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A cazzicatummula di Monacazzo - versione p. T (prima - santoro rupert

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PAOLO<br />

RUPERT<br />

SANTORO<br />

‘A<br />

CAZZICATUMMULA<br />

DI<br />

MONACAZZO


‘A <strong>cazzicatummula</strong> <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong><br />

ovvero<br />

Il 68 a <strong>Monacazzo</strong> ( aspettando il 69 )<br />

<strong>di</strong><br />

Paolo Rupert Santoro


INDICE<br />

ANTEFATTO :1967<br />

FATTO :1968<br />

1: A PRETESSA<br />

2: CICETTO MIO<br />

3: LI CONSIJ DE MAMMA'<br />

4: ER PITTORE<br />

5: ER FATTACCIO SESSUALE<br />

6: A MONACA<br />

7: ER MARCHETTARO<br />

8: LI MARINAI<br />

9: FRATE BARTOLOMEO<br />

10: ER PAPABILE<br />

11: ER PRESIDENTE<br />

12: SORA MIGNOTTA<br />

13: L’EDUCAZIONE SESSUALE<br />

14: NATALINO ER MAGNACCIA<br />

15: MAMMA SIMONA<br />

16: ER CORNUTO<br />

17: IO E L’UTOPIA<br />

POSTFATTO : 1969


A Maruzzedda<br />

A Bastianu e Maruzzedda<br />

- Per una madre che non c’è più.-<br />

Passano gli anni, scorrono<br />

come l’acqua dell’Anapo eterno..<br />

E passano pure per te..<br />

Passano e lasciano il segno..<br />

La tua faccia ha mille rughe..<br />

Centomila espressioni..<br />

Un miliardo <strong>di</strong> miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> sorrisi..<br />

Tutti per nascondere i dolori <strong>di</strong> una vita ..<br />

Per <strong>di</strong>re sempre “va bene”..<br />

Per dare coraggio e fiducia<br />

Alla carne della tua carne..<br />

Alla vita della tua vita…<br />

All’unico frutto del tuo amore…<br />

Solo fiducia, fiducia e coraggio..<br />

Fino alla fine , quando stavi per partire<br />

Per l’ultimo viaggio..<br />

Dicevi “ non è niente, coraggio…”<br />

“ Ad<strong>di</strong>o cari atomi eterni ...<br />

Ad<strong>di</strong>o cari atomi materni..<br />

Ad<strong>di</strong>o.. anzi arrivederci…”


ANTEFATTO:<br />

1967<br />

E già che siamo all’argomento “ liberi tutti “ ; non importa che<br />

siate single, sposati, con o senza figli, eterosessuali, bisex,<br />

omosessuali o dormite solo con dei babbuini: questo libro fa per<br />

voi. Mi ha dato un grande piacere scriverlo, spero che regali a voi<br />

altrettanto piacere. In tutti i sensi. Godetevelo!<br />

Tracey Cox<br />

Il sesso è uno e infinito… non esiste mascolo o femmina...<br />

godetevelo il sesso.. da soli, in due, in tre, in quattro, ma anche <strong>di</strong><br />

più.. l’importante è che sia una libera scelta e non una<br />

imposizione..<br />

Micio Tempio da <strong>Monacazzo</strong><br />

Chiamiamo libero colui che esiste per se stesso e non per un altro.<br />

Aristotele<br />

Io non sono veramente libero se non quando tutti gli esseri umani<br />

che mi circondano, uomini e donne, sono ugualmente liberi.<br />

M. A. Bakunin<br />

Uno spettro si aggirava per l’Europa: lo studentismo. Dopo circa 180 anni dalla<br />

rivoluzione francese una nuova rivoluzione era nell’aria. Una rivoluzione meno<br />

sanguinaria ma con gli stessi ideali <strong>di</strong> libertà, fratellanza e uguaglianza . Ma stavolta<br />

non era interessata solo la Francia. Era qualcosa <strong>di</strong> più internazionale, qualcosa <strong>di</strong><br />

soprannazionale. Una voglia <strong>di</strong> libertà contro i moralisti, i bacchettoni, i bigotti, gli<br />

inquadrati, i servi <strong>di</strong> partito, i costruttori <strong>di</strong> regole e regolamenti libertici<strong>di</strong>. Contro i<br />

tiranni, i tirannucci e i tirannetti. Gran<strong>di</strong> e piccoli. E anche a <strong>Monacazzo</strong>, piccolo<br />

paese della Sicilia, c’era questa voglia <strong>di</strong> libertà. Anche se molte cose erano cambiate<br />

la realtà era rimasta legata alla tra<strong>di</strong>zione. Anche se il paese era amministrato dalla<br />

sinistra le tra<strong>di</strong>zioni del perbenismo, del bacchettonismo, del moralismo, del<br />

servilismo, dell’autoritarismo erano rimasti in pie<strong>di</strong>. L’arroganza del potere era<br />

rimasta la stessa. Di certi poteri e <strong>di</strong> certi potenti. Ingegneri tangentisti e avvocati<br />

delinquenti, preti sfruttatori e gentaglia senza parola e <strong>di</strong>gnità. Magari camuffati sotto


le regole della democrazia, ma sempre in vigore. Il prete, il maresciallo, il preside,<br />

l’assessore, il dottore, l’ingegnere erano sempre il potere che manovrava i fili. Il<br />

mascolo era l’autorità della casa, la femmina la sua serva. Il mascolo che conquistava<br />

tante femmine era cacciatore, la femmina che si lasciava conquistare quella cosa<br />

<strong>prima</strong> <strong>di</strong> essere stata benedetta dal parrino era una grannissima buttana patentata. La<br />

vita del cristiano perfetto iniziava col battesimo, proseguiva con la comunione , la<br />

cresima, il matrimonio, la nascita <strong>di</strong> tanti cristianuzzi perfetti e infine la morte. E nel<br />

mezzo tante processioni, confessioni, <strong>di</strong>giuni, lacerazioni della carne e dell’anima e<br />

tante tante veglie <strong>di</strong> preghiera. E soprattutto tante offerte alla santa cattolica<br />

apostolica chiesa locale. Per il sostentamento dei preti, dei loro capricci, dei loro figli<br />

e delle loro amanti. Non solo <strong>di</strong> bocca mangiavano i parrini, mangiavano anche<br />

d’aceddu e a volte pure <strong>di</strong> culo.<br />

Ma il sindaco Tonino Incardasciò, barone <strong>di</strong> sinistra, non apparteneva a quella banda<br />

<strong>di</strong> ammuccaparticoli e caca<strong>di</strong>avoli; e sua moglie, la ginecologa Eusebia Ferretti, s’era<br />

data da fare per fare la sua piccola rivoluzione sessuale. Per dare al mascolo quello<br />

che era del mascolo , ma nello stesso tempo per dare alle donne quello che non<br />

avevano mai avuto. Il <strong>di</strong>ritto a una sessualità fatta anche <strong>di</strong> piaceri e non solo <strong>di</strong><br />

doveri. La parola “orgasmo” girava come un fantasma nelle teste delle femmine <strong>di</strong><br />

<strong>Monacazzo</strong> e metteva paura ai mascoli che iniziavano a soffrire <strong>di</strong> “ ansia da<br />

prestazione”. Le gloriose minchie siciliane, quelle dotate <strong>di</strong> una gran coppola dello<br />

zio Vincenzo, iniziavano a incrinarsi come la torre <strong>di</strong> Pisa e qualcuna era anche<br />

crollata. Crollata inesorabilmente <strong>prima</strong> <strong>di</strong> trasiri dentro. Il famoso “ Phallus<br />

gloriosus” <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong> era <strong>di</strong>ventato “ Phallus ingloriosus.”<br />

Ma intanto la chiesa continuava a insistere sui peccati della sessualità. E circolava<br />

voce che il papa stava elaborando una enciclica fortemente repressiva in materia <strong>di</strong><br />

sesso. Non solo quello omo, anche quello etero. La chiesa voleva controllare a suo<br />

piacimento gli affari della minchia e dello sticchio <strong>di</strong> tutti e farli lavorare solo come<br />

voleva lei. Cunnomentulamachie erano possibili solo secondo certi canoni. Le<br />

alternative erano da escludere al cento per cento. Intanto a <strong>Monacazzo</strong> le nuove<br />

generazioni pensavano a vivere la loro vita e se ne strafottevano <strong>di</strong> quello che<br />

<strong>di</strong>cevano le mamme scassacazzo, le nonne rompicoglioni, i preti sessuofobi e<br />

cacaced<strong>di</strong>, le monache scassaminchia e tanta altra gente religione-<strong>di</strong>pendente. Il detto<br />

<strong>di</strong> Marx “ La religione è l’oppio dei popoli “ era più che mai attuale. Ma le nuove<br />

generazioni , più libere in tutto e quin<strong>di</strong> anche nel sesso, preferivano altre droghe alla<br />

droga religiosa, alla teo-<strong>di</strong>pendenza. Per esempio la droga politica. O altro. Tanto<br />

altro. La marijuana <strong>di</strong>lagava. E non solo quella. Se la cocaina era stata la droga dei<br />

signori ricchi, adesso c’era la droga per tutti. “ Proletari <strong>di</strong> tutto il mondo, ecco il<br />

vostro spinello” . Oppure, se uno era catto-comunista, “ Padre nostro, dacci il nostro<br />

spinello quoti<strong>di</strong>ano”. Le nuove generazioni erano stanche anche <strong>di</strong> quella cazzo <strong>di</strong><br />

frase che recitava “ Date a Cesare quello che è <strong>di</strong> Cesare e a Dio quello che è <strong>di</strong> Dio”.<br />

Quella era una frase coniata per fare andare a braccetto il potere religioso e quello<br />

politico. si chiedevano in tanti.


Adesso era venuto il tempo <strong>di</strong> pensare a sé stessi, al proprio corpo , al proprio<br />

piacere: il tempo <strong>di</strong> abbandonare il concetto che la vita è un dono <strong>di</strong> Dio. Ma <strong>di</strong><br />

credere che la vita è nostra e che possiamo farne quel cazzo che ci pare. L’importante<br />

è non rompere i coglioni agli altri. E in questa atmosfera <strong>di</strong> poteri forti, che si<br />

sentivano minacciati e in pericolo, cresceva la voglia <strong>di</strong> libertà in tutti i campi, e si<br />

preannunciava la rivoluzione del sessantotto.<br />

Forse aveva ragione Michele Nostraddammuso, che parlava sempre <strong>di</strong> palingenesi.<br />

><br />

E invocava la palingenesi rigeneratrice. Soprattutto la famosa frase <strong>di</strong> Nostradamus:<br />

><br />

Ci volevano ancora trentanni. Ma poteva sucedere dell’altro.<br />

> pinsava<br />

Michele.<br />

La libertà <strong>di</strong> pensare è la libertà <strong>prima</strong>ria…<br />

L’utero è mio e lo gestisco io..<br />

Slogan femminista<br />

Io sono mio e no <strong>di</strong> <strong>di</strong>o.. mio è il mio corpo, la me ciolla e il mio<br />

ciriveddu... soprattutto il mio ciriveddu..<br />

Micio Tempio da <strong>Monacazzo</strong><br />

A <strong>Monacazzo</strong> , nume della libertà totale e generale, era lo scrittore Micio Tempio.<br />

Che scriveva pure su un giornale locale, La Gazzetta <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>, dove <strong>di</strong>fendeva i<br />

locali martiri della libertà. Questo prestigioso giornale era <strong>di</strong>retto dal veneziano<br />

Giorgio Baffo, uomo <strong>di</strong> cultura stu<strong>di</strong>ata e vissuta, e soprattutto amante della libertà<br />

pura, della libertà al cento per cento. E regista per passione. Famoso il suo motto:<br />

><br />

Tra i casi <strong>di</strong> cui si era occupato Micio Tempio quell’anno, c’erano quello della<br />

ragazzina scappata da casa per sfuggire al matrimonio imposto dalla famiglia e quello<br />

<strong>di</strong> un’altra ragazzina, anche lei scappata da casa, che era stata costretta a fuirisinni<br />

con la forza. Costretta a questo da un mascolo invasato che poi l’aveva ripetutamente<br />

violentata. E che adesso doveva, secondo tra<strong>di</strong>zione, per salvare il violentatore dal<br />

carcere e sé stessa dall’essere considerata una buttana, maritarselo. Ma le due ragazze<br />

si erano ribellate. E per la massa si erano conquistate la patente <strong>di</strong> buttanone<br />

grannissime. Come buttanone erano quelle che lasciavano il marito o si facevano un<br />

amante. Se ha fare questo era il mascolo, era solo uno sperto a cui la minchia<br />

tracimava dalle mutande. Micio Tempio <strong>di</strong>fendeva a libertà in quanto tale. Micio<br />

Tempio <strong>di</strong>fendeva queste vittime della società liberticida. E la sua era anche una<br />

battaglia continua contro la censura.


La “ parolaccia” era interdetta sia in pubblico che in privato. Troppe signore a sentire<br />

la parola “ minchia” arrossivano e stavano male, e alcune arrivavano a svenire. Per<br />

tanta gente adulta il sesso era e restava un tabù. Una cosa assolutamente privata.<br />

>sosteneva il vecchio cavaliere Paolo<br />

Sebastiano Michele Addolorato Masculuchebad<strong>di</strong>.<br />

La sessuofobia pertanto era sia fisica che ideologica. E ci stava troppa gente, sia<br />

fimmini ca masculi, ca si lu faceunu strittu strittu. Parravanu sulu pulito assai assai,<br />

anche se sparavano minchiate incommensurabili. Specialmente gli uomini . In<br />

pubblico parlavano pulito e lavato con la candeggina, ma in privato facevano volare<br />

cazzi e minchie a tutto spiano. E a volte anche le loro signore. In privato però. In<br />

pubblico la parola “ minchia “ e i suoi parenti e compari erano e restavano interdette.<br />

E Micio Tempio aveva de<strong>di</strong>cato alla sua amata <strong>Monacazzo</strong>, terra <strong>di</strong> cazzi amari e<br />

cunna duci, una bella poesia che illustrava la sua lunga vita dalle origini greche a<br />

oggi. “ MONACAZZO BEDDA E PITITTUSA”<br />

<strong>Monacazzo</strong> bedda , pitittusa , <strong>di</strong> la vita sperta e sapienti<br />

Picchì bedda e sapienti <strong>di</strong> pititta è la to genti…<br />

Terra millenaria da lu suli abbruciata,<br />

Terra bedda, terra biniritta da soccu <strong>di</strong>u anticu, terra amata…<br />

Forse da Giove, o da soccu autru bossi <strong>di</strong> l’Olimpo..<br />

Pari ca iddu sicuru fu ,ca gu<strong>di</strong>ennu cu na fimmina bona,<br />

Ammentri ca scoppiaunu lampi e trona,<br />

Dissi ” Viva sta minchia e la banna ca la sona.”<br />

Ma a <strong>di</strong>ri lu veru veru, cu minchia lu sapi<br />

Qualu <strong>di</strong>u si innamurau <strong>di</strong> stu paisi <strong>di</strong> uommini e <strong>di</strong> crapi,<br />

Di scecchi e <strong>di</strong> vacchi, <strong>di</strong> puorci e <strong>di</strong> lupi, <strong>di</strong> genti cu e senza marruna ,<br />

Di ommini, mezzommini, uomminicchi, piglianculu e quaquaraquà..<br />

E <strong>di</strong> tanti fimmini ca la danu e si la godunu tutta<br />

E <strong>di</strong> quarcu fimmina ca si la teni stritta e poi si la fa fritta…<br />

Forsi fu Priapo ca cu lu so granni capitali<br />

Capiu ca cà ci stavunu travagghi pilusi da fari…<br />

<strong>Monacazzo</strong>, petri antichi <strong>di</strong> la magna grecia …<br />

Balati e balated<strong>di</strong>, archi trionfali e curtigghia…<br />

Petri popolari, petri nobbili, petri colti <strong>di</strong> lu teatro grecu..<br />

Petri cini <strong>di</strong> cultura ca da mill’anni e autri mill’anni,<br />

Da quannu li sarausani ficinu stu paisi filici e ranni,<br />

Vistunu lu minnitta <strong>di</strong> Medea , la sofferenza <strong>di</strong> Prometeo


O la rabbia <strong>di</strong> E<strong>di</strong>po ca si cucca cu la matri<br />

E pi la gioia canta nu gloriapatri…<br />

Petri ca sanu puru <strong>di</strong> filosofia e <strong>di</strong> Platone<br />

E quannu nu culu <strong>di</strong> spettatore si assetta<br />

Capisciunu se apparteni a pirsuna colta o a un coglione…<br />

Terra bedda e antica pronta a ririri<br />

Di l’aced<strong>di</strong> <strong>di</strong> Aristofane e <strong>di</strong> li corna <strong>di</strong> Anfitrione<br />

Ammentri ca Alcmena cu lu <strong>di</strong>u si la annaca<br />

Dintra nu lettu a forma <strong>di</strong> naca<br />

Pi fari nu picciriddu nicareddu e beddu a lu maritu<br />

E nu Erculuni cinu <strong>di</strong> curaggiu<br />

Cu tantu <strong>di</strong> palli e <strong>di</strong> battagghiu….<br />

A lu Giovi eternu, pluvio, tonanti e trombanti<br />

<strong>di</strong>ntra li cunna bed<strong>di</strong> e vacanti…<br />

E puru li proverbi <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong> sunu bed<strong>di</strong> assai<br />

“ Nicchiu nacchiu , nicchiu nacchiu<br />

Viva lu piripicchiu e lu piripacchiu. “<br />

“ Mentula ranni, mentula bedda<br />

ficchiti <strong>di</strong>ntra ogni vanedda”.<br />

“ O cunnu sanu o cunnu ruttu,<br />

lu pitittu <strong>di</strong> lu brigghiu veni <strong>prima</strong> <strong>di</strong> tuttu .”<br />

<strong>Monacazzo</strong> bedda epicurea ca purtavi Veniri Callipigia in processioni<br />

E ci cantavi la litania <strong>di</strong> li natichi tunni e boni..<br />

“ Natichi , a tutti li latidunini duci emisferi,<br />

colline iperboree, isoterme <strong>di</strong> lu piaciri,<br />

torti, ‘npanati, mezzelune e puru vasted<strong>di</strong><br />

da ‘npastari cu sti manazzi pitittusi .Bed<strong>di</strong><br />

Natichi profumati c’attirati tutti l’aced<strong>di</strong>…”<br />

Mentri a Priapo l’itifallico ca la teni sempri ad<strong>di</strong>tta<br />

Ci addumavi na cannila biniritta..<br />

Priannu pi la saluti <strong>di</strong> lu to citrolu<br />

Ca avia siri sempri prontu a spiccari lu vulu…<br />

Ma poi, na matina, vinni lu viscuvu Marzianu<br />

E lu paisu ad<strong>di</strong>vintau cristianu…<br />

A Veniri ci misinu li mutanni , la vistina e la scialletta<br />

E a Priapu ci la tagghianu tutta cu nu cuorpu d’accetta…<br />

E da allura lu sessu nun fu ciui na cosa naturali<br />

Ma ad<strong>di</strong>vintau piccatu ranni e mortali….<br />

Ad<strong>di</strong>o <strong>Monacazzo</strong> terra bedda e antica cina <strong>di</strong> fantasia…..<br />

Ad<strong>di</strong>o <strong>Monacazzo</strong> , terra <strong>di</strong> cunnomentulamachie …<br />

Una città deve essere costruita in modo<br />

da dare ai suoi abitanti sicurezza e felicità.<br />

La città ideale . Aristotele


FATTO : 1968<br />

Quella categoria <strong>di</strong> uomini votati all’ufficio <strong>di</strong>vino e de<strong>di</strong>ti alla<br />

contemplazione e alla preghiera devono astenersi<br />

completamente dal frastuono degli affari temporali.<br />

Uomini <strong>di</strong> Chiesa. Decretum Gratiani, testo me<strong>di</strong>evale<br />

Cazzicatummuli d’amuri su buoni a tutti l’uri.<br />

Detto popolare<br />

Esiste il sesso, poi c’è il buon sesso e infine c’è il sesso super.<br />

Sto parlando <strong>di</strong> quello che fa arricciare le <strong>di</strong>ta, attorcigliare lo<br />

stomaco e per cui si sarebbe <strong>di</strong>sposti a vendere la propria<br />

madre. Il tipo <strong>di</strong> sesso che non basta mai.<br />

Tracey Cox<br />

Il sesso dovrebbe essere <strong>di</strong>vertente, ricordate? E per questo che<br />

genitori, insegnanti e preti ,continuano a <strong>di</strong>re agli adolescenti <strong>di</strong><br />

non farlo. Se non fosse <strong>di</strong>vertente, non avremmo la tentazione <strong>di</strong><br />

farlo, o no?<br />

Tracey Cox<br />

Nessun precedente sconvolgimento politico, per quanto violento,<br />

aveva mai sollevato un entusiasmo così appassionato, perché<br />

l’ideale proposto dalla rivoluzione non consisteva in un semplice<br />

cambiamento del sistema francese, ma in una vera e propria<br />

rigenerazione dell’intera razza umana. Creò un’atmosfera <strong>di</strong><br />

fervore missionario ed assunse davvero tutti gli aspetti <strong>di</strong> una<br />

rinascita religiosa, spesso con grande costernazione degli<br />

osservatori contemporanei. Sarebbe forse più esatto <strong>di</strong>re che si<br />

andò sviluppando in una specie <strong>di</strong> religione, anche se<br />

singolarmente imperfetta, dato che non aveva un Dio, né un<br />

rituale, né prometteva la vita futura. In ogni modo, questa strana<br />

religione, come l’islamismo, ha invaso il mondo intero con i suoi<br />

apostoli, militanti e martiri.<br />

A. de Tocqueville


UNO : A PRETESSA<br />

Gaude mihi…<br />

Selten habt ihr mich verstanden<br />

Selten auch verstand ich Euch..<br />

Heine<br />

Attenzioni a li babbi arrinisciuti….<br />

><br />

L’avvocato Cicciu Cicidda spalancò i suoi occhietti <strong>di</strong> rapace della vita in tutte le sue<br />

manifestazioni e si tuccau tri voti li palli. Poi si fici tri voti il segno della croce.<br />

L’avvocato Cicciu mittia sempre insieme le cose sacre e le cose profane. Prima le<br />

profane , poi le sacre. Le prime le viveva per sé, le seconde le recitava per gli altri.<br />

Cioè per la massa deficiente.<br />

><br />

E si toccava la minchia. La sua Roma caputtimmun<strong>di</strong>. Ma soprattutto taliava il busto<br />

della buonanima che stava sulla scrivania: il Duce. E al Duce ogni anno faceva <strong>di</strong>re<br />

una messa. Perché anche se lui non credeva a certe cose, l’importante era far credere<br />

il popolo bestia.<br />

> <strong>di</strong>ceva nella sua<br />

testa.<br />

Cicciu era figlio del fu Concetto Cicidda, avvocato pure lui e podestà <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong><br />

dopo la tragica morte <strong>di</strong> Calogero Incardasciò. Podestà per tanto tempo. Podestà fino<br />

alla caduta del fascismo. Quando gli abitanti <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong> si erano in parte ven<strong>di</strong>cati<br />

dei tanti suoi abusi <strong>di</strong> potere. E l’avvocato Ciccio, in una stanza del suo palazzo, avia<br />

realizzato un piccolo museo personale <strong>di</strong> cimeli fascisti. C’erano la <strong>di</strong>visa del padre e<br />

tutte le sue uniformi <strong>di</strong> balilla, balilletto, balillino, figlio della lupa , figlio <strong>di</strong> buttana e<br />

altro. Ma soprattutto ci stavano tre lettere scritte personalmente al suo caro genitore<br />

da sua Eccellenza il Duce del Popolo Italiano.<br />

Quella sera, a sentire quelle notizie che arrivavano da Roma, il povero avvocato si<br />

impressionò nu tanticchia e si intisi già prigioniero politico in una Italia russificata,<br />

stalinizzata, lieninizzata e altro. Quella notte non dormì. Pinsau che pure a<br />

<strong>Monacazzo</strong> c’erano cazzi da pelare. Gli studenti erano in agitazione da tempo. E tra i


tanti c’era pure quella testa <strong>di</strong> minchia male arrinisciuta <strong>di</strong> suo figlio Benito. Che però<br />

si faceva chiamare Ben. Ben Cicidda.<br />

><br />

Ciccio passò la notte insonne stinnicchiato accanto alla sua cara moglie, la signora<br />

Mariannella Manuzza in Cicidda. Quella dormiva, anzi eseguiva il solito concerto in<br />

re maggiore rumpicugghiuna per naso e in fa minore piritante per culo . E lui, il<br />

marrugghio della casa, il mascolo con le appen<strong>di</strong>ci giuste, pinsava. All’oggi, al<br />

passato, ma soprattutto al futuro. E dentro si sentiva ardere una fiamma, una fiamma<br />

tricolore , come quella che era il simbolo del suo partito, l’MSI. Il Movimento<br />

Sociale Italiano. Partito per il quale stava assittato dentro il consiglio comunale.<br />

All’opposizione ma <strong>di</strong>ntra il palazzo, con due pie<strong>di</strong> e quel culo enorme da obeso che<br />

non ci stava dentro la scanno <strong>di</strong> consigliere.<br />

> gli<br />

<strong>di</strong>cevano gli amici scherzando.<br />

> rispondeva lui secco.<br />

E d’altra parte aveva veramente sperato <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare sindaco. Ma gli elettori<br />

avevano scelto il barone Tonino Incardasciò che era nobile e comunista, quin<strong>di</strong><br />

bastardo e senza<strong>di</strong>o.<br />

> <strong>di</strong>ceva a sé<br />

stesso.<br />

Ben Cicidda era uno dei leader dell’MSM, il Movimento Studentesco <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>.<br />

Capelli lunghi e neri, pullover sformato, ginsi strazzati ed eskimo erano la sua <strong>di</strong>visa<br />

in quella <strong>prima</strong>vera del 68, una <strong>prima</strong>vera ancora freddosetta in quel <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>.<br />

Insieme ai giovani del paese , che tra l’altro era guidato da una giunta <strong>di</strong><br />

centrosinistra, stava cercando <strong>di</strong> fare la sua rivoluzione. La sua e quella dei giovani in<br />

generale. Per cambiare il mondo, per cambiare la Sicilia, per “aggiornare” la testa ai<br />

tanti suoi concitta<strong>di</strong>ni che la tenevano chiù dura della pietra lavica. Tinia <strong>di</strong>ciottanni e<br />

si apprestava a sostenere l’esame <strong>di</strong> maturità. Ma se ne strafotteva della scuola e <strong>di</strong><br />

quei cacaced<strong>di</strong> dei professori, un pugno <strong>di</strong> ammuccaparticoli assetati <strong>di</strong> titoli e <strong>di</strong><br />

stupi<strong>di</strong>tà e che non sapevano cos’era la vera cultura. La cultura con la C maiuscola.<br />

Ma soprattutto non sapevano cos’era la vita. Per loro era solo una sceneggiata fatta <strong>di</strong>


atti pubblici. Vissuta per gli altri. Una recita a tempo pieno. I professori erano dei<br />

semplici nozionisti, delle semplici comparse della vita sociale, degli amanti dei titoli<br />

che piazzavano dappertutto. Sulla porta <strong>di</strong> casa, nei bigliettini da visita, nell’elenco<br />

del telefono. Per esempio , quella <strong>di</strong> scienze del geometra, nota ammuccaparticoli,<br />

non trattava mai il darwinismo e saltava tutto intero l’apparato riproduttore.<br />

><br />

<strong>di</strong>ceva la professoressa Addolorata Nattrovulaceddu.<br />

Poverina, era creazionista convinta e signorina <strong>di</strong> quelle vere. Quella <strong>di</strong> italiano,<br />

Filippa Cacciaballe, non parlava mai <strong>di</strong> certe opere e <strong>di</strong> certi autori.<br />

><br />

E la stessa cosa accadeva nelle altre scuole <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>. Ma il più rompicoglioni <strong>di</strong><br />

tutti era padre Bernar<strong>di</strong>no Cacaceddu, il professore <strong>di</strong> religione, che li obbligava a<br />

recitare una preghiera all’inizio <strong>di</strong> ogni lezione. Ben non recitava la preghiera, nun si<br />

facia il segno della croce e non <strong>di</strong>ceva né “ amen” né “ così sia”. E tanti la<br />

recitavano, ognuno a modo suo. Ma il parrino era convinto che i carusi partecipassero<br />

col cuore e con la mente. Poi faceva <strong>di</strong>scorsi sulla purezza e contro il peccato, sul<br />

valore della famiglia e contro la moderna visione della sessualità. Sparava contro quei<br />

partiti che volevano introdurre in Italia il <strong>di</strong>avolo del <strong>di</strong>vorzio e legalizzare l’aborto<br />

assassino. Parlava a ruota libera ed esponeva idee antiche. Parlava del mal’esempio<br />

che dava quella scatola maliritta ca era la televisione. E <strong>di</strong> quella porcheria pubblica<br />

che era <strong>di</strong>ventato il cinema.<br />

><br />

Ma il tasto che più batteva era quello della purezza. I peccati che più lo<br />

angustiavano erano gli atti impuri. E su questo si batteva con eroico furore. Da<br />

perdente, ma con eroico furore. Perché padre Bernar<strong>di</strong>no voleva la purezza dei suoi<br />

alunni, purezza <strong>di</strong> corpo e <strong>di</strong> anima, <strong>di</strong> pensieri e <strong>di</strong> atti. Guai a toccarsi l’aceddu o le<br />

sue palle. Guai a grattarsi la chitarrina a quattro corde e il bottoncino.<br />

> <strong>di</strong>ceva il parrino.<br />

> ci addumanna qualcunu per provocarlo.<br />

><br />

> era la sua frase preferita.<br />

Ma anche gli altri professori non scherzavano.<br />

> <strong>di</strong>cevano loro.<br />

> pensava Ben.<br />

> <strong>di</strong>cevano spesso gli studenti.


E quell’anno c’erano stati scioperi a minchia cina, ma il peggio, o il meglio, ( <strong>di</strong>pende<br />

dai punti <strong>di</strong> vista ) doveva ancora venire. Ma era imminente. Era nell’aria la tempesta<br />

sessantottina.<br />

Ben era studente dell’Istituto Tecnico per Geometri “ Ingegnere Benedetto<br />

Immacolato Marrugghione ”. E la sua scuola si trovava al piano terreno dell’ex<br />

palazzo della cultura del fascio. Un e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> tre piani. Ogni piano una delle tre<br />

istituzioni scolastiche <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>. Al piano terreno il geometra, al primo piano<br />

l’Istituto Tecnico per Ragionieri “ Dottore Concetto Carmelo Ciollone ”, e al piano<br />

nobile, al piano superiore, il Liceo Classico & Scientifico “Salvatore Fer<strong>di</strong>nando<br />

Brigghione.” E dati i nomi degli illustri monacazzesi cui le scuole erano intitolate, il<br />

palazzo veniva in<strong>di</strong>cato come la “ scola <strong>di</strong> li minchioni”. Brigghione, Ciollone e<br />

Marrugghione , in <strong>di</strong>aletto siciliano, erano sinonimi <strong>di</strong> minchia. Anzi <strong>di</strong> grande<br />

minchia. Di minciazza. Ben frequentava il geometra e la sua carusa, Maria Concetta<br />

Immacolata Portusodoro , detta Iatata, il liceo classico.<br />

Iatata era una bella ragazza. Magra ma con le curve al punto giusto. Occhi scuri ,<br />

capelli lunghi, ricci e neri, nasino che era un <strong>di</strong>amante incastonato in quel viso<br />

preraffaellita che la picciotta si trovava. Teneva anche due belle cosce che la<br />

minigonna, suo abituale capo d’abbigliamento, mettevano generosamente in mostra.<br />

> <strong>di</strong>cevano i mascoli.<br />

Tanto che il gioco preferito da certi compagni <strong>di</strong> classe <strong>di</strong> Iatata era quello <strong>di</strong> vedere<br />

<strong>di</strong> che colore quel giorno la picciotta portava le mutande. Ma Iatata era bella anche<br />

nelle parti che non si vedevano. Era bella <strong>di</strong> culo, <strong>di</strong> minne e del resto. E Ben lo<br />

sapeva. Soprattutto pazziava per quelle minne quarta misura che la ragazza esibiva<br />

sotto pulloverini aderenti se era inverno o sotto magliette altrettanto aderenti e molto<br />

ma molto scollate se era estate. Ben pazziava per quelle tette che a suo tempo aveva<br />

conquistato con <strong>di</strong>fficoltà ma che adesso erano alla portata delle sue mani e della sua<br />

minchia quando , quanto e come voleva. Così come Ben era ha <strong>di</strong>sposizione <strong>di</strong> lei.<br />

Iatata era stata la sua <strong>prima</strong> ed unica ragazza. O per lo meno, l’unica con cui aveva<br />

fatto l’amore. Prima volta per lui e <strong>prima</strong> volta per lei. E stavano ancora insieme.<br />

Iatata lo amava con la A maiuscola. E lui pure. E lei era pure brava a scuola. Una<br />

delle migliori della III C, la sua classe. Dove stava assittata all’ultimo banco, perché<br />

si sentiva più libera, libera <strong>di</strong> fare quel cazzo che voleva. Al ginnasio era stata presa<br />

in giro per quel suo vizio <strong>di</strong> portarsi una banana per la ricreazione. E tutti, mascoli e<br />

femmine , la taliavano quando si sbucciava il frutto esotico e poi se lo ammuccava.<br />

Con innocenza e senza malizia alcuna. Ma le compagne s’erano fatte l’idea che la<br />

carusa fosse una buttanona <strong>di</strong> <strong>prima</strong> qualità; e i compagni che la ragazza fosse una<br />

gran<strong>di</strong>ssima sucaminchia pompinara. E avevano iniziato a fare battute. Ma Iatata ,<br />

sperta <strong>di</strong> lingua e senza inibizioni, li aveva messi a posto. Adesso era amica <strong>di</strong> tutti.<br />

Adesso, quando qualcuno faceva qualche battuta, la faceva riferendosi a Ben.<br />

><br />

><br />

><br />

Ma lei rispondeva per le rime.


><br />

Qualcuno le cantava qualche canzonetta ironica. “Ventiquattro mila morsi.. Fatti<br />

mandare dalla mamma a sucare il latte <strong>di</strong> brigghiu.. Zum, zum, zum, zum… Finché<br />

la minchia va.. lasciala andare.. Attisa .. il pomeriggio sempre attisa.. Io, tu e la rosa..<br />

io , tu e la banana .. Pren<strong>di</strong> questa minchia zingara..”<br />

Ma lei replicava <strong>di</strong>cendo che loro potevano cantare solo Mina. Perché solo il verbo<br />

minare sapevano cantare, recitare, declinare e mettere in atto.<br />

><br />

> replicava qualcuno.<br />

><br />

Così andava avanti la vita. Ma lei la sua vita sessuale l’aveva veramente. Con Ben<br />

oramai erano marito e moglie per quanto riguarda il sesso. Farsi una scopata e uno<br />

spinello era il loro modo <strong>di</strong> essere felici. Non una o due pacchetti <strong>di</strong> sigarette più un<br />

litro <strong>di</strong> vino e mezza bottiglia <strong>di</strong> liquore. A loro bastava uno spinello. Solo uno. E poi<br />

una ficcata. Ma se quella raddoppiava non era un problema. Anzi, era un piacere.<br />

Iatata era figlia <strong>di</strong> Sconcepito Portusodoro e Piccatuzza Originale. Due figli <strong>di</strong> NN, <strong>di</strong><br />

nullun momen. Nessun nome. Come s’usava allora. Da piccoli erano stato depositati<br />

da mani ignote nella “ Rota <strong>di</strong> Lignu Santissimu a Santissimi Casciuledda <strong>di</strong> lu<br />

Cummentu delle Innoccenziane degli Innoccentissimi Piccirid<strong>di</strong> Figghiuzzi <strong>di</strong><br />

Mentula e Cunnus Anonimi ”. Accussì recitava la formula <strong>di</strong> chista rota dove<br />

venivano deposti i futuri figli <strong>di</strong> NN. A cui la fantasia delle monache davano un nome<br />

che era tutto un programma. Ma Cepito e Tuzza, come avevano deciso <strong>di</strong> chiamarsi,<br />

fattisi ziti ammucciuni già dentro il convento , si erano ben inseriti nella società<br />

altamente classista <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>. Lui era uscito dal convento <strong>prima</strong> e s’era messo a<br />

travagliare con un falegname, poi era passato alla muratura e era <strong>di</strong>ventato bravo.<br />

Guadagnava assai assai e si era accattato anche na bella motocicletta. Quin<strong>di</strong> si era<br />

messo a lavorare nella putia della signorina Concettina Inconsolata Cazzamari. Che<br />

lo prese a ben volere. E ci desi gratis l’appartamentino per stari nel suo palazzuccio.<br />

Le malelingue si misero subito a <strong>di</strong>re che il picciotto, appena <strong>di</strong>ciottino, ripagava la<br />

vecchia signorina a dosi <strong>di</strong> minchia. Quella era in arretrato da una vita e adesso che ci<br />

era capitata questa ghiotta occasione, la sfruttava a più non posso .Questo <strong>di</strong>cevano<br />

le malelingue pettegole <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>. Per loro la notte Cepito la passava sempre tra<br />

le cosce della signorina Cazzamari. E c’era pure qualcuno pronto a giurare <strong>di</strong> aver<br />

sentito, in piena notte, le grida <strong>di</strong> incontenibile piacere della signorina al culmine del<br />

go<strong>di</strong>mento. Erano certi che la signorina Cazzamari ultimamente era chiù allegra e<br />

contenta. E questo miglioramento si poteva spiegare solo con le alti dosi <strong>di</strong> fresca e<br />

giovane minchia che gli venivano somministrate. A lui invece lo vedevano stanco,<br />

afflitto e nu tanticchia deperito, segno del superlavoro che doveva fare per sod<strong>di</strong>sfare<br />

quello sticchio affamato. Nella realtà tutto era <strong>di</strong>verso. La signorina Cazzamari era<br />

contenta <strong>di</strong> avere trovato un valido aiuto, ma era contenta anche per un altro motivo.<br />

Cepito invece era giù perché gli mancava Tuzza. Comunque tutto questo era<br />

successo in soli sei mesi. Ma a iddu , come detto, gli mancava Tuzza. E la notte <strong>di</strong>


natale <strong>di</strong> quel suo primo anno <strong>di</strong> libertà, approfittando della messa <strong>di</strong> mezzanotte, si<br />

ni fuiu con la sua carusa. O meglio , si la purtau a casa sua e ammentri li campani<br />

sunaunu la mezzannotti e annunciavano al mondo la nascita <strong>di</strong> Gesùbamminu, anche<br />

lui figlio del mistero, loro due consumavano il loro amore. E per tutta la notte lui fece<br />

nascere e rinascere la sua minchia nello sticchio fresco, giovane e ardente della sua<br />

carusedda. Tutto col permesso della signorina Concettina Inconsolata Cazzamari che<br />

l’aveva preso a trattare come un figlio. Quel figlio che la vita non le aveva dato, visto<br />

che uno straccio <strong>di</strong> marito non l’aveva mai trovato. Ma adesso il signore glielo aveva<br />

mandato sotto forma <strong>di</strong> figlio <strong>di</strong> NN. E non solo aveva trovato un quasi figlio, ma<br />

quello gli aveva adesso portato una quasi figlia. E lei, la signorina Concettina<br />

Inconsolata Cazzamari, era contenta. Se da cosa nasce cosa, dall’attività pilusa del<br />

quasi figlio e della quasi figlia, sarebbero <strong>prima</strong> o poi arrivati dei quasi nipotini. E le<br />

cose andarono proprio così. Idda non poteva più tornare in convento e lui se la<br />

doveva per forza sposare, se non voleva finire in carcere. Lui sarebbe stato<br />

felicemente obbligato a maritarisilla. Ed era quello che il picciotto voleva. Iddu era<br />

giovane ma con la testa sopra le spalle. Idda tinia appena quattor<strong>di</strong>ci anni. Era<br />

picciridda. Era innoccenti e pura. E carusi carusi si maritano. Adesso erano<br />

proprietari <strong>di</strong> una putia, la putia della signorina Concettina, che per un prezzo<br />

stracciato o ad<strong>di</strong>rittura simbolico, l'aveva venduta a quei quasi figli che gli avevano<br />

dato tre quasi nipoti.<br />

“Nonna “ la chiamavano i ragazzi. Anche adesso che erano gran<strong>di</strong>celli e sapevano la<br />

verità. Ma i rapporti che si instaurano tra le persone spesso vanno al <strong>di</strong> là della<br />

parentela e dei legami <strong>di</strong> sangue. La putia, ovvero il negozio <strong>di</strong> generi alimentari, li<br />

facia guadagnare bene. Pertanto tenevano tutte le como<strong>di</strong>tà moderne come la<br />

televisione, la macchina , il frigorifero e la lavabiancheria. Ma soprattutto tenevano<br />

tre gioielli, i frutti del loro amore, la gioia dei loro occhi, il cuore del loro cuore.<br />

Questo erano per loro i figli . Maria Concetta Immacolata, detta Iatata, Maria<br />

Concetta Innocenza, detta Macoin e infine Palmiro. Perché dopo la nascita della<br />

seconda figlia, Cepito e Tuzza avevano litigato, e <strong>di</strong> grosso, con quel fottisol<strong>di</strong><br />

autorizzato <strong>di</strong> padre Bernar<strong>di</strong>no Cacaceddu, che era il padre confessore attuale del<br />

convento dove erano cresciuti. Non si è mai saputo il motivo della litigata, ma si sa<br />

che Cepito uscì dalla sagrestia gridando come un ossesso:<br />

><br />

Tanti che erano in chiesa sentirono chiaramente questa ultima frase, ed escludendo<br />

che il parrino si potesse essere interessato a Tuzza, pinsarono che sicuramente si era<br />

interessato a Cepito. Che era un bell’esemplare <strong>di</strong> mascolo siciliano, <strong>di</strong> quello che<br />

sapeva batacchiare col suo batacchio che sicuramente doveva essere un pezzo da<br />

novanta. D’altre parte tutti a <strong>Monacazzo</strong> sapevano delle inclinazioni <strong>di</strong> padre<br />

Cacaceddu per i mascoli. Ma il problema era che lui alcuni li voleva soltanto come<br />

marito e altri come moglie. Ovvero, alcuni come mascoli attivi e altri come mascoli<br />

passivi. Insomma , da alcuni voleva il marrugghio che pinnuliava tra le loro cosce, da


altri il portuso che giaceva tra le loro natiche. E tanti si chiesero: da Cepito, il parrino<br />

cosa voleva? ‘U davanti o ‘u darreri? Comunque Cepito e Tuzza da allora non<br />

avevano più frequentato la chiesa, si erano iscritti al PCI e quando era arrivato il terzo<br />

figlio l’avevano chiamato Palmiro.<br />

Il compagno <strong>di</strong> banco <strong>di</strong> Iatata, al liceo, era un ragazzo romano , tale Pompeo<br />

Sorcaealtro. Figlio del <strong>di</strong>rettore della banca <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>, da due anni viveva in<br />

questo paesino siciliano e si trovava bene. Dalla Romacaputtimun<strong>di</strong> a<br />

<strong>Monacazzo</strong>caputtiminchia. Aveva portato con sé le sue idee libertarie, <strong>di</strong> sinistra<br />

estrema, maoista, anticlericale, ra<strong>di</strong>cale e altro. Ma soprattutto aveva portato la sua<br />

visione liberale del sesso in tutte le sue forme e varianti. Del sesso come fonte <strong>di</strong><br />

piacere e basta. Citava sempre l’espressione latina “ Gaude mihi”. E lui era uno che<br />

godeva e faceva godere. E aveva reso famoso il detto “ A li mortacci tui e de tu<br />

nonno…io vado in culo a tutto er monno.. “. Con Iatata era amico al cento per cento.<br />

Un amico che ci aveva provato. Un amico che taliava sempre le sue zinne portentose.<br />

Ma avendo capito che non ci stava niente da fare, si era rassegnato. Si accontentava<br />

<strong>di</strong> dare una taliata e <strong>di</strong> immaginare.<br />

> le <strong>di</strong>ceva ogni tanto.<br />

> rispondeva Iatata.<br />

><br />

><br />

><br />

Lei rideva. Del suo romanesco e delle sue sparate. E lui le sparava sempre più grosse.<br />

Più monumentali:<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Una volta gliel’aveva anche fatta vedere. Se l’era tirata fuori e lasciata sotto la<br />

cammisa. Poi s’era messo a cantare:<br />

><br />

> aveva detto Iatata ><br />

Ma lui aveva continuato.<br />

><br />

Ma lei niente.<br />

>


A queste parole lei s’era girata e aveva visto il creapopoli dell’amico in tutto il suo<br />

splendore. Paria un missile. Pronto a sparare a vuoto. E la mano dell’amico che<br />

faceva su e giù. Ed era scoppiata a ridere.<br />

Le gemelle Marietta e Maruzza Cacapitrud<strong>di</strong>, che sedevano davanti a Pompeo e a<br />

Iatata, si erano firriate e avevano fatto in tempo a vedere la minchia del romano che si<br />

la minava. Ma era stato un lampo. Il ragazzo aveva fatto sparire l’uccello tiso sotto la<br />

cammisa. Il sipario era calato <strong>di</strong> botto.<br />

> avevano gridato le due verginelle ammuccaparticoli e caca<strong>di</strong>avoli. Ed<br />

erano svenute. Per trenta secon<strong>di</strong>. La professoressa <strong>di</strong> scienze, la signorina<br />

Crocefissa Sucato, che stava spiegano la partenogenesi, si bloccò <strong>di</strong> colpo.<br />

> <strong>di</strong>sse, facendosi il musso a culo <strong>di</strong> gallina.<br />

> <strong>di</strong>ssero in coro le due ragazze che intanto erano rinvenute.<br />

><br />

><br />

><br />

> gridò la professoressa Sucato.<br />

> <strong>di</strong>sse Iatata.<br />

><br />

> gridò la Sucato.<br />

> Il caruso era con la minchia tisa<br />

sotto la cammisa. E cercava <strong>di</strong> rimetterla dentro le mutande. Non poteva alzarsi in<br />

quelle con<strong>di</strong>zioni.<br />

> rigridò la Sucato.<br />

><br />

><br />

Intanto Iatata aveva tirato fuori dalla borsa la sua solita banana e l’aveva passata a<br />

Pompeo.<br />

> aveva detto Pompeo impadronendosi della banana dell’amica.<br />

> aveva replicato la professoressa<br />

aci<strong>di</strong>ssima.<br />

><br />

> gridava la<br />

professoressa Sucato.<br />

<br />

><br />

><br />

Intanto non riusciva a sistemare l’uccello. Era quasi in crisi. Non perché aveva la<br />

minchia <strong>di</strong> fuori, non per la professoressa Sucato, che poteva venire a controllare.<br />

Aveva paura <strong>di</strong> perdere l’anno. Del resto se ne fotteva.<br />

> gridò la Sucato che in vita sua forse non aveva<br />

mai “sucato” una minchia. Era Sucato solo <strong>di</strong> nome. Pompeo stava per sentirsi male.<br />

Temette <strong>di</strong> svenire. E fece una taliata sofferente a Iatata.<br />

> <strong>di</strong>sse con gli occhi.


