PDF [1 Mb circa - 50 pagine] - Consigliera di Parità

Soggetto attuatore:
Consorzio Cooperative Sociali SINAPSI a.r.l.
Lungo Dora Voghera 22 - 10153 Torino
Tel: 011.8128553 - fax: 011.8100250
Segreteria organizzativa:
Provincia Torino: 011.8162771
Cooperativa Eta Beta: 011.8100211
Cooperativa Mappa Mondo: 011.8128553
UNIONE EUROPEA
Fondo Sociale Europeo
Ministero del Lavoro
e delle Politiche Sociali
www.etabeta.it
La C nsigliera
di p g rità provinciale
Promuovere le donne promuovendo la Consigliera
FSE 2000-2006 Ob. 3 Asse E Linea 4, Azione 4.2-4.2.1

ATTI DEL
CONVEGNO
8 novembre 2002
“ Le donne
e le politiche di
pari opportunità
nel quadro della
nuova riforma
del lavoro ”
Promuovere le donne promuovendo la Consigliera
FSE 2000-2006 Ob. 3 Asse E Linea 4, Azione 4.2-4.2.1
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Soggetto attuatore:
Consorzio Cooperative Sociali SINAPSI a.r.l.
Lungo Dora Voghera 22 - 10153 Torino
Tel: 011.8128553 - fax: 011.8100250
Segreteria organizzativa:
Provincia Torino: 011.8162771
Cooperativa Eta Beta: 011.8100211
Cooperativa Mappa Mondo: 011.8128553
Grafica:
Eta Beta - Torino
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Indice
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PRESENTAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 5
LAURA CIMA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 7
Consigliera di Parità Provinciale Torino
GIOVANNA BOSCHIS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 13
Associazione APID Imprenditorialità donna
DELIA FERRERO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 17
Unione Industriale di Torino
ADRIANA CELOTTO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 21
Responsabile politiche di genere CISL
GIANNA ROLLE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 25
Animatrice pari opportunità del FSE
ADRIANA LUCIANO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 33
Docente di sociologia del lavoro Università degli Studi di Torino
ANNAMARIA POGGI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 37
Prof.ssa straordinaria di istruzione di diritto pubblico Università degli Studi di Torino
MAURO DURANDO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 55
Osservatorio Regionale Piemontese
LUCIA MOLLICA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 59
Direttore Agenzia Piemonte Lavoro
IDA ROSSI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 67
Dirigente Servizio Lavoro - Provincia di Torino
GIANPIERO COLORE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 73
Direzione Provinciale del Lavoro - Servizio Ispezione del Lavoro
ROBERTO VISETTI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 77
Società di fornitura Obiettivo lavoro Scrl
LUISA PAVESIO MOSSO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 89
Presidente nazionale FIDAPA, Federazione Italiana Donne Arti Professionali Affari
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Presentazione
Presentazione
Questi atti del convegno dell’8 novembre 2002, vengono presentati in occasione di una iniziativa
che le Consigliere di parità provinciali, nel giorno dell’8 marzo 2003, vogliono attuare
con le donne interessate della Fiat e dell’Indotto per arrivare ad una rete che coinvolga
e supporti i lavoratori e le lavoratrici a rischio di licenziamento, i cassaintegrati e coloro che
hanno perso il lavoro a seguito della crisi Fiat e del declino industriale della provincia di
Torino.
Insieme a sindacati, piccole aziende dell’Indotto, lavoratrici e lavoratori, mogli di cassaintegrati,
questa iniziativa vuole creare una rete che continui nel segno dei contenuti del convegno
dell’ 8 novembre 2002, e che costituisca anche un momento di solidarietà.
Stiamo lavorando insieme alle istituzioni della provincia di Torino, in primo luogo con il
Comune, ma anche con l’Osservatorio provinciale e regionale per creare un coordinamento
al femminile che ha l’ambizione di partecipare ai tavoli territoriali esprimendo una forza
collettiva.
Laura Cima Consigliera provinciale effettiva
Ivana Melli Consigliera provinciale supplente
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Laura Cima
Consigliera di Parità Provinciale Torino
Laura Cima
L’iniziativa dell’Ufficio di Consigliera di Parità di oggi, relativa alle politiche di pari opportunità
nel quadro della nuova riforma del lavoro, cade in un periodo particolarmente vivace
sia per gli aspetti positivi (ripresa di movimenti e consapevolezza sociale) sia per quelli negativi
(pesante attacco all’occupazione, in particolare a quella femminile).
Contemporaneamente al nostro lavoro oggi a Firenze molte amiche discutono di globalizzazione
e libero mercato e dei guasti che, per l’incapacità politica degli Stati nazionali e
degli organismi internazionali, questa globalizzazione determina nella nostra società, contribuiscono
quindi a elaborare una analisi economica che mette a fuoco la fase che stiamo
vivendo.
La globalizzazione pare incompatibile con il Welfare Stare, sembra che per poter garantire
il libero mercato l’economia debba ridurre il costo delle politiche sociali mentre un secolo
fa, quando è iniziata la grande internazionalizzazione delle economie il Welfare State si è
sviluppato, è stato il momento il cui è stato lanciato. Gli Stati si sono dati programmi politici
che concretizzavano l’aspirazione alla giustizia sociale. Sembrava che lo sviluppo fosse
assolutamente intrecciato con il Welfare State, tant’è vero che l’idea che si affermò fu che
più c’era sviluppo, più c’era internazionalizzazione dei mercati e più ci sarebbe stato Welfare
State.
La competizione oggi sembra in contrasto con la politica sociale. Noi oggi dovremmo considerare
le politiche di pari opportunità all’interno del Welfare, e quindi anche delle politiche
del lavoro. A livello europeo e a livello internazionale le politiche sociali spesso fanno la
parte di cenerentola tant’è vero che una delle tante pecche dell’ultimo Summit internazionale
dell’ONU, quello di Johannesburg, è proprio che le politiche sociali, e quelle del lavoro
in particolare, sono state tenute poco in considerazione nonostante la presenza determinata
di organizzazioni sindacali e dell’OIL. Dal documento conclusivo e dal Piano di
Azione sono pochissimi i punti che riguardano il lavoro.
Questi grandi interrogativi dovrebbero indirizzare anche la nostra ricerca. Dicevo prima che
a Firenze molte donne nel Social Forum europeo stanno discutendo questi temi ma non
con un’ottica di pari opportunità: io propongo che questa analisi arricchisca le pari opportunità
in Italia e per questo motivo la Commissione Pari Opportunità, su iniziativa del gruppo
Ecologia che coordino, ha promosso il convegno:“ Globalizzazione e vita delle donne”
che si terrà il 3 dicembre a Roma.
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Laura Cima
Questo processo di mondializzazione va avanti ad una velocità rapidissima per cui si riesce
anche difficilmente a capirlo e questo convegno è il primo momento in cui cercheremo di
coordinare chi lavora nelle istituzioni, nella ricerca, nelle ONG e nel privato. Partendo da
Agenda 21 cerchiamo di capire cosa le donne stanno facendo sul territorio per affrontare i
problemi sempre più complessi che l’attuale modello di sviluppo pone in termini economici,
sociali e ambientali; la sorpresa è che stanno facendo tantissimo all’interno o in collaborazione
con gli Enti locali, più di quanto non facciano i Governi nazionali, e lo si è verificato
a Johannesburg. La Presidente della Provincia di Torino, Bresso, fa parte della
Presidenza dell’ICLEI, l’organismo internazionale che riunisce tutti gli Enti locali e il vicepresidente,
Gamba, è il responsabile degli Enti locali italiani per agenda 21.
Sarò comunque grata alle relatrici che interverranno se nelle loro relazioni valuteranno
anche questi aspetti.
Il secondo punto che pongo all’attenzione è come, in conseguenza della globalizzazione,
stia cambiando il modo di lavorare e il rapporto di lavoro, così come il modo di fare imprenditoria.
Credo siano in cartellina due provvedimenti appena approvati alla Camera, il primo
è una delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro che risale ancora
alla Finanziaria dell’anno scorso ed è rimasto sospeso un anno, con un morto, Biagi, e una
spaccatura sindacale, con una amplissima discussione e mobilitazione nel Paese. Valutare
con i nostri occhi se il processo di riforma del mercato del lavoro, cominciato da una donna,
perché la prima che disegnato una riforma del mercato del lavoro è stata la mia collega
Montecchi, ci pare che si stia svolgendo a favore delle donne. Questo processo ha modificato
per esempio il rapporto tra centro e periferia, ha rafforzato la situazione delle province,
ha cambiato il ruolo e la funzione del Centri per l’Impiego e ha poi aperto la via alla liberalizzazione
degli istituti che fanno incontrare la domanda e l’offerta di lavoro. Quindi sono
nate le agenzie interinali, che hanno rappresentato una grandissima novità e una rottura
rispetto al passato. Oggi ho invitato anche rappresentanti delle agenzie interinali perché
credo che finalmente, ad un po’ di anni da quella riforma, noi dobbiamo cominciare a valutarne
gli effetti.
C’è purtroppo un vizio del sistema maggioritario che stiamo sperimentando in Italia,
ancora imperfetto perché non è stato perfezionato a livello costituzionale per garantire le
tutele democratiche nei confronti di noi donne, nei confronti delle minoranze e delle
opposizioni.
Il vizio deriva dall’incapacità di praticare l’alternanza in modo democraticamente e politicamente
maturo: a volte sembra di essere all’asilo dove i bambini si fanno i dispetti smontandosi
reciprocamente i giochi appena avviati, nell’ansia di far valere il fatto di esser più
bravi: il disagio di chi lavora, degli operatori, dei cittadini, cresce sempre di più perché hai
appena capito che cosa comporta una riforma e, se arriva un governo di segno opposto, ti
fanno subito una controriforma.
Il collegato alla finanziaria dello scorso anno sull’occupazione e il mercato del lavoro per
esempio introduce una flessibilità molto forte, che io ho l’impressione che noi donne non
riusciamo a governare a nostro vantaggio mentre quando è iniziato il processo di riforma
del mercato del lavoro e l’introduzione di elementi di flessibilità, noi abbiamo cercato di
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Laura Cima
governarla a nostro vantaggio, a cominciare dalla possibilità di avere orari diversi, di avere
condizioni di lavoro più funzionali alla nostra vita di drammatica inconciliabilità tra i nostri
lavori e i tempi umani di vivibilità.
Ricordo che in vista della Conferenza internazionale di Pechino sulle donne le agenzie
dell’ONU a questo deputate hanno fatto un monitoraggio sui carichi di lavoro delle donne
nei diversi paesi da cui risultava che le italiane lavorano più ore al giorno di tutte le altre
perché non c’è una distribuzione del lavoro di cura e domestico tra i due sessi. Dalla rivoluzione
femminista sono cambiate tante cose ma più sul piano sessuale e familiare che non
su quello della distribuzione del lavoro; certo i giovani padri sono più attenti ai loro figli,
spesso li accompagnano a scuola, stanno con loro più ore, però il vero lavoro di cura continua
a rimanere sulle spalle delle donne. Sarebbe interessante vedere rispetto alle legge 53
quanti padri hanno usufruito dei congedi parentali che la legge permette loro, questo è un
indicatore importante che misura il fallimento della politica della conciliazione dei tempi per
quanto riguarda l’altro sesso, noi continuiamo a dover conciliare i tempi di tutti i lavori e di
tutte le incombenze anche sul territorio e l’altro sesso concilia al massimo il tempo di lavoro
e il tempo del divertimento e lì ci fa rientrare quel pochino di rapporto in più con i figli.
Se non si sposta questo asse nella gestione della vita tra uomo e donna nel nostro paese,
neanche nella nostra provincia, la mole di lavoro delle donne sarà sempre eccessiva e qui
arriviamo al terzo punto: quando le donne vengono espulse dal mercato del lavoro tutto
sommato non è che rischiano il suicidio come succede purtroppo agli uomini che non trovano
più ragione di vita senza lavoro e cadono in depressione. Le donne, in un primo
momento pensano che potranno badare in modo meno ansiogeno a tutto quello che devono
fare. Poi si fanno i conti di fine mese e ritorna l’ansia.
A seguito della drammatica crisi FIAT molte donne saranno espulse e questa situazione va
monitorata e analizzata. Se ragioniamo con il punto di vista che ho esposto all’inizio, anche
questa crisi è riconducibile alla globalizzazione dei mercati che pretende che di eliminare
ogni barriera protezionistica, pretende che gli Stati non sovvenzionino le aziende mentre i
gruppi finanziari internazionali spostano le loro finanze dove è più produttivo con un processo
velocissimo senza preoccuparsi delle ricadute occupazionali. Tenere la competitività
in un mercato che sta diventando selvaggio è molto difficile: inoltre intorno alla FIAT si
sono accumulati errori gravi da parte di tutti gli attori. Da parte della proprietà che ha finanziarizzato
l’azienda privilegiando speculazioni a produzione, del management che ha fatto
errori di produzione e di mercato, a cominciare da quel Romiti che si liberò da tutti gli operai
sindacalizzati e scomodi mettendo contro di loro i quadri, che licenziò il decennio dopo,
ma anche da parte dei sindacati che accettarono l’espulsione di 100.000 operai su 180.000,
la più parte nella nostra provincia, come pure dei governi nazionali e locali che hanno sempre
assistito quest’impresa anzichè spingerla alla ricerca della concorrenzialità di mercato.
Ci metto anche un ministro verde, Ronchi, che con la politica della rottamazione non ha
fatto che prolungare un’agonia già evidente, sicuramente le banche hanno avuto un ruolo
vergognoso a cominciare da Mediobanca di Cuccia per finire alla Banca d’Italia di Fazio che
adesso è sotto processo perché non ha saputo o voluto controllare il livello di indebitamento
dell’azienda.
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Laura Cima
Adesso siamo in attesa di quel finanziere d’assalto, tal Colaninno che abbiamo già visto
all’opera all’Olivetti e alla Telecom.
Anche rispetto a questi problemi di politica finanziaria e di politica industriale dobbiamo
riuscire prima o poi ad elaborare un nostro punto di vista decodificando le dinamiche, perché
altrimenti non riusciamo più a capire la realtà che ci circonda e che si modifica così
velocemente.
