due tenevano la minchia dura come il marmoro.<br />
Dura come il marmoro ma calda come la lava. Le ragazze taliarono estasiate la<br />
sfilata. In particolare le sorelle Bucochiuso. Alla fine Pompeo e Ben si abbracciarono<br />
davanti a tutti. E nell’abbraccio si trovarono minchia contro creapopoli. Per salutarsi<br />
non si <strong>di</strong>edero la mano, ma si presero l’uccello in mano.<br />
Accussì, mentre tutti i modelli tornavano sul palco, lo spettacolo finì. Finì che tutti<br />
<strong>di</strong>edero il culo alla platea. Una marea <strong>di</strong> culi. E una marea <strong>di</strong> applausi segnò la fine<br />
dello spettacolo.<br />
Quella notte Devozione e Consolata decisero <strong>di</strong> darla via. Era corsa voce che Iatata<br />
sarebbe rientrata il giorno dopo. Anche se non aspiravano ad avere Ben e Pompeo<br />
sempre per loro, desideravano la loro <strong>prima</strong> volta con quei due ragazzi . E quella<br />
notte raggiunsero decise la presidenza . Entrarono senza bussare. E sentirono subito<br />
dei sospiri.<br />
> <strong>di</strong>sse piano piano Consolata alla<br />
sorella.<br />
> rispose Devozione.<br />
> <strong>di</strong>sse la <strong>prima</strong>.<br />
><br />
E accese la luce. Non c’era nessuna ragazza. Ben e Pompeo si la stavano minando<br />
reciprocamente. E intanto si baciavano.<br />
> <strong>di</strong>sse Devozione.<br />
> rispose l’altra.<br />
> <strong>di</strong>sse Ben tranquillo come una pasqua.
aggiunse il romano sorridendo.<br />
Le sorelle scoppiarono a ridere .<br />
><br />
Adesso risero i ragazzi . E smisero anche <strong>di</strong> minarsela. Devozione e Consolata si<br />
avvicinarono facendo volare via la cammisa da notte.<br />
> <strong>di</strong>ssero.<br />
Pompeo e Ben le taliarono con la faccia assai assai rincoglionita. Le femmine ci si<br />
buttarono addosso. Per la sorpresa le candele si ammosciarono. E nonostante i baci<br />
bocca a bocca e la conseguente glossomachia le candele non si riaccesero. Ma le<br />
mani e la bocca delle ragazze fecero poi il miracolo. E finalmente le sorelle<br />
Bucochiuso si fecero aprire in loro buco. Con calma, tranquillità, passione, e<br />
delicatezza le candele dei ragazzi entrarono dentro e in un crescendo <strong>di</strong> piacere le<br />
portarono all’orgasmo. Dopo, tanto per sperimentare, le sorelle cambiarono<br />
marrugghio. Dormirono insieme quella notte e l’indomani mattina fecero ancora del<br />
buon sesso. Si fecero un giro doppio <strong>di</strong> minchia .<br />
Quella sera domenicale rientrò Iatata . Bella piu che mai. Rientrò che erano le <strong>di</strong>eci <strong>di</strong><br />
sera. Ben e Pompeo ci avevano perso la speranza. Le sorelle Bucochiuso ci sperarono<br />
fino alla fine. Potevamo passare una nuova notte coi loro amici <strong>di</strong> sesso. Invece Iatata<br />
rientrò e dopo aver raccontato a tutti quattro cose si chiuse in presidenza con l’amico<br />
e lo zito. E raccontò della scoperta <strong>di</strong> suo padre Cepito. Concettina era la vera nonna.<br />
E Concetto Cicidda, il nonno <strong>di</strong> Ben, era anche suo nonno.<br />
> <strong>di</strong>sse allora Ben<br />
><br />
aggiunse Pompeo.<br />
> <strong>di</strong>sse Iatata .<br />
> chiese Pompeo che credeva in quell’amore a<br />
tre. Ben e Iatata si taliarono negli occhi e <strong>di</strong>ssero:<br />
><br />
> chiese Pompeo..<br />
><br />
> chiese Pompeo.<br />
> <strong>di</strong>ssero i cugini fidanzati.<br />
Pompeo e Ben raccontarono a Iatata che si erano consolati l’un l’altro. L’uno nella<br />
braccia dell’altro. E che avevano anche fatto l’amore. L’uno con l’altro.<br />
> <strong>di</strong>sse lei seria.<br />
> <strong>di</strong>ssero in coro Pompeo e Ben<br />
> E iniziò a spogliarsi. Si spogliarono anche i ragazzi. E si<br />
ficcarono nello stesso sacco a pelo. Iatata acchiappò i due uccelli e li baciò a lungo.<br />
Poi <strong>di</strong>sse : ><br />
> risposero i ragazzi.
Lei si mise <strong>di</strong> fianco e gli uccelli dei due ragazzi si ficcarono tra le sue cosce. Le<br />
cappelle si strofinarono tra <strong>di</strong> loro. La fica <strong>di</strong> Iatata li pisciò entrambi. Loro avevano<br />
in testa <strong>di</strong> ficcare lo strumento insieme nella fica <strong>di</strong> lei. Ma non sapevano da dove<br />
iniziare. Lei li voleva e basta.<br />
Allora i ragazzi iniziarono a puntare la propria cappella contro la fica <strong>di</strong> lei. Una volta<br />
la trasia uno. Una volta l’altro. E lei sospirava in modo <strong>di</strong>verso, come in un gioco<br />
prestabilito. Se trasia Ben facia “Ihhhhh… “, se trasia Pompeo facia “ Uhhhh….”. E<br />
loro stettero a quel gioco improvvisato. E ogni volta trasivano <strong>di</strong> più. Fino a quando<br />
si presentarono entrambi all’ingresso.<br />
E lei fici “ Ehhh…”. Iniziarono ad entrare insieme .Pronti a smettere se lei lo<br />
chiedeva. Invece a sorpresa lei <strong>di</strong>sse:<br />
><br />
E loro entrarono. La fica <strong>di</strong> Iatata li ricevette entrambi. Nonostante fossero due belle<br />
minciazze. Uno trasiva, l’altro usciva. La sensazione delle due minchie che si<br />
toccavano era bella e piacevole per entrambi.<br />
> <strong>di</strong>sse lei<br />
> precisarono i ragazzi. Alla fine vennero. L’orgasmo fu trino.<br />
> <strong>di</strong>sse la ragazza.<br />
> risposero i ragazzi.<br />
> <strong>di</strong>ssero tutti insieme. E si <strong>di</strong>edero un complicato bacio a tre.<br />
Poi si riposarono e Iatata raccontò quello che aveva appreso su nonna Concettina.<br />
Compreso il suo passato <strong>di</strong> buttana nei casini romani. Col nome d’arte <strong>di</strong> Simona. E<br />
la carriera fatta poi, tanto da <strong>di</strong>rigere un casino <strong>di</strong> stato . O meglio, un casino <strong>di</strong><br />
regime. Fino al rientro a <strong>Monacazzo</strong> e il ritorno a una vita semplice e normale.<br />
Stava albeggiando quando Iatata chiese <strong>di</strong> vedere come si erano consolato in sua<br />
assenza. Ben e Pompeo glielo mostrarono. Senza censure e omissioni se la misero nel<br />
culo con passione. Dichiarandosi il loro amore. Questo riaccese il desiderio nella<br />
bocca del culo <strong>di</strong> lei.<br />
> <strong>di</strong>sse.<br />
I ragazzi l’accontentarono. Uno alla volta però. Per dovere <strong>di</strong> ospitalità iniziò<br />
Pompeo che a sua volta fu inculato da Ben. Poi si scambiarono le parti.<br />
Successivamente, mentre i cugini incestuosi dormivano, Pompeo de<strong>di</strong>cò una bella<br />
composizione a Simona, il nome d’arte <strong>di</strong> Concettina Inconsolata Cazzamari per fare<br />
la buttana.<br />
Questa la composizione de<strong>di</strong>cata a Simona.<br />
Quanno a Roma imperiava Mussolini<br />
mamma mia bella lavorava nei casini.<br />
Lo faceva per il bene dell’impero italiano,<br />
per lo sfogo dei soldati dell’impero puttano.<br />
Era pure al seguito della marcia su Roma:<br />
burini, fantini, le altre e lei, Simona.<br />
Era pure l’amante <strong>di</strong> uno der mazzo:
lui regnava sulla polizia, lei sur suo cazzo.<br />
Era sul palco d’onore d’ogni manifestazione,<br />
non temeva nessuno, era un cervellone.<br />
Così fu incaricata <strong>di</strong> organizzare i casini <strong>di</strong> stato,<br />
per il bene, la salute e lo sfogo dell’eroe soldato.<br />
Ed ecco nascere il primo casino del “ cazzo imperiale “.<br />
A Roma, in una traversa <strong>di</strong> via Nazionale.<br />
Sulla grande insegna, sistemata tra due portoni,<br />
un cazzo sproporzionato con tre coglioni.<br />
Qui Simona <strong>di</strong>rigeva il traffico degli amplessi<br />
tra zoccole rispettose e fascisti stupi<strong>di</strong> e fessi.<br />
C’erano pure dei reparti speciali, riservati.<br />
Per <strong>di</strong>rigenti, podestà e alti.. alti prelati.<br />
Ognuno <strong>di</strong> questi signori era catalogato,<br />
ogni loro <strong>di</strong>scorso veniva registrato.<br />
Così tra infinite fottute e altrettanti pompini<br />
il regime spiava i suoi stessi aguzzini.<br />
Così si sapeva che il signor tale preferiva il coito orale,<br />
che un ministro inculava al suono della “marcia reale”,<br />
che un alto prelato fotteva gridando “ Dio sia lodato”,<br />
e che un principino inculando voleva essere inculato.<br />
Insomma, si sapeva chi erano i fedeli e chi i farabutti,<br />
e il regime la dava un po’ in culo a tutti<br />
Poi l’organizzazione si estese a tutto in neo impero romano,<br />
e lei, novella Poppea , regnava con il cazzo in mano.<br />
In quanto a me sarei figlio <strong>di</strong> un certo car<strong>di</strong>nale,<br />
ma non è escluso che sii figlio <strong>di</strong> qualche altro tale.<br />
Alla fine della guerra mamma sposò un conte decaduto<br />
e brindò alla faccia del regime che s’era trovato fottuto.<br />
Una volta che a Roma non imperiava più Mussolini<br />
mia madre non lavorava più nei casini.<br />
Quel tale era morto ammazzato a la pompa della benzina<br />
mentre l’Italia era ridotta a una grande rovina<br />
dove regnavano miseria , morte e devastazione<br />
frutto <strong>di</strong> vent’anni <strong>di</strong> potere nelle mani <strong>di</strong> un coglione.<br />
D’altra parte, con l’avvento de regime demo- clericale,<br />
Mamma <strong>di</strong>venne presidentessa <strong>di</strong> una organizzazione sociale:<br />
si occupava un po’ <strong>di</strong> tutto, dai bambini abbandonati<br />
ai vecchi, ai vedovi, agli infermi e pure <strong>di</strong> matti e sbandati.<br />
Da tutti era adorata , da tutti era temuta.<br />
Nessuno osava più <strong>di</strong>re che fu una prostituta.<br />
Alla morte un grande e lussuoso funerale,<br />
la messa solenne, in duomo , celebrata da un car<strong>di</strong>nale.<br />
Fra le tante corone, quella del capo ello stato,
in quanto al Vaticano anche lui era rappresentato.<br />
Sulla lapide fu scritto “Qui giace Badalamenti Simona,<br />
esempio fulgido <strong>di</strong> donna virtuosa, pia e buona.”<br />
O compagno, giù la zappa; scappa scappa!<br />
Conosci tu ladroni peggio dei padroni?<br />
P. Bettini<br />
Mi stupisco non <strong>di</strong> coloro che cercano <strong>di</strong> spiegare l’incomprensibile,<br />
ma <strong>di</strong> coloro che credono <strong>di</strong> aver già trovato la spiegazione.<br />
G. Flaubert
SEDICI : ER CORNUTO<br />
Si vergognano gli uomini, degli atti sessuali, tanto che anche i rapporti<br />
coniugali, pur <strong>di</strong>stinguendosi per la <strong>di</strong>gnità dello stato matrimoniale, non<br />
sono mai esenti <strong>di</strong> vergogna.<br />
San Tommaso<br />
Li corna d’oro sunu sempri nu tesoro..<br />
Li corna pizzenti fanu sulu parrari la genti.<br />
La mattina del primo maggio, in attesa <strong>di</strong> Nikj Sciò, i ragazzi fecero una gara <strong>di</strong><br />
battute in latino vero o maccheronico. Queste le più belle.<br />
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Il primo maggio venne Nikj Sciò. Il pittore che aveva patito sotto il fascismo per due<br />
motivi. Fare arte degenerata ed essere frocio. Lui e il suo Alessjo erano stati<br />
minacciati da quei coglioni in camicia nera.<br />
> <strong>di</strong>sse ai ragazzi che ascoltavano incantati quell’intreccio<br />
d’amore e arte che era la vita del più famoso figlio <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>.<br />
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Nikj cito pure Orazio “Già <strong>prima</strong> <strong>di</strong> Elena la fica fu causa orrende <strong>di</strong> guerre “. Parlò<br />
degli amori <strong>di</strong> Eracle e Iolao, Teseo e Piritoo, Achille e Patroclo, Oreste e Pilade e<br />
altri ancora. Citò Eschilo. “ la sacra comunione delle cosce”. Parlò <strong>di</strong> Apollo e dei