La ragazza fece cadere l’astuccio suo e si calò per riprenderlo. Nel fare ciò aiutò<br />

l’amico a rimettere la minchia dentro le mutande. E fu costretta a toccarla. Era calda<br />

come la lava e dura come il ferro.<br />

> pensò Iatata.<br />

In fondo il materiale era lo stesso. Cambiava solo il proprietario. Poi Pompeo fece il<br />

resto. Ed era anche contento . S’era sistemato l’uccello dentro l’uccelliera in maniera<br />

definitiva.<br />

> gridava l’isterica.<br />

> <strong>di</strong>sse Pompeo che oramai aveva risolto i suoi problemi <strong>di</strong> uccello scappato<br />

fuori dalla tana. E Pompeo si alzò, mostrando la banana dell’amica. La sua era al<br />

sicuro.<br />

> <strong>di</strong>sse la professoressa.<br />

> chiese Pompeo.<br />

> gridò l’isterica<br />

professoressa.<br />

Pompeo andò fuori e passando davanti alla cattedra lasciò la banana alla<br />

professoressa.<br />

> <strong>di</strong>sse piano piano.<br />

> gridò la professoressa.<br />

Pompeo fu mandato dal preside con tanto <strong>di</strong> nota della professoressa Sucato. A<strong>prima</strong><br />

passò dal cesso e si fece uno spinello.<br />

“ L’alunno Pompeo Sorcaealtro dopo aver sottratto la banana alla compagna <strong>di</strong> banco<br />

simula, utilizzando la stessa, l’organo riproduttore maschile e compie gesti che<br />

appartengono al biblico personaggio <strong>di</strong> Onan. E come se non bastasse, fa uso <strong>di</strong><br />

parolacce..” Questa la nota della professoressa Sucato.<br />

Ben fu sospeso per cinque giorni. Per avere giocato con una banana. La professoressa<br />

e il preside si ammuccarono la <strong>versione</strong> della banana. Ma i compagni <strong>di</strong> classe<br />

sapevano la verità. Le gemelle invece furono prese dal dubbio: quella cosa che<br />

avevano visto era una banana o era una minchia? Una se la ricordava gialla l’altra<br />

color carne. Una con la punta rossa, l’altra con la punta gialla. Se veniva fuori la vera<br />

verità Pompeo sicuramente ci appizzava l’anno. Le gemelle invece furono prese in<br />

giro da tutti perché non sapevano <strong>di</strong>stinguere tra una minchia e una banana.<br />

> aveva detto Pompeo a Iatata.<br />

Poi Pompeo Sorcaealtro era <strong>di</strong>ventato amico anche <strong>di</strong> Ben. D’altra parte lui non<br />

cercava una ragazza , cercava solo avventure. Avventure a trecentosessanta gra<strong>di</strong>. E<br />

siccome era un picciotto bello, biondo e con gli occhi azzurri le caruse ci correvano<br />

appresso. Ma appresso ci curria pure il professore <strong>di</strong> religione, padre Bernar<strong>di</strong>no<br />

Cacaceddu. Il prete aveva capito che il ragazzo andava con mascoli e femmine. E<br />

s’era messo in testa l’idea che potesse andare anche con lui. E per la <strong>prima</strong> volta<br />

aveva avuto un desiderio fuori dal comune, dal normale. Voleva quel picciotto sia<br />

come marito che come moglie. Era la <strong>prima</strong> vota che questo succedeva, ma lui adesso<br />

voleva così. Ma Pompeo, che tenia un creapopoli che era una delle sette meraviglie<br />

del mondo, aveva risposto picche. Lui era si bisessuale, anzi multisessuale come


amava <strong>di</strong>re lui, ma andava con chi cazzo voleva lui e faceva quel cazzo che voleva<br />

lui. E mai sarebbe andato con quel sacco <strong>di</strong> merda obeso, pelato e brutto come un<br />

franchistainni <strong>di</strong> paese. E per giunta parrino. Mai. E in occasione del primo natale<br />

passato a <strong>Monacazzo</strong> Pompeo organizzò uno bello scherzo al parrino. Andò a<br />

confessarsi, tanto per giocare, perché lui era ateo convinto e straconvinto, e ci cuntau<br />

quattro fesserie altamente stu<strong>di</strong>ate a tavolino. Quattro fesserie misero il fuoco nelle<br />

vene del parrino e lo indussero a osare. A osare <strong>di</strong> ottenere l’impossibile.<br />

> esordì il prete<br />

con voce impostata tra il finocchiesco e il pre<strong>di</strong>catore..<br />

><br />

> propose il prete.<br />

><br />

><br />

><br />

<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

> precisò il prete.<br />

<strong>di</strong>sse Pompeo.<br />

> chiese il prete sorridendo mentalmente.<br />

><br />

> <strong>di</strong>sse il prete.<br />

><br />

><br />

> >><br />

><br />

><br />

> replicò il prete.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

> rispose il prete.<br />

><br />

><br />

><br />

>


><br />

><br />

> propose il prete.<br />

> <strong>di</strong>sse Pompeo al<br />

prete.<br />

><br />

><br />

Al prete piacio quel capita capita, Poteva capitare tra lui e il picciotto.<br />

< E vai solo con coetanei o anche con adulti..>><br />

><br />

E <strong>di</strong> questo passo contò tante minchiate, tutte regolarmente false, mica poteva <strong>di</strong>rle<br />

cose vere. Gli affari del suo creapopoli erano affari suoi e basta; se andava a ficcarlo<br />

a destra o a manca erano cazzacci suoi e non degli altri. In ogni caso non erano fatti<br />

<strong>di</strong> competenza <strong>di</strong> quello scassacojoni autorizzato. Comunque i <strong>di</strong>scorsi <strong>di</strong> pilo fecero<br />

effetto sul prete. Gli piacque a padre Bernar<strong>di</strong>no la parola “ crescinmano”. E alla fine<br />

il prete osò. Si tirò fuori l’arnese , che era già cresciuto <strong>di</strong> suo sotto la tonaca, e <strong>di</strong>sse<br />

a Pompeo, dopo avergli dato l’assoluzione, <strong>di</strong> aiutarlo ad uscire dal confessionale.<br />

> <strong>di</strong>sse il prete.<br />

Pompeo si alzò e fece per aprire la porta del confessionale. Ma appena aprì quella<br />

porta si trovò il prete impegnato a praticare l’antica arte <strong>di</strong> Onan.<br />

> <strong>di</strong>sse padre<br />

Bernar<strong>di</strong>no.<br />

><br />

rispose il romano. E scappò via.<br />

Successivamente, con l’aiuto <strong>di</strong> Carmela, che era la sua amica del momento,<br />

appiccicò una bella poesia al confessionale <strong>di</strong> padre Cacaceddu. Una poesia in<br />

romanesco, la sua lingua “ de romano de Roma”, <strong>di</strong> appassionato lettore e amatore <strong>di</strong><br />

Gioacchino Belli e <strong>di</strong> altri poeti romaneschi. Questa la poesia. O meglio, il sonetto.<br />

Un sonetto codato. Titolo “ A PRETESSA”.<br />

Conosco n'prete detto la pretessa,<br />

grosso frocione molto conosciuto,<br />

e in parrocchia tanti so so' fottuto<br />

poiché je piace er cazzo e no la fessa.<br />

E da vedè quanno che <strong>di</strong>ce messa,<br />

parla cor culo - perché io l'ho veduto -<br />

e se lo smena peggio de la badessa<br />

quanno ch'ariceve er frate pizzuto.<br />

Mo' , sto pretaccio fottuto e puttano,<br />

l'antro ieri, ner corso de la confessione,


su la patta me mette la mano.<br />

Poi me fa " fijo mio, come sei bello,<br />

io te do' subito l'assoluzione<br />

se tu me fai n'certo ber giucarello".<br />

Al ch'io " sor puttanello,<br />

ite affanculo voi e l'assoluzioni<br />

che mo' m'avete rotto li cojoni".<br />

Se vogliamo essere liberi, creiamo noi stessi la nostra libertà e<br />

non atten<strong>di</strong>amola da altra parte.<br />

C. H. de Saint-Simon<br />

In una libera comunità dovrebbe essere lecito ad ognuno<br />

pensare quello che vuole e <strong>di</strong>re ciò che pensa.<br />

B. Spinoza<br />

Le persone virtuose e colte <strong>di</strong>fficilmente fanno una<br />

rivoluzione, perché sono sempre in minoranza.<br />

Aristotele


DUE : CICETTO MIO<br />

La rappresentazione del pericolo quando ci si è abbandonati al male<br />

della masturbazione, è forse il più potente motivo <strong>di</strong> correzione: è un<br />

quadro spaventevole, quanto mai adatto a far in<strong>di</strong>etreggiare per l’orrore.<br />

Sulla masturbazione. S.A.A.D. Tissot<br />

Li ricchi moderni virunu cazzi pi lanterni…<br />

Le tre scuole <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong> , doppio liceo, geometra e ragioneria, per i cazzi del<br />

destino, o il destino del cazzo, erano in mano alle tre sorelle Stoccacitrolo. Cirina,<br />

Alfia e Filadelfia Stoccacitrolo. Le “tre <strong>di</strong>sgrazie <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>” erano chiamate<br />

dagli studenti. E tre <strong>di</strong>sgrazie a tempo pieno erano. Le tre scuole infatti, più che<br />

scuole dalla Repubblica Italiana, laica almeno sulla carta, parevano tre dependance<br />

dell’arcivescovado o tre conventi <strong>di</strong> frati oranti e <strong>di</strong> monache <strong>di</strong> clausura. Le tre<br />

sorelle scassacazzi avevano imposto il grembiule nero e lungo fino al polpaccio alle<br />

ragazze, che dovevano indossare solo e sempre la gonna; vietato quella porcheria che<br />

si chiama ginsi ai ragazzi, che dovevano usare sempre la giacca e la cravatta; e poi<br />

ancora avevano proibito le barbe e i capelli lungi e imposto finanche la preghiera<br />

mattutina. Ma nel corso del famigerato anno sessantasette avevano dovuto, a forza <strong>di</strong><br />

scioperi, retrocedere su tanti punti . Avevano ceduto sul vestiario, ma non su quelli<br />

che loro chiamavano “Valori”.<br />

> <strong>di</strong>cevano pubblicamente.<br />

Le tre presi<strong>di</strong> abitavano nella stessa casa, ma solo una era sposata. Cirina era la<br />

moglie del dottor Paolo Sebastiano Concetto Minchiatrina. E a <strong>di</strong>re il vero, il<br />

fortunato dottore o sfortunato, a seconda dei punti <strong>di</strong> vista, maritandosi Cirina si era<br />

idealmente maritato anche Filadelfia e Alfia. Se erano mogli legalmente virtuali,<br />

perché la trigamia in Italia è vietata, nella realtà, carnalmente parlando, lui era il<br />

marito <strong>di</strong> tutte e tre. Il destino <strong>di</strong> un cognome come Minchiatrina. Il destino <strong>di</strong> avere<br />

tre nomi. Lui era Paolo per la moglie ufficiale Cirina, Sebastiano per la moglie<br />

ufficiosa Alfia e Concetto per l’altra moglie virtuale Filadelfia. E quando uscivano<br />

per la passeggiata al corso erano tutti e quattro a braccetto. Lui nel mezzo, a destra la<br />

consorte legittima, a sinistra, alternativamente, le altre due sorelle Stoccacitrolo. Che<br />

tante stoccacitrolo non erano, o meglio, lo stoccavano, ma lo stoccavano con piacere,<br />

con arte e con passione. Erano si ammuccaparticoli e caca<strong>di</strong>avoli specializzate, ma<br />

anche ammuccaminchia e cunnacuntenti <strong>di</strong> madre natura. E tanti ammiravano il<br />

dottor Minchiatrina che a casa aveva tre cunni a <strong>di</strong>sposizione del suo aceddu. Che<br />

senz’altro doveva essere una minchia, s’intende, <strong>di</strong> qualità. Con tre fornaci da<br />

sod<strong>di</strong>sfare. Vita bella ma nu tanticchia dura. Infatti il dottor Minchiatrina era l’unico<br />

me<strong>di</strong>co <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong> che non avesse una bella amante. Già a casa, <strong>di</strong> lavoro da fare<br />

per la sua minchia, ci ni stava abbastanza, che andarsi a trovare altri lavori fuori,


magari più piacevoli, non era proprio il caso. Anche se la sua minchia era <strong>di</strong> ottima<br />

fattura e resistenza sempre <strong>di</strong> carne era e l’osso non lo teneva.<br />

> scherzava con gli amici il dottor Paolo<br />

Sebastiano Concetto Minchiatrina. L’uomo con una minchia e tri cunna.<br />

Nella valle <strong>di</strong> Pantalica si era stabilita da tempo una comunità hippy. “I figli dei fiori”<br />

li chiamavano la gente comune. A vederli erano uno spettacolo. Quando scendevano<br />

a <strong>Monacazzo</strong> mettevano colore al corso. Coi loro abiti colorarti, i loro capelli lunghi e<br />

tutto il resto. Soprattutto con la loro voglia <strong>di</strong> libertà totale. Erano <strong>di</strong>o per qualcuno e<br />

il <strong>di</strong>avolo per tanti altri. I mascoli anziani <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong> taliavano quelle ragazze con<br />

le cosce <strong>di</strong> fuori che vivevano liberamente. E le invi<strong>di</strong>avano. Le consideravano<br />

buttane, ma invi<strong>di</strong>avano i mascoli <strong>di</strong> oggi. Invece ai loro tempi per vedere nu<br />

tanticchia <strong>di</strong> coscia c’era da fare la <strong>prima</strong> guerra mon<strong>di</strong>ale e pure la seconda. Per<br />

arrivare poi a toccare una minna o quell’altra cosa, l’oscuro oggetto del desiderio,<br />

bisognava fare dei miracoli. Per evadere la sorveglianza, per convincere la picciotta a<br />

fare soccu cosa e per trovare il momento giusto per attuare l’impresa. Adesso invece<br />

il pacchio era abbondante e alla portata <strong>di</strong> tutti.<br />

E infatti la comunità hippy “ I Figli della Kanapa” ( questo era il loro nome ufficiale )<br />

praticava la comunità <strong>di</strong> tutti i beni, sia materiali che immateriali. Anche i loro corpi e<br />

i loro sessi erano della comunità. Praticavano quello che suonava tanto pericoloso,<br />

rivoluzionario, peccaminoso, osceno e immorale all’orecchio <strong>di</strong> tutti i benpensanti. Il<br />

libero amore. A <strong>Monacazzo</strong> tanti avevano gridato allo scandalo. C’erano state<br />

interpellanze al consiglio comunale e denunce anonime e firmate contro questi<br />

hippy. Li accusavano <strong>di</strong> tutto. Di fatti veri e <strong>di</strong> fatti irreali. Era una sorta <strong>di</strong> santa<br />

inquisizione alle prese con un modello nuovo <strong>di</strong> stregoneria. Li accusavano <strong>di</strong> stare<br />

nu<strong>di</strong> all’aperto e <strong>di</strong> fare il bagno in tale tenuta, <strong>di</strong> consumare droghe , <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffondere<br />

idee illegali e sovversive , <strong>di</strong> essere miscredenti, <strong>di</strong> praticare il libero amore, <strong>di</strong><br />

adorare satana, <strong>di</strong> essere s<strong>di</strong>sanorati e senza onore, orgoglio , morale, <strong>di</strong>o e patria.<br />

In una lettera anonima arrivata ai carabinieri stava scritto “ .. e fanno ficca ficca come<br />

capita capita e senza taliare dove ficcano e con chi ficcano.. e ficcano anche ai bor<strong>di</strong><br />

del fiume.. sotto gli occhi dei compagni.. e a volte fanno pure le orge come gli<br />

antichi romani <strong>di</strong> Roma.. e giuro.. perché io li ho visti dentro il mio binocolo. Un<br />

rispettabile e preoccupato padre <strong>di</strong> famiglia .”<br />

Infatti erano tanti i rispettabili padri <strong>di</strong> famiglia <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>, <strong>di</strong> quelli che la<br />

domenica andavano in chiesa in doppiopetto , un doppio petto sotto il quale<br />

nascondevano una marea <strong>di</strong> altarini, che amavano fare i talia talia. Questi<br />

rispettabilissimi padri <strong>di</strong> famiglia spesso andavano a Pantalica e armati <strong>di</strong> binocolo si<br />

mettevano a spiare gli hippy. Si eccitavano a taliare le picciotte nude <strong>di</strong>cendo “ che<br />

culo.. che sticchio.. chi minni.. chi ci facissi.. comu ci la mittissi .. unni ci la mittissi.”<br />

Ma <strong>di</strong>cevano “ che schifo.. che vergogna..” appena nel loro campo visivo trasiva<br />

qualche battagghio a riposo o ad<strong>di</strong>tta. Ma si eccitavano chiù assai se trovavano una<br />

coppia in azione. Eccitazione che aumentava se acchiappavano due femmine in<br />

amore. Ma anche due mascoli. Perché molto spesso questo ricordava loro episo<strong>di</strong>


omoerotici <strong>di</strong> quando erano picciuttazzi senza testa. Ma il massimo dell’eccitazione<br />

era vedere un mascolo con due femmine o ad<strong>di</strong>rittura l’amore <strong>di</strong> gruppo. La <strong>prima</strong><br />

combinazione molti mascoli <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong> l’avevano concretizzata. La seconda no.<br />

Era pertanto bello per questi mascoli vedere dal vivo quello che spesso sognavano la<br />

notte, ma che non erano mai riusciti a concretizzare. L’orgia, ovvero il ficca ficca<br />

generale.<br />

Tra i mascoli che si recavano a vedere gli hippy, tutto travestito da barbone e pertanto<br />

irriconoscibile, c’era padre Bernar<strong>di</strong>no Cacaceddu. Si ad<strong>di</strong>vertiva a vedere tutta<br />

quella gente nuda. Gli sembrava una scena dantesca. Un girone dell’inferno <strong>di</strong> carne<br />

umano. Un giu<strong>di</strong>zio universale del piacere. Un quadro <strong>di</strong> Hieronimussu Bosci dal<br />

vivo. Taliava tutto il parrino, ma soprattutto taliava i mascoli. E puntava il suo<br />

potente binocolo sui loro genitali e sui loro culi. E nel taliare si alliccava il musso. E<br />

poi valutava. Infine tornava a casa e si la minava. Davanti allo specchio della camera<br />

da letto. Gli piaceva mettersi in poltrona nudo e taliare le sue performance nella parte<br />

<strong>di</strong> Onan. Gli piaceva taliare il suo corpo obeso, taliare il suo grasso e cercarsi la<br />

minchia tra tanta ciccia. E poi, quando la trovava, darsi da fare. Fino alla fine ,<br />

quando sborrava contro lo specchio.<br />

Il professore Fer<strong>di</strong>nando Bisticchiò , detto Ciccillone uno e due, si era maritato con la<br />

signora Nina Mezzacappella. Nina era affezzionatissima alla sorella Gina. Pertanto<br />

Ciccillone si trovò in casa sempre più spesso la cognata. E a forza <strong>di</strong> averla tra le<br />

palle, finì che se la ritrovò, col permesso della moglie, sopra la minchia. Iniziò<br />

accussì una storia a tri che andava avanti felicemente e che molti mascoli <strong>di</strong><br />

<strong>Monacazzo</strong> invi<strong>di</strong>avano. Avere una femmina da fottere e una che faceva l’assistente<br />

alla minchia era una bella cosa.<br />

> lo chiamavano.<br />

Il professore Ciccillone Bisticchiò insegnava Topografia al geometra. Ed era un<br />

insegnante <strong>di</strong> Ben. Ogni mattina i ragazzi scherzavano.<br />

><br />

> si chiedevano altri ragazzi.<br />

> <strong>di</strong>ceva Ben.<br />

> <strong>di</strong>ceva qualcuno.<br />

> rispondeva Ben.<br />

><br />

><br />

><br />

rispondeva Ben.<br />

Anche i carabinieri andavano spesso a fare dei controlli tra gli hippy. Cercavano i<br />

loro i documenti e li identificavano. Comunicavano eventuali nuove denunce contro<br />

<strong>di</strong> loro e poi cercavano <strong>di</strong> capire se la cosa aveva un riscontro o no, ma finora non<br />

avevano mai trovato hascisc e roba simile. O forse non l’avevano voluto trovare.


Avevano trovato solo vino e birra. E quello era materiale che non era reato detenere.<br />

Non avevano mai trovato materiale satanico e altra roba vietata. E neanche ragazzi<br />

minorenni scappati <strong>di</strong> casa o altro. L’unica accusa che aveva trovato conferma sin<br />

dalla <strong>prima</strong> volta era “ l’oltraggio al comune senso del pudore”.<br />

> aveva chiesto Ianka, che era uno dei capi, e che tinia<br />

una faccia <strong>di</strong> quelle alla “ io mi ni futtu <strong>di</strong> tuttu.” Era una domanda fatta tanto per<br />

fare. Per <strong>di</strong>re una minchiata in pù.<br />

> aveva risposto il maresciallo Minico Mezzocazzone.<br />

><br />

><br />

rispose il maresciallo Minico Mezzocazzone.<br />

> chiese Ianka.<br />

><br />

> <strong>di</strong>sse Ianka.<br />

> <strong>di</strong>sse il maresciallo Mezzocazzone.<br />

> aggiunse il suo compagno, l’appuntato Gerlando Pirlabon <strong>di</strong> Venezia.<br />

> concluse l’altro appuntato, Puddu Purceddu, che era sardegnolo.<br />

> <strong>di</strong>sse Ianka.<br />

E vinni subito una bionda tutta nuda ca purtau tre belle birrette ai carabinieri.<br />

> <strong>di</strong>ssero i C.C.<br />

> <strong>di</strong>sse la femmina che teneva le tette all’altezza degli occhi<br />

dei carabinieri.<br />

Era nuda, bionda e bella assai assai. Le palle degli occhi dei carabinieri non sapevano<br />

dove taliare. Passavano in un amen dalle tette al pilo del pacchio e poi risalivano<br />

verso la faccia, ma subito tornavano alle altre parti. Soprattutto al pilo del pacchio.<br />

Perché lì c’era il mistero da esplorare. Lì c’era da vedere quello che stava tra quelle<br />

cosce. La porta santa del piacere. Ma quannu Tirka si allontanò non riuscirono a<br />

staccare lo sguardo dal culo della picciotta. Restarono come imbambolati. L’unica<br />

cosa che non era rimasta come paralizzata era la loro minchia. Che s’era messa in<br />

pie<strong>di</strong> automaticamente. E non era una cosa bella, perché la minchia <strong>di</strong> un carabiniere<br />

deve essere sempre ligia al dovere e non deve mai attisare in servizio. Ma la loro era<br />

attisata. E tisa restò. Mentre quella <strong>di</strong> Ianka era tranquilla come una pasqua. Ianka<br />

l’aveva capito e sorrideva.<br />

><br />

> risposero laconici i C.C. ><br />

Ianka spiegò che i nomi utilizzati all’interno della comunità contenevano tutti la<br />

lettera K.<br />

><br />

> fecero i C.C. che tenevano il P.P. sempre tiso.


aggiunse Ianka.<br />

Poi i C.C. salutarono e andarono via. Con uno strano gonfiore sotto il bid<strong>di</strong>co e<br />

taliando a destra e a sinistra tutto quel ben <strong>di</strong> <strong>di</strong>o <strong>di</strong> pilo <strong>di</strong> femmina che stava a<br />

<strong>di</strong>sposizione della comunità.<br />

> <strong>di</strong>sse Ianka.<br />

> gridò da lontano Tirka, che stava per de<strong>di</strong>carsi un po’ allo yoga.<br />

In macchina, ritornando al paese, i tre C.C. parlarono <strong>di</strong> quella bella vita che<br />

conducevano gli hippy.<br />

> chiese Minico Mezzocazzone.<br />

> risposero Gerlando e Puddu.<br />

><br />

Gerlando e Puddu risero .<br />

><br />

> <strong>di</strong>sse Puddu.<br />

Risero, ma poi Minico sparò:<br />

><br />

> <strong>di</strong>sse Gerlando.<br />

> <strong>di</strong>sse Minico.<br />

><br />

> rispose Minico. ><br />

> <strong>di</strong>sse il<br />

veneziano.<br />

> <strong>di</strong>sse Minico.<br />

> <strong>di</strong>sse Puddu.<br />

> <strong>di</strong>sse Minico.<br />

><br />

><br />

>


<strong>di</strong>sse Minico.><br />

><br />

> sparò Minico.<br />

> rispose serio Gerlando.<br />

> <strong>di</strong>sse Puddu.<br />

> <strong>di</strong>sse Minico.<br />

> replicò Puddu.<br />

Restarono poi intesi che l’impresa dell’andare a fare il bagno con i figli dei fiori<br />

doveva essere imminente.<br />

> <strong>di</strong>sse Minico Mezzocazzone che tanto<br />

mezzocazzone non era.<br />

> replicò Gerlando Pirlabon che tanto pirla<br />

non era, ma minchiabon <strong>di</strong> sicuro sì.<br />

> soggiunse<br />

Puddu.<br />

> <strong>di</strong>sse Minico.<br />

> <strong>di</strong>sse Pirlabon.<br />

> <strong>di</strong>sse Puddu.<br />

> <strong>di</strong>ssero Gerlando e Minico.<br />

> specificò Puddu.<br />

><br />

risposero i colleghi.<br />

Ciccio Cicidda era sempre più preoccupato dalla situazione italiana. La vedeva<br />

degenerare verso l’anarchia.<br />

> <strong>di</strong>ceva dentro la sua testa <strong>di</strong> fine parlatore.<br />

E soffriva. E si preoccupava. E risoffriva, soprattutto per quel suo amato figlio, frutto<br />

della sua simenta, portatore del suo cognome, generato per volontà e capacità della<br />

sua minchia. Quel pezzo <strong>di</strong> carne della sua carne era un comunista ateo rivoluzionario<br />

marxista leninista stalinista maoista e chi più ne aveva più ne metteva. Era rosso e<br />

miscredente.<br />

> <strong>di</strong>ceva dentro la sua testa. Ma poi aggiungeva: ><br />

Perché <strong>di</strong> sua moglie tutto si poteva <strong>di</strong>re tranne che fosse una buttana. Purtroppo Ben<br />

si era lasciato influenzare dalla moda, dall’ideologia dominante, dalla pubblicità<br />

occulta o semiocculta, che propagandava solo e soltanto idee <strong>di</strong> sinistra. Ed era<br />

caduto nella rete, dalla testa ai pie<strong>di</strong>. Per lui suo figlio era un ragazzo debole, un<br />

ragazzo senza carattere, senza coglioni. Un ragazzo che non aveva rispetto per il<br />

nome che portava . Tanto che si era innamorato della figlia <strong>di</strong> due NN.


E Ciccio Cicidda dava della simbolo NN una sua particolare interpretazione.<br />

><br />

L’idea che il figlio, il suo unico figlio, finisse maritato a una figlia <strong>di</strong> NN lo mandava<br />

in bestia.<br />

><br />

A <strong>di</strong>re il vero papà Ciccio una bella idea in testa l’aveva. Una delle due vicine <strong>di</strong><br />

casa, le sorelle Devozione e Consolata Bucochiuso. Ricche da fare schifo, sante e<br />

pure da potere stare sull’altare, appitittate <strong>di</strong> zito, da trasformare in marito, da potere<br />

stare in un postribolo.. e tutto sommato pure belline.. ma bucochiuso <strong>di</strong> nome e <strong>di</strong><br />

fatto.. Cercavano zito, ma non uno qualsiasi.. erano ragazze che seguivano il<br />

consiglio <strong>di</strong> mamma e papà.<br />

Il marito PLM. Professionista, laureato e possibilmente minciazza.<br />

Pompeo era <strong>di</strong>ventato amico <strong>di</strong> Ben e una sera , tanto per fare una cazzata, decisero <strong>di</strong><br />

fare una scappata all’Arcazzo, il quartiere delle buttane <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>. Arcazzo<br />

perché si sviluppava a ridosso <strong>di</strong> un grande arco <strong>di</strong> epoca romana. E non perché in<br />

quel quartiere si trattassero affari legati “ar cazzo”. Questa invece era stata<br />

l’interpretazione che ne aveva dato il romano Pompeo.<br />

><br />

Ogni tanto ci andavano per taliare. Ma stavolta volevano consumare.<br />

> proponeva spesso Pompeo.<br />

> rispondeva Ben.<br />

><br />

D’altra parte loro non avevano bisogno <strong>di</strong> fare sesso a pagamento. Pompeo aveva<br />

fatto del sesso già a Roma e a <strong>Monacazzo</strong> si era subito ambientato anche dal punto <strong>di</strong><br />

vista sessuale. Aveva già messo su un <strong>di</strong>screto curriculum che comprendeva<br />

rappresentanti <strong>di</strong> entrambi i sessi. Ben invece aveva fatto sesso solo con Iatata. Se il<br />

primo era bisessuale, il secondo era stato , almeno fino ad un certo punto,<br />

eterosessuale al cento per cento. Anche se Ben aveva capito che Pompeo lo<br />

corteggiava e voleva avere una storia <strong>di</strong> pilu con lui. Una storia da aggiungere al suo


icco curriculum. E Ben, a <strong>di</strong>re il vero, era tentato <strong>di</strong> accettare le avance dell’amico.<br />

Tanto per provare. Per sperimentare. Per concretizzare quel detto che recitava “ Il<br />

sesso è conoscenza”. Ogni volta che erano stati a passiari all’Arcazzo si erano<br />

sottratti all’invito pressante delle “impiegate della minchia” ed erano tornati al paese<br />

eccitati ma felici. Avevano <strong>di</strong>scusso a lungo del sesso a pagamento ed avevano<br />

concluso che era una cosa buona e giusta. Ma una volta avevano approfon<strong>di</strong>to<br />

l’argomento.<br />

> <strong>di</strong>ceva Ben.<br />

> chiese Pompeo.<br />

> tentennò Ben ><br />

> replicò Pompeo.<br />

><br />

> richiese Pompeo.<br />

> sparò Ben.<br />

><br />

> rispose Ben.<br />

><br />

><br />

><br />

> <strong>di</strong>sse Ben.<br />

><br />

Alla fine Ben si fece convinto che i due sessi avevano lo stesso <strong>di</strong>ritto al piacere.<br />

Anche <strong>di</strong> quello a pagamento. E che se una femmina andava con un prostituto non era<br />

certo una buttana, ma solo una che s’era livato il pititto <strong>di</strong> farsi una ficcata senza<br />

impegni e complicazioni.<br />

> aveva chiesto Ben quella volta.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

> aveva proposto<br />

Pompeo. Spontaneamente Ben rispose <strong>di</strong> sì.<br />

A casa <strong>di</strong> Pompeo non c’era nessuno. Andarono nella stanzetta del ragazzo e<br />

incominciarono a scherzare.<br />

> <strong>di</strong>sse Pompeo.<br />

Pompeo si tolse i pantaloni. La coppola dello zio Vincenzo stava soffocando e decise<br />

autonomamente <strong>di</strong> pigliare una boccata d’aria. Si affacciò dal bordo dello slippi. Ben<br />

scoppiò a ridere. Per tutta risposta Pompeo gli aprì la patta e gli prese in mano la


minchia tisissima. Ben lasciò fare. Non avvertiva <strong>di</strong>fferenza tra le mani dell’amico e<br />

quelle <strong>di</strong> Iatata. Il su e giù era lo stesso. Chiuse gli occhi e pensò che quella mano<br />

fosse quella della sua ragazza. E senza accorgersene allungò la mano verso il basso<br />

ventre dell’altra persona, cercava la fica <strong>di</strong> Iatata ma trovò il cazzo dell’amico.<br />

Risautò ma lo acchiappò. E fece anche lui su e giù. Fino alla fine. Vennero insieme<br />

ma non <strong>di</strong>ssero niente.<br />

Adesso invece stavano andando insieme a buttane. Tanto per fare l’esperienza del<br />

sesso a pagamento. E ci andarono. Una volta fuori si raccontarono i fatti e conclusero<br />

che il sesso a pagamento era nu tanticchia insod<strong>di</strong>sfacente. Bello ma insod<strong>di</strong>sfacente.<br />

Questo il resoconto <strong>di</strong> Ben.<br />

><br />

> concluse Pompeo.<br />

> aggiunse Ben.<br />

> <strong>di</strong>sse Pompeo.<br />

><br />

Passeggiando fecero ritorno a <strong>Monacazzo</strong>.<br />

Una volta in paese Pompeo <strong>di</strong>sse: ><br />

Ben <strong>di</strong>sse <strong>di</strong> sì. Nella domanda e nella risposta era automaticamente inserita una<br />

nuova voglia <strong>di</strong> sperimentare ulteriormente il loro omoerotismo. E accussì fu.<br />

Pompeo corse sotto la doccia e invitò Ben a seguirlo. Ben , dap<strong>prima</strong> indeciso, si<br />

godeva lo spettacolo dell’amico che si insaponava un po’ <strong>di</strong> qua e un po’ si là . Ma<br />

alla fine finiva sempre ad insaponare il marrugghio. Come se lo volesse sciacquare<br />

all’infinito, purificare da quel sesso a pagamento fatto poco <strong>prima</strong>. Dell’aroma, degli<br />

odori e degli umori <strong>di</strong> quella rispettabile mignotta con cui si era accompagnato. La<br />

ciolla era tisa e Pompeo la strapazzava. Quella era anche una minata camuffata da<br />

doccia.<br />

<strong>di</strong>sse Pompeo. Ben era eccitato ma continuava a taliare. Taliava<br />

l’aceddu dell’amico. Ma pure il suo culo. Era bello il culo del romano. Si sentì preso<br />

dal desiderio. Ci l’avrebbe ficcato veramente volentieri nel culo all’amico. Ma poi<br />

quello avrebbe voluto fare la stessa cosa. Certo, sarebbe stata una esperienza in più.<br />

Se è vero che il sesso è conoscenza. Ma lui ci teneva all’integrità del suo culo. Al


massimo ci poteva giocare Iatata. Che ci lo cartigghiava e a volte ci ficcava il <strong>di</strong>tino<br />

piccolo, il mignolo. Ma una cosa era il mignolo della sua zita, un'altra la minciazza<br />

dell’amico. Eppure la sua minciazza nel culo <strong>di</strong> Iatata ci trasiva con facilità. Anche se<br />

la <strong>prima</strong> volta era stata una avventura. Comunque rinunciò all’idea <strong>di</strong> inculare<br />

Pompeo. Solo e soltanto per la scanto <strong>di</strong> dovere ricambiare il favore.<br />

> <strong>di</strong>sse Pompeo in<strong>di</strong>cando il suo creapopoli tutto<br />

insaponato. Ben finalmente si decise , si spogliò e lo raggiunse. Spogliandosi<br />

l’uccello si era acquietato. Pompeo prese ad insaponarlo e le sue cure si<br />

concentrarono sul creapopoli dell’amico che in quattro e quattr’otto rimise le ali e<br />

riprese il volo interrotto. A questo punto si abbracciarono. Seguì un bacio intanto che<br />

le relative appen<strong>di</strong>ci erette sciabolavano tra <strong>di</strong> loro in un duello virtuale. Una vera<br />

bimentulamachia. Poi Pompeo passò ai capezzoli, quin<strong>di</strong> scese più in basso e fece un<br />

pompino all’amico. Questi chiuse gli occhi e pensò che inginocchiata davanti a lui,<br />

sotto la doccia, ci fosse Iatata. Alla fine concluse pensando che le bocche erano tutte<br />

uguali. Non c’erano bocche <strong>di</strong> mascoli e bocche <strong>di</strong> femmine, c’erano solo bocche<br />

brave a fare pompini e bocche che non li sapevano fare.<br />

> <strong>di</strong>sse Pompeo dopo essersi rialzato ><br />

Ben scoppiò a ridere. Intanto le mani <strong>di</strong> Pompeo gli accarezzavano la testa e lo<br />

spingevano verso il basso. Ben capì cosa voleva l’amico. Capì che era un invito a<br />

provare. E Ben provò. Con ansia e preoccupazione. Alliccò i capiccia tisi dell’amico.<br />

Poi ci ficcò la lingua nell’ombelico. Intanto sentiva l’aceddu romano sotto il mento.<br />

Sentiva il salsicciotto caldo, duro. Prima lo vasò, poi l’alliccò e alla fine si<br />

l’ammuccò, si lu sucò e il latte s’ingoiò. Ma decise anche che era meglio farsi<br />

ciucciare che ciucciare.<br />

> <strong>di</strong>sse con atteggiamento da pre<strong>di</strong>catore Ben.<br />

> addumannò curioso<br />

Pompeo.<br />

><br />

> <strong>di</strong>sse serio<br />

Pompeo.<br />

> chiese Ben.<br />

><br />

><br />

><br />

>


><br />

><br />

><br />

> rispose Pompeo ridendo.<br />

><br />

<br />

> <strong>di</strong>sse ben tenendosi stretto l’aceddu.<br />

Dopo questi <strong>di</strong>scorsi culturali si fecero una canna.<br />

Su quell’esperienza dei viaggi a vuoto all’Arcazzo Pompeo scrisse, come al solito,<br />

un bel sonetto romanesco intitolato “ CICETTO MIO”.<br />


TRE : LI CONSIJ DE MAMMA’<br />

’A mamma sta ’n capo o’ cape ’e casa; è nu cappiello.<br />

R. Viviani; <strong>di</strong>aletto napoletano<br />

Sutta sta coppola <strong>di</strong> celu jarrusu<br />

lu megghiu iocu è lu iocu pilusu..<br />

Un pomeriggio Ben era andato a trovare a casa Iatata. Sapeva che i genitori <strong>di</strong> lei e il<br />

fratello e la sorella erano andati a Catania e sarebbero tornati la sera. Mancava poco<br />

alle vacanze pasquali. La ragazza era raffreddata e teneva pure la febbre. Bussò tre<br />

volte ma non rispose nessuno. Stava per andare via ed era già sulle scale quando sentì<br />

aprire la porta. Si girò e tornò in<strong>di</strong>etro. Ad aprirgli era stato Pompeo.<br />

> <strong>di</strong>sse il romano.<br />

> chiese Ben entrando.<br />

> E gli <strong>di</strong>ede una manata sul cazzo.<br />

> chiese ridendo Pompeo.<br />

><br />

> rispose Ben dando una pacca sulla spalla all’amico.<br />

Arrivati nella stanzetta <strong>di</strong> Iatata Ben salutò la zita che stava sotto le coperte. Era bella<br />

anche con la febbre e i lunghi capelli ricci tutti scomposti. Sul letto stava aperto il<br />

libro <strong>di</strong> anatomia. Stavano stu<strong>di</strong>ando veramente l’apparato riproduttore.<br />

> <strong>di</strong>sse Ben.<br />

> rispose Iatata.<br />

> chiese<br />

Pompeo.<br />

> rispose<br />

provocatoria la ragazza.<br />

> <strong>di</strong>sse il romano.<br />

> sparò Ben che non era per niente geloso <strong>di</strong> Pompeo.<br />

<strong>di</strong>sse Iatata a Ben.<br />

> <strong>di</strong>sse Ben.<br />

> rispose Pompeo.<br />

><br />

><br />

> risposero in coro Ben e Iatata.<br />

Andato via Pompeo Ben si buttò sul letto della zita malata e le <strong>di</strong>ede un bacio ad hoc.<br />

Poi la scoperchiò e andò ad esplorare la valle del piacere. Come previsto la zita era<br />

senza mutande.


> rispose lei.<br />

><br />

Ben ficcò un <strong>di</strong>to nella vagina calda <strong>di</strong> lei e poi titillò a lungo il clitoride della zita.<br />

Forse cercava segnali <strong>di</strong> corna, o forse no. Lei invece le abbassò i pantaloni e gli<br />

ciucciò il birillo che era già tiso . A lui piaceva essere ciucciato dalla zita. Gli piaceva<br />

vedere quella testa con una marea <strong>di</strong> capelli neri, ricci e lunghi piegarsi su <strong>di</strong> lui. Si<br />

eccitava a sentirsi la minchia circondata da tutti quei capelli. Si eccitava al punto tale<br />

che alcune volte si era masturbato tra quei capelli. Era venuto in quella foresta <strong>di</strong> peli<br />

neri. Aveva ficcato con i capelli. E la considerava una bella esperienza erotica: la<br />

tricofilia. Ma poi, un po’ <strong>prima</strong> <strong>di</strong> venire, Ben <strong>di</strong>sse:<br />

><br />

Iatata si girò e lui le alzò la cammisa da notte. Ben prese a massaggiare il culetto. Si<br />

vedeva il puntino lasciato dall’ago. Il massaggiò cauriò la carusa e accese ancora <strong>di</strong><br />

più la candela <strong>di</strong> carne <strong>di</strong> lui. Che piazzò l’aggeggio nella vallata intrachiappale.<br />

> chiese lei sapendo dove voleva andare a parare lo zito.<br />

><br />

><br />

E Ben fece. Iatata lasciò fare. Poi parlarono a lungo. Iatata le raccontò tutta la storia<br />

della puntura. O meglio, quasi tutta. Lei la gnizioni non voleva farsela fare, ma non<br />

per vergogna. Non voleva farsela fare per non mostrare il culo all’amico che la<br />

desiderava non solo come amica. Ma Pompeo aveva insistito.<br />

> le aveva detto lui ironico come sempre..<br />

> aveva risposto lei mentendo ><br />

> aveva risposto lui papale papale.><br />

> replicò aci<strong>di</strong>na Iatata.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

> chiese lei curiosa.


><br />

><br />

><br />

><br />

Allora Pompeo aveva improvvisato uno strippi. E si era fermato allo slippi. Aveva<br />

sculettato a lungo in quella tenuta. Il romano era eccitato. Il pacco ballava. Lei<br />

conosceva la misura del giovane. Di vista naturalmente.<br />

> <strong>di</strong>sse lei.<br />

E lui , girandosi, si abbassò le mutande. Solo allora lei accettò <strong>di</strong> farsi fare la<br />

gnizione. Si mise a pancia in giù e si lasciò la cammisa da notte abbassata.<br />

> <strong>di</strong>sse lei.<br />

Lui si piazzò a cavacecio sulle sue cosce e iniziò a sollevare piano piano la cammisa<br />

da notte. E intanto cantava. “ Ta, ta, ta, tan, tan, tam, tim, tum..”<br />

> <strong>di</strong>sse lei.<br />

Alla fine lui mise il culo della picciotta a bella vista. E finalmente ci azziccò la<br />

puntura, ma solo dopo aver massaggiato a lungo la zona interessata. Scendendo<br />

spesso al limite tra la natica e la zona tra le cosce. Scostando spesso la natica destra<br />

dalla sinistra e taliando così il buchetto <strong>di</strong> Iatata. Poi finalmente gliela fece. Gliela<br />

fece col creapopoli che s’affacciava dall’elastico delle mutande. Forse voleva taliare<br />

pure lui. Infine lei, girandosi e vedendo la situazione che s’era venuta a creare,<br />

scoppiò a ridere. Lui era sempre a cavacecio sulle sue cosce e dalle mutande veniva<br />

fuori, tutta sorridente , la sua coppola dello zio Vincenzo. Una risata a bocca<br />

spalancata e incontenibile si impadronì <strong>di</strong> lei. E più lei rideva più la cammisa da notte<br />

si alzava. Pompeo invece taliava l’alzata <strong>di</strong> quel sipario particolare. E taliava pure la<br />

punta della sua minchia. Sperava <strong>di</strong> vedere San Cunno affacciarsi. E più la cammisa<br />

s’alzava, più Santa Mentula s’affacciava. Iatata continuava a ridere e finalmente San<br />

Cunno venne fuori. Lui taliava. Sempre a cavacecio sulle sue cosce. Anche la<br />

minchia taliava il cunno <strong>di</strong> Iatata. E la cammisa saliva ancora. Adesso anche<br />

l’ombelico era a bella vista. Lei rideva sempre più e la cammisa saliva ancora. Lui<br />

continuava a taliare. La minchia pure. Ma anche lei taliava santa Mentula uscire<br />

sempre più fuori dalle mutande. E rideva. Accussì la cammisa-sipario salendo liberò<br />

pure le tette. Lei rideva e forse non si rendeva neanche conto <strong>di</strong> essere esposta tutta<br />

sana sana allo sguardo <strong>di</strong> Ben. L’ultima ondata <strong>di</strong> riso incontenibile si estese anche<br />

alla muscolatura delle gambe e Iatata allargò involontariamente le cosce. Anche se<br />

per poco, Pompeo vide la fregnetta tutta pelosetta <strong>di</strong> lei. A portata del suo creapopoli.<br />

A quel punto non ce la fece più e attaccò a minarsela davanti a lei. Poteva tentare un<br />

approccio. La sua minchia tisa era a poca <strong>di</strong>stanza dalla fica <strong>di</strong> lei. Lui era sempre a<br />

cavacecio sulle sue cosce, ma per rispetto <strong>di</strong> lei e <strong>di</strong> Ben attaccò a minarsela.<br />

Convinto che la sua simenta sarebbe finita su quella fica ,su quella pancia, su quelle<br />

tette. E forse anche su quel viso. A quella vista lei smise <strong>di</strong> ridere. Capì che quella<br />

sega era un omaggio alla sua bellezza. E un segno <strong>di</strong> rispetto per lei e Ben.<br />

> gli <strong>di</strong>sse.


Lui non sentì neanche. O non volle sentire. Allora lei sgattaiolò da sotto le sue gambe<br />

e andò a dargli una mano. E quando capi che la simenta stava per uscire, non avendo<br />

fazzolettini <strong>di</strong> carta a portata <strong>di</strong> mano, per evitare <strong>di</strong> sporcare per terra o il letto o <strong>di</strong><br />

farsi sporcare lei, pigliò la decisione <strong>di</strong> ammuccarisi il cannolo dell’amico e <strong>di</strong><br />

agghiuttirisi il suo spumante personale. Il latte <strong>di</strong> creapopoli romano.<br />

> <strong>di</strong>sse lui.<br />

> rispose lei.<br />

> ri<strong>di</strong>sse Pompeo.<br />

> ririspose Iatata che teneva ancora nelle sue<br />

mani la minchia dell’amico. E intanto si passava la lingua sul musso.<br />

> aggiunse la ragazza.<br />

> <strong>di</strong>sse<br />

Pompeo contento.<br />

Proprio allora bussarono alla porta. Lui si rivestì <strong>di</strong> fretta . Ribussarono. Lei si<br />

sistemò la cammisa e si rimise a letto. Bussarono ancora una volta. Solo allora<br />

Pompeo andò ad aprire.<br />

Adesso lei aveva raccontato tutto allo zito, tutto tranne l’ultima parte. Allo zito <strong>di</strong>sse<br />

che aveva fatto una sega a Pompeo e che poi l’aveva pulito con un fazzolettino. Il<br />

racconto riaccese il desiderio <strong>di</strong> lui. Lui che era già stato sod<strong>di</strong>sfatto , mentre lei non<br />

lo era. Per questo Ben si <strong>di</strong>ede da fare con la sua lingua esperta e la fece godere<br />

come una maiala. Se il latte del suo brigghiu era finito nel culo <strong>di</strong> lei, adesso era lu<br />

sculu della passerina dolce <strong>di</strong> lei che riempiva la sua bocca, l’odore stimolava il suo<br />

naso, e la vista della stessa i suoi occhi. Il suo aceddu era sempre arrapatissimo.<br />

Allora lui la convinse a fare ancora sesso, ma sul letto dei genitori. Lo fecero nel<br />

lettone, nella classica posizione del missionario. Dopo questa ficcata lui, taliando in<br />

giro, vide una vecchia foto sul cantarono, una foto che lo fece rabbrivi<strong>di</strong>re.<br />

> chiese Ben a Iatata.<br />

> rispose lei raggiungendolo <strong>di</strong> spalle e stricandogli la<br />

passera sul culo.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Poi parlarono a lungo. Anche dei loro genitori. Il papà <strong>di</strong> Ben e quello <strong>di</strong> Iatata<br />

avevano la stessa età. Solo che il primo era figlio del podestà, l’altro <strong>di</strong> NN. Uno era<br />

figlio <strong>di</strong> simenta certa e documentata ma non assomigliava al padre, l’altro era figlio<br />

<strong>di</strong> simenta ignota ma assomigliava al padre dell’altro.<br />

> chiese Iatata che adesso gli stava arriminando<br />

i cabasisi.<br />

> rispose Ben .<br />

>


E il cazzo <strong>di</strong> Ben stava rinascendo. Era un ennesimo miracolo del cazzo. Era meglio<br />

sfruttare l’occasione. E tornare a letto. Ma Ben volle fare tutto ad<strong>di</strong>tta. E accussì<br />

fecero. Conclusero sucandosi la stessa canna.<br />

Cepito Portusodoro se la passava bene e desiderava la stessa cosa per i figli. Era<br />

contento <strong>di</strong> Iatata che s’era messa con Ben. Lui stimava il picciotto. Ma gli stava sulla<br />

coppola della minchia suo padre, quel bastardo <strong>di</strong> Ciccio Cicidda. E soprattutto il<br />

padre <strong>di</strong> suo padre, l’oramai defunto Concetto Cicidda, il tanto o<strong>di</strong>ato podestà <strong>di</strong><br />

<strong>Monacazzo</strong>. Se lo ricordava quando portava i “ regali del fascio” ai carusi frutto <strong>di</strong><br />

simenta ignota. Parlava e <strong>di</strong>ceva minchiate mirabolanti. Qualcuno <strong>di</strong>ceva che era un<br />

grande figlio <strong>di</strong> buttana. Che forse lì dentro c’erano pure figli suoi. Tutti sapevano<br />

che era un buttaniere patentato e che non faceva un piacere a nessuno se qualche<br />

femmina della famiglia in questione non gli dava quella certa cosa.<br />

> era il suo detto preferito.<br />

Alla caduta del fascismo lui e il figlio si erano rifugiati nel convento e avevano<br />

vissuto per parecchio tempo nascosti nella cantine. Come due cani arrabbiati. Poi ,<br />

quando le acque si erano calmate , l’ex podestà era tornato a vivere a casa sua<br />

insieme col figlio. E con due criate. Era stato processato da un tribunale della<br />

Repubblica e assolto. Poi si era risposato. Ma per fortuna la simenta maliritta non<br />

aveva dato altri frutti. E la nuova moglie era morta giovane. Lui era vissuto ancora<br />

un po’. Poi si era sparato nel suo stu<strong>di</strong>o; ma su questa notizia che tutti sapevano era<br />

caduto il silenzio. Tutti parlarono <strong>di</strong> incidente intanto che l’ex podestà puliva i suoi<br />

cimeli del periodo nero.<br />

Tutti invece sapevano quello che era successo alla caduta del fascismo. L’uomo era<br />

stato sorpreso <strong>di</strong>etro la scrivania da <strong>di</strong>eci antifascisti intanto che una nota signora ,<br />

una dama <strong>di</strong> una famosa confraternita locale, gli faceva un pompino sotto la stessa.<br />

La signora era stata rispe<strong>di</strong>ta a casa in un amen, ma solo dopo che aveva fatto lo<br />

stesso piacere ai <strong>di</strong>eci componenti il “ tribunale della libertà ”. E tutto sotto gli occhi<br />

<strong>di</strong> Concetto Cicidda, che era stato denudato e attaccato a una colonna come un<br />

sammastiano. Processato seduta stante da quella sorta <strong>di</strong> tribunale popolare il podestà<br />

era stato condannato alla fucilazione.<br />

Ma il desiderio <strong>di</strong> vendetta era nelle menti e nei cuori <strong>di</strong> tanta gente. Qualcuno lo<br />

voleva torturare in quelle stesse sale dove tanti nemici del fascismo erano stati<br />

torturati. Qualcuno voleva una sua pubblica confessione. Quante femmine si era<br />

fatte? Quanti figli aveva? Ma forse non lo sapeva neanche lui. Alla fine fu deciso <strong>di</strong><br />

sodomizzarlo. Tanto per fargli assaggiare nel culo quella minchia che lui aveva fatto<br />

assaggiare a tante femmine del posto in tutti i posti possibili. Stinnicchiatu sulla<br />

scrivania e tenuto da quattro persone fu sodomizzato a ripetizione .<br />

Poi gli fu appeso alla minchia una cartello che <strong>di</strong>ceva ” questo cazzo <strong>di</strong> questa testa<br />

<strong>di</strong> cazzo che si chiama Concetto Cicidda ha offeso e umiliato le femmine <strong>di</strong><br />

<strong>Monacazzo</strong>”. E così conciato fu portato in processione per il paese. E tutti lo<br />

sputavano. In faccia, sul culo, ma soprattutto sulla minchia.<br />

Tutto questo in attesa <strong>di</strong> essere fucilato. Qualcuno lo voleva sodomizzare in<br />

pubblico. Ma non si arrivò a questo. E neanche all’esecuzione. Un gruppo <strong>di</strong>


fedelissimi mascherati lo portò in salvò. Così, coperto da un mantello, arrivò al<br />

convento dove altri fedelissimi avevano già portato suo figlio. E li dentro papà<br />

Concetto e suo figlio Ciccio erano vissuti per un po’ <strong>di</strong> tempo in incognito.<br />

Commare Filomena Senzazonna, vedova del falegname Turi Minabrigghiu, teneva<br />

due figlie in età da marito. Le ragazza avevano il <strong>di</strong>ploma <strong>di</strong> “sarte specializzate in<br />

abiti femminili e vestiti maschili” e lavoravano con la mamma nella sartoria <strong>di</strong><br />

famiglia. Che teneva la sede in due tammusa che stavano sotto casa Cicidda. Mentre<br />

al primo piano dello stesso abitavano. E allato a loro c’era casa Sorcaealtro. La<br />

figlia grande teneva <strong>di</strong>ciott’anni e si chiamava Tonina, la piccola ne aveva <strong>di</strong>ciassette<br />

e si appellava Ninetta. E alla mamma ci parevano già due sticchiaredda aci<strong>di</strong> ca ci<br />

sarebbero arristati sulla panza. Tutti le volevano le figlie sue ma nessuno si li<br />

pigliava. Le caruse tenevano pititto dello zito ma avevano una idea dell’amore fuori<br />

dal comune. E la colpa <strong>di</strong> tutto era della mamma che le aveva fatte crescere con l’idea<br />

del peccato che si ficcava dappertutto e specialmente in certi posti. Mamma Filomena<br />

era la sessuofobia fatta persona.<br />

><br />

> rispondevano le ragazze col forno già accesso anche se senza<br />

tizzone a <strong>di</strong>sposizione.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

> chiedevano le picciotte che<br />

si <strong>di</strong>vertivano a sentire la mamma fare il suo corso <strong>di</strong> <strong>di</strong>seducazione sessuale<br />

altamente professionale.<br />

><br />

> chiedevano le caruse.<br />

><br />

><br />

>


Alle caruse a <strong>di</strong>re il vero piacevano i vicini <strong>di</strong> casa Ben Cicidda e Pompeo<br />

Sorcaealtro. Ma l’uno ficcava con la zita e l’altro ficcava unni capitava capitava.<br />

Mica si sarebbero messi a perdere tempo con loro, che non sapevano <strong>di</strong> dove<br />

minchia ancuminciari per rendere felice n’aceddu. Comunque i due vicini erano due<br />

picciotti biddazzi. La mamma invece pensava e ragionava a suo modo.<br />

><br />

Poi pensava alla sua vicina e al suo famoso detto.<br />

> <strong>di</strong>ceva donna<br />

Santinedda Cunnucinu, la moglie del ragioniere Sacchettavacanti.<br />

In realtà tanti si facevano avanti per prenotare la mano <strong>di</strong> Tonina o <strong>di</strong> Ninetta, ma<br />

visto che poi era impossibile <strong>di</strong>alogare “ sessualmente “con loro le mandavano<br />

affanculo. In quattro e quattr’otto.<br />

> era la <strong>prima</strong> dumanna che facevano al malcapitato.<br />

> <strong>di</strong>cevano molti.<br />

><br />

> <strong>di</strong>cevano i picciotti <strong>di</strong> campagna. <strong>di</strong>ceva qualcuno.<br />

> rispondevano le sorelle. ><br />

> <strong>di</strong>ceva il malcapitato <strong>di</strong> turno.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

rispondeva qualcuno.<br />

> rispondeva<br />

qualcun’altro.<br />

><br />

rispondevano altri ancora.


Accussì il tempo passava e Tonina e Ninetta sognavano sempre l’arrivo <strong>di</strong> una<br />

minchiazza impiegata. Dalla finestre della loro camera taliavano sempre casa<br />

Sorcaealtro e spiavano Pompeo. Si <strong>di</strong>vertivano a taliare le sue nu<strong>di</strong>tà. Perché il<br />

caruso stava sempre smutandato. L’avevano visto pure intento a segarsi o farsi segare<br />

da una carusa. Ma anche alle presse con dei mascoli.<br />

> <strong>di</strong>ceva una.<br />

> <strong>di</strong>ceva l’altra . E ridevano.<br />

> <strong>di</strong>ceva l’una.<br />

> <strong>di</strong>ceva l’altra sospirando.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

> <strong>di</strong>cia la <strong>prima</strong>.<br />

> rispondeva la sorella.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

> chiedeva la sorella.<br />

> rispondeva l’altra.<br />

E scoppiavano a ridere. E correvano sul letto a fare il tocca tocca. Che questi erano i<br />

soliti commenti delle sorelle Tonina e Ninetta Minabrigghiu. Avevano infatti assistito<br />

a tante cose.. a un pompino e a una ficcata lampo con una carusa che loro<br />

conoscevano. E la carusa se l’era fatta mettere <strong>prima</strong> davanti e poi l’aveva fatto finire<br />

<strong>di</strong> darreri. E loro s‘erano fatti infiniti segni della croce. Ogni volta che Pompeo<br />

trasiva si segnavano, ogni volta che usciva sospiravano. Ma erano rimasti sorpresi<br />

quando lo avevano scoperto con un altro mascolo. Erano scappati sotto le coperte del<br />

letto matrimoniale che con<strong>di</strong>videvano e si erano strette l’una all’altra. Poi s’erano<br />

accarezzate le minne e alla fine la filazza. Che era poi questo il loro gioco preferito.<br />

In attesa <strong>di</strong> avere anche loro una bella minciazza a <strong>di</strong>sposizione. Minchia maritale<br />

naturalmente.