Naturalmente occorre maturare una capacità di affrontare questi problemi complessi in
modo collettivo e non solo individualmente. Io sono convinta che voi siete tutte bravissime
nel ruolo che svolgete ad affrontare e a capire questi problemi, però collettivamente non
c’è una elaborazione nostra su questi temi, non c’è neanche quella degli uomini, né da
destra né da sinistra, siamo molto indietro rispetto alle esigenze di governare i processi. I
processi del mondo e la nostra vita non
possono essere ingovernabili, qualcuno tira i fili ma oggi è anche difficile capire chi li tiene
realmente in mano.
Se non ci siamo quando si definiscono e si cambiano le regole del gioco subiamo solo gli
effetti e i problemi diventano drammatici per noi e per i nostri figli. Ieri c’è stata la rottura
rispetto al piano FIAT, l’unico aspetto positivo è che i sindacati si sono riuniti, ma si sono
riuniti al ribasso, lasciando il tavolo. Uno degli altri problemi che pongo, che riguarda sia le
rappresentanti del mondo imprenditoriale sia le rappresentanti delle organizzazioni sindacali,
è che le donne normalmente sono molto più capaci a mediare i conflitti degli uomini,
forse perché devono mediare nella loro vita quotidianamente i conflitti e i problemi materiali
che la gestione di una giornata tipo con bambini, anziani, marito, amici, colleghi di
lavoro, comporta. In ogni situazione difficilmente rompono senza che si sia arrivati ad un
accordo su quel che si sta discutendo al tavolo. Prova ne è, vi faccio un esempio che mi ha
scandalizzata, a Johannesburg il nostro Governo ha mandato a trattare praticamente tutte
donne, io le ho invitate al convegno del 3 dicembre perché voglio anche valorizzarle, ma
erano sotto un capo uomo, Clini. Lui dava le direttive, ma quelle che si facevano il mazzo
per cambiare la parola, trovare la mediazione, erano tutte donne bravissime. Una di queste
mi ha detto di essere contenta dell’invito al convegno ma che la sua capa non le dava l’autorizzazione
a fare la relazione a nome del Ministero, lei ha trattato là, mica c’era Tremonti,
ma da una capa donna non ha l’autorizzazione a relazionare in un convegno di donne sul
suo lavoro. Questo mette anche in gioco il tipo di relazioni che ci sono tra di noi, tra chi ha
più potere e chi ne ha un po’ meno. Anziché valorizzare donne noi tentiamo di bloccarle.
Questo si riflette sui problemi di gestione e di visibilità del lavoro enorme che le donne
fanno, perché poi le donne sono quelle che non si alzano dal tavolo, sono quelle che studiano,
che non appaiono. Nel mio gruppo parlamentare siamo solo due donne, io e la mia
collega arriviamo a votare con tonnellate di carta che ci siamo lette e studiate, interveniamo
continuamente sui problemi che riteniamo inportanti, i nostri colleghi invece fanno i
comunicati stampa e vanno nelle riunioni dove si fa politica e non li vedi mai girare con un
foglio in mano. E questa è una realtà molto diffusa a livello di donne politiche a tutti i livelli.
Il problema è che non abbiamo spazio di far uscire queste nostre elaborazioni, noi non
siamo nei luoghi di potere o di decisione reale. Io sono intervenuta nell’assemblea
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Laura Cima
dell’Ulivo, la prima dopo quindici interventi di uomini, dicendo, ho proprio avuto un moto
che raccoglieva il malumore degli altri deputati peones, scusate già vi leggiamo tutti i giorni,
sui comunicati stampa e sui giornali, in televisione vi vediamo e sentiamo quello che proponete,
nei talk show vi rivediamo, adesso non ho capito perché dobbiamo risentirvi. Se ci
avete convocato come parlamentari vuol dire che volete sentire che cosa noi abbiamo da
dire. Questa ribellione è quella che probabilmente ogni tanto ciascuna di voi prova se il
luogo di lavoro è maschile mentre ha troppo poco se il luogo è femminile (io per esempio
ho delle reali difficoltà ad attaccare una donna pubblicamente mentre invece pare che lo
sport principale degli uomini sia quello di attaccarsi reciprocamente). Anche rispetto a queste
modalità di fare politica, di fare lavoro, di relazionarci tra di noi, di relazionarci con i
nostri capi, con i nostri datori di lavoro, con i nostri sottoposti, noi probabilmente abbiamo
un livello di civiltà nei rapporti umani e sociali più alto, forse un po’ impasticciato perché
non riusciamo a relazionarci tra di noi così facilmente, magari ci diamo una botta, una litigata,
ma poi non riusciamo a razionalizzare politicamente o in modo chiaro la contraddizione
che c’è.
Credo di avere aperto con questa relazione introduttiva troppe questioni, sicuramente non
tutte oggi le possiamo affrontare ma dovremo tenerne conto: sicuramente noi pubblicheremo
gli atti di questo convegno ma sarebbe molto interessante che anche con altre iniziative
si confrontassero su questi temi e si coordinassero in una rete provinciale, Non entro
nelle politiche di pari opportunità perché se mai lo faremo alla fine del convegno, dopo che
abbiamo sentito tutte le relatrici, tirando le fila di quella che è l’analisi che faremo insieme.
Vi ringrazio e passo la parola a Giovanna Boschis, che è la prima relatrice e che ci farà capire
come il lavoro cambia, come l’imprenditoria cambia e come questi problemi si riflettono
sulla quotidianità dei rapporti dell’associazione che lei rappresenta, dell’impresa in cui
lavora.
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Giovanna Boschis
Associazione APID Imprenditorialità donna
Giovanna Boschis
APID- Imprenditorialità Donna – nasce e si sviluppa come associazione che mette a disposizione
le competenze delle donne titolari d’impresa in progetti e iniziative che valorizzano
l’approccio integrato e la collaborazione di rete, con particolare attenzione allo sviluppo
dell’imprenditorialità femminile e delle pari opportunità, per valorizzare il ruolo e la professionalità
delle donne.
Lo sviluppo dell’imprenditorialità femminile.
Oggi esiste un forte interesse riguardo al mondo del lavoro femminile, il che costituisce un
aspetto positivo; contemporaneamente però questo è anche dimostrazione che il raggiungimento
di una cultura di mainstreaming (integrazione di politiche specifiche a politiche
generali e trasversali con un segno di genere. Formazione di una cultura di genere, attivazione
di una politica dei tempi di lavoro, valorizzazione della professionalità e dell’imprenditorialità
al fine di generare le condizioni favorevoli all’impresa) è tutt’oggi lontana a venire,
così come concetto portante definito dalla IV conferenza mondiale sulla donna di
Pechino del ’95.
Si sente cioè l’esigenza di continuare a parlarne, sebbene da tempo sia in atto un percorso
internazionale che non solo affronta e sviluppa le problematiche di pari opportunità, ma
che anzi riconosce in particolar modo le azioni imprenditoriali come fondamentali per il
benessere economico.
Cito come esempio tra tutti, l’esplicita valorizzazione che nel novembre 1997 il Consiglio
Europeo sull’occupazione (e ripeto sull’occupazione, non sulle politiche di genere o sulle
problematiche femminili) ha voluto riconoscere: la risoluzione dice testualmente:
“anche attraverso lo sviluppo dell’imprenditorialità femminile e delle piccole – medie
imprese sarà possibile dare un contributo notevole alla soluzione del problema occupazionale
e allo sviluppo socio-economico.
Livelli di scolarizzazione più alti e maggior protagonismo sociale hanno portato ad una crescita
pressoché irreversibile riguardo la femminilizzazione del lavoro, quindi dell’imprenditoria,
scelta auspicabile in un contesto in cui l’imprenditorialità è considerata un valore positivo”.
Negli ultimi anni si è manifestata una forte vocazione imprenditoriale: tra il 94 e il 98 le
donne imprenditrici sono cresciute del 56,4%, il doppio degli uomini, mentre le libere professioniste
51,4 contro 25,4.
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note
Giovanna Boschis
Questo percorso in Italia si è tradotto in due leggi nazionali:
- Legge 125 del 10 marzo 1991 “Azioni positive per la realizzazione delle pari opportunità
uomo-donna nel lavoro” 1
- Legge 215 del 25 febbraio 1992 “Azioni positive per l’imprenditoria femminile” 2 , due
leggi estremamente diverse per vocazione, ma che hanno indiscutibilmente prodotto
risultati rilevanti e hanno identificato chiaramente anche nella prospettiva del lavoro autonomo,
uno strumento per l’occupazione femminile (il Comitato della legge 125 ha ad
esempio recentemente identificato all’interno del programma obiettivo 2002 l’esigenza di
consolidare le imprese femminili con finanziamenti finalizzati allo sviluppo).
In questo contesto risulta evidente come non sia più possibile vedere il self-employment
come un’attività residuale: esso costituisce un’occasione di sviluppo economico e sociale.
In una parola sola: una risorsa comune.
L’imprenditorialità femminile si va sempre più caratterizzando come imprenditorialità diffusa
basata sul self-employment, cioè su microattività autonome di tipo individuale.
Questo non significa che percentualmente non permangano delle difficoltà oggettive: malgrado
questa vocazione all’impresa, la partecipazione delle donne al mondo dell’imprenditoria
non solo risulta ancora minoritaria, ma in larga parte continua ad essere legata a ruoli
di second’ordine.
Perché?
Il motivo è molto semplice: non perché no sia stato condotto un lavoro serio e impegnativo
da parte delle istituzioni che si occupano di mercato del lavoro, ma perché le
politiche che possono favorire le pari opportunità nel mercato del lavoro non vanno cercate
solo nel mercato del lavoro, ma anche nell’ambito delle politiche di sostegno alla
famiglia, accesso all’istruzione e delle politiche fiscali e culturali.
Per l’imprenditoria e il mondo del lavoro al femminile esiste una parola d’ordine: trasversalità.
Senza indulgere in falsa retorica, la donna che vuole iniziare o ha iniziato un’attività autonoma,
non deve solo scontrarsi con problemi di accesso al credito, di scarsa visibilità economico-sociale
o di formazione, ma anche con una cronica carenza di politiche volte alla
conciliazione tra lavoro per il mercato e lavoro per la famiglia.
Politiche che, di fronte ad una complessificazione forte del lavoro familiare, rimangono
assenti.
Questo a nostro avviso risulta oggi il problema più serio: per chi lavora in proprio le politiche
di conciliazione e strumenti facilmente accessibili non sono opzionali, ma fondamento
1 La legge 125 del 10 aprile 1991 ha lo scopo di rimuovere gli ostacoli che impediscono la realizzazione delle pari opportunità attraverso
strumenti quali:
- Finanziamento di progetti da parte di imprese, enti pubblici, associazioni sindacali
- Finanziamenti mediante formazione professionale attraverso un fondo di rotazione
- Azioni di giudizio che definiscono comportamenti discriminatori
- Istituzione del Comitato nazionale per l’attuazione dei principi di parità e di una segreteria tecnica con lo scopo precipuo di operare
in senso propositivo, di promozione e di verifica legislativa
- Istituzione dei Consiglieri di parità regionali e provinciali
2 Agevola l’accesso al credito e finanzia la creazione di imprese, completata non senza difficoltà, tanto che il necessario decreto attuativo
risale al ’97.
14
Giovanna Boschis
stesso della possibilità di una vita lavorativa e familiare completa e serena.
Le donne imprenditrici, le libere professioniste (non solo loro, è evidente, ma in particolar
modo loro, proprio per la particolare distribuzione del tempo che il lavoro autonomo richiede)
hanno bisogno della
• disponibilità di un’offerta di servizi di cura con orari flessibili
• politiche locali di tempi delle città
• strumenti che formulino una nuova cultura del tempo.
In questo senso ci siamo sentiti di formulare una proposta, un’idea: un tavolo provinciale
istituzionale che metta in relazione
• le operatrici economiche (associazioni di categoria, camera di commercio, ecc..)
• le operatrici nel settore del volontariato e servizio e impresa sociale (banche del tempo,
asili famiglia, sistemi di cura)
• l’istituzione (provincia, comuni, ecc..)
al fine di comunicare tra i diversi attori sociali e valorizzare le potenzialità esistenti.
Le pari opportunità nella riforma del mercato del lavoro
La riforma del mercato del lavoro disegnata nel “libro bianco” del Prof. Biagi mira a rimuovere
tutti quei fattori esterni al lavoro che influenzano negativamente la decisione delle
donne di iniziare l’attività lavorativa.
A questo riguardo evidenzia la necessità di prestare particolare attenzione a quattro aspetti:
1. il trattamento fiscale dei redditi da lavoro, in modo da non disincentivare il lavoro femminile
anche quando aggiuntivo all’interno di un dato nucleo familiare;
2. la disponibilità di servizi di cura a beneficio delle famiglie, di cui abbiamo già fatto cenno;
3. le forme contrattuali flessibili, in particolare il part-time, per determinare spazi concreti
di ulteriore crescita dell’occupazione femminile;
4. le politiche formative, nel contesto sia della formazione continua, sia delle azioni di
riqualificazione / ricollocazione, sull’asse delle pari opportunità.
E’ un approccio sistemico che condividiamo e sosteniamo, particolarmente vivo e importante,
alla luce dell’attualità dei rilevanti problemi produttivi e occupazionali che investono
oggi la realtà torinese, a partire dall’industria dell’auto.
Contemporaneamente è però altrettanto importante che anche le parti sociali, e in particolar
luogo le imprese, sappiano meglio assicurare le politiche del personale alla crescente
presenza delle donne nel mercato del lavoro, imparando a gestire e valorizzare l’occupazione
femminile, comunque caratterizzata da una maggiore discontinuità nell’arco della
vita lavorativa.
E’ nella consapevolezza dell’impegno organizzativo e anche culturale che ricade sullo stesso
sistema delle imprese che APID ha scelto di impegnarsi, come associazione di imprenditrici,
in diversi progetti e partnerships per concorrere a diffondere cultura e buone pratiche
di pari opportunità.
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Delia Ferrero
Unione Industriale di Torino
Delia Ferrero
Esaminando i dati rilevati sul territorio piemontese sugli avviamenti, sui lavoratori interinali,
sulle collaborazioni coordinate e continuative, ho fatto alcune riflessioni non legate strettamente
ad un’ottica di genere.
Sugli avviamenti totali quelli riferiti a personale femminile sono il 42% nel 2000 e il 43%
nel 2001.