suoi amanti: Giacinto, Ciparisso e Admeto. Parlò <strong>di</strong> Platone e del concetto <strong>di</strong> “ phlìa<br />
<strong>di</strong>à tòn érota” , ovvero <strong>di</strong> amicizia che nasce dall’amore.<br />
> <strong>di</strong>sse poi<br />
convito Nikj.<br />
Raccontò che all’inizio, vista la <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> età, tra lui e Alessjo, il loro era stato il<br />
classico rapporto greco tra erastes ed eromènos , tra amante e amato, ma poi col<br />
tempo si era trasformato. Erano <strong>di</strong>ventati solo amanti.<br />
Nikj passo la notte all’interno della scuola occupata e insieme ai ragazzi <strong>di</strong>pinse un<br />
murales rivoluzionario. Una sorta <strong>di</strong> Giu<strong>di</strong>zio universale laico.<br />
Nella sala d’ingresso raffigurò una serie <strong>di</strong> rivoluzionari con le ban<strong>di</strong>ere rosse.<br />
C’erano Cristo, Platone, Apollonio <strong>di</strong> Tiana, Marx, Bakunin, Garibal<strong>di</strong>, Darwin ,<br />
Galileo, Voltaire, Diderot, Lenin, il Che, Mao, Castro, suo figlio Alex , Pompeo, Ben<br />
e Iatata e altri… Ci si mise, su richiesta dei ragazzi, anche lui . E aggiunse Alessjo.<br />
E su richiesta dei ragazzi pittò pure Eusebia Ferretti, per la rivoluzione sessuale,<br />
Tonino Incardasciò, per la rivoluzione politica, Calogero Bellarmino - Gugliotta per<br />
la rivoluzione critica e libertaria. Tutti nu<strong>di</strong> e con la ban<strong>di</strong>era rossa. E al vento pure<br />
gli stigghioli. E sotto i loro pie<strong>di</strong>, in una sorta <strong>di</strong> inferno laico, preti e coglioni vari.<br />
Nu<strong>di</strong> anche loro. Si riconoscevano padre Augustin, padre Ciollardente , padre<br />
Cacaceddu, le tre sorelle Stoccacitrolo, la santa botanica e autri scassacazzi e<br />
rompicoglioni autorizzati <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>.<br />
La sera del tre maggio una mano anonima consegnò un pacco. Era in<strong>di</strong>rizzato a Ben,<br />
Iatata e Pompeo. Dentro c’era una bobina. Di quelle fatte in casa. Un biglietto scritto<br />
a stampatello <strong>di</strong>ceva. FILMATO SULLE TRE SIGNORE MINCHIATRINA. DA<br />
VEDERE TUTTO.<br />
I ragazzi capirono che era qualche sceneggiata <strong>di</strong> quelle che si fanno a casa per<br />
lasciare un ricordo ai posteri. Qualche compleanno o roba simile. Comunque<br />
montarono la bobina e <strong>di</strong>edero il via alla proiezione. Infatti era un compleanno. Era la<br />
festa dei cinquant’anni del dottor Minchiatrina. Una festa strana , non c’erano invitati.<br />
Erano loro quattro, nella villa <strong>di</strong> campagna del dottore. C’era il tavolo tutto bello<br />
apparecchiato e la cinepresa in posizione fissa. E i quattro che mangiavano.<br />
> <strong>di</strong>sse qualcuno.<br />
> <strong>di</strong>sse qualcun altro.<br />
><br />
<strong>di</strong>sse un altro. Anche Ben , Pompeo e Iatata si stavano scassando i coglioni. Quel<br />
filmato era una cagata mastodontica.<br />
Ma all’improvviso la scena si animò. Purtroppo non c’era il sonoro. La tre sorelle<br />
Stoccacitrolo si misero a ballare in modo sensuale. Sculettavano e sia annacavano le<br />
minne. Facevano la mossa. E il dottore si mise a ballare con loro. E loro<br />
incominciarono a spogliarlo. Ci scippanu la cammisa, li causi, la canottiera e lu<br />
lassanu cu li mutanni. E sutta li mutanni paria ca c’era na bestia.<br />
> si chiese qualcuno.<br />
In platea c’era il massimo silenzio. Un religioso silenzio. Tutti avevano capito che<br />
quello era un documento <strong>di</strong> particolare importanza. Le tre ammuccaparticoli e
caca<strong>di</strong>avoli erano invece delle gran<strong>di</strong> minchiofile. Tutti taliavano e volevano vedere<br />
dove minchia andava a parare quel filmato. Che sicuramente qualcuno aveva rubato.<br />
Perché la cinepresa era su posizione fissa. E loro, i protagonisti, si esibivano sapendo<br />
sempre dove taliare. E infatti la sorpresa arrivò. E fu esplosiva. Il dottor Minchiatrina<br />
era rimasto solo avanti alla cinepresa. Solo e in mutande . Ma taliava la cinepresa con<br />
uno sguardo fisso. Uno sguardo erotico pieno <strong>di</strong> pititto come quello che teneva<br />
dentro le mutande e che rischiava <strong>di</strong> esondare, tracimare, sciri fora. E infatti sciu la<br />
cappella del dottore, si affacciau. Anche lei paria taliare verso la cinepresa. In realtà<br />
la minchia e la faccia del dottore taliavano oltre la cinepresa. Dove stava succedendo<br />
qualcosa <strong>di</strong> bello. Qualcosa che veniva messo in atto dalle sorelle Stoccacitrolo.<br />
Sicuramente uno spogliarello. E così stava la situazione. Perché all’improvviso tre<br />
femmine nude comparvero . Ma erano <strong>di</strong> spalle. Comunque erano le tre sorelle. Si<br />
avvicinarono al dottore e ci scipparono le mutande.<br />
> fecero maschi e femmine. Il dottore Minchiatrina non aveva tre<br />
minchie, ma teneva un cazzo scicchignu che era veramente un capolavoro della<br />
biologia. Nessuno dei ragazzi, neanche i più dotati, poteva fare concorrenza a quella<br />
bestia. Ecco perché il dottore riusciva a sod<strong>di</strong>sfare tre femmine. E le tre femmine,<br />
una volta scippate le mutande la dottore, iucanu un po’ con quell’aceddu e poi si<br />
misunu a sucari. In tre. Ma ci stava materiale sufficiente. Il filmi finì col dottore che<br />
sputava simenta sulle facce delle sorelle Stoccacitrolo.<br />
> <strong>di</strong>ssero tutti.<br />
><br />
><br />
><br />
In piazza. E intanto cantarono “Contessa.”<br />
A maggio scoppiò la rivolta francese. Parigi insorse contro i benpensanti, i moralisti,<br />
i conservatori. Le barricate del liberalismo sorsero spontanee. Anche in Italia<br />
successe un sessantotto. A <strong>Monacazzo</strong> la scuola fu sgomberata dalla polizia. Ma era<br />
già vuota. Trovarono tutto a posto, in or<strong>di</strong>ne, pulito. A parte una raccolta <strong>di</strong><br />
profilattici usati sulle scrivanie delle tre presidenza, i ritratti <strong>di</strong> Marx al posto dei<br />
crocefissi, e lo scheletro sistemato all’ingresso con le tre minchie <strong>di</strong> plastica. Per il<br />
resto era tutto in or<strong>di</strong>ne. Tutto, tutto, tutto.<br />
Ma la protesta interna passò, si spostò sulle piazze. Operai e conta<strong>di</strong>ni si unirono agli<br />
studenti. Le barricate si svilupparono anche nel profondo sud. Ciccio Cicidda si intisi<br />
in pericolo. Padre Ciollardente pensò alla rivoluzione francese e a quella russa, e si<br />
sentì straminacciato. Padre Cacaceddu si immaginò in qualche prigione del popolo .<br />
E si sentì quasi pronto ad andare davanti a un tribunale laico. Per essere condannato e<br />
<strong>di</strong>ventare un martire.<br />
Le sorelle presi<strong>di</strong> Stoccacitrolo presentarono una denunzia contro ignoti per “ furto<br />
dei sacri crocefissi, offesa alla loro <strong>di</strong>gnità per la volgare e insinuante messinscena
dello scheletro con tre organi genitali e per aver trasformato l’e<strong>di</strong>ficio scolastico in un<br />
lupanare.”<br />
Come prova e conferma <strong>di</strong> ciò consegnarono uno scatola piena <strong>di</strong> profilattici usati. E<br />
un pacco <strong>di</strong> giornali porno scritti in tedesco.<br />
> <strong>di</strong>sse Cirina Stoccacitrolo.<br />
> <strong>di</strong>sse il maresciallo<br />
Mezzocazzone che dentro <strong>di</strong> sé rideva per la storia dello scheletro con tre minchie.<br />
Tutti sapevano che le tre sorelle erano le mogli del dottore Minchiatrina.<br />
Poi venne fuori la ricevuta e si scoprì che i crocefissi erano stati spe<strong>di</strong>ti al papa in<br />
persona. Della cosa si occuparono i giornale con giu<strong>di</strong>zi <strong>di</strong>versi. L’impressione fu<br />
che era iniziata una nuova campagna per la libertà d’opinione e la laicità dello stato.<br />
In Italia c’erano ancora la censura, la religione <strong>di</strong> stato e mancavano il <strong>di</strong>vorzio e<br />
l’aborto. C’era insomma la <strong>di</strong>ttatura cattolica. E l’Europa rideva <strong>di</strong> noi.<br />
Intanto che a <strong>Monacazzo</strong> infuriava la protesta <strong>di</strong> piazza, padre Ciollardente si<br />
presentò a scuola con il cugino sacrestano e incensò, bene<strong>di</strong>sse e esorcizzò tutte le<br />
aule e gli uffici <strong>di</strong> segreteria . In ogni aula recitò la formula:<br />
><br />
Con particolare cura, assistito dalle sorelle Stoccacitrolo in abito da cerimonia,<br />
purificò le relative presidenze. Padre Ciollardente trovò scandaloso l’affresco <strong>di</strong><br />
Nikj.<br />
> <strong>di</strong>sse.<br />
Padre Ciollardente si scandalizzò assai assai per il murales. Si riconobbe e chiese<br />
ufficialmente <strong>di</strong> cancellarlo. Le presi<strong>di</strong> ci tenevano a quell’opera d’arte. Poteva<br />
<strong>di</strong>ventare una attrazione turistica. Lurdu o no , era un murales <strong>di</strong> Nikj Sciò. E questo<br />
nonostante ci fossero loro tre nude.<br />
> aveva detto Cirina la <strong>prima</strong> volta che<br />
aveva visto il murales.<br />
> aveva detto Alfia.<br />
> aveva<br />
aggiunto Filadelfia.<br />
Ma alla fine, nonostante fosse un murales <strong>di</strong> Nikj Sciò, si impegnarono per una<br />
imminente cancellazione. Padre Ciollardente era peggio <strong>di</strong> quegli stupidotti che<br />
avevano messo le mutande al giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> Michelangelo. Almeno avevano messo le<br />
mutande soltanto. Qua si prometteva la cancellazione totale. Non un nuovo<br />
Brachettone, ma un cancellatore doveva quanto <strong>prima</strong> entrare in azione.
La domenica successiva padre Ciollardente parlò <strong>di</strong> quella porcheria del murales. E<br />
chiese <strong>di</strong> pregare per l’autore. E per i suoi collaboratori. Raccontò pure che la scuola<br />
era <strong>di</strong>ventata una novella Sodoma e Gomorra. Pertanto si doveva pregare per i<br />
peccatori. Raccontò che erano stati trovati parecchi strumenti del demonio come tanti<br />
profilattici, tra l’altro usati, e dei giornali <strong>di</strong> una oscenità che vedendoli aveva pianto.<br />
Pertanto bisognava pregare anche per coloro che avevano procurato quel materiale. I<br />
cappottini <strong>di</strong> plastica e il giornali osceni. Il cugino sacrestano invece si alliccò il<br />
musso. Se n’era fottuto uno e lo teneva nascosto, niente a che vedere con i giornali<br />
che vendevano in Italia. Qui c’era tutto e il contrario <strong>di</strong> tutto. E soprattutto si vedeva<br />
tutto. E lui su quel giornale esercitava la sua arte minatoria. Intanto il parrino<br />
elencava le sue argomentazione e chiedeva <strong>di</strong> pregare per tizio o caio.<br />
><br />
> rispondeva la gente.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
< Preghiamo per chi accattato quelle porcherie <strong>di</strong> plastica..>><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Tutti rispondevano amen , tranne il cugino sacrestano. Lui rispondeva sempre “ ma<br />
minu.. ma minu.. ma minu..” Alla fine il prete annunciò il matrimonio <strong>di</strong> Micio<br />
Tempio e <strong>di</strong> Kosetta Fikaminkianova. Tutti si taliano nelle balle degli occhi.<br />
> queste le domande che i<br />
monacazzesi si fecero con gli occhi o sottovoce.<br />
Padre Ciollardente, come interpretando il pensiero dei suoi fedeli, <strong>di</strong>sse.<br />
><br />
E nel <strong>di</strong>re ciò ebbe una erezione spontanea. Il suo trionfo ideologico si concretizzava<br />
in quell’erezione. Era doveroso ricorrere a una parrocchiana e alla sue amorevoli curi.