Pompeo sapeva <strong>di</strong> essere spiato e a volte si la minava contro il vetro della finestra<br />

apposta. Perché sapeva <strong>di</strong> essere guardato. Aveva anche sentito raccontare le idee<br />

me<strong>di</strong>evali che circolavano in quella casa. E s’era convinto che quelle due sarebbero<br />

restate zitelle vita natural durante. Pertanto con i compagni <strong>di</strong> classe decise <strong>di</strong><br />

organizzare uno scherzo. Costruirono due minchie <strong>di</strong> cartapesta e le spe<strong>di</strong>rono alle<br />

due sorelle. Insieme a un sonetto, scritto sempre in romanesco da Pompeo, che<br />

s’intitolava “LI CONSIJI DE MAMMA'.” E che era tutto un programma.<br />


QUATTRO : ER PITTORE<br />

Dobbiamo strappare alla pittura la sua antica abitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> copiare,<br />

per renderla sovrana. Invece <strong>di</strong> riprodurre gli oggetti, essa deve<br />

provocare eccitazioni me<strong>di</strong>ante le linee, i colori e i contorni ricavati dal<br />

mondo esterno, ma semplificati e frenati: una vera magia.<br />

A. Rimbaud<br />

Li strunza criscinu suli…<br />

Il giorno dopo Ben tornò a trovare la zita. La mamma aprì la porta.<br />

><br />

><br />

Ben raggiunse la zita che s’era nascosta sotto le coperte. Con la cammisa alzata e<br />

senza mutande. Lui trasì e ficcò la testa sotto le coperte, a metà letto, e la mozzicò nel<br />

pacchio.<br />

> <strong>di</strong>sse lei.<br />

> rispose lui.<br />

> rispose lui . E gliela <strong>di</strong>ede.<br />

> <strong>di</strong>sse Iatata ><br />

><br />

E tornò a mozzicare il pacchio.<br />

> <strong>di</strong>sse Ben.<br />

> rispose Iatata allargando le cosce.<br />

Lui mozzicava e alliccava, lei taliava la foto del nonno <strong>di</strong> Ben. Il podestà e Cepito<br />

avevano la stessa faccia.<br />

> <strong>di</strong>sse la ragazza.<br />

> rispose lui con la voce che pareva venire dall’oltretomba.<br />

Infatti stava con la faccia sotto le coperte e la lingua infilata nella filazza. L’idea che<br />

avevano era la stessa. Ma non c’era modo <strong>di</strong> verificarla.<br />

Una sera Ben e Pompeo volevano parlare dei fatti loro . Pompeo aveva quella sera la<br />

macchinona del padre, un vecchio Mercedes. Pertanto decisero <strong>di</strong> andare a mangiare<br />

una pizza fuori paese . Era una bella serata <strong>prima</strong>verile. Ma nel locale il <strong>di</strong>scorso non<br />

fu neanche iniziato. C’era troppa gente e Ben non trovava le parole adatte per <strong>di</strong>re<br />

quello che sentiva. E neanche Pompeo le trovava queste benedette parole. Dopo la<br />

pizza passeggiarono a lungo, ma poi Pompeo sbottò.<br />

><br />

><br />

>


Pompeo era sorpreso da tanta liberalità.<br />

> concluse Ben.<br />

Pompeo scoppio a ridere. Ben lo imitò. Si abbracciarono. Pompeo baciò l’amico.<br />

> precisò.<br />

Pompeo sentì che l’amico era eccitato. E a <strong>di</strong>re il vero era eccitato anche lui. Erano al<br />

buio e <strong>di</strong>etro un albero. Pompeo si rese conto che poteva dare <strong>di</strong> più. E ficcò la mano<br />

dentro le mutande dell’amico. Che contraccambiò il gesto. Nel momento del bisogno<br />

si stavano reciprocamente dando una mano. Ma Pompeo capì che poteva dare ancora<br />

<strong>di</strong> più. Lo pregò <strong>di</strong> ritornare in macchina e lì gli abbassò i pantaloni e iniziò a<br />

ciucciare. Ben lasciò fare. Il pompino era una bella cosa, l’importante era farlo bene.<br />

E Pompeo sapeva pompare. Ma non lo fece venire il romano. Pompeo sapeva <strong>di</strong><br />

potere dare e fare <strong>di</strong> più. Infatti smise <strong>di</strong> ciucciare, si abbassò i pantaloni e gli offrì il<br />

sedere.<br />

> <strong>di</strong>sse Pompeo che sapeva che Ben amava il culo<br />

in sé stesso. Il culo per il culo.<br />

Ben l’inculò e venne dentro quel bel culo. Si sentiva sod<strong>di</strong>sfatto ma vedeva l’amico<br />

con la minchia sempre tisa. Voleva ricambiare il favore ma non se la sentiva. Non<br />

adesso. Non ancora. Allora usò le mani. Ma capendo che Pompeo venendo avrebbe<br />

sporcato la macchina, all’ultimo momento usò la bocca e ingoiò la simenta amica.<br />

Involontariamente aveva fatto , nei confronti <strong>di</strong> Pompeo, lo stesso gesto <strong>di</strong> Iatata.<br />

> aveva detto Pompeo all’amico.<br />

> rispose Ben.<br />

> <strong>di</strong>sse Pompeo.<br />

> chiese Ben.<br />

> rispose il romano.<br />

> chiese Ben.<br />

><br />

> ripeté Ben.<br />

><br />

> concluse Ben. Poi risero a iosa. Incularsi era n’autra cosa.<br />

Uno dei rompicoglioni chiù rompicoglioni <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong> era lo scrittore Micio<br />

Tempio. Scrittore <strong>di</strong> pilo e basta. Ma anche ateo. E a proposito dei preti citava sempre<br />

Müntzer : ><br />

Per lui <strong>di</strong>o tutt’al più era la reazione chimica che aveva scatenato il binghi-benghi.<br />

Micio interpretava la storia del mondo come una cunnomentulamachia. Tutto firriava


intorno al sesso. Paria figlio <strong>di</strong> Froid<strong>di</strong> chistu tizio. Se Giove s’era maritato con sua<br />

sorella e in Egitto era tutto un casino, anche il cristianesimo per lui non scherzava con<br />

il suo misterioso caso, scientificamente non verificabile, <strong>di</strong> partenogenesi nella specie<br />

umana. Lui si sentiva ateo e innocente, invece tutti i credenti in qualche zona del<br />

mondo avevano dovuto combattere qualche guerra santa. Fare una crociata. Una<br />

inquisizione più o meno santa. Un processo. Una censura. Lanciare un anatema.<br />

Lanciare una scomunica. Chiedere confessioni e lanciare assoluzioni. Una guerra<br />

continua e sempre <strong>di</strong> parte. Un <strong>di</strong>o contro un altro, ma anche una guerra <strong>di</strong> uomini<br />

contro altri fratelli uomini. E le guerre che avevano insanguinato il mondo nel passato<br />

erano sempre state, gira e rigira, guerre <strong>di</strong> religione. E anche adesso erano la stessa<br />

cosa. Micio invece amava la libertà totale. Aveva in mente il modello francese, dove<br />

la rivoluzione del 1789 aveva fatto piazza pulita del passato. Piazza pulita violenta fu<br />

purtroppo. Ma il passato era troppo “duro e crudo ” e non c’erano alternative. Se oggi<br />

l’Europa era un po’ più libera <strong>di</strong> altre zone della terra lo doveva a quella rivoluzione.<br />

Lì era stata stato lanciato il seme che aveva dato un po’ <strong>di</strong> libertà all’uomo. Micio<br />

amava la Francia e il modello francese. I suoi paesani invece non amavano né lui né<br />

la sua opera infetta, lurda, fitusa, ingrasciata e pornografica.<br />

> l’aveva definito la mamma.<br />

> l’aveva<br />

definito il parrino della sua parrocchia.<br />

> lo chiamava una vicina.<br />

> l’aveva soprannominato uno zio ammuccaparticoli.<br />

> lo definivano in tanti.<br />

> puntualizzavano alcuni.<br />

La sua carriera era incominciata per caso. Avia scritto per i cazzi del caso, o per i<br />

casi del cazzo, un romanzo piluso dal titolo “ Cent’anni <strong>di</strong> pilazzu” . E per i casi della<br />

minchia , o per le minchie del caso, aveva vinto il primo premio per la narrativa al<br />

TERRE DI FICUPALA che si era svolto nel comune <strong>di</strong> Ciappacuppini, uno dei paesi<br />

della famosa Ficupalan<strong>di</strong>a. Il concorso era intestato a un prestigioso rappresentante<br />

della cultura locale, certo Turiddu Evva. Ma quel concorso era stato organizzato<br />

male . Ed era nato ancora chiù male. Per esempio, tanto per <strong>di</strong>rne una, il sindaco del<br />

paese in questione aveva stanziato solo la metà della somma necessaria per pagare i<br />

premi. E il coor<strong>di</strong>natore aveva coor<strong>di</strong>nato e scoor<strong>di</strong>nato a suo piacimento. Il concorso<br />

era stato partorito nel caos e nella confusione e forse già siminato ammalamenti.<br />

Infatti il povero Micio aspettava il premio in lire e la stampa del libro. Ma non<br />

arrivava nè l’una nè l’autra cosa. Poi scopriu per caso che il secondo arrivato era stato<br />

pagato dal coor<strong>di</strong>natore in persona.<br />

> pinsau Micio Tempio.<br />

E si rivolse ad un avvocato per risolvere la questione. Ma <strong>prima</strong> scrisse a destra e a<br />

manca e ci fu pure una bella trasmissione ra<strong>di</strong>ofonica che si occupò del caso. E<br />

accussì vennero fuori certi retroscena da far mannari affanculo la sicilietta intera.<br />

> aveva detto<br />

il famoso conduttore ra<strong>di</strong>ofonico.


<strong>di</strong>sse<br />

Micio Tempio a sé stesso.<br />

Per esempio, il coor<strong>di</strong>natore si era giustificato <strong>di</strong>cendo che il secondo era stato<br />

pagato in quanto non siciliano . Allo scopo <strong>di</strong> non far parlare male della Sicilia.<br />

> <strong>di</strong>sse Micio. E pensò a Cecco<br />

Angiolieri. Il suo sonetto era il suo Pater. Altro che porgi l’altra guancia.<br />

> <strong>di</strong>sse ancora a sé<br />

stesso.<br />

E come <strong>di</strong>re che il <strong>di</strong>avolo fa li pignati ma i cupeccia li mette solo dove vuole lui. Il<br />

coor<strong>di</strong>natore aveva intascato i sol<strong>di</strong> , ma aveva pagato solo chi voleva lui. In base a<br />

un co<strong>di</strong>cillo che non si sapeva dove minchia stava scritto. Ma a parte questa schifosa<br />

vicenda <strong>di</strong> malasicilia, e la Sicilia <strong>di</strong> cazzate ne combinava dai tempi che era magna<br />

Grecia, lo scrittore continuava a scrivere <strong>di</strong> pilo, pilo e poi ancora pilo.<br />

> <strong>di</strong>ceva spesso Micio Tempio.<br />

Adesso era nelle librerie con un libro in <strong>di</strong>aletto dal titolo molto ma molto esplicito.<br />

“Sticchio glorioso” . Il volume era de<strong>di</strong>cato a uno degli amori più belli <strong>di</strong> Zeus.<br />

Quello per Danae. E Micio come capezzale teneva proprio la “ Danae” <strong>di</strong> Gustav<br />

Klimt. Bello assai quell’amplesso <strong>di</strong>vino. Lu beddu sticchiu <strong>di</strong> la principissa<br />

rappresentato con una cosciona in primo piano, una bella minna a vista e la faccia <strong>di</strong><br />

chi si abbannua a lu piaciri. Perché Danae è raffigurata nel momento dell’abbandono.<br />

Nel momento in cui Zeus ci passa la so bedda minchia <strong>di</strong>vina sotto forma <strong>di</strong> pioggia<br />

d’oro. Una pioggia <strong>di</strong> cazzi. Di cazzi d’oro. Una pioggia <strong>di</strong> simenta d’oro per un<br />

alluvione <strong>di</strong> sticchio. E da chidda futtuta <strong>di</strong>vina e preziosa nasciu nu omminu cu li<br />

bad<strong>di</strong>, tale Perseo.<br />

> aveva scritto nel 1903 il teorico viennese<br />

della misoginia Otto Weininger. E Klimt aveva reso su tela quel momento .. <strong>di</strong>vino.<br />

O meglio, quel momento <strong>di</strong>.. minchia <strong>di</strong>vina.<br />

> <strong>di</strong>ceva Micio ogni volta che taliava il quadro. E<br />

se Micio aveva de<strong>di</strong>cato a Danae chista opera dal titolo esplicito, non era solo pirchì<br />

nu sticchiu ca infiamma il <strong>di</strong>o capo non può che essere glorioso. C’era anche un altro<br />

motivo. Storico. O meglio, mitologico. Pare, secondo una leggenda riportata da<br />

Virgilio <strong>di</strong> Munipuzos nella sua “ Danaede” , che Acrisio, il papà <strong>di</strong> Danae, saputo<br />

del vaticinio che gli preannunciava la morte per mano del futuro nipote , per<br />

sicurezza facissi chiuriri la figlia nella torre <strong>di</strong> bronzo del suo castello . Per<br />

proteggerla dalle tentazioni del cazzo. Ma non la rinchiuse in Grecia, bensì nella<br />

lontana città <strong>di</strong> Munipuzos. Città bellissima ma lontanissima, città della magna<br />

Grecia. Cioè l’antica <strong>Monacazzo</strong>. Ma in quella torre Zeus l’aveva fecondata.<br />

> <strong>di</strong>ceva Micio Tempio.<br />

> <strong>di</strong>ce Giorgio Baffo.


Adesso Micio era superultraincazzato perché padre Ciollardente aveva minacciato <strong>di</strong><br />

scomunica i lettori della sua opera.<br />

> aveva<br />

detto il prete in preda alla più lucida follia.<br />

>s’era chiesto Micio.<br />

E per tutta risposta, un giorno che era più incazzato del solito, aveva spe<strong>di</strong>to una<br />

lettera al prete della parrocchia dov’era nato e vissuto pregandolo <strong>di</strong> cancellare il suo<br />

nome dalla lista dei battesimati, dei comunicati e dei confermati. Che lui non aveva<br />

bisogno del battesimo, della comunione e della cresima. Che gli erano stati imposti<br />

dai suoi quando lui non capiva un cazzo. Lui era fatto <strong>di</strong> atomi e atomico voleva<br />

restare. Era ateo, rispettava coloro che professavano il cattolicesimo come e allo<br />

stesso modo <strong>di</strong> coloro che professavano altre religioni. Ma lui era ateo e come tale<br />

voleva essere rispettato anche lui.<br />

>


E nella piazza principale del paese <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>, figlio legittimo dell’antica<br />

Munipuzos, ci stava proprio una bella fontana de<strong>di</strong>cata a Danae e Zeus. Bello il<br />

gruppo scultoreo <strong>di</strong> Carmelino Canovedda, posto al centro <strong>di</strong> una enorme vasca<br />

circolare. Una femmina in stato <strong>di</strong> abbandono sensuale , sdraiata su tanti puttini, che<br />

offriva il suo corpo alla pioggia continua che le piombava addosso.<br />

> <strong>di</strong>ceva Micio parlando della vasca.<br />

> era invece il detto <strong>di</strong><br />

Giorgio Baffo.<br />

> <strong>di</strong>ceva poeticamente parlando<br />

Micio Tempio.<br />

> <strong>di</strong>ceva qualcuno facendo riferimento alla cronica<br />

mancanza d’acqua pomeri<strong>di</strong>ana che si verificava <strong>Monacazzo</strong>, specie nel periodo<br />

estivo. E poi c’era sempre qualcuno che litigava davanti alla fontana.<br />

> <strong>di</strong>ceva qualche spiritosa amata minchia alla sua<br />

consorte.<br />

> rispondeva la consorte acida al marito.<br />

><br />

><br />

> <strong>di</strong>ceva il marito incazzato.<br />

><br />

><br />

><br />

Litigavano anche le coppiette <strong>di</strong> ziti.<br />

> <strong>di</strong>ceva qualcuno alla zita.<br />

> rispondeva la zita.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

>


Litigavano pure le vecchie signorine.<br />

><br />

><br />

><br />

> <strong>di</strong>ceva la signorina Genoveffa Nullaresi.<br />

> chiedeva la signorina assai<br />

assai appitittata Gelsomina Senzaciolla.<br />

> sentenziava la signorina all’anagrafe Addolorata Millecicie.<br />

Sui bor<strong>di</strong> della vasca , dove questa gente stava assittata per cazzuliari, un bassorilievo<br />

raccontava le avventure <strong>di</strong> Perseo, il frutto <strong>di</strong> quella <strong>di</strong>vina ficcata.<br />

Come <strong>di</strong>ceva Giorgio Baffo all’amico Micio , ><br />

Durante la messa <strong>di</strong> mezzogiorno <strong>di</strong> quella sessantottina domenica delle palme padre<br />

Bartolomeo Ciollardente, durante la pre<strong>di</strong>ca, ci andò pesante con il modernismo,<br />

questa droga <strong>di</strong>lagante che minacciava la famiglia e lo stato . E in particolare si<br />

scagliò contro i nemici della fede. E <strong>di</strong>sse che a <strong>Monacazzo</strong> , purtroppo, oramai<br />

c’erano parecchi nemici mortali della fede. Invitò i fedeli a fare attenzione, a non<br />

cadere nelle loro trappole artificiali, nei loro para<strong>di</strong>si peccaminosi , ad alzare il livello<br />

<strong>di</strong> attenzione generale. Poi parlò <strong>di</strong> una missiva che aveva ricevuto e senza fare<br />

nomi lesse parte della stessa. Infine lanciò una sorta <strong>di</strong> anatema, <strong>di</strong> condanna, <strong>di</strong><br />

scomunica contro il peccatore pubblico ma ignoto e lo invitò, se era in chiesa, se<br />

aveva coraggio, a farsi avanti e a chiedere perdono a lui, alla comunità cristiana e<br />

soprattutto a Dio.<br />

><br />

Seguì il quasi anatema o scomunica o altro che lo vogliamo chiamare. E l’invito a<br />

farsi avanti e chiedere perdono. Ma nessuno si fece avanti. D’altra parte quell’uomo<br />

non frequentava la chiesa. Tanti comunque avevano capito che quell’uomo era lo<br />

scrittore pornografico Micio Tempio.<br />

Micio quella mattina, intanto che il prete sparlava <strong>di</strong> lui anonimamente, passeggiava<br />

al corso con l’altro libertario <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>, Giorgio Baffo. E gli raccontava della<br />

missiva che aveva spe<strong>di</strong>to a messer Ciollardente <strong>di</strong> nome e <strong>di</strong> fatto. Poi parlarono <strong>di</strong><br />

viaggi e pilo, che erano i loro argomenti preferiti, oltre all’arte e al teatro, alla politica<br />

e all’impegno sociale ma laico. Passeggiavano in quell’insulso annavanti e annarerri<br />

da esaurimento nervoso, che sicuramente un novello Froid<strong>di</strong> avissa interpretato in


modo <strong>di</strong>verso. Ovvero come pititto <strong>di</strong> fare trasi e nesci, annavanti e annarerri, in un<br />

altro tipo <strong>di</strong> corso, corso Ciolla Sticchiale. Micio e Giorgio passeggiavano e<br />

cazzeggiavano.<br />

> chiese Micio.<br />

><br />

><br />

> rispose Giorgio in veneziano.<br />

><br />

> <strong>di</strong>sse Giorgio.<br />

> <strong>di</strong>sse Micio.<br />

><br />

><br />

><br />

> <strong>di</strong>sse Micio.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

>


><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

<br />

E continuavano nella loro squisita arte del cazzeggio. Passeggiavano e curtigghiavano<br />

e si facevano sfacciatamente i cazzi degli altri. Fu allora che si sentì una voce.<br />

> gridava il professore Bisticchiò.<br />

> chiese Micio.<br />

><br />

> <strong>di</strong>sse Micio che<br />

era stato preso da una incre<strong>di</strong>bile e improvvisa logorrea .<br />

> <strong>di</strong>sse Giorgio Baffo.<br />

> <strong>di</strong>sse il professor Bisticchiò .<br />

> replicò Micio ><br />

> chiesero gli amici.<br />

><br />

><br />


lui.. anzi, lo so fare meglio <strong>di</strong> lui... reciterò io e farò recitare pure lui.. ma io saprò la<br />

mia parte , lui no...>><br />

> <strong>di</strong>sse Bisticchiò.<br />

> <strong>di</strong>sse Giorgio.<br />

> concluse l’eretico ed erotico Micio Tempio,<br />

che tutto era tranne che un pisellino.<br />

La sera della domenica delle palme a <strong>Monacazzo</strong> si svolse una bella processione ma i<br />

ragazzi non parteciparono. Iatata , Ben e Pompeo erano insieme.<br />

> <strong>di</strong>sse Ben.<br />

> aggiunse Pompeo.<br />

> sentenziò Iatata.<br />

> <strong>di</strong>sse Pompeo.<br />

> aggiunse Ben.<br />

><br />

precisò Iatata.<br />

><br />

Tutti i ragazzi delle scuole superiori decisero <strong>di</strong> <strong>di</strong>sertare le manifestazioni religiose e<br />

<strong>di</strong> riunirsi allo sta<strong>di</strong>o per fare una sorta <strong>di</strong> assemblea generale . O meglio, un sit-in <strong>di</strong><br />

protesta contro quello che stava succedendo in Italia e nel mondo. E per capire megli<br />

fumarono assai. E Pompeo quella sera <strong>di</strong>ede agli amici un sonetto che aveva scritto in<br />

loro onore. Titolo “ER PITTORE “<br />

So n'artista ,so er mago der pennello,<br />

la mia arte è moderna, mica antica,<br />

quarcuno nun la capisce , lo <strong>di</strong>ca:<br />

io so pronto, je'llumino er cervello.<br />

Dice “ è ambigua”. Ma questo è er bello.<br />

Devi sape' che costa assai fatica<br />

<strong>di</strong>pingere n'cazzo e dì ch'è na fica.<br />

So capac’io, parola 'e Pompeobello.<br />

Er mi stu<strong>di</strong>o è tutta n'antra cosa:<br />

c'è un grande letto che fa da pedana<br />

n'dove li modelli se mettono n'posa.<br />

Io fo all'amore con queste persone,<br />

n'frocetto n'zuccherato e na puttana,<br />

fino a trovare l'ispirazione.<br />

Via la mano brutale, infame sbirro! Te stesso frusta, non quella puttana!<br />

Tu bruci dalla voglia <strong>di</strong> far con lei ciò per cui la punisci.<br />

W. Shakespeare


CINQUE : ER FATTACCIO SESSUALE<br />

La donna, in verità, o Gothamo, è un fuoco sacrificale. Seguendo questa<br />

immagine, l’organo sessuale maschile è il combustibile; la seduzione, il<br />

fumo; la vulva, fiamma; l’accoppiamento, i carboni; il piacere, le scintille.<br />

In questo fuoco gli Dei offrono lo sperma; dall’oblazione nasce il feto.<br />

Upanishad, testo in<strong>di</strong>ano<br />

Tanto la minchia chi ni capisci..<br />

Arrivarono le vacanze pasquali. Il tempo era bello. Quasi una estate anticipata. La<br />

sera dei sepolcri, il giovedì santo , le gemelle Marietta e Maruzza Cacapitrud<strong>di</strong> ,<br />

nella chiesa <strong>di</strong> san Sebastiano, abbordarono Pompeo e Ben. I ragazzi accettarono il<br />

loro invito a girare le sette chiese. Secondo tra<strong>di</strong>zione. Quando non ci sta un cazzo da<br />

fare anche le tra<strong>di</strong>zioni possono essere utili. Pompeo era libero <strong>di</strong> suo, Ben quella<br />

sera tinia la zita impegnata in questioni <strong>di</strong> famiglia. Era bello conoscere due<br />

verginelle e magari farici, se possibile , una stricatina. Magari farici canusciri qualche<br />

funzione della minchia, fariccilla taliari e maniari e tutt’al più ammuccari Perché<br />

sperare <strong>di</strong> più era impossibili. Verginelle erano, ma anche curiose. Le ragazze<br />

passando sotto casa loro, proposero ai carusi <strong>di</strong> salire un attimo, per sbrigare un<br />

improvviso bisognino biologico.<br />

> <strong>di</strong>sse Ben<br />

> rispose Pompeo.<br />

Pompeo e Ben salirono, la casa era vuota. La signora e il signor Cacapitrud<strong>di</strong> erano<br />

andati in comunità e sarebbero tornati a notte fonda. Nella stanzetta delle ragazze<br />

Pompeo e Ben stavano taliando un giornale <strong>di</strong> moda intima femminile quando<br />

Maruzza e Marietta ritornarono dal cesso.<br />

> <strong>di</strong>ssero i mascoli.<br />

> E li accompagnarono al cesso.<br />

Ma invece <strong>di</strong> tornare in<strong>di</strong>etro restarono <strong>di</strong>etro la porta ed entrarono dentro appena<br />

sentirono il rumore della piscia che veniva giù. I ragazzi stavano pisciando, pipì<br />

contro pipì. Pompeo continuò a pisciare tranquillo, Ben si coprì l’aceddu e si pisciò le<br />

mani.<br />

> <strong>di</strong>sse Pompeo ridendo.<br />

><br />

><br />

<strong>di</strong>sse Pompeo.<br />

> <strong>di</strong>ssero le ragazze.<br />

> rispose<br />

Ben.<br />

> aggiunse Pompeo.<br />

> <strong>di</strong>ssero le ragazze.


sussurrò Ben.<br />

> proposero in coro Maruzza e Marietta.<br />

> sparò Ben.<br />

> <strong>di</strong>sse Pompeo.<br />

Le ragazze misero il muso.<br />

> <strong>di</strong>sse il<br />

romano.<br />

Pompeo attaccò. E coinvolse Ben, che accettò suo malgrado.<br />

> <strong>di</strong>cevano le gemelle.<br />

Ma loro si fermarono alle mutande. E non certamente per vergogna.<br />

> chiese tanto per chiedere Pompeo che sapeva della<br />

sessuofobia della madre come anche della sessuofilia delle figlie. Sessuofilia<br />

ideologica naturalmente. Le ragazze accettarono ed eseguirono mentre i maschi,<br />

sdraiati sul <strong>di</strong>vano, taliavano. Taliavano e si tenevano le mani sul pacco. Le ragazze<br />

tolsero tutto e loro taliarono tutto. Erano belle.<br />

> <strong>di</strong>sse Ben all’amico.<br />

> rispose il romano. Che per spezzare la tensione<br />

<strong>di</strong>sse:<br />

><br />

E intanto per taliare le belle fregnette si affacciarono pure le loro coppole dello zio<br />

Vincenzo. Erano, i loro uccelli, interessati assai assai a quella vista.<br />

> proposero i maschi, che però speravano in una sega.<br />

><br />

> <strong>di</strong>ssero Ben e Pompeo che ripresero sperare in una sega.<br />

E si alzarono per togliersi le mutande. Invece le due ragazze li acchiapparono e li<br />

buttarono sul lettino. In un attimo li smutandarono. Loro pensarono a un gioco. La<br />

sega si stava concretizzando. E pertanto lasciarono fare. Prima alle mani e poi alle<br />

bocche. Le ragazze erano esperte. Ma non conclusero li travagghi in questo modo. La<br />

minchia, per fare le cose giuste, deve finire nel cunno. Pertanto Maruzza acchianau<br />

addosso a Pompeo e Marietta supra a Ben.<br />

> <strong>di</strong>ssero i<br />

ragazzi.<br />

Ma quelle si erano già impalate. Le minchie dei ragazzi erano scivolate dentro in un<br />

amen, senza ostacoli <strong>di</strong> sorta e barriere. E pensare che tutti le consideravano vergini.<br />

> pensò Pompeo. La stessa cosa pensò Ben.<br />

Alla fine si rivestirono. E le femmine <strong>di</strong>edero loro il benservito con la sorpresa.<br />

> <strong>di</strong>ssero in coro.<br />

> chiese Ben.<br />

><br />

> <strong>di</strong>sse Ben per niente incazzato.


aggiunse<br />

Pompeo.<br />

><br />

> <strong>di</strong>sse incazzatissimo Ben.<br />

> <strong>di</strong>sse il romano.<br />

> <strong>di</strong>ssero quasi isteriche le gemelle.<br />

> <strong>di</strong>sse<br />

incazzatissimo Pompeo.<br />

> aggiunse Ben.<br />

A questo punto le ragazze scoppiarono a piangere. E raccontarono la cosa. Due<br />

gemelli della vicina Buccheri le avevano messe incinte. Erano i fratelli Memè e Mimì<br />

Cazzicchiò. Due ragazzi che frequentavano la ragioneria. A forza <strong>di</strong> parole le<br />

avevano fatte crollare.<br />

> <strong>di</strong>sse<br />

Pompeo.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

> chiese Pompeo.<br />

><br />

> <strong>di</strong>sse Ben.<br />

> <strong>di</strong>ssero le gemelle.<br />

> <strong>di</strong>ssero i ragazzi a cui le gemelle facevano<br />

pena.<br />

> <strong>di</strong>ssero le<br />

gemelle Maruzza e Marietta Cacapitrud<strong>di</strong>.<br />

> chiese ironico Pompeo.<br />

> <strong>di</strong>ssero le caruse.<br />

><br />

chiese Pompeo.


> <strong>di</strong>ssero i ragazzi.<br />

><br />

> E allungarono le mani sul culo della ragazze.<br />

><br />

> chiese il romano.<br />

><br />

><br />

><br />

propose Ben.<br />

> propose Pompeo.<br />

Le ragazze si talianu un attimo tra <strong>di</strong> loro.<br />

> <strong>di</strong>ssero le caruse come se si stavano sottoponendo a un<br />

supplizio.<br />

Ben e Pompeo non si fecero pregare. E poi, ci pareva una giusta ricompensa. Se la<br />

minchia in fica era stata una scelta delle caruse, la minchia in culo era una loro<br />

scelta. Tutto accadde con piacere anche se la trasuta fu nu tanticchia complicata.<br />

Perché non trasiu solo la coppola o solo mezza cicia. Trasiu la minchia tutta.<br />

>commentò poi Pompeo.<br />

> aggiunse Ben.<br />

><br />

><br />

><br />

Finito che ebbero si fecero uno spinello. I ragazzi. Le ragazze si arrifiutano. Ma poi,<br />

alla fine sucanu magari id<strong>di</strong>. Prima la canna <strong>di</strong> erba e poi la canna <strong>di</strong> carni.<br />

> <strong>di</strong>sse Pompeo una volta fuori.<br />

Le sorelle Tonina e Ninetta Minabrigghiu avevano adocchiato un bel ragazzo.<br />

Ragazzo per modo <strong>di</strong> <strong>di</strong>re. visto che era trentino. Il ragazzo era l’ingegnere Nicola<br />

Cannolo s’era fatto fare un vestito su misura da loro. Il vestito l’avevano cucito loro<br />

personalmente. E loro avevano seguito tutte le procedure. Dalla pigliata delle misure<br />

alle prove , dalle prove alla consegna. L’ingegnere Nicola era un ragazzo buono e un<br />

buon partito e godeva fama <strong>di</strong> essere scicchigno. Quannu era arrivato nel loro atelier<br />

le ragazze si erano precipitate. Ingegnere <strong>di</strong> qua e ingegnere <strong>di</strong> là.<br />

E insieme ci avevano preso le misure. Le spalle. Il petto. Il giro vita. I fianchi. E in<br />

particolare quella del cavallo. Che non corrispondeva mai. L’avevano dovuta<br />

riprendere più e più volte sia Tonina che Ninetta. E la misura non coincideva mai.<br />

Colpa <strong>di</strong> quella cosa che si muoveva dentro le mutande dell’ingegnere. Forse anche<br />

lei , trattandosi <strong>di</strong> minchia <strong>di</strong> un ingegnere, voleva partecipare ai calcoli.<br />

La <strong>prima</strong> misurazione del cavallo l’aveva fatta Tonina. La mano ci trimau quando<br />

toccò il punto dove la gamba destra incontra quella sinistra. Li ci stava un ospite che<br />

tinia la testa troppo grossa. E ci stavano pure due palle che erano gran<strong>di</strong> e grosse più


del normale. Questo pensò Tonina , anche se a <strong>di</strong>re il vero lei non sapeva cosa fosse<br />

normale e cosa no. Ma le voci popolari erano le voci.. e le voci hanno sempre un<br />

sottofondo <strong>di</strong> verità.<br />

Se girava voce che l’ingegnere era scicchignu.. vuol <strong>di</strong>re che era scicchignu. La<br />

stessa sensazione ebbe Ninetta. Nicola invece stava soffrendo un po’. Quelle mani<br />

sempre nei pressi del cavallo lo avevano allupato. Quelle teste delle picciotte sempre<br />

vicine alla cittera ci faceva pensare cose oscene. Pinsau ad<strong>di</strong>rittura a dei pantaloni col<br />

portaminchia. La stessa cosa pinsarono le sorelle Ninetta e Tonina.<br />

> Le sorelle andavano oltre col pensiero.<br />

> si chiesero.<br />

Alla <strong>prima</strong> prova, <strong>di</strong>etro il séparé necessario a spogliarsi e vestirsi, misero uno<br />

specchio posizionato ad hoc. In modo da taliare lo spogliarello dell’ingegnere. Se<br />

invece lui preferiva il camerino, ci stavano dei purtusa da dove guardare. Li avevano<br />

fatti dei cuginetti mascoli per taliare le signore durante le prove e fare la classifica<br />

delle minne più grosse.<br />

Alla <strong>prima</strong> prova l’ingegnere si piazzò <strong>di</strong>etro il séparé e loro si taliarono la scena.<br />

Nicola si tolse i pantaloni e <strong>prima</strong> <strong>di</strong> uscire cu li causi incimati, si sistemò il pacco.<br />

Che era veramente grosso.<br />

Ninetta e Tonina videro che cadevano a puntino. Li avevano tagliati con cura e<br />

incimati con amore. Specie nella zona che a loro interessava <strong>di</strong> piu. Non c’era<br />

cerniera però e neanche bottoni. Per vedere l’esatta caduta del nuovo pantalone<br />

Tonina ci mise due spille. Stando attenta a non pungere la minchia del professionista.<br />

Ma per piazzare le spille dovette infilare una mano dentro. E per causa <strong>di</strong> forza<br />

maggiore sentì la coppola della minchia del professionista che bussava alla sua mano.<br />

Ninetta gelosa volle piazzare la seconda spilla. La minchia dell’ingegnere bussò pure<br />

alla sua mano. Quando Nicola si tolse il modello, <strong>di</strong>etro il séparé, aveva veramente un<br />

pacco esplosivo. Alla seconda prova, siccome si era sentito taliato, l’ingegnere scelse<br />

il camerino. Si tolse i pantaloni e indossò il modello. Non c’erano ancora nè bottoni<br />

nè altro. Cadeva bene il pantalone, secondo lui. Tonina mise la <strong>prima</strong> spilla, Ninetta<br />

la seconda, ma per sbaglio pungiu l’aceddu.<br />

> <strong>di</strong>sse Nicola.<br />

> chiesero le sorelle preoccupate.<br />

> <strong>di</strong>sse ridendo Nicola.<br />

> <strong>di</strong>ssero<br />

le sartine minchiofile.<br />

> chiese il professionista che ci stava pigliando gusto a quel<br />

gioco.<br />

><br />

><br />

>


chiese l’uomo.<br />

><br />

L’uomo tornò in camerino e le ragazze si piazzarono <strong>di</strong>etro li purtusa. Lui si tolse il<br />

modello. Poi si taliò lo slippi. C’era una macchiolina rossa. Le ragazze si alliccavano<br />

il musso. Nicola volle vedere cosa era successo. E si calò le mutande.<br />

> <strong>di</strong>sse a sé stesso.<br />

Le sartine taliavano a occhi spalancati quella minchia che era un capolavoro <strong>di</strong><br />

madre natura. Nicola si accorse allora <strong>di</strong> essere taliato e con occhio da ingegnere<br />

in<strong>di</strong>viduò subito i buchi nella parete. E si esibì per loro. Con la scusa <strong>di</strong> vedere il<br />

purtusiddu fatto dallo spillo ci stricau l’aceddu vicino agli occhietti. E il pensiero<br />

mise lo strumento sull’attenti. Se non era per quella maledetta parete ci l’avissi<br />

stricato facci facci. Per un attimo pensò <strong>di</strong> minarsela. Ma rinunciò all’idea. Si rivesti<br />

ed uscì. Loro s’erano taliati tutto. E chiesero curiose.<br />

><br />

> rispose Nicola. E andò via .<br />

Quella notte Ninetta e Tonina non riuscirono a dormire. L’idea della minchia, la<br />

visione del cazzo dell’ingegnere le ossessionò per tutta la notte. Solo alle prime luci<br />

dell’alba, dopo allisciamenti a non finire, si addormentarono. Ma il poco sonno fu<br />

inquieto. Il fantasma della minchia <strong>di</strong> Nicola fu il protagonista dei loro sogni.<br />

All’ultima prova Nicola decise <strong>di</strong> provocare. E intanto che era nel camerino, in<br />

mutande, fece la finta <strong>di</strong> svenire. Le ragazze lo soccorsero e lo misero sul tappeto. Poi<br />

contemplarono il pacco. Taliavano il pacco e si taliavano tra loro. Quin<strong>di</strong>, come per<br />

un tacito accordo <strong>di</strong>scusso a forza <strong>di</strong> taliate, calarono lo slippi all’ingegnere. E si<br />

taliarono il giocattolo che a loro mancava, quello che poteva farle <strong>di</strong>ventare femmine<br />

praticanti e non solo <strong>di</strong> forma. Ninetta osò parlare per <strong>prima</strong>.<br />

> E lu tuccau.<br />

Pure Tonina allungò la mano. E la minchia iniziò a crescere.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

> <strong>di</strong>sse Ninetta toccando la cappella ><br />

><br />

Intanto la minchia, che <strong>prima</strong> pendeva verso i pie<strong>di</strong>, adesso riposava sulla pancia e<br />

arrivava sopra il bid<strong>di</strong>co. Presero il metro. Venticinque centimetri. Nicola continuava<br />

a fingere. Fu allora che le sartine attaccarono a minare. Poi Ninetta <strong>di</strong>sse.<br />

><br />

><br />

Ma Ninetta non intese ragione e alliccò la cappella.<br />

> esclamò Ninetta.


<strong>di</strong>sse la sorella.<br />

><br />

Allora pure Tonina alliccò. Poi Ninetta osò <strong>di</strong> più. Si l’ammuccau. E Tonina la imitò.<br />

Nicola faceva finta <strong>di</strong> essere ancora privo <strong>di</strong> sensi. Ma sentiva che stava per venire.<br />

Loro non smettevano. Una alliccava a destra e l’altra a sinistra. E lui venne verso<br />

l’alto. E la simenta, per la forza <strong>di</strong> gravità, ricadde sulle facce delle caruse, che si<br />

scantarono.<br />

> <strong>di</strong>sse una.<br />

> aggiunse l’altra.<br />

><br />

><br />

><br />

Alliccarunu insieme e siccome il sapore ci piaciu, lo pulirono tutto con la lingua.<br />

Neanche una goccia <strong>di</strong> simenta andò persa. Quella era la panna del cannolo<br />

dell’ingegnere Cannolo. Poi lo rivestirono <strong>di</strong> mutande e pantaloni e aspettarono il<br />

risveglio. Nicola fece passare ancora <strong>di</strong>eci minuti e poi iniziò ad aprire gli occhi e a<br />

fare la sceneggiata.<br />

><br />

Ninetta e Tonina non parlavano. Non sapevano che <strong>di</strong>re. Poi lui le riconobbe.<br />

><br />

><br />

><br />

E si alzò. Pareva che non fosse successo niente. Invece era successo tanto, ma non ne<br />

potevano parlare.<br />

La notte successiva nessuno dormì. Nicola Cannolo aveva problemi <strong>di</strong> cannolo. Ma a<br />

un certo punto si alzò e fece quello che faceva sempre in questi casi. Andò con due<br />

buttane contemporaneamente.<br />

Ninetta e Tonina si allisciarono a lungo ma non ottennero nessuna sod<strong>di</strong>sfazione. Il<br />

cannolo era il cannolo. Non potevano certo uscire <strong>di</strong> notte per accattare una guantiera<br />

<strong>di</strong> cannoli. Alla fine si alliccanu e arrussicanu due chili <strong>di</strong> banane. Poi ebbero la mala<br />

nottata. Per il mal <strong>di</strong> pancia.<br />

Il venerdì mattina , il venerdì santo, era prevista la consegna, e consegna ci fu. Poi<br />

l’ingegnere pagò il conto e l’invitò per la sera successiva a mangiare fuori. Ninetta e<br />

Tonina accettarono. Tutti avevano in testa il caso Bisticchiò. Lui pensava ad avere<br />

due amanti. Loro ad essere l’una una moglie ufficiale e l’altra una moglie ufficiosa.<br />

Ben e Pompeo, il venerdì mattina, scrissero una bella e seria lettera anonima ai<br />

genitori <strong>di</strong> Memè e Mimì. Poche parole non tanto stu<strong>di</strong>ate. Quasi una comunicazione<br />

d‘ufficio. Tanto per fare sapere ai genitori quello che i loro amatissimi figghitti<br />

avevano combinato a <strong>Monacazzo</strong>, ficcannu senza tante precauzioni l’aceddu <strong>di</strong>ntra un<br />

pacchio.


“ Gentilissimo Signori Cazzicchiò, vi informiamo che i vostri figli hanno messo<br />

incinte due sorelle <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>. Le gemelle Cacapitrud<strong>di</strong>. Pertanto, o si provvede al<br />

matrimonio riparatore oppure preparate pure due casse da morto per i vostri figli e<br />

abiti neri per voi. Un amico degli amici delle due sorelle. Ma anche vostro amico. Se<br />

fate le cose giuste. Altrimenti sarò nemico vostro per sempre, e mortale per giunta.<br />

Congratulazione e figli maschi . Oppure condoglianze. Fate voi. L’omminu <strong>di</strong> la<br />

pace.”<br />

Pompeo invece, durante la notte insonne, sulla vicenda scrisse un bel sonetto. Anzi ,<br />

tre, in sequenza. Titolo “ ER FATTACCIO SESSUALE”<br />

Io tengo un ber pennolo bello bello,<br />

n'saccoccia a du palle pe' compagnia,<br />

mo' propongo de fa co te Maria,<br />

un certo - mo' te spiego - giucarello.<br />

Tu devi accarezzare mi fratello.<br />

E lui per via della tua gran magia<br />

farà un miracolo tipo messia:<br />

alzerà la testa e metterà cappello.<br />

Se tu l'accarezzerai con amore,<br />

lui ,dall'occhio ch'ha, te darà n'occhiata,<br />

como a <strong>di</strong>rti " Cocca bella ch'onore".<br />

Poi de corpo farà n'improvvisata,<br />

pe' <strong>di</strong> " mo' te farei n'inciciata",<br />

dannote n'faccia na gran sputazzata.<br />

Fija mia, t'è piaciuto ieri er sollazzo:<br />

sappi che du palle so li cojoni<br />

e producheno li gran sputazzoni<br />

mentre er pennolone se chiama cazzo.<br />

Fija mia bella, nun è p'esse pazzo<br />

se mo' propongo certe situazioni<br />

<strong>di</strong> cui te do pure le spiegazioni.<br />

Ch'io in ste cose so er primo der mazzo.<br />

Fija , tu n'mezzo e cosce tiè un casotto,<br />

che fra l'antro e ancora bell'e murato,<br />

capace e contenè sto sarsicciotto.<br />

Mo' fija bella, se t'arzi la vesta,<br />

io co sto cazzo già bell'e arrapato,<br />

in un attimo te faccio la festa.<br />

Cazzo! Dunque a sto gioco nun sei nova.<br />

Visto ch'io de corpo so tutt'entrato<br />

e l'ostacolo mica l'ho trovato.<br />

Chissà quante vorte hai fatto sta prova.