Infatti, anche se le donne avviate nel settore industria sono decisamente inferiori agli uomini
(29% nel 2000 e 28% nel 2001), nel terziario e nella Pubblica Amministrazione sono la
stragrande maggioranza. L’80,2% nel 2000 e 71,3% nel 2001 degli assunti nella Pubblica
Amministrazione sono donne. Nel terziario il 51,4% nel 2000 e al 50,8% nel 2001, delle
assunzioni sono riferite a personale femminile.
Peraltro, l’aspetto che risulta più accentuato è sicuramente l’alta incidenza dei contratti a
tempo determinato sugli avviamenti netti.
Tale forma di assunzione ha costituito circa il 69% degli avviamenti del 2000 e il 74,1% del
2001.
Per i primi mesi del 2002 ho solo i dati relativi alla provincia di Torino ma, in termini percentuali,
non si discostano da quelli degli anni precedenti.
Da una statistica delle associazioni di categoria delle aziende di lavoro interinale si evince
che nel 2001 i rapporti di lavoro temporaneo instaurati in Piemonte sono stati circa 60.000
(di cui il 44,86% con donne). Anche questo dato è sostanzialmente confermato nel 2002.
Altro dato da considerare è il numero degli iscritti, nella provincia di Torino, alla Gestione
separata di cui all’art. 2, comma 26, della Legge n. 335/1995 (cosiddetti collaboratori coordinati
e continuativi, lavoratori autonomi).
Nel 2000 gli iscritti sono stati 69.000 (di cui il 44,53% donne) e nel 2001 n. 76.000 (di cui
il 45% donne).
In Italia sul numero complessivo degli occupati il 25% sono lavoratori dipendenti.
Da un indagine comparativa tra i paesi più industrializzati, il lavoro dipendente raggiunge
la massima incidenza proprio in quei paesi in cui la regolamentazione del mercato del lavoro
e le protezioni del posto di lavoro sono meno stringenti.
Il risultato positivo della maggior occupazione femminile è sicuramente da ascriversi al processo
di flessibilizzazione del mercato del lavoro già iniziato alla fine degli anni novanta.
Sicuramente sia lo schema di decreto legislativo che modifica e correggere il Decreto
17

Delia Ferrero
Legislativo 181/2000, approvato dal Consiglio dei Ministri in data 24 ottobre 2002, sia il
Disegno di legge delega, gia’ n. 848 ora n. 3193, approvato dalla Camera il 30 ottobre
2002 potranno completare questo processo.
Forme di lavoro più flessibile (ad es. : il lavoro o chiamata) non possono che dare più opportunità
di occupazione alle donne, in tutti i cicli della loro vita.
Infatti permettono alle donne che, per motivi di famiglia non possono o non vogliono scegliere
un lavoro che la impegni per molto tempo di poter, in ogni caso avere una attività
lavorativa.
In ogni caso regolamentando queste forme di contratto si evitano abusi e si limita il lavoro
nero.
Solo attraverso questo percorso sarà possibile alzare la percentuale degli occupati.
Chiaramente per poter dare un giudizio definitivo sui provvedimenti in argomento occorre
attendere le disposizioni attuative, ma da una prima analisi mi pare che entrambi riservino
una particolare attenzione al lavoro femminile.
L’art. 3 del Decreto Legislativo, che modifica il precedente n. 181/2000, prevede che le
Regioni debbano, nel definire gli obiettivi e gli indirizzi operativi delle azioni che i servizi per
l’impiego effettuano al fine di favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, prevedere
tassativamente alcuni interventi, tra cui quelli nei confronti di “donne in reinserimento
lavorativo” e cioè quelle che già precedentemente “occupate”, intendono rientrare nel
mercato del lavoro dopo almeno 2 anni di inattività.
Il Disegno di Legge Delega in materia di occupazione e mercato del lavoro coinvolge
ampiamente il Ministero delle Pari opportunità nel processo di attuazione delle deleghe.
Inoltre nell’individuare i principi e i criteri direttivi in base ai quali la delega deve essere esercitata
le problematiche del lavoro femminile rivestono molta importanza.
Cito ad esempio:
Art. 1, comma 2 (delega per la modernizzazione e razionalizzazione del collocamento
pubblico)
Art. 2 (delega al governo in materia riordino dei contratti a contenuto formativo
e di tirocinio)
• • Lett. e) prevede che gli strumenti definiti relativamente a apprendistato, ai tirocini
(anche al fine del subentro nell’attività di imprese) e alle misure di inserimento
al lavoro dovranno valorizzare l’inserimento e il reinserimento al lavoro delle
donne, particolarmente di quelle uscite dal mercato del lavoro per l’adempimento
di compiti familiari e che desiderino rientrarvi al fine di superare differenziale
occupazione tra uomini e donne.
• • Lettera g) dispone, la semplificazione e snellimento della procedura di riconoscimento
e di attribuzione degli incentivi connessi ai contratti a contenuto formativo
tenendo conto, tra l’altro, del tasso di occupazione femminile.
L’art. 4, lett. c), n. 4, prevede con riferimento alle collaborazioni coordinate e continuative
la previsione di tutele fondamentali o presidio della dignità e della sicurezza dei collaboratori
con particolare riferimento a maternità, malattia e infortunio.
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Delia Ferrero
Anche all’art. 3 (relativo alla riforma della disciplina del lavoro a tempo parziale) stabilisce
che nella predisposizione dei decreti legislativi, il part-time dovrà essere valorizzato quale
tipologia contrattuale idonea favorire l’occupazione, ed in particolare quella femminile.
Fatte queste considerazioni sulla normativa, credo, di prossima emanazione, vorrei fare
alcune osservazioni sulla Legge n. 53/2000 e sulla Direttiva del Parlamento Europeo e del
Consiglio dell’Unione Europea 2002/73/CE.
Relativamente alla prima vorrei proporre.
1. 1. Indagine sul ricorso alla stessa, in questo periodo di 2 anni e mezzo dall’emanazione,
con particolare riguardo all’utilizzo dei congedi da parte dei lavoratori padri
per verificare se la finalità che si poneva la legge (cioè coinvolgere il padre e consentire
al bambino di ricevere più cure) è stato raggiunto.
2. 2. Una modifica della norma sul congedo di maternità nell’ipotesi di morte del neonato.
Vorrei, anche, segnalare che ad alcune norme, tra cui l’art. 35, comma 3, (numerazione del
Testo Unico n. 151/2001), non è, ancora, stata data attuazione.
A riprova che la nostra legislazione in tema di pari opportunità non è assolutamente arretrata
vorrei fare osservare che nella direttiva CE che modifica la precedente 76/207/CEE
sono contenuti alcuni principi già presenti nel nostro ordinamento.
Ad esempio:
- - tutela delle donne alla fine del periodo di congedo di maternità (nel nostro paese
è anche esteso ai lavoratori padri qualora usufruiscono dei predetti permessi);
- - l’invito ai datori di lavoro di fornire ai lavoratori o ai loro rappresentanti informazioni
sulla parità di trattamento tra uomini e donne nell’impresa (in Italia le aziende
con più di 100 dipendenti già dai primi anni 1990 trasmettono ogni 2 anni alle
organizzazioni sindacali e alle consigliere di parità un rapporto relativo a queste
tematiche.
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Adriana Celotto
Responsabile politiche di genere CISL
Relazione unitaria di CGIL CISL UIL
Adriana Celotto
In tutti i Paesi europei, soprattutto in quelli avanzati, negli anni 90’ si sviluppavano in modo
crescente forme di lavoro non “STANDARS” con una intensità che non ha uguali negli anni
precedenti.
Si tratta di forme di lavoro che si differenziano dalla “norma” dei contratti di lavoro a
tempo pieno e permanente, che si era affermata nelle economie occidentali dopo la seconda
metà del 900’.
La letteratura socio-economica usa diverse denominazioni per contraddistinguere questi
tipi di lavoro, parla infatti di lavoro precario o contingente. Lavoro periferico, lavoro stamdars
o atipico, lavoro flessibile, per designare una complessità di forme di lavoro, che includono
non soltanto il lavoro a tempo parziale temporaneo ed interinale, ma anche il telelavoro
e l’auto-lavoro.
In Italia, come tutti sappiamo, nella seconda metà degli anni 90’, ci fu una crescita accentuata
dell’occupazione femminile ed una crescita di lavori atipici di circa 11% a 15% circa.
Pian piano, in termini di stock occupazionale, c’è stato un allargamento dei lavori atipici
In termini di flussi (cioè di avviamento al lavoro a termine) , è diventato prevalente:
circa il 70%.
Crescita forte del parte-time, una crescita forte dei contratti a termine, compresi gli interinali
ed una crescita dei socio-lavoratori delle cooperative ed i collaboratori coordinati continuativi,
che hanno un contenuto molto più simile ad un lavoro subordinato, che non da
un lavoro autonomo.
Perché avviene?
Perché ci sono nuove normative sull’interinale e sul tempo determinato da un lato, e dall’altro,
sempre di più le aziende cercano di adattare il lavoro, alle loro esigenze produttive,
che sono sempre più flessibili, e, di comprimere il costo del lavoro e dei diritti.
L’occupazione femminile cresce soprattutto perché aumenta il terziario , mentre si riduce
l’industria.
Le donne subiscono di più la precarizzazione del lavoro, infatti, continuano ad essere interessate
al parte-time e sono largamente presenti nei contratti a termine e tra le collaboratrici
coordinate continuative (A VOLTE PER SCELTA, A VOLTE PER NECESSITA’).
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Adriana Celotto
I lavori atipici ed i molti lavori CO.CO.CO. o professionali non hanno consolidato DIRITTI,
TUTELE e SICUREZZE, né di lavoro, né di reddito, né di evoluzioni professionali, spendibile
nel tempo.
Sono lavoratrici povere, quindi , questi contratti di lavoro sono da considerarsi attività lavorative
precarie, perché garantiscono solo periodi di lavoro retribuiti limitati nel tempo, infatti,
sono attività di lavoro che non permettono nel tempo uno sviluppo di carriera ed un
reale empowerment ed autonomia.
Autonomia che non ti permette di abbandonare nei tempi ragionevoli, la famiglia di origine,
ti crea dipendenza dal marito o dalla famiglia.
Non consente alle donne di fare figli nella giusta età, con gravi conseguenze della salute
della donna stessa (vedi maggiore esposizione cancro al seno), ed una popolazione sempre
più anziana.
Nella delega sul lavoro, ci sono alcune proposte di nuovi rapporti di lavoro, che sembrano
inventati per le donne, o meglio, per un certo concetto tradizionale che si ha del lavoro
delle donne.
“il lavoro a chiamata”. Chi, se non una donna, aspetta a casa di essere chiamata?
“il lavorio accessorio”: cioè il lavoro di cura svolto presso le famiglie o le imprese sociali,
pagate con il bonus? Ed i vaucher dell’assistenza per i Servizi alla persona? Ed alla Sanità?
Questi rapporti di lavoro hanno elementi ancora maggiori di precarietà di quelli precedenti,
e quindi andrebbero combattuti, così come il parte-time flessibile, che è stato esplicitamente
indicato nel libro bianco, come lo strumento per ampliare l’occupazione femminile.
(Le donne vogliono un lavoro vero, stabile!)
Auspichiamo che da oggi nasca una rete di donne, per costruire nuove normative istituzionali
provvedimenti legislativi, con il punto di vista delle donne, per accrescere i diritti sociali
e di cittadinanza.
Come?
1) Con un forte contenuto formativo, altrimenti si marginalizzano;
2) Con un sostegno al reddito, nei periodi di passaggio tra un lavoro e l’altro;
3) Con una normativa previdenziale che rafforzi i contributi, perché possano godere di una
vecchiaia almeno dignitosa.
Come donne di CGIL CISL UIL vogliamo sottolineare, ragionando con voi, alcuni aspetti
economici-occupazionali e politici del nostro territorio, che tutte noi viviamo e che dobbiamo
far conoscere per tentare di incidere nella politica industriale ed istituzionale, affinchè
le donne non siano soggetti penalizzati ed escluse dal lavoro, nel sociale , a danno delle
famiglie.
Si aggiunge a questa situazione del lavoro, anche la crisi della grande industria italiana: LA
FIAT, che a TORINO ha una influenza su tutta l’economia.
Si può definire “crisi di svolta” ( non come quella dell’80 e del 92’) e ne usciremo con un
rapporto nuovo tra FIAT AUTO e la CITTA’ di TORINO.
Assistiamo a dibattiti, soluzioni di risanamento della industria, interventi governativi, che
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Adriana Celotto
nulla hanno a che vedere con le soluzioni di risanamento industriale, delle nuove povertà,
della riduzione inevitabile di consumi e l’ansia del futuro e di paura di uomini e donne coinvolte
in questa crisi.
Normalmente nelle grandi ristrutturazioni, le donne sono state penalizzate, poichè per
prime subiscono l’espulsione, rispetto gli uomini.
Chiediamo a tutte voi, delle istituzioni, imprenditrici, consigliere, di fare un fronte comune
con le donne del Sindacata, ed il Sindacato tutto, per respingere il piano di ristrutturazione
della FIAT, che prevede la fuori-uscita, senza speranza di rientro, di migliaia di lavoratrici
e lavoratori, sia in FIAT che nell’indotto ed in tutta l'economia.
Non si salveranno le donne dipendenti, non si salveranno le lavoratrici autonome e le
imprenditrici, le artigiane.
Non è un problema di solidarietà, ma un fronte comune per difendere il lavoro, il lavoro di
qualità. per le donne e gli uomini di questa nostra città e del nostro Paese.
Le donne di CGIL CISL UIL ritengono indispensabile confrontarsi con le donne, perché le
pari opportunità non vengano archiviate.
Diventa indispensabile razionalizzare il pensiero femminile, mettendo insieme il pensiero e
le forze femminili, per far sentire la nostra voce in ogni tavolo di rappresentanza, con un
intendere comune.