Ai moti <strong>di</strong> piazza partecipo anche Alex Incardasciò, il figlio <strong>di</strong> Nikj Sciò. E guidò la<br />
rivolta con capacità e classe da rivoluzionario che sapeva cosa minchia fare quando<br />
c’era un problema. Con lui era un bella fregna tedesca che per la rivoluzione aveva<br />
l’istinto scritto nel DNA.<br />
Ai primi <strong>di</strong> giugno tutto finì.<br />
> commentò Ciccio Cicidda.<br />
> <strong>di</strong>ssero le sorelle<br />
Stoccacitrolo.<br />
> <strong>di</strong>sse Padre<br />
Ciollardente.<br />
Gli esami <strong>di</strong> stato andarono bene. C’era stata una sorta <strong>di</strong> grazia imposta dall’alto. Il<br />
presidente della commissione del geometra era un notorio cornuto <strong>di</strong> un paese vicino.<br />
Fece poche domande e si immischiò picca. Ci piaceva cazzuliare, abbabbiare. Il<br />
presidente era si un cornuto notorio, ma era grande gran<strong>di</strong>ssimo uomo <strong>di</strong> cultura. Ma<br />
anche uomo d’or<strong>di</strong>ne. Per lui i moti <strong>di</strong> piazza avevano svalutato tutto. La vita adesso<br />
era quasi una barzelletta, e tutto era <strong>di</strong> conseguenza <strong>di</strong>ventato una barzelletta. Anche<br />
la scuola.<br />
> Questa era la sua idea fissa.<br />
Quella del liceo era la signora del primo, e se quello era un cornuto, la moglie poteva<br />
essere solo una cosa. E lo era.<br />
Ben prese sessanta. Parlò del tragico pessimismo leopar<strong>di</strong>ano e lo contrappose al<br />
gioioso splinni baudeleriano . Parlò della vita grama <strong>di</strong> Leopar<strong>di</strong> e la paragonò a<br />
quella felice e gaudente <strong>di</strong> Verlaine e Rimbaud. Tra L’infinito e I fiori del male , per<br />
lui, erano migliori questi ultimi. Discusse molto su la “VENERE ANADIOMENE” <strong>di</strong><br />
Rimbaud.<br />
><br />
Discusse molto del “ buco “ nella letteratura.
<strong>di</strong>sse . ><br />
E fece una colta <strong>di</strong>squisizione sull’opera dell’amico. In particolare citò anche<br />
Pasolini, il più grande poeta , cineasta e scrittore del dopoguerra. E citò un poesia che<br />
l’amico aveva de<strong>di</strong>cato al sommo poeta.<br />
Poi parlò <strong>di</strong> topografia. E <strong>di</strong> cose del geometra. Materie tecniche.<br />
Pompeo prese sessanta. Parlo della morte <strong>di</strong> <strong>di</strong>o e del superuomo. E fece un<br />
escursussu che lasciò i professori a bocca spalancata. Parlò poi del laicismo e della<br />
libertà nella letteratura e nell’arte. Citò un quadro <strong>di</strong> Courbet, che sicuramente un<br />
giorno sarebbe stato pubblicamente esposto, e che si intitolava L’origine del mondo.<br />
E con l’idea <strong>di</strong> libertà arrivò a citare l’eretico autore locale che con il suo ultimo<br />
lavoro aveva esaltato l’anatomia femminile. “Sticchio glorioso” era il titolo del<br />
lavoro. Ma Pompeo , senza citare il titolo e senza nominare la parte interessata, fece<br />
una bella <strong>di</strong>squisizione erotico - sessuale- artistica. E parlo dell’importanza che quella<br />
cosa aveva avuto nella letteratura. Dalla “cosa” <strong>di</strong> Elena <strong>di</strong> Troia alla “cosa “ <strong>di</strong><br />
Moravia passando per la “cosa” <strong>di</strong> Dulcinea che faceva sempre attisare la “ lancia” <strong>di</strong><br />
Don Chisciotte, , della “ cosa “ <strong>di</strong> Beatrice che metteva l’alloro del poeta sul “ coso”<br />
<strong>di</strong> Dante alla “ cosa “ <strong>di</strong> Laura, <strong>di</strong> Silvia, <strong>di</strong> Ofelia, della locan<strong>di</strong>era, <strong>di</strong> Lucia<br />
Mondella. Perché il mondo firriava attorno a quella “ cosa”. Quella “cosa” era il<br />
mondo che firriava intorno all’asse terrestre. Ma l’asse terreste era <strong>di</strong> carne e teneva<br />
una altro nome. E Moravia ci <strong>di</strong>alogava. Ma parlò tanto anche <strong>di</strong> Satana. Perché la<br />
“cosa” e il “coso” secondo molti erano l’incarnazione <strong>di</strong> Satana. Prima , durante e<br />
dopo il Boccaccio, la” cosa “ era l’inferno e il “ coso” il <strong>di</strong>avolo. Citò a memoria la<br />
bellissima “ LE LITANIE DI SATANA” <strong>di</strong> Baudelaire.<br />
Satana, abbi pietà del mio lungo penare!<br />
Tu, il cui occhio limpido sa gli arsenali profon<strong>di</strong> in cui, sepolto, dorme il popolo dei<br />
metalli,<br />
Satana abbi pietà del mio lungo penare!<br />
Tu, la cui lunga mano nasconde i precipizi che s'aprono al sonnambulo vagante<br />
sull'orlo delle cose,<br />
Satana, abbi pietà del mio lungo penare!<br />
Tu che, magicamente, addolcisci le vecchie ossa del nottambulo ubriaco calpestato<br />
dai cavalli,<br />
Satana, abbi pietà del mio lungo penare!<br />
Tu che per consolare l'uomo debole che soffre, ci insegnasti a mischiare lo zolfo col<br />
salnitro,<br />
Satana, abbi pietà del mio lungo penare!<br />
Tu che imprimi il tuo marchio, complice sottile, sulla fronte dell'impietoso e vile<br />
Creso,<br />
Satana, abbi pietà del mio lungo penare!<br />
Tu che poni negli occhi e nel cuore delle ragazze il culto della piaga, l'amore dei<br />
cenciosi,<br />
Satana, abbi pietà del mio lungo penare!<br />
Sostegno degli esuli, luce degli inventori, confessore degli impiccati e dei cospiratori,<br />
Satana, abbi pietà del mio lungo penare!<br />
Padre adottivo <strong>di</strong> tutti coloro che con nera furia Dio Padre ha cacciato dal para<strong>di</strong>so<br />
terrestre,<br />
Satana, abbi pietà del mio lungo penare!<br />
Preghiera<br />
Siano gloria e lo<strong>di</strong> a te, o Satana, nel più alto dei cieli, dove tu regnasti, e nelle<br />
profon<strong>di</strong>tà dell'Inferno, dove tu, vinto, sogni in silenzio! Fa' che un giorno la mia<br />
anima riposi presso <strong>di</strong> te sotto l'Albero della Scienza, nell'ora che sulla tua fronte i<br />
suoi rami come un nuovo Tempio s'intrecceranno!>><br />
Iatata prese sessanta. Parlò del <strong>di</strong>vo Gabriele e dell’idea del Piacere che poi estese ad<br />
altri campi.<br />
> <strong>di</strong>sse<br />
Iatata. >
Poi parlò del sacro e del profano. Citando la bellissima “A UNA MADONNA” <strong>di</strong><br />
Baudelaire.<br />
Appena il pareo <strong>di</strong> Ben e Pompeo cadeva la scena cambiava. E dal fondo del teatrino<br />
della scuola non si capiva se quelli erano nu<strong>di</strong> o con le mutan<strong>di</strong>ne. La gente taliava<br />
curiosa. Si vide pure lo scheletro con tre minchie. E si lessero i nomi delle tre sorelle.<br />
La piazza rise e alla grande. Il filmato finì con una sorpresa . Due culi in primo piano<br />
e della piscia che cadeva sul banano della preside. Ma non si vedevano le facce dei<br />
piscianti e neanche le loro ciolle impegnate nella biologica funzione della minzione.<br />
Il pubblico rise a vedere quei culi. Qualche spiritosa amata minchia gridò:<br />
><br />
N’autro cantò “ Scende la pioggia”.<br />
> chiese n’autro.<br />
> <strong>di</strong>sse un<br />
ragazzo al megafono.<br />
E partì il filmato delle sorelle Stoccacitrolo. I ragazzi si allontanarono. La gente capì<br />
subito che quello non era un filmato sull’occupazione , ma un filmato privato del<br />
dottore Minchiatrina. Tutti taliavano curiosi. Il filmato era stato rimontato. Iniziava<br />
col dottore che ballava in mutande da solo.<br />
> gridarono dei s<strong>di</strong>sanorati<br />
che erano in piazza.<br />
I carabinieri e i vigili urbani non sapevano che cazzo fare. Il dottore continuava a<br />
ballare sullo schermo. In mutande. E si vedeva uno strano gonfiore. Qualcuno gridò:<br />
><br />
I carabinieri si avvicinarono al proiettore. Pronti ad intervenire se vedevano cose<br />
strane. Ma non succedeva niente. Il dottore ballava e basta. Ballava in mutande. Ma a<br />
<strong>di</strong>re il vero si vedeva la coppola dello zio Vincenzo del dottore. Ma siccome era un<br />
filmato <strong>di</strong> quelli amatoriali l’immagine non era bella netta e la gente non ci fece caso.<br />
Solo il maresciallo Pirlabon, che era sotto il palco, notò la cosa. Ma all’improvviso<br />
comparvero tre donne nude . Di spalle. Le facce non si vedevano ma tutti capirono<br />
che erano le sorelle Stoccacitrolo.<br />
> gridò qualcuno.<br />
Il C.C. Pirlabon salì sul palco e <strong>di</strong> corsa. Capì che stava per succedere qualcosa <strong>di</strong><br />
brutto. E <strong>di</strong>ede una pedata al proiettore proprio nel momento in cui le sorelle<br />
scippavano le mutande al dottore . Fu un lampo. Non tutti si resero conto che quella<br />
cosa che passò veloce sullo schermo era la minchia del dottor Minchiatrina. Tanti<br />
videro e non videro. Capirono e non capirono. Compresero e non compresero.<br />
> si chiesero in<br />
tanti.<br />
> <strong>di</strong>ssero altri.<br />
> si chiesero la<br />
maggior parte delle persone che erano in piazza.<br />
> <strong>di</strong>ssero i<br />
pochi che videro chiaramente.<br />
Tra i presenti Nicola Cannolo con Tonina e Ninetta, padre Ciollardente e padre<br />
Cacaceddu, l’avvocato Cicidda con la moglie, Cepito e Tuzza e tanti altri. Non
c’erano, per loro fortuna, le sorelle Stoccacitrolo. E naturalmente neanche il loro caro<br />
maritino comune. Il materiale fu sequestrato.<br />
Intanto che i C.C. facevano il loro lavoro, i maturati, con le macchine a <strong>di</strong>sposizione,<br />
partirono per Noto. A fare un bagno notturno. Nu<strong>di</strong> e al buio.<br />
E nell’acqua ne successero <strong>di</strong> tutti i colori. Ci mancò poco che il mare e i pesci della<br />
zona scisseru incinti. E che quel seme versato nell’acqua si issi ad infilare nel buco <strong>di</strong><br />
qualche carusa e la facissi ad<strong>di</strong>vintari madre <strong>di</strong> un picciriddo <strong>di</strong> simenta ignota.<br />
Quella fu l’orgia finale. Dopo cinque anni <strong>di</strong> carcere nelle galere delle sorelle<br />
Stoccacitrolo, quella era e fu l’orgia della libertà.<br />
La sera successiva ci fu la <strong>prima</strong> della <strong>di</strong>vertente comme<strong>di</strong>a intitolata<br />
Crisochoiropsàles . ( Colui che tocca la vulva ricca) <strong>di</strong> Micio Tempio . La comme<strong>di</strong>a<br />
aveva per protagonisti i fratelli Bastiano e Paolo Mentularanni ed era ambientata<br />
nell’antica Munipuzos. Narrava <strong>di</strong> due fratelli itifallici che amavano cazzeggiare . E<br />
per poterlo fare vita natural durante circavano un pacchio ricco. Anzi, una moglie<br />
assai assai ricca. Magari laria ma senz’altro ricca. E la trovavano in Cunnedda<br />
Cunnodoro. E per lei, o meglio, per i suoi sol<strong>di</strong>, entravano in competizione.<br />
> <strong>di</strong>ceva uno dei protagonisti.<br />
Ma la femmina alla fine si marita un terzo uomo, Carmelo Ciaciapotente. Tanto per<br />
avere nu marrugghiu in servizio.. garantito.<br />
><br />
<strong>di</strong>ce alla fine la protagonista.<br />
Lo spettacolo, per la regia del veneziano trapiantato a Canicattini, Giorgio Baffo,<br />
apriva la rassegna “ Teatro per le notti <strong>di</strong> mezza estate “ al teatro greco <strong>di</strong><br />
<strong>Monacazzo</strong>.<br />
Il successo fu grande. Nonostante il tema. Ma in tanti a <strong>Monacazzo</strong> avevano il vizio<br />
<strong>di</strong> circarisi na mugghieri ricca. Magari laria ma ricca.<br />
><br />
<strong>di</strong>cevano i mariti che più che taliare la fimmina e le so bid<strong>di</strong>zzi avevano taliato il suo<br />
conto in banca o le sue proprietà immobiliari.<br />
Feroce il commento <strong>di</strong> Giorgio Baffo.<br />
><br />
Ma poi riflettendo il veneziano <strong>di</strong>sse:<br />
><br />
Anche l’autore commentò sarcastico:<br />
><br />
Sul presidente policornuto Pompeo de<strong>di</strong>cò un bel sonetto intitolato “ ER<br />
CORNUTO”.<br />
A faccia de sor Peppino er cornuto.