Evviva a mangia salame cull'ova!<br />

Fija mia, sei n'ottima attrice, hai recitato<br />

così benone che ce so cascato.<br />

Brava, brava, chi cerca, se sa , trova.<br />

Che <strong>di</strong>re, sei na bona puttanella,<br />

in cerca de no straccio de marito,<br />

così fai la parte de la verginella.<br />

Cu me però sbaj, io nun so cojone.<br />

Se voi, er fatto po' durà, sia chiarito,<br />

come puttana però , moje none.<br />

Se pensate alla rivoluzione, sognate la rivoluzione, andate a letto<br />

con la rivoluzione per trent’anni: verrà il giorno che la rivoluzione<br />

la farete.<br />

N. Lenin


SEI : A MONACA<br />

Non girino la testa con leggerezza, ma lo facciano con gravità quando è<br />

necessario; la tengano un poco inclinata, senza piegarla né da un lato né<br />

dall’altro. Di solito abbiano gli occhi bassi. Quando parlano non osservino<br />

fissamente i loro interlocutori.<br />

Antiche <strong>di</strong>sposizioni per le Suore <strong>di</strong> Nazareth<br />

Quannu manca lu stigghiolu va bene pure nu citrolu….<br />

Il venerdì santo, durante la processione dei “santi addolorati “ <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>, una<br />

monaca dell’or<strong>di</strong>ne delle Phallofiline Poppanti scappò con un vigile urbano, tale<br />

Michele Sciccazzo, che era cognato dell’avvocato Cicidda. Da parte sua suor<br />

Giggetta delle Sette Pene lasciò la processione con la scusa <strong>di</strong> un mal <strong>di</strong> pancia e salì,<br />

vista da qualche occhio pettegolo assai e altrettanto assai curtigghiaro, sulla<br />

cinquecento del suo vecchio moroso. Scapparono in una casetta <strong>di</strong> campagna e lì<br />

consumarono il loro amore. Suor Giggetta in fondo era stata solo una vittima del<br />

sistema.<br />

Siccome da carusa <strong>di</strong>mostrava assai assai pre<strong>di</strong>sposizione orale verso l’altro sesso, e<br />

non certo nel modo reso qualche tempo fa celebre da Clinton, ma semplicemente<br />

chiacchierando e annacandosi più del normale quando c’erano dei carusi maschi.<br />

Parlare e mettersi in mostra , solo questo faceva Itria Alliccacannili, la futura suor<br />

Giggetta. Poi, crescendo, la ragazza, che era sempre in calore o quasi, per un<br />

semplice fatto ormonale, si parrava sempri chiù ammucciuni e sempre chiù stritta con<br />

Michele. Un caruso più grande che faceva Sciccazzo <strong>di</strong> cognome e godeva già fama<br />

<strong>di</strong> essere sciccazzo anche nelle parti interessate. E siccome una volta a Itria la<br />

attruvanu che arriminava dentro li causi del suo morosetto, <strong>prima</strong> che la minchiata<br />

succirissi e lu papa trasissi a Roma, era doveroso pigliare provve<strong>di</strong>menti. E su<br />

consiglio <strong>di</strong> un parente parrino, che però era un grande buttaniere, la carusa fu chiusa<br />

<strong>di</strong>ntra il famigerato carcere – convento - collegio delle Maddalenazze. Qui le ragazze<br />

venivano sfruttate alla sanfasò nel nome <strong>di</strong> Dio, trattate come buttane patentate , rese<br />

sessuofobiche al mille per mille e soprattutto costrette a tormentare e mortificare la<br />

loro femminilità. Fasce castranti sul seno, capelli a zero e tuniche sporche, rognose e<br />

informi addosso. Ma soprattutto dovevano lavorare. Lavorare per la santissima gloria<br />

<strong>di</strong> Dio e per il santissimo portafoglio delle monache.<br />

Per “ presunte tendenze alla buttanità” la famiglia la chiuse in quel carcere che era la<br />

reale porta dell’inferno anche se prometteva il para<strong>di</strong>so. Era l’inferno reale che<br />

prometteva il para<strong>di</strong>so dopo la morte. In quel lager Itria soffrì assai . L’unica<br />

consolazione a Itria gli arrivava dai cetrioli.<br />

Solo una volta aveva toccato il cetriolo <strong>di</strong> carne dello zito. Ed era stata scoperta. Lei<br />

soffriva e pensava a quel giocattolo che non era riuscita neanche a vedere, ma solo a<br />

toccare. Ma l’aveva toccato a lungo e ricordava tutto. Ricordava la sua lunghezza, la<br />

sua grossezza, ricordava la sua coppola, le palle che stavano sotto. Ma ricordava pure


le sue vibrazioni, il suo calore. E ricordava anche quel liquido caldo che era venuto<br />

fuori e le aveva incilippiato le manine innocenti. Proprio allora la mamma, quella<br />

grande scassapiselli autorizzata, l’aveva scoperta in fragrante reato <strong>di</strong> “masturbatio<br />

peccaminosa” e l’aveva sgridata nel peggiore dei mo<strong>di</strong>. Michele era scappato con la<br />

cittera aperta, lei invece era corsa in casa alliccandosi le mani, per cancellare le tracce<br />

del peccato commesso. Ma la mamma, che sapeva dei giochi che fanno i mascoli e le<br />

femmine , <strong>prima</strong> <strong>di</strong> passare al gioco finale, l’acchiappò e ci ciaurau li manu.<br />

><br />

> <strong>di</strong>sse l’innocente Itria.<br />

> <strong>di</strong>sse la mamma.<br />

Seguì una <strong>di</strong>scussione in famiglia. Ovvero tra moglie e marito. La madre la sottopose<br />

anche a una visita ginecologica fatta da lei stessa. Ma non convinta <strong>di</strong> quello che<br />

vedeva, la portò da una mammana che confermò l’integrità fisica della carusa.<br />

> <strong>di</strong>sse la mammana.<br />

><br />

><br />

><br />

> <strong>di</strong>sse la mammana ><br />

Non convinta la mamma la portò da un maiaro. Tale Mago Iside.<br />

> <strong>di</strong>sse il maiaro.<br />

> chiese la madre.<br />

><br />

E tirò fuori dalla muarra <strong>di</strong> maiaro un particolare pendolino che anziché una pallina<br />

teneva una minchietta ca paria <strong>di</strong> plastica ma invece era fatta <strong>di</strong> simenta <strong>di</strong> <strong>di</strong>avolo<br />

capo impastata cu pila <strong>di</strong> cunno <strong>di</strong> strega arsa a Campo dei Fiori nel 1600. Nello<br />

stesso giorno <strong>di</strong> Giordano Bruno. Accussì sosteneva il maiaro. In realtà si trattava <strong>di</strong><br />

materiale sintetico termosensibile.<br />

> spiegò il mago.<br />

E accussì il mago fece il tentativo <strong>di</strong> esorcizzare quel <strong>di</strong>avolo che lei, poverina, sulu<br />

una volta aveva solo maniato.<br />

> <strong>di</strong>sse il mago Iside.<br />

> <strong>di</strong>sse la carusa.<br />

> addumannò la mamma.<br />


vera verità, la carusa nuda si deve mettere, tutta nuda, come nuda è la verità.>> <strong>di</strong>sse<br />

Iside serio serio.<br />

Itria si denudò tutta quanta e con una mano sul piripacchio e l’altra davanti a li minni<br />

andò dentro il cerchio magico.<br />

> <strong>di</strong>sse il maiaro.<br />

> <strong>di</strong>ssero madre e figlia.<br />

> precisò il maiaro<br />

facendo vedere la stampa in questione.<br />

La ragazza obbedì e si mise come l’uomo vitruviano. Così facendo allargò le braccia<br />

e le gambe ed espose tutte le sue cosette alla vista del maiaro. Il mago allora prese il<br />

Minchiandolo e lo mise sulla mano destra.<br />

><br />

La minchietta si riscaldò e gonfiò.<br />

> <strong>di</strong>sse il mago.<br />

> <strong>di</strong>sse la mamma.<br />

Fece lo stesso con la mano sinistra.<br />

> chiese il mago sistemando il<br />

Minchiandolo. L’aggeggio gonfiò e si riscaldò.<br />

> <strong>di</strong>sse il mago.<br />

> <strong>di</strong>sse la mamma.<br />

Poi avvicinò il Minchiandolo alla bocca.<br />

><br />

chiese il mago.<br />

La minchietta si riscaldò ma non si gonfiò.<br />

> <strong>di</strong>sse il<br />

maiaro.<br />

> <strong>di</strong>sse la mamma. Poi aggiunse: ><br />

Finalmente il mago mise il Minchiandolo davanti al cunno. Lu stigghiolu restò freddo<br />

e non gonfiò.<br />

> precisò il mago.<br />

> <strong>di</strong>sse la mamma. ><br />

> chiese il mago.<br />

><br />

> <strong>di</strong>sse il mago che si era eccitato a causa <strong>di</strong> tutto quel ben <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>o.<br />

> <strong>di</strong>sse alla ragazza.<br />

La ragazza si firriò ed espose il suo culetto giovane e fresco alla sguardo assatanato <strong>di</strong><br />

quel vecchio porco che era il mago. L’uomo sistemò il Minchiandolo sopra le<br />

chiappe.<br />

> <strong>di</strong>sse il mago. Ma non successe niente.


concluse il mago.<br />

> <strong>di</strong>sse la mamma.<br />

Poi Iside fece l’esorcismo per santificare le mani e la bocca . Alla fine <strong>di</strong>sse:<br />

><br />

Dopo tutte queste faccende e questi controlli la carusa fu ficcata in collegio.<br />

Ma Michele, che s’era fatto amico interessato del commerciante che portava la frutta<br />

e la verdura al convento, pinsò <strong>di</strong> consolare Itria con qualche palliativo. Se lui<br />

pensava alle mani <strong>di</strong> lei sul suo aceddu, la carusa sicuramente pensava a chiddu<br />

aceddu che aveva toccato. Allora prese ad inviargli un citrolo firmato. “Pi tia.<br />

Michele.” Itria lo pigliava e se lo portava nella sua stanza . Poi si lu alliccava, si lu<br />

passava tra li minni e tra li cosci e alla fine se lo mangiava. Intanto fu cumminciuta a<br />

farsi monaca. E si ci fici. Ma continuava a trafficare col citrolo che gli mandava<br />

Michele. E na vota, pigliata da un raptus erotico più forte del solito, si lu ficcau <strong>di</strong>ntra<br />

lu sticchiu. Gu<strong>di</strong>u assai assai, e poi, anche se insanguinato, si lu mangiau. Dopo<br />

quella <strong>prima</strong> volta, col citrolo <strong>di</strong> Michele, ci faceva sempre l’amore. Fino a quando<br />

qualche consorella acida e gelosa ci fici la spia. Scoperta e condannata a tre mesi <strong>di</strong><br />

celletta d’isolamento, restò senza citrola. Ma decise, in quell’isolamento totale, <strong>di</strong><br />

scappare appena possibile. Di riprendersi la libertà. Ma soprattutto la sua vita.<br />

> <strong>di</strong>sse a sé stessa.<br />

E la sera del venerdì santo scappò. Passando dal cetriolo vegetale al cetriolo <strong>di</strong> carne.<br />

Da una sessualità vegetariana a una carnivora. Ma soprattutto dal carcere alla libertà.<br />

Quella sera al corso l’ingegnere Nicola osservò a lungo la gente che passeggiava.<br />

Taliò assai le tre sorelle Stoccacitrolo con il loro uomo comune, il dottore<br />

Minchiatrina. E gli sembrò <strong>di</strong> capire che il me<strong>di</strong>co fosse stanco, stanco <strong>di</strong> corpo e <strong>di</strong><br />

testa. E sicuramente stanco <strong>di</strong> minchia. Anche se felice. E capi che tre femmine erano<br />

assai. Taliò il professore Bisticchiò e gli parve <strong>di</strong> vederlo tranquillo. Una annacata a<br />

destra e una a sinistra. Procedeva a testa alta con allato la moglie da una parte e la<br />

cognata dall’altra. Ci parse la cosa ideale. Uno e due. Uno e due. Dava l’idea <strong>di</strong><br />

marciare. Una e due. Una ficcata con la moglie e una con la cognata. Tanto per non<br />

cucinare l’aceddu sempre dentro lo stesso pentolino.<br />

Lui aveva in testa le sorelle Minabrigghiu. Se ci riusciva poteva <strong>di</strong>ventare il novello<br />

Bisticchiò. D’altra parte guadagnava bene e poteva campare due mogli come due<br />

signore. E quannu visti passari a Tonina e Ninetta con la loro mamma, si scappellò<br />

assai assai e fece un inchino che quasi quasi vasò il terreno. Le caruse si misero il<br />

petto in avanti e si annacarono il culo. La mamma si arritirau la panza e si fici<br />

abballari li minnazzi spropositati ca tinia. Si sintia già suocera dell’ingegnere<br />

Cannolo.<br />

All’ingegnere invece ci vunciau lu cannolu e corse <strong>di</strong> nuovo dalle due buttane solite.<br />

Che ci costavano parecchio. Meglio maritarsi una femmina che tinia una sorella e<br />

organizzare il triangolo in famiglia. Era più genuino e costava meno. E sicuramente<br />

dava più sod<strong>di</strong>sfazioni. Sei i due vertici femminini del triangolo erano <strong>di</strong> primo pelo,<br />

e Ninetta e Tonina lo erano, lui le poteva ammaestrare a suo piacimento e farle


<strong>di</strong>ventare strumenti <strong>di</strong> piacere. Per il piacere della sua minchia. Del cannolo<br />

dell’ingegnere Cannolo.<br />

L’indomani la madre badessa fece la denuncia e raccontò il fatto ai carabinieri. Tutto<br />

raccontò, anche la storia del citrolo.<br />

> <strong>di</strong>sse la madre<br />

badessa.<br />

> rispose<br />

Minico Mezzocazzone.<br />

Ma chissà come fu, il giorno stesso, la storia della “ monica col citrolo” fu sulla<br />

bocca <strong>di</strong> tutti. La storia del citrolo si <strong>di</strong>ffuse in un amen. E Pompeo ci scisse su un bel<br />

sonetto. Titolo “A MONACA”<br />

So suor Giggetta e er fatto sia detto:<br />

poiché nun potei avere un certo lui<br />

- me <strong>di</strong>cea sempre "li mortacci tui" -<br />

me misi sto vestito maledetto.<br />

A notte me sentivo sola a letto,<br />

sempre senza er cazzo e li cojoni sui,<br />

er tempo nun passava, fatto per cui<br />

da me m'accarezzavo <strong>prima</strong> er petto,<br />

poi le cosce, er culo e pe' finì la monna,<br />

che tra l'altro era ancora tutta sana<br />

facendomi sentire na madonna.<br />

Così na brutta sera m'enbriacai,<br />

poi pijai n'cetriolo e da gran puttana<br />

tutto quanto dentro me l'infilai.<br />

La sorte dei poveri, sempre sottomessi, sempre soggiogati e<br />

sempre oppressi, non potrà mai migliorare con mezzi<br />

pacifici.<br />

J. P. Marat


SETTE : ER MARCHETTARO<br />

Più l'uomo coltiva le arti, meno scopa. Si ha un <strong>di</strong>vorzio sempre più<br />

sensibile fra lo spirito e il bruto. Soltanto il bruto fotte bene, e<br />

fottere è il lirismo del popolo . Scopare è aspirare ad entrare in<br />

un altro, e l'artista non esce mai da se stesso.<br />

C. Baudelaire<br />

La fimmina lu poli sulu pigghiari.<br />

Lu masculu fa comu cazzu ci pari.<br />

A casa Cazzicchiò, l’arrivo della lettera anonima il sabato mattina, fece succedere il<br />

finimondo. Fece quasi quasi scoppiò la terza guerra mon<strong>di</strong>ale. Alla mamma ci pigliò<br />

il solito firticchio. Al papà la solita botta <strong>di</strong> nervoso con relativa cacaredda.<br />

> <strong>di</strong>sse la<br />

mamma <strong>prima</strong> <strong>di</strong> svenire.<br />

Al papà ci pigliò il solito attaccò <strong>di</strong> coliti spastica e fici un siccio e una sporta <strong>di</strong><br />

cacaredda fitusa.<br />

><br />

A mezzogiorno, quannu turnanu Memè e Mimì, ci fu lu secunnu attu <strong>di</strong> l’opera<br />

teatrale “Cazzicchiò sciò”.<br />

> chiese il<br />

papà.<br />

I ragazzi , che stu<strong>di</strong>avano a <strong>Monacazzo</strong>, capirono cos’era successo e confessarono<br />

subito. Avevano scopato con due sorelle, ma non sapevano <strong>di</strong> averle messe incinte.<br />

In realtà lo sapevano, ma fecero finta <strong>di</strong> non saperlo per convenienza.<br />

><br />

chiese la mamma.<br />

> risposero imbarazzati i ragazzi .<br />

> <strong>di</strong>ssero mamma e papà.<br />

> <strong>di</strong>ssero i gemelli pensando <strong>di</strong><br />

cavarsela a buon mercato.<br />

pensarono all’unisono.<br />

Ma la cosa non poteva finire là. Mammà e papà Cazzicchiò erano maneschi. Pertanto<br />

una passata <strong>di</strong> legnate ci vulia. Anche a scopo educativo. Papa acchiappò a Mimì e ci<br />

calau causi e mutanni e ci desi quattro naticati ca lu culu da iancu si fici russu. La<br />

mamma fici lu stissu cu Memè, ma raddoppiò la dose. Lu culu <strong>di</strong> Memè ad<strong>di</strong>vintau<br />

chiù russu <strong>di</strong> chiddu <strong>di</strong> Mimì. Ma intanto che la mamma e il papà natichiavano, ai


curusi, sarà stato masochismo o altro, ci attisau. La mamma si intisi la ciolla del figlio<br />

crescere tra le ginocchia e circau <strong>di</strong> stritolariccilla. Per punizione. Il papà fece lo<br />

stesso con l’altro figlio. Papà e mammà si talianu e si capenu. La punizione doveva<br />

andare oltre. Pertanto li firrianu e ci desunu quattro tumbulati na l’aceddu tisu. O<br />

forse è meglio <strong>di</strong>re quattro minchialati. E in più na bedda sputazzata na li stissi parti<br />

colpevoli. Bum.. e la minchia ia a destra.. Bam.. e la minchia ia a sinistra .<br />

> gridavano i carusi. La loro minchia abballava il ballo si san Vito. O forse<br />

il ballo <strong>di</strong> san Cazzo. Erano comunque cazzicatummulitti <strong>di</strong> lu cazzu.<br />

> <strong>di</strong>sse la mamma intanto che tumbuliava la<br />

minchia del figlio. La stessa cosa fece il padre con l’altro figlio. Poi li chiurenu in<br />

camera. Ma la cosa nun finiu lì.<br />

Alle due, il pranzo poteva aspettare, arrivò lo zio canonico, il fratello del signor<br />

Cazzicchiò. Informatosi del tutto me<strong>di</strong>tò per cinque minuti. Poi chiese <strong>di</strong> bene<strong>di</strong>re gli<br />

acid<strong>di</strong>tti dei nipoti.<br />

><br />

Li carusi si talianu na li palli <strong>di</strong> l’occhi. Non restava che obbe<strong>di</strong>re. E lo zio fece<br />

quello che doveva fare. E consigliò il matrimonio riparatore per dare un padre e una<br />

madre a quelle anime innocenti che stavano per arrivare. Erano le tre quando,<br />

me<strong>di</strong>atore lo zio canonico, genitori e figli si abbracciarono piangendo. E le tre e<br />

mezzo quando stavano festeggiando con salsiccia, vino e pure lo spumante.<br />

> <strong>di</strong>ssero la mamma, il papà e lo zio canonico.<br />

> pensarono Mimì e Memè.<br />

Che dopo pranzo corsero nella loro stanzetta, si chiusero a chiave e presero a<br />

minarsela. Per vedere se lo strumento, dopo quelle botte e la bene<strong>di</strong>zione portasfiga<br />

dello zio canonico, funzionava ancora. Funzionò. Poi telefonarono alle zite. A<br />

Marietta e Maruzza Cacapitrud<strong>di</strong>. E <strong>di</strong>ssero che era tutto a posto. Mamma e papà<br />

avevano dato il benestare al loro matrimonio. Il problema adesso era <strong>di</strong>rlo ai signori<br />

Cacapitrud<strong>di</strong>. Raccontarono anche delle tumbulate ricevuti sulla minchia.<br />

> chiesero le zite telefonicamente.<br />

><br />

> chiesero quelle gelose.<br />

><br />

><br />

><br />

E si misero d’accordo.<br />

Arrivò la sera del sabato. E Minico Mezzocazzone e Gerlando Pirlabon , che erano<br />

liberi fino a lunedì, decisero <strong>di</strong> andare in pizzeria. Alla “Napoli <strong>di</strong> Sicilia” . E<br />

mangiando e bevendo chiacchierano assai. Decisero poi, che dopo la pizza, avrebbero<br />

potuto fare un salto all’Arcazzo. Tanto per svacantarsi le olivette. E decisero anche <strong>di</strong>


andare a Pantalica, dai Figli della Kanapa, per la pasquetta. Per fare un bagno, un bel<br />

bagno liberatorio.<br />

> chiese Gerlando.<br />

> <strong>di</strong>sse il siciliano.<br />

> <strong>di</strong>sse il mona<br />

venexiano.<br />

Al tavolo accanto c’erano Iatata , Ben e Pompeo. Parravano <strong>di</strong> quello che doveva<br />

succedere dopo la pasqua. Il <strong>di</strong>lemma era tra occupazione e autogestione. Intanto<br />

decisero <strong>di</strong> andare anche loro a Pantalica, per la pasquetta naturalmente, insieme ad<br />

altri amici che avevano organizzato.<br />

> <strong>di</strong>sse Pompeo.<br />

> chiese Ben.<br />

> replicò il romano.<br />

> <strong>di</strong>sse Iatata.<br />

> <strong>di</strong>sse il romano.<br />

> rispose ridendo.<br />

><br />

> intervenne Ben.<br />

Ad un altro tavolo ancora c’era la famiglia Cazzicchiò al completo. C’era pure lo zio<br />

canonico. Domani sarebbero andati tutti insieme a casa Cacapitrud<strong>di</strong>, a chiedere la<br />

mano <strong>di</strong> Maruzza e Marietta. Ben e Pompeo ogni tanto taliavano la famiglia <strong>di</strong><br />

bucchirisi e li vedevano calmi e tranquilli. Forse la lettera non era ancora arrivata. Ma<br />

a un certo punto entrarono Maruzza e Marietta e corsero ad abbracciare i loro ziti.<br />

Abbracciarono pure i futuri suoceri e lo zio canonico, che toccò loro le panze con<br />

tanto affetto. In un momento <strong>di</strong> <strong>di</strong>strazione altrui Maruzza e Marietta taliano Ben e<br />

Pompeo e lanciarono loro uno sguardo che vulia solo <strong>di</strong>re ><br />

Risposero con uno espressione che voleva <strong>di</strong>re ><br />

Poi Maruzza, Marietta, Memè e Mimì decisero <strong>di</strong> andare a Pantalica per la pasquetta.<br />

A fare un bel bagno. Possibilmente nu<strong>di</strong>. Insieme ad altri ragazzi della scuola che<br />

avevano organizzato.<br />

Ad un altro tavolo c’erano padre Cacaceddu e padre Ciollardente. Mangiavano come<br />

maialini affamati. Costate <strong>di</strong> porco e salsiccia a iosa annaffiata da tanto buon<br />

“Minciazzone”, il vino nero locale . Poi decisero <strong>di</strong> andare, per la pasquetta, a dare<br />

una taliata ai peccatori <strong>di</strong> Pantalica. Ognuno secondo le sue intenzioni.<br />

Ad un altro tavola c’era il sindaco con la moglie, la signora Eusebia Ferretti e degli<br />

amici. Parlavano <strong>di</strong> politica e querelle complicate.


Ad un altro tavolo ancora c’erano le tre sorelle Stoccacitrolo e il loro marito comune,<br />

il dottor Minchiatrina. Il dottore somministrava il vino con classe alle sue tre signore.<br />

E nel somministrarlo paria <strong>di</strong>re “Così come vi sparto il vino, vi sparto la minchia e il<br />

latte <strong>di</strong> minchia..”<br />

Ad un altro tavolo c’erano Micio Tempio, Giorgio Baffo e dei loro amici <strong>di</strong> entrambi<br />

i sessi. Molti forestieri. Tra loro la bellissima gnocca russa Kosetta Fikaminkianova.<br />

Che quando era comparsa al corso per la <strong>prima</strong> volta aveva fatto arrapare il<br />

novantanove per cento dei mascoli <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>. Micio e Giorgio parlavano <strong>di</strong> quel<br />

mona <strong>di</strong> padre Ciollardente, che stava assittato a pochi tavola <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza.<br />

> <strong>di</strong>sse<br />

Micio.<br />

> sparò Giorgio.<br />

Micio alzò la voce un po’. Lo fece apposta. Per fare arrivare il messaggio.<br />

><br />

Padre Ciollardente si girò. Il messaggio era arrivato a destinazione.<br />

><br />

> specificò Giorgio.<br />

Decisero poi che il lunedì <strong>di</strong> pasqua sarebbero andati a fare una passeggiata a<br />

Pantalica. Anzi, se la giornata era bella, il bagno.<br />

> <strong>di</strong>sse Micio.<br />

> aggiunse Giorgio.<br />

> <strong>di</strong>sse Bona, una cara amica<br />

fiorentina.<br />

> <strong>di</strong>sse Cicì Colibrì che era notoriamente<br />

omosessuale.<br />

Ad un altro tavolo, situato in un angolo, c’erano l’ingegnere Nicola Cannolo con le<br />

signorine Tonina e Ninetta Minabrigghiu. Stavano cenando alla grande. Tutto a base<br />

<strong>di</strong> pesce. Le caruse erano estasiate. Essere a cena con l’ingegnere era una bella cosa.<br />

Si alzava il loro prestigio sociale. Intanto che cenavano arrivò il professore<br />

Bisticchiò con la moglie e la cognata. Nicola fu contento <strong>di</strong> vedere il suo modello <strong>di</strong><br />

vita. Il problema era convincere le due sorelle Ninetta e Tonina ad accettare il<br />

triangolo. Allungò un piede e ci toccau il piede a Ninetta. Fece la stesa cosa con<br />

l’altra. Le caruse risautarono. Poi lasciò cadere il tovagliolo e si chinò per prenderlo.<br />

Voleva taliare da un altro punto <strong>di</strong> vista. E vide che le sorelle, appena lui fu con la<br />

testa sotto il tavolo, allargarono entrambe le cosce per fargli vedere il colore delle<br />

mutan<strong>di</strong>ne. Bianco immacolato era e semitrasparente. Si vedevano li pila del conno.<br />

A Nicola ci attisò. E si lu tirau fora dalla cittera. Le ragazze, per istinto o altro, si<br />

calano e taliano. In contemporanea. Videro quel cannolo tiso e si taliano in faccia.<br />

> si chiesero con gli occhi.<br />

Poi, pensando al professore Bisticchiò, seduto lì vicino, si <strong>di</strong>ssero, sempre con lo<br />

sguardo, che forse era per tutt’e due.


si chiesero, sempre con gli occhi.<br />

A pizza finita Ben , Pompeo e Iatata decisero <strong>di</strong> fare una passeggiata all’Arcazzo e<br />

vedere le Buttane davanti alla porta. E videro uscire i C.C. Pirlabon e Mezzocazzone<br />

dalla porta <strong>di</strong> Checca, la buttana più famosa dell’Arcazzo. Perché poteva e sapeva<br />

accontentare anche cinque mascoli contemporaneamente. Pompeo decise <strong>di</strong> andare<br />

con Pietruccio, l’unico mascolo che si prostituiva all’Arcazzo. Ma scolo ma in abiti<br />

femminili. Senza pili e senza minni. Truccato e coi capelli lunghi. Ma con tanto <strong>di</strong><br />

ciolla <strong>di</strong>ntra le mutan<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> pizzo <strong>di</strong> san gallo. E per giunta Entrarono tutti tre e<br />

mentre Pietruccio e Pompeo fecero quello che fecero nella stanza da letto, Ben e<br />

Iatata aspettarono nel salottino in finta pelle dell’anticamera.<br />

Sentivano gemiti arrivare dalla stanzetta e si eccitarono. Incominciano allora a<br />

baciarsi, accarezzarsi, toccarsi, arriminarisi li paesi alti e quelli bassi. E siccome il<br />

pititto crisciu assai, tanto per imitare Pompeo e Pietruccio, Ben ci calau li ginsi alla<br />

zita e ci lu ficcau in culo. A cose fatte Iatata <strong>di</strong>sse:<br />

><br />

> rispose Ben ridendo.<br />

><br />

><br />

La ragazza fece il gesto <strong>di</strong> svitare l’uccello e <strong>di</strong> avvitarlo davanti alla sua fica. Poi<br />

Ben si mise a pancia in giù e lei ci accarezzau lu culo a lu zito. Quin<strong>di</strong> fici finta <strong>di</strong><br />

iniziari a ficcariccilla.<br />

> <strong>di</strong>ceva lui.<br />

> rispondeva lei.<br />

><br />

> <strong>di</strong>ceva lei.<br />

><br />

> <strong>di</strong>ceva lei.<br />

><br />

><br />

><br />

> rispondeva lei.<br />

><br />

> <strong>di</strong>ceva Iatata stando al gioco e <strong>di</strong>menandosi<br />

come una ossessa sopra il culo dello zito.<br />

Iatata sapeva simulare bene i colpi <strong>di</strong> reni dell’inculatore. E lui si adattava ai suoi<br />

colpi. Un cazzo virtuale collegava la fica <strong>di</strong> lei al culo <strong>di</strong> lui.<br />

Intanto con le mani Iatata ci stimolava il bucio del culetto allo zito. Ci l’avia<br />

lubrificato bene. Lui, tanto per accontentarla, facia segnali au<strong>di</strong>o <strong>di</strong> dolore e piacere.<br />

E quannu si stava stancannu <strong>di</strong> recitare, col buco del culo ca ci mangiava assai assai,<br />

e la minchia che era risorta e minacciava l’eruzione, Iatata ci fici la sorpresa e ci<br />

ficcau un <strong>di</strong>to lì. Di botto. Di colpo. Fu una bella sensazione.<br />

> <strong>di</strong>sse Ben venendo sul <strong>di</strong>vano.<br />

Proprio in quel momento Pietruccio e Pompeo stavano uscendo.


gridarono. E ritornarono in<strong>di</strong>etro.<br />

Iatata e Ben si sistemarono. Poi , visto che non c’erano clienti, chiacchierarono a<br />

lungo. Di sesso e <strong>di</strong> libertà sessuale. Pietruccio raccontò gli abusi subiti. Familiari<br />

<strong>prima</strong>, quin<strong>di</strong> preteschi , e poi per finire dai compagni militari e non . L’unica scelta<br />

autonoma della sua vita era stata quella <strong>di</strong> prostituirsi. Disse anche che s’era, da<br />

grande, laureato in lettere classiche con 110 e lode. Con una tesi su “ Sodomia nella<br />

letteratura e nel <strong>di</strong>ritto”. E citò Anacreonte.<br />

><br />

Poi Luciano sulla pedofilia.<br />

><br />

E infine citò una or<strong>di</strong>nanza del Consiglio dei Dieci <strong>di</strong> Venezia del 1461<br />

><br />

E ci contò che molti mascoli etero venivano da lui e ci raccontavano della frigi<strong>di</strong>tà<br />

della moglie.<br />

> <strong>di</strong>sse Ben.<br />

> aggiunse Iatata.<br />

> precisò Pietruccio.<br />

> addmannò Pompeo.<br />


Ove esista una comunità maschile, le prostitute sono inevitabili,<br />

non altrimenti delle fogne e dei depositi <strong>di</strong> immon<strong>di</strong>zia.<br />

Parent-Duchatelet<br />

Dopo cena l’ingegnere Nicola , Ninetta e Tonina si ficiro una passiata. All’aria<br />

aperta. Avevano bevuto assai. Nicola faceva finta <strong>di</strong> barcollare. Loro lo<br />

abbracciavano e facevano finta <strong>di</strong> sostenerlo. Lui , brillo per finta, toccava per<br />

davvero. Le picciotte lasciavano fare. Nicola ne approfittò. Toccava ora una minna,<br />

ora nu culu, ora na coscia. Poi chiese se sapevano guidare.<br />

> <strong>di</strong>ssero.<br />

Allora chiese se lo potevano accompagnare casa.<br />

> <strong>di</strong>ssero.<br />

Una volta a casa Nicola , sempre barcollando, <strong>di</strong>sse:<br />

><br />

Tonina e Ninetta si guardarono e decisero <strong>di</strong> dargli una mano.<br />

> <strong>di</strong>ssero a sé stesse.<br />

Lo accompagnarono al cesso e gli aprirono la patta per tirarci fuori l’uccello. Ma<br />

quello non pisciava. Nelle loro mani gonfiò, nonostante il “pissi pissi” delle due<br />

ragazze. Che vista la minzione mancata, pensarono <strong>di</strong> risistemarlo al suo posto. Ma il<br />

coso vunciato non ci stava piu dentro le mutande. Nicola da parte sua continuava a<br />

fare la sceneggiata dell’ubriaco. E in preda all’alcol poteva <strong>di</strong>re tutto.<br />

><br />

Lo portarono a letto e lo spogliarono. Nudo come un bambino.<br />

> <strong>di</strong>sse Nicola<br />

> <strong>di</strong>ssero le donne.<br />

><br />

Ninetta e Tonina si talianu e con gli occhi <strong>di</strong>scussero la questione “pompino sì o no”.<br />

Decisero per il sì.<br />

> <strong>di</strong>sse Nicola.<br />

Ninetta e Tonina si impignanu assai. Ma iddu nun vinni. Si alzò e barcollando iu a<br />

pigghiari na buttigghia <strong>di</strong> champagne francisi.<br />

> <strong>di</strong>sse barcollando sia lui che il aceddu tisu.<br />

E bevvero. Lui fici finta <strong>di</strong> essere brillo totale. Loro lo catafuttenu sul letto.<br />

Poi si consultarono con gli occhi. Era ora <strong>di</strong> approfittare dell’occasione. Per<br />

assaggiare il cannolo nel loro portacannolo. E <strong>prima</strong> Ninetta e poi Tonina si<br />

impalanu. Fu un autoinfilamento, una autoficcata, una autosverginazione, una<br />

autoscopata, una autochiavata. La minchia c’era ma il proprietario era assente.<br />

Partecipava coi movimenti del corpo ma con la testa era nella terra degli ubriachi.<br />

Nel mondo dei folli. Nicola Cannolo sapeva recitare. Bene. Molto bene. Sia col<br />

cannolo che con la testa. Perché in realtà era presentissimo sia <strong>di</strong> testa che <strong>di</strong> minchia.<br />

I suoi progetti si erano <strong>di</strong>mostrati giusti. Il pititto <strong>di</strong> quelle due femmine era tanto e<br />

tale che esse si sarebbero pigliate il primo cannolo messo a loro a <strong>di</strong>sposizione in<br />

forma anonima.


A impresa fatta decise <strong>di</strong> aprire la bocca e chiese ancora da bere. Ma lo somministrò a<br />

loro e li fece ubriacare completamente. Con calma poi, ci la mise nel culo <strong>prima</strong> a<br />

Ninetta e dopo a Tonina. Finalmente, a cose fatte, si addormentarono tutti e tre, nu<strong>di</strong>,<br />

e uno sull’altro.<br />

A casa Minabrigghiu la mamma non vide arrivare le figlie e passò la notte in attesa.<br />

Pregando assai assai. Fece una sorta <strong>di</strong> veglia pasquale per motivi personali. Voleva<br />

andare dai C.C., ma se poi , per caso, trovavano le figlie con l’ingegnere, le<br />

classificavano automaticamente come “ buttane”. La notte <strong>di</strong> pasqua poi, a<br />

<strong>Monacazzo</strong>, era una notte speciale. C’era la “veglia degli insonni ” . E tanta gente<br />

passava da una chiesa all’altra per vegliare mezzora. Accussì passava la nottata. E se<br />

c’era gente che aveva visto le sorelle Minabrigghiu entrare a casa dell’ingegnere, ci<br />

sarebbe stato qualcuno che le avrebbe viste uscire.<br />

Alle cinque del mattino Tonina e Ninetta tornarono a casa. Si erano svegliate, e senza<br />

<strong>di</strong>sturbare Nicola, si erano rivestite e si erano avviate verso casa, che tanto <strong>di</strong>stante<br />

non era. La mamma le aspettava con il manico della scopa in mano.<br />

><br />

E dava colpi <strong>di</strong> scopa a minchia cina.<br />

> <strong>di</strong>sse la mamma.<br />

><br />

><br />

><br />

Su quella serata con Pietruccio, Pompeo scrisse il sonetto “ ER MARCHETTARO”<br />

Io so Pietruccio è fo, fo, fo er puttano,<br />

però de qualità e no de strapazzo:<br />

se tu me dai er culo, mbè , io te do' er cazzo,<br />

se invece me dai er cazzo io te do' l'ano.<br />

Na vota er bucio der culo era sano,<br />

mo' pare er portone d'un gran palazzo.<br />

Io in sto lavoro so er primo der mazzo<br />

e a fine resto 'gnissempre un cristiano.<br />

So pure nu poco specializzato:<br />

so er kamasutra tutt'a memoria,<br />

per questo da tutti so ricercato.<br />

So bello, so bono , so na gloria,<br />

so detto " culo-e-cicia mozzafiato<br />

È una delle superstizioni dell’animo umano immaginare che la<br />

verginità possa essere una virtù.<br />

Voltaire


OTTO : LI MARINAI<br />

Sfuggi al piacere <strong>di</strong> veneri feconde .<br />

Voltala invece, il culo rosato godendo.<br />

Antologia Palatina, testo greco<br />

Na minchia nun fa nu masculu. E due mancu.<br />

Il giorno <strong>di</strong> Pasqua ci fu lu scontru. In piazza, cu la maronna ca calava <strong>di</strong> cursa e lu<br />

signuri ca acchianava <strong>di</strong> cursa. Addolorata infelice l’una e infelice e addolorato<br />

l’autru, ma impegnati in una ricerca continua e spasmo<strong>di</strong>ca. Lei infelice alla ricerca<br />

del figlio che sa risorto ma non trova. Lui addolorato alla ricerca della mamma che lo<br />

sa morto. E poi , tanta era la foga che ci mettevano i “spaddanuristi “, ca si passavano<br />

accanto e non si incontravano, non si riconoscevano . E pirtanto firriavano attorno<br />

alla piazza. E firriavano fino a quannu uno dei gruppi <strong>di</strong> portatori, i maronnanti da<br />

una parte o i signuruzzi dall’altra, non si stancavano. Allora costoro si fermavano e<br />

aspettavano il riconoscimento da parte dell’autro gruppo. Pertanto ogni anno c’era la<br />

curiosità <strong>di</strong> sapere se si fermavano <strong>prima</strong> i maronnanti o i signuruzzi. Era una sfida<br />

che si riproponeva <strong>di</strong> anno in anno tra due parrocchie del paese. Tutto iniziava alle<br />

<strong>di</strong>eci <strong>di</strong> mattina. Ma non si sapeva quando finiva. E quell’anno c’erano tutti. Il<br />

sindaco con la famiglia, i coniugi Cicidda, la famiglia Portusodoro, Ben con la zita,<br />

Pompeo col cugino appena arrivato e tanti altri. C’era pure Micio Tempio. A cui lo<br />

scontro piaceva particolarmente. E anche Minico Mezzocazzone e Gerlando<br />

Pirlabon. E c’erano anche l’ingegnere Nicola con Tonina e Ninetta e la vedova<br />

Minabrigghiu. E c’era soprattutto la famiglia Cazzicchiò al completo. I figli con le<br />

zite, i genitori e lo zio canonico. Avevano telefonato a casa Cacapitrud<strong>di</strong> ed erano<br />

attesi subito dopo lo scontro. Forse per un altro scontro. O forse no. Dopo lo scontro<br />

le caruse e i carusi rimasero fuori a passeggiare ancora nu tanticchia.<br />

La questione “ panza cina e matrimonio riparatore” se la dovevano vedere i gran<strong>di</strong>.<br />

Ma con lo zio canonico sarebbe andato tutto liscio. Quello era l’uomo della pace. E i<br />

coniugi Cacapitrud<strong>di</strong> erano gente <strong>di</strong> chiesa, ammuccaparticoli e basta. Non erano<br />

capace <strong>di</strong> cagare <strong>di</strong>avoli. E infatti, quannu Marietta e Maruzza, turnanu a casa con i<br />

fidanzati, attruvanu li genitori che li aspettavano a braccia aperte e piangendo<br />

lacrime <strong>di</strong> felicità. Abbracciarono pure i futuri generi. Ma non avevano capito ancora<br />

chi era il marito <strong>di</strong> Marietta e chi il marito <strong>di</strong> Maruzza. A <strong>di</strong>re il vero questo non<br />

l’avevano capito neanche i signori Cazzicchiò. E a <strong>di</strong>re il vero neanche lo zio<br />

canonico, a cui un sospetto era venuto. Infatti tra le gemelle e i gemelli c’era stato un<br />

interscambio continuo. Anche se all’inizio le coppie erano state Memè e Maruzza e<br />

Mimì e Marietta. Ma adesso , giustamente, dovevano dare una forma ufficiale alle<br />

coppie.<br />

La mattina <strong>di</strong> Pasqua arrivò da Siracusa, dove era fermo con la nave su cui prestava<br />

servizio, il marinaio Checco Leccafregna, cugino per parte <strong>di</strong> madre <strong>di</strong> Pompeo.


Aveva tre giorni <strong>di</strong> libertà e decise <strong>di</strong> passarle col cugino e la sua famiglia. Il giovane,<br />

bello come un Adone, possente come un maciste, dolce come una verginella, era<br />

leggermente più grande <strong>di</strong> Pompeo e arrivò a <strong>Monacazzo</strong> nella sua can<strong>di</strong>da uniforme<br />

<strong>di</strong> marinaio. Era lui che aveva svezzato il cugino Pompeo sessualmente. Già nel<br />

pomeriggio, dopo la <strong>di</strong>gestione, si fece una bella doccia. E sotto lo scroscio<br />

dell’acqua calda il cugino lo raggiunse. E fecero una bella rimpatriata, una bella<br />

bimentulamachia. Anche lui era bisessuale.. Ai Ben e Iatata, Pompeo lo presentò al<br />

solito modo.<br />

><br />

Quella sera, uscendo con Pompeo , Ben e Iatata, Checco raccontò le sue avventure in<br />

giro per il mondo. Illustrò poi le usanze sessuali <strong>di</strong> mezzo mondo. Di come era<br />

<strong>di</strong>fficile trombare in certe nazioni, mentre in altre il sesso era facile assai assai. Poi<br />

raccontò la storia <strong>di</strong> un suo amico, un marinaio <strong>di</strong> Trapani, che aveva messo incinta la<br />

sua ragazzina giocando e scherzando sulla doppia patta dei pantaloni della <strong>di</strong>visa.<br />

> <strong>di</strong>sse ridendo.<br />

> <strong>di</strong>sse Pompeo.<br />

> <strong>di</strong>sse Ben.<br />

><br />

aggiunse Iatata.<br />

Allora Checco raccontò nei particolari la storia dell’amico trapanese.<br />

> chiese Ben.<br />

> rispose Checco.<br />

> <strong>di</strong>sse Pompeo.<br />

> aggiunse Checco.<br />

Quella notte i cugini Checco e Pompeo la passarono nello stesso letto. Minchia<br />

contro minchia. Ma soprattutto fecero delle mentulastomamachie e delle<br />

culomentulamachie eccezionali.<br />

La sera <strong>di</strong> Pasqua Marietta , Maruzza e i due bucchirisi uscirono per andare alla festa<br />

popolare che si svolgeva a <strong>Monacazzo</strong>. Invece andarono nella solita casetta <strong>di</strong> un<br />

curtigghio del paese e si <strong>di</strong> <strong>di</strong>edero alla pazza gioia. Tutti e quattro nello stesso letto.<br />

Infatti il loro era un amore trasversale. Si amavano tutti e quattro. E pertanto decisero<br />

<strong>di</strong> formare le coppie ufficiali in base ai risultati <strong>di</strong> un sorteggio. Fecero i puositi e<br />

Marietta risulto essere la zita <strong>di</strong> Memè e Maruzza quella <strong>di</strong> Mimì. Ma questo era per<br />

le famiglia, per la gente, per l’occhio sociale, per il comune e il parrino. Per loro no.<br />

Marietta e Maruzza sarebbero state mogli comunitarie , e i ragazzi sarebbero stati<br />

mariti comunitari. Come <strong>prima</strong> e più <strong>di</strong> <strong>prima</strong>. Anche perché dopo sposati sarebbero<br />

andati a vivere in una bella villetta formata da due appartamenti che papà<br />

Cacapitrud<strong>di</strong> aveva costruito per le sue figlie amatissime. Due appartamenti per due<br />

coppiette, ma per loro sarebbe stata una casa unica con una famiglia <strong>di</strong> quattro<br />

persone. Due mariti e due mogli reciprocamente intercambiabili. Quella sera fecero<br />

cazzicatummuli d’amuri alla sanfasò.


E i bucchirisi chiesero l’altra verginità. Le ragazze concessero quello che non<br />

avevano più. Memè e Mimì furono contenti <strong>di</strong> aver finalmente cazzicatummuliatu la<br />

loro ciolla in culo alle ragazze.<br />

La serra <strong>di</strong> pasqua l’ex suor Giggetta fece la sua comparsa al corso in compagnia del<br />

suo Michele. E il paese intero cazzuliò e curtigghiò sulla nuova coppia. E sulla<br />

storia del citrolo. Lei elegantissima e felice se ni strafotteva degli sguar<strong>di</strong> ipocriti<br />

degli ammuccaparticoli del suo paese. Lei aveva scelto la libertà. A quei coglioni che<br />

la taliavano fissa, lei rispondeva con un sguardo duro che stava a significare .<br />

><br />

Michele da parte sua era felice e non parlava più <strong>di</strong> andare all’Arcazzo. In passato, se<br />

a lei spe<strong>di</strong>va un cetriolo autografato, lui invece andava sempre dalla stessa buttana, la<br />

faceva vestire con un costume da suora e poi se la strafottteva alla sanfasò. Era un<br />

modo reale per fare l’amore virtuale con la sua Giggetta. Per illudersi. Ma adesso<br />

erano insieme.<br />

Lei , il giorno dopo la fuga, era stata chiamata dai carabinieri. Ma non s’era<br />

presentata. Pertanto Gerlando Pirlabon , Minico Mezzocazzone e Puddu Purceddu si<br />

erano precipitati a casa <strong>di</strong> Michele.<br />

> aveva risposto l’ex monaca ><br />

> <strong>di</strong>sse il Purceddu.<br />

><br />

> rispose l’uomo che stava<br />

abbracciato stretto stretto al sua donna. ><br />

Nicola passeggiava con Tonina e Ninetta . E sotto lo sguardo <strong>di</strong> tutto il paese rideva<br />

felice, mentre le ragazze si annacavano. Una alla sua destra e una alla sua sinistra. Un<br />

colpo <strong>di</strong> culo glielo dava Ninetta e un altro Tonina. E ad ogni colpo <strong>di</strong> culo<br />

rispondeva il suo aceddu tiso. Che oscillava ora verso Tonina ora verso Ninetta. Se<br />

solo la sua minchia poteva, si affacciava e si scappellava sia per l’una che per l’altra<br />

sorella. Ma soprattutto per dare una sputazzata , <strong>di</strong> quelle che lui sapeva dare, in<br />

faccia a tutte chidda gente curiosa , curtigghiara, ammuccaparticoli e caca<strong>di</strong>avoli che<br />

taliavano il suo proprietario e padrone e quei due sticchiazzi che l’affiancavano.<br />

Quella s’era , dopo la struscio al corso, Nicola portò le sorelle Minabrigghiu a cenare.<br />

Poi le invitò a casa sua, per un brin<strong>di</strong>si. Tonina e Ninetta accettarono in un amen.<br />

Avevano assaggiato il cannolo <strong>di</strong> carne e lo rivolevano. Al più presto. Era vero che


una volta assaggiata la minchia la femmina pazziava per la stessa. Come per i<br />

mascoli, che una volta ingignato il pipì lo volevano mettere sempre lì. Più che in altri<br />

posti.<br />

><br />

<strong>di</strong>ceva donna Pippina Minchiacina.<br />

Loro lo volevano ardentemente. Una volta a casa brindarono a champagne e si<br />

annacianu alla sanfasò. E senza parole e gesti particolari si trovarono nu<strong>di</strong> sul letto. E<br />

ficcanu e controficcanu con la massima serenità mentale. Senza sceneggiate alcune.<br />

Riaccompagnandole a casa Nicola le invitò a fare la pasquetta a Pantalica.<br />

> <strong>di</strong>sse Ninetta.<br />

> rispose Nicola.<br />

> rispose Tonina.<br />

> <strong>di</strong>sse Nicola.<br />

> <strong>di</strong>ssero in<br />

coro le sorelle.<br />

><br />

> <strong>di</strong>ssero le sorelle.<br />

Mamma Filomena e la zia Ciccina taliavano dalla finestra. Videro le caruse scendere<br />

dalla macchinona dell’ingegnere e fecero un sospiro sod<strong>di</strong>sfatto. Una da suocera,<br />

l’altra da zia <strong>di</strong> professionista.<br />

> chiese la zia.<br />

> rispose la mamma.<br />

><br />

> rispose sconsolata la mamma.<br />

><br />

><br />

> chiese la zia con la faccia amminchiolita.<br />

> rispose la mamma sempre con l’espressione consolata.<br />

><br />

> <strong>di</strong>sse Ciccina.<br />

><br />

><br />

> <strong>di</strong>sse la vedova<br />

Minabrigghiu.<br />

> <strong>di</strong>sse Ciccina.<br />

> raccontò<br />

sconsolatissima la vedova Minabrigghiu.


<strong>di</strong>sse Ciccina Minabrigghiu.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

> <strong>di</strong>sse la vedova.<br />

><br />

> ri<strong>di</strong>sse la vedova.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

<strong>di</strong>sse la sorella.<br />

><br />

><br />

> <strong>di</strong>sse la vedova Minabrigghiu.<br />

><br />

> <strong>di</strong>sse la vedova.<br />

><br />

><br />

<br />

><br />

><br />

E si misero a piangere. Il defunto congiunto. E la buonanima dell’aceddu morto. Poi<br />

si ittanu nel letto e ancumincianu a fare tocca tocca. Ad un certo punto la vedova<br />

Minabrigghiu si susiu e tirau fora l’aceddu bifronte. Quello che seguì fu affar loro.<br />

Tonina e Ninetta acchiananu in casa e si aspettavano un cazziatuni. Invece non<br />

successe niente. Nella loro camera si catafuttenu sul letto e si addormentarono l’una<br />

nelle braccia dell’altra. Pensando alla minchia dell’ingegnere Nicola Cannolo.<br />

Pompeo quella notte <strong>di</strong>ede sfogo alla sua vena poetica componendo, sull’argomento<br />

“marinai” , un bel sonetto codato.


A Peppa , li marinai nei carzoni<br />

cianno du patte, tu 'o sai perché?<br />

No, nun lo sai. Mo' te lo spiego io cos'è:<br />

e ch'hanno du cazzi e quattro cojoni.<br />

Gesùmmaria che dorci sensazioni:<br />

varda che cosa mi è capitato a me.<br />

O marinaio <strong>di</strong>ce " viè, viè cumm'e,<br />

che te ne darò le <strong>di</strong>mostrazioni".<br />

Così semo iti in un ber casolare;<br />

lì , lui tira fora er primo gemello,<br />

già sull'attenti, pronto p'inciciare.<br />

Io vedenno quer grosso manganello<br />

me sentii tutta ma tutta sudare<br />

che già pregustavo quer coso bello.<br />

Io già er su' giucarello<br />

che pareva er bilisco de san Pietro<br />

mo' sognavo sia avanti che de retro.<br />

Io me sentii de vetro<br />

quanno, zum zum, lui varcò er mio portone<br />

mentr'io me scuajavo dall'emozione.<br />

Mbè, tante bell'e bone<br />

cose cor primo cazzo seppe fare,<br />

'gni tipo 'e bucio voleva otturare,<br />

ognissempre a chiavare.<br />

Dopo ecchilo tirà fora er siconno<br />

ch'era un cazzetto ciuco, corto e tonno,<br />

ch'io <strong>di</strong>ssi " Porco monno,<br />

ch'è sto cicetto tutto spaventato<br />

ch'accarezzallo n'se manco arrapato".<br />

Dice " Mbè, <strong>di</strong>osagrato,<br />

devi capillo, è geloso, è arrabbiato,<br />

voleva esse' er primo e s'è incazzato."<br />

Non s'inchinava a nessuna autorità e non accettava nessun<br />

principio senza esame.<br />

I.S. Turgenev<br />

Quando si hanno vent’anni si crede <strong>di</strong> aver risolto il mistero del<br />

mondo, a trenta ci si comincia a pensar su, a quaranta si scopre<br />

che è insolubile.<br />

A. Strindberg


NOVE : FRATE BARTOLOMEO<br />

Le vostre donne sono un campo per voi:<br />

andate quin<strong>di</strong> al vostro campo come meglio vi piacerà.<br />

Corano<br />

La ciolla al vento è segno <strong>di</strong> libertà..<br />

La pasquetta venne fuori che era quasi estate. L’ideale per tutti quelli che avevano<br />

programmato una scampagnata a Pantalica. Gli hippy erano già sul posto e alle <strong>di</strong>eci<br />

erano già tutti belli e stinnicchiati al sole. Poco dopo arrivarono Gerlando Pirlabon e<br />

Minico Mezzocannone. Vestiti sportivi non parevano manco carabinieri. Ianka e<br />

Tirka, nu<strong>di</strong> come al solito, li accolsero con gioia.<br />

> <strong>di</strong>ssero.<br />

> <strong>di</strong>sse Minico.<br />

> <strong>di</strong>sse il Pirlabon<br />

> propose Tirka. ><br />

> <strong>di</strong>sse il novello Niko.<br />

> aggiunse il novello Gerka.<br />

><br />

><br />

> <strong>di</strong>sse Ianka.<br />

> chiese Niko.<br />

> si propose Tirka. E li accompagnò nella sua tenda. Ed entrò con<br />

loro.<br />

> <strong>di</strong>sse ai ragazzi. E attese. Ma i due non si spogliavano.<br />

><br />

Alla fine Niko e Gerka si decisero. Girando le natiche a Tirka si tolsero tutto, tranne<br />

il costume . Si vergognavano perché erano eccitati.<br />

> <strong>di</strong>sse la ragazza.<br />

I due tentennavano. Stavano <strong>di</strong> culo e non si giravano.<br />

> <strong>di</strong>ssero.<br />

Tirka appena i due si girarono scoppiò a ridere.<br />

> <strong>di</strong>sse.<br />

Si alzò e toccò loro il pacco. Niko e Gerka restarono immobili, come due statue, uno<br />

accanto all’altro. Tirka abbassò loro il costume e li prese per la minchia. Li mise<br />

aceddu contro aceddu e attaccau a sucari le due minchie contemporaneamente. I<br />

ragazzi, immobili, vennero in un amen. Poi lei ci scippò i costumi e nu<strong>di</strong> se li portò<br />

in riva al fiume. Niko e Gerka, a vedere tutto quel pacchio esposto, che pareva <strong>di</strong><br />

essere al mercato dello sticchio, si stavano <strong>di</strong> nuovo eccitando. Pertanto si misero a


pancia in giù. Tirka rise. Ma li lasciò stare. Loro parlavano e taliavano: pacchio a<br />

destra e pacchio sinistra, pacchio davanti e pacchio darreri. E tante ciolle<br />

in<strong>di</strong>fferenti, non perché insensibili ma perché abituate al nu<strong>di</strong>smo.<br />

In un posticino tranquillo, prossimo al campo degli hippy, l’ingegnere Nicola, Tonina<br />

e Ninetta si erano sdraiati al sole. In costume intero loro, col microcostume lui. A<br />

mezzogiorno in punto fecero il bagno. Giocarono come bambini. Lu si tolse il<br />

costume e senza farsi vedere pigliò le sorelle per le mani. E <strong>di</strong>ede loro il regalino già<br />

bello tiso.<br />

> fecero quelle. Che per onorare il loro cognome fecero a Nicola una<br />

sega acquatica perfetta.<br />

Proprio intanto che l’ingegnere pisciava la sua simenta nel fiume, passarono i C.C.<br />

Pirlabon e Mezzocazzone che venivano tirati per l’uccello da un pezzo <strong>di</strong> sticchio da<br />

novanta.<br />

> <strong>di</strong>ssero i C.C. rivolgendosi a Nicola e alle sue<br />

accompagnatrici.<br />

> rispose Nicola.<br />

> <strong>di</strong>ssero Ninetta e Tonina.<br />

> <strong>di</strong>sse l’ingegnere. ><br />

> <strong>di</strong>ssero le caruse ridendo.<br />

><br />

> spararono le ragazze.<br />

> <strong>di</strong>sse Nicola Cannolo.<br />

><br />

Nicola le abbracciò e le convinse a levarsi il costume. Loro accettarono.<br />

Erano le un<strong>di</strong>ci quannu arrivanu Ben, Iatata, Pompeo, Checco e altri amici. Si<br />

piazzarono poco <strong>di</strong>stanti dagli hippy. Si misero in costume e corsero subito in acqua.<br />

E si sciaquariarono assai assai. E fecero anche un gioco. Il cambio dei costumi. Tra<br />

mascoli e femmine. Nell’acqua le trasparenze erano eccitanti e alla fine se ne videro<br />

<strong>di</strong> tutti i colori. Era un gioco che portava i carusi a taliare li minni e il resto delle<br />

caruse. Mentre le ragazze puntavano a certi particolari e poi facevano calcoli <strong>di</strong><br />

cazzometria pura e applicata.<br />

Alle do<strong>di</strong>ci arrivarono Marietta, Maruzza, Mimì e Memè. E si unirono al gruppo.<br />

Adesso il gioco era <strong>di</strong>verso. I ragazzi bendati dovevano riconoscere le ragazze<br />

toccando loro il seno. Ben riconobbe la robba sua, cioè Iatata. Ma riconobbe anche<br />

Marietta e Maruzza. I bucchirisi riconobbero sia Maruzza che Marietta.<br />

Toccò poi alle ragazze riconoscere i carusi. Si doveva decidere da cosa. Il petto non<br />

andava bene. Ci stava il culo. Ma alla fine, osando, decisero per il marrugghio. Ben<br />

fu riconosciuto dalla zita, ma anche da Marietta e Maruzza. Pompeo da Iatata e dalle<br />

caruse pregne.