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Gianna Rolle
Animatrice pari opportunità del FSE
Gianna Rolle
Buongiorno a tutte e tutti. Oggi sono stata delegata a rappresentare anche Anna Mantini,
la Consigliera regionale di parità, che purtroppo è a letto con l’influenza e quindi ho avuto
questa mattina la sorpresa di doverla sostituire. Io partirei dal mio intervento come
Animatrice dell’Asse E del FSE e poi entrerei nel merito dell’intervento della Consigliera di
parità. Questo perché ci sono alcuni aspetti del Fondo Sociale Europeo che interessano in
modo particolare le politiche del lavoro e, in questo momento di dibattito sulle problematiche
dell’occupazione, specie per gli sviluppi sulla crisi Fiat, le conseguenze sull’occupazione
femminile sono da vedere in un contesto d’interventi e azioni tesi a salvaguardare il
posto di lavoro o, in alternativa, per favorire una rapida ricollocazione in altre realtà per chi
potrebbe essere espulsa/o dal posto di lavoro.
Credo sia il caso di ricordare che è da poco stato chiuso (il 7 ottobre), il bando per la presentazione
di progetti sulle linee d’intervento 3 e 4 della Misura E1 del Fondo Sociale
Europeo, ovvero la misura delle pari opportunità. In effetti, buona parte di questo bando
interessava direttamente il mondo del lavoro e delle imprese pubbliche e private, le parti
sociali nonché le istituzioni. L’anno scorso le aziende che avevano presentato progetti sulla
linea 3 sono state poche unità, ma era anche la prima volta che la Regione emanava un
bando per una progettualità diversa dalla formazione. Quest’anno c’è stata una forte promozione
del bando da parte della Regione e sia io come Animatrice, sia il Settore Sviluppo
dell’Imprenditorialità, ci siamo impegnate nell’azione di promozione verso il mondo dell’impresa,
affinché fossero presentati più progetti da parte loro, sia per rispondere alle esigenze
d’interventi sull’organizzazione del lavoro con la sperimentazione di nuove modalità
lavorative, sia perché all’interno delle imprese s’introduca una cultura di parità e si propongano
interventi che vadano ad incidere sui rapporti delle donne all’interno dell’impresa;
vale a dire, i contenuti della linea 3 erano in modo particolare rivolti a portare flessibilità
nell’organizzazione del lavoro e per favorire da un lato la conciliazione lavoro-famiglia e
dall’altro la crescita professionale delle donne.
Il bando che è stato chiuso da circa un mese, aveva 7.250.000 € di risorse, ripartite in
3.500.000 € sulla linea 3 e 3.750.000 € sulla linea 4. Le azioni proposte nel 2° bando alla
Linea 3 erano sostanzialmente simili quelle del bando precedente, ovvero azioni inerenti al
telelavoro, il part time, le diverse forme di flessibilità ed interventi per la conciliazione ed i
percorsi di carriera per le donne. Quest’anno sono state aggiunte alcune azioni per quanto
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Gianna Rolle
riguarda la Linea 3.1, vale a dire quella che riguarda direttamente le imprese, ed un’azione
specifica a supporto della flessibilità che ha introdotto la possibilità di presentare anche progetti
di fattibilità legati alla sperimentazione di nidi aziendali. Sulla Linea 3.2, più rivolta alle
istituzioni e alle parti sociali, è stata aggiunta un’azione finalizzata ad introdurre una nuova
figura professionale di “sostituzione dell’imprenditore/imprenditrice” a supporto dell’art. 9
della legge 53 del 2000.
Passando alla Linea 4.1, è stata l’aggiunta un’azione finalizzata a stimolare gli enti locali a
proporre studi di fattibilità e realizzare o migliorare iniziative già esistenti in tema di banche
del tempo. Per quanto riguarda invece la 4.2, sempre rivolta alle istituzioni, c’è stata l’aggiunta
di un’azione finalizzata a realizzare progetti per contenere e contrastare i fenomeni
dell’esclusione, compreso lo sfruttamento delle persone, gli interventi contro la prostituzione,
la tratta, ma anche per contrastare l’esclusione sociale di persone emarginate dal
mondo del lavoro. Abbiamo visto che sono due linee d’intervento ben diverse: la 3 è rivolta
alle imprese, alle parti sociali, al mondo del lavoro e la 4 è rivolta alle istituzioni e agli enti
locali ed in modo particolare ha voluto stimolare la creazione di reti tra i soggetti istituzionali
e non istituzionali, coinvolgendo gli enti locali, le istituzioni di parità, (Consigliere di
parità, Commissioni pari opportunità, Consulte, Assessorati pari opportunità, Comitati, etc)
e Associazioni. La creazione di reti con soggetti pubblici, privati e istituzionali è il punto da
cui partire per qualsiasi tipo d’intervento innovativo, perché dalle reti nascono delle idee,
delle sinergie, nasce della progettualità.
Darei qualche dato sull’attività d’animazione che è stata fatta d’accompagnamento al
bando e che è iniziata con la conferenza stampa dell’Assessore regionale al Lavoro,
Formazione e Industria nel mese di luglio, seguita da una presentazione agli operatori a
Torino all’inizio di settembre che ha visto una partecipazione di oltre 150 operatori e da altri
incontri sollecitati dalle Province o dalle Istituzioni di parità territoriali; è stato quindi possibile
proporre e presentare il bando anche in provincia d’Asti, di Biella, di Vercelli e di
Novara, dove sono stati raggiunti altri 200 operatori. E’ stato fatto tutto il possibile per far
conoscere il bando e far sì che ci fosse una buona costituzione di reti, e per sollecitare la
presentazione di progetti sull’organizzazione del lavoro e sulla flessibilità per quanto riguarda
le imprese e le parti sociali. Va evidenziato il ruolo di stimolo alla progettazione determinato
dalle consigliere di parità e dalle commissioni pari opportunità. Il ruolo delle
Istituzioni di parità è stato efficace nella creazione di reti, perché proprio da loro è partita
l’iniziativa per fare sinergia tra istituzioni, enti locali, mondo del lavoro, parti sociali.
La risposta al bando è stata decisamente positiva con la presentazione di 216 progetti, con
limite massimo di 100.000 € a progetto per la linea 3, mentre invece per la linea 4 se presentato
da una singola istituzione il limite massimo era di 100.000 Euro, ma se si trattava
di un progetto di rete poteva arrivare fino a 200.000 Euro. Nel 1° bando c’era stata una
netta predominanza di progetti sulla Linea 4 presentati dalle istituzioni e dagli enti locali, di
cui ne furono approvati 37, mentre nel 2003 le proposte delle istituzioni sono state di 73
per una richiesta di circa 9.140.000 Euro, mentre i progetti presentati dalle imprese pubbliche
e private dalle parti sociali sono stati 143 per circa 10.928.000 Euro. Questo dato
potrebbe anche sorprendere se messo a confronto con le risposte al bando sulla Linea 3 del-
26
Gianna Rolle
l’anno passato, che ha avuto 33 progetti approvati; credo che invece questi dati vadano
interpretati come una tendenza in atto nel mondo del lavoro e che le imprese non sono
insensibili ad innovare l’organizzazione del lavoro. Vorrei anche sottolineare che l’anno
scorso erano appena una decina i progetti da parte delle imprese private, mentre quest’anno
sono più di 60, tanto per citare la misura di un cambiamento possibile con il recepimento
delle innovazioni che questo bando consente di introdurre.
Inoltre si deve considerare che ci sono parecchi progetti presentati dalle associazioni
imprenditoriali che prevedono il coinvolgimento e la sperimentazione presso le imprese,
oppure dai consorzi d’impresa che prevedono la sperimentazione all’interno delle imprese
consorziate, quindi in realtà le imprese private potenzialmente coinvolte saranno molte di
più 60 e, anche se non siamo in grado di dirlo con certezza, c’è ragione per ritenere che
potranno essere più di 100. Questo indica che si sta introducendo un cambiamento e che
le imprese non sono restie ad intervenire sull’organizzazione del lavoro con la presa in
conto dei principi di pari opportunità per venire incontro ad una risorsa lavoro importante
quale quella femminile.
Quest’anno nel bando era stata anche introdotta la possibilità di cofinanziare i progetti; per
ora non sono in grado di dare dati differenziati tra la linea 3 e la 4, in pratica tra il pubblico
ed il privato però ci sono stati cofinanziamenti per circa 1.500.000 Euro, ma questo non
era un obbligo bensì una possibilità, che è stata colta positivamente in modo più consistente
dal settore pubblico.
Entrando invece all’interno della composizione dei progetti, le 143 proposte sulla linea 3
sono state presentate dalle imprese pubbliche, private, Enti locali, ASL, dagli organismi bilaterali
del settore pubblico, dalle organizzazioni imprenditoriali e sindacali e riguardano gli
interventi sull’organizzazione del lavoro e le diverse forme di flessibilità previste dalla Linea
3.1 (telelavoro, part-time, job sharing, job rotation, iniziative a favore della conciliazione
compresi studi di fattibilità e sperimentazione di nidi aziendali/interaziendali, percorsi di
carriera), ovvero interventi mirati a favore della forza lavoro femminile e dell’introduzione
di formule che consentono di affrontare il nodo dell’integrazione tra vita di lavoro e vita
famigliare e personale. C’è stata poi una risposta positiva, con 10 progetti, anche su un
azione innovativa della 3.2 sulla figura sostitutiva dell’imprenditore/imprenditrice, in
coerenza con l’art. 9 della L. 53.
Invece le 73 proposte della parte istituzionale sulla linea 4, riguardano in prevalenza iniziative
di progetti sulla 4.1, con alcune proposte di progetto multiattore, per la diffusione della
cultura della parità nella società, nella scuola e nell’università, nonché iniziative di promozione
delle banche del tempo; mentre sulla 4.2 sono pervenuti progetti di rete per studi,
ricerche, attività di promozione e di educazione alle pari opportunità, nonché finalizzati a
sostenere percorsi di uscita da situazioni di esclusione sociale e di sfruttamento, finalizzati
ad un reinserimento sociale.
A differenza del 1° bando, la cui risposta specie Linea 3.1 si era concentrata su poche azioni
tra quelle previste, nel bando del 2003 sono state accolte tutte le azioni e le sotto azioni
del Bando, e questo è un fatto positivo. Per quanto riguarda invece la linea 3.2, quella
rivolta alle parti sociali, c’è stata una notevole partecipazione con progettazione inerente
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Gianna Rolle
alla cultura di parità da promuovere in ambiti aziendali attraverso le iniziative di informazione
oppure in ambito sindacale tra lavoratori e lavoratrici, azioni di maggiore rilievo per
le parti sociali.
Questi sono i risultati più evidenti di questo bando. Va evidenziata l’importanza che molti
progetti siano stati presentati dalle imprese, perché non si può innovare l’organizzazione
del lavoro senza le imprese. Devo riconoscere che le organizzazioni imprenditoriali hanno
colto con favore l’invito della Regione rivolto a sensibilizzare le imprese a presentare progetti.
L’anno passato sulla linea 3 c’erano stati progetti presentati essenzialmente delle parti
sociali, e questo fatto positivo è servito per dare lo spunto a successive proposte delle
imprese e quest’anno il ruolo che hanno avuto le parti sociali, specie le organizzazioni
imprenditoriali, è stato di stimolo verso le imprese ed ha prodotto una risposta efficace.
Per i progetti proponibili sulla 4.1 relativi ad iniziative istituzionali di mainstreaming nel
mondo della scuola, dell’università, dell’orientamento e politiche dei tempi degli Enti locali,
abbiamo avuto 20 progetti tra cui 10 progetti che riguardano studi di fattibilità per l’attuazione
di banche del tempo o per il miglioramento e la messe in rete di iniziative già esistenti.
Tra le azioni innovative abbiamo ancora da rilevare per quanto riguarda la line 4.2,
quella relativa alla creazione di reti sono prevenuti 23 progetti sulla 4.2.2 di cui un tot.
Sull’azione che riguardava l’esclusione sociale e le proposte per il reinserimento di persone
vittime d’esclusione sociale.
Per quanto riguarda invece la costituzione di reti, i progetti di rete sono stati una ventina,
e riguardano iniziative di sensibilizzazione e d’educazione di pari opportunità e diffusione
di buone prassi.
Chiuderei qui per quanto riguarda l’informativa sull’esito del bando della misura E, ricordando
che con l’attuale Fondo Sociale Europeo sono comprese misure che non riguardano
più solo la formazione ma, come oramai tutti sappiamo, prevede anche azioni specifiche
rivolte sia ad interventi in tema di politiche attive del lavoro, ai servizi per l’impiego, agli
interventi in chiave di pari opportunità che vanno a toccare le possibilità d’inserimento
lavorativo con azioni mirate alle persone ed in particolare alle donne s’inseriscono nel mercato
del lavoro e che devono risolvere il problema delle persone del nucleo famigliare delle
quali si prendono abitualmente cura. Ricordo brevemente l’introduzione del voucher alla
persona che consente, nel momento in cui la donna non è ancora inserita stabilmente al
lavoro ma sta affrontando un percorso articolato in momenti di formazione e inserimento
in stage e quindi non produce ancora reddito, in quel periodo ha la possibilità, attraverso i
Centri per l’impiego, di avere l’assegnazione di un voucher che le consente di acquistare i
servizi di cura, sia tramite i servizi sostitutivi esistenti e convenzionati, oppure anche ricorrendo
alla baby sitter o alla badante che possa occuparsi delle persone da assistere: quindi
per la cura dei bambini, l’assistenza agli anziani o alle persone ammalate, esiste per la
donna la possibilità di avere un aiuto economico temporaneo che le consente di affrontare
il passaggio da non occupata ad occupata.
Ricordo che nel FSE ci sono anche gli interventi di tipo trasversale, anche se alle pari opportunità
è già dedicato un asse specifico; infatti, sono presenti anche come obiettivo trasver-
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sale di tutto il programma operativo regionale, come lo Sviluppo locale e la società dell’informazione.
Pertanto le pari opportunità sono trasversali nel FSE per quanto riguarda:
- la formazione,
- gli interventi di politiche attive del lavoro,
- gli interventi sulle fasce deboli o categorie svantaggiate
- il sostegno ed i servizi per la creazione d’impresa.
Gianna Rolle
Importante per le donne occupate è anche sapere che se vogliono migliorare la loro posizione
lavorativa, hanno la possibilità di accedere alle offerte a catalogo delle Agenzie formative
e possono usufruire di un bonus fino a 1000 euro l’anno, scegliendo come e dove
potersi formare. L’anno scorso, invece, a questo strumento potevano accedere soltanto le
imprese che potevano mandare le dipendenti a formarsi o aggiornarsi, ora è stata data la
possibilità alle donne di iscriversi direttamente perché può servire sia per migliorare la loro
posizione all’interno dell’impresa, ma anche per migliorare la propria professionalità, acquisire
ulteriori capacità per potersi meglio spendere anche esternamente all’impresa di provenienza.