Mica a corpa è tutta sua , cazzo.<br />
E omo de gnente, carne da strapazzo,<br />
in vita è stato sempre un fottuto.<br />
Io, quello che so o so pe' me, so muto.<br />
Peppino sta pe' <strong>di</strong>ventà un gran pazzo<br />
E <strong>prima</strong> o poi <strong>di</strong>rà " tutti v'ammazzo ".<br />
Poverino , io 'o so quante n'ha bevute.<br />
A moje p'amante tiene un dottore,<br />
e storie da fija so tutte vere,<br />
lui è ar monno grazie a Sarvatore.<br />
Come <strong>di</strong> ch'è cornuto in tre maniere<br />
- so pronto a giurà sur suo onore -<br />
de mammma , de fija e pur'e mujere<br />
La tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> tutte le generazioni del passato pesa come una<br />
montagna sul cervello dei viventi.<br />
K. Marx<br />
L’amore non può aiutarci, l’amore non può salvarci; abbiamo<br />
amato abbastanza; ora vogliamo o<strong>di</strong>are.<br />
G. Herwegh
DICIASSETTE : IO E L’UTOPIA<br />
Regione non esistente in alcun luogo; paese immaginario. La parola<br />
‘utopia’ si <strong>di</strong>ce talvolta nel figurato del progetto <strong>di</strong> un governo<br />
immaginario, sulla scorta della Repubblica <strong>di</strong> Platone.<br />
Definizione <strong>di</strong> Utopia. Dictionnaire de Trévoux, 1771<br />
Se il petto ti ra<strong>di</strong> per bene<br />
e le braccia, le gambe ed il pene<br />
e rasato con ottimo taglio,<br />
tutti lo sanno, Labieno – non sbaglio –<br />
che lo fai per l’amica del cuore.<br />
Ma per chi poi depili l’ano,<br />
questo resta poi un arcano .<br />
Marziale<br />
Micio Tempio, autore <strong>di</strong> pilo ma non solo, stava preparando anche la<br />
rappresentazione del dramma “ Guglielmo , Sciarra e Benedetto in arte Bonifacio,<br />
ovvero la <strong>cazzicatummula</strong> <strong>di</strong> Anagni.” Questo lavoro doveva chiudere il <strong>di</strong>eci<br />
settembre il Festival della drammaturgia <strong>di</strong>alettale contemporanea <strong>di</strong> Palazzolo.<br />
Questo importante festival premiava ogni anno tre nuovi autori teatrali.<br />
Al momento c’era solo una piccola bazzecola da risolvere. Un quisquilia scoppiata<br />
improvvisamente. Il sindaco <strong>di</strong> Palazzolo Paolo Guerra aveva promesso seicento<br />
mila lire per premiare i primi tre classificati. Trecento mila al primo, duecento al<br />
secondo e cento al terzo. Ma adesso ne voleva dare solo trecento. E il coor<strong>di</strong>natore<br />
Sebastiano Guardo aveva vivamente protestato. E adesso i due non facevano altro<br />
che litigare.<br />
><br />
><br />
><br />
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><br />
><br />
><br />
E non si capiva dove cazzo stava la verità.<br />
Il lavoro serio <strong>di</strong> Micio raccontava lo storico, drammatico e meraviglioso scontro tra<br />
l’ultraottantenne scassacoglioni Benedetto Caetani, papa col nome <strong>di</strong> Bonifacio VIII,<br />
il nobile Sciarra Colonna e il cancelliere francese Guglielmo <strong>di</strong> Nogaret. Lo scontro<br />
tra il fanatico teocrate , il ven<strong>di</strong>catore <strong>di</strong> famiglia e il potere statale.<br />
Questa la <strong>prima</strong> scheda che Pompeo aveva ideato per poi passarla a tutti. Per far<br />
conoscere il teocrate per eccellenza. L’inventore del giubileo.
Pompeo, Ben e Iatata ciclostilarono il foglio e lo <strong>di</strong>ffusero in tutta <strong>Monacazzo</strong>.<br />
pubblicamente; le rocche <strong>di</strong> Zagarolo e <strong>di</strong> Palestrina furono <strong>di</strong>strutte; Jacopone<br />
imprigionato in un convento e scomunicato; i beni dei Colonna furono <strong>di</strong>visi fra i<br />
Caetani e gli Orsini. In questo clima <strong>di</strong> pace ritrovata Bonifacio VIII in<strong>di</strong>sse il Primo<br />
Giubileo della storia della cristianità. Con la bolla Antiquorum habet fidem, del 22<br />
febbraio 1300, concedeva l'indulgenza plenaria a chi nell'anno in corso e in ogni<br />
futuro centesimo anno, avesse visitato le basiliche <strong>di</strong> San Pietro e <strong>di</strong> San Paolo in<br />
Roma, con l'intento re<strong>di</strong>mere i peccati e le pene per i peccati. Il Giubileo fu istituito<br />
come anno della riconciliazione tra i contendenti e della con<strong>versione</strong> della penitenza<br />
sacramentale. Il tema dell'indulgenza era stato peraltro già affrontato durante le<br />
crociate, nel corso del '200, secolo <strong>di</strong> altissime manifestazioni spirituali ed artistiche:<br />
proprio mentre San Bernardo <strong>di</strong> Chiaravalle parlava <strong>di</strong> un "anno" <strong>di</strong> perdono rivolto<br />
ai combattenti della seconda crociata, il monachesimo cistercense innalzava le<br />
meravigliose chiese abbaziali <strong>di</strong> Fossanova e Casamari, in stile gotico, slanciato ed<br />
austero. Quest'evento fu <strong>di</strong> portata storica: duecentomila pellegrini affluiti, secondo le<br />
stime dei cronisti dell'epoca. Lo stesso Dante fa riferimento a notevole afflusso <strong>di</strong><br />
massa sia per la Veronica, sia per il Giubileo. L'enorme traffico <strong>di</strong> pellegrini e gli<br />
abbondanti proventi finanziari, derivanti dalle offerte e dall'incremento turistico,<br />
rafforzarono il prestigio <strong>di</strong> Bonifacio VIII, che vedeva i principi <strong>di</strong> tutto il mondo<br />
prostrarsi ai suoi pie<strong>di</strong> come davanti a un essere <strong>di</strong>vino. Egli stesso rinforzò questa<br />
sua immagine <strong>di</strong> sovrano spirituale e temporale, mostrandosi ai pellegrini con le<br />
insegne imperiali, esclamando: "Io sono Cesare, io sono l'Imperatore". Anche<br />
Filippo il Bello aderiva a questa idea <strong>di</strong> "cesarismo": sopra <strong>di</strong> sé egli non considerava<br />
sovrano nessuno, assumendo talora atteggiamenti apertamente anticlericali, con atti <strong>di</strong><br />
usurpazione verso i beni della Chiesa francese. Nel 1299 aveva firmato un'alleanza<br />
con il nuovo re <strong>di</strong> Germania, Alberto d'Asburgo, accusato da Bonifacio VIII <strong>di</strong> aver<br />
assassinato Adolfo <strong>di</strong> Nassau e, per questo, invitato a presentarsi a Roma. Il papa, con<br />
la bolla Salvator Mun<strong>di</strong>, del 1301, ritirò a Filippo i privilegi concessi in precedenza<br />
mentre successivamente, con la bolla Ausculta fili, convocò per il 10 novembre il re e<br />
l'episcopato francese per un concilio che definisse i rapporti tra Stato e Chiesa,<br />
precisando che solo Dio era al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> ogni monarca. Nell'aprile 1302 Filippo<br />
convocava a Parigi gli Stati Generali, in cui si riba<strong>di</strong>va che il re non era soggetto a<br />
nessun'altra autorità e in cui si <strong>di</strong>ffidava l'episcopato francese dal partecipare al<br />
Concilio; nonostante ciò 39 vescovi francesi vi presenziarono e a loro il re confiscò i<br />
beni. Contro <strong>di</strong> lui, il 18 novembre 1302, Bonifacio scaglia la bolla <strong>di</strong> condanna<br />
Unam Sanctam che stabiliva che "nella potestà della Chiesa sono <strong>di</strong>stinte due spade,<br />
quella spirituale e quella temporale; la <strong>prima</strong> viene condotta dalla Chiesa, la<br />
seconda per la Chiesa, la <strong>prima</strong> per mano del sacerdote, l'altra per mano del re ma<br />
<strong>di</strong>etro in<strong>di</strong>cazione del sacerdote. Il potere spirituale é superiore a quello temporale".<br />
Filippo, sentendo odore <strong>di</strong> scomunica, inviò in Italia Guglielmo <strong>di</strong> Nogaret con<br />
l'or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> condurre il papa prigioniero in Francia. E' il 3 settembre 1303, Nogaret,<br />
affiancato da Sciarra Colonna, lo trova ad Anagni, maestosamente seduto sul trono,<br />
coi paramenti sacri: qui avviene un'aggressione nei suoi confronti, si tramanda uno<br />
"schiaffo" del Colonna col guanto <strong>di</strong> ferro. E' un momento <strong>di</strong> eccezionale portata<br />
storica, in quanto ne <strong>prima</strong> ne dopo nella storia della cristianità, vi fu una affronto
così grande nei confronti <strong>di</strong> un pontefice. Anche se Caetani non era un papa amato e<br />
sospettato per <strong>di</strong> più <strong>di</strong> simonia dallo stesso Dante, lo stesso poeta fiorentino<br />
considerò l'offesa come rivolta a Cristo stesso (Purgatorio, XX, 86-90): "veggio in<br />
Alagna intrar lo fiordaliso, e nel vicario suo Cristo esser catto. Veggiolo un'altra<br />
volta esser deriso; veggio rinovellar l'aceto e 'l fele". Tutti insorsero contro il<br />
sacrilegio. La borghesia cristiana <strong>di</strong> Anagni liberò il suo concitta<strong>di</strong>no, ma quando<br />
Bonifacio VIII rientrò in Roma, sotto la protezione degli Orsini, era già <strong>di</strong>strutto sia<br />
moralmente sia politicamente, essendo stato violato il dogma del potere assoluto del<br />
papato. Morì, infatti, pochi giorni dopo, l'11 ottobre 1303. Le sue spoglie vengono<br />
sepolte in San Pietro, nella cappella Caetani, costruita <strong>di</strong>etro sua commissione da<br />
Arnolfo <strong>di</strong> Cambio. Roma intanto si era ripopolata ed era <strong>di</strong>ventata splen<strong>di</strong>da. Mai<br />
<strong>prima</strong> d'allora un papa si era fatto ritrarre da vivo in statue e <strong>di</strong>pinti: a Orvieto,<br />
Firenze, Bologna, Anagni e nel Laterano in sculture <strong>di</strong> marmo e <strong>di</strong> bronzo,<br />