Era l’una quando si ricomposero per mangiare panini , coca e birra. E per farsi un po’<br />

<strong>di</strong> fumo.<br />

In un posticino tranquillo c’erano il famoso artista Nikj Sciò, sua moglie Meg e il<br />

loro figlio Alex con la zita , una certa Tuta <strong>di</strong> Roma. Con loro Nitta Santonocito, che<br />

era simenta <strong>di</strong> casa Incardasciò, e il suo compagno Vic Wilde. Tutti nu<strong>di</strong> anche loro.<br />

Aspettavano altri parenti. E infatti arrivò il sindaco Tonino Incardasciò con la bella<br />

moglie Eusebia Ferretti e il piccolo Pascal <strong>di</strong> appena quattro anni. Eusebia si tolse il<br />

costume, Tonino no . Il piccolo Pascal faceva leva e metti. Levava per fare come la<br />

mamma, metteva per essere come il padre. Tonino, col costume , si sentì troppo<br />

imbarazzato, quasi fuori luogo. E all’improvviso, nessuno ci credeva, se lo tolse.<br />

><br />

iniziarono a gridare gli altri del gruppo.<br />

> gridò il piccolo Pascal<br />

buttando all’aria il costumino.<br />

La minchia <strong>di</strong> Tonino era irrequieta e Nikj scherzò:<br />

><br />

Pascal era nell’età del perché. Quando chiese improvvisamente al padre perché i<br />

maschi avevano pipì <strong>di</strong> grandezza <strong>di</strong>versa. Colto <strong>di</strong> sorpresa il papà non rispose.<br />

Intervenne la mamma.<br />

><br />

> chiese Pascal.<br />

> <strong>di</strong>sse papà.<br />

><br />

> intervenne il<br />

papà ><br />

> rispose il bambino.<br />

Tutti scoppiarono a ridere. Poi Pascal iniziò a fare un giro per vedere chi dei maschi<br />

aveva il pipi più grande e chi l’aveva il più piccolo. Quando si stancò, perché <strong>di</strong> pipì<br />

ci ni staunu assai, torno da papà Tonino e ci comunicò i risaltati della sua personale<br />

classifica dei pipì visti in zona.<br />

><br />

Papà Tonino capì. L’ingegnere Nicola Cannolo era famoso per la sua scicchitu<strong>di</strong>ni.<br />

> <strong>di</strong>sse al padre.<br />

E si mise a stu<strong>di</strong>are cula <strong>di</strong> femmine, minne e triangoli <strong>di</strong> pilo che stavano sopra la<br />

piscialera. E capì che la cosa ci dava più piacere. Il pipì suo <strong>di</strong>ventava duro. Ma<br />

restava piccolo.<br />

Allora arrivarono Vanni Santonocito con la bella moglie Immacolata Cicoriazza. I<br />

due si smutandarono in un amen. Erano belli sia lui che lei. Immacolata era una


Venere Callipigia ( l’aveva detto Nikj e pare che volesse <strong>di</strong>re che tinia un culo<br />

bellissimo ) e lui un Ercole con tanto <strong>di</strong> mazza e <strong>di</strong> ercoloni ( anche questo l’aveva<br />

detto Nikj e pare che avesse aggiunto “ beato chi si gode quella mazza” ).<br />

Pascal corse dal papà.<br />

><br />

Alex fu turbato dalla vista della cugina Immacolata. Il suo pipì iniziò a dare segni <strong>di</strong><br />

nervosismo. Faceva piccoli scatti e gonfiava nu tanticchia. Pascal penso che Alex era<br />

“nervoso <strong>di</strong> minchia”. Alex da parte sua andò in acqua con Tuta. Poi si fece una<br />

passeggiata con la ragazza. Pascal ci andò appresso. Tanto per vedere, per curiosare.<br />

E vide Tuta che maniava il pipì tiso e duro <strong>di</strong> Alex.<br />

> <strong>di</strong>ceva Alex.<br />

Lei si abbassò e attaccau a leccare come se il pipì fosse un gelato. Poi si l’ammuccò<br />

come se fosse un cannolo. E Pascal tutto contento, e col pipì duro in mano, corse<br />

verso i due gridando:<br />

><br />

Tuta e Alex si guardarono e si capirono. E Tuta iniziò a giocare col pipì <strong>di</strong> Pascal. E<br />

ci lu vasau magari. Poi gli <strong>di</strong>sse:<br />

><br />

Pascal giurò contento <strong>di</strong> avere un segreto, <strong>di</strong> aver fatto una cosa che si fa ma non si<br />

<strong>di</strong>ce.<br />

Sullo sperone roccioso <strong>di</strong> Pantalica padre Bernar<strong>di</strong>no Cacaceddu e padre Bartolomeo<br />

Ciollardente si erano assittati su un masso e taliavano in basso. Con tanto <strong>di</strong> binocolo<br />

tedesco <strong>di</strong> ultima generazione. Padre Cacaceddu cercava mascoli, padre Ciollardente<br />

femmine. E taliavano. E tra una taliata e l’autra si ienu sucaunu na bottiglia <strong>di</strong> vino<br />

rosso <strong>di</strong> Pachino.<br />

Poco <strong>di</strong>stante c’era l’eremo dove si era spontaneamente rinchiuso padre Augustin. Il<br />

mitico confessore delle Orsoline, amico assai assai <strong>di</strong> suor Carmelina , la famosa<br />

santa botanica.<br />

Non molto <strong>di</strong>stante dai ragazzi e dagli hippy si trovavano Micio Tempio, Giorgio<br />

Baffo e dei loro amici, alcuni dei quali frustieri venuti in vacanza in Sicilia . Tra cui<br />

una cara amica <strong>di</strong> Micio, Kosetta Fikaminkianova ,una russa esponente della “ Body<br />

art”. Il gruppo faceva <strong>di</strong>scorsi colti e li inframmezzava con battute al vetriolo su tutto<br />

l’urbe e l’orbe pure. Comunque erano in costume.<br />

Micio era incazzato con padre Ciollardente e me<strong>di</strong>tava vendetta. Kosetta, che doveva<br />

passare due mesi <strong>di</strong> tempo in Sicilia, ebbe un’idea e ne parlò a lungo a Micio. Soli<br />

soletti passeggiarono e <strong>di</strong>scussero. E Micio quell’idea l’ampliò.<br />

> <strong>di</strong>sse lo scrittore.<br />

> <strong>di</strong>sse Kosetta.<br />

> <strong>di</strong>sse Micio.<br />

> rispose lei.<br />

> rispose lui.


E per festeggiare corsero in acqua… dopo aver lasciato i costumi sulla sabbia. E<br />

nell’acqua, in un posto isolato, scoparono. Ritornarono nel gruppo nu<strong>di</strong> e col costume<br />

il mano. Gli altri li imitarono passando dal costumismo al nu<strong>di</strong>smo.<br />

Non molto <strong>di</strong>stante da loro c’erano un gruppo <strong>di</strong> tedeschi che facevano nu<strong>di</strong>smo.<br />

Famiglie intere con piccirid<strong>di</strong> al seguito . Era quello un esempio felice <strong>di</strong> para<strong>di</strong>so<br />

terrestre.<br />

Piu in là ancora c’era il famoso critico Calogero Bellarmino - Gugliotta che con<br />

alcuni amici faceva il nu<strong>di</strong>sta pure lui. Con lui anche la sorelle Bona. Il critico<br />

parlava <strong>di</strong> tutto. Soprattutto <strong>di</strong> sesso. Il sesso nell’arte e nella vita. Perché per lui tutto<br />

firriava intorno al cunnus e alla mentula.<br />

Ninetta e Tonina, dopo essersi tolte il costume, restarono nude nude e per proteggersi<br />

da sguar<strong>di</strong> libi<strong>di</strong>nosi in<strong>di</strong>screti si abbracciarono strette strette all’ingegnere. Che<br />

sentiva quattro capiccia contro il suo torace villoso. Mentre le ragazze sentivano<br />

tornare a nuova vita il cannolo dell’ingegnere Cannolo. Proprio allora passarono<br />

Calogero Bellarmino - Gugliotta e altri.<br />

> <strong>di</strong>sse l’ingegnere.<br />

> rispose l’onorevole.<br />

Le caruse si strinsero ancora <strong>di</strong> più. Per non farsi vedere in faccia . Per non farsi<br />

vedere li minni. Si vedeva solo mezzo culo. Che emergeva dall’acqua.<br />

Poi uscirono dal fiume, in un momento che non passava nessuno, e si <strong>di</strong>stesero al<br />

sole. Di culo, a pancia in giù. Nicola invece si sdraiò in mezzo a loro, a pancia in su<br />

e a cosce larghe. Come per esporre alla vista <strong>di</strong> tutti il suo cannolo. Taliava con un<br />

occhio il culo <strong>di</strong> Ninetta e con l’altro il culo <strong>di</strong> Tonina. E anche la gente che passava<br />

dava una sbirciata.<br />

> pensavano i conoscenti ><br />

Dopo la mangiata gli hippy si passarono qualche canna. Fumarono anche Niko e<br />

Gerka a cui , chissà perché, l’uccello stava sempre in pie<strong>di</strong>. Dopo un po’ Tirka se li<br />

portò a fare una passeggiata. Arrivati in un posto isolato la “figlia della Kanapa”<br />

Tirka si <strong>di</strong>ede da fare per far godere e stragodere i C.C. E ci riuscì. Tanto che alla fine<br />

li ricevette alternativamente, uno nella sala davanti e uno nella sala <strong>di</strong> <strong>di</strong>etro.<br />

Questa scena fu taliata dall’inizio alla fine da padre Ciollardente e da padre<br />

Cacaceddu. Che continuavano a bere vino. Erano già nu tanticchia ubriachi, ma<br />

soprattutto erano eccitati. In preda ai loro <strong>di</strong>versi desideri sessuali. Avevano<br />

comunque riconosciuto i carabinieri Pirlabon e Mezzocazzone.<br />

> <strong>di</strong>sse padre Cacaceddu ammirando la pirla tisa del veneto.<br />

> <strong>di</strong>sse Ciollardente.


aggiunse padre Cacaceddu usando il soprannome<br />

con cui era noto il C.C. siciliano.<br />

><br />

> <strong>di</strong>sse Cacaceddu che stava<br />

taliando il marrugghio tiso del carabiniere.<br />

><br />

><br />

Intanto bevevano e ognuno taliava le cose a cui era interessato. Padre Cacaceddu<br />

cazzi e cula <strong>di</strong> mascoli, padre Ciollardente cula, pacchi e minni <strong>di</strong> fimmina. Ma poi<br />

furono piacevolmente costretti, tra na sucata <strong>di</strong> vino e n’autra , a talari la performance<br />

sessuale dei tre. E i parrini si eccitanu assai assai. Padre Ciollardente avrebbe voluto<br />

essere al posto dei carabinieri, padre Cacaceddu al posto della buttana nu<strong>di</strong>sta figlia<br />

<strong>di</strong> chid<strong>di</strong> buttani ciuri. Ma in mancanza <strong>di</strong> altro si la minano tra <strong>di</strong> loro. Sotto le<br />

tonache.<br />

Quando ripresero in mano il binocolo si imbatterono in Nicola Cannolo, Ninetta e<br />

Tonina Minabrigghiu che stavano in acqua. Le signorine Minabrigghiu ci la stavano<br />

minando all’ingegnere .<br />

> <strong>di</strong>sse padre Cacaceddu.<br />

> chiese il Ciollardente.<br />

> E tirò fuori dallo zaino un<br />

cannocchiale piccolo ma sofisticato.<br />

> <strong>di</strong>sse padre Bartolomeo Ciollardente.<br />

> rispose serio padre Cacaceddu.<br />

> replicò padre Ciollardente. Padre<br />

Cacaceddu rise e si mise al lavoro col cannocchiale.<br />

> <strong>di</strong>sse sod<strong>di</strong>sfatto.<br />

> chiese padre Ciollardente.<br />

><br />

> chiese l’autru parrino.<br />

><br />

><br />

><br />

Intanto l’uno teneva in mano la ciolla dell’altro. Sempre sotto la tonaca.<br />

Nel primo pomeriggio i ragazzi si spinellarono un po’. Poi presero a giocare al “ Vasa<br />

Vasa”. Una variante del “Tuca Tuca”. Al posto delle mani si usava la bocca per<br />

toccare il corpo del partner.. che poteva essere dello stesso sesso o del sesso opposto.<br />

Le coppie venivano sorteggiate. Ed era bello sedersi a cerchio e taliare il<br />

comportamento dei ballerini. Le zone da vasare erano la fronte, le labbra, i capezzoli


e l’area genitale. Le ragazze baciavano tutto alle compagne, ai mascoli baciavano<br />

tutto tranne l’area genitale. Anzi, si mantenevano lontane con le labbra. Non si<br />

sapeva mai. Qualche minchia particolarmente irrequieta poteva sbucare fuori e fare la<br />

sorpresa. Meglio mantenere le labbra alla <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> sicurezza, venticinque<br />

centimetri. I ragazzi, più sfrontati, vasavano con grande piacere i capezzoli e l’area<br />

genitale delle ragazze. Si imbarazzavano a vasare le labbra e l’area genitale degli<br />

altri mascoli. A parte Pompeo e Checco che vasavano tutto. Anche le probosci<strong>di</strong> che<br />

stavano incarcerate sotto i costumi. E quando il caso li accoppiò nel gioco del “Vasa<br />

vasa” il loro fu uno spettacolo. Si annacarano come buttane patentate e i marrugghi<br />

eretti ballavano dentro il microcostume bianco. I baci sulle labbra e sui capezzoli<br />

erano con lo scroscio. E quelli sull’area genitali col doppio scroscio. A un certo punto<br />

a Checco la punta dell’uccello ci sciu <strong>di</strong> fora. Tutti taliavano quella coppola che<br />

pareva <strong>di</strong>re “ Ciao .. ciao..” , ma lui non ci faceva caso o forse non se n’era manco<br />

accorto. Solo che Pompeo , quando fu il momento, ci desi il bacio non sul costume,<br />

ma <strong>di</strong>rettamente sulla coppola. Tutti risero, ma Checco non ci fece manco caso.<br />

Anzi, ci lu tirau fora al cugino e ci ricambiò il bacio sulla coppola. Altre risa ; ma lui<br />

oramai era partito. E si fece il girò del cerchio vasando la coppola a tutti i maschi e le<br />

minne a tutte le femmine. Sempre con la sua coppola dello zio Vincenzo <strong>di</strong> fuori.<br />

> chiamò proprio allora qualcuno da lontano, dalle parte<br />

degli hippy.<br />

E s’avvicinò un gruppo <strong>di</strong> ragazzi nu<strong>di</strong>. Erano romani de Roma, amici <strong>di</strong> Checco.<br />

Tali Patrizia , Clau<strong>di</strong>o , Adriano e Massimo. Ma si presentarono come Paki , Kal ,<br />

Akri e Mak. Per un po’ parlarono. Poi gli hippy <strong>di</strong>ssero <strong>di</strong> aver visto uno con una<br />

minchia scicchigna pazzesca.<br />

> <strong>di</strong>sse Paki.<br />

> aggiunse Mak.<br />

> chiese Pompeo.<br />

><br />

rispose Mak.<br />

> <strong>di</strong>sse Pompeo che si<br />

ricordava <strong>di</strong> avergli suonato una sinfonia intera nel suo culetto bello.<br />

> chiese Checco.<br />

><br />

Ci furono poi presentazioni a iosa e quin<strong>di</strong> decisero tutti <strong>di</strong> spostarsi dalla parte degli<br />

hippy. Su invito <strong>di</strong> Paki & company. Ma <strong>prima</strong> furono convinti a lasciare i costumi.<br />

Quasi tutti lo fecero. Ma intanto che si spostavano Checco chiese a Paki:<br />

><br />

> E in<strong>di</strong>cò un uomo sdraiato con allato due culi a cui mancava solo al parola.<br />

> <strong>di</strong>sse Checco.<br />

> <strong>di</strong>sse Pompeo. ><br />

> <strong>di</strong>sse Ben.<br />

> <strong>di</strong>sse il romano Kal.


Allora i ragazzi decisero <strong>di</strong> fare una sorpresa al loro professore. Si avvicinarono<br />

piano piano e quando furono a pochi metri gridarono.<br />

><br />

Nicola risautò. Era con gli occhi chiusi e sognava fiche gemelle o sorelle<br />

> <strong>di</strong>sse imperturbabile Nicola coprendosi, come per caso,<br />

l’aceddu con le mani.<br />

> <strong>di</strong>ssero i ragazzi.<br />

> risposero quelle girando solo la testa e taliando quella marea <strong>di</strong><br />

cazzi giovani che pinnuliava tranquilla.<br />

Nicola aveva insegnato al geometra, come docente supplente, per tre mesi. E parte <strong>di</strong><br />

quei ragazzi li conosceva bene. Ma conosceva anche tanti della ragioneria e del liceo.<br />

<strong>Monacazzo</strong>, in fondo in fondo, era piccola. Prima <strong>di</strong> andare via Nicola ,Tonina e<br />

Ninetta furono invitati a raggiungere gli hippy.<br />

> <strong>di</strong>sse Nicola.<br />

> <strong>di</strong>ssero le due sorelle.<br />

Tutti scoppiarono a ridere., il verbo “venire” declinato con innocenza era poi stata<br />

interpretato da tutti con malizia.<br />

La comunità dei figli della Kanapa era in allegria, in totale euforia. Le canne<br />

continuarono a firriari. Forse firriò anche qualche altra cosa. Arrivò Nicola col suo<br />

batacchio e le sue due gnocche. Fumanu anche loro. Nell’euforia generale finenu tutti<br />

in acqua. Anche gli studenti che erano rimasti col costume a un certo punto se lo<br />

tolsero . Poi si formarono tante coppiette. Ma anche triangoli , quadrilateri e<br />

pentagoni. La formazione più complessa fu un esagono. Ben e Iatata fecero una<br />

coppia. I C.C. e Tirka un triangolo. Un altro triangolo lo formarono Nicola , Tonina e<br />

Ninetta. Maruzza, Marietta, Memè e Mimì fecero un quadrilatero. Parecchi furono i<br />

pentagoni. Ma solo uno l’esagono: Pompeo, Checco, Paki, Kal, Akri e Mak. Patrizia<br />

li accontentò tutti e cinque contemporaneamente e a rotazione. Due con le mani, uno<br />

con la bocca, uno con la fregna e l’altro col culo. Furono cazzicatummuli sessuali a<br />

trecentosessanta gra<strong>di</strong>.<br />

I parrini continuavano a taliare. Sotto l’effetto del vino s’erano spogliati <strong>di</strong> tutto. E<br />

taliavano. C’era solo l’imbarazzo della scelta in quella valle piena <strong>di</strong> pacchio e <strong>di</strong><br />

cazzo. Una valle del piacere e del peccato era. Novella Sodoma e Gomorra. Pertanto<br />

si eccitanu troppo . E a causa dell’effetto del vino iniziarono a spogliarsi. E taliannu<br />

taliannu si la riminaunu. Poi, visto che uno amava pigliare l’aceddu dei mascoli e<br />

l’altro darlo alle femmine in tutti li purtusa <strong>di</strong>sponibili, visto e considerato che le<br />

con<strong>di</strong>zioni generali erano quelle che erano, la ciollardente <strong>di</strong> padre Bartolomeo finì<br />

dentro il bucio del culu <strong>di</strong> padre Cacaceddu.<br />

A cose finiti, sod<strong>di</strong>sfatti e nu<strong>di</strong> com’erano, decisero <strong>di</strong> scendere a valle per iniziare<br />

una attività <strong>di</strong> missione contro gli atti impuri.


Per <strong>di</strong>sgrazia, verso le cinque del pomeriggio, si trovarono a passare dalla valle <strong>di</strong><br />

Pantalica, Santuzzo Minchianova e Santinedda Ficasana. Due fidanzatini vecchio<br />

stampo. Volevano fare una passeggiata nella valle incantata, respirare un po’ d’aria<br />

pura, raccogliere qualche fiorellino e farsi al massimo una stricata.<br />

Perché oltre quello non andavano l’impiegato della mutua Santuzzo Minchianova,<br />

detto “ Minchiaimpacchettata”, e la maestrina dell’asilo Santinedda Ficasana ,detta<br />

“Sticchioincassaforte” . Avevano promesso a sé stessi e a Dio <strong>di</strong> non consumare<br />

<strong>prima</strong> del santo matrimonio, che tra l’altro era previsto per il prossimo <strong>di</strong>cembre. Si<br />

toccavano con le mani ma non si scoperchiavano. Oramai erano pratici nell’arte <strong>di</strong><br />

infilare le mani nel posto giusto, per arrivare dove volevano. Il “tocca tocca” era la<br />

loro solo sessualità. Eppure avevano trent’anni lui e ventinove lei. Ma erano entrambi<br />

vergini.<br />

Adesso erano a Pantalica e avevano visto tanta gente nuda in giro, ma non ci avevano<br />

fatto caso. Anche se soltanto con la coda dell’occhio, lei taliava li bed<strong>di</strong> cazzi e lui li<br />

bed<strong>di</strong> sticchia. Ma tanto per curiosità.<br />

> <strong>di</strong>ssero all’unisono. Ma<br />

continuavano a sbirciare.<br />

Videro i tedeschi tutti bion<strong>di</strong> e belli e si schifano ancora <strong>di</strong> più.<br />

> <strong>di</strong>ssero in simultanea.<br />

Ma lei taliava, sempre con la coda del suo santo e innocente occhio, quello che<br />

meglio si prestava al caso, quei cazzi bianchi che giacevano felici sul pelame biondo;<br />

e anche se in fase <strong>di</strong> ammosciamento gli parevano chiù gran<strong>di</strong> <strong>di</strong> quello <strong>di</strong> Santuzzo<br />

che conosceva solo <strong>di</strong> mano. Santuzzo invece taliava quelle fiche bionde che<br />

luccicavano sotto i raggi del sole siciliano. Videro Micio Tempio e i suoi amici , tutti<br />

nu<strong>di</strong> come vermi.<br />

> <strong>di</strong>sse Santuzzo.<br />

> replicò Santinedda.<br />

><br />

><br />

><br />

Ma lei taliava quelle minchie scicchigne, lui quei pacchi da copertina. Lei stava<br />

pensando che forse era arrivato il momento <strong>di</strong> vedere la cosa dello zito, anche per<br />

fare un confronto con tutti quei volatili maschili che c’erano da quelle parti. Per<br />

sapere se il suo zito era nella norma o al <strong>di</strong> sotto della norma. Sopra non c’era<br />

sicuramente. Lui invece si sentiva attratto da tutto quel pacchio esposto. Solo potendo<br />

sarebbe corso tra le cosce <strong>di</strong> qualche pacchio per sperimentare il suo volatile. Tanto<br />

per farsi un’idea: che significava stare dentro una femmina, dentro un pacchio <strong>di</strong><br />

femmina. E non essere più chiamato “ Minchiaimpacchettata. “<br />

Finalmente si stavano appartando. Ma per <strong>di</strong>sgrazia ienu a sbattere contro una coppia<br />

in amore: Ben e Iatata. Lui era a terra e lei cavalcava. Accennarono un saluto. Ma<br />

quelli non li videro neanche.<br />

> <strong>di</strong>sse lei tutta rossa.<br />

> aggiunse lui altrettanto rosso.<br />

> <strong>di</strong>sse Santinedda.


<strong>di</strong>sse lui.<br />

> chiese lei.<br />

><br />

> riaddumannò lei.<br />

> sparò Santuzzu a cui la vista aveva<br />

addumatu l’acidduzzu.<br />

> <strong>di</strong>sse lei cercando <strong>di</strong> intravedere il pipì<br />

fare trasi e nesci.<br />

> concluse lui.<br />

> <strong>di</strong>sse lei.<br />

Cambiarono strada alla ricerca <strong>di</strong> un nuovo posto, ma andarono a sbattere contro un<br />

trio: due uomini cuccati allato a una femmina che gliela minava a tutti e due. Lui<br />

riconobbe subito i C.C. Pirlabon e Mezzocazzone. Lei taliò altrove. Taliò<br />

<strong>di</strong>rettamente l’aced<strong>di</strong>.<br />

> sparò Santinedda.<br />

> chiese lui.<br />

><br />

><br />

> <strong>di</strong>sse rossa come un pomodoro.<br />

><br />

><br />

> addumannò Santuzzo.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Cambiarono strada ma trovarono un altro trio. Nicola sdraiato con Ninetta impalata<br />

sulla minciazza del professionista e Tonina impalata sulla sua linguazza <strong>di</strong> esperto<br />

alliccatore.<br />

Cambiarono ancora strada ma trovarono un quartetto . Anzi un quadrato. Un mascolo<br />

ci la alliccava una femmina che ci la sucava a n’autro mascolo che a sua volta<br />

alliccava n’autra femmina che da parte sua ci la sucava al primo mascolo.<br />

> <strong>di</strong>sse Santuzzu.<br />

><br />

><br />

> <strong>di</strong>sse Santinedda..><br />

> <strong>di</strong>sse lui.<br />

> aggiunse Santuzzo.<br />

> chiese lei.


<strong>di</strong>sse lui.<br />

> <strong>di</strong>sse Santinedda.<br />

><br />

><br />

Idda poi si fici tri voti la cruci, ma lui iniziò a pensare che forse stava sbagliando a<br />

non ingignari l’aceddu. Forse era l’unica minchia impacchettata del paese. E<br />

Santinedda l’unica vergine della sua età. Cambiarono strada ancora una volta e<br />

s’imbatterono in una scena spaventosa. Una femmina che dava adenzia a tanti<br />

mascoli. Lui riconobbe Pompeo, il romano de Roma. Lei non riconobbe nessuno. Lei<br />

taliava solo l’aced<strong>di</strong> dei mascoli che ci parsero monumentali. Soprattutto taliava<br />

quello che entrava ed usciva dalla bocca della femmina e i due che facevano avanti e<br />

annareri nella mani della stessa.<br />

> <strong>di</strong>sse lui.<br />

> <strong>di</strong>sse lei..<br />

> rispose lui. ><br />

> <strong>di</strong>sse lei.<br />

><br />

><br />

> <strong>di</strong>sse lui. Che<br />

avrebbe voluto essere uno <strong>di</strong> quei cinque.<br />

Cambiarono ancora strada e finalmente attruvanu un posto tranquillo. Una grotta. Li<br />

incominciano a stricarisi. Santuzzu ci allisciava lo sticchio a Santinedda.<br />

> <strong>di</strong>sse lui.<br />

><br />

> chiese Santuzzu. ><br />

><br />

Santuzzu provò il pititto <strong>di</strong> spogliarsi nudo e <strong>di</strong> correre sul primo pacchio <strong>di</strong>sponibile.<br />

Poi si calmò. E pinsau <strong>di</strong> aspettare la sera per andare all’Arcazzo. Ma all’improvviso<br />

trasiu un ragazzo nudo.<br />

><br />

> <strong>di</strong>ssero Santuzzu e Santinedda che amavano le cose genuine.<br />

E pensarono che Pakistano era la qualità <strong>di</strong> quel tabacco che qualcuno amante delle<br />

cose genuine coltivava. E si la pigghiano la strana sigaretta che pensavano<br />

sicuramente fatta dai genitori <strong>di</strong> qualche caruso. Sulu ca ci avia vinuto un po’ male.<br />

Era <strong>di</strong> forma leggermente conica e non cilindrica.<br />

><br />

> <strong>di</strong>sse Santinedda.<br />

> specificò Santuzzo.


<strong>di</strong>sse Kard e accese loro le strane sigarette.<br />

> <strong>di</strong>sse Kard<br />

andando via e facendo vedere come fumare la canna.<br />

Fumarono e poi ripresero a stricari. Erano stranamente allegri.<br />

> <strong>di</strong>sse Santinedda.<br />

Non si oppose Santuzzo, anzi si calau li pantaloni. L’aceddu era piccolo ma a lei ci<br />

parse enorme. Adesso fu lui che gli tolse li causi e le mutande. E ci taliò la fica che<br />

era bella pelosetta. Ci la vasau e lei lasciò fare. Poi fu lei che ci vasò, e non solo, il<br />

piccolo aceddu tiso. Allora i due persero il controllo <strong>di</strong> sé in modo definitivo. Lei si<br />

buttò per terra, a cosce spalancate, gridando “ dammelo “. E lui, per tutta risposta, ci<br />

si ittau <strong>di</strong> supra, con l’intenzione <strong>di</strong> ficcare la sua minchia nel portaminchia <strong>di</strong> lei.<br />

Ma non riusciva a trovare la <strong>di</strong>rezione giusta. La cappella del suo aceddu non trovava<br />

la porta del portuso da sfondare. Fu lei che lo in<strong>di</strong>rizzò verso il punto giusto. E<br />

finalmente Santuzzo ficcau il marrugghieddu nel posto giusto. Lei fici appena<br />

“Ahi..”. Poi fecero insieme tanti sospiri.. fino alla fine. Quannu il pipì <strong>di</strong> Santuzzo si<br />

pisciau <strong>di</strong>ntra il portapipì <strong>di</strong> Santinedda,<br />

Fu allora che successe il fattaccio. Lui tirò fuori l’aggeggio tutto rosso e si spaventò.<br />

><br />

Lei vide l’uccello insanguinato <strong>di</strong> lui e si spaventò assai assai.<br />

><br />

Poi vide il sangue tra le sue cosce e lo spavento si decuplicò.<br />

><br />

Il panico si impadronì dei due ragazzi che si misero a gridare.<br />

><br />

Arrivarono dei ragazzi. Alcuni erano hippy - e c’era pure Kard- e alcuni erano <strong>di</strong><br />

<strong>Monacazzo</strong>. I ragazzi capirono subito quello che era successo. Li acchiappanu e li<br />

catafuttenu in acqua. Santuzzo e Santinedda ritornarono subito in sé e si misero a<br />

piangere. Furono consolati dai ragazzi e si convinsero che quello che avevano fatto<br />

era una bella cosa.<br />

Proprio allora arrivarono due uomini <strong>di</strong> mezza età, nu<strong>di</strong> e con una bottiglia <strong>di</strong> vino a<br />

testa. I ragazzi <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong> riconobbero subito padre Bernar<strong>di</strong>no e padre<br />

Bartolomeo.<br />

> gridavano i due.<br />

I ragazzi capirono anche in questo caso cosa era successo. Li acchiapparono, quattro<br />

a testa, e li catafuttenu in acqua. Anche loro ritornarono in sé in un amen.<br />

> <strong>di</strong>ssero arriprendendosi la capacità <strong>di</strong> intendere e volere.<br />

><br />

> <strong>di</strong>ssero i ragazzi in coro.


isposero imbarazzatissimi e calandosi in acqua per<br />

proteggere i loro gioielli <strong>di</strong> famiglia da sguar<strong>di</strong> in<strong>di</strong>screti.<br />

> risposero i ragazzi.<br />

> <strong>di</strong>ssero i preti focalizzando la situazione e riconoscendo alcuni dei<br />

presenti..<br />

><br />

> <strong>di</strong>ssero i ragazzi.<br />

> ripeterono i preti . E svennero.<br />

Li portarono all’asciutto e li deposero sul terreno . Ma propino allora comparvero una<br />

marea <strong>di</strong> carabinieri. Qualcuno li aveva chiamati e loro si erano precipitati per<br />

identificare i nu<strong>di</strong>sti. Accussì venne fuori che c’erano tanti carusi <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>.. che<br />

c’erano due carabinieri.. due preti.. uno scrittore.. un ingegnere.. intellettuali <strong>di</strong> fuori.<br />

E che c’era anche un onorevole e altra gente particolarmente importante.<br />

Il giorno dopo l’accusa <strong>di</strong> “ possesso e consumo <strong>di</strong> stupefacenti” fu cancellata per<br />

or<strong>di</strong>ne superiore. E decadde pure quelle <strong>di</strong> “atti osceni in luogo pubblico” . Restò in<br />

pie<strong>di</strong> solo l’accusa <strong>di</strong> “offesa al comune senso del pudore”. Alla fine vene fuori che i<br />

carabinieri Pirlabon e Mezzocazzone erano in missione… segreta… che i due parrini<br />

Cacaceddu e Ciollardente erano in missione… religiosa… che i ragazzi <strong>di</strong><br />

<strong>Monacazzo</strong> erano in missione.. goliar<strong>di</strong>ca.. che i giocherelloni ragazzi della comunità<br />

“ I figli della Kanapa” erano in missione scassaminchia a tempo pieno … che lo<br />

scrittore e i suoi amici era in missione.. culturale... e che l’onorevole Calogero<br />

Bellarmino- Gugliotta era in missione… politica.<br />

Qualcuno <strong>di</strong>sse che forse i carabinieri erano in missione <strong>di</strong>.. esercitazione.<br />

A quanto pare le uniche che avevano sbagliato erano state le cognate Filomena<br />

vedova Minabrigghiu e Ciccina Minabrigghiu. Scassamarruna per vocazione ed<br />

ispirazione, avevano deciso <strong>di</strong> fare una passiata nella parte alta <strong>di</strong> Pantalica. Ma con<br />

tanto <strong>di</strong> binocolo. S’erano imbattute in padre Cacaceddu e Ciollardente che firriavano<br />

nu<strong>di</strong> ed erano scappate dall’altra parte. A <strong>di</strong>re il vero cercavano <strong>di</strong> scoprire cosa<br />

stavano combinando Ninetta e Tonina con l’ingenere Nicola Ciolla. E taliavano.<br />

Avevano visto gente nuda da tutte le parti. Era un carnaio quella valle.<br />

> <strong>di</strong>sse Ciccina.<br />

> si chiese mamma<br />

Filomena vedova Minabrigghiu.<br />

><br />

><br />

><br />

Intanto esploravano la valle e vedevano gente nuda dappertutto. Avevano pure<br />

riconosciuto qualcuno. E gira e rigira acchiapparono <strong>di</strong>steso sulla riva l’ingegnere<br />

Cannolo col cannolo tiso e Ninetta e Tonina <strong>di</strong> culo ma con le mani sulla minchia<br />

dell’ingegnere.


gridò la mamma.<br />

> gridò la zia.<br />

Tornarono alla cinquecento e alla <strong>prima</strong> cabina telefonica chiamarono i carabinieri .<br />

Erano la mamma cornuta e la sorella incestuosa che avevano causato tutto quel<br />

trambusto. Non spaventati da qualche ciolla all’aria aperta. E neanche da tutto quello<br />

sticchio. Non spaventati dal vedere due parrini con la ciolla <strong>di</strong> fuori. Che poi quella <strong>di</strong><br />

padre Ciollardente la conoscevano bene entrambe. Non spaventati dall’aver visto<br />

ragazzi e ragazze che conoscevano bene come ragazzi e ragazze modello, come<br />

appartenenti a ottima famiglia, e che adesso erano tutti con le virivogne <strong>di</strong> fuori.<br />

Quello che le aveva mandato in bestia era stato vedere Ninetta e Nicola con in mano<br />

il cannolo <strong>di</strong> Nicola.<br />

Sulla bella esperienza Pompeo elaborò un bel sonetto de<strong>di</strong>cato a quel paraculo <strong>di</strong><br />

padre Bartolomeo.<br />

Giuro ch'a me oprono tute le porte;<br />

io, 'n'nome de san Pavolo e de san Pietro,<br />

entro sia de davanti che de <strong>di</strong>etro,<br />

a faccia de mariti minchiemorte.<br />

Co le femmine io so già la mia sorte ;<br />

devo cavalcarle com'un puledro<br />

col mio gran cazzo che misura un metro.<br />

Deosgrazie, er mio re entra sempre a la corte.<br />

Sono fra Bartolomeo entra-e-esce,<br />

bene<strong>di</strong>co cor mio ber manganello,<br />

pe' penitenza fo' assaggià er mio pesce.<br />

A le donne in peccato je do più che oro,<br />

perché ste 'ddu ova e sto gran pazzariello<br />

ch'ha un solo occhio, so tutt'er mio tesoro.<br />

Non credere al messia ascetico che t’invita a soffrire oggi per<br />

essere felice tra mille anni.<br />

Slogan anarchico, ca 1890<br />

Non si straccando gli heretici e gl'inimici, non so s'io devo <strong>di</strong>r più<br />

presto de questa Santa Sede o dell'anime proprie, <strong>di</strong> seminar<br />

continuamente le zizanie de i loro errori nel campo della<br />

cristianità con tanti libri perniziosi che alla giornata mandano<br />

fuori <strong>di</strong> novo, è necessario che non sidormi, ma ci affatichiamo <strong>di</strong><br />

estirpargli almeno in quei lochi dove potiamo.<br />

R. Bellarmino


DIECI : ER PAPABILE<br />

Non si può <strong>di</strong>re tanto male della corte Romana che<br />

non meriti che se ne <strong>di</strong>ca <strong>di</strong> più.<br />

F. Guicciar<strong>di</strong>ni<br />

La libertà <strong>di</strong> un paese si misura sui centimetri <strong>di</strong> pelle<br />

che si possono mettere in mostra.<br />

Il martedì a <strong>Monacazzo</strong> si parlava solo e soltanto <strong>di</strong> quello che era successo a<br />

Pantalica. Ognuno parlava <strong>di</strong> fonti atten<strong>di</strong>bili. E ognuno faceva il suo personale<br />

elenco dei mascoli e delle femmine sorprese cu li <strong>di</strong>scursa <strong>di</strong> <strong>di</strong>o all’aria, in<br />

esposizione. E a volte in attività. Si <strong>di</strong>sse che c’erano tutti. O quasi tutti. Ognuno<br />

teneva il suo personale elenco attinto a fonti certe, anzi certissime.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

A questo elenco <strong>di</strong> nomi veri ognuno aggiungeva i suoi personaggi preferiti.<br />

Quella mattina riaprirono le scuole e i ragazzi alle otto in punto entrarono in massa<br />

con zaini stracolmi e borse e sporte varie. Alle otto e cinque l’intero palazzo fu<br />

occupato. Al personale docente e non docente fu impe<strong>di</strong>to l’accesso alla scuola. E<br />

neanche le tre sorelle Stoccacitrolo, le presi<strong>di</strong>, poterono entrare nell’e<strong>di</strong>ficio<br />

scolastico. Il cortile <strong>di</strong>venne il punto d’incontro <strong>di</strong> liceali , ragionieri e geometri.<br />

Ben, Pompeo e Iatata erano tre dei leader dell’occupazione. Si erano inse<strong>di</strong>ati nella<br />

presidenza del geometra. Gli or<strong>di</strong>ni generali erano <strong>di</strong> non fare casini. Niente danni.<br />

Niente scritte sui muri. Né pulite né oscene. Solo la sporcizia legata all’occupazione<br />

era ammessa. Da casa i ragazzi s’erano portati acqua, bevande varie, biscotti, latte,<br />

fornellini elettrici, fette biscottate, pane <strong>di</strong> casa e accattato, salumi, formaggi e tante<br />

altre cose. Soprattutto scatolame vario. Speravano comunque nell’arrivo <strong>di</strong> provviste<br />

dall’esterno, in qualche forma <strong>di</strong> comunicazione col mondo esterno.<br />

Le sorelle Stoccacitrolo, non potendo trasiri, passarono subito dai carabinieri e<br />

comunicarono la cosa.


chiese il maresciallo Mezzocazzone che teneva un fratello<br />

a ragioneria.<br />

> <strong>di</strong>ssero le tre presi<strong>di</strong>.<br />

><br />

> <strong>di</strong>ssero le sorelle<br />

Stoccacitrolo.<br />

> chiese il maresciallo.<br />

><br />

> <strong>di</strong>sse il C.C.<br />

La <strong>prima</strong> notte <strong>di</strong> occupazione tra i tre piani ci fu traffico. Traffico <strong>di</strong> parole, gesti ed<br />

atti. Anche e soprattutto atti sessuali. Per terra era già un porcile . Ma piuttosto che<br />

scopare il pavimento con lo scopone dei bidelli, i ragazzi preferivano scoparsi tra <strong>di</strong><br />

loro. Quella <strong>prima</strong> notte Pompeo, Ben e Iatata si ficcarono , in mutande e maglietta,<br />

dentro lo stesso sacco a pelo. Lei nel mezzo e loro <strong>di</strong> lato. E parlarono, <strong>di</strong>scussero,<br />

filosofarono, sognarono ad occhi aperti. Parlarono molto <strong>di</strong> sesso . Parlarono della<br />

giornata <strong>di</strong> pasquetta. E dei figli della Kanapa. Dello loro liberalità su tutto .<br />

Soprattutto sul sesso. I ragazzi tenevano le braccia incrociate <strong>di</strong>etro la testa e<br />

guardavano il soffitto. Iatata taliava pure lei il soffitto, ma teneva le mani sul petto dei<br />

ragazzi e li accarezzava.<br />

> <strong>di</strong>sse la ragazza. ><br />

> risposero lo zito e l’amico.<br />

Era bello sentire quella mano giocare con le punte tise dei loro capiccia. Poi Iatata<br />

scese al bid<strong>di</strong>co. E col <strong>di</strong>tino mignolo ci lu stimolava.<br />

><strong>di</strong>sse Ben.<br />

> <strong>di</strong>sse Pompeo.<br />

Ma la ragazza continuò. Poi <strong>di</strong> colpo iniziò a scendere verso il sesso. Piano piano la<br />

sue mani s’impadronirono delle cicie dello zito e dell’amico. Iatata toccò la coppola,<br />

giocò con il filetto, accarezzò i coglioni . E intanto gli aggeggetti <strong>di</strong>ventarono<br />

aggeggioni. Ben e Pompeo non <strong>di</strong>cevano niente. Le braccia sempre <strong>di</strong>etro la testa e lo<br />

sguardo rivolto al soffitto. Iatata parlava a ruota libera. E intanto prese a remare con<br />

quei remi <strong>di</strong> carne. Un colpo su e uno giù. Parlava e remava. Un colpo a destra e uno<br />

a sinistra. E loro, i maschietti, mugolavano. E in un tempo relativamente breve,<br />

approdarono alle rive dell’isola del piacere, pisciando le manine delicate della<br />

minatrice. Iatata parlava ancora. E intanto risaliva con le mani incilippiate verso le<br />

facce dei ragazzi. A cui fece alliccare la loro stessa simenta.<br />

><br />

> risposero i ragazzi.<br />

Ben e Pompeo si taliarono. E intanto che lei parlava si misero <strong>di</strong> fianco. E fecero la<br />

stessa cosa che aveva fatto lei, conquistarono una minna testa.


Poi passarono alla pancia e infine, dopo essersi taliati, Pompeo voleva il permesso da<br />

Ben, gli calarono le mutan<strong>di</strong>ne e iniziarono ad esplorare la fica <strong>di</strong> idda. Due labbra<br />

allo zito, due all’amico. E il grilletto a turno. La fecero pisciare dal piacere e i<br />

mugolii <strong>di</strong> lei furono musica per le orecchie dei mascoli e nutrimento per la loro<br />

minchia. Iatata saltò addosso allo zito <strong>di</strong> botto e s’impalò. Ben, lì accanto , taliava il<br />

soffitto e si la minava. Ben e Iatata si taliano negli occhi, tra un sali e scen<strong>di</strong> e<br />

n’autro, e si scambianu mille opinioni. Poi <strong>di</strong>ssero insieme:<br />

><br />

Pompeo capì al volo e ci la mise nel culo a Iatata. Solo dopo si addormentarono. Tutti<br />

<strong>di</strong> fianco. Come un panino imbottito. Iatata nel mezzo sentiva la minchietta molle <strong>di</strong><br />

Pompeo tra le natiche. Ben davanti ci appoggiava la sua cicia tra le cosce.<br />

Il martedì sera Ninetta e Tonina fecero le valigie e si trasferirono a casa<br />

dell’ingegnere Nicola Cannolo.<br />

Il martedì sera l’avvocato Cicidda era chiù incazzato del solito. Suo figlio stava<br />

occupando un e<strong>di</strong>ficio pubblico. In none del comunismo e roba simile. Male<strong>di</strong>sse la<br />

sua simenta e male<strong>di</strong>sse l’Italia intera. Queste porcherie succedevano perché non<br />

c’era più gente con i coglioni quadrati. Gente come la buonanima del duce. Se lui<br />

fosse stato il preside, a calci nel culo li avrebbe sbattuto fuori. A calci nel culo li<br />

avrebbe fatti arrivare in un amen in mezzo alla strada. Ma le sorelle Stoccacitrolo, a<br />

parte che non avevano gli attributi per motivi biologici, e a parte che non li avevano<br />

neanche in senso virtuale, erano solo e soltanto delle stoccacitrolo <strong>di</strong> nome e <strong>di</strong> fatto.<br />

Ai ragazzi potevano stoccare il citrolo ma non la volontà o la schiena. Non<br />

appartenevano a quella razza <strong>di</strong> uomini che sapevano spezzare le reni anche alle<br />

nazioni. E il maresciallo, quel tale Mezzocazzone <strong>di</strong> nome e <strong>di</strong> fatto, poteva,<br />

volendo, decidere lui l’intervento della forza pubblica.<br />

Pure il sindaco poteva decidere in tal senso, ma quello era comunista e stava<br />

sicuramente dalla parte degli occupanti. Magari era capace <strong>di</strong> portare loro una bella<br />

ban<strong>di</strong>era rossa, la bene<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> qualche esponente del partito e il necessario per<br />

organizzare qualche sagra all’interno dell’e<strong>di</strong>ficio scolastico. Magari faceva una<br />

delibera per offrire a quel gruppo <strong>di</strong> s<strong>di</strong>sanorati qualche passatempo serale: musica ,<br />

teatro o altro. Per non farli annoiare. Magari la dentro si scassavano i coglioni.<br />

Il martedì notte le tre sorelle Stoccacitrolo si fecero passare il firticchio sfogandosi<br />

con la minchia del dottor Minchiatrina.<br />

Quella notte Pompeo sognò <strong>di</strong> essere papa. Il papa del movimento studentesco. Papa<br />

urbi et orbi. Papa rosso però. Ma poi sognò anche <strong>di</strong> <strong>di</strong>mettersi poco dopo perché il<br />

papa non poteva farei tanti papetti per guidare e salvare l’umanità. Su quel sogno<br />

scrisse in seguito un bel sonetto titolato “ ER PAPABILE ”<br />

Varda che bella e grossa cojonata,<br />

volevo fa er prete, volevo fare,<br />

ma visto ch'er cazzo nun ponn 'usare,


<strong>di</strong>ssi de no pe' sta legge <strong>di</strong>sgraziata.<br />

Ma i preti lo sonano e che sonata.<br />

E allora li si dovrebbe castrare,<br />

zac, un colpo netto p'anna' a cantare<br />

con le voci bianche " Maria sia lodata".<br />

A sto sarsicciotto ce so' 'ttaccato,<br />

chi l'assaggia <strong>di</strong>ce ch'è de qualità,<br />

che sa mejo assai de nu ber gelato.<br />

Vantamme no, ma s'ero Sua Santità,<br />

me scejevo na papessa che Dio 'o sa,<br />

pe'fa tanti papetti all'umanità.<br />

Tutta la storia finora fu scritta dal punto <strong>di</strong> vista del successo.<br />

F. Nietzsche


UNDICI : ER PRESIDENTE<br />

Potere, la preda che san cogliere<br />

due forze sole: numero e denaro.<br />

Sofocle<br />

Chi <strong>di</strong> minchia ferisce <strong>di</strong> minchia perisce…<br />

Dopo la <strong>prima</strong> notte <strong>di</strong> occupazione Pompeo e Ben si svegliarono con la minchia tisa.<br />

La minchia <strong>di</strong> entrambi era alloggiata tra le cosce della ragazza. E l’aced<strong>di</strong> si<br />

toccavano. I due pigliarono a muoversi e le minchie ha strofinarsi l’una contro<br />

l’altra. E contro le cosce <strong>di</strong> Iatata. Accussì, tra le cosce della picciotta, i due mascoli<br />

fecero l’amore tra <strong>di</strong> loro . Iatata si svegliò quando senti il liquido caldo tra le sue<br />

cosce. E capì subito quello che era successo. La simenta <strong>di</strong> Ben e Pompeo si era<br />

mescolata davanti alla sua porta dl piacere. Ma lei non era stata scomodata. Era un<br />

omaggio quello. O no. C’è chi da fiori e chi da simenta. O no.<br />

Quella mattina i vertici del movimento studentesco locale decisero <strong>di</strong> invitare, <strong>di</strong><br />

giorno in giorno , degli esperti. Per parlare <strong>di</strong> argomenti <strong>di</strong> particolare importanza. Fu<br />

fatta una lista e tra i tanti nomi spiccavano la dottoressa ginecologa Eusebia Ferretti,<br />

il critico tuttologo Calogero Bellarmino - Gugliotta, il sindaco barone e comunista<br />

Tonino Incardasciò, il pittore Nikj Sciò, lo scrittore Micio Tempio e altri ancora.<br />

Questi signori sarebbero stati tutti invitati, ma avrebbero accettato?<br />

> <strong>di</strong>ssero i ragazzi.<br />

Il telegiornale dell’una <strong>di</strong> quel giorno parlò delle <strong>di</strong>mostrazioni studentesche che<br />

crescevano in tutta Italia. E anche nel resto dell’Europa. In particolare, in Francia la<br />

situazione stava <strong>di</strong>ventando veramente esplosiva. C’era aria <strong>di</strong> rivoluzione tout court.<br />

Quel pomeriggio Iatata dovette tornare a casa . La nonna virtuale Concettina<br />

Inconsolata Cazzamari era morta improvvisamente.<br />

> <strong>di</strong>sse Iatata andando via.<br />

Ben voleva accompagnarla. Pompeo pure. Ma lei li convinse a restare sul posto, a<br />

continuare la lotta.<br />

> <strong>di</strong>sse Iatata.<br />

> aggiunse Ben.<br />

> aggiunse Pompeo che come romano sapeva bene cos’era o cos’era<br />

stato il potere papale.<br />

> saluto Iatata dando un bacione a<br />

Ben e un bacetto a Pompeo.<br />

> risposero i due maschietti.