Veniamo ora al problema nodale di grande attualità, ovvero la crisi Fiat ed i risvolti su tutta
l’occupazione, quindi anche su quella femminile; tra l’altro io stamattina ho avuto la bell’idea
di venire in taxi ed ho trovato il traffico bloccato dal corteo dei dipendenti Fiat che
andavano verso le sedi istituzionali a chiedere attenzione, dopo che le trattative si sono
improvvisamente interrotte nella giornata di ieri. Mi scuso per essere arrivata tardi ed aver
perso l’inizio dei lavori, ma tutte noi sappiamo quanto sia importante per questi lavoratori
e lavoratrici ottenere attenzione dalle parti istituzionali e che qualsiasi intervento o tipo di
crisi di un’azienda così importante per l’occupazione piemontese dev’essere risolta con la
collaborazione tra la parte pubblica e la parte privata.
E’ di questi giorni, ed a questo proposito mi esprimo anche in nome della consigliera di
parità Anna Mantini, ma credo anche di poterlo fare anche in nome della Commissione
regionale pari opportunità, l’attenzione particolare che abbiamo come donne delle istituzioni
di parità perché noi tutte siamo molte preoccupate dei risvolti occupazionali sulle
donne perché, com’è già successo in passato, è facile che siano le donne ad essere le più
penalizzate e quindi non possiamo che solidarizzare con loro e vedere come si possano in
qualche modo sostenere ed aiutare in questi momenti così critici. In ogni caso in qualsiasi
famiglia in cui un lavoratore o una lavoratrice perdano il lavoro è un dramma per tutta la
famiglia, perché se il reddito diminuisce impone grosse rinunce a tutti.
A tale proposito vorrei brevemente citare un documento recentissimo della Regione “Analisi
e proposte” di cui sono appena venuta a conoscenza, che è proprio dedicato al caso Fiat
Auto. Si tratta di un documento definito il 25 ottobre che è proprio incentrato su questi
temi e, anche se non fa distinzioni di genere, è incentrato su interventi strutturali; l’atten-
29

Gianna Rolle
zione al genere starà a noi, quali Istituzioni di parità, sollecitarla. E’ un documento che parte
dall’analisi dei fattori strutturali di crisi del settore dell’auto, ne analizza i punti di debolezza,
il perché sia arrivata questa crisi così acuta, che non interessa soltanto il caso Fiat ma
anche molte aziende dell’indotto con problematiche molto forti, e conseguenze sull’occupazione
per un numero d’addetti più difficilmente quantificabile. Il fatto che le aziende dell’indotto
sono passate in un decennio da oltre a 1200 alle attuali 300 vuol dire che purtroppo
tante piccole aziende sono già state travolte nel passato e probabilmente molte altre
saranno ancora travolte dall’attuale crisi ed anche qui ci sarà una forza lavoro meno visibile
e meno tutelata che pagherà moltissimo, ed anche questa forza lavoro conterà moltissime
donne.
In questo documento si propongono interventi di politica industriale, ovvero il ricorso
alle leggi nazionali e regionali, agli interventi del governo, ma sono comprese anche le
politiche di sviluppo e qui intervengono le politiche per gli investimenti che fanno capo
al DOCUP per la Regione, alle politiche per gli investimenti nuovi, per i nuovi insediamenti,
il rafforzamento del tessuto imprenditoriale e l’internazionalizzazione delle imprese,
la modernizzazione, i passaggi verso le nuove tecnologie, la ricerca e così via, e quindi
propone una serie d’interventi che possono essere immediati o attuabile nel brevissimo
termine, altri interventi a medio termine, dove vengono anche analizzati i punti di
forza e di debolezza del sistema delle piccole imprese, per arrivare a quelli che sono gli
interventi che si ricollegano al Fondo sociale, cioè quelli sulle risorse umane. Per questo
mi ricollego a quanto già detto nella prima parte del mio intervento, ricordando che nei
Fondi strutturali gli interventi di politica del lavoro sono rivolti a tutti, uomini e donne,
ma da parte nostra quali istituzioni di parità abbiamo il dovere di intervenire per fare sì
che gli interventi di carattere istituzionale comprendano le donne e non siano troppo
generici.
Vorrei ancora porre l’accento sul ruolo delle istituzioni di parità che diventa ancor più
decisivo in alcuni momenti e in alcuni punti strategici, e qui ritorno all’intervento d’apertura
per sottolineare il loro coinvolgimento. L’anno scorso, invece, i progetti della
Misura E, erano esaminati da funzionari regionali con il supporto d’alcuni esperti esterni,
quest’anno ad affiancare i funzionari regionali, ci sono la Consigliera regionale di parità,
una rappresentante della Commissione regionale pari opportunità e l’animatrice della
misura E, affiancate dai soggetti indicati dalla Struttura d’Assistenza tecnica al POR della
Regione. E’ quindi una commissione mista, nella quale le politiche di pari opportunità
sono guardare con particolare attenzione perché ci sono ben tre soggetti che hanno a
cuore tutti gli interventi specifici rivolti alle donne. L’attenzione qualitativa verso le proposte
che riguardano le donne è molto alta e penso che questo non potrà che produrre
delle forti sinergie.
Concludo affermando che sono sempre più convinta che sia importante fare tutta la
sinergia possibile a qualsiasi livello, tra le Istituzioni di parità e dialogare con le donne che
rappresentano le parti sociali perché soltanto attraverso questa sinergia, questo dialogo,
si arriva a mettere a punto delle proposte che poi possono essere tradotte in qualcosa di
concreto. E’ importante che la Consigliera di parità della provincia di Torino, nell’ambito
30
Gianna Rolle
del progetto della Misura E dell’anno scorso, abbia voluto realizzare questo momento
d’incontro perché ci consente d’incontrarci un’altra volta e di confrontarci, di esprimere
da un lato le nostre preoccupazioni, ma dall’altra anche le nostre proposte per far sì che
si possa proporre qualcosa di buono, di positivo e tenere alto l’interesse verso le tematiche
che a noi stanno molto a cuore.
31

Adriana Luciano
Docente di sociologia del lavoro
Università degli Studi di Torino
Adriana Luciano
Accade talvolta che le vittorie si tramutino in sconfitte. Potrebbe essere il caso delle politiche
di parità in questo scorcio di terzo millennio in cui sono stati raggiunti in Europa e in
Italia traguardi mai visti nella proclamazione dei diritti delle donne. E’ del 2000, infatti, la
legge 53 sui congedi parentali che traduce in norme positive una battaglia durata dieci anni
per rivendicare il diritto alla cura, al tempo per sè, alla formazione. E’ nella programmazione
del Fondo Sociale Europeo 2000/2006 che le politiche di parità hanno acquistato visibilità
e risorse mai raggiunte nel decennio precedente. Eppure, dopo trent’anni di battaglie,
di dibattiti, di successi culturali e politici, mai come in questi anni si è affievolita la voce della
critica, della ricerca militante, della proposta politica.
Nei documenti ufficiali e nei rari dibattiti in cui si affrontano le problematiche di genere tornano
stanchi luoghi comuni, stereotipi, vecchie analisi. E sulla scena si attardano i volti un
po’ avvizziti di vecchie militanti che non hanno trovato a chi lasciare il testimone per nuove
battaglie.
Anche il panorama della ricerca è abbastanza desolante. Paradossalmente, ora che attraverso
le fonti statistiche è più facile che in passato condurre analisi secondo prospettive di
genere e che le tecniche di elaborazione consentono di andare più in profondità nell’esplorazione
dei fenomeni, la ricerca langue, a corto più di interrogativi che di quattrini.
Le ricerche degli anni ottanta e dei primi anni novanta ci avevano consegnato una rappresentazione
del lavoro delle donne e della loro condizione sociale ricca di chiaroscuri. La
lunga marcia verso il mercato del lavoro, come tutte le lunghe marce, aveva visto sgranarsi
la massa indistinta che negli anni settanta premeva ai blocchi di partenza. Un drappello
di testa fatto di giovani donne scolarizzate, intraprendenti, in carriera si trovava ora in
buona posizione, talvolta ai vertici delle professioni, a capo di imprese, sui banchi del parlamento
e nelle aule di giustizia. Dietro di loro gruppi ansimanti, in ordine sparso, di donne
che, dopo una buona partenza, avevano dovuto accettare posizioni di retrovia: chi per un
motivo, chi per l’altro. Più indietro il gruppone delle donne per le quali il lavoro, o meglio
il doppio lavoro, era diventato più un’amara necessità che non una conquista. Con l’occhio
rivolto al traguardo di una pensione che si allontanava a misura che vi si avvicinavano.
Ultime le donne rimaste ai blocchi di partenza. Chi per l’età, chi per la sfortuna di essere
nata dove il lavoro non arrivava mai.
Se un messaggio chiaro veniva da quelle ricerche era che non si potesse più parlare gene-
33

Adriana Luciano
ricamente di donne, come soggetto sociale e politico accomunato da una condizione di
esclusione, ma che si dovesse affrontare il problema delle diseguaglianze fra donne, diseguaglianze
rese clamorose dall’irruzione sulla scena delle donne immigrate, mani invisibili
venute a sostituire nelle nostre case altre mani femminili da poco emancipate dalla coazione
del lavoro domestico.
Sorprende ora che a dieci anni da quella “scoperta” si continuino a fare discorsi generici
sulla discriminazione delle donne nel mercato del lavoro e non si sia in grado di distinguere
e di stabilire priorità tra “soffitto di cristallo”, nuove povertà femminili, donne e politica,
conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di vita, denatalità, e quant’altro la lente degli studi
di genere aveva messo a tema più di dieci anni fa mostrando la complessità delle differenti
condizioni di diseguaglianza e invocando politiche differenziate.
Così come sorprende che si continui a parlare genericamente di donne, quando era già
chiaro allora, ma lo è molto di più oggi che il meccanismo attraverso il quale si producono
e si riproducono le diseguaglianze ha al centro non le donne in quanto tali ma le relazioni
di genere: nei luoghi di lavoro e soprattutto nelle famiglie. Se era parso chiaro alle
donne dei movimenti femministi che una partita importante si giocava nelle relazioni di
coppia e nelle redistribuzione del lavoro di cura, ora che sappiamo che il ritorno delle
donne nel mercato del lavoro non si è accompagnato a quella auspicata rivoluzione dei
rapporti di coppia ma si è portato dietro il doppio lavoro delle donne, la denatalità, il disagio
delle famiglie, perché si discute così poco di quella sconfitta? E perché non si studiano
in profondità i cambiamenti che stanno avvenendo nelle famiglie e non si cercano
nuove strade?
Diseguaglianze tra donne e relazioni di genere: due chiavi di lettura che le ricerche degli anni
ottanta e dei primi anni novanta ci avevano consegnato e che si sono arrugginite lasciando
spazio a recriminazioni rancorose e talvolta infondate o alla ripetizione di slogan su
presunte “differenze di genere” che la storia ha smentito e che non possono più fare ora,
con le giovani generazioni di donne, da collante identitario di nuovi movimenti collettivi.
Eppure gli interrogativi intorno ai quali sviluppare nuove ricerche e nuovi dibattiti non
mancano.
Mi limiterò ad indicarne alcuni che ruotano intorno a un punto che ritengo essere diventato
centrale non solo per le problematiche della parità di genere.
Perché lamentiamo, e giustamente, l’insuccesso delle buone leggi che sono state fatte in
Italia sulle questioni della parità (dalla legge 125 alla 53)? A che cosa si deve la scarsa applicazione
di quelle leggi e la modesta entità dei cambiamenti che hanno innescato?
A una ragione semplice. Che il mondo per il quale quelle leggi erano state pensate era un
mondo piccolo che ora sta andando in pezzi. Era il mondo della grande impresa e del pubblico
impiego, ovvero della stabilità del posto e della regolazione negoziata dei rapporti di
lavoro, a cui corrispondeva un’idea precisa dei diritti dei lavoratori. E da ultimo, delle lavoratrici.
Azioni positive, inversione dell’onere della prova, conciliazione degli orari, congedi
parentali, erano e sono strumenti applicabili in situazioni in cui è relativamente garantita la
durata del rapporto d’impiego, in cui gli orari di lavoro sono negoziabili entro limiti definiti
contrattualmente, in cui le carriere non dipendono prevalentemente da rapporti di dedi-
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Adriana Luciano
zione assoluta alla causa dell’impresa, in cui i confini delle prestazioni professionali sono ben
definiti. In quei contesti ha avuto senso cercare di ampliare la sfera dei diritti facendovi rientrare,
accanto al diritto a una giusta retribuzione, alla rappresentanza sindacale, alla salute,
ecc., anche il diritto alla cura. E l’affermazione di quel diritto poteva promettere, come era
accaduto su altre questioni, come quella della salute in fabbrica, un progressivo cambiamento
di mentalità nei lavoratori, nelle lavoratrici e nel management aziendale.
La stagione della flessibilità ha spazzato via tutto. Ha fatto venir meno le premesse strutturali
di quelle politiche, se non per quei pochi milioni di lavoratori che lavorano con contratti
a tempo indeterminato nelle aziende pubbliche e in quelle poche grandi aziende non esposte
alla turbolenza dei mercati internazionali.
Sulle ragioni del cambiamento si sono versati fiumi di inchiostro. E sarebbe ozioso chiedersi
ora quanto questo cambiamento sia da ascriversi a cause strutturali o politico-ideologiche.
Certo è che la diffusione di rapporti di lavoro a tempo determinato o che si configurano
come forme di lavoro semi-autonomo mettono fuori gioco le politiche di parità degli anni
passati, sia quelle che puntavano a nuove forme di contrattazione, sia quelle che fornivano
incentivi economici alle imprese per azioni positive, sia quelle che rafforzavano il diritto alla
difesa in giudizio.
Occorre pensare – in fretta – a nuove politiche.
E per farlo occorre affrontare il problema in una prospettiva più ampia di quella che vede
oggi contrapposte le ragioni della competitività delle imprese e quelle dei diritti dei lavoratori
e delle lavoratrici. Perché è in gioco la riproduzione della società e la sfera dei diritti
umani.