nell'affresco <strong>di</strong> Giotto, attualmente conservato a Milano, che lo ritrae dalla loggia <strong>di</strong><br />
San Giovanni mentre proclama il Giubileo. Egli fu uno dei papi più energici nella<br />
lotta per l'affermazione del <strong>prima</strong>to della Chiesa sul potere temporale dei re e<br />
imperatori. Con lui finisce la teocrazia, la <strong>di</strong>vinizzazione della propria sacra persona,<br />
in antitesi con il ruolo <strong>di</strong> "servus servorum Dei" in<strong>di</strong>cato da San Gregorio Magno. Ma<br />
con lui inizia anche la strada del rinnovamento, con il Giubileo, un'occasione<br />
ecumenica unica <strong>di</strong> penitenza e <strong>di</strong> riconciliazione spirituale.>><br />
Micio Tempio era innamorato del personaggio <strong>di</strong> Sciarra Colonna. E vedeva nello<br />
schiaffo un atto <strong>di</strong> giustizia.<br />
> cuntava Micio ai ragazzi del gruppo teatrale “Cuntu lu cuntu pilu<br />
pi pilu “ che provavano la trage<strong>di</strong>a sotto la guida <strong>di</strong> Giorgio Baffo.<br />
La scena è la sala del trono del palazzo papale <strong>di</strong> Anagni. Con Guglielmo, Bonifacio<br />
e Sciarra. Ma attraverso dei flash back vengono raccontati i momenti salienti della<br />
vita del pontefice. Nel primo Benedetto Caetani ha come amanti, nello stesso<br />
momento, madre e figlia.<br />
> <strong>di</strong>ce Benedetto nella piece<br />
teatrale. Suggestiva la scena in cui Benedetto s’impegna per fare eleggere Pietro da<br />
Morone papa. Quasi comica quella in cui Benedetto, nella parte dello Spirito Santo ,<br />
suggerisce a Celestino V dormiente quello che deve fare.<br />
><br />
E Celestino ab<strong>di</strong>ca. Fa il gran rifiuto. Poetica la frase detta da quest’ultimo, dopo<br />
l’elezione a papa <strong>di</strong> Benedetto. Quasi una profezia.<br />
><br />
Un altra scena si svolge a fine 1300. Il papa si conta i sor<strong>di</strong> incassati col giubileo.<br />
><br />
Ma il momento clou naturalmente è quello in cui Sciarra schiaffeggia il vecchio<br />
pontefice tutto allicchittiato in pompa magna. Il Colonna entra nella sala armato,<br />
pronto al papaci<strong>di</strong>o, e grida con tutta la rabbia che ha in corpo:
Il papa neanche si scamovi. Sta pinsannu. A voce alta.<br />
><br />
> <strong>di</strong>ce Sciarra. Poi<br />
gridando con tutta la forza e la rabbia <strong>di</strong>ce: ><br />
D’altra parte il Colonna avi giurato minnitta. E la minnitta si fa cu lu sangu.<br />
><br />
A chistu puntu Sciarra , incazzatu niuru, tumbulia lu papa. E la tiara fa na bedda<br />
<strong>cazzicatummula</strong>. Ma mancu lu tempu <strong>di</strong> cazzicatummuliari la tiara ca cu n’autru<br />
tumbuluni cazzicatummulia puru lu papa. Che piano piano si rimitte in pie<strong>di</strong><br />
tremando. Qui il nobile uomo solleva la spada pronto a colpire. Pronto al papaci<strong>di</strong>o.<br />
><br />
><br />
Sciarra sta per scannarlo. Ma interviene il francese. Lo vuole vivo per processarlo.<br />
Per or<strong>di</strong>ni superiori. E Sciarra si accontenta <strong>di</strong> umiliarlo mettendolo a nudo. A picca a<br />
picca ,con la spada , lo priva <strong>di</strong> tutti gli indumenti. Di quelli <strong>di</strong> sopra e <strong>di</strong> quelli si<br />
sotto. E poco <strong>prima</strong> <strong>di</strong> restare nudo come un verme Bonifacio <strong>di</strong>ce:<br />
><br />
Alla fine , col pontefice nudo come un verme, Sciarra si fa una risata che fa<br />
impressione. Poi <strong>di</strong>ce:<br />
><br />
><br />
><br />
<br />
Su queste parole le luci si spengono, tranne un occhio <strong>di</strong> bue.<br />
Il papa viene liberato e portato a Roma. Al Laterano. Ma orami è completamente<br />
fuori <strong>di</strong> testa. L’umiliazione lo ha <strong>di</strong>strutto. Quel tumbuluni resterà nella storia. E a<br />
Roma il papa , sempre nudo, si mette , in un crescendo impossibile ,a gridare come<br />
un ossesso una frase della Unam Sanctam.<br />
><br />
E intanto si sbatte la vecchia capa vuota e da folle contro i muri. Fino a crepare.<br />
Solo. Come un cane. Come aveva profetizzato Celestino V.<br />
Micio era contento del testo e del lavoro dei ragazzi. Pure Giorgio era stracontento.
> precisò Micio Tempio.<br />
Poi pinsò a Guicciar<strong>di</strong>ni e a memoria citò: ><br />
Il venticinque luglio padre Ciollardente si alzò contentissimo. Quel giorno avrebbe<br />
unito in matrimonio Micio Tempio , l’ex <strong>di</strong>avolo ed ex pornografo oramai<br />
convertitosi , con la bella e oramai convertita anche lei Kosetta Fikaminkianova. Era<br />
il trionfo della sua politica dura contro gli immoralisti. Era un trionfo della purezza e<br />
della castità sui comportamenti degenerati. Se si era convertito quel <strong>di</strong>avolo <strong>di</strong> Micio,<br />
si potevano convertire anche gli altri.<br />
Una settimana <strong>prima</strong> del matrimonio arrivò la bella sorella gemella <strong>di</strong> Kosetta ,<br />
Kazzetta. Erano due gocce d’acqua. La voce era l’unica <strong>di</strong>fferenza. Kosetta aveva una<br />
voce dolce, Kazzetta una voce un po’ più dura. Ma era bella e faceva attrintari li<br />
marrugghia a tutti li mascoli ca la taliavano. Due sticchi gemelli che erano la gloria<br />
personificata <strong>di</strong> tutti gli uccelli.<br />
Il venticinque luglio la chiesa <strong>di</strong> padre Ciollardente era strapiena. Invitati e curiosi<br />
parevano sar<strong>di</strong>ne. Il giorno <strong>prima</strong> Micio Tempio e Kosetta Fikaminkianova si erano<br />
confessati. Con affetto e tanta voglia <strong>di</strong> pentimento. Lui aveva raccontato al prete i<br />
suoi peccati <strong>di</strong> pilo. I suoi peccati fatti con la penna stilografica e quelli fatti con la<br />
penna <strong>di</strong> carne. Ed era stato assolto. Lei pure si era confessata, ma era stata meno<br />
chiara. Il parrino aveva indagato e aveva capito che la donna andava sia con i mascoli<br />
che con le femmine. Per lo meno in passato aveva fatto questo. Ma da quando aveva<br />
conosciuto il Priapo vivente Micio Tempio non era più andata con nessuno.<br />
> aveva chiesto padre Ciollardente.<br />
> aveva risposto la russa che parlava benino l’italiano.<br />
Al parrino era venuta la curiosità <strong>di</strong> vedere lo strumento carnale <strong>di</strong> Micio. Se quella<br />
dopo tante e tante avventure adesso si accontentava solo <strong>di</strong> lui , Micio doveva<br />
necessariamente avere un micione tra le cosce. Comunque le <strong>di</strong>ede l’assoluzione.<br />
Alle cinque <strong>di</strong> quel venticinque luglio 1968 padre Ciollardente era pronto per la<br />
cerimonia. Tutto allicchittiato in pompa magna, ca paria nu Wanda Osiris, si<br />
apprestava a celebrare il suo trionfo su satana. Affiancato da due chierichetti <strong>di</strong> quelli<br />
che più figli <strong>di</strong> buttana non si può , da quattro parrini <strong>di</strong> quelli che più stronzi non si<br />
può nemmeno e da quattro monachelle <strong>di</strong> quelle che più ammuccaparticoli e<br />
caca<strong>di</strong>avoli non è possibile, <strong>di</strong>ede l’avvio alla cerimonia.
I testimoni degli sposi erano la sorella <strong>di</strong> Kosetta per la sposa e Giorgio Baffo per lo<br />
sposo.<br />
Tutto andò liscio fino alla fati<strong>di</strong>ca domanda del prete:<br />
><br />
> gridò un tizio mai visto a <strong>Monacazzo</strong>. Tra l’altro<br />
non si capiva neanche se era mascolo o femmina. Era chiù colorato <strong>di</strong> nu mazzu i<br />
ciura .<br />
> <strong>di</strong>sse il prete che iniziò a sudare freddo.<br />
Luigino Minchiallegra e Giggetto Ciciacontenta, i due chierichetti, sorrisero con le<br />
loro belle faccette mignottelle. Si taliarono sofferenti i quattro parrini e addolorate le<br />
quattro monache. Quella era una domanda retorica a cui nessuno aveva mai risposto .<br />
Era la <strong>prima</strong> volta che , nella sua carriera <strong>di</strong> parrino, qualcuno aveva qualcosa da<br />
<strong>di</strong>re. E se quello voleva parlare lo dovevano lasciar parlare.<br />
> La gente rise.<br />
> <strong>di</strong>sse il misterioso<br />
personaggio.<br />
> precisò il prete.<br />
><br />
Micio e la sposa erano tranquilli. I testimoni pure. Il parrino no . Gli altri parrini e le<br />
monache nemmeno. I chierichetti si aspettavano qualche minchiata. Il pubblico pure.<br />
> <strong>di</strong>sse il prete.<br />
> <strong>di</strong>sse il tizio con voce impostata.<br />
> <strong>di</strong>sse il prete che pensava già a figli segreti o matrimoni nascosti.<br />
><br />
Tanti risero. Quello era omosessuale al cento per cento. Anzi, era un travestito.<br />
> <strong>di</strong>sse il parrino ><br />
><br />
Micio e la sposa restarono tranquilli. Il prete sbiancò. Gli altri parrini e le monache<br />
impalli<strong>di</strong>rono. I chierichetti pinsarono che era tutta una questione <strong>di</strong> “ ficca ficca.”<br />
> <strong>di</strong>sse il prete riprendendosi un po’.<br />
><br />
Il prete sbiancò. E preso da un raptus improvviso strappò la parte superiore della<br />
vistina da sposa <strong>di</strong> Kosetta. Vennero fuori due belle minne. Il pubblico sgranò gli<br />
occhi.<br />
> gridò il parrino contemplando du minni<br />
deliziosi e bianchissimi.<br />
Monache, preti e chierichetti sgranarono gli occhi taliando chid<strong>di</strong> minni.<br />
> <strong>di</strong>sse Basilio - Basilio.