Quella sera Pompeo e Ben si ficcarono insieme nello stesso sacco a pelo. In mutande<br />

e maglietta. Sentivano freddo. Ma il loro era un freddo interno, un freddo mentale,<br />

un freddo dovuto alla mancanza <strong>di</strong> un affetto, <strong>di</strong> una voce , <strong>di</strong> un corpo, <strong>di</strong> due mani<br />

che sapevano fare le carezze. Era un freddo dovuto al dolore <strong>di</strong> Iatata che a quell’ora<br />

stava piangendo per la sua cara nonnina acquisita. Scoppiarono a piangere . Si<br />

abbracciarono. Ma intanto tremavano. Sentivano la mancanza <strong>di</strong> Iatata. Ben voleva<br />

scappare e raggiungere la zita, per starle accanto. Pompeo le avrebbe fatto volentieri<br />

compagnia. Si abbracciarono ancora <strong>di</strong> più. E senza <strong>di</strong>re parola l’uno prese in mano<br />

l’uccello dell’altro. E senza parole si parlarono a sguar<strong>di</strong>. E si <strong>di</strong>ssero fin troppe cose.<br />

Pompeo si abbassò le mutande e si mise a pancia in giù. E aspettò che Ben si<br />

sfogasse. Che Ben sfogasse il suo desiderio, la sua rabbia, il suo dolore nel suo culo.<br />

Fu un atto d’amore reciproco quell’inculata. Nella simenta <strong>di</strong> Ben che finì dentro il<br />

corpo <strong>di</strong> Pompeo c’era tutta la sua rabbia. Dopo si parlarono ancora, in silenzio.<br />

Sguar<strong>di</strong>, gesti, carezze. E si <strong>di</strong>ssero ancora tante cose. Pompeo era <strong>di</strong>steso sul lato<br />

sinistro del corpo e teneva in mano la ciolla sod<strong>di</strong>sfatta dell’amico. Ben stava a<br />

pancia all’aria e teneva le mani incrociate <strong>di</strong>etro la nuca. La minchia tisa <strong>di</strong> Pompeo<br />

si appoggiava sul suo fianco e lo solleticava, sembrava chiedergli aiuto. Fu allora che<br />

Ben si girò piano piano e <strong>di</strong>ede le spalle all’amico. La minchia <strong>di</strong> Pompeo seguì<br />

quella rotazione e alla fine si trovò puntata contro il culo <strong>di</strong> Ben . Il ragazzo siciliano<br />

si sistemò meglio. Il suo corpo aderì a quello del romano. La minchia <strong>di</strong> Pompeo si<br />

collocò tra le chiappe <strong>di</strong> Ben. Solo allora il romano iniziò a muoversi. A poco a poco<br />

la punta trasiu. Poi trasì il resto. Se la sera <strong>prima</strong> Pompeo aveva visitato il culo <strong>di</strong><br />

Iatata, questa sera visitò quello <strong>di</strong> Ben. E la cosa durò a lungo. Ogni tamto i due<br />

acceleravano i movimenti. Quando il romano capiva che stava per venire , rallentava.<br />

E rallentava il ritmo pure Ben. Poi ripigliavano. Avrebbero voluto far durare<br />

quell’esperienza tutta la notte.<br />

> pensò Ben nella sua testa <br />

> pensò pure Pompeo.<br />

E cercavano pertanto <strong>di</strong> farlo durare il più a lungo possibile. E durò abbastanza. Alla<br />

fine Pompeo svuotò i suoi coglioni nel culo dell’amico. Poi si addormentarono <strong>di</strong><br />

colpo. Pompeo con la minchia sod<strong>di</strong>sfatta che giaceva tra le chiappe dell’amico.<br />

L’indomani Ben si svegliò con la ciolla dell’amico in mano. E si accorse che Pompeo<br />

teneva la sua. Rise. Il dolore e la rabbia della sera <strong>prima</strong> erano scomparsi. Contento e<br />

felice era pure Pompeo.<br />

Nel pomeriggio si svolse il funerale della signora Concettina Inconsolata Cazzamari,<br />

la nonna <strong>di</strong> Iatata. E quella sera Cepito trovò tra le carte della cara estinta una lettera<br />

in<strong>di</strong>rizzata a lui. Chiusa e sigillata. Sulla busta stava scritto “Per Sconcepito<br />

Portusodoro. Da aprire dopo la mia morte. Firmato Concettina Inconsolata<br />

Cazzamari.” L’ansia lo prese. E aprì <strong>di</strong> corsa e lesse.<br />


chiamato mamma pensando a quella mamma che non hai mai conosciuto. Mi hai<br />

dato dei nipoti che mi chiamavano nonna pur sapendo la verità. E io ti ho chiamato<br />

figlio sapendo la verità. La vera verità , caro Sconcepito, è che tu sei.. sei veramente<br />

mio figlio. >><br />

Cepito scoppiò a piangere. Poi continuò.<br />

><br />

Cepito pianse più forte. Qual era la verità che doveva ancora apprendere? Chi era suo<br />

padre? Era del posto? Era ancora vivo o era morto? Continuò a leggere.<br />


adesso hai tu. E attesi la tua uscita dal collegio. E mi <strong>di</strong>e<strong>di</strong> da fare per farti venire a<br />

lavorare da me. Il resto è storia nota. Ma non ti ho ancora detto la cosa che forse<br />

vorresti sapere. Chi era l’uomo <strong>di</strong> fiducia <strong>di</strong> Calogero Incardasciò. Quello che tradì<br />

mio padre, che mise incinta la sottoscritta e che portò al suici<strong>di</strong>o mia madre. Ma che<br />

è anche e pur sempre tuo padre. Se lo vuoi sapere, il suo nome e la sua fotografia<br />

stanno in una busta sigillata misa dentro il quadro della beddamatri del rosario. Se lo<br />

vuoi sapere, altrimenti niente, amatissimo figlio mio.<br />

La tua mamma Concettina Inconsolata Cazzamari.<br />

P. S. Tutto quello che possiedo in mobili e immobili è tuo, <strong>di</strong> Tuzza e dei tuoi figli.<br />

Grazie per avermi chiamato mamma, grazia anche a tua moglie che mi chiamava pure<br />

lei mamma . E grazie ai tuoi figli che mi chiamavano nonna. Grazie. >><br />

Cepito era basito. Era una statua <strong>di</strong> marmoro ma dentro tinia la voglia <strong>di</strong> conoscenza<br />

<strong>di</strong> uno scienziato, ma a lui interessava scoprire solo una cosa. Il nome dell’uomo <strong>di</strong><br />

fiducia <strong>di</strong> Calogero Incardasciò. Con gli occhi pieni <strong>di</strong> lacrime e le mani tremanti<br />

prese il quadro della beddamatri del rosario e circau <strong>di</strong> rapillu. Di togliere la<br />

copertura posteriore per pigliare la busta. Ma non riusciva ad aprirlo. Non si<br />

capacitava se era colpa della sua imperizia, della sua emozione o del fatto che il<br />

quadro fosse vecchio. Iniziò a perdere la pazienza e alla fine si mise a gridare.<br />

><br />

Ma la copertura posteriore del quadro non si staccava. Intanto le grida erano state<br />

sentite dalla moglie Tuzza e dai tre figli. Che corsero verso la stanza da letto della<br />

cara estinta. E trovarono Cepito che gridava come un ossesso, rivolto al quadro della<br />

beddamatri del rosario che teneva in mano.<br />

><br />

> <strong>di</strong>ssero la moglie e i figli ><br />

Ma Cepito continuava. E visto che il quadro non si apriva lo sbattiu contro lo la<br />

tistera del letto. Il vetro si ruppe, la beddamatri pure, ma la littra vinni fora.<br />

> <strong>di</strong>sse Palmiro. ><br />

> <strong>di</strong>ssero la moglie e le figlie.<br />

Cepito non s’era manco accorto della loro presenza. Aprì la lettera e lesse il nome:<br />

> gridau e svinni.<br />

La moglie e i figli si precipitarono sulla lettera. Era una foto. E <strong>di</strong>etro c’era scritto<br />

Concetto Cicidda. Poi la moglie e Palmiro si presero cura <strong>di</strong> Cepito. Iatata e sua<br />

sorella invece acchiappanu la lettera e si misero a leggere.<br />

> <strong>di</strong>ssero. ><br />

> <strong>di</strong>sse Palmiro.<br />

> <strong>di</strong>sse Tuzza e svenne pure lei.<br />

I figli li sistemarono nel letto della cara estinta e aspettarono il ritorno dei sensi sia<br />

nella mamma che nel papà. Iatata raccontò la storia della foto del nonno <strong>di</strong> Ben da<br />

giovane. Il podestà che somigliava tanto ma proprio tanto a papà Cepito. A lei e a<br />

Ben era venuto il sospetto che la cosa potesse essere andata come era realmente


andata. In fatto <strong>di</strong> paternità. Mai fatti pensieri su nonna Concettina. Ma comunque<br />

non c’erano strade per verificarlo. La somiglianza c’era , ma da sola non bastava a<br />

giustificare la paternità <strong>di</strong> Concetto Cicidda nei confronti <strong>di</strong> Cepito Portusodoro,<br />

figlio <strong>di</strong> NN.<br />

Quella notte Iatata pensò a mille cose. Lei e Ben erano mezzi cugini. Solo mezzi,<br />

perché avevano solo il nonno in comune . La nonna era <strong>di</strong>versa. Non vedeva l’ora <strong>di</strong><br />

rientrare a scuola per comunicargli la cosa. Ma si chiese anche come avrebbe reagito<br />

Ben. Era un ragazzo moderno e per niente geloso. Non aveva detto niente per la<br />

minata fatta da lei a Pompeo.<br />

> aveva detto . E in quel momento Pompeo<br />

ne aveva veramente bisogno. E vero che poteva fare da solo, ma una amica è sempre<br />

la benvenuta.<br />

Poi c’era stata la giornata libertaria <strong>di</strong> Pantalica. Tutti nu<strong>di</strong>. Quin<strong>di</strong> l’occupazione e<br />

quella notte passata insieme nello stesso sacco a pelo. La sua voglia <strong>di</strong> minarcela ad<br />

entrambi i ragazzi e la loro <strong>di</strong>sponibilità a quel gioco sessuale a tre. Lei, lo zito e<br />

l’amico. E c’era stata anche la storia della messa in culo. Lei e Ben avevano, intanto<br />

che scopavano, dato via libera a Pompeo per accedere alla suo bel culetto.<br />

Pertanto Ben non poteva preoccuparsi <strong>di</strong> un semiincesto. Lei d’altra parte era sicura<br />

che tra i due ci fosse stata qualche cosa a sua insaputa. Una storia omo. Ben era<br />

eterosessuale convinto, ma sicuramente si era lasciato convincere a provare con un<br />

altro mascolo. Ed era anche sicuro che in sua assenza, Ben s’era lasciato consolare<br />

dai gesti, dalle parole, dalle mani e dal corpo <strong>di</strong> Pompeo. Ma anche il romano aveva<br />

bisogno <strong>di</strong> conforto. E Ben si era sicuramente prestato. Insomma, i due si erano<br />

consolati a vicenda, mentre lei che aveva bisogno <strong>di</strong> tanta ma tanta, anzi tantissima<br />

consolazione, non aveva proprio nessuno che la consolasse. Neanche un cazzo a sua<br />

<strong>di</strong>sposizione. Sia in senso reale che metafisico. Non vedeva l’ora pertanto <strong>di</strong> rientrare<br />

a scuola per farsi consolare dal suo ragazzo e dal suo amico . Era una bella cosa<br />

quella liasonni a trua. Come <strong>di</strong>cono i francesi.<br />

Quella notte Pompeo e Ben non pensarono a niente. Non fecero niente. Dormirono e<br />

basta.<br />

Al circolo si parlava solo della storia delle sorelle Ninetta e Tonina che s’erano<br />

piazzate felicemente nel letto dell’ingegnere Nicola Cannolo. E si parlava del cannolo<br />

dell’ingegnere Cannolo che aveva due purtusa a <strong>di</strong>sposizione. Ma si parlava pure<br />

dell’occupazione delle scuole e <strong>di</strong> questo pugno <strong>di</strong> s<strong>di</strong>sanorati nullafacenti<br />

mangiapane a tra<strong>di</strong>mento che volevano fare pure la rivoluzione. Cioè gli studenti.<br />

> era l’opinione corrente.<br />

Il giorno dopo il comitato studentesco fu infornato che padre Ciollardente e padre<br />

Cacaced<strong>di</strong>, d’accordo con suor Carmelina e padre Fringuelli, volevano in<strong>di</strong>re una<br />

giornata <strong>di</strong> espiazione e preghiera totale e continua, una ventiquattrore come la


famosa corsa automobilistica, per i peccati <strong>di</strong> Pantalica e adesso anche per quelli che<br />

si stavano commettendo nelle scuole occupate <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>. Le sorelle Stoccacitrolo<br />

erano d’accordo. Anzi, avevano pregato i due parrini <strong>di</strong> effettuare, a occupazione<br />

finita, la bene<strong>di</strong>zione dell’istituto , per purificarlo da tutti le porcherie commesse in<br />

quel periodo nefasto.<br />

Padre Ciollardente quella mattina, vestito da prete in pompa magnissima e con tanto<br />

<strong>di</strong> cugino sacrestano che teneva in mano l’incensiere, bussò alla porta del triplice<br />

istituto, con l’intenzione <strong>di</strong> esorcizzare il <strong>di</strong>avolo rosso che si annidava là dentro.<br />

Appena Ben e Pompeo aprirono la porta il vecchio marpione iniziò col <strong>di</strong>re parole<br />

belle e dolci.<br />

> <strong>di</strong>ssero i ragazzi.<br />

Il prete si rivolse all’assemblea e parlo come ispirato . Solo parole belle e dolci. Paria<br />

fatto <strong>di</strong> zucchero quel giorno padre Ciollardente. Poi si fece più amaro e cercò <strong>di</strong><br />

convincere i ragazzi a porre fine all’occupazione. Ma tutti <strong>di</strong>ssero no.<br />

> chiese il prete <strong>di</strong>ventato <strong>di</strong> nuovo <strong>di</strong> zucchero.<br />

> risposero i ragazzi.<br />

Padre Ciollardente li benedì in silenzio. E il sacrestano intanto incensava l’aria. Poi<br />

l’incensò finì.<br />

> <strong>di</strong>ssero Ben e Pompeo.<br />

E ci misero dell’incenso ma anche tanta marijuana. Il sacrestano riprese ad incensare.<br />

Ma il fumo gli andava nel naso e iniziò a fare effetto. L’uomo si mise a incensare<br />

ballando. Anche il prete respirò quel fumo. E all’improvviso <strong>di</strong>sse:<br />

> E intanto barcollava.<br />

Ben e Pompeo risautano.<br />

> chiese il parrino mentre il<br />

sacrestano , famoso come “ autominatore”, ovvero “ colui che si la mina da sé ”,<br />

<strong>di</strong>ffondeva incenso e marijuana a destra e a manca. Ben e Pompeo ci pinsanu un<br />

secunnu. Poi si taliano e pigliano la draconiana decisione. “Mister Ciollardente fuori<br />

dalla ciolla e dai ciollini”.<br />

> gridarono in contemporanea.<br />

Ma quello continuava a gridare e a <strong>di</strong>menarsi. E il sacrestano a incensare. Ben e<br />

Pompeo chiamarono i rinforzi . E tutti insieme si caricano il parrino e il sacrestano e<br />

li deposero sugli scalini. Il sacrestano continuava ad incensare e il parrino a lanciare<br />

anatemi.<br />

Quel pomeriggio una infuocata assemblea studentesca decise <strong>di</strong> imitare il modello<br />

francese. Fuori dalle scuole ogni simbolo <strong>di</strong> propaganda religiosa. E in Sicilia, nel<br />

paesino stracattolico , conservatore e moralista <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>, <strong>di</strong> simboli religiosi in<br />

circolazione ci ni stava solo uno.<br />

Imposto dal regime fascista e definito “ arredamento “ <strong>di</strong> ogni aula scolastica, il<br />

crocefisso imperversava. Pertanto si provvide a togliere tutti i crocefissi e a<br />

impacchettarli ben bene. Fu presa anche la provocatoria risoluzione <strong>di</strong> spe<strong>di</strong>rli al<br />

mittente. Ma nessuno conosceva l’in<strong>di</strong>rizzo. Mentre nell’antichità , il <strong>di</strong>o Giove


aveva una casa sull’Olimpo, quest’altro non aveva una residenza nota. Allora si<br />

decise <strong>di</strong> spe<strong>di</strong>re tutto al suo rappresentate sulla terra. Il papa.<br />

Quella sera il telegiornale <strong>di</strong>ede la notizia che durante la notte precedente un noto<br />

esponente politico era stato arrestato. Era presidente <strong>di</strong> un ente finito nel mirino dei<br />

controlli . E adesso era in galera. Ma già il suo avvocato aveva presentato la richiesta<br />

<strong>di</strong> arresti domiciliari per il suo assistito perché le sue con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> salute erano<br />

inconcepibili con il carcere. La richiesta era stata accettata. E da un momento all’altro<br />

si aspettava la sua uscita dal carcere. Quin<strong>di</strong> in galera sì, ma solo per un giorno, notte<br />

esclusa. Al massimo le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> vita dell’onorevole erano compatibili solo con<br />

gli alberghi a cinque stelle, le buttane <strong>di</strong> lusso due alla volta, i ristoranti prestigiosi e<br />

l’auto blu con tanto <strong>di</strong> autista. Naturalmente tutto in conto al partito, allo stato o<br />

all’ente dui cui era presidente. Pompeo si straincazzò e quella sera stessa compose un<br />

bel sonetto titolato “ ER PRESIDENTE.<br />

Che <strong>di</strong>cevo? O faranno presidente.<br />

A faccia do' cazzo. Visto 'o buffone,<br />

mo' s'aggiusterà la sua posizione.<br />

Se voi giuro su Dio onnipotente.<br />

Fu fascista stronzo e pur'impotente,<br />

sminchiato ,fottuto e grande cojone,<br />

pronto a leccare er culo ar sor Puzzone,<br />

cattolico e poc'assai intelligente.<br />

Per mezzo secolo è stato inculato<br />

E mo' er popolo vorrebbe inculare:<br />

ma <strong>di</strong>je ch'è solo un grande <strong>di</strong>sgraziato.<br />

Anche se vole, nun sa comannare:<br />

spompato com'è, nun sa esse incazzato,<br />

che vada a morì o a fasse ammazzare.<br />

Possa io andare all’inferno, ma un tal Dio non otterrà mai il mio<br />

rispetto.<br />

J. Milton<br />

Ogni stregoneria <strong>di</strong>scende dalla libi<strong>di</strong>ne della carne, che nelle<br />

donne è insaziabile.<br />

San Giovanni Crisostomo<br />

La storia ricorda una sola rivoluzione veramente ra<strong>di</strong>cale: il<br />

<strong>di</strong>luvio universale.<br />

H. Ibsen


DODICI : SORA MIGNOTTA<br />

Dio mio, tutte le donne pubbliche con cui ho peccato, beatele!<br />

N. Tommaseo<br />

I moralisti vedono il mondo ma non lo capiscono.<br />

Di mattina presto Cepito partì per il cimitero. Con tutta la sua famiglia. Veniva<br />

seppellita mamma Concettina. Dopo la cerimonia Cepito, con gli occhi rossi per la<br />

rabbia e il dolore, <strong>di</strong>sse che aveva da fare. E andò a fare una visita alla cappella <strong>di</strong><br />

quel porco <strong>di</strong> “suo padre “ Concetto Cicidda, l’uomo che l’aveva seminato per forza<br />

e per libera scelta l’aveva abbandonato. Anzi, non l’aveva manco voluto conoscere.<br />

Arrivò nella cappella Cicidda . L’uomo era sepolto tra la <strong>prima</strong> e la seconda moglie.<br />

Tra lo sticchio vecchio e lo sticchio giovane. Oramai fracito sia l’uno che l’altro.<br />

Come pure il suo aceddu fascista e schifoso . Si avvicinò alla lapide. C’era solo<br />

scritto Concetto Cicidda. E la foto. Lui lo taliò in faccia e poi lo sputò. Na sputazzata<br />

data con piacere e dolore. Poi iniziò la crisi <strong>di</strong> sputtanamento generale.<br />

><br />

E ci risputò. Ma proprio in quel momento traisu Cicciu Cicidda. Aveva sentito solo<br />

le ultime parole. “ Anche se sei mio padre, ti o<strong>di</strong>o.. porco..”<br />

><br />

> rispose Cepito.<br />

> riprese Ciccio. Ma Cepito lo bloccò<br />

> <strong>di</strong>sse Cepito incazzatissimo a Cicciu. E gli <strong>di</strong>ede una fotocopia della<br />

lettera <strong>di</strong> Concettina Inconsolata Cazzamari.<br />

Il signor Cicidda lesse la lettera tutta in una tirata e, già <strong>prima</strong> della fine, incominciò a<br />

capire unni quello scritto andava a parare. Non attese il biglietto finale . A quel nome<br />

ci arrivò da solo.<br />

> <strong>di</strong>sse il professionista.<br />

> precisò Cepito.<br />

> <strong>di</strong>sse il politico Cicidda che pensava già a quanti<br />

voti nuovi ci portava la nuova parentela.<br />

Pinsava pure a suo figlio Ben, che saputa la cosa, avrebbe per dovere morale lassato<br />

la mezza cugina per evitare il mezzo incesto. Anche se già Ben si l’avia futtuta e<br />

controfuttuta il peccato era stato commesso inconsapevolmente. Adesso, con quella<br />

parentela, Ben non poteva non lasciare la mezza cugina. E magari pensare a una delle<br />

sorelle Bucochiuso.


Cepito si rifugiò in quelle braccia mezzo germane. Anche se il parente ritrovato era<br />

un pochino ingombrante in tutti sensi, gli faceva comunque piacere avere dei parenti<br />

e degli antenati. Era contento <strong>di</strong> aver scoperto le sue origini, anche se comprendevano<br />

persone antipatiche. Era contento <strong>di</strong> sapere da dove veniva la sua simenta. Aveva un<br />

passato, poco piacevole , ma l’aveva.<br />

All’uscita dalla cappella Ciccio e Cepito passanu davanti alla tomba del cavaliere<br />

Turi Chiappazza. La signora Carmela Filazzaddumata, la vedova del cavaliere, stava<br />

potando le piante <strong>di</strong> Rosa cornutella che circondavano la tomba. Tutti a <strong>Monacazzo</strong><br />

conoscevano la signora Carmela come “ la vedova allegrissima “ . Bastava chiedere<br />

la cosa per averla . E tanti chiedevano. E lei dava volentieri. Si calcola che a<br />

<strong>Monacazzo</strong> era quella che , a parte le buttane dell’Arcazzo, avesse maniato, e non<br />

solo maniato , il più grande numero <strong>di</strong> minchie <strong>di</strong> persone <strong>di</strong>verse. Cicciu <strong>di</strong>sse a<br />

Cepito:<br />

><br />

Cepito scoppiò a ridere. La signora Carmela si girò e li rimproverò.<br />

><br />

><br />

> chiese la vedova allegrissima<br />

che era allegra sì ma babba anche.<br />

Quella mattina Pompeo e Ben uscirono col pacco pieno <strong>di</strong> crocefissi e lo spe<strong>di</strong>rono al<br />

papa. L’impiegato postale Filomeno Bollettino non voleva manco fare la spe<strong>di</strong>zione.<br />

> chiese il signor bollettino.<br />

><br />

> rispose l’impiegato che era<br />

membro <strong>di</strong> una comunità religiosa. E il pacco partì.<br />

Quella sera le sorelle Devozione e Consolata Bucochiuso, che frequentavano il terzo<br />

e quarto anno del liceo scientifico, si recarono a trovare Pompeo e Ben. Loro erano<br />

interessate a farsi zite . Si erano immesse sul mercato da tempo ma nessuno le cacava.<br />

Volevano troppe qualità nel caruso. Troppe nello stesso caruso. Impossibili da trovare<br />

concentrate nella stessa persona. Ma la cosa più brutta è che lo volevano portare<br />

subito a casa. Il loro “ sì “ era con<strong>di</strong>zionato dal “ sì “ dei genitori.<br />

Volevano tastare il terreno in quanto erano interessate a quei due.<br />

> <strong>di</strong>ssero le sorelle, che avevano quel modo<br />

tanto particolare <strong>di</strong> parlare strascicato e che erano chiamate le sorelle ammosciatutto.<br />

> <strong>di</strong>ssero Ben Pompeo.<br />

> <strong>di</strong>ssero le belle sorelle Bucochiuso.<br />

> <strong>di</strong>ssero i leader.<br />

Le sorelle Bucochiuso non erano andate a Pantalica per volere dei genitori.


<strong>di</strong>cevano i benpensanti signora e signor<br />

Bucochiuso. Poi le ragazze avevano saputo quello che era successo a Pantalica e si<br />

erano rattristate per essersi persi quello spettacolo <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorsi <strong>di</strong> <strong>di</strong>o al vento. Almeno<br />

potevano catalogare visivamente i ragazzi <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong> in minchiette, minchie e<br />

minciazze. E poi tra i tanti minciazza scegliere e selezionare quelli benestanti e con<br />

un futuro da professionista. Ma nella loro testa comunque c’erano Pompeo e Ben. Il<br />

romano era libero, e Ben <strong>prima</strong> o poi avrebbe lasciato quella culo<strong>di</strong>fuori <strong>di</strong> Iatata. La<br />

presidenza era pulita a parte un po’ <strong>di</strong> puzza. Infatti Ben e Pompeo pisciavano<br />

spesso nel grande vaso <strong>di</strong> banano della preside.<br />

> <strong>di</strong>sse Devozione.<br />

> specificò<br />

Pompeo.<br />

> chiese Consolata.<br />

><br />

> chiese Devozione.<br />

> <strong>di</strong>sse il romano.<br />

Non si capiva se la sorelle avessero o meno capito. Sta <strong>di</strong> fatto che Pompeo <strong>di</strong>sse<br />

piano piano a Ben:<br />

><br />

I due si alzarono e dato il culo alle sorelle Bucochiuso e cervello corto si misero a<br />

pisciare sul banano.<br />

> chiese la moscia ammosciatutto <strong>di</strong> Consolata che non era<br />

buona manco a consolare n’aceddu arrapato.<br />

><br />

> <strong>di</strong>sse Devozione a Consolata. ><br />

I ragazzi pisciavano tranquilli.<br />

> <strong>di</strong>sse Ben<br />

piano piano all’amico. E infatti arrivarono le due sorelle.<br />

> <strong>di</strong>ssero quelle vedendo i<br />

ragazzi pisciare sul banano presidenziale. Ma non gridarono né scapparono.<br />

Restarono a taliare. Non avevano mai visto una minchia dal vivo. A parte quella <strong>di</strong><br />

qualche neonato. E quelle <strong>di</strong> qualche opera d’arte. A loro piaceva da morire quella<br />

michelangiolesca del David. Bella, piccolina e <strong>di</strong> marmoro. Ma soprattutto firmata.<br />

Una minchia d’arte. Quin<strong>di</strong> non pericolosa, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quella <strong>di</strong> carne che poteva<br />

pazziare e fare danno irreparabile. Ma loro restarono comunque a taliare la minzione.<br />

Lo spettacolo teatrale “ Pisciata <strong>di</strong> una coppia <strong>di</strong> minchie <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>”.<br />

> <strong>di</strong>sse<br />

Pompeo.<br />

> chiese Ben.<br />

> <strong>di</strong>ssero serie le sorelle Bucochiuso.


Ben e Pompeo scoppiarono a ridere. Non volevano credere alle loro orecchie. Intanto<br />

le loro minchie cominciarono a gonfiare. I ragazzi abbandonarono lo strumento per<br />

darsi la mano. Avevano giurato che quelle erano stolle. Ne avevano avuto la<br />

conferma. E la piscia finì intanto fuori dal vaso. Per terra, sui pantaloni, sulle scarpe<br />

dei ragazzi.<br />

Le sorelle si misero a ridere anche loro e poi <strong>di</strong> colpo fecero quello che nessuno, né le<br />

ragazze né i ragazzi, avrebbero mai pensato fosse realizzabile. Si precipitarono sullo<br />

pompa per pisciare e la <strong>di</strong>ressero sul banano. Tenendola con solo due <strong>di</strong>ta. Come<br />

fosse una cosa infetta. O una cosa che muzzica.<br />

> <strong>di</strong>ssero emozionate da quella <strong>prima</strong> toccata d’aceddu.<br />

I ragazzi lasciarono fare. Fino alla fine. Poi Ben e Pompeo restarono a taliare le<br />

caruse con le minchie in mano. Ferme come se aspettassero or<strong>di</strong>ni.<br />

> <strong>di</strong>ssero le sorelle.<br />

><br />

><br />

> <strong>di</strong>sse Ben.<br />

> aggiunse Pompeo.<br />

> chiesero le sorelle.<br />

><br />

><br />

> <strong>di</strong>ssero i ragazzi<br />

><br />

> <strong>di</strong>sse Ben.<br />

> precisò Pompeo.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Le ragazze ci misero tanta buona volontà, ma erano piuttosto maldestre. Per fare certe<br />

cose non basta la voglia, ci vuole l’ispirazione. O meglio, l’istinto. Ben e Pompeo si<br />

fecero nu tanticchia male e quell’esperienza ci passi na minata giurassica, na minata<br />

del tempo in cui le mani dovevano perfezionare la loro capacità <strong>di</strong> strumenti<br />

multiuso. Tra cui la capacità <strong>di</strong> maniare con gioia, delicatezza, arte e sapienza il<br />

marrugghiu maschile. In ogni modo, tra alti e bassi, più bassi che alti, la minata<br />

andò avanti. A un certo punto Ben e Pompeo capirono che stavano per venire.<br />

> <strong>di</strong>sse Pompeo.<br />

> aggiunse Ben.<br />

Le ragazze non risposero, fecero. Spalancano le loro boccucce innocenti e assoporanu<br />

il nuovo prodotto biologico.<br />

> <strong>di</strong>ssero le sorelle . E si alliccarono il musso.


chiese Ben.<br />

> <strong>di</strong>sse Devozione.<br />

> <strong>di</strong>sse l’altra sorella.<br />

Quella notte Ben e Pompeo parlarono dell’esperienza fatte con le sorelle Bucochiuso.<br />

Era stata una bella esperienza , solo nu tanticchia dolorosa. Ad entrambi faceva male<br />

la minchia. La cappella in particolare. Quelle ragazze avevano bisogno <strong>di</strong><br />

perfezionare la loro manualità. E iniziarono a pensare a uno scherzo per le sorelle<br />

Bucochiuso.<br />

Devozione e Consolata quella notte non dormirono molto. Erano felici <strong>di</strong> aver visto e<br />

maniato la <strong>prima</strong> minchia dal vivo. E <strong>di</strong> averla vista anche pisciare latte <strong>di</strong> minchia.<br />

E <strong>di</strong> averlo bevuto. Ma erano anche stanche. Tutto quel lavoro con le mani. La<br />

muscolatura delle braccia era stanca.<br />

> <strong>di</strong>sse<br />

Devozione a Consolata.<br />

><br />

Ma il sonno non arrivava. Allora Consolata si susiu e dallo zainetto tirò fuori due<br />

banane. Con quelle tornò dentro il sacco a pelo. Se la stricarono tra le mani, sulla<br />

bocca, tra le tette e poi se la piazzarono tra le cosce . Ma quella era fredda e non<br />

pisciava. All fine , ognuna con la sua banana tra le mani, si addormentarono. E<br />

sognarono <strong>di</strong> fare le dottoresse minchiologhe.<br />

Accussì tutti i mascoli <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>, e non solo, sarebbero venuti da loro per farsi<br />

controllare l’aceddu. E loro avrebbero toccato, valutato e catalogato. E nessuno le<br />

poteva pigliare per buttane perché erano dottoresse minchiologhe. E le dottoresse con<br />

quella specializzazione stu<strong>di</strong>ano e curano le minchie e i problemi della minchia.<br />

La tranquillità della notte fu <strong>di</strong>sturbata da una lite tra due ragazze. Lite per un caruso<br />

<strong>di</strong> ragioneria. Pompeo e Ben dovettero intervenire per risolvere la querelle. Le<br />

picciotte si accusavano tra <strong>di</strong> loro <strong>di</strong> essere delle buttane patentate. Ma a sua volta il<br />

caruso le aveva accusate <strong>di</strong> essere due buttane da strapazzo, buttane <strong>di</strong> nome ma<br />

senza arte né parte. Che lui, da parte sua, godeva <strong>di</strong> più quando andava da quella<br />

signora mezza matura che esercitava all’Arcazzo e che rispondeva al nome <strong>di</strong> Peppa<br />

delle Pippe. Quella era un <strong>di</strong>zionario enciclope<strong>di</strong>co dell’ars aman<strong>di</strong>, del kamasutra e<br />

<strong>di</strong> tutto il resto. D’altra parte veniva da uno dei più famosi casini <strong>di</strong> Catania, dove<br />

aveva fatto felici l’aced<strong>di</strong> dei pezzi da novanta <strong>di</strong> quel paese . Il caruso sparò che nei<br />

nuovi programmi ministeriali non ci voleva solo il corso <strong>di</strong> educazione sessuale, ma<br />

ci voleva pure il laboratorio <strong>di</strong> educazione sessuale. Per esempio, su bei manichini, le<br />

ragazze potevano apprendere l’arte della minata. Di come trattare l’aceddu dello zito.<br />

Potevano apprendere pure l’arte della fellatio. E apprendere la topografia delle zone<br />

erogene maschili. I ragazzi potevano fare lo stesso con un manichino femminile.<br />

Sapere come accarezzare una tetta, come succhiare o alliccare un capezzolo. Ma<br />

soprattutto come suonare la chitarrina e il bottoncino del campanello del piacere.<br />

Capire come portare la femmina al piacere. E qui non bastava il docente <strong>di</strong> scienze, ci


voleva l’esperto scientifico, ovvero il ginecologo e l’andrologo. Ma ci voleva pure<br />

l’esperto pratico. Ovvero una buttana patentata e doc. Su quella storia Pompeo scisse<br />

il sonetto “SORA MIGNOTTTA.”<br />

An ve<strong>di</strong> che faccione de mignotta.<br />

Vardala che gran culo tonno tonno,<br />

più 'o vedo , più me pare er mappamonno.<br />

Io giuro che in ogni bucio è rotta.<br />

Er su prezzo è dumila a la botta<br />

e cià un buco così largo e tonno<br />

che ce vo un maxicazzo p'arrivà n'fonno.<br />

Damose er cuplone a sta carne scotta.<br />

Le zinne fanno sue giù inutirmente,<br />

na cavarcate più lei che le cavalle,<br />

se la ve<strong>di</strong> intra a bocca è senza un dente.<br />

Che la morte se possa caricalle,<br />

a lei co tutte l'antre amorvendenti,<br />

a ufo rompicazzi e consumapalle.<br />

Ultimamente è giunta a noi la nuova, con nostra grande costernazione,<br />

che, in talune parti dell’Alta Germania, nelle province, nelle città, nei<br />

territori, nei paesi e presso i laghi <strong>di</strong> Mainz, Colonia, Treviri,<br />

Salisburgo e Brema, gran numero <strong>di</strong> persone d’ambo i sessi, <strong>di</strong>mentichi<br />

della salvezza dell’anima loro e contro la fede nel Credo Cattolico, si<br />

sono donate ai demoni sotto forma <strong>di</strong> ‘incubi’ e <strong>di</strong> ‘succubi’. Con i loro<br />

incantesimi, esorcismi e atti infami <strong>di</strong>struggono il frutto nel grembo<br />

delle donne, delle vacche e <strong>di</strong> vari altri animali; <strong>di</strong>struggono messi,<br />

vigneti, frutteti, prati, pascoli, frumento, orzo e altre piante vegetali;<br />

recano dolore e afflizione, gran<strong>di</strong> sofferenze e malattie terrificanti (sia<br />

esterne che interne) a uomini, donne e bestie, greggi ed altri animali;<br />

impe<strong>di</strong>scono agli uomini <strong>di</strong> generare e alle donne <strong>di</strong> concepire; rendono<br />

impotenti tanto le mogli che i mariti.<br />

Summis desiderantes affectibus, bolla <strong>di</strong> papa Innocenzo VIII, 1484


TREDICI : L’EDUCAZZIONE SESSUALE<br />

Piglia duecento ova <strong>di</strong> formiche et once una d'olio comune bono e sei once<br />

<strong>di</strong> latte <strong>di</strong> pecora o capra et impasta ogni cosa assieme e metti in vaso <strong>di</strong><br />

vetro che vi stia almeno per una notte e nel l'hora che tu vuoi usare il<br />

coito, ongi il membro che starà durissimo.<br />

Ricettario magico del XVI sec.<br />

Minchia <strong>di</strong> masculu la fimmina voli<br />

.. ma a chidda <strong>di</strong> lu sceccu pensa.<br />

Quella mattina l’assemblea studentesca era riunita nel cortile perché aspettavano<br />

un’esperta . La dottoressa Eusebia Ferretti, la moglie del sindaco barone Tonino<br />

Incardasciò. Erano tutti nel cortile, la giornata era bellissima. Mancavano solo le<br />

sorelle Bucochiuso.<br />

> <strong>di</strong>sse Cettina Localdo.<br />

> aggiunse Monja Ladò.<br />

> <strong>di</strong>sse Calogero Cannuni.<br />

> <strong>di</strong>sse la studentessa Marinella<br />

Cacatore .<br />

Pompeo prese la parola: ><br />

> <strong>di</strong>ssero maschi e femmine.<br />

><br />

> chiese Carmelo Obesone che voleva fare il modello e lo<br />

<strong>di</strong>ceva sempre. Il modello per le gran<strong>di</strong> forme.<br />

> rispose Pompeo.<br />

> <strong>di</strong>ssero tutti ridendo a crepapelle.<br />

Sia i mascoli che si dovevano esibire, sia le femmine che dovevano taliare. D’altra<br />

parte in un giornale era venuta fuori la notizia che all’estero, dove la società era più<br />

libera e aveva il portuso del culo molto più largo della signora morale italiana, che<br />

era una signora ammuccaparticoli e caca<strong>di</strong>avoli, c’erano <strong>di</strong> locali dove i mascoli si<br />

spogliavano nu<strong>di</strong> per la gioia <strong>di</strong> un pubblico femminile.<br />

> <strong>di</strong>ssero Ben e Pompeo.<br />

Proprio allora fecero la loro comparsa, mezze assonnate, le sorelle Bucochiuso.<br />

> chiesero.<br />

><br />

><br />

> <strong>di</strong>sse Mela Ficcatora<br />

>


specifico Mary Lovoglio.<br />

> risposero tutti in coro.<br />

Devozione e Consolata si taliano in facci.<br />

> si chiesero.<br />

> sparò Bastino Acchiladò.<br />

> risposero le sorelle.<br />

In quel momento entrarono i fratelli Cecè e Fefè Sparaminchiati con lo scheletro del<br />

laboratorio <strong>di</strong> biologia. Solo che avevano aggiunto tre palloncini belli lunghi che<br />

simulavano tre minchie. E sotto sei palloncini piccoli. Tutti scoppiarono a ridere. Su<br />

ogni palloncino lungo ci stava scritto un nome: Alfia, Cirina e Filadelfia. Poi lo<br />

misero sul pie<strong>di</strong>stallo del cortile. Alla base posarono un cartello che <strong>di</strong>ceva “ Homo<br />

dottoratus trimentulas.” Tutti capirono che quello era il dottore Minchiatrina e che<br />

quelle tre minchie <strong>di</strong> plastica erano per le tre sorelle Stoccacitrolo.<br />

Finalmente arrivo la dottoressa. Aveva con sé il piccolo Pascal. Quattro anni <strong>di</strong> peste<br />

bubbonica concentrata in pochi chili <strong>di</strong> carne. La dottoressa Eusebia a vedere il<br />

manchino scoppiò a ridere.<br />

> gridò Pascal. Tutti risero.<br />

> esordì la dottoressa.<br />

E fece una bella <strong>di</strong>scussione sulla sessualità responsabile. Parlò dell’intromissione<br />

ignobile della religione in genere sui fatti legati al sesso e la relativa negazione del<br />

piacere da parte della gente <strong>di</strong> chiesa. Poi rispose alle domande poste dei ragazzi.<br />

Senza omissioni e senza censure, ma soprattutto senza bacchettonismi. Intanto il<br />

piccolo Pascal girava e si fermava a parlare solo con le ragazze molto belle. Così, per<br />

istinto. Sentiva già il “ ciauro <strong>di</strong> sticchio.” E quelle belle facevano più ciauro delle<br />

altre. E il Pascal ne era attratto.<br />

Un ragazzo chiese se la masturbazione consuma il coso.<br />

><br />

> chiese un ragazzo.<br />

><br />

> chiese Francesco Arrapatazzo.<br />

><br />

> chiese Turri Lallupato.<br />

><br />

> <strong>di</strong>sse Minico Anticazzu.


ispose la<br />

dottoressa.<br />

> chiese Bastiano<br />

Autrasponna, che da tutti veniva sfottuto per le sue preferenze masculine e per come<br />

sculettava.<br />

><br />

><br />

><br />

Tutti risero. Anche Pascal. E alla fine volle parlare anche lui.<br />

> Tutti applau<strong>di</strong>rono.<br />

> chiesero le sorelle Bucochiuso.><br />

Tutti risero. E capirono che le sorelle Bucochiuso finalmente avevano maniato una<br />

minchia e forse assaggiato la stessa.<br />

> fu la domanda che ossessionò da quel momento in poi la testa delle<br />

ragazze e il cervello dei carusi che sospettavano l’uno dell’altro. Alla fine<br />

concordarono tutti sui noni <strong>di</strong> Ben e <strong>di</strong> Pompeo. E naturalmente sulle rispettive<br />

minchie. Loro soli dormivano in due in presidenza. E la terza incomodo, Iatata, era<br />

assente per motivi <strong>di</strong> famiglia.<br />

><br />

> urlò qualcuno dalla platea.<br />

> riprese Eusebia Ferretti maritata Incardasciò


comunicazione… Comunque adesso vi saluto e vi auguro <strong>di</strong> stare bene e <strong>di</strong> non fare<br />

fesserie.. il sesso è un piacere non una malattia.. la paternità e la maternità devono<br />

essere scelte volontarie e non imposte dal caso.. il sesso è conoscenza e non <strong>di</strong>sgrazia<br />

o male<strong>di</strong>zione.. quin<strong>di</strong> pigliatevi il piacere che vi tocca ma non combinate guai …<br />

per fare piccirid<strong>di</strong> ci sta tanto tempo..>> . Tutti applau<strong>di</strong>rono.<br />

><br />

Erano ancora le sorelle Bucochiuso.<br />

> <strong>di</strong>sse Eusebia.<br />

><br />

>. I ragazzi applau<strong>di</strong>rono.<br />

> <strong>di</strong>sse la dottoressa.<br />

> <strong>di</strong>sse Pascal.<br />

> riprese Eusebia ><br />

> <strong>di</strong>ssero le sorelle.<br />

> <strong>di</strong>sse Eusebia andando via.<br />

Quella sera Micio Tempio e la sua amica russa Kosetta Fikaminkianova si recarono<br />

da padre Ciollardente e gli <strong>di</strong>ssero che volevano sposarsi. Fare famiglia secondo<br />

tra<strong>di</strong>zione.<br />

> chiese il prete stupito, rincoglionito e amminchiolito al mille per<br />

mille.<br />

><br />

> chiese il Ciollardente basito.<br />

> rispose Micio Tempio.<br />

> <strong>di</strong>sse il prete rincoglionito assai assai.<br />

><br />

> <strong>di</strong>sse il prete.


aggiunse Kosetta.<br />

> aggiunse il prete.<br />

Padre Ciollardente fu preso da un brivido <strong>di</strong> piacere e assaporò il gusto della vittoria.<br />

Il pornografo laico calava le corna. Davanti a lui. Per amore <strong>di</strong> uno sticchio ma li<br />

calava.<br />

> <strong>di</strong>sse il prete.<br />

> <strong>di</strong>ssero Micio e Kosetta.<br />

> rispose il prete a cui la vittoria aveva fatto attisare l’uccello.<br />

><br />

Padre Ciollardente consultò la sua agenda. Il venticinque luglio andava bene. Segnò<br />

la data, la data del suo trionfo su quel miscredente <strong>di</strong> Micio Tempio. La data del<br />

ritorno del nuovo figliol pro<strong>di</strong>go, la data della nuova suonata delle trombe <strong>di</strong> Gerico<br />

e della caduta delle mura ideologiche che circondavano le idee malefiche <strong>di</strong> Micio<br />

Tempio. La pecorella assai assai smarrita ritornava all’ovile. Questi pensieri<br />

eccitarono il parrino assai assai. Oramai aveva un cannone sotto tonica. Doveva<br />

sparare. A mano o in altra maniera doveva espellere la tensione attraverso la sua<br />

ciolla, ma a mano non c’era tanto piacere. Meglio avere una collaboratrice.<br />

Infatti appena Micio e Kosetta andarono via padre Ciollardente telefonò a donna<br />

Carmela , la sua parrocchiana preferita, e la pregò <strong>di</strong> raggiungerlo in canonica per<br />

affari urgenti. Donna Carmela si precipitò. Sapeva che gli affari urgenti <strong>di</strong> padre<br />

Ciollardente era affari <strong>di</strong> ciolla addumata che lei, con amore e passione, doveva<br />

stutari in qualche modo. E donna Carmela era sperta assai nell’arte <strong>di</strong> stutari cannili<br />

addumati.<br />

Quel pomeriggio i maschi si riunirono in assemblea. Per parlare dello scherzo da fare<br />

alle sorelle Bucochiuso. Programmarono per il sabato. E aderirono tutti alla proposta<br />

<strong>di</strong> Ben e Pompeo. Sfilare nu<strong>di</strong> o parzialmente nu<strong>di</strong>, ma obbligatoriamente con<br />

l’uccello <strong>di</strong> fuori.<br />

> chiese Giovanni Sempreduro.<br />

> <strong>di</strong>sse Pompeo.<br />

> <strong>di</strong>ssero i ragazzi.<br />

Quella sera Devozione e Consolata Bucochiuso ritornarono in presidenza a fare<br />

quattro chiacchiere con Ben e Pompeo. Alla fine , non sapendo che cazzo fare, Ben e<br />

Pompeo convinsero le sorelle a giocare a scopa.<br />

><br />

><br />

>chiesero quelle.<br />

> risposero Ben e Pompeo.


><br />

Giocando con arte Pompeo e Ben a volte vinsero e a volte persero. Pertanto ci fu un<br />

progressivo spogliarello reciproco. Alla fine erano tutti e quattro in mutande. La<br />

partita conclusiva fu persa dalle ragazze che restarono nude. Ben e Pompeo invece<br />

erano in mutande.<br />

> chiesero quelle.<br />

> <strong>di</strong>sse Ben.<br />

><br />

> propose Pompeo.<br />

><br />

><br />

> <strong>di</strong>ssero le sorelle.<br />

Ben e Pompeo si tolsero le mutande e incominciò il balletto. Lo stato <strong>di</strong> eccitazione<br />

crebbe per tutti. Alla fine i ragazzi buttarono le caruse per terra e ci si piazzarono <strong>di</strong><br />

sopra . Con la testa tra le cosce. E la minchia che pendeva sulle facce <strong>di</strong> Devozione e<br />

Consolata.<br />

> chiesero le ragazze.<br />

><br />

Devozione e Consolata capirono che dovevano brindare ancora col latte <strong>di</strong> brigghiu.<br />

Ma fu piacevole anche quella lingua che alliccava il loro buco chiuso e quel<br />

pezzettino <strong>di</strong> carne che nei libri <strong>di</strong> biologia era in<strong>di</strong>cato col nome <strong>di</strong> clitoride. I<br />

ragazzi volevano fare <strong>di</strong> più, ma le ragazze posero l’alt.<br />

><br />

Quella notte Devozione e Consolata dormirono con le banane. Pompeo e Ben si<br />

proposero <strong>di</strong> rompere il buco alle sorelle <strong>prima</strong> del ritorno <strong>di</strong> Iatata. Erano felici ma<br />

sentivano la mancanza della zita e dell’amica. Devozione e Consolata erano il nulla.<br />

E visto che non avevano potuto trasiri nel corpo delle ragazze entrarono, a turno, nel<br />

loro corpo.<br />

> <strong>di</strong>sse Pompeo a Ben alla fine<br />

> precisò Ben.<br />

> <strong>di</strong>sse il<br />

romano.<br />

><br />

> chiese Pompeo.<br />

><br />

> <strong>di</strong>sse il romano.<br />

> puntualizzò Ben che nelle cose <strong>di</strong> pilu voleva la<br />

democrazia massima. Dormirono tenendosi la rispettiva ciolla in mano e pensando<br />

alla fica <strong>di</strong> Iatata . Che volevano visitare insieme contemporaneamente.


Su quel corso <strong>di</strong> sessualità libera Pompeo scisse poi un bel sonetto.<br />

< < Oggi, se fa educazione sessuale,<br />

Anzi, viè tu, Toto, sei interrogato.<br />

Hai capito quello che ieri ho spiegato?<br />

Dico, non è che ora risponni male?<br />

Te farò na domanna molto banale:<br />

tu ciai un<strong>di</strong>cianni o me so sbajato?>><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Conquisterò quella donna; la toglierò al marito che la profana: ar<strong>di</strong>rò<br />

rapirla sinanche al Dio che ella adora. Che delizia essere a volta a volta<br />

l’oggetto e il vincitore dei suoi rimorsi! Lontano da me l’idea <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>struggere i pregiu<strong>di</strong>zi che la circondano! Aumenteranno la mia<br />

felicità e la mia gloria. Creda alla virtù, ma me la sacrifichi, le sue<br />

colpe la spaventino, ma non la fermino.<br />

Ch. de Laclos<br />

Il genere umano che ha creduto e crede tante scempiaggini, non crederà<br />

mai né <strong>di</strong> non saper nulla, né <strong>di</strong> non essere nulla, né <strong>di</strong> non avere nulla<br />

da sperare.<br />

G. Leopar<strong>di</strong>


QUATTORDICI : NATALINO ER MAGNACCIA<br />

Quanno ’a matina, ’nfracetata ’e suonne,<br />

t’a avuote ’int’ ’e llenzole e quanno ’a sera<br />

jesce a fa’ ’a vita cu’ nu sciallo argiento, tu<br />

sempre, Granda, ’Nfame, m’arravuoglie.<br />

S. Di Natale; <strong>di</strong>aletto napoletano<br />

La fica è la cosa chiù moderna e chiù antica...............................................<br />

Quella mattina arrivò il tuttologo Kalò Bi- Gi. Che parlò e sparlò a trecentosessanta<br />

gra<strong>di</strong>. Ma sempre <strong>di</strong> sesso.<br />

><br />

Tutti applau<strong>di</strong>rono.<br />


illegittimi. E su questo potrei citare casi a iosa. . Anche <strong>di</strong> parrini <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong> e<br />

<strong>di</strong>ntorni. Ma lascio ai posteri l’arte del cazzeggio locale. Per fortuna ci fu , a suo<br />

tempo, la rivoluzione francese. E l’Europa iniziò a liberasi dal cappio strangolatore<br />

della chiesa. Quel cappio che circondava il collo <strong>di</strong> tutti. E non solo. Circondava<br />

anche i coglioni e la testa della ciolla. Pronta a strozzare gli uccelli del maschi. E a<br />

sterilizzarli. Mentre ai buchi femminini quelli volevano mettere il tappo. Poi i roghi si<br />

spensero e la mentula e il cunnu iniziarono il loro cammino verso una nuova libertà.<br />

Che è ancora poca, ma in futuro migliorerà.>><br />

Tanti fecero domande e il tuttologo rispose.<br />

Il venerdì sera le sorelle Devozione Consolata Bucochiuso tornarono in presidenza. E<br />

quella sera avevano pitittu <strong>di</strong> sentire la banana <strong>di</strong> carne , se non nel buco chiuso, che<br />

chiuso doveva restare, almeno nel buco alternativo. Ne avevano <strong>di</strong>scusso e avevano<br />

deciso <strong>di</strong> facilitare l’operazione, nel caso che Ben e Pompeo non ci avessero provato.<br />

Andarono a trovarli che era tar<strong>di</strong>. I ragazzi erano già nel sacco a pelo. Loro ci si<br />

ficcarono piano piano, dopo essersi smutandate. E dopo aver giocato con i piselli <strong>di</strong><br />

carne si misero a pancia in giù. Tutto accadde come previsto e senza <strong>di</strong>re una sola<br />

parola. Fu quella la messa in culo del silenzio. Solo quando Ben e Pompeo ripartirono<br />

all’attacco dell’altro buco Devozione e Consolata <strong>di</strong>ssero >.<br />

> <strong>di</strong>ssero i ragazzi.<br />

Le ragazze risposero >.<br />

Il giorno dopo venne Micio Tempio. Che parlò del suo matrimonio con Kosetta<br />

Fikaminkianova . E invitò tutti a vedere la cerimonia, che sarebbe stata esplosiva.<br />

Poi parlò del sesso nella letteratura. Parlò <strong>di</strong> robe antiche e <strong>di</strong> robe moderne. Parlò <strong>di</strong><br />

Elena <strong>di</strong> Troia e <strong>di</strong> una guerra fatta per una fica. Parlò <strong>di</strong> autori greci e latini che<br />

scherzavano col sesso degli dei e degli uomini. Parlò delle posizioni preferite dagli<br />

antichi per fare l’amore. Il cavallo <strong>di</strong> Ettore e la Venere a posteriori. Parlo<br />

dell’Aretino, del Boccaccio. Di conventi simili a bordelli e <strong>di</strong> frati e monache che si<br />

passavano il tempo a fare ficca ficca. Concluse parlando del suo “ Sticchio glorioso”.<br />

Un omaggio al buco che muove e smuove il mondo. Che muove e smuove i<br />

sottapanza masculini.<br />

> <strong>di</strong>sse Micio Tempio.<br />

E citò femmine della storia che con la fica avevano conquistato il potere.<br />

Quella sera gli occupanti videro tutti insieme un film su un magnaccia. Non alla tv<br />

moralista e bacchettona. Ma sulla parete del teatrino della scuola e utilizzando il<br />

proiettore della stessa. Il film era stato affittato a Catania. E su quello fecero un<br />

<strong>di</strong>battito. Tutti erano contrari allo sfruttamento del sesso. Si poteva fare la buttana sì,<br />

ma in piena autonomia. Non perché lo imponeva o lo desiderava il magnaccia. Il film<br />

era bellissimo. E per la <strong>prima</strong> volta <strong>di</strong> vedevano dei nu<strong>di</strong> maschili e femminili.