Se si resta nell’orizzonte del pensiero liberista che ispira le politiche del lavoro di questi anni,
i conti tornano. In un mercato del lavoro flessibile le persone, attori economici razionali,
scelgono durata e modalità del loro impegno professionale in funzione delle loro esigenze
personali e professionali, agiscono strategicamente per garantire la loro occupabilità, si
muovono nel mercato utilizzando moderni servizi per il lavoro, allocano i loro risparmi per
garantirsi pensioni integrative e servizi sanitari aggiuntivi, investono in formazione, ecc. In
questo le donne non differiscono dagli uomini. Semmai la diffusione del part-time consentirà
loro di modulare meglio la presenza al lavoro senza essere costrette, come in passato,
ad uscire dal mercato per occuparsi dei figli e della famiglia.
Il guaio è che le persone non sono soltanto attori razionali: non sempre sanno agire strategicamente
perché ignoranza e incertezza popolano il loro orizzonte di scelta; talvolta si
ammalano e devono dipendere da altri, spesso devono (vogliono) occuparsi di persone
bisognose di aiuto (bimbi, anziani, disabili). A far questo sono soprattutto le donne.
I mercati interni delle grandi imprese pubbliche e private, quando lavoravano soprattutto
gli uomini, potevano non curarsi di questo e, comunque, garantivano alle famiglie quella
continuità di reddito che consentiva di circoscrivere all’interno delle mura domestiche il
perimetro del lavoro di cura.
E ora? Se una società civile deve garantire a tutti i suoi cittadini, donne e uomini, il diritto
alla cura quando si è piccoli, quando si è vecchi, quando ci si ammala o si diventa disabili,
chi può garantire la cura se neppure le donne sono più in grado di farlo, se non quelle
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Adriana Luciano
che possono pagare il lavoro di altre donne, preferibilmente immigrate? E che cosa succederà
quando si sarà esaurito l’esercito dei “nonni del fordismo”, quei nonni che, andati in
pensione relativamente giovani e con buone pensioni, dedicano volentieri una parte del
loro tempo ai nipotini?
Qui non sono in gioco la carriera, le diseguaglianze retributive, la segregazione occupazionale.
Sono in gioco, come dicevo, la riproduzione della società e i diritti umani.
Il diritto alla cura è un diritto di tutti. Si potrebbe dire anche che la cura è un bene pubblico.
Alle condizioni di funzionamento delle nostre società postfordiste nessuno, neppure
coloro che detengono grandi patrimoni possono garantirsi individualmente la garanzia
di essere accuditi e aiutati materialmente e psicologicamente quando verranno a trovarsi
in condizioni di dipendenza. Cliniche di lusso e lavoro ancillare, accessibili a pochi, non
sostituiscono le cure di chi ci vuole bene, delle persone con cui abbiamo lunga consuetudine
di vita e di affetti. E un mondo del lavoro che chiede a tutti più impegno e più tempo
in cambio di insicurezza erode sistematicamente quegli spazi di socialità e di gratuità in
cui la cura vive.
Tempo per le persone, buoni servizi, risorse materiali, competenze diffuse, una cultura
orientata al benessere delle persone e al rispetto della dignità individuale anche nelle condizioni
estreme delle disabilità e delle malattie irreversibili sono le condizioni perché il bene
pubblico della cura possa prodursi e riprodursi.
Se si guarda in questa prospettiva ai problemi della parità l’agenda della ricerca e delle politiche
può trovare nuovi ordini di priorità e nuovi interrogativi. E i problemi delle donne ridiventano,
come lo sono stati per una breve stagione, i problemi di tutti.
Al primo punto all’ordine del giorno stanno poche, cruciali, domande: come è possibile in
un mercato del lavoro flessibile tessere le reti di protezione necessarie perché le giovani coppie
possano decidere serenamente di avere dei figli, perché i malati e i disabili non vengano
lasciati soli, perché gli anziani possano vivere situazioni non invalidanti? Chi deve investire
risorse in questa impresa? Come si può fare in modo che i costi della salute, della previdenza
e delle politiche sociali vengano iscritti nella colonna degli investimenti e non in
quella delle spese improduttive?
Intorno a domande come queste può essere forse imbastito un nuovo programma di politiche
di parità.
36
note
Annamaria Poggi
Prof.ssa straordinaria di istruzione di diritto pubblico
Università degli Studi di Torino
Annamaria Poggi
PARITÀ DEI SESSI E RAPPRESENTANZA POLITICA NEGLI ORDINAMENTI REGIONALI
1. La normativa regionale sulla parità nella sfera della rappresentanza politica
nel periodo precedente l’adozione delle leggi costituzionali nn. 2 e 3 del 2001
L’adozione delle leggi costituzionali n 2 2 e 3 del 2001, nella parte relativa alla garanzia di
parità di accesso alle consultazioni elettorali e alle cariche elettive, oltre ad aver già prodotto
taluni esiti normativi, sta più significativamente incidendo sulla prospettiva di intervento
sul settore che le Regioni avevano precedentemente assunto e che certamente per molta
parte derivava dall’assenza di ogni riferimento costituzionale specifico (oltrechè dall’arretratezza
del dibattito sul tema).
Solo due statuti regionali (nella versione precedente a quella configurata dalla l.c. 1/1999)
contengono norme direttamente riferite alla condizione femminile: quello della Toscana
(l’art. 3, comma 1 dispone che la Regione opera al fine di realizzare, tra l’altro, “il pieno riconoscimento
dei diritti degli uomini e delle donne, la valorizzazione della differenza di genere in
un contesto di pari opportunità” 3 , l’art. 4, comma 1, afferma ancora che la Regione promuove
le condizioni per rendere effettiva “la parità giuridica e sociale della donna”) e quello
dell’Emilia-Romagna (che all’art. 2 afferma che la Regione opera, tra l’altro, per garantire
anche attraverso azioni positive, la parità giuridica sociale ed economica della donna). 4
I diversi organismi finalizzati alla realizzazione della parità, di cui quasi tutte le Regioni si
sono dotate con legge già a partire dalla fine degli anni Settanta, sono stati perciò fondati
sull’articolo 3 della Costituzione (e sulla corrispondente norma statutaria ripetitiva del principio)
5 , e non hanno potuto che assumere ruoli deboli. A volte particolarmente deboli per-
1 Relazione al Seminario di studi La parità dei sessi nella rappresentanza politica in occasione della visita della Corte costituzionale alla
Facoltà di Giurisprudenza di Ferrara, Ferrara, 16 novembre 2002
2 Cfr. artt. 1, comma 1, lett.b); 2, comma 1, lett.c); 3, comma 1, lett.c); 4, comma 1, lett.v); 5, comma 1, lett. d).
3 La norma è stata aggiunta con la modifica statutaria approvata con deliberazione del Consiglio regionale dell’11 novembre 1997.
4 Anche lo statuto del Lazio contiene una norma direttamente riferita alla condizione femminile ma con riguardo specifico al settore del
lavoro: l’art. 45 impegna la Regione a perseguire l’obiettivo prioritario della piena occupazione con particolare riguardo ai giovani e alle
donne.
5 L. r. Lazio n. 58/1976 (Istituzione della Consulta femminile regionale), art. 1; l.r. Puglia n. 70/1980 (Istituzione della Consulta regionale
femminile), art.1; l.r. Emilia-Romagna n. 3/1986
37

note
Annamaria Poggi
ché assegnatari di sole funzioni promozionali della condizione femminile in generale. 6 A
volte non particolarmente deboli poiché titolari di funzioni consultive rispetto al Consiglio 7 ,
o alla Giunta 8 o ad entrambi gli organi, in relazione ai progetti ai progetti di legge e agli
atti deliberativi di rilevanza diretta per la condizione femminile. 9
In questo panorama, caratterizzato dalla genericità della previsione volta a realizzare la parità
uomo-donna in ogni settore della vita sociale ed economica 10 e dall’esistenza di un
unico strumento operativo e cioè gli organismi “vigilanti” sulla parità, 11 alcune leggi regionali
hanno costituito una sorta di avamposto sul terreno della parità nel settore della rappresentanza
politica e, in particolare, su quello assai peculiare, delle nomine di competenza
della Regione. In alcuni casi con formulazioni non cogenti: così nella l.r. Friuli-Venezia
Giulia n. 23/1990 che all’art. 2, comma 3 lett. f) afferma che la Commissione per le pari
opportunità “favorisce e promuove la presenza delle donne nelle nomine di competenza regionale”
e altresì nella l. r. Calabria n. 4/1987 che, all’art. 2, lett. f) dispone che la Commissione
pari opportunità “promuove e assicura una adeguata presenza femminile nelle nomine di competenza
regionale”.
In altri casi in maniera assai più decisa: così la l.r. Abruzzo n. 88/2000 non solo attribuisce
alla Commissione pari opportunità il compito di “esprimere parere obbligatorio sulle proposte
di nomine e designazioni di competenza del Consiglio al fine di assicurare una significativa
presenza femminile nei luoghi decisionali” (art. 2, lett. b), ma disciplina altresì la procedura
attraverso la quale il parere va espresso imponendo al Presidente del consiglio regionale e
al Presidente della giunta l’onere di inviare, prima dell’approvazione da parte degli organi
(Istituzione della Commissione per la realizzazione della parità fra uomo e donna), art. 1; l.r. Piemonte n. 46/1986 (Commissione regionale
per la realizzazione delle pari opportunità fra uomo e donna), art. 1; l.r. Veneto n. 62/1987 (Istituzione della Commissione regionale
per la realizzazione delle pari opportunità tra uomo e donna), art. 1, comma 2; l.r. Campania (Istituzione della Commissione regionale
per la realizzazione della parità dei diritti e delle opportunità tra uomo e donna) n. 26/1987 art. 1; l.r. Calabria n 4/1987 (Istituzione
della Commissione per l’uguaglianza dei diritti e delle pari opportunità tra uomo e donna), art. 1; l.r.Umbria n. 51/1987 (Istituzione del
Centro per la realizzazione della parità e delle pari opportunità tra uomo e donna), art. 1; l.r. Toscana n. 14/1987 (Istituzione della
Commissione regionale per la promozione di condizioni di pari opportunità tra uomo e donna), art. 1; l. prov. Bolzano n. 4/1989
(Interventi per la realizzazione delle pari opportunità tra uomo e donna), art. 1; l.r. Liguria n. 35/1989 (Istituzione della Consulta regionale
per i problemi della unificazione europea e della Consulta femminile regionale), art. 1; l.r. Sardegna n. 39/1989 (Istituzione della
Commissione regionale per la realizzazione della parità tra uomini e donne) art. 1; l.r. Friuli-Venezia Giulia n. 23/1990 (Istituzione di
una Commissione regionale per le pari opportunità tra uomo e donna), art. 1; l.r. Basilicata n. 27/1991 (Norme relative alla costituzione
della Commissione regionale per le parità e le pari opportunità tra uomo e donna), art. 1; l.r. Lombardia n. 16/1992 (Istituzione e funzioni
della Commissione regionale per la realizzazione di pari opportunità tra uomo e donna)”, art. 1; l.prov. Trento n. 41/1993 (Interventi per
la realizzazione delle pari opportunità tra uomo e donna), art. 1; l.r. Molise n. 23/2000 (Nuova disciplina della Commissione regionale
per la parità e le pari opportunità), art. 1; l.r. Abruzzo n. 88/2000 (Commissione permanente per la realizzazione delle pari opportunità,
della parità giuridica e sostanziale tra uomini e donne e la promozione di azioni positive), art. 1
6 Le leggi del Lazio, della Puglia, dell’Umbria, della Basilicata e del Piemonte prevedono, per gli organismi istituiti, solo funzioni promozionali.
7 Art. 1 l. r. Campania n. 26/1987, art. 1 l.r. Calabria n. 4/1987.
8 Art. 1 l.r. Veneto n. 62/1987 che pur prevedendo al comma 2 dell’art. 1 che la Commissione è organo consultivo della Regione, al comma
1 afferma che essa è istituita presso la Giunta; artt. 2 e 3 l. prov. Bolzano n. 4/1989; art. 2, comma 3 l.r. Sardegna n. 39/1989; art. 5 l.prov.
Trento n. 41/1993; art. 1, comma 5 l.r. Molise n. 23/2000.
9 Art. 2 l.e. Emilia-Romagna n. 3/1986; art. 5 l.r. Liguria n. 35/1989; art. 1, comma 2 l.r. Friuli-Venezia Giulia n. 23/1990; art. 1 l.r. Toscana
n. 14/1987; art. 3 l.r. Lombardia n. 16/1992; art. 3, comma 2 l.e. Abruzzo n.88/2000.
10 Ne sono esemplificazione dizioni quali: “La Provincia autonoma di Bolzano si propone di contribuire, nell’ambito delle proprie competenze
(…) al massimo sviluppo dell’autonomia, dell’identità e della specificità delle donne” (art. 1. prov. Bolzano n. 4/1989; “E’ compito
della Commissione promuovere l’uguaglianza tra i sessi, rimovendo tutti gli ostacoli che, costituendo fattori di discriminazione
diretta e indiretta per le donne, ne limitano o ne impediscono il pieno sviluppo come persona umana” (art. 1, comma e l.r. Molise n.
23/2000)
11 Commissioni di tal genere non sono costituite in Sicilia, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta.
38
note
competenti, alla Commissione qualunque atto o documento inerisca nomine e facendo
obbligo agli organi regionali di motivare l’eventuale dissenso rispetto alle indicazioni fornite
dalla Commissione (art. 3). Altrettanto precisa e stringente la disposizione contenuta
all’art. 4 della l.r. Lombardia n. 14/1995 (Norme per le nomine e designazioni di competenza
della Regione) che all’art. 4, comma 2 dispone che tutti i soggetti titolari della facoltà di proporre
candidature per le nomine di competenza regionale “sono tenuti a proporre, per gli
organismi collegiali, nominativi di persone di entrambi i sessi”. La norma successiva prevede
inoltre che nel Comitato di valutazione tecnica delle candidature deve essere garantita la
presenza di entrambi i sessi e “comunque di almeno una donna” (comma 4). 12
Si tratta di norme che pur insistendo su un terreno latamente politico e pur introducendo
in taluni casi (v. legge Lombardia) l’obbligo di una presenza femminile in un organismo
deputato ad assolvere funzioni strumentali ad organi politici nella funzione di designazione
e nomina non pongono gli stessi problemi delle quote elettorali poiché non toccano (o non
tendono a toccare) il sistema di principi su cui si regge la rappresentanza politica. 13
Possono semmai porre problemi diversi, su cui si tornerà più avanti.