E il misterioso personaggio si aprì la camicetta. Anche lui aveva due belle tette. Gli<br />
occhi del pubblico tutto si spostarono sulla nuova scena.<br />
> <strong>di</strong>sse Basilio- Basilia ><br />
E si scippò i pantaloni. Sotto era nudo. C’era solo una cicia enorme. Tutti arristanu<br />
amminchiuluti. Padre Ciollardente, gli altri preti e pure il pubblico.<br />
Gli altri parrini taliano lo strano essere nel suo complesso. Tinia la cicia come loro<br />
ma tinia anche li minni comu li fimmini. Padre Ciciotto, padre Belinsanto, padre<br />
Favazza e padre Citrolone passavano con lo sguardo da li minni alla cicia e viceversa.<br />
Le monache erano invece interdette. Taliavano fisse la ciolla. Era la <strong>prima</strong> che<br />
vedevano in assoluto. Suor Luigina Ficalà, suor Carmelina Monalì, suor Santina<br />
Sorcasì e suor Salvuccia Fregnanò taliavano fisse l’aceddu dell’uomo cu li minni.<br />
Luigino e Giggetto invece sorridevano.<br />
> <strong>di</strong>sse Luigino.<br />
> aggiunse Giggetto.<br />
Kosetta e Micio erano tranquillissimi. Giorgio e la sorella della sposa sorridevano<br />
ironicamente. Il pubblico era interdetto. Padre Ciollardente era al limite del crollo<br />
nervoso. Il suo trionfo stava crollando a pezzi, la sua minchia, che all’inizio della<br />
cerimonia era tisa come una minchia crisoelefantina, si era ammosciata e si stava<br />
ritirando. Anche i coglioni si stavano rimpicciolendo. E la sacca scrotale si stava<br />
ritirando. Si stava praticamente volatilizzando tutto. Il parrino sentiva che stava per<br />
<strong>di</strong>ventare un eunuco. Preso da un nuovo raptus scippò la gonna alla sposa. La sposa<br />
era senza mutande.<br />
> gridò il prete nel microfono.<br />
La gente non vedeva l’aceddu della sposa. Vedeva solo un culo bellissimo. Giorgio e<br />
la sorella della sposa, per la sorpresa che già conoscevano, ridevano .<br />
Le monache svennero. Quella minchia a portata <strong>di</strong> mano era troppo. I preti<br />
agghiarnanu. I chierichetti scoppiarono a ridere alla sanfasò. Il pubblico gridava:<br />
><br />
La sposa si girò. Altro che aceddu. Aveva un aciddazzu tiso e spaventoso. Era<br />
femmina nelle sembianze ma tra le cosce era mascolo con la M maiuscola. Il prete<br />
vide crollare il suo trionfo definitivamente e iniziò a tremare. Micio invece acchiappò<br />
il microfono e fece il suo comizio laico.<br />
><br />
Il prete tremava. La sposa esibiva il suo fallo e le sue tette senza vergogna.<br />
> riprese Micio Tempio
d’amore che ho fatto è stato sempre col partner consenziente.. e soprattutto non ho<br />
mai fatto figli.. per poi abbandonarli al loro destino… >><br />
> <strong>di</strong>sse il prete tremando<br />
come una foglia al vento.<br />
> <strong>di</strong>sse Micio.<br />
Il parrino tremava e faceva segni su segni . Della croce naturalmente.<br />
> continuo lo scrittore.<br />
Il prete non capì. Tremava. Si sentiva sminchiato e scoglionato. Una ciolla a perdere.<br />
Un fottuto per sempre. Non riusciva a capire che minchia ci trasivano sua santità<br />
Bonifacio VIII e Sciarra Colonna. In quel momento non pensava allo schiaffo<br />
d’Anagni.<br />
><br />
> <strong>di</strong>sse il prete. > <strong>di</strong>sse piangendo.<br />
><br />
><br />
> <strong>di</strong>sse Micio.<br />
Il prete barcollò. Il pubblico era in religioso silenzio e seguiva la messa in scena <strong>di</strong><br />
Micio Tempio. Ovvero “Il finto matrimonio”.<br />
> <strong>di</strong>sse il parrino.<br />
“bocca<strong>di</strong>fuoco”, ma anche “ culo<strong>di</strong>fuoco “ e “ sticchio<strong>di</strong>fuoco.” D’altra parte è figlia<br />
illegittima <strong>di</strong> uno che è Ciollardente <strong>di</strong> nome e <strong>di</strong> fatto…>><br />
A quella parole il parrino non ci vide più. Si alzò <strong>di</strong> botto e pigliato un cero beddu<br />
ruossu fece per romperglielo sulla cocuzza dura a Micio Tempio. Ma lo scrittore<br />
maledetto evitò il colpo .<br />
><br />
E da parte sua Micio ci piazzò un tumbuluni speciale su quella faccia rossa che il<br />
povero parrino fece na <strong>cazzicatummula</strong> da medaglia d’oro alle olimpiade delle<br />
cazzicatummuli. Una <strong>cazzicatummula</strong> da oscar. E dopo quella spettacolare<br />
<strong>cazzicatummula</strong> finiu sotto gli scalini dell’altare. A cosce larghe e gioielli <strong>di</strong> famiglia<br />
in esposizione. Perché quel giorno, per godersi meglio l’erezione della vittoria sul<br />
miscredente, padre Ciollardente non s’era messo le mutande. Anche il cero fici una<br />
bella <strong>cazzicatummula</strong> e finiu addosso al cugino sacrestano. Lo acchiappò proprio là.<br />
Nella sede del peccato. E pure il sacrestano cazzicatummuliò. E i pantaloni dell’uomo<br />
presero fuoco. Proprio là. A livello del meccio.<br />
> gridava il sacrestano. E iniziò a spogliarsi.<br />
Ma il parrino cazzicatummuliannu aveva fatto cazzicatummuliari una processione <strong>di</strong><br />
candele accese e <strong>di</strong>sposte sulle balaustre dell’altare maggiore. O meglio, ne aveva<br />
fatta cadere una. Ma quella, col suo cazzicatummulio, come in una reazione a catena,<br />
aveva fatto cazzicatummuliare le altre. E una <strong>di</strong> queste candele era finita addosso a<br />
padre Ciollardente. O meglio, tra le sue cosce. Così anche la sua tonaca prese fuoco.<br />
Padre Ciollardente si alzò gridando :<br />
>.<br />
E si spogliò nudo anche lui. E iniziò a correre chiesa chiesa gridando come un<br />
ossesso :<br />
><br />
E il sacrestano , nudo anche lui, ma con l’incensiere in mano, che correva <strong>di</strong>etro<br />
padre Ciollardente . E la gente a taliare e a scappellarsi la minchia dalle risate.<br />
Ma una candela, sempre cazzicatummuliando, <strong>di</strong>ede fuoco alla sottana del primo<br />
chierichetto, Luigino Minchiallegra.<br />
Che iniziò a spogliarsi pure lui gridando ><br />
E facendo cazzicatummuliare i suoi abiti <strong>di</strong>ede fuoco alla tonaca <strong>di</strong> Giggetto, l’altro<br />
chierichetto, che si spogliò pure lui. Intanto le candele continuavano a<br />
cazzicatummuliari . E una finiu addosso al primo dei parrini cerimonianti. E da quella<br />
<strong>prima</strong> tonaca le fiamme si estesero al secondo, poi al terzo e infine al quarto parrino.<br />
Che si spogliarono anche loro. Quattro giovani nu<strong>di</strong> e con una <strong>di</strong>screta minchia che<br />
cazzicatummuliava sotto gli occhi delle quattro monache a cui cazzicatummulivavano<br />
gli occhi e la muscolatura dello sticchio. Ma le candele della balaustra erano collegate
da un sottile filo a quelle dell’altare. E anche queste cazzicatummulianu a terra . E in<br />
parte sulle monache. Che per non arrostirsi come le streghe si denudarono pure loro<br />
in un amen. A occhi bassi si misero col pacchio <strong>di</strong> fuori.. Quelle quattro fichette<br />
incontaminate fecero cazzicatummuliare gli occhi e gli aced<strong>di</strong> a tutti i mascoli<br />
presenti. Compresi i quattro preti e i due chierichetti. A cui la ciolla cazzicatummuliò<br />
verso l’alto. E verso l’alto cazzicatummulianu sempre più le ciolle <strong>di</strong> padre<br />
Ciollardente e del cugino sacrestano che correvano come matti da una navata<br />
all’altra. Il prete davanti, il cugino <strong>di</strong>etro, sempre incensando con l’incensiere.<br />
Ma una cannila satanica cazzicatummuliò addosso a Micio. E pure Micio si spogliò.<br />
Mentre la finta sposa lo era già. Micio, facendo cazzicatummuliare i suoi abiti<br />
infuocati, causò l’incen<strong>di</strong>o <strong>di</strong> quelli dei testimoni. La sorella della finta sposa e<br />
Giorgio Baffo. Che per non finire al rogo, come i loro antenati liberi pensatori, si<br />
spogliarono pure loro facendo cazzicatummuliare i loro abiti.<br />
Per la gioia Micio e la finta femmina fecero tante belle cazzicatummuli sull’altare. E<br />
cazzicatummuli sul corridoio centrale e sulle navate laterali fecero gli amici <strong>di</strong> Micio<br />
Tempio. Fu insomma tutta una cazzicatummuliata.<br />
Padre Ciollardente, nudo, e con il sacrestano nudo che lo seguiva, continuava a girare<br />
chiesa chiesa. Ci paria <strong>di</strong> essere in un bolgia dantesca. Poi talio verso l’alto e ci parse<br />
che pure gli angeli, gli arcangeli e i serafini del soffitto cazzicatummuliassero pure<br />
loro. E cazzicatummuliavanu anche i santi. Poi taliò <strong>di</strong>etro l’altare. E ci sembrò che<br />
tutti i protagonisti del “ Giu<strong>di</strong>zio universale” <strong>di</strong>pinto da Michilangilieddu da<br />
<strong>Monacazzo</strong>, cazzicatummuliassero anche loro. Infine, illusione delle illusioni o<br />
effetto allucinogeno dell’incenso ad<strong>di</strong>zionato a tutta quella carne e al suo personale<br />
testosterone, a padre Ciollardente ci parse che Sammastiano scissi dal camerino per<br />
cazzicatummuliare anche lui. Ed ebbe la sensazione che il santo stava per levarsi il<br />
costume e tuffarsi tra la folla.<br />
> <strong>di</strong>sse il prete a sé stesso.<br />
E partiu verso l’uscita della chiesa. Verso l’imponente scalinata della chiesa sempre<br />
gridando.<br />
><br />
La piazza era piena <strong>di</strong> curiosi. Come sempre quando ci stava un matrimonio. Era una<br />
bella occasione per curtigghiari sulle corna della sposa, su quelle dello sposo e su<br />
chid<strong>di</strong> degli invitanti. Ma in quell’occasione c’era una marea <strong>di</strong> curiosi. Vedere Micio<br />
Tempio uscire dalla chiesa dopo essersi regolarmente maritato era un .. miracolo da<br />
non perdere.<br />
E invece era spuntato padre Ciollardente nudo seguito dal sacrestano che lo<br />
incensava. Anche lui nudo. E <strong>di</strong>etro tanti altri nu<strong>di</strong>. Quattro parrini, quattro monache ,<br />
due chierichetti. E poi lo sposo, la finta sposa, testimoni e altri ancora.<br />
Il parrino e il sagrestano , passando tra la folla correndo, si ienu a catafuttiri <strong>di</strong>ntra la<br />
fontana <strong>di</strong> Zeus e Danae che stava al centro della piazza. Al fresco <strong>di</strong> quelle chiare,<br />
dolci acque monocazzesi.
Anche gli altri si ienu a catafuttiri nella grande vasca. Dove tutti cazzicatummulianu<br />
con gioia. Era il 25 luglio, c’erano trentotto gra<strong>di</strong> Celsius, e una bella<br />
cazzicatummuliata nell’acqua ci stava bene.<br />
E tanti picciotti che erano in piazza, tanti sessantottini - e c’erano Ben, Iatata e<br />
Pompeo ma anche tanti altri - imitanu Micio Tempio. Vistuti si cazzicatummulianu<br />
nella grande e capiente vasca. E lì, cazzicatummuliannu, ficinu cazzicatummuliari i<br />
loro vestiti. Paria <strong>di</strong> essere alle terme dell’antica Roma. Tutti erano convinti <strong>di</strong> quello<br />
che facevano. Tutti tranne padre Ciollardente e il sacrestano. Che parevano drogati<br />
d’incenso.<br />
Padre Ciollardente taliò la facciata della chiesa. E ci parse che anche il Sammastiano<br />
che stava li, dopo essersi denudato, si cazzicatummuliassi nella vasca. A quella<br />
visione il parino gridò: > E svenne.<br />
Pare che in quell’orgia <strong>di</strong> carne e testosterone, estrogeni e progesterone, qualcuno<br />
cazzicatummuliassi l’aceddu <strong>di</strong>ntra qualche portuso. D’altra parte la fontana era<br />
de<strong>di</strong>cata a Zeus che si fotte Danae sotto forma <strong>di</strong> pioggia.<br />
Da cui il detto popolare, quannu chiovi assai.<br />
><br />
Micio Tempio recitò <strong>di</strong>ntra la so testa, intanto che si dava da fare cu Kosetta e<br />
Kazzetta, i versi del suo famoso omonimo poeta <strong>di</strong> pilo catanese. Versi relativi alle<br />
<strong>di</strong>mensioni della somma minchia <strong>di</strong>vina.<br />
><br />
> pinsau Micio Tempio da <strong>Monacazzo</strong> ><br />
Intervennero i C.C. Padre Ciollardente finì in una clinica neuropsichiatrica. Come le<br />
monache e i parrini. Erano sotto sciocchi. Micio Tempio finì in prigione. Con la finta<br />
sposa. Lei per ventiquattrore. Lui per una settimana. Poi ottennero la libertà<br />
provvisoria e si godettero il loro laicismo in attesa del processo. Gli altri<br />
spogliarellisti improvvisati furono soltanto identificati e rispe<strong>di</strong>ti a casa.<br />
I due chierichetti furono minacciati <strong>di</strong> essere messi in collegio.<br />
Quello stesso giorno uscì una enciclica che si occupava <strong>di</strong> sesso. E che condannava<br />
tutto. Tranne il ficcare per figliare.