Nu<strong>di</strong> frontali. Con pacchi bed<strong>di</strong> pelosi e cazzi in erezione. Ci mancava solo il sesso in<br />

azione. Ma era ben simulato. Il film era tedesco. Su quella storia il solito Pompeo<br />

esercitò la sua arte poetica scrivendo il sonetto “NATALINO ER MAGNACCIA”<br />

Io so Natalino e fo er magnaccia,<br />

vivo sur lavoro de le cristiane<br />

ch'aricevono uccelli in cerca 'e tane.<br />

Così tiro avanti sta vitaccia.<br />

So un tipo ch'a ha tutti rido in faccia,<br />

nun ho gnente da perde , monno cane,<br />

nun m'accontento d'un tozzo de pane,<br />

nun penso mai a sarvà l'animaccia.<br />

E donne pe' me vanno a fasse fotte<br />

in cambio de na certa protezione.<br />

E per chi la sbaja un sacco de botte.<br />

Mo' renno grazie - e non p'esse cojone -<br />

a san Cazzo patrono de mignotte<br />

che ma fatto fa' na gan posizione.<br />

Ubi rationabilitas, ibi necessario libertas.<br />

Dove avrai spazio per ragionare, lì necessariamente la libertà.<br />

G. Scoto Eriugena<br />

Disgrazia a chi provoca le rivoluzioni, ma anche a chi le fa.<br />

G. Danton


QUINDICI : MAMMA SIMONA<br />

Ner monno ha fatto Id<strong>di</strong>o 'ggni cosa deggna:<br />

Haffatto tutto bbono e tutto bbello.<br />

Bono l'inverno, più bbona la leggna:<br />

Bono assai l'abbozza, mmejjo er cortello.<br />

Bona la santa fede e cchi l'inzeggna,<br />

Più bbono che cce crede in der ciarvello:<br />

Bona la castità, mmejjo la freggna:<br />

Bono er culo, e bbonissimo l'uscello.<br />

G. Belli; <strong>di</strong>aletto romanesco<br />

“Minchia.. e chi chiovunu cazzi pi mia..”<br />

<strong>di</strong>sse Danae intanto che Giove la futtia.<br />

Arrivò il sabato sera. La sera della sfilata. Tutte le ragazze erano in platea. Nessun<br />

ragazzo aveva rinunciato ad esibire le sue qualità nascoste. Sul palco c’erano i<br />

presentatori ufficiali della serata. Ben Cicidda e Pompeo Sorcaealtro. Erano in pareo.<br />

> <strong>di</strong>sse Ben.<br />

> aggiunse Pompeo.<br />

> <strong>di</strong>sse Ben.<br />

> <strong>di</strong>sse Pompeo. >.<br />

> concluse


Ben. Così <strong>di</strong>cendo Ben e Pompeo fecero cadere il loro pareo e restarono nu<strong>di</strong>, con la<br />

ciolla semigonfia esposta alla pubblica visione.<br />

> fecero le ragazze che sapevano in cosa consisteva lo spettacolo.<br />

Anche le sorelle Devozione e Consolata fecero “Ohhhh..”. Ma la loro era sorpresa<br />

autentica. E per la <strong>prima</strong> volta pensarono che tipo <strong>di</strong> sfilata poteva essere. E<br />

indovinarono. Col commento <strong>di</strong> Ben e Pompeo sfilarono tutte le minchie dei tre<br />

istituti. Sarebbe stato bello avere in platea anche le sorelle Stoccacitrolo per<br />

contemplare la gamma varia e variabile dei citroli <strong>di</strong> quelle tre scuole. Sfilò <strong>di</strong> tutto.<br />

Cazzi piccoli e gran<strong>di</strong>, cazzi mosci, semimosci e cazzi duri, cazzi chiari e cazzi scuri,<br />

minchie incappellate e minchie scappellate, minchie nude e minchie ficcate dentro un<br />

preservativo, cazzi col fiocco e cazzi colorati, cazzi con la panna e cazzi con la salsa.<br />

I commenti dei due presentatori furono esilaranti.<br />

><br />

E durante la sfilata la minchia <strong>di</strong> Ben e il creapopoli <strong>di</strong> Pompeo , a picca a picca<br />

gonfiarono. Si arrivò alla fine che i due tenevano la minchia dura come il marmoro.<br />

Dura come il marmoro ma calda come la lava. Le ragazze taliarono estasiate la<br />

sfilata. In particolare le sorelle Bucochiuso. Alla fine Pompeo e Ben si abbracciarono<br />

davanti a tutti. E nell’abbraccio si trovarono minchia contro creapopoli. Per salutarsi<br />

non si <strong>di</strong>edero la mano, ma si presero l’uccello in mano.<br />

Accussì, mentre tutti i modelli tornavano sul palco, lo spettacolo finì. Finì che tutti<br />

<strong>di</strong>edero il culo alla platea. Una marea <strong>di</strong> culi. E una marea <strong>di</strong> applausi segnò la fine<br />

dello spettacolo.<br />

Quella notte Devozione e Consolata decisero <strong>di</strong> darla via. Era corsa voce che Iatata<br />

sarebbe rientrata il giorno dopo. Anche se non aspiravano ad avere Ben e Pompeo<br />

sempre per loro, desideravano la loro <strong>prima</strong> volta con quei due ragazzi . E quella<br />

notte raggiunsero decise la presidenza . Entrarono senza bussare. E sentirono subito<br />

dei sospiri.<br />

> <strong>di</strong>sse piano piano Consolata alla<br />

sorella.<br />

> rispose Devozione.<br />

> <strong>di</strong>sse la <strong>prima</strong>.<br />

><br />

E accese la luce. Non c’era nessuna ragazza. Ben e Pompeo si la stavano minando<br />

reciprocamente. E intanto si baciavano.<br />

> <strong>di</strong>sse Devozione.<br />

> rispose l’altra.<br />

> <strong>di</strong>sse Ben tranquillo come una pasqua.


aggiunse il romano sorridendo.<br />

Le sorelle scoppiarono a ridere .<br />

><br />

Adesso risero i ragazzi . E smisero anche <strong>di</strong> minarsela. Devozione e Consolata si<br />

avvicinarono facendo volare via la cammisa da notte.<br />

> <strong>di</strong>ssero.<br />

Pompeo e Ben le taliarono con la faccia assai assai rincoglionita. Le femmine ci si<br />

buttarono addosso. Per la sorpresa le candele si ammosciarono. E nonostante i baci<br />

bocca a bocca e la conseguente glossomachia le candele non si riaccesero. Ma le<br />

mani e la bocca delle ragazze fecero poi il miracolo. E finalmente le sorelle<br />

Bucochiuso si fecero aprire in loro buco. Con calma, tranquillità, passione, e<br />

delicatezza le candele dei ragazzi entrarono dentro e in un crescendo <strong>di</strong> piacere le<br />

portarono all’orgasmo. Dopo, tanto per sperimentare, le sorelle cambiarono<br />

marrugghio. Dormirono insieme quella notte e l’indomani mattina fecero ancora del<br />

buon sesso. Si fecero un giro doppio <strong>di</strong> minchia .<br />

Quella sera domenicale rientrò Iatata . Bella piu che mai. Rientrò che erano le <strong>di</strong>eci <strong>di</strong><br />

sera. Ben e Pompeo ci avevano perso la speranza. Le sorelle Bucochiuso ci sperarono<br />

fino alla fine. Potevamo passare una nuova notte coi loro amici <strong>di</strong> sesso. Invece Iatata<br />

rientrò e dopo aver raccontato a tutti quattro cose si chiuse in presidenza con l’amico<br />

e lo zito. E raccontò della scoperta <strong>di</strong> suo padre Cepito. Concettina era la vera nonna.<br />

E Concetto Cicidda, il nonno <strong>di</strong> Ben, era anche suo nonno.<br />

> <strong>di</strong>sse allora Ben<br />

><br />

aggiunse Pompeo.<br />

> <strong>di</strong>sse Iatata .<br />

> chiese Pompeo che credeva in quell’amore a<br />

tre. Ben e Iatata si taliarono negli occhi e <strong>di</strong>ssero:<br />

><br />

> chiese Pompeo..<br />

><br />

> chiese Pompeo.<br />

> <strong>di</strong>ssero i cugini fidanzati.<br />

Pompeo e Ben raccontarono a Iatata che si erano consolati l’un l’altro. L’uno nella<br />

braccia dell’altro. E che avevano anche fatto l’amore. L’uno con l’altro.<br />

> <strong>di</strong>sse lei seria.<br />

> <strong>di</strong>ssero in coro Pompeo e Ben<br />

> E iniziò a spogliarsi. Si spogliarono anche i ragazzi. E si<br />

ficcarono nello stesso sacco a pelo. Iatata acchiappò i due uccelli e li baciò a lungo.<br />

Poi <strong>di</strong>sse : ><br />

> risposero i ragazzi.


Lei si mise <strong>di</strong> fianco e gli uccelli dei due ragazzi si ficcarono tra le sue cosce. Le<br />

cappelle si strofinarono tra <strong>di</strong> loro. La fica <strong>di</strong> Iatata li pisciò entrambi. Loro avevano<br />

in testa <strong>di</strong> ficcare lo strumento insieme nella fica <strong>di</strong> lei. Ma non sapevano da dove<br />

iniziare. Lei li voleva e basta.<br />

Allora i ragazzi iniziarono a puntare la propria cappella contro la fica <strong>di</strong> lei. Una volta<br />

la trasia uno. Una volta l’altro. E lei sospirava in modo <strong>di</strong>verso, come in un gioco<br />

prestabilito. Se trasia Ben facia “Ihhhhh… “, se trasia Pompeo facia “ Uhhhh….”. E<br />

loro stettero a quel gioco improvvisato. E ogni volta trasivano <strong>di</strong> più. Fino a quando<br />

si presentarono entrambi all’ingresso.<br />

E lei fici “ Ehhh…”. Iniziarono ad entrare insieme .Pronti a smettere se lei lo<br />

chiedeva. Invece a sorpresa lei <strong>di</strong>sse:<br />

><br />

E loro entrarono. La fica <strong>di</strong> Iatata li ricevette entrambi. Nonostante fossero due belle<br />

minciazze. Uno trasiva, l’altro usciva. La sensazione delle due minchie che si<br />

toccavano era bella e piacevole per entrambi.<br />

> <strong>di</strong>sse lei<br />

> precisarono i ragazzi. Alla fine vennero. L’orgasmo fu trino.<br />

> <strong>di</strong>sse la ragazza.<br />

> risposero i ragazzi.<br />

> <strong>di</strong>ssero tutti insieme. E si <strong>di</strong>edero un complicato bacio a tre.<br />

Poi si riposarono e Iatata raccontò quello che aveva appreso su nonna Concettina.<br />

Compreso il suo passato <strong>di</strong> buttana nei casini romani. Col nome d’arte <strong>di</strong> Simona. E<br />

la carriera fatta poi, tanto da <strong>di</strong>rigere un casino <strong>di</strong> stato . O meglio, un casino <strong>di</strong><br />

regime. Fino al rientro a <strong>Monacazzo</strong> e il ritorno a una vita semplice e normale.<br />

Stava albeggiando quando Iatata chiese <strong>di</strong> vedere come si erano consolato in sua<br />

assenza. Ben e Pompeo glielo mostrarono. Senza censure e omissioni se la misero nel<br />

culo con passione. Dichiarandosi il loro amore. Questo riaccese il desiderio nella<br />

bocca del culo <strong>di</strong> lei.<br />

> <strong>di</strong>sse.<br />

I ragazzi l’accontentarono. Uno alla volta però. Per dovere <strong>di</strong> ospitalità iniziò<br />

Pompeo che a sua volta fu inculato da Ben. Poi si scambiarono le parti.<br />

Successivamente, mentre i cugini incestuosi dormivano, Pompeo de<strong>di</strong>cò una bella<br />

composizione a Simona, il nome d’arte <strong>di</strong> Concettina Inconsolata Cazzamari per fare<br />

la buttana.<br />

Questa la composizione de<strong>di</strong>cata a Simona.<br />

Quanno a Roma imperiava Mussolini<br />

mamma mia bella lavorava nei casini.<br />

Lo faceva per il bene dell’impero italiano,<br />

per lo sfogo dei soldati dell’impero puttano.<br />

Era pure al seguito della marcia su Roma:<br />

burini, fantini, le altre e lei, Simona.<br />

Era pure l’amante <strong>di</strong> uno der mazzo:


lui regnava sulla polizia, lei sur suo cazzo.<br />

Era sul palco d’onore d’ogni manifestazione,<br />

non temeva nessuno, era un cervellone.<br />

Così fu incaricata <strong>di</strong> organizzare i casini <strong>di</strong> stato,<br />

per il bene, la salute e lo sfogo dell’eroe soldato.<br />

Ed ecco nascere il primo casino del “ cazzo imperiale “.<br />

A Roma, in una traversa <strong>di</strong> via Nazionale.<br />

Sulla grande insegna, sistemata tra due portoni,<br />

un cazzo sproporzionato con tre coglioni.<br />

Qui Simona <strong>di</strong>rigeva il traffico degli amplessi<br />

tra zoccole rispettose e fascisti stupi<strong>di</strong> e fessi.<br />

C’erano pure dei reparti speciali, riservati.<br />

Per <strong>di</strong>rigenti, podestà e alti.. alti prelati.<br />

Ognuno <strong>di</strong> questi signori era catalogato,<br />

ogni loro <strong>di</strong>scorso veniva registrato.<br />

Così tra infinite fottute e altrettanti pompini<br />

il regime spiava i suoi stessi aguzzini.<br />

Così si sapeva che il signor tale preferiva il coito orale,<br />

che un ministro inculava al suono della “marcia reale”,<br />

che un alto prelato fotteva gridando “ Dio sia lodato”,<br />

e che un principino inculando voleva essere inculato.<br />

Insomma, si sapeva chi erano i fedeli e chi i farabutti,<br />

e il regime la dava un po’ in culo a tutti<br />

Poi l’organizzazione si estese a tutto in neo impero romano,<br />

e lei, novella Poppea , regnava con il cazzo in mano.<br />

In quanto a me sarei figlio <strong>di</strong> un certo car<strong>di</strong>nale,<br />

ma non è escluso che sii figlio <strong>di</strong> qualche altro tale.<br />

Alla fine della guerra mamma sposò un conte decaduto<br />

e brindò alla faccia del regime che s’era trovato fottuto.<br />

Una volta che a Roma non imperiava più Mussolini<br />

mia madre non lavorava più nei casini.<br />

Quel tale era morto ammazzato a la pompa della benzina<br />

mentre l’Italia era ridotta a una grande rovina<br />

dove regnavano miseria , morte e devastazione<br />

frutto <strong>di</strong> vent’anni <strong>di</strong> potere nelle mani <strong>di</strong> un coglione.<br />

D’altra parte, con l’avvento de regime demo- clericale,<br />

Mamma <strong>di</strong>venne presidentessa <strong>di</strong> una organizzazione sociale:<br />

si occupava un po’ <strong>di</strong> tutto, dai bambini abbandonati<br />

ai vecchi, ai vedovi, agli infermi e pure <strong>di</strong> matti e sbandati.<br />

Da tutti era adorata , da tutti era temuta.<br />

Nessuno osava più <strong>di</strong>re che fu una prostituta.<br />

Alla morte un grande e lussuoso funerale,<br />

la messa solenne, in duomo , celebrata da un car<strong>di</strong>nale.<br />

Fra le tante corone, quella del capo ello stato,


in quanto al Vaticano anche lui era rappresentato.<br />

Sulla lapide fu scritto “Qui giace Badalamenti Simona,<br />

esempio fulgido <strong>di</strong> donna virtuosa, pia e buona.”<br />

O compagno, giù la zappa; scappa scappa!<br />

Conosci tu ladroni peggio dei padroni?<br />

P. Bettini<br />

Mi stupisco non <strong>di</strong> coloro che cercano <strong>di</strong> spiegare l’incomprensibile,<br />

ma <strong>di</strong> coloro che credono <strong>di</strong> aver già trovato la spiegazione.<br />

G. Flaubert


SEDICI : ER CORNUTO<br />

Si vergognano gli uomini, degli atti sessuali, tanto che anche i rapporti<br />

coniugali, pur <strong>di</strong>stinguendosi per la <strong>di</strong>gnità dello stato matrimoniale, non<br />

sono mai esenti <strong>di</strong> vergogna.<br />

San Tommaso<br />

Li corna d’oro sunu sempri nu tesoro..<br />

Li corna pizzenti fanu sulu parrari la genti.<br />

La mattina del primo maggio, in attesa <strong>di</strong> Nikj Sciò, i ragazzi fecero una gara <strong>di</strong><br />

battute in latino vero o maccheronico. Queste le più belle.<br />

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Il primo maggio venne Nikj Sciò. Il pittore che aveva patito sotto il fascismo per due<br />

motivi. Fare arte degenerata ed essere frocio. Lui e il suo Alessjo erano stati<br />

minacciati da quei coglioni in camicia nera.<br />

> <strong>di</strong>sse ai ragazzi che ascoltavano incantati quell’intreccio<br />

d’amore e arte che era la vita del più famoso figlio <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>.<br />

><br />

Nikj cito pure Orazio “Già <strong>prima</strong> <strong>di</strong> Elena la fica fu causa orrende <strong>di</strong> guerre “. Parlò<br />

degli amori <strong>di</strong> Eracle e Iolao, Teseo e Piritoo, Achille e Patroclo, Oreste e Pilade e<br />

altri ancora. Citò Eschilo. “ la sacra comunione delle cosce”. Parlò <strong>di</strong> Apollo e dei


suoi amanti: Giacinto, Ciparisso e Admeto. Parlò <strong>di</strong> Platone e del concetto <strong>di</strong> “ phlìa<br />

<strong>di</strong>à tòn érota” , ovvero <strong>di</strong> amicizia che nasce dall’amore.<br />

> <strong>di</strong>sse poi<br />

convito Nikj.<br />

Raccontò che all’inizio, vista la <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> età, tra lui e Alessjo, il loro era stato il<br />

classico rapporto greco tra erastes ed eromènos , tra amante e amato, ma poi col<br />

tempo si era trasformato. Erano <strong>di</strong>ventati solo amanti.<br />

Nikj passo la notte all’interno della scuola occupata e insieme ai ragazzi <strong>di</strong>pinse un<br />

murales rivoluzionario. Una sorta <strong>di</strong> Giu<strong>di</strong>zio universale laico.<br />

Nella sala d’ingresso raffigurò una serie <strong>di</strong> rivoluzionari con le ban<strong>di</strong>ere rosse.<br />

C’erano Cristo, Platone, Apollonio <strong>di</strong> Tiana, Marx, Bakunin, Garibal<strong>di</strong>, Darwin ,<br />

Galileo, Voltaire, Diderot, Lenin, il Che, Mao, Castro, suo figlio Alex , Pompeo, Ben<br />

e Iatata e altri… Ci si mise, su richiesta dei ragazzi, anche lui . E aggiunse Alessjo.<br />

E su richiesta dei ragazzi pittò pure Eusebia Ferretti, per la rivoluzione sessuale,<br />

Tonino Incardasciò, per la rivoluzione politica, Calogero Bellarmino - Gugliotta per<br />

la rivoluzione critica e libertaria. Tutti nu<strong>di</strong> e con la ban<strong>di</strong>era rossa. E al vento pure<br />

gli stigghioli. E sotto i loro pie<strong>di</strong>, in una sorta <strong>di</strong> inferno laico, preti e coglioni vari.<br />

Nu<strong>di</strong> anche loro. Si riconoscevano padre Augustin, padre Ciollardente , padre<br />

Cacaceddu, le tre sorelle Stoccacitrolo, la santa botanica e autri scassacazzi e<br />

rompicoglioni autorizzati <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>.<br />

La sera del tre maggio una mano anonima consegnò un pacco. Era in<strong>di</strong>rizzato a Ben,<br />

Iatata e Pompeo. Dentro c’era una bobina. Di quelle fatte in casa. Un biglietto scritto<br />

a stampatello <strong>di</strong>ceva. FILMATO SULLE TRE SIGNORE MINCHIATRINA. DA<br />

VEDERE TUTTO.<br />

I ragazzi capirono che era qualche sceneggiata <strong>di</strong> quelle che si fanno a casa per<br />

lasciare un ricordo ai posteri. Qualche compleanno o roba simile. Comunque<br />

montarono la bobina e <strong>di</strong>edero il via alla proiezione. Infatti era un compleanno. Era la<br />

festa dei cinquant’anni del dottor Minchiatrina. Una festa strana , non c’erano invitati.<br />

Erano loro quattro, nella villa <strong>di</strong> campagna del dottore. C’era il tavolo tutto bello<br />

apparecchiato e la cinepresa in posizione fissa. E i quattro che mangiavano.<br />

> <strong>di</strong>sse qualcuno.<br />

> <strong>di</strong>sse qualcun altro.<br />

><br />

<strong>di</strong>sse un altro. Anche Ben , Pompeo e Iatata si stavano scassando i coglioni. Quel<br />

filmato era una cagata mastodontica.<br />

Ma all’improvviso la scena si animò. Purtroppo non c’era il sonoro. La tre sorelle<br />

Stoccacitrolo si misero a ballare in modo sensuale. Sculettavano e sia annacavano le<br />

minne. Facevano la mossa. E il dottore si mise a ballare con loro. E loro<br />

incominciarono a spogliarlo. Ci scippanu la cammisa, li causi, la canottiera e lu<br />

lassanu cu li mutanni. E sutta li mutanni paria ca c’era na bestia.<br />

> si chiese qualcuno.<br />

In platea c’era il massimo silenzio. Un religioso silenzio. Tutti avevano capito che<br />

quello era un documento <strong>di</strong> particolare importanza. Le tre ammuccaparticoli e


caca<strong>di</strong>avoli erano invece delle gran<strong>di</strong> minchiofile. Tutti taliavano e volevano vedere<br />

dove minchia andava a parare quel filmato. Che sicuramente qualcuno aveva rubato.<br />

Perché la cinepresa era su posizione fissa. E loro, i protagonisti, si esibivano sapendo<br />

sempre dove taliare. E infatti la sorpresa arrivò. E fu esplosiva. Il dottor Minchiatrina<br />

era rimasto solo avanti alla cinepresa. Solo e in mutande . Ma taliava la cinepresa con<br />

uno sguardo fisso. Uno sguardo erotico pieno <strong>di</strong> pititto come quello che teneva<br />

dentro le mutande e che rischiava <strong>di</strong> esondare, tracimare, sciri fora. E infatti sciu la<br />

cappella del dottore, si affacciau. Anche lei paria taliare verso la cinepresa. In realtà<br />

la minchia e la faccia del dottore taliavano oltre la cinepresa. Dove stava succedendo<br />

qualcosa <strong>di</strong> bello. Qualcosa che veniva messo in atto dalle sorelle Stoccacitrolo.<br />

Sicuramente uno spogliarello. E così stava la situazione. Perché all’improvviso tre<br />

femmine nude comparvero . Ma erano <strong>di</strong> spalle. Comunque erano le tre sorelle. Si<br />

avvicinarono al dottore e ci scipparono le mutande.<br />

> fecero maschi e femmine. Il dottore Minchiatrina non aveva tre<br />

minchie, ma teneva un cazzo scicchignu che era veramente un capolavoro della<br />

biologia. Nessuno dei ragazzi, neanche i più dotati, poteva fare concorrenza a quella<br />

bestia. Ecco perché il dottore riusciva a sod<strong>di</strong>sfare tre femmine. E le tre femmine,<br />

una volta scippate le mutande la dottore, iucanu un po’ con quell’aceddu e poi si<br />

misunu a sucari. In tre. Ma ci stava materiale sufficiente. Il filmi finì col dottore che<br />

sputava simenta sulle facce delle sorelle Stoccacitrolo.<br />

> <strong>di</strong>ssero tutti.<br />

><br />

><br />

><br />

In piazza. E intanto cantarono “Contessa.”<br />

A maggio scoppiò la rivolta francese. Parigi insorse contro i benpensanti, i moralisti,<br />

i conservatori. Le barricate del liberalismo sorsero spontanee. Anche in Italia<br />

successe un sessantotto. A <strong>Monacazzo</strong> la scuola fu sgomberata dalla polizia. Ma era<br />

già vuota. Trovarono tutto a posto, in or<strong>di</strong>ne, pulito. A parte una raccolta <strong>di</strong><br />

profilattici usati sulle scrivanie delle tre presidenza, i ritratti <strong>di</strong> Marx al posto dei<br />

crocefissi, e lo scheletro sistemato all’ingresso con le tre minchie <strong>di</strong> plastica. Per il<br />

resto era tutto in or<strong>di</strong>ne. Tutto, tutto, tutto.<br />

Ma la protesta interna passò, si spostò sulle piazze. Operai e conta<strong>di</strong>ni si unirono agli<br />

studenti. Le barricate si svilupparono anche nel profondo sud. Ciccio Cicidda si intisi<br />

in pericolo. Padre Ciollardente pensò alla rivoluzione francese e a quella russa, e si<br />

sentì straminacciato. Padre Cacaceddu si immaginò in qualche prigione del popolo .<br />

E si sentì quasi pronto ad andare davanti a un tribunale laico. Per essere condannato e<br />

<strong>di</strong>ventare un martire.<br />

Le sorelle presi<strong>di</strong> Stoccacitrolo presentarono una denunzia contro ignoti per “ furto<br />

dei sacri crocefissi, offesa alla loro <strong>di</strong>gnità per la volgare e insinuante messinscena


dello scheletro con tre organi genitali e per aver trasformato l’e<strong>di</strong>ficio scolastico in un<br />

lupanare.”<br />

Come prova e conferma <strong>di</strong> ciò consegnarono uno scatola piena <strong>di</strong> profilattici usati. E<br />

un pacco <strong>di</strong> giornali porno scritti in tedesco.<br />

> <strong>di</strong>sse Cirina Stoccacitrolo.<br />

> <strong>di</strong>sse il maresciallo<br />

Mezzocazzone che dentro <strong>di</strong> sé rideva per la storia dello scheletro con tre minchie.<br />

Tutti sapevano che le tre sorelle erano le mogli del dottore Minchiatrina.<br />

Poi venne fuori la ricevuta e si scoprì che i crocefissi erano stati spe<strong>di</strong>ti al papa in<br />

persona. Della cosa si occuparono i giornale con giu<strong>di</strong>zi <strong>di</strong>versi. L’impressione fu<br />

che era iniziata una nuova campagna per la libertà d’opinione e la laicità dello stato.<br />

In Italia c’erano ancora la censura, la religione <strong>di</strong> stato e mancavano il <strong>di</strong>vorzio e<br />

l’aborto. C’era insomma la <strong>di</strong>ttatura cattolica. E l’Europa rideva <strong>di</strong> noi.<br />

Intanto che a <strong>Monacazzo</strong> infuriava la protesta <strong>di</strong> piazza, padre Ciollardente si<br />

presentò a scuola con il cugino sacrestano e incensò, bene<strong>di</strong>sse e esorcizzò tutte le<br />

aule e gli uffici <strong>di</strong> segreteria . In ogni aula recitò la formula:<br />

><br />

Con particolare cura, assistito dalle sorelle Stoccacitrolo in abito da cerimonia,<br />

purificò le relative presidenze. Padre Ciollardente trovò scandaloso l’affresco <strong>di</strong><br />

Nikj.<br />

> <strong>di</strong>sse.<br />

Padre Ciollardente si scandalizzò assai assai per il murales. Si riconobbe e chiese<br />

ufficialmente <strong>di</strong> cancellarlo. Le presi<strong>di</strong> ci tenevano a quell’opera d’arte. Poteva<br />

<strong>di</strong>ventare una attrazione turistica. Lurdu o no , era un murales <strong>di</strong> Nikj Sciò. E questo<br />

nonostante ci fossero loro tre nude.<br />

> aveva detto Cirina la <strong>prima</strong> volta che<br />

aveva visto il murales.<br />

> aveva detto Alfia.<br />

> aveva<br />

aggiunto Filadelfia.<br />

Ma alla fine, nonostante fosse un murales <strong>di</strong> Nikj Sciò, si impegnarono per una<br />

imminente cancellazione. Padre Ciollardente era peggio <strong>di</strong> quegli stupidotti che<br />

avevano messo le mutande al giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> Michelangelo. Almeno avevano messo le<br />

mutande soltanto. Qua si prometteva la cancellazione totale. Non un nuovo<br />

Brachettone, ma un cancellatore doveva quanto <strong>prima</strong> entrare in azione.


La domenica successiva padre Ciollardente parlò <strong>di</strong> quella porcheria del murales. E<br />

chiese <strong>di</strong> pregare per l’autore. E per i suoi collaboratori. Raccontò pure che la scuola<br />

era <strong>di</strong>ventata una novella Sodoma e Gomorra. Pertanto si doveva pregare per i<br />

peccatori. Raccontò che erano stati trovati parecchi strumenti del demonio come tanti<br />

profilattici, tra l’altro usati, e dei giornali <strong>di</strong> una oscenità che vedendoli aveva pianto.<br />

Pertanto bisognava pregare anche per coloro che avevano procurato quel materiale. I<br />

cappottini <strong>di</strong> plastica e il giornali osceni. Il cugino sacrestano invece si alliccò il<br />

musso. Se n’era fottuto uno e lo teneva nascosto, niente a che vedere con i giornali<br />

che vendevano in Italia. Qui c’era tutto e il contrario <strong>di</strong> tutto. E soprattutto si vedeva<br />

tutto. E lui su quel giornale esercitava la sua arte minatoria. Intanto il parrino<br />

elencava le sue argomentazione e chiedeva <strong>di</strong> pregare per tizio o caio.<br />

><br />

> rispondeva la gente.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

< Preghiamo per chi accattato quelle porcherie <strong>di</strong> plastica..>><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Tutti rispondevano amen , tranne il cugino sacrestano. Lui rispondeva sempre “ ma<br />

minu.. ma minu.. ma minu..” Alla fine il prete annunciò il matrimonio <strong>di</strong> Micio<br />

Tempio e <strong>di</strong> Kosetta Fikaminkianova. Tutti si taliano nelle balle degli occhi.<br />

> queste le domande che i<br />

monacazzesi si fecero con gli occhi o sottovoce.<br />

Padre Ciollardente, come interpretando il pensiero dei suoi fedeli, <strong>di</strong>sse.<br />

><br />

E nel <strong>di</strong>re ciò ebbe una erezione spontanea. Il suo trionfo ideologico si concretizzava<br />

in quell’erezione. Era doveroso ricorrere a una parrocchiana e alla sue amorevoli curi.


Ai moti <strong>di</strong> piazza partecipo anche Alex Incardasciò, il figlio <strong>di</strong> Nikj Sciò. E guidò la<br />

rivolta con capacità e classe da rivoluzionario che sapeva cosa minchia fare quando<br />

c’era un problema. Con lui era un bella fregna tedesca che per la rivoluzione aveva<br />

l’istinto scritto nel DNA.<br />

Ai primi <strong>di</strong> giugno tutto finì.<br />

> commentò Ciccio Cicidda.<br />

> <strong>di</strong>ssero le sorelle<br />

Stoccacitrolo.<br />

> <strong>di</strong>sse Padre<br />

Ciollardente.<br />

Gli esami <strong>di</strong> stato andarono bene. C’era stata una sorta <strong>di</strong> grazia imposta dall’alto. Il<br />

presidente della commissione del geometra era un notorio cornuto <strong>di</strong> un paese vicino.<br />

Fece poche domande e si immischiò picca. Ci piaceva cazzuliare, abbabbiare. Il<br />

presidente era si un cornuto notorio, ma era grande gran<strong>di</strong>ssimo uomo <strong>di</strong> cultura. Ma<br />

anche uomo d’or<strong>di</strong>ne. Per lui i moti <strong>di</strong> piazza avevano svalutato tutto. La vita adesso<br />

era quasi una barzelletta, e tutto era <strong>di</strong> conseguenza <strong>di</strong>ventato una barzelletta. Anche<br />

la scuola.<br />

> Questa era la sua idea fissa.<br />

Quella del liceo era la signora del primo, e se quello era un cornuto, la moglie poteva<br />

essere solo una cosa. E lo era.<br />

Ben prese sessanta. Parlò del tragico pessimismo leopar<strong>di</strong>ano e lo contrappose al<br />

gioioso splinni baudeleriano . Parlò della vita grama <strong>di</strong> Leopar<strong>di</strong> e la paragonò a<br />

quella felice e gaudente <strong>di</strong> Verlaine e Rimbaud. Tra L’infinito e I fiori del male , per<br />

lui, erano migliori questi ultimi. Discusse molto su la “VENERE ANADIOMENE” <strong>di</strong><br />

Rimbaud.<br />

><br />

Discusse molto del “ buco “ nella letteratura.


<strong>di</strong>sse . ><br />

E fece una colta <strong>di</strong>squisizione sull’opera dell’amico. In particolare citò anche<br />

Pasolini, il più grande poeta , cineasta e scrittore del dopoguerra. E citò un poesia che<br />

l’amico aveva de<strong>di</strong>cato al sommo poeta.<br />

Poi parlò <strong>di</strong> topografia. E <strong>di</strong> cose del geometra. Materie tecniche.<br />

Pompeo prese sessanta. Parlo della morte <strong>di</strong> <strong>di</strong>o e del superuomo. E fece un<br />

escursussu che lasciò i professori a bocca spalancata. Parlò poi del laicismo e della<br />

libertà nella letteratura e nell’arte. Citò un quadro <strong>di</strong> Courbet, che sicuramente un<br />

giorno sarebbe stato pubblicamente esposto, e che si intitolava L’origine del mondo.<br />

E con l’idea <strong>di</strong> libertà arrivò a citare l’eretico autore locale che con il suo ultimo<br />

lavoro aveva esaltato l’anatomia femminile. “Sticchio glorioso” era il titolo del<br />

lavoro. Ma Pompeo , senza citare il titolo e senza nominare la parte interessata, fece<br />

una bella <strong>di</strong>squisizione erotico - sessuale- artistica. E parlo dell’importanza che quella<br />

cosa aveva avuto nella letteratura. Dalla “cosa” <strong>di</strong> Elena <strong>di</strong> Troia alla “cosa “ <strong>di</strong><br />

Moravia passando per la “cosa” <strong>di</strong> Dulcinea che faceva sempre attisare la “ lancia” <strong>di</strong><br />

Don Chisciotte, , della “ cosa “ <strong>di</strong> Beatrice che metteva l’alloro del poeta sul “ coso”<br />

<strong>di</strong> Dante alla “ cosa “ <strong>di</strong> Laura, <strong>di</strong> Silvia, <strong>di</strong> Ofelia, della locan<strong>di</strong>era, <strong>di</strong> Lucia<br />

Mondella. Perché il mondo firriava attorno a quella “ cosa”. Quella “cosa” era il<br />

mondo che firriava intorno all’asse terrestre. Ma l’asse terreste era <strong>di</strong> carne e teneva<br />

una altro nome. E Moravia ci <strong>di</strong>alogava. Ma parlò tanto anche <strong>di</strong> Satana. Perché la<br />

“cosa” e il “coso” secondo molti erano l’incarnazione <strong>di</strong> Satana. Prima , durante e<br />

dopo il Boccaccio, la” cosa “ era l’inferno e il “ coso” il <strong>di</strong>avolo. Citò a memoria la<br />

bellissima “ LE LITANIE DI SATANA” <strong>di</strong> Baudelaire.<br />


Satana, abbi pietà del mio lungo penare!<br />

Tu, il cui occhio limpido sa gli arsenali profon<strong>di</strong> in cui, sepolto, dorme il popolo dei<br />

metalli,<br />

Satana abbi pietà del mio lungo penare!<br />

Tu, la cui lunga mano nasconde i precipizi che s'aprono al sonnambulo vagante<br />

sull'orlo delle cose,<br />

Satana, abbi pietà del mio lungo penare!<br />

Tu che, magicamente, addolcisci le vecchie ossa del nottambulo ubriaco calpestato<br />

dai cavalli,<br />

Satana, abbi pietà del mio lungo penare!<br />

Tu che per consolare l'uomo debole che soffre, ci insegnasti a mischiare lo zolfo col<br />

salnitro,<br />

Satana, abbi pietà del mio lungo penare!<br />

Tu che imprimi il tuo marchio, complice sottile, sulla fronte dell'impietoso e vile<br />

Creso,<br />

Satana, abbi pietà del mio lungo penare!<br />

Tu che poni negli occhi e nel cuore delle ragazze il culto della piaga, l'amore dei<br />

cenciosi,<br />

Satana, abbi pietà del mio lungo penare!<br />

Sostegno degli esuli, luce degli inventori, confessore degli impiccati e dei cospiratori,<br />

Satana, abbi pietà del mio lungo penare!<br />

Padre adottivo <strong>di</strong> tutti coloro che con nera furia Dio Padre ha cacciato dal para<strong>di</strong>so<br />

terrestre,<br />

Satana, abbi pietà del mio lungo penare!<br />

Preghiera<br />

Siano gloria e lo<strong>di</strong> a te, o Satana, nel più alto dei cieli, dove tu regnasti, e nelle<br />

profon<strong>di</strong>tà dell'Inferno, dove tu, vinto, sogni in silenzio! Fa' che un giorno la mia<br />

anima riposi presso <strong>di</strong> te sotto l'Albero della Scienza, nell'ora che sulla tua fronte i<br />

suoi rami come un nuovo Tempio s'intrecceranno!>><br />

Iatata prese sessanta. Parlò del <strong>di</strong>vo Gabriele e dell’idea del Piacere che poi estese ad<br />

altri campi.<br />

> <strong>di</strong>sse<br />

Iatata. >


Poi parlò del sacro e del profano. Citando la bellissima “A UNA MADONNA” <strong>di</strong><br />

Baudelaire.<br />


Appena il pareo <strong>di</strong> Ben e Pompeo cadeva la scena cambiava. E dal fondo del teatrino<br />

della scuola non si capiva se quelli erano nu<strong>di</strong> o con le mutan<strong>di</strong>ne. La gente taliava<br />

curiosa. Si vide pure lo scheletro con tre minchie. E si lessero i nomi delle tre sorelle.<br />

La piazza rise e alla grande. Il filmato finì con una sorpresa . Due culi in primo piano<br />

e della piscia che cadeva sul banano della preside. Ma non si vedevano le facce dei<br />

piscianti e neanche le loro ciolle impegnate nella biologica funzione della minzione.<br />

Il pubblico rise a vedere quei culi. Qualche spiritosa amata minchia gridò:<br />

><br />

N’autro cantò “ Scende la pioggia”.<br />

> chiese n’autro.<br />

> <strong>di</strong>sse un<br />

ragazzo al megafono.<br />

E partì il filmato delle sorelle Stoccacitrolo. I ragazzi si allontanarono. La gente capì<br />

subito che quello non era un filmato sull’occupazione , ma un filmato privato del<br />

dottore Minchiatrina. Tutti taliavano curiosi. Il filmato era stato rimontato. Iniziava<br />

col dottore che ballava in mutande da solo.<br />

> gridarono dei s<strong>di</strong>sanorati<br />

che erano in piazza.<br />

I carabinieri e i vigili urbani non sapevano che cazzo fare. Il dottore continuava a<br />

ballare sullo schermo. In mutande. E si vedeva uno strano gonfiore. Qualcuno gridò:<br />

><br />

I carabinieri si avvicinarono al proiettore. Pronti ad intervenire se vedevano cose<br />

strane. Ma non succedeva niente. Il dottore ballava e basta. Ballava in mutande. Ma a<br />

<strong>di</strong>re il vero si vedeva la coppola dello zio Vincenzo del dottore. Ma siccome era un<br />

filmato <strong>di</strong> quelli amatoriali l’immagine non era bella netta e la gente non ci fece caso.<br />

Solo il maresciallo Pirlabon, che era sotto il palco, notò la cosa. Ma all’improvviso<br />

comparvero tre donne nude . Di spalle. Le facce non si vedevano ma tutti capirono<br />

che erano le sorelle Stoccacitrolo.<br />

> gridò qualcuno.<br />

Il C.C. Pirlabon salì sul palco e <strong>di</strong> corsa. Capì che stava per succedere qualcosa <strong>di</strong><br />

brutto. E <strong>di</strong>ede una pedata al proiettore proprio nel momento in cui le sorelle<br />

scippavano le mutande al dottore . Fu un lampo. Non tutti si resero conto che quella<br />

cosa che passò veloce sullo schermo era la minchia del dottor Minchiatrina. Tanti<br />

videro e non videro. Capirono e non capirono. Compresero e non compresero.<br />

> si chiesero in<br />

tanti.<br />

> <strong>di</strong>ssero altri.<br />

> si chiesero la<br />

maggior parte delle persone che erano in piazza.<br />

> <strong>di</strong>ssero i<br />

pochi che videro chiaramente.<br />

Tra i presenti Nicola Cannolo con Tonina e Ninetta, padre Ciollardente e padre<br />

Cacaceddu, l’avvocato Cicidda con la moglie, Cepito e Tuzza e tanti altri. Non


c’erano, per loro fortuna, le sorelle Stoccacitrolo. E naturalmente neanche il loro caro<br />

maritino comune. Il materiale fu sequestrato.<br />

Intanto che i C.C. facevano il loro lavoro, i maturati, con le macchine a <strong>di</strong>sposizione,<br />

partirono per Noto. A fare un bagno notturno. Nu<strong>di</strong> e al buio.<br />

E nell’acqua ne successero <strong>di</strong> tutti i colori. Ci mancò poco che il mare e i pesci della<br />

zona scisseru incinti. E che quel seme versato nell’acqua si issi ad infilare nel buco <strong>di</strong><br />

qualche carusa e la facissi ad<strong>di</strong>vintari madre <strong>di</strong> un picciriddo <strong>di</strong> simenta ignota.<br />

Quella fu l’orgia finale. Dopo cinque anni <strong>di</strong> carcere nelle galere delle sorelle<br />

Stoccacitrolo, quella era e fu l’orgia della libertà.<br />

La sera successiva ci fu la <strong>prima</strong> della <strong>di</strong>vertente comme<strong>di</strong>a intitolata<br />

Crisochoiropsàles . ( Colui che tocca la vulva ricca) <strong>di</strong> Micio Tempio . La comme<strong>di</strong>a<br />

aveva per protagonisti i fratelli Bastiano e Paolo Mentularanni ed era ambientata<br />

nell’antica Munipuzos. Narrava <strong>di</strong> due fratelli itifallici che amavano cazzeggiare . E<br />

per poterlo fare vita natural durante circavano un pacchio ricco. Anzi, una moglie<br />

assai assai ricca. Magari laria ma senz’altro ricca. E la trovavano in Cunnedda<br />

Cunnodoro. E per lei, o meglio, per i suoi sol<strong>di</strong>, entravano in competizione.<br />

> <strong>di</strong>ceva uno dei protagonisti.<br />

Ma la femmina alla fine si marita un terzo uomo, Carmelo Ciaciapotente. Tanto per<br />

avere nu marrugghiu in servizio.. garantito.<br />

><br />

<strong>di</strong>ce alla fine la protagonista.<br />

Lo spettacolo, per la regia del veneziano trapiantato a Canicattini, Giorgio Baffo,<br />

apriva la rassegna “ Teatro per le notti <strong>di</strong> mezza estate “ al teatro greco <strong>di</strong><br />

<strong>Monacazzo</strong>.<br />

Il successo fu grande. Nonostante il tema. Ma in tanti a <strong>Monacazzo</strong> avevano il vizio<br />

<strong>di</strong> circarisi na mugghieri ricca. Magari laria ma ricca.<br />

><br />

<strong>di</strong>cevano i mariti che più che taliare la fimmina e le so bid<strong>di</strong>zzi avevano taliato il suo<br />

conto in banca o le sue proprietà immobiliari.<br />

Feroce il commento <strong>di</strong> Giorgio Baffo.<br />

><br />

Ma poi riflettendo il veneziano <strong>di</strong>sse:<br />

><br />

Anche l’autore commentò sarcastico:<br />

><br />

Sul presidente policornuto Pompeo de<strong>di</strong>cò un bel sonetto intitolato “ ER<br />

CORNUTO”.<br />

A faccia de sor Peppino er cornuto.


Mica a corpa è tutta sua , cazzo.<br />

E omo de gnente, carne da strapazzo,<br />

in vita è stato sempre un fottuto.<br />

Io, quello che so o so pe' me, so muto.<br />

Peppino sta pe' <strong>di</strong>ventà un gran pazzo<br />

E <strong>prima</strong> o poi <strong>di</strong>rà " tutti v'ammazzo ".<br />

Poverino , io 'o so quante n'ha bevute.<br />

A moje p'amante tiene un dottore,<br />

e storie da fija so tutte vere,<br />

lui è ar monno grazie a Sarvatore.<br />

Come <strong>di</strong> ch'è cornuto in tre maniere<br />

- so pronto a giurà sur suo onore -<br />

de mammma , de fija e pur'e mujere<br />

La tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> tutte le generazioni del passato pesa come una<br />

montagna sul cervello dei viventi.<br />

K. Marx<br />

L’amore non può aiutarci, l’amore non può salvarci; abbiamo<br />

amato abbastanza; ora vogliamo o<strong>di</strong>are.<br />

G. Herwegh


DICIASSETTE : IO E L’UTOPIA<br />

Regione non esistente in alcun luogo; paese immaginario. La parola<br />

‘utopia’ si <strong>di</strong>ce talvolta nel figurato del progetto <strong>di</strong> un governo<br />

immaginario, sulla scorta della Repubblica <strong>di</strong> Platone.<br />

Definizione <strong>di</strong> Utopia. Dictionnaire de Trévoux, 1771<br />

Se il petto ti ra<strong>di</strong> per bene<br />

e le braccia, le gambe ed il pene<br />

e rasato con ottimo taglio,<br />

tutti lo sanno, Labieno – non sbaglio –<br />

che lo fai per l’amica del cuore.<br />

Ma per chi poi depili l’ano,<br />

questo resta poi un arcano .<br />

Marziale<br />

Micio Tempio, autore <strong>di</strong> pilo ma non solo, stava preparando anche la<br />

rappresentazione del dramma “ Guglielmo , Sciarra e Benedetto in arte Bonifacio,<br />

ovvero la <strong>cazzicatummula</strong> <strong>di</strong> Anagni.” Questo lavoro doveva chiudere il <strong>di</strong>eci<br />

settembre il Festival della drammaturgia <strong>di</strong>alettale contemporanea <strong>di</strong> Palazzolo.<br />

Questo importante festival premiava ogni anno tre nuovi autori teatrali.<br />

Al momento c’era solo una piccola bazzecola da risolvere. Un quisquilia scoppiata<br />

improvvisamente. Il sindaco <strong>di</strong> Palazzolo Paolo Guerra aveva promesso seicento<br />

mila lire per premiare i primi tre classificati. Trecento mila al primo, duecento al<br />

secondo e cento al terzo. Ma adesso ne voleva dare solo trecento. E il coor<strong>di</strong>natore<br />

Sebastiano Guardo aveva vivamente protestato. E adesso i due non facevano altro<br />

che litigare.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

E non si capiva dove cazzo stava la verità.<br />

Il lavoro serio <strong>di</strong> Micio raccontava lo storico, drammatico e meraviglioso scontro tra<br />

l’ultraottantenne scassacoglioni Benedetto Caetani, papa col nome <strong>di</strong> Bonifacio VIII,<br />

il nobile Sciarra Colonna e il cancelliere francese Guglielmo <strong>di</strong> Nogaret. Lo scontro<br />

tra il fanatico teocrate , il ven<strong>di</strong>catore <strong>di</strong> famiglia e il potere statale.<br />

Questa la <strong>prima</strong> scheda che Pompeo aveva ideato per poi passarla a tutti. Per far<br />

conoscere il teocrate per eccellenza. L’inventore del giubileo.