2. La normativa successiva: a)i progetti di statuto e di leggi elettorali nelle
Regioni ordinarie b) le leggi elettorali del Friuli Venezia Giulia e della Valle
d’Aosta.
La specifica volontà di dar seguito alla normativa costituzionale introdotta con le leggi costituzionali
nn. 2 e 3 è visibile nei progetti di statuti regionali in corso di elaborazione e nelle
due leggi elettorali del Friuli-Venezia Giulia (che non ha superato il vaglio del referendum)
e della Valle d’Aosta (impugnata dal Governo innanzi alla Corte costituzionale).
a) i progetti di statuto e di leggi elettorali nelle Regioni ordinarie
Annamaria Poggi
Le sette bozze di statuto sin’ora rese note, tradotte in articolato e sottoposte ad un primo vaglio
della Commissione statuto forniscono almeno due prospettive diverse nell’affronto del tema:
una, per ora minoritaria, che permanendo sulla rotta precedente, accomuna la disciplina del
rapporto tra generi a quella inerente le altre situazioni di svantaggio (Lazio) 14 ; l’altra che, con
accenti diversi nelle diverse Regioni (Marche, Calabria, Abruzzo, Puglia, Lombardia, Basilicata),
isola la disciplina del rapporto tra generi e vi dedica un’apposita disciplina.
12 Sugli altri strumenti (Consulte, assessorati, dipartimenti) previsti in alcune Regioni v. C.BINDI, La categoria delle donne in M.CARLI
(a cura di), Il ruolo delle assemblee elettive, vol. III, I rapporti tra regione, enti locali e società civile nei nuovi statuti regionali, Torino,
2001, 267 ss.
13 Previsioni analoghe, anche se meno stringenti di quelle previste nelle leggi dell’Abruzzo e della Lombardi sono contenute nel d.lgs. n.
267/2000 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) che all’art. 6 n. 3 prevede che “Gli statuti comunali e provinciali
stabiliscono norme (…) per promuovere la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali del Comune e della
Provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essa dipendenti”. La stessa identica norma era già stata adottata con l.r. Sicilia n.
26/1993 all’art. 56, comma 1.
14 Il Pdl n. 351 all’esame della Commissione statuto del Lazio prevede all’art. 9, comma 1: “Per lo sviluppo civile e sociale, la Regione
garantisce la piena parità dei sessi e tutela le persone ed i gruppi sociali deboli, impegnandosi a superare le effettive situazioni, anche
transitorie, di necessità e di bisogno. Predispone servizi occorrenti per garantire ad ognuno, tenuto conto delle diverse condizioni economiche,
il pieno diritto all’assistenza e alla salute. Protegge l’infanzia e la terza età”.
39

note
Annamaria Poggi
In questo secondo caso va sottolineata la ripresa puntuale del terzultimo comma dell’art.
117 Cost e, in particolare, della seconda parte della norma (“promuovono la parità di accesso
tra donne e uomini nelle cariche elettive”) con accenti e formulazioni tuttavia diversi:
a) quando vincolando l’attività legislativa regionale al raggiungimento di un risultato (così
nella bozza dello statuto Marche all’art. 3, comma 2 in cui si legge: “La Regione valorizza
la differenza di genere in ogni campo ed attività operando al fine di garantire condizioni
di effettiva parità a donne e uomini. Le leggi regionali garantiscono parità di accesso tra
donne e uomini alle cariche elettive e negli enti, negli organi e in tutti gli incarichi di nomina
del Consiglio e della Giunta” e nella bozza dello statuto Abruzzo che all’art. 4, commi 2 e
3 prevede: “La Regione promuove l’eguaglianza dei diritti e garantisce la pari opportunità tra
uomini e donne. La legge regionale assicura a uomini e donne la parità di accesso alle cariche
pubbliche ed elettive”) 15 ;
b) quando indicando al legislatore regionale una finalità (così nella bozza dello statuto della
Puglia che replicando la norma costituzionale prevede all’art. 6. comma 2: “La legge
regionale promuove parità di accesso fra uomini e donne alle cariche elettive”; così anche
nella bozza dello statuto della Lombardia che accentua l’impegno della Regione nel raggiungimento
del fine affermando all’art. 5, comma 4 che: “La Regione promuove, con
appositi provvedimenti, la parità fra uomini e donne, con particolare riguardo all’accesso alle
cariche elettive”; così, infine, nella bozza dello statuto della Basilicata che all’art. 7, titolato
Obiettivi istituzionali, alla lett. c) così recita “La Regione concorre a rimuovere ogni
ostacolo che impedisce la realizzazione della parità degli uomini e delle donne nella società,
nella cultura e nell’economia; promuove l’uguaglianza tra i sessi nell’accesso alle cariche
elettive) 16 ;
c) quando impegnando il legislatore regionale alla rimozione di eventuali situazioni discriminatorie
(così nella bozza dello statuto della Calabria che all’art. 35, titolato Sistema elettorale,
così dispone: “Nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle norme statali, la legge
elettorale regionale disciplina: a) il sistema di elezione basato su sistemi di preferenza; b) i
casi di ineleggibilità e incompatibilità del Presidente, dei componenti della Giunta, sia interni
che esterni, dei consiglieri; c) le modalità di indizione delle elezioni regionali; d) la formazione
di stabili maggioranze; e) la rappresentanza in Consiglio di ogni Provincia. La legge elettorale
rimuove ogni ostacolo che impedisca la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche
elettive”) 16 .
Le proposte di legge elettorale regionale in corso di elaborazione, invece, non contengono
15 La bozza cui ci si riferisce è quella del 21 ottobre 2001
16 La bozza in questione è datata 27 settembre 2001. Va anche aggiunto che in Veneto sono state depositate tre proposte di statuto di cui
una presenta come primo firmatario GALAN e altra CACCIARI. Quest’ultima, presentata il 19 gennaio 2001 all’art. 34, comma 4 prevede:
“Nelle liste che si presentano alla competizione elettorale dovrà essere garantita la presenza del 50% di ognuno dei due sessi”.
Nella prima bozza l’art. 5 al punto d) replica la formulazione contenuta nel terzultimo comma dell’art. 117.
40
note
Annamaria Poggi
elementi specifici in tal senso. 17 Questo dato, tuttavia, non è al momento così significativo
poiché è innegabile che l’interesse politico-istituzionale e il dibattito scientifico sono
completamente assorbiti dal nodo dell’elezione del Presidente della Giunta e dal connesso
problema relativo al sistema elettorale del Consiglio regionale, 18 ignorando di fatto qualunque
altra questione legata al sistema elettorale.
Tuttavia è indubbio che, al di là dell’enunciazioni statutarie, sarà la legge elettorale a costituire
il passaggio più rilevante in materia di accesso alle cariche elettive. Le formule contenute
nelle varie bozze di statuto, infatti, vanno poste in relazione all’ambito di competenza
dello statuto e se pare indubbio che esse debbano informare “l’organizzazione e il funzionamento”
dell’amministrazione regionale, più controvertibile è che attraverso la competenza
sulla “forma di governo” costituiscano direttive vincolanti per le leggi elettorali regionali.
Se così fosse si porrebbe un “serio” problema di coordinamento tra questa norma (desunta
peraltro interpretativamente dall’art. 123) e l’art. 122, comma 1 che assoggetta la legge
regionale che disciplina “il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del
Presidente e degli altri componenti della giunta regionale nonché dei consiglieri regionali” al
rispetto “dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica”. Più ragionevole e conforme
all’impianto complessivo è invece ritenere che le regole che fondano e danno vita al
sistema di rappresentanza politica (regionale) pur lasciate alla disciplina della fonte regionale
trovino un limite nei principi fondamentali posti dallo Stato in funzione unificante.
Certo forma di governo (come potestà statutaria) e legge elettorale (come potestà legislativa)
sono competenze strettamente connesse, se non altro perché esplicitano la scelta politica
dell’unico organo che procederà all’adozione di entrambe. 19
La diversificazione dei due piani di intervento, tuttavia, è spia di una differente considerazione
tra principi che reggono il rapporto tra organi di governo in sede regionale (lasciati
alla discrezionalità della Regione) e principi che sorreggono il processo di formazione degli
organi che danno forma alla rappresentanza politica, su cui prevale l’esigenza di garanzie
uniformi su tutto il territorio nazionale, in funzione dell’eguaglianza dei cittadini.
Sarà dunque la legge elettorale regionale ad esplicitare le scelte regionali di attuazione dell’art.
117 laddove fa carico alla stessa legge di “promuovere la parità di accesso tra donne e
uomini alle cariche elettive”.
17 Si tratta peraltro non di proposte ma, per ora di documenti ricognitivi, non redatti in forma di articolato.
18 Sottolineano la “personalizzazione” della politica che scaturirebbe da un sistema teso a rafforzare, senza contrappesi i poteri del Presidente
della giunta R.BIN, Il ruggito del governatore, Le Regioni, 2000, 467 ss.; G.PITRUZZELLA, L’elezione diretta del Presidente della
regione: gli effetti sul sistema politico e istituzionale, in AA.VV., Verso una fase costituente delle Regioni? Problemi di interpretazione
della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1, a cura di A.FERRARA, Milano, 2001, 23 ss.; S.MANGIAMELI, Aspetti problematici
della forma di governo e della legge elettorale regionale, Le Regioni, 2000, 567 ss.;
19 La migliore dottrina, pur non negando il nesso tra le due formule, distingue e ridimensiona la potestà statutaria sulla forma di governo:
R.TOSI, Le “leggi statutarie” delle regioni ordinarie e speciali: problemi di competenza e di procedimento in Le fonti di diritto regionale
alla ricerca di una nuova identità a cura A.RUGGERI e G.SILVESTRI, Milano, 2001, 49; A.SPADARO, I contenuti degli statuti
regionali (con particolare riguardo alle forme di governo) in Le fonti del diritto regionale alla ricerca di una nuova identità cit., 105 ss.
e C.FUSARO, La forma di governo regionale in T.GROPPI, M.OLIVETTI (a cura di), La Repubblica delle autonomie, Torino, 2001, 82
ss. Per una ricostruzione che considera anche il rapporto, in materia elettorale tra statuto e legge regionale v. A.RUGGERI, In tema di elezione
diretta dei Presidenti regionali e di altri profili attinenti all’organizzazione regionale (prime notazioni), Le Regioni, 1999, 170 ss.
41

note
Annamaria Poggi
b) Le leggi elettorali del Friuli Venezia Giulia e della Valle d’Aosta
Quanto appena affermato rende estremamente interessante l’analisi delle due leggi elettorali
di Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta che al momento costituiscono gli unici due campioni
di attuazione della norma paritaria.
La legge regionale n. 137/2002 del Friuli Venezia Giulia (che non ha superato il vaglio del
referendum) 20 prevedeva tre diverse modalità di garanzia della parità di accesso:
1) il sostegno finanziario per i soggetti politici impegnati nella finalità di promuovere l’equilibrio
della rappresentanza tra i sessi; 21
2) l’obbligo di visibilità delle candidate donne nei programmi di comunicazione politica e
nei messaggi autogestiti; 22
3) la garanzia della presenza di entrambi i sessi nella composizione della giunta regionale. 23
Nella legge friulana si erano dunque, operate due scelte diverse: la prima di interpretare la
norma statutaria sulla parità di accesso alle consultazioni elettorali come possibilità di azioni
positive a favore delle donne nella fase della campagna elettorale; la seconda di garantire
direttamente la presenza di almeno una donna nella composizione della giunta regionale.
A parte questo secondo aspetto che come si è già avuto modo di osservare, sebbene possa
creare problemi diversi, non tocca direttamente l’ambito della rappresentanza politica,
dalla legge friulana emerge una prima opzione interpretativa della normativa costituzionale
e cioè che la parità di accesso nell’ambito della rappresentanza politica intesa come processo
di formazione degli organi politici di una determinata comunità (nel caso quella
regionale) può essere garantita incidendo indirettamente sui processi decisionali dei soggetti
politici durante le consultazioni elettorali. A questa opzione rispondono sia le norme che
sostengono finanziariamente i partiti che candidano entrambi i sessi e si muovono nella
direzione del riequilibrio nella rappresentanza, sia le norme che penalizzano i partiti che
non visibilizzano la presenza di donne nelle proprie liste.
La legge regionale n. 3/1993 della Valle d’Aosta prevede due modalità di garanzia della
parità di accesso:
20 Sulla vicenda v. la puntuale ricostruzione di A.MORONE che oltre a ricostruire precisamente la vicenda si interroga altresì sulle prospettive
future e il commento adesivo all’esito del referendum di T.E.FROSINI, www.federalismi.it.
21 Art. 15, comma 2: “Con legge di bilancio regionale sono individuate annualmente modalità di sostegno finanziario per i soggetti che
perseguono le finalità di cui al comma 1” e art. 18, comma 1: “Al fine di agevolare l’esercizio delle funzioni di consigliere regionale da
parte delle donne elette a tale carica, è corrisposto ai gruppi consiliari, nella misura e con le modalità previste dalla legge regionale in
materia di funzionamento dei gruppi medesimi, un contributo aggiuntivo per ciascuna consigliera iscritta al gruppo”.
22 Art. 16, comma 1: “Nella partecipazione ai programmi di comunicazione politica offerta dalle emittenti radiotelevisive pubbliche e private,
nonché negli altri mezzi di comunicazione, durante la campagna elettorale per le elezioni del consiglio regionale, i soggetti politici
devono garantire la presenza delle donne candidate alla carica di consigliere regionale, in misura proporzionale alla presenza femminile
nelle rispettive liste di candidati presentate per le predette elezioni” e art. 17, comma 1: ”I messaggi autogestiti dei soggetti politici
previsti dalla vigente normativa devono evidenziare la presenza di donne candidate alla carica di consigliere regionale nelle liste presentate
dal soggetto politico che realizza il messaggio”. L’inosservanza delle norme era sancita con l’obbligo di riequilibrio a carico del
soggetto inosservante (art. 16, comma 2).
23 Art. 15, comma 3: “Per la medesima finalità è altresì assicurata la composizione della Giunta con la presenza di entrambi i sessi”. La
finalità cui si riferiva la norma è il riequilibrio dei sessi.
42
note
Annamaria Poggi
1) l’obbligo di visibilità delle candidate donne nei programmi di comunicazione politica e
nei messaggi autogestiti; 24
2) l’obbligo di inserzione di candidati di entrambi i sessi nelle liste elettorali. L’art. 3bis
comma 2 prevede infatti che “Ogni lista di candidati all’elezione del Consiglio regionale deve
prevedere la presenza di candidati di entrambi i sessi” e l’art. 7 comma 1 lett a) che la mancata
inserzione nelle liste di candidati di entrambi i sessi produce l’invalidità delle liste stesse.
L’opzione interpretativa che traspare dalla legge valdostana è dunque diversa poiché da
essa emerge che quella stessa parità può essere garantita incidendo anche direttamente sui
processi decisionali dei soggetti politici nelle consultazioni elettorali.
In conclusione, il panorama appena delineato, comprensivo sia delle bozze di statuti (pur
con le precisazione sopra effettuata con riguardo alla relativa capacità degli statuti di vincolare
ai propri principi la legislazione elettorale regionale) 25 , sia dalle due leggi elettorali
appena richiamate evidenzia opzioni interpretative sensibilmente diverse che oscillano tra
un’interpretazione della normativa costituzionale che vede nell’equilibrio della rappresentanza
dei sessi un risultato e un’interpretazione che la configura quale finalità.
Rispetto a tali opzioni occorre chiedersi quali siano i significati costituzionalmente possibili
della nuova normativa costituzionale.
3. L’interpretazione della nuova normativa costituzionale sulla parità di accesso
n: la concorrenza delle Regioni all’inveramento dei principi costituzionali
Non c’è dubbio, dunque, che l’esplicita inserzione delle due formule sulla parità di accesso
negli statuti speciali e nell’art. 117 Cost. abbia fornito un supporto significativo a quelle
Regioni che hanno già elaborato o si stanno accingendo ad elaborare atti normativi attuativi
delle disposizioni costituzionali. Tali iniziative, come si è avuto modo di constatare, non
si muovono più nella prospettiva (o comunque nella sola prospettiva) dell’istituzione di
organi consultivi che vigilano sul rispetto della parità. Comincia, invece, a delinearsi un indirizzo
per cui le Regioni, attraverso i propri atti normativi tra i più significativi, statuto e legge
elettorale, si autoassumono la responsabilità dell’attuazione della parità stessa.
Del resto, l’art. 117, comma 7 e la l.c. 2/2001 (anche se in maniera differente) costituiscono
uno spaccato significativo della diversa prospettiva aperta dal nuovo Titolo V: la fine
della minorità delle regioni e l’assunzione della capacità da parte delle stesse di concorrere
all’inveramento della Costituzione.
In questa prospettiva la prima parte dell’art. 117, (laddove prevede che “Le leggi regionali
24 Art. 3ter, comma 1: “Durante la campagna elettorale per l’elezione del Consiglio regionale, nella partecipazione dei programmi di
comunicazione politica offerti dalle emittenti radiotelevisive pubbliche e private, nonché negli altri mezzi di comunicazione, i soggetti
politici devono garantire la presenza di candidati di entrambi i sessi” e art. 3quater: “I messaggi autogestiti dei soggetti politici, previsti
dalla vigente normativa sulle campagne elettorali, devono evidenziare la presenza di candidati di entrambi i sessi”. In caso di violazione
delle norme in questione l’art. 54septies prevede che il Co.Re.Com. attivi, entro trenta giorni dalla proclamazione degli eletti,
le procedure per l’applicazione di sanzioni amministrative.
25 Il vincolo è escluso, per le materie di competenza concorrente (come è la legge elettorale) anche da M.OLIVETTI, Le funzioni legislative
regionali in T.GROPPI, M.OLIVETTI (a cura di) La Repubblica delle autonomie cit., 97 che pure ricostruisce il rapporto statutoleggi
regionali in termini di gerarchia e non di separazione di competenze.
43

note
Annamaria Poggi
rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita
sociale, culturale ed economica” non costituisce né una mera (e tutto sommato inutile) ripetizione
del secondo comma dell’art. 3 Cost, né una norma eccentrica rispetto all’ordinamento
regionale. 26 Al contrario, essa è la riprova della concorrenza delle Regioni alla piena
attuazione delle norme fondanti l’ordinamento costituzionale: non legittima una “politica
regionale della parità”, 27 piuttosto fa carico alle Regioni di contribuire all’affermazione del
principio di uguaglianza sostanziale con riguardo alla differenza di genere.
La pari-ordinazione tra i due legislatori, statale e regionale, non si comprenderebbe (ovvero
si svuoterebbe di significato costituzionalmente apprezzabile) se si interpretasse quale
mera e rigida separatezza di ambiti di competenza e non nel senso in cui entrambi, ognuno
nell’ambito delle rispettive competenze, concorrono, in pari misura, all’effettività dei
diritti e dei principi costituzionali.
In questa prospettiva l’introduzione della normativa sulla parità di accesso nell’ordinamento
regionale non è indifferente, o comunque non è pensabile che non produca effetti, per
l’ordinamento costituzionale nel suo complesso. 28
A meno di non voler teorizzare l’ennesima “rottura” della Costituzione (che in questa ottica
sarebbe sanata solo dalla modifica costituzionale dell’art. 51 restauratrice di un’armonia
tra l’ordinamento statale e l’ordinamento regionale), pare indubbio che lo sforzo che è
richiesto all’interprete è, invece, quello di procedere all’integrazione tra le due parti della
Costituzione resa possibile da una lettura della Costituzione tale per cui il Titolo V per un
verso va letto alla luce della prima parte della Costituzione (in particolare dei principi) e, per
altro verso, contribuisce alla lettura (e rilettura) della prima parte della Costituzione (anche
quella dei principi). 29
Il problema del resto non solo non è evitabile ma neppure è pensabile risolverlo nella secca
alternativa tra interpretazioni “continuistiche” 30 e “interpretazioni” di rottura. 31 Tali alternative
non forniscono risposte percorribili (se non nella strada della rottura o della continuità)
sulle molte questioni interpretative che non tarderanno a porsi. Per rimanere sul terreno
dell’esercizio della funzione legislativa basti pensare al problema del coordinamento
tra le riserve di legge previste nella prima parte della Costituzione (coerenti con il vecchio
titolo V) e le nuove competenze regionali (istruzione; sanità…), oppure alla questione delle
modalità di integrazione tra la competenza statale inerente la determinazione dei livelli
26 Come sembra ritengano A.PIZZORUSSO e E.ROSSI, Le azioni positive in materia elettorale in Italia in B.BECCALLI (a cura di),
Donne in quota, Milano, 1999, 185 alla nota 46 secondo cui tale norma avrebbe dovuto essere inserita, secondo le intenzioni emerse
all’interno della Commissione bicamerale D’Alema, nella prima parte della Costituzione e precisamente in quella relativa al Parlamento.
27 M.CARTABIA, Il principio di parità tra uomini e donne nell’art. 117, 7° comma in T.GROPPI, M.OLIVETTI (a cura di), La Repubblica
delle autonomie cit., 110.
28 Il problema di armonia tra i due ordinamenti è sottolineato da E.PALICI DI SUNI PRAT, Le ragioni delle donne e le donne nelle Regioni,
Riv. dir. pubbl. comp. ed europeo, 2001, 605 ss. secondo cui l’art. 117 Cost. ha implicitamente riconosciuto la legittimità costituzionale
delle azioni positive in materia elettorale anche per la legislazione statale
29 Il tema cui si può in questa sede solo accennare andrebbe inserito nel dibattito sull’applicabilità alla parte organizzativa della
Costituzione dei limiti materiali alla revisione costituzionale già esplorata dalla dottrina degli anni Cinquanta e ripreso in occasione del
Messaggio presidenziale del 26 giugno 1991.
30 Paventate da M.CAMMELLI, Amministrazione (e interpreti) nel nuovo Titolo V della Costituzione, Le Regioni, 2001.
31 Giustamente rifiutate da R.TOSI, Interpretazioni "continuiste" del nuovo Titolo V e "banalizzazione" della Costituzione, www.quadernicostituzionali.it
44
note
Annamaria Poggi
essenziali delle prestazioni in materia di diritti civili e sociali che devono essere garantiti su
tutto il territorio nazionale e le competenze legislative delle Regioni nei settori implicati (la
previdenza complementare, tutela della salute..). 32
3.1. L’identica portata normativa delle formule sulla parità contenute nella l.c. 2/2001 e
3/2001 e l’identità di limiti “generali” alla potestà legislativa regionale (ordinaria e speciale)
di attuazione.
Il primo problema da affrontare è se le differenti formulazioni utilizzate nella l.c. 2/2001 (“Al
fine di conseguire l’equilibrio della rappresentanza dei sessi, la medesima legge promuove condizioni
di parità per l’accesso alle consultazioni elettorali”) e nella l. c. 3/2001 (“Le leggi regionali
rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita
sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche
elettive“) corrispondano a contenuti normativi diversi e, dunque, costituiscano due
parametri costituzionali diversi che rendano possibile una differente valutazione della legislazione
regionale attuativa.
In effetti vi sono almeno due dati che parrebbero deporre nel senso di una diversa ampiezza
delle due formule e più precisamente nel senso di una maggiore ampiezza di quella contenuta
nella l. c. 3/2001. Infatti:
a) nella l.c. 2/2001 si affida al legislatore regionale il compito di promuovere “condizioni” di parità,
mentre per la 3/2001 il legislatore regionale dovrebbe promuovere la “parità” di accesso;
b) nella l.c. 2/2001 ci si riferisce alle “consultazioni elettorali” mentre nella 3/2001 alle
“cariche elettive”.
Una lettura solo formale delle due disposizioni potrebbe condurre a ritenere che nelle
Regioni speciali il legislatore dovrebbe limitarsi ad intervenire sui presupposti di fatto (le
condizioni) che limitano la possibilità di accesso delle donne alle consultazioni elettorali.
Dunque dovrebbe rimuovere gli ostacoli che impediscono alle donne di gareggiare con gli
uomini nelle consultazioni elettorali: maggiori finanziamenti, maggiori spazi di visibilità…
La stessa lettura formalistica potrebbe indurre a ritenere che in quelle ordinarie, invece, l’intervento
legislativo possa incidere direttamente sulla parità nell’accesso e direttamente nell’accesso
alle cariche elettive.
Ora a parte l’argomento testuale ricavabile dall’art. 10 della l.c. 3/2001 che, come ha confermato
la Corte costituzionale, 33 rende autoapplicabili alle Regioni speciali le forme di
autonomia più ampie previste dal Titolo V per quelle ordinarie, in realtà il problema della
parità dei generi nel settore della rappresentanza politica non costituisce un terreno che
consente differenziazioni in ragione della specialità delle Regioni. 34
32 Proprio su questo secondo terreno si evidenziano più facilmente le rotture cui darebbe luogo una lettura separatista dell’ordinamento
statale e di quelli regionali e che, per esempio indurre a sostenere che la previdenza complementare non entra mai a definire i livelli
esenziali assicurati dalla previdenza sociale (di competenza statale).
33 Nella sent. 377/2002 in cui è stato dichiarato improcedibile un ricorso governativo contro una legge della regione Valle d’Aosta con l’argomentazione
che l’art. 10 della cl.c. 3/2001 consente di applicare l’art. 127 che prevede maggiori garanzie (impugnazione successiva)
dell’art. 31 dello statuto regionale.
34 G.BRUNELLI. Le “quote” riprendono quota? (A proposito di azioni positive in materia elettorale regionale), Le Regioni, 2001, 538.
45

Annamaria Poggi
Le differenti enunciazioni formali, pertanto, non corrispondono a contenuti normativi diversi
da cui sia ricavabile una possibilità di attuazione differenziata nelle Regioni speciali rispetto
a quelle ordinarie perché la parità del genere non è terreno che consente differenziazioni
legate alla specialità delle Regioni.
A ciò non osta il diverso tipo di competenza legislativa in materia elettorale proprio dei due
tipi di Regioni, esclusiva per le Regioni speciali e concorrente per quelle ordinarie. Tale differenza
si riverbera unicamente nel dovuto rispetto, da parte delle Regioni ordinarie su questo
come su altri terreni, della legge di principi prevista nell’art. 122, comma 1, mentre non
rileva sull’identica sottoposizione di entrambi i tipi di Regioni ai limiti generali, tra cui in particolare
la Costituzione.
Ne, tantomeno, vi osta il dato formale di una collocazione delle disposizioni in contesti
diversi: nell’un caso all’interno di una modifica statutaria concernente la forma di governo
delle Regioni speciali, nell’altro caso nel contesto della disposizione cardine relativa alla distribuzione
delle competenze legislative tra Stato e Regioni. E’ infatti evidente che quelle collocazioni
sono unicamente dovute a circostanze contingenti che nulla hanno a che vedere
con l’intenzione, non contingente, di introdurre in entrambi i tipi di Regioni la stessa
norma.
3.2. Il limite della Costituzione: gli articoli 51 e 67 (la rappresentanza politica come rappresentanza
“nazionale”).
Proprio dalla collocazione della disposizione sulla parità di accesso nelle Regioni ordinarie si
può trarre una prima indicazione interpretativa: questa non è una materia assimilabile a
quelle contenute nell’elenco di cui al comma 3 ma piuttosto una “prospettiva” o un punto
di vista da cui deve muovere tutta la legislazione regionale.
Se poi si passa ad esaminare puntualmente la disposizione si deve osservare che essa contiene
due enunciati diversi:
a) le leggi regionali “rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle
donne nella vita sociale, culturale ed economica”;
b) le leggi regionali “promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive”.
L’enunciato di cui al punto a) impegna le Regioni nell’attuazione dell’uguaglianza sostanziale
sul terreno del genere con ciò implicitamente riconoscendo che la differenza uomodonna
non è assimilabile ad una qualunque diversità categoriale piuttosto attiene ad una
diversità naturale (si nasce uomo o donna).
Per questa parte certamente è affermato (o riaffermato) un principio (l’eguaglianza sostanziale)
rispetto al quale si accentua una direzione di politica legislativa che potremmo dire
trasversale (in quanto appunto investe la differenza