Padre Ciollardente dopo quin<strong>di</strong>ci giorni uscì dalla clinica e si rifugiò in seminario.<br />
La messa in scena della trage<strong>di</strong>a sul contrasto dei poteri fu un successo. “ Guglielmo ,<br />
Sciarra e Benedetto in arte Bonifacio, ovvero la <strong>cazzicatummula</strong> <strong>di</strong> Anagni.” fu<br />
appezzata da tutti. Alla compagnia <strong>di</strong> <strong>di</strong>lettanti assai assai appassionati fu offerta una<br />
na bedda turnè. L’unico problema , la sera , al ristorante, fu che il sindaco e il<br />
coor<strong>di</strong>natore litigarono ancora.<br />
><br />
><br />
>><br />
><br />
E tutti risero. Meno male che non c’erano le telecamere. Altrimenti avrebbe riso<br />
l’Italia intera. E con i sottotitoli tutto il mondo .<br />
Il primo ottobre una macchina sbandò sull’autostrada del sole , nel tratto calabro. Tre<br />
giovani morirono sul colpo. Erano <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>. Stavano tornando dopo aver fatto il<br />
giro delle capitali europee. Erano Ben Cicidda, Iatata Portusodoro e Pompeo<br />
Sorcaealtro. Il funerale fu maestoso. L’autopsia confermò che Iatata era incinta. Da<br />
una lettera trovata a bordo della macchina si ottenne la conferma <strong>di</strong> quella che era la<br />
voce <strong>di</strong> popolo. I tre erano un terzetto in fatto <strong>di</strong> sesso. Ciascuno era l’amante degli<br />
altri due. Facevano ficca ficca tra <strong>di</strong> loro. E pure i mascoli ficcavano tra <strong>di</strong> loro. E per<br />
quanto riguarda il figlio che Iatata portava in grembo poteva essere sia dell’uno che<br />
dell’altro. Avevano deciso i ragazzi <strong>di</strong> vivere insieme. Invece riuscirono solo a morire<br />
insieme. Quella fu la loro ultima <strong>cazzicatummula</strong>. Cazzicatummula mortale.<br />
Nelle stesse ore del funerale due imbianchini cancellarono il murales <strong>di</strong> Nikj Sciò. I<br />
pennelli cazzicatummuliavano sull’affresco. E cancellavano tutti. Anche quella fu<br />
una cazzicatummuliata mortale.<br />
Dopo il funerale, fatto in piazza e senza parrini, gli ammuccaparticoli e caca<strong>di</strong>avoli<br />
del paese si scatenarono su quello che era il comportamento dei giovani d’oggi. E li<br />
<strong>di</strong>pinsero <strong>di</strong>avoli con le corna.<br />
><br />
Devozione e Consolata Bucochiuso si accorsero <strong>di</strong> essere incinte. Non ne parlarono<br />
con nessuno. Si attruvarono , in quattro e quattr’otto, due picciotti assitati <strong>di</strong> sticchio,<br />
e si li purtanu a letto. Cu quattru cazzicatummuli d’amuri si attruvanu maritu. Poco<br />
dopo si maritanu. I figli <strong>di</strong> Pompeo e Ben , o forse <strong>di</strong> uno solo <strong>di</strong> loro, <strong>di</strong>ventarono<br />
figli d’altri.<br />
Incinte erano pure Tonina e Ninetta. Il cannolo dell’ingegnere Cannolo ave<br />
cazzicatummuliato bene nel pacchio delle due femmine. E aveva fatto il suo lavoro<br />
ben benino.
Maruzza e Marietta invece erano già belle e appanzate. E pure maritate. Coi ragazzi<br />
<strong>di</strong> buccheri. E facevano maritali cazzicatummulitti d’amuri.<br />
Spissu la sira, <strong>di</strong>cennisi li cosi <strong>di</strong> <strong>di</strong>u, ci arraccumannavano l’anima <strong>di</strong> Ben e Pompeo<br />
allo stesso. E per essere buone anche quelle <strong>di</strong> Iatata.<br />
Nel portafoglio <strong>di</strong> Pompeo fu trovato il suo testamento spirituale. Una poesia<br />
intitolata “ IO E L’UTOPIA”<br />
Percorro la strada amara della vita<br />
tutto pieno <strong>di</strong> rabbia cristallina.<br />
Eppure non bestemmio, perché la mia intelligenza<br />
m’impe<strong>di</strong>sce <strong>di</strong> prendermela<br />
con il nulla fatto tutto,<br />
con il <strong>di</strong>o creato per essere sfruttato,<br />
che parla attraverso e non <strong>di</strong>rettamente…<br />
E cammino per questa strada paesana :<br />
guardo per terra e vedo uno stronzo <strong>di</strong> cane,<br />
intanto da una porta scassata e cadente<br />
una dolce puttana m’invita con un gesto chiaro<br />
a comprare una unione senza senso<br />
per <strong>di</strong>mostrare ancora una volta il mito dell’uomo<br />
chiavarolo che tiene il cervello sulla punta del cazzo…<br />
No, non entro, non la guardo manco in faccia<br />
ho troppi pensieri a cui pensare. Proseguo.<br />
Ma ecco che vedo un gatto in calore<br />
che cerca refrigerio nello sporco piscio celeste.<br />
MIAU. MIAU. MIAU. MIAU UN CAZZO.<br />
Vaffanculo gattaccio nero dagli occhi <strong>di</strong>amantini,<br />
tanto non puoi essere l’inviato <strong>di</strong> quel <strong>di</strong>avolo che non c’è…<br />
E cammino. Intanto dal muro la “ maschera “ del sindaco<br />
che batte e puttaneggia per il suo partito<br />
m’invita sorridente a dargli la mia fiducia.<br />
Ma come, io dare al fiducia a una testa <strong>di</strong> cazzo,<br />
io che avendolo in mano so bene cosa gli farei.<br />
Per il momento mi accosto al muro<br />
e con una mirabile erezione politica gli piscio in faccia….<br />
Poi.. poi con un pennarello rosso accecante<br />
gli “ pianto “ sulla testa un bel paio <strong>di</strong> corna,<br />
gli “ sbatto” sotto il naso dei baffetti hitleriani – e gli stanno anche bene-<br />
gli “ infilo “ un cazzo in bocca a mo <strong>di</strong> sigaro,<br />
quin<strong>di</strong> mi calo i pantaloni, faccio una bella cagata,<br />
la raccolgo e gliela tiro addosso. Bello. Bello.<br />
Sarebbe più bello farlo su <strong>di</strong> lui in persona…<br />
E cammino. E pensando ai miei pensieri<br />
dolorosamente pericolosi penso. Ah, se fossi… No. No.
Meglio essere se stessi e poi la mia arma,<br />
la mia male<strong>di</strong>zione ai raggi KOGLIONIX.<br />
Toh , chi incontro. Il reverendo che esce dalla casa della sua amante<br />
col volto rosso e gli occhi luci<strong>di</strong> <strong>di</strong> una libi<strong>di</strong>ne non del tutto spenta,<br />
ma col sorriso frutto della gioia <strong>di</strong> chi ha peccato…<br />
E cammino. Le pietre mi sembrano telecamere,<br />
la polvere molecole luminose in agguato,<br />
le stelle tante spie, una per ogni potente,<br />
il paese un bordello con tante puttane e qualche protettore.<br />
E io ? Uno zero, un atomo nella materia finita e infinita,<br />
il nulla nel niente con qualche eccezione privilegiante:<br />
qualche fotone <strong>di</strong> energia intellettiva ben usata…<br />
E cammino. E arrivo al sottoscala <strong>di</strong> merda, entro:<br />
una se<strong>di</strong>a sgangherata, un letto sfatto e sporco,<br />
una mutan<strong>di</strong>na bianca macchiata <strong>di</strong> mestruo,<br />
un copricazzo <strong>di</strong> gomma con lo sperma secco appiccicato<br />
residuo <strong>di</strong> qualche lontana felice o infelice chiavata,<br />
un odore che fa stare male chi non gli è amico,<br />
e lì, sul tavolo zoppo dove balla un topo,<br />
lei, la mia cara e dolce creatura :la male<strong>di</strong>zione ai raggi KOGLIONIX…<br />
E finirete <strong>di</strong> camminare potenti del potere,<br />
niente siete e niente ritornerete. Zero + zero.<br />
Finirete <strong>di</strong> camminare voi che fate l’amore col denaro:<br />
ficcatevelo tutto in culo, con la merda ci sta bene.<br />
Per voi padroni occulti o visibilissimi,<br />
politicanti o carrieristi <strong>di</strong> professione,<br />
profeti o <strong>di</strong>rigenti per vocazione è la fine…<br />
Palazzi bianchi, rossi, neri, arancioni, ver<strong>di</strong>, gialle,<br />
bi, tri, quadri, penta o esacromatici,<br />
circolari, ellittici, iperbolici o parabolici,<br />
cubici, parallelepipedo, cilindrici o piramidali,<br />
a croce latina, greca o egizia, cupolati o no.<br />
con lo stemma a due o più palle o stelle,<br />
dovunque e comunque sarete presto scatole vuote…<br />
Potenti, la comme<strong>di</strong>a è finita, cala il sipario delle tenebre.<br />
E’ la fine. E’ la fine. Thanatos è già presso <strong>di</strong> voi,<br />
pronto a infilzarvi sul suo cazzo mortale.<br />
Thanatos vi vuole, vi ama , vi avrà , vi possiederà .<br />
Presto sarete tutti suoi. Anch’io sarò suo,<br />
pronto al sacrificio, ma non sono un eroe:<br />
do la mia vita per potere ottenere la vostra..<br />
Un patto tra me e la mia creatura, non Faust e Mefistofile.<br />
Non sto vendendo al <strong>di</strong>avolo l’anima destinata a <strong>di</strong>o,<br />
<strong>di</strong>o non c’è, non c’è il <strong>di</strong>avolo, io non ho anima.
Sto solo vendendomi a una geniale intuizione<br />
che chiede la mia vita per <strong>di</strong>venire realtà indomabile:<br />
miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> quanti velenosi saranno generati<br />
non appena mi darò all macchina in un felice amplesso<br />
<strong>di</strong>struttore.<br />
E così sia.<br />
Il ra<strong>di</strong>cale inventa le opinioni. Quando lui le ha consumate, il<br />
conservatore le adotta.<br />
M. Twain
POSTFATTO:<br />
1969<br />
La causa delle rivoluzioni è in ciò: che niente perdura ma tutto si<br />
trasforma in un certo ciclo.<br />
Platone<br />
Il principio dell’Inquisizione è il sapere e il conoscere che la cosa sii,<br />
e sii possibile, et conveniente, et da quale si cave profitto.<br />
G. Bruno<br />
La libertà dell’Homo sapiens<br />
inizia da suo organo sessuale …<br />
Nascienu i figghi <strong>di</strong> Memè, Mimì, Marietta e Maruzza. Furono chiamati Ben e<br />
Pompeo Cazzicchiò. E i neonati non facevano altro che cazzicatummuliari nel letto,<br />
tra le braccia dei genitori.<br />
Nascienu i figghi <strong>di</strong> Devozione e Consolata Bucochiuso. Funu chiamati Ben<br />
Minchiolone e Pompeo Ammuccabad<strong>di</strong>. Erano figli dei cari estinti ma portavano in<br />
nome dei padre legali. E anche loro cazzicatummuliavano tra le braccia delle mamme<br />
e le corna dei papà.<br />
Nascienu pure due portacannolicchi in casa dell’ingegnere Cannolo. Le sorelle<br />
Minabrigghiu <strong>di</strong>edero alla luce due belle bambine. Furono chiamate Bona e Bella<br />
Cannolo. Crescendo sarebbero state, sia Bona che Bella, belle e bone per nuove<br />
cazzicatummuli d’amuri.<br />
Finalmente fu completata la cappella per Ben, Iatata e Pompeo. I tre ragazzi furono<br />
seppelliti insieme. Dal <strong>di</strong>ario della ragazza era venuto fuori che lei li presentava come<br />
“ I miei amanti. Il mio amante zito, e il nio amante amico.” E loro <strong>di</strong>cevano “ La<br />
nostra amante.” La tomba fu <strong>di</strong>segnata da Nikj Sciò. Era una tetraedro . E dentro, le<br />
bare furono <strong>di</strong>sposte con le teste al centro e <strong>di</strong>rette verso i vertici del triangolo<br />
isoscele che faceva da base al tetraedro. Il tetraedro regolare era un omaggio al<br />
tetraidro cannabinolo tanto amato dai ragazzi. Nessun simbolo religioso. Dentro la
tomba furono deposti solo tre oggetti cari ai tre ragazzi. Un Kamasutra illustrato <strong>di</strong><br />
Iatata, un Priapo <strong>di</strong> giada <strong>di</strong> Ben e un vasetto pieno <strong>di</strong> marijuana <strong>di</strong> Pompeo.<br />
Su una parete fu collocato un bassorilievo <strong>di</strong> Nikj Sciò. Raffigurava i tre ragazzi nu<strong>di</strong><br />
su una nuvoletta che in realtà era una ban<strong>di</strong>era rossa. In più c’era un bambino senza<br />
volto. Era il figlio comune del trio che non era riuscito a nascere. Era rimasto nella<br />
pancia <strong>di</strong> Iatata. A taliarli sembrava che i quattro volessero rituffarsi nel mare della<br />
vita per fare nuove cazzicatummuli d’amore e politica.<br />
Sotto il bassorilievo i soli nomi. Iatata, Ben, Pompeo e Mary Juano o Mary Juana.<br />
Perché questo era il mone che i tre ragazzi volevano mettere al piccolo. O alla<br />
piccola.<br />
Il lunedì <strong>di</strong> pasqua del sessantanove, nella valle <strong>di</strong> Pantalica, si tenne un raduno in<br />
memoria <strong>di</strong> Ben, Iatata e Pompeo. Fu una festa <strong>di</strong>onisiaca. Un orgia del piacere, del<br />
sapere, del vedere, del pensare. Fu un inno alla libertà a trecentosessanta gra<strong>di</strong>.<br />
C’erano tutti. E tutti nu<strong>di</strong>. C’erano Gerlando Pirlabon e Minimo Mezzocazzone, che<br />
lasciati i C.C., erano entrati nella comunità i figli della Kanapa. C’era Bartolomeo<br />
Ciollardente, oramai ex prete, con la sua compagna, Carmelina Culodoro. C’era<br />
Bernar<strong>di</strong>no Cacaceddu, anche lui ex prete, col suo compagno, Ciccillo Birrillone.<br />
C’erano Micio , le sorelle Fikaminkianova e altri amici. Mimì, Memè e le mogli.<br />
Nicola Cannolo con le sorelle Tonina e Ninetta. Le sorelle Bucochiuso con i mariti.<br />
C’erano Kalò Bi - Gi e i suoi amici. C’erano gli Incardasciò. Il sindaco, la moglie, il<br />
piccolo Pascal, Nitta con Vic, Vanni con Immacolata Cicoriazza, Alex con una nuova<br />
compagna, Nikj con Meg. C’era il dottor Minchiatrina senza le sorelle Stoccacitrolo.<br />
C’era il cugino sacrestano del prete Ciollardente.<br />
Fu rappresentata, da parte <strong>di</strong> un gruppo universitario, la comme<strong>di</strong>a goliar<strong>di</strong>ca<br />
“Processo penale contro don Sculacciabuchi. “ Quin<strong>di</strong> il piccolo Pascal lesse una<br />
poesia. “Apologia del 69”.<br />
cui spesi volentieri tempo e fatica.<br />
Non vi par cosa degna <strong>di</strong> un poema<br />
la leccatura della bella fica?<br />
Per me,chi non la lecca .è empio e pazzo<br />
e non ha sangue al cuor né sugo al cazzo.<br />
Se frequenti il bel sesso e se tu hai<br />
stoffa d’indagator qual io t’assembro,<br />
con gran facilita t’accorgerai<br />
che per la donna non è tutto il membro.<br />
Onde la sua lascivia ben s’estingua<br />
val più d’un cazzo un pezzettin <strong>di</strong> lingua.<br />
Armati <strong>di</strong> costanza e d’accortezza<br />
e quando la vedrai tutta vibrante<br />
non espugnar d’un tratto la fortezza<br />
come sol fare qualunque collegiante<br />
che dà tosto l’assalto alla trincea<br />
per piantare l’asta della sua ban<strong>di</strong>era.<br />
Ma gioca ognor d’astuzia e l’arte adopra<br />
che alla donna riesce assai gra<strong>di</strong>ta<br />
e quando alfin la cavalchi sopra,<br />
fà che d’ogni finezza resti conquìta.<br />
Solo allor dov’e del gau<strong>di</strong>o il centro<br />
sfodera il brando e piantaglielo dentro.<br />
Adotta tal sistema e sempre avrai<br />
dalla tua donna amor costante e stima.<br />
Non dalla fica cominciar dovrai;<br />
leccale il lobo dell’orecchio <strong>prima</strong>.<br />
Baciala, Metti a lei la lingua in bocca.<br />
Succhiale le mammelle. Il collo toccale,<br />
l’ebbrezza le vedrai <strong>di</strong>pinta in viso<br />
le poppe dure, il seno, eretto, ansante<br />
beata ella sarà nel suo sorriso.<br />
La bocca sua bacia allora anelante.<br />
Discen<strong>di</strong> costeggiando piano piano<br />
Quasi un pennello la tua lingua fosse.<br />
Serpeggia dall’orifizio al deretano<br />
con lievi tratti e delicate mosse.<br />
In<strong>di</strong> la fatta via torna a rifare<br />
e lecca sempre e mai non ti stancare<br />
chè all’ombelico infine è giunta l’ora<br />
in cui la sensualissima ragazza<br />
per la libi<strong>di</strong>ne sarà resa pazza.<br />
Poichìella è presa da rrama ardente<br />
l’aver tra le sue cosce la tua testa,
spingila tosto avidamente<br />
poi con la scaltrezza e manovra lesta<br />
pren<strong>di</strong>, mentr’ella languida si muove,<br />
la posizione del sessantanove.<br />
Mentri in tal modo tu resti impegnato<br />
il cazzo tuo tanto superbo è ar<strong>di</strong>to<br />
dalle mani <strong>di</strong> lei sarà impugnato<br />
nella sua bocca messo e ben forbito.<br />
In<strong>di</strong> la lingua con lascivia smossa<br />
Chiamerà il tuo sperma alla riscossa<br />
Allor vedrai che nello stesso istante<br />
due bocche succhieran lo stesso umore.<br />
Vedrai che un cazzo e una fica ansante,<br />
uniti, succhieran lo stesso umore<br />
ed in tal momento <strong>di</strong> supremo desio<br />
Scorderai persin la terra e <strong>di</strong>o.>><br />
Il piccolo aggiunse poi <strong>di</strong> suo: ><br />
Tutti risero e applau<strong>di</strong>rono. Dopo si ballò e quando la luna fece la sua comparsa il<br />
comitato organizzatore invitò i presenti ad onorate i defunti in due mo<strong>di</strong>. O facendo<br />
l’amore a tre o , in onore del nuovo anno, facendo tanti 69. E sesso fu. Duetti e<br />
terzetti alla sanfasò. Tranne il sacrestano che come al solito si la minò. E tranne<br />
Pascal, che firriò in giro, a curiosare. Furono cazzicatummuli <strong>di</strong> piaceri in ogni senso.<br />
Dalle carte <strong>di</strong> Pompeo venne fuori un trattato satirico sull’etica sessuale. Era una<br />
risposta giocosa a chi voleva regolamentare la cosa più bella che aveva l’Homo<br />
sapiens: il sesso. Questo l’ironico trattato intitolato “ A PROPOSITO<br />
DELL’ETICA SESSUALE “<br />
So Pompeuccio, er segretario papale,<br />
che mo’, nella mia qualità de car<strong>di</strong>nale,<br />
dall’ex Sant Uffizio so’ stato incaricato<br />
<strong>di</strong> rendere noto er seguente trattato.<br />
Io ve potrei contà quarche retroscena<br />
e <strong>di</strong>rvi de Sua Santità la granne pena.<br />
Egli <strong>di</strong>ce “ Er monno <strong>di</strong>venta pazzo,<br />
mo’ ar posto da croce metteranno er cazzo.<br />
La gente pena solo e sempre al sesso,<br />
e sto monno s’è ridotto a un gran cesso.<br />
E allora prega Dio, la Madonna e i Santi<br />
e chiede de daje una mano, visto che so’ in tanti.<br />
Suppergiù <strong>di</strong>ce “ Padre nostro che nei cieli sei,
aiutami un po’ a risolvere i cazzi miei.”<br />
Per farla finita er papa ha deciso de regolamentare<br />
Er comportamento vostro in campo sessuale.<br />
Voi potete dì “ Santità se faccia i cazzi sui”.<br />
Ma no fratelli, i tempi so’ troppo bui<br />
e se sua Santità ve sta a rompe li cojoni<br />
lo fa solo per sarvarvi da certe tentazioni.<br />
Soprattutto ve vo’ sarvà da le pene infernali<br />
del famigerato reparto “ Fatti e fattacci sessuali”.<br />
Così, ispirandosi a san Paolo sant’Agostino,<br />
e <strong>di</strong>cenno pane ar pane e vino ar vino,<br />
è stato stabilito e successivamente decretato<br />
che toccarsi er creapopoli è gran peccato<br />
Eppure er cazzo è assai assai importante:<br />
senza de lui, come se farebbe ad annare avanti?<br />
Voi ve chiedere “ Come se farà ad annare a pisciare?<br />
Forse quarche angelo ce verrà ad aiutare? “<br />
Ma no, ma no. Infinite sono le vie del signore.<br />
E intanto guai, guai, guai a come fate l’amore.<br />
Mai e poi mai er coitus interruptus,<br />
quello analis est magum delictus.<br />
Non parlamo poi de cunnilingui e de pompini,<br />
quella è robaccia zozza da casini.<br />
Guai ad usare quarche anticoncezionale.<br />
Chi ha più figli avrà meno tempo per pensare.<br />
E mo, non è certamente per fare er burino,<br />
ma ve proibisco pure Knaus e Ogino.<br />
Guai senza matrimonio annare a letto.<br />
La mussa e il belin non è ancora benedetto.<br />
Guai ad annare con uomini o donne altrui.<br />
Ognuno s’accontenti delle fregne e dei cazzi sui.<br />
Guai a zoccole, lesbiche e finocchi.<br />
Andranno all’inferno privi degli occhi.<br />
Guai al ragazzo che si sarò masturbato.<br />
Verrà un <strong>di</strong>avolo , sarà evirato.<br />
Così, senza più er cazzo e manco li cojoni,<br />
non potrà risponnere a certe tentazioni.<br />
‘Nsomma, sto papa bono, pe’ voi se preoccupato<br />
e ha deciso de savarvi tutti dal peccato.<br />
Certo che voi potete <strong>di</strong>’, che in fonno in fonno,<br />
uno dei più granni puttanieri der monno<br />
fu er famoso san Mentulino<br />
che da boccia nun fu certo un santarellino.<br />
Ficcanno oggi e pure domani, ebbe un fijo naturale,
ma poi capì che viveva ner peccato mortale.<br />
Fu allora che preso da una santa ispirazione<br />
sentenziò la seguente stupenda decisione:<br />
“ Omini e femmine <strong>di</strong> sto monno pazzo,<br />
atturatevi a fregna e tajatevi er cazzo”.<br />
D’allora la morale cristiana si fonna sur tabù<br />
e sur fatto che Maria vergine ce cagò Gesù.<br />
Grazie a ciò fu arrostito Bruno Giordano,<br />
bruciò Savonarola, fu carzarato Galileo sano sano,<br />
se dette a fa assai assai la santa inquisizione<br />
e tutto quanto er monno <strong>di</strong>venne più cojone.<br />
Così, oggi, quer fijo bello de sua santità.<br />
vorrebbe regolà er sesso a tutta l’umanità.<br />
Ma poi, er sesso, non è affatto immorale.<br />
Artrimenti Dio, essere soprannaturale,<br />
ner creare tutto quanto sto monno fetente,<br />
sicuramente pe’ fa riprodurre la gente,<br />
quarche artro sistema avrebbe escogitato.<br />
Nun l’ha fatto, dunque er sesso nun è peccato.<br />
Ma la chiesa deve <strong>di</strong>fenne le sue posizioni,<br />
deve <strong>di</strong> no ad ogni modernizzazione,<br />
Er papa ha fatto voto de vive in castità.<br />
E poi che volete, con do senza voto, alla sua età.<br />
‘nsomma, è stato deciso e poi ribattuto<br />
che er popolo ancora doveva essere fottuto<br />
Mo ho finito, Bene e pace, pace e bene,<br />
ognuno anneghi nelle sue sante pene.<br />
Un Credo e un Pater per ogni mancanza,<br />
oltre a una offerta per la mia santa panza.<br />
Un me pento, un me dolgo e un’Ave Maria<br />
pe’ restà sempre un pugno de stronzi. E cosi sia.<br />
Pietruccio Sorcaealtro .<br />
Fine 11-1-2003
Grazie a Rimbaud, a Baudelaire, a Peter de Rosa, ai curatori <strong>di</strong> “Ifigonia e canti<br />
goliar<strong>di</strong>ci”, al sito www.racine.ra.it , agli autori delle tante citazioni. Grazie<br />
anche a Paolo Rupert Santoro.<br />
Paolo Rupert Santoro<br />
Le citazioni sono degli autori citati.<br />
La poesia “ Venere Ana<strong>di</strong>omene” è <strong>di</strong> Arthur Rimbaud.<br />
Le poesie “Le litanie <strong>di</strong> Satana” e “A una madonna” sono <strong>di</strong> Baudelaire.<br />
La poesia “Apologia del 69” è tratta da “ Ifigonia e canti goliar<strong>di</strong>ci”<br />
Le poesie sono dell’autore.<br />
La scheda <strong>di</strong> Bonifacio VIII è tratta dal sito www.racine.ra.it . E stato cambiato il<br />
termine “ francese “ con “ Colonna”.<br />
Altre notizie su Bonifacio VIII sono tratte da “ I vicari <strong>di</strong> Cristo” <strong>di</strong> Peter de Rosa.