Pompeo, Ben e Iatata ciclostilarono il foglio e lo <strong>di</strong>ffusero in tutta <strong>Monacazzo</strong>.<br />


pubblicamente; le rocche <strong>di</strong> Zagarolo e <strong>di</strong> Palestrina furono <strong>di</strong>strutte; Jacopone<br />

imprigionato in un convento e scomunicato; i beni dei Colonna furono <strong>di</strong>visi fra i<br />

Caetani e gli Orsini. In questo clima <strong>di</strong> pace ritrovata Bonifacio VIII in<strong>di</strong>sse il Primo<br />

Giubileo della storia della cristianità. Con la bolla Antiquorum habet fidem, del 22<br />

febbraio 1300, concedeva l'indulgenza plenaria a chi nell'anno in corso e in ogni<br />

futuro centesimo anno, avesse visitato le basiliche <strong>di</strong> San Pietro e <strong>di</strong> San Paolo in<br />

Roma, con l'intento re<strong>di</strong>mere i peccati e le pene per i peccati. Il Giubileo fu istituito<br />

come anno della riconciliazione tra i contendenti e della con<strong>versione</strong> della penitenza<br />

sacramentale. Il tema dell'indulgenza era stato peraltro già affrontato durante le<br />

crociate, nel corso del '200, secolo <strong>di</strong> altissime manifestazioni spirituali ed artistiche:<br />

proprio mentre San Bernardo <strong>di</strong> Chiaravalle parlava <strong>di</strong> un "anno" <strong>di</strong> perdono rivolto<br />

ai combattenti della seconda crociata, il monachesimo cistercense innalzava le<br />

meravigliose chiese abbaziali <strong>di</strong> Fossanova e Casamari, in stile gotico, slanciato ed<br />

austero. Quest'evento fu <strong>di</strong> portata storica: duecentomila pellegrini affluiti, secondo le<br />

stime dei cronisti dell'epoca. Lo stesso Dante fa riferimento a notevole afflusso <strong>di</strong><br />

massa sia per la Veronica, sia per il Giubileo. L'enorme traffico <strong>di</strong> pellegrini e gli<br />

abbondanti proventi finanziari, derivanti dalle offerte e dall'incremento turistico,<br />

rafforzarono il prestigio <strong>di</strong> Bonifacio VIII, che vedeva i principi <strong>di</strong> tutto il mondo<br />

prostrarsi ai suoi pie<strong>di</strong> come davanti a un essere <strong>di</strong>vino. Egli stesso rinforzò questa<br />

sua immagine <strong>di</strong> sovrano spirituale e temporale, mostrandosi ai pellegrini con le<br />

insegne imperiali, esclamando: "Io sono Cesare, io sono l'Imperatore". Anche<br />

Filippo il Bello aderiva a questa idea <strong>di</strong> "cesarismo": sopra <strong>di</strong> sé egli non considerava<br />

sovrano nessuno, assumendo talora atteggiamenti apertamente anticlericali, con atti <strong>di</strong><br />

usurpazione verso i beni della Chiesa francese. Nel 1299 aveva firmato un'alleanza<br />

con il nuovo re <strong>di</strong> Germania, Alberto d'Asburgo, accusato da Bonifacio VIII <strong>di</strong> aver<br />

assassinato Adolfo <strong>di</strong> Nassau e, per questo, invitato a presentarsi a Roma. Il papa, con<br />

la bolla Salvator Mun<strong>di</strong>, del 1301, ritirò a Filippo i privilegi concessi in precedenza<br />

mentre successivamente, con la bolla Ausculta fili, convocò per il 10 novembre il re e<br />

l'episcopato francese per un concilio che definisse i rapporti tra Stato e Chiesa,<br />

precisando che solo Dio era al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> ogni monarca. Nell'aprile 1302 Filippo<br />

convocava a Parigi gli Stati Generali, in cui si riba<strong>di</strong>va che il re non era soggetto a<br />

nessun'altra autorità e in cui si <strong>di</strong>ffidava l'episcopato francese dal partecipare al<br />

Concilio; nonostante ciò 39 vescovi francesi vi presenziarono e a loro il re confiscò i<br />

beni. Contro <strong>di</strong> lui, il 18 novembre 1302, Bonifacio scaglia la bolla <strong>di</strong> condanna<br />

Unam Sanctam che stabiliva che "nella potestà della Chiesa sono <strong>di</strong>stinte due spade,<br />

quella spirituale e quella temporale; la <strong>prima</strong> viene condotta dalla Chiesa, la<br />

seconda per la Chiesa, la <strong>prima</strong> per mano del sacerdote, l'altra per mano del re ma<br />

<strong>di</strong>etro in<strong>di</strong>cazione del sacerdote. Il potere spirituale é superiore a quello temporale".<br />

Filippo, sentendo odore <strong>di</strong> scomunica, inviò in Italia Guglielmo <strong>di</strong> Nogaret con<br />

l'or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> condurre il papa prigioniero in Francia. E' il 3 settembre 1303, Nogaret,<br />

affiancato da Sciarra Colonna, lo trova ad Anagni, maestosamente seduto sul trono,<br />

coi paramenti sacri: qui avviene un'aggressione nei suoi confronti, si tramanda uno<br />

"schiaffo" del Colonna col guanto <strong>di</strong> ferro. E' un momento <strong>di</strong> eccezionale portata<br />

storica, in quanto ne <strong>prima</strong> ne dopo nella storia della cristianità, vi fu una affronto


così grande nei confronti <strong>di</strong> un pontefice. Anche se Caetani non era un papa amato e<br />

sospettato per <strong>di</strong> più <strong>di</strong> simonia dallo stesso Dante, lo stesso poeta fiorentino<br />

considerò l'offesa come rivolta a Cristo stesso (Purgatorio, XX, 86-90): "veggio in<br />

Alagna intrar lo fiordaliso, e nel vicario suo Cristo esser catto. Veggiolo un'altra<br />

volta esser deriso; veggio rinovellar l'aceto e 'l fele". Tutti insorsero contro il<br />

sacrilegio. La borghesia cristiana <strong>di</strong> Anagni liberò il suo concitta<strong>di</strong>no, ma quando<br />

Bonifacio VIII rientrò in Roma, sotto la protezione degli Orsini, era già <strong>di</strong>strutto sia<br />

moralmente sia politicamente, essendo stato violato il dogma del potere assoluto del<br />

papato. Morì, infatti, pochi giorni dopo, l'11 ottobre 1303. Le sue spoglie vengono<br />

sepolte in San Pietro, nella cappella Caetani, costruita <strong>di</strong>etro sua commissione da<br />

Arnolfo <strong>di</strong> Cambio. Roma intanto si era ripopolata ed era <strong>di</strong>ventata splen<strong>di</strong>da. Mai<br />

<strong>prima</strong> d'allora un papa si era fatto ritrarre da vivo in statue e <strong>di</strong>pinti: a Orvieto,<br />

Firenze, Bologna, Anagni e nel Laterano in sculture <strong>di</strong> marmo e <strong>di</strong> bronzo,<br />

nell'affresco <strong>di</strong> Giotto, attualmente conservato a Milano, che lo ritrae dalla loggia <strong>di</strong><br />

San Giovanni mentre proclama il Giubileo. Egli fu uno dei papi più energici nella<br />

lotta per l'affermazione del <strong>prima</strong>to della Chiesa sul potere temporale dei re e<br />

imperatori. Con lui finisce la teocrazia, la <strong>di</strong>vinizzazione della propria sacra persona,<br />

in antitesi con il ruolo <strong>di</strong> "servus servorum Dei" in<strong>di</strong>cato da San Gregorio Magno. Ma<br />

con lui inizia anche la strada del rinnovamento, con il Giubileo, un'occasione<br />

ecumenica unica <strong>di</strong> penitenza e <strong>di</strong> riconciliazione spirituale.>><br />

Micio Tempio era innamorato del personaggio <strong>di</strong> Sciarra Colonna. E vedeva nello<br />

schiaffo un atto <strong>di</strong> giustizia.<br />

> cuntava Micio ai ragazzi del gruppo teatrale “Cuntu lu cuntu pilu<br />

pi pilu “ che provavano la trage<strong>di</strong>a sotto la guida <strong>di</strong> Giorgio Baffo.<br />

La scena è la sala del trono del palazzo papale <strong>di</strong> Anagni. Con Guglielmo, Bonifacio<br />

e Sciarra. Ma attraverso dei flash back vengono raccontati i momenti salienti della<br />

vita del pontefice. Nel primo Benedetto Caetani ha come amanti, nello stesso<br />

momento, madre e figlia.<br />

> <strong>di</strong>ce Benedetto nella piece<br />

teatrale. Suggestiva la scena in cui Benedetto s’impegna per fare eleggere Pietro da<br />

Morone papa. Quasi comica quella in cui Benedetto, nella parte dello Spirito Santo ,<br />

suggerisce a Celestino V dormiente quello che deve fare.<br />

><br />

E Celestino ab<strong>di</strong>ca. Fa il gran rifiuto. Poetica la frase detta da quest’ultimo, dopo<br />

l’elezione a papa <strong>di</strong> Benedetto. Quasi una profezia.<br />

><br />

Un altra scena si svolge a fine 1300. Il papa si conta i sor<strong>di</strong> incassati col giubileo.<br />

><br />

Ma il momento clou naturalmente è quello in cui Sciarra schiaffeggia il vecchio<br />

pontefice tutto allicchittiato in pompa magna. Il Colonna entra nella sala armato,<br />

pronto al papaci<strong>di</strong>o, e grida con tutta la rabbia che ha in corpo:


Il papa neanche si scamovi. Sta pinsannu. A voce alta.<br />

><br />

> <strong>di</strong>ce Sciarra. Poi<br />

gridando con tutta la forza e la rabbia <strong>di</strong>ce: ><br />

D’altra parte il Colonna avi giurato minnitta. E la minnitta si fa cu lu sangu.<br />

><br />

A chistu puntu Sciarra , incazzatu niuru, tumbulia lu papa. E la tiara fa na bedda<br />

<strong>cazzicatummula</strong>. Ma mancu lu tempu <strong>di</strong> cazzicatummuliari la tiara ca cu n’autru<br />

tumbuluni cazzicatummulia puru lu papa. Che piano piano si rimitte in pie<strong>di</strong><br />

tremando. Qui il nobile uomo solleva la spada pronto a colpire. Pronto al papaci<strong>di</strong>o.<br />

><br />

><br />

Sciarra sta per scannarlo. Ma interviene il francese. Lo vuole vivo per processarlo.<br />

Per or<strong>di</strong>ni superiori. E Sciarra si accontenta <strong>di</strong> umiliarlo mettendolo a nudo. A picca a<br />

picca ,con la spada , lo priva <strong>di</strong> tutti gli indumenti. Di quelli <strong>di</strong> sopra e <strong>di</strong> quelli si<br />

sotto. E poco <strong>prima</strong> <strong>di</strong> restare nudo come un verme Bonifacio <strong>di</strong>ce:<br />

><br />

Alla fine , col pontefice nudo come un verme, Sciarra si fa una risata che fa<br />

impressione. Poi <strong>di</strong>ce:<br />

><br />

><br />

><br />

<br />

Su queste parole le luci si spengono, tranne un occhio <strong>di</strong> bue.<br />

Il papa viene liberato e portato a Roma. Al Laterano. Ma orami è completamente<br />

fuori <strong>di</strong> testa. L’umiliazione lo ha <strong>di</strong>strutto. Quel tumbuluni resterà nella storia. E a<br />

Roma il papa , sempre nudo, si mette , in un crescendo impossibile ,a gridare come<br />

un ossesso una frase della Unam Sanctam.<br />

><br />

E intanto si sbatte la vecchia capa vuota e da folle contro i muri. Fino a crepare.<br />

Solo. Come un cane. Come aveva profetizzato Celestino V.<br />

Micio era contento del testo e del lavoro dei ragazzi. Pure Giorgio era stracontento.


> precisò Micio Tempio.<br />

Poi pinsò a Guicciar<strong>di</strong>ni e a memoria citò: ><br />

Il venticinque luglio padre Ciollardente si alzò contentissimo. Quel giorno avrebbe<br />

unito in matrimonio Micio Tempio , l’ex <strong>di</strong>avolo ed ex pornografo oramai<br />

convertitosi , con la bella e oramai convertita anche lei Kosetta Fikaminkianova. Era<br />

il trionfo della sua politica dura contro gli immoralisti. Era un trionfo della purezza e<br />

della castità sui comportamenti degenerati. Se si era convertito quel <strong>di</strong>avolo <strong>di</strong> Micio,<br />

si potevano convertire anche gli altri.<br />

Una settimana <strong>prima</strong> del matrimonio arrivò la bella sorella gemella <strong>di</strong> Kosetta ,<br />

Kazzetta. Erano due gocce d’acqua. La voce era l’unica <strong>di</strong>fferenza. Kosetta aveva una<br />

voce dolce, Kazzetta una voce un po’ più dura. Ma era bella e faceva attrintari li<br />

marrugghia a tutti li mascoli ca la taliavano. Due sticchi gemelli che erano la gloria<br />

personificata <strong>di</strong> tutti gli uccelli.<br />

Il venticinque luglio la chiesa <strong>di</strong> padre Ciollardente era strapiena. Invitati e curiosi<br />

parevano sar<strong>di</strong>ne. Il giorno <strong>prima</strong> Micio Tempio e Kosetta Fikaminkianova si erano<br />

confessati. Con affetto e tanta voglia <strong>di</strong> pentimento. Lui aveva raccontato al prete i<br />

suoi peccati <strong>di</strong> pilo. I suoi peccati fatti con la penna stilografica e quelli fatti con la<br />

penna <strong>di</strong> carne. Ed era stato assolto. Lei pure si era confessata, ma era stata meno<br />

chiara. Il parrino aveva indagato e aveva capito che la donna andava sia con i mascoli<br />

che con le femmine. Per lo meno in passato aveva fatto questo. Ma da quando aveva<br />

conosciuto il Priapo vivente Micio Tempio non era più andata con nessuno.<br />

> aveva chiesto padre Ciollardente.<br />

> aveva risposto la russa che parlava benino l’italiano.<br />

Al parrino era venuta la curiosità <strong>di</strong> vedere lo strumento carnale <strong>di</strong> Micio. Se quella<br />

dopo tante e tante avventure adesso si accontentava solo <strong>di</strong> lui , Micio doveva<br />

necessariamente avere un micione tra le cosce. Comunque le <strong>di</strong>ede l’assoluzione.<br />

Alle cinque <strong>di</strong> quel venticinque luglio 1968 padre Ciollardente era pronto per la<br />

cerimonia. Tutto allicchittiato in pompa magna, ca paria nu Wanda Osiris, si<br />

apprestava a celebrare il suo trionfo su satana. Affiancato da due chierichetti <strong>di</strong> quelli<br />

che più figli <strong>di</strong> buttana non si può , da quattro parrini <strong>di</strong> quelli che più stronzi non si<br />

può nemmeno e da quattro monachelle <strong>di</strong> quelle che più ammuccaparticoli e<br />

caca<strong>di</strong>avoli non è possibile, <strong>di</strong>ede l’avvio alla cerimonia.


I testimoni degli sposi erano la sorella <strong>di</strong> Kosetta per la sposa e Giorgio Baffo per lo<br />

sposo.<br />

Tutto andò liscio fino alla fati<strong>di</strong>ca domanda del prete:<br />

><br />

> gridò un tizio mai visto a <strong>Monacazzo</strong>. Tra l’altro<br />

non si capiva neanche se era mascolo o femmina. Era chiù colorato <strong>di</strong> nu mazzu i<br />

ciura .<br />

> <strong>di</strong>sse il prete che iniziò a sudare freddo.<br />

Luigino Minchiallegra e Giggetto Ciciacontenta, i due chierichetti, sorrisero con le<br />

loro belle faccette mignottelle. Si taliarono sofferenti i quattro parrini e addolorate le<br />

quattro monache. Quella era una domanda retorica a cui nessuno aveva mai risposto .<br />

Era la <strong>prima</strong> volta che , nella sua carriera <strong>di</strong> parrino, qualcuno aveva qualcosa da<br />

<strong>di</strong>re. E se quello voleva parlare lo dovevano lasciar parlare.<br />

> La gente rise.<br />

> <strong>di</strong>sse il misterioso<br />

personaggio.<br />

> precisò il prete.<br />

><br />

Micio e la sposa erano tranquilli. I testimoni pure. Il parrino no . Gli altri parrini e le<br />

monache nemmeno. I chierichetti si aspettavano qualche minchiata. Il pubblico pure.<br />

> <strong>di</strong>sse il prete.<br />

> <strong>di</strong>sse il tizio con voce impostata.<br />

> <strong>di</strong>sse il prete che pensava già a figli segreti o matrimoni nascosti.<br />

><br />

Tanti risero. Quello era omosessuale al cento per cento. Anzi, era un travestito.<br />

> <strong>di</strong>sse il parrino ><br />

><br />

Micio e la sposa restarono tranquilli. Il prete sbiancò. Gli altri parrini e le monache<br />

impalli<strong>di</strong>rono. I chierichetti pinsarono che era tutta una questione <strong>di</strong> “ ficca ficca.”<br />

> <strong>di</strong>sse il prete riprendendosi un po’.<br />

><br />

Il prete sbiancò. E preso da un raptus improvviso strappò la parte superiore della<br />

vistina da sposa <strong>di</strong> Kosetta. Vennero fuori due belle minne. Il pubblico sgranò gli<br />

occhi.<br />

> gridò il parrino contemplando du minni<br />

deliziosi e bianchissimi.<br />

Monache, preti e chierichetti sgranarono gli occhi taliando chid<strong>di</strong> minni.<br />

> <strong>di</strong>sse Basilio - Basilio.


E il misterioso personaggio si aprì la camicetta. Anche lui aveva due belle tette. Gli<br />

occhi del pubblico tutto si spostarono sulla nuova scena.<br />

> <strong>di</strong>sse Basilio- Basilia ><br />

E si scippò i pantaloni. Sotto era nudo. C’era solo una cicia enorme. Tutti arristanu<br />

amminchiuluti. Padre Ciollardente, gli altri preti e pure il pubblico.<br />

Gli altri parrini taliano lo strano essere nel suo complesso. Tinia la cicia come loro<br />

ma tinia anche li minni comu li fimmini. Padre Ciciotto, padre Belinsanto, padre<br />

Favazza e padre Citrolone passavano con lo sguardo da li minni alla cicia e viceversa.<br />

Le monache erano invece interdette. Taliavano fisse la ciolla. Era la <strong>prima</strong> che<br />

vedevano in assoluto. Suor Luigina Ficalà, suor Carmelina Monalì, suor Santina<br />

Sorcasì e suor Salvuccia Fregnanò taliavano fisse l’aceddu dell’uomo cu li minni.<br />

Luigino e Giggetto invece sorridevano.<br />

> <strong>di</strong>sse Luigino.<br />

> aggiunse Giggetto.<br />

Kosetta e Micio erano tranquillissimi. Giorgio e la sorella della sposa sorridevano<br />

ironicamente. Il pubblico era interdetto. Padre Ciollardente era al limite del crollo<br />

nervoso. Il suo trionfo stava crollando a pezzi, la sua minchia, che all’inizio della<br />

cerimonia era tisa come una minchia crisoelefantina, si era ammosciata e si stava<br />

ritirando. Anche i coglioni si stavano rimpicciolendo. E la sacca scrotale si stava<br />

ritirando. Si stava praticamente volatilizzando tutto. Il parrino sentiva che stava per<br />

<strong>di</strong>ventare un eunuco. Preso da un nuovo raptus scippò la gonna alla sposa. La sposa<br />

era senza mutande.<br />

> gridò il prete nel microfono.<br />

La gente non vedeva l’aceddu della sposa. Vedeva solo un culo bellissimo. Giorgio e<br />

la sorella della sposa, per la sorpresa che già conoscevano, ridevano .<br />

Le monache svennero. Quella minchia a portata <strong>di</strong> mano era troppo. I preti<br />

agghiarnanu. I chierichetti scoppiarono a ridere alla sanfasò. Il pubblico gridava:<br />

><br />

La sposa si girò. Altro che aceddu. Aveva un aciddazzu tiso e spaventoso. Era<br />

femmina nelle sembianze ma tra le cosce era mascolo con la M maiuscola. Il prete<br />

vide crollare il suo trionfo definitivamente e iniziò a tremare. Micio invece acchiappò<br />

il microfono e fece il suo comizio laico.<br />

><br />

Il prete tremava. La sposa esibiva il suo fallo e le sue tette senza vergogna.<br />

> riprese Micio Tempio


d’amore che ho fatto è stato sempre col partner consenziente.. e soprattutto non ho<br />

mai fatto figli.. per poi abbandonarli al loro destino… >><br />

> <strong>di</strong>sse il prete tremando<br />

come una foglia al vento.<br />

> <strong>di</strong>sse Micio.<br />

Il parrino tremava e faceva segni su segni . Della croce naturalmente.<br />

> continuo lo scrittore.<br />

Il prete non capì. Tremava. Si sentiva sminchiato e scoglionato. Una ciolla a perdere.<br />

Un fottuto per sempre. Non riusciva a capire che minchia ci trasivano sua santità<br />

Bonifacio VIII e Sciarra Colonna. In quel momento non pensava allo schiaffo<br />

d’Anagni.<br />

><br />

> <strong>di</strong>sse il prete. > <strong>di</strong>sse piangendo.<br />

><br />

><br />

> <strong>di</strong>sse Micio.<br />

Il prete barcollò. Il pubblico era in religioso silenzio e seguiva la messa in scena <strong>di</strong><br />

Micio Tempio. Ovvero “Il finto matrimonio”.<br />

> <strong>di</strong>sse il parrino.<br />


“bocca<strong>di</strong>fuoco”, ma anche “ culo<strong>di</strong>fuoco “ e “ sticchio<strong>di</strong>fuoco.” D’altra parte è figlia<br />

illegittima <strong>di</strong> uno che è Ciollardente <strong>di</strong> nome e <strong>di</strong> fatto…>><br />

A quella parole il parrino non ci vide più. Si alzò <strong>di</strong> botto e pigliato un cero beddu<br />

ruossu fece per romperglielo sulla cocuzza dura a Micio Tempio. Ma lo scrittore<br />

maledetto evitò il colpo .<br />

><br />

E da parte sua Micio ci piazzò un tumbuluni speciale su quella faccia rossa che il<br />

povero parrino fece na <strong>cazzicatummula</strong> da medaglia d’oro alle olimpiade delle<br />

cazzicatummuli. Una <strong>cazzicatummula</strong> da oscar. E dopo quella spettacolare<br />

<strong>cazzicatummula</strong> finiu sotto gli scalini dell’altare. A cosce larghe e gioielli <strong>di</strong> famiglia<br />

in esposizione. Perché quel giorno, per godersi meglio l’erezione della vittoria sul<br />

miscredente, padre Ciollardente non s’era messo le mutande. Anche il cero fici una<br />

bella <strong>cazzicatummula</strong> e finiu addosso al cugino sacrestano. Lo acchiappò proprio là.<br />

Nella sede del peccato. E pure il sacrestano cazzicatummuliò. E i pantaloni dell’uomo<br />

presero fuoco. Proprio là. A livello del meccio.<br />

> gridava il sacrestano. E iniziò a spogliarsi.<br />

Ma il parrino cazzicatummuliannu aveva fatto cazzicatummuliari una processione <strong>di</strong><br />

candele accese e <strong>di</strong>sposte sulle balaustre dell’altare maggiore. O meglio, ne aveva<br />

fatta cadere una. Ma quella, col suo cazzicatummulio, come in una reazione a catena,<br />

aveva fatto cazzicatummuliare le altre. E una <strong>di</strong> queste candele era finita addosso a<br />

padre Ciollardente. O meglio, tra le sue cosce. Così anche la sua tonaca prese fuoco.<br />

Padre Ciollardente si alzò gridando :<br />

>.<br />

E si spogliò nudo anche lui. E iniziò a correre chiesa chiesa gridando come un<br />

ossesso :<br />

><br />

E il sacrestano , nudo anche lui, ma con l’incensiere in mano, che correva <strong>di</strong>etro<br />

padre Ciollardente . E la gente a taliare e a scappellarsi la minchia dalle risate.<br />

Ma una candela, sempre cazzicatummuliando, <strong>di</strong>ede fuoco alla sottana del primo<br />

chierichetto, Luigino Minchiallegra.<br />

Che iniziò a spogliarsi pure lui gridando ><br />

E facendo cazzicatummuliare i suoi abiti <strong>di</strong>ede fuoco alla tonaca <strong>di</strong> Giggetto, l’altro<br />

chierichetto, che si spogliò pure lui. Intanto le candele continuavano a<br />

cazzicatummuliari . E una finiu addosso al primo dei parrini cerimonianti. E da quella<br />

<strong>prima</strong> tonaca le fiamme si estesero al secondo, poi al terzo e infine al quarto parrino.<br />

Che si spogliarono anche loro. Quattro giovani nu<strong>di</strong> e con una <strong>di</strong>screta minchia che<br />

cazzicatummuliava sotto gli occhi delle quattro monache a cui cazzicatummulivavano<br />

gli occhi e la muscolatura dello sticchio. Ma le candele della balaustra erano collegate


da un sottile filo a quelle dell’altare. E anche queste cazzicatummulianu a terra . E in<br />

parte sulle monache. Che per non arrostirsi come le streghe si denudarono pure loro<br />

in un amen. A occhi bassi si misero col pacchio <strong>di</strong> fuori.. Quelle quattro fichette<br />

incontaminate fecero cazzicatummuliare gli occhi e gli aced<strong>di</strong> a tutti i mascoli<br />

presenti. Compresi i quattro preti e i due chierichetti. A cui la ciolla cazzicatummuliò<br />

verso l’alto. E verso l’alto cazzicatummulianu sempre più le ciolle <strong>di</strong> padre<br />

Ciollardente e del cugino sacrestano che correvano come matti da una navata<br />

all’altra. Il prete davanti, il cugino <strong>di</strong>etro, sempre incensando con l’incensiere.<br />

Ma una cannila satanica cazzicatummuliò addosso a Micio. E pure Micio si spogliò.<br />

Mentre la finta sposa lo era già. Micio, facendo cazzicatummuliare i suoi abiti<br />

infuocati, causò l’incen<strong>di</strong>o <strong>di</strong> quelli dei testimoni. La sorella della finta sposa e<br />

Giorgio Baffo. Che per non finire al rogo, come i loro antenati liberi pensatori, si<br />

spogliarono pure loro facendo cazzicatummuliare i loro abiti.<br />

Per la gioia Micio e la finta femmina fecero tante belle cazzicatummuli sull’altare. E<br />

cazzicatummuli sul corridoio centrale e sulle navate laterali fecero gli amici <strong>di</strong> Micio<br />

Tempio. Fu insomma tutta una cazzicatummuliata.<br />

Padre Ciollardente, nudo, e con il sacrestano nudo che lo seguiva, continuava a girare<br />

chiesa chiesa. Ci paria <strong>di</strong> essere in un bolgia dantesca. Poi talio verso l’alto e ci parse<br />

che pure gli angeli, gli arcangeli e i serafini del soffitto cazzicatummuliassero pure<br />

loro. E cazzicatummuliavanu anche i santi. Poi taliò <strong>di</strong>etro l’altare. E ci sembrò che<br />

tutti i protagonisti del “ Giu<strong>di</strong>zio universale” <strong>di</strong>pinto da Michilangilieddu da<br />

<strong>Monacazzo</strong>, cazzicatummuliassero anche loro. Infine, illusione delle illusioni o<br />

effetto allucinogeno dell’incenso ad<strong>di</strong>zionato a tutta quella carne e al suo personale<br />

testosterone, a padre Ciollardente ci parse che Sammastiano scissi dal camerino per<br />

cazzicatummuliare anche lui. Ed ebbe la sensazione che il santo stava per levarsi il<br />

costume e tuffarsi tra la folla.<br />

> <strong>di</strong>sse il prete a sé stesso.<br />

E partiu verso l’uscita della chiesa. Verso l’imponente scalinata della chiesa sempre<br />

gridando.<br />

><br />

La piazza era piena <strong>di</strong> curiosi. Come sempre quando ci stava un matrimonio. Era una<br />

bella occasione per curtigghiari sulle corna della sposa, su quelle dello sposo e su<br />

chid<strong>di</strong> degli invitanti. Ma in quell’occasione c’era una marea <strong>di</strong> curiosi. Vedere Micio<br />

Tempio uscire dalla chiesa dopo essersi regolarmente maritato era un .. miracolo da<br />

non perdere.<br />

E invece era spuntato padre Ciollardente nudo seguito dal sacrestano che lo<br />

incensava. Anche lui nudo. E <strong>di</strong>etro tanti altri nu<strong>di</strong>. Quattro parrini, quattro monache ,<br />

due chierichetti. E poi lo sposo, la finta sposa, testimoni e altri ancora.<br />

Il parrino e il sagrestano , passando tra la folla correndo, si ienu a catafuttiri <strong>di</strong>ntra la<br />

fontana <strong>di</strong> Zeus e Danae che stava al centro della piazza. Al fresco <strong>di</strong> quelle chiare,<br />

dolci acque monocazzesi.


Anche gli altri si ienu a catafuttiri nella grande vasca. Dove tutti cazzicatummulianu<br />

con gioia. Era il 25 luglio, c’erano trentotto gra<strong>di</strong> Celsius, e una bella<br />

cazzicatummuliata nell’acqua ci stava bene.<br />

E tanti picciotti che erano in piazza, tanti sessantottini - e c’erano Ben, Iatata e<br />

Pompeo ma anche tanti altri - imitanu Micio Tempio. Vistuti si cazzicatummulianu<br />

nella grande e capiente vasca. E lì, cazzicatummuliannu, ficinu cazzicatummuliari i<br />

loro vestiti. Paria <strong>di</strong> essere alle terme dell’antica Roma. Tutti erano convinti <strong>di</strong> quello<br />

che facevano. Tutti tranne padre Ciollardente e il sacrestano. Che parevano drogati<br />

d’incenso.<br />

Padre Ciollardente taliò la facciata della chiesa. E ci parse che anche il Sammastiano<br />

che stava li, dopo essersi denudato, si cazzicatummuliassi nella vasca. A quella<br />

visione il parino gridò: > E svenne.<br />

Pare che in quell’orgia <strong>di</strong> carne e testosterone, estrogeni e progesterone, qualcuno<br />

cazzicatummuliassi l’aceddu <strong>di</strong>ntra qualche portuso. D’altra parte la fontana era<br />

de<strong>di</strong>cata a Zeus che si fotte Danae sotto forma <strong>di</strong> pioggia.<br />

Da cui il detto popolare, quannu chiovi assai.<br />

><br />

Micio Tempio recitò <strong>di</strong>ntra la so testa, intanto che si dava da fare cu Kosetta e<br />

Kazzetta, i versi del suo famoso omonimo poeta <strong>di</strong> pilo catanese. Versi relativi alle<br />

<strong>di</strong>mensioni della somma minchia <strong>di</strong>vina.<br />

><br />

> pinsau Micio Tempio da <strong>Monacazzo</strong> ><br />

Intervennero i C.C. Padre Ciollardente finì in una clinica neuropsichiatrica. Come le<br />

monache e i parrini. Erano sotto sciocchi. Micio Tempio finì in prigione. Con la finta<br />

sposa. Lei per ventiquattrore. Lui per una settimana. Poi ottennero la libertà<br />

provvisoria e si godettero il loro laicismo in attesa del processo. Gli altri<br />

spogliarellisti improvvisati furono soltanto identificati e rispe<strong>di</strong>ti a casa.<br />

I due chierichetti furono minacciati <strong>di</strong> essere messi in collegio.<br />

Quello stesso giorno uscì una enciclica che si occupava <strong>di</strong> sesso. E che condannava<br />

tutto. Tranne il ficcare per figliare.


Padre Ciollardente dopo quin<strong>di</strong>ci giorni uscì dalla clinica e si rifugiò in seminario.<br />

La messa in scena della trage<strong>di</strong>a sul contrasto dei poteri fu un successo. “ Guglielmo ,<br />

Sciarra e Benedetto in arte Bonifacio, ovvero la <strong>cazzicatummula</strong> <strong>di</strong> Anagni.” fu<br />

appezzata da tutti. Alla compagnia <strong>di</strong> <strong>di</strong>lettanti assai assai appassionati fu offerta una<br />

na bedda turnè. L’unico problema , la sera , al ristorante, fu che il sindaco e il<br />

coor<strong>di</strong>natore litigarono ancora.<br />

><br />

><br />

>><br />

><br />

E tutti risero. Meno male che non c’erano le telecamere. Altrimenti avrebbe riso<br />

l’Italia intera. E con i sottotitoli tutto il mondo .<br />

Il primo ottobre una macchina sbandò sull’autostrada del sole , nel tratto calabro. Tre<br />

giovani morirono sul colpo. Erano <strong>di</strong> <strong>Monacazzo</strong>. Stavano tornando dopo aver fatto il<br />

giro delle capitali europee. Erano Ben Cicidda, Iatata Portusodoro e Pompeo<br />

Sorcaealtro. Il funerale fu maestoso. L’autopsia confermò che Iatata era incinta. Da<br />

una lettera trovata a bordo della macchina si ottenne la conferma <strong>di</strong> quella che era la<br />

voce <strong>di</strong> popolo. I tre erano un terzetto in fatto <strong>di</strong> sesso. Ciascuno era l’amante degli<br />

altri due. Facevano ficca ficca tra <strong>di</strong> loro. E pure i mascoli ficcavano tra <strong>di</strong> loro. E per<br />

quanto riguarda il figlio che Iatata portava in grembo poteva essere sia dell’uno che<br />

dell’altro. Avevano deciso i ragazzi <strong>di</strong> vivere insieme. Invece riuscirono solo a morire<br />

insieme. Quella fu la loro ultima <strong>cazzicatummula</strong>. Cazzicatummula mortale.<br />

Nelle stesse ore del funerale due imbianchini cancellarono il murales <strong>di</strong> Nikj Sciò. I<br />

pennelli cazzicatummuliavano sull’affresco. E cancellavano tutti. Anche quella fu<br />

una cazzicatummuliata mortale.<br />

Dopo il funerale, fatto in piazza e senza parrini, gli ammuccaparticoli e caca<strong>di</strong>avoli<br />

del paese si scatenarono su quello che era il comportamento dei giovani d’oggi. E li<br />

<strong>di</strong>pinsero <strong>di</strong>avoli con le corna.<br />

><br />

Devozione e Consolata Bucochiuso si accorsero <strong>di</strong> essere incinte. Non ne parlarono<br />

con nessuno. Si attruvarono , in quattro e quattr’otto, due picciotti assitati <strong>di</strong> sticchio,<br />

e si li purtanu a letto. Cu quattru cazzicatummuli d’amuri si attruvanu maritu. Poco<br />

dopo si maritanu. I figli <strong>di</strong> Pompeo e Ben , o forse <strong>di</strong> uno solo <strong>di</strong> loro, <strong>di</strong>ventarono<br />

figli d’altri.<br />

Incinte erano pure Tonina e Ninetta. Il cannolo dell’ingegnere Cannolo ave<br />

cazzicatummuliato bene nel pacchio delle due femmine. E aveva fatto il suo lavoro<br />

ben benino.


Maruzza e Marietta invece erano già belle e appanzate. E pure maritate. Coi ragazzi<br />

<strong>di</strong> buccheri. E facevano maritali cazzicatummulitti d’amuri.<br />

Spissu la sira, <strong>di</strong>cennisi li cosi <strong>di</strong> <strong>di</strong>u, ci arraccumannavano l’anima <strong>di</strong> Ben e Pompeo<br />

allo stesso. E per essere buone anche quelle <strong>di</strong> Iatata.<br />

Nel portafoglio <strong>di</strong> Pompeo fu trovato il suo testamento spirituale. Una poesia<br />

intitolata “ IO E L’UTOPIA”<br />

Percorro la strada amara della vita<br />

tutto pieno <strong>di</strong> rabbia cristallina.<br />

Eppure non bestemmio, perché la mia intelligenza<br />

m’impe<strong>di</strong>sce <strong>di</strong> prendermela<br />

con il nulla fatto tutto,<br />

con il <strong>di</strong>o creato per essere sfruttato,<br />

che parla attraverso e non <strong>di</strong>rettamente…<br />

E cammino per questa strada paesana :<br />

guardo per terra e vedo uno stronzo <strong>di</strong> cane,<br />

intanto da una porta scassata e cadente<br />

una dolce puttana m’invita con un gesto chiaro<br />

a comprare una unione senza senso<br />

per <strong>di</strong>mostrare ancora una volta il mito dell’uomo<br />

chiavarolo che tiene il cervello sulla punta del cazzo…<br />

No, non entro, non la guardo manco in faccia<br />

ho troppi pensieri a cui pensare. Proseguo.<br />

Ma ecco che vedo un gatto in calore<br />

che cerca refrigerio nello sporco piscio celeste.<br />

MIAU. MIAU. MIAU. MIAU UN CAZZO.<br />

Vaffanculo gattaccio nero dagli occhi <strong>di</strong>amantini,<br />

tanto non puoi essere l’inviato <strong>di</strong> quel <strong>di</strong>avolo che non c’è…<br />

E cammino. Intanto dal muro la “ maschera “ del sindaco<br />

che batte e puttaneggia per il suo partito<br />

m’invita sorridente a dargli la mia fiducia.<br />

Ma come, io dare al fiducia a una testa <strong>di</strong> cazzo,<br />

io che avendolo in mano so bene cosa gli farei.<br />

Per il momento mi accosto al muro<br />

e con una mirabile erezione politica gli piscio in faccia….<br />

Poi.. poi con un pennarello rosso accecante<br />

gli “ pianto “ sulla testa un bel paio <strong>di</strong> corna,<br />

gli “ sbatto” sotto il naso dei baffetti hitleriani – e gli stanno anche bene-<br />

gli “ infilo “ un cazzo in bocca a mo <strong>di</strong> sigaro,<br />

quin<strong>di</strong> mi calo i pantaloni, faccio una bella cagata,<br />

la raccolgo e gliela tiro addosso. Bello. Bello.<br />

Sarebbe più bello farlo su <strong>di</strong> lui in persona…<br />

E cammino. E pensando ai miei pensieri<br />

dolorosamente pericolosi penso. Ah, se fossi… No. No.


Meglio essere se stessi e poi la mia arma,<br />

la mia male<strong>di</strong>zione ai raggi KOGLIONIX.<br />

Toh , chi incontro. Il reverendo che esce dalla casa della sua amante<br />

col volto rosso e gli occhi luci<strong>di</strong> <strong>di</strong> una libi<strong>di</strong>ne non del tutto spenta,<br />

ma col sorriso frutto della gioia <strong>di</strong> chi ha peccato…<br />

E cammino. Le pietre mi sembrano telecamere,<br />

la polvere molecole luminose in agguato,<br />

le stelle tante spie, una per ogni potente,<br />

il paese un bordello con tante puttane e qualche protettore.<br />

E io ? Uno zero, un atomo nella materia finita e infinita,<br />

il nulla nel niente con qualche eccezione privilegiante:<br />

qualche fotone <strong>di</strong> energia intellettiva ben usata…<br />

E cammino. E arrivo al sottoscala <strong>di</strong> merda, entro:<br />

una se<strong>di</strong>a sgangherata, un letto sfatto e sporco,<br />

una mutan<strong>di</strong>na bianca macchiata <strong>di</strong> mestruo,<br />

un copricazzo <strong>di</strong> gomma con lo sperma secco appiccicato<br />

residuo <strong>di</strong> qualche lontana felice o infelice chiavata,<br />

un odore che fa stare male chi non gli è amico,<br />

e lì, sul tavolo zoppo dove balla un topo,<br />

lei, la mia cara e dolce creatura :la male<strong>di</strong>zione ai raggi KOGLIONIX…<br />

E finirete <strong>di</strong> camminare potenti del potere,<br />

niente siete e niente ritornerete. Zero + zero.<br />

Finirete <strong>di</strong> camminare voi che fate l’amore col denaro:<br />

ficcatevelo tutto in culo, con la merda ci sta bene.<br />

Per voi padroni occulti o visibilissimi,<br />

politicanti o carrieristi <strong>di</strong> professione,<br />

profeti o <strong>di</strong>rigenti per vocazione è la fine…<br />

Palazzi bianchi, rossi, neri, arancioni, ver<strong>di</strong>, gialle,<br />

bi, tri, quadri, penta o esacromatici,<br />

circolari, ellittici, iperbolici o parabolici,<br />

cubici, parallelepipedo, cilindrici o piramidali,<br />

a croce latina, greca o egizia, cupolati o no.<br />

con lo stemma a due o più palle o stelle,<br />

dovunque e comunque sarete presto scatole vuote…<br />

Potenti, la comme<strong>di</strong>a è finita, cala il sipario delle tenebre.<br />

E’ la fine. E’ la fine. Thanatos è già presso <strong>di</strong> voi,<br />

pronto a infilzarvi sul suo cazzo mortale.<br />

Thanatos vi vuole, vi ama , vi avrà , vi possiederà .<br />

Presto sarete tutti suoi. Anch’io sarò suo,<br />

pronto al sacrificio, ma non sono un eroe:<br />

do la mia vita per potere ottenere la vostra..<br />

Un patto tra me e la mia creatura, non Faust e Mefistofile.<br />

Non sto vendendo al <strong>di</strong>avolo l’anima destinata a <strong>di</strong>o,<br />

<strong>di</strong>o non c’è, non c’è il <strong>di</strong>avolo, io non ho anima.


Sto solo vendendomi a una geniale intuizione<br />

che chiede la mia vita per <strong>di</strong>venire realtà indomabile:<br />

miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> quanti velenosi saranno generati<br />

non appena mi darò all macchina in un felice amplesso<br />

<strong>di</strong>struttore.<br />

E così sia.<br />

Il ra<strong>di</strong>cale inventa le opinioni. Quando lui le ha consumate, il<br />

conservatore le adotta.<br />

M. Twain


POSTFATTO:<br />

1969<br />

La causa delle rivoluzioni è in ciò: che niente perdura ma tutto si<br />

trasforma in un certo ciclo.<br />

Platone<br />

Il principio dell’Inquisizione è il sapere e il conoscere che la cosa sii,<br />

e sii possibile, et conveniente, et da quale si cave profitto.<br />

G. Bruno<br />

La libertà dell’Homo sapiens<br />

inizia da suo organo sessuale …<br />

Nascienu i figghi <strong>di</strong> Memè, Mimì, Marietta e Maruzza. Furono chiamati Ben e<br />

Pompeo Cazzicchiò. E i neonati non facevano altro che cazzicatummuliari nel letto,<br />

tra le braccia dei genitori.<br />

Nascienu i figghi <strong>di</strong> Devozione e Consolata Bucochiuso. Funu chiamati Ben<br />

Minchiolone e Pompeo Ammuccabad<strong>di</strong>. Erano figli dei cari estinti ma portavano in<br />

nome dei padre legali. E anche loro cazzicatummuliavano tra le braccia delle mamme<br />

e le corna dei papà.<br />

Nascienu pure due portacannolicchi in casa dell’ingegnere Cannolo. Le sorelle<br />

Minabrigghiu <strong>di</strong>edero alla luce due belle bambine. Furono chiamate Bona e Bella<br />

Cannolo. Crescendo sarebbero state, sia Bona che Bella, belle e bone per nuove<br />

cazzicatummuli d’amuri.<br />

Finalmente fu completata la cappella per Ben, Iatata e Pompeo. I tre ragazzi furono<br />

seppelliti insieme. Dal <strong>di</strong>ario della ragazza era venuto fuori che lei li presentava come<br />

“ I miei amanti. Il mio amante zito, e il nio amante amico.” E loro <strong>di</strong>cevano “ La<br />

nostra amante.” La tomba fu <strong>di</strong>segnata da Nikj Sciò. Era una tetraedro . E dentro, le<br />

bare furono <strong>di</strong>sposte con le teste al centro e <strong>di</strong>rette verso i vertici del triangolo<br />

isoscele che faceva da base al tetraedro. Il tetraedro regolare era un omaggio al<br />

tetraidro cannabinolo tanto amato dai ragazzi. Nessun simbolo religioso. Dentro la


tomba furono deposti solo tre oggetti cari ai tre ragazzi. Un Kamasutra illustrato <strong>di</strong><br />

Iatata, un Priapo <strong>di</strong> giada <strong>di</strong> Ben e un vasetto pieno <strong>di</strong> marijuana <strong>di</strong> Pompeo.<br />

Su una parete fu collocato un bassorilievo <strong>di</strong> Nikj Sciò. Raffigurava i tre ragazzi nu<strong>di</strong><br />

su una nuvoletta che in realtà era una ban<strong>di</strong>era rossa. In più c’era un bambino senza<br />

volto. Era il figlio comune del trio che non era riuscito a nascere. Era rimasto nella<br />

pancia <strong>di</strong> Iatata. A taliarli sembrava che i quattro volessero rituffarsi nel mare della<br />

vita per fare nuove cazzicatummuli d’amore e politica.<br />

Sotto il bassorilievo i soli nomi. Iatata, Ben, Pompeo e Mary Juano o Mary Juana.<br />

Perché questo era il mone che i tre ragazzi volevano mettere al piccolo. O alla<br />

piccola.<br />

Il lunedì <strong>di</strong> pasqua del sessantanove, nella valle <strong>di</strong> Pantalica, si tenne un raduno in<br />

memoria <strong>di</strong> Ben, Iatata e Pompeo. Fu una festa <strong>di</strong>onisiaca. Un orgia del piacere, del<br />

sapere, del vedere, del pensare. Fu un inno alla libertà a trecentosessanta gra<strong>di</strong>.<br />

C’erano tutti. E tutti nu<strong>di</strong>. C’erano Gerlando Pirlabon e Minimo Mezzocazzone, che<br />

lasciati i C.C., erano entrati nella comunità i figli della Kanapa. C’era Bartolomeo<br />

Ciollardente, oramai ex prete, con la sua compagna, Carmelina Culodoro. C’era<br />

Bernar<strong>di</strong>no Cacaceddu, anche lui ex prete, col suo compagno, Ciccillo Birrillone.<br />

C’erano Micio , le sorelle Fikaminkianova e altri amici. Mimì, Memè e le mogli.<br />

Nicola Cannolo con le sorelle Tonina e Ninetta. Le sorelle Bucochiuso con i mariti.<br />

C’erano Kalò Bi - Gi e i suoi amici. C’erano gli Incardasciò. Il sindaco, la moglie, il<br />

piccolo Pascal, Nitta con Vic, Vanni con Immacolata Cicoriazza, Alex con una nuova<br />

compagna, Nikj con Meg. C’era il dottor Minchiatrina senza le sorelle Stoccacitrolo.<br />

C’era il cugino sacrestano del prete Ciollardente.<br />

Fu rappresentata, da parte <strong>di</strong> un gruppo universitario, la comme<strong>di</strong>a goliar<strong>di</strong>ca<br />

“Processo penale contro don Sculacciabuchi. “ Quin<strong>di</strong> il piccolo Pascal lesse una<br />

poesia. “Apologia del 69”.<br />


cui spesi volentieri tempo e fatica.<br />

Non vi par cosa degna <strong>di</strong> un poema<br />

la leccatura della bella fica?<br />

Per me,chi non la lecca .è empio e pazzo<br />

e non ha sangue al cuor né sugo al cazzo.<br />

Se frequenti il bel sesso e se tu hai<br />

stoffa d’indagator qual io t’assembro,<br />

con gran facilita t’accorgerai<br />

che per la donna non è tutto il membro.<br />

Onde la sua lascivia ben s’estingua<br />

val più d’un cazzo un pezzettin <strong>di</strong> lingua.<br />

Armati <strong>di</strong> costanza e d’accortezza<br />

e quando la vedrai tutta vibrante<br />

non espugnar d’un tratto la fortezza<br />

come sol fare qualunque collegiante<br />

che dà tosto l’assalto alla trincea<br />

per piantare l’asta della sua ban<strong>di</strong>era.<br />

Ma gioca ognor d’astuzia e l’arte adopra<br />

che alla donna riesce assai gra<strong>di</strong>ta<br />

e quando alfin la cavalchi sopra,<br />

fà che d’ogni finezza resti conquìta.<br />

Solo allor dov’e del gau<strong>di</strong>o il centro<br />

sfodera il brando e piantaglielo dentro.<br />

Adotta tal sistema e sempre avrai<br />

dalla tua donna amor costante e stima.<br />

Non dalla fica cominciar dovrai;<br />

leccale il lobo dell’orecchio <strong>prima</strong>.<br />

Baciala, Metti a lei la lingua in bocca.<br />

Succhiale le mammelle. Il collo toccale,<br />

l’ebbrezza le vedrai <strong>di</strong>pinta in viso<br />

le poppe dure, il seno, eretto, ansante<br />

beata ella sarà nel suo sorriso.<br />

La bocca sua bacia allora anelante.<br />

Discen<strong>di</strong> costeggiando piano piano<br />

Quasi un pennello la tua lingua fosse.<br />

Serpeggia dall’orifizio al deretano<br />

con lievi tratti e delicate mosse.<br />

In<strong>di</strong> la fatta via torna a rifare<br />

e lecca sempre e mai non ti stancare<br />

chè all’ombelico infine è giunta l’ora<br />

in cui la sensualissima ragazza<br />

per la libi<strong>di</strong>ne sarà resa pazza.<br />

Poichìella è presa da rrama ardente<br />

l’aver tra le sue cosce la tua testa,


spingila tosto avidamente<br />

poi con la scaltrezza e manovra lesta<br />

pren<strong>di</strong>, mentr’ella languida si muove,<br />

la posizione del sessantanove.<br />

Mentri in tal modo tu resti impegnato<br />

il cazzo tuo tanto superbo è ar<strong>di</strong>to<br />

dalle mani <strong>di</strong> lei sarà impugnato<br />

nella sua bocca messo e ben forbito.<br />

In<strong>di</strong> la lingua con lascivia smossa<br />

Chiamerà il tuo sperma alla riscossa<br />

Allor vedrai che nello stesso istante<br />

due bocche succhieran lo stesso umore.<br />

Vedrai che un cazzo e una fica ansante,<br />

uniti, succhieran lo stesso umore<br />

ed in tal momento <strong>di</strong> supremo desio<br />

Scorderai persin la terra e <strong>di</strong>o.>><br />

Il piccolo aggiunse poi <strong>di</strong> suo: ><br />

Tutti risero e applau<strong>di</strong>rono. Dopo si ballò e quando la luna fece la sua comparsa il<br />

comitato organizzatore invitò i presenti ad onorate i defunti in due mo<strong>di</strong>. O facendo<br />

l’amore a tre o , in onore del nuovo anno, facendo tanti 69. E sesso fu. Duetti e<br />

terzetti alla sanfasò. Tranne il sacrestano che come al solito si la minò. E tranne<br />

Pascal, che firriò in giro, a curiosare. Furono cazzicatummuli <strong>di</strong> piaceri in ogni senso.<br />

Dalle carte <strong>di</strong> Pompeo venne fuori un trattato satirico sull’etica sessuale. Era una<br />

risposta giocosa a chi voleva regolamentare la cosa più bella che aveva l’Homo<br />

sapiens: il sesso. Questo l’ironico trattato intitolato “ A PROPOSITO<br />

DELL’ETICA SESSUALE “<br />

So Pompeuccio, er segretario papale,<br />

che mo’, nella mia qualità de car<strong>di</strong>nale,<br />

dall’ex Sant Uffizio so’ stato incaricato<br />

<strong>di</strong> rendere noto er seguente trattato.<br />

Io ve potrei contà quarche retroscena<br />

e <strong>di</strong>rvi de Sua Santità la granne pena.<br />

Egli <strong>di</strong>ce “ Er monno <strong>di</strong>venta pazzo,<br />

mo’ ar posto da croce metteranno er cazzo.<br />

La gente pena solo e sempre al sesso,<br />

e sto monno s’è ridotto a un gran cesso.<br />

E allora prega Dio, la Madonna e i Santi<br />

e chiede de daje una mano, visto che so’ in tanti.<br />

Suppergiù <strong>di</strong>ce “ Padre nostro che nei cieli sei,


aiutami un po’ a risolvere i cazzi miei.”<br />

Per farla finita er papa ha deciso de regolamentare<br />

Er comportamento vostro in campo sessuale.<br />

Voi potete dì “ Santità se faccia i cazzi sui”.<br />

Ma no fratelli, i tempi so’ troppo bui<br />

e se sua Santità ve sta a rompe li cojoni<br />

lo fa solo per sarvarvi da certe tentazioni.<br />

Soprattutto ve vo’ sarvà da le pene infernali<br />

del famigerato reparto “ Fatti e fattacci sessuali”.<br />

Così, ispirandosi a san Paolo sant’Agostino,<br />

e <strong>di</strong>cenno pane ar pane e vino ar vino,<br />

è stato stabilito e successivamente decretato<br />

che toccarsi er creapopoli è gran peccato<br />

Eppure er cazzo è assai assai importante:<br />

senza de lui, come se farebbe ad annare avanti?<br />

Voi ve chiedere “ Come se farà ad annare a pisciare?<br />

Forse quarche angelo ce verrà ad aiutare? “<br />

Ma no, ma no. Infinite sono le vie del signore.<br />

E intanto guai, guai, guai a come fate l’amore.<br />

Mai e poi mai er coitus interruptus,<br />

quello analis est magum delictus.<br />

Non parlamo poi de cunnilingui e de pompini,<br />

quella è robaccia zozza da casini.<br />

Guai ad usare quarche anticoncezionale.<br />

Chi ha più figli avrà meno tempo per pensare.<br />

E mo, non è certamente per fare er burino,<br />

ma ve proibisco pure Knaus e Ogino.<br />

Guai senza matrimonio annare a letto.<br />

La mussa e il belin non è ancora benedetto.<br />

Guai ad annare con uomini o donne altrui.<br />

Ognuno s’accontenti delle fregne e dei cazzi sui.<br />

Guai a zoccole, lesbiche e finocchi.<br />

Andranno all’inferno privi degli occhi.<br />

Guai al ragazzo che si sarò masturbato.<br />

Verrà un <strong>di</strong>avolo , sarà evirato.<br />

Così, senza più er cazzo e manco li cojoni,<br />

non potrà risponnere a certe tentazioni.<br />

‘Nsomma, sto papa bono, pe’ voi se preoccupato<br />

e ha deciso de savarvi tutti dal peccato.<br />

Certo che voi potete <strong>di</strong>’, che in fonno in fonno,<br />

uno dei più granni puttanieri der monno<br />

fu er famoso san Mentulino<br />

che da boccia nun fu certo un santarellino.<br />

Ficcanno oggi e pure domani, ebbe un fijo naturale,


ma poi capì che viveva ner peccato mortale.<br />

Fu allora che preso da una santa ispirazione<br />

sentenziò la seguente stupenda decisione:<br />

“ Omini e femmine <strong>di</strong> sto monno pazzo,<br />

atturatevi a fregna e tajatevi er cazzo”.<br />

D’allora la morale cristiana si fonna sur tabù<br />

e sur fatto che Maria vergine ce cagò Gesù.<br />

Grazie a ciò fu arrostito Bruno Giordano,<br />

bruciò Savonarola, fu carzarato Galileo sano sano,<br />

se dette a fa assai assai la santa inquisizione<br />

e tutto quanto er monno <strong>di</strong>venne più cojone.<br />

Così, oggi, quer fijo bello de sua santità.<br />

vorrebbe regolà er sesso a tutta l’umanità.<br />

Ma poi, er sesso, non è affatto immorale.<br />

Artrimenti Dio, essere soprannaturale,<br />

ner creare tutto quanto sto monno fetente,<br />

sicuramente pe’ fa riprodurre la gente,<br />

quarche artro sistema avrebbe escogitato.<br />

Nun l’ha fatto, dunque er sesso nun è peccato.<br />

Ma la chiesa deve <strong>di</strong>fenne le sue posizioni,<br />

deve <strong>di</strong> no ad ogni modernizzazione,<br />

Er papa ha fatto voto de vive in castità.<br />

E poi che volete, con do senza voto, alla sua età.<br />

‘nsomma, è stato deciso e poi ribattuto<br />

che er popolo ancora doveva essere fottuto<br />

Mo ho finito, Bene e pace, pace e bene,<br />

ognuno anneghi nelle sue sante pene.<br />

Un Credo e un Pater per ogni mancanza,<br />

oltre a una offerta per la mia santa panza.<br />

Un me pento, un me dolgo e un’Ave Maria<br />

pe’ restà sempre un pugno de stronzi. E cosi sia.<br />

Pietruccio Sorcaealtro .<br />

Fine 11-1-2003


Grazie a Rimbaud, a Baudelaire, a Peter de Rosa, ai curatori <strong>di</strong> “Ifigonia e canti<br />

goliar<strong>di</strong>ci”, al sito www.racine.ra.it , agli autori delle tante citazioni. Grazie<br />

anche a Paolo Rupert Santoro.<br />

Paolo Rupert Santoro<br />

Le citazioni sono degli autori citati.<br />

La poesia “ Venere Ana<strong>di</strong>omene” è <strong>di</strong> Arthur Rimbaud.<br />

Le poesie “Le litanie <strong>di</strong> Satana” e “A una madonna” sono <strong>di</strong> Baudelaire.<br />

La poesia “Apologia del 69” è tratta da “ Ifigonia e canti goliar<strong>di</strong>ci”<br />

Le poesie sono dell’autore.<br />

La scheda <strong>di</strong> Bonifacio VIII è tratta dal sito www.racine.ra.it . E stato cambiato il<br />

termine “ francese “ con “ Colonna”.<br />

Altre notizie su Bonifacio VIII sono tratte da “ I vicari <strong>di</strong> Cristo” <strong>di</strong> Peter de Rosa.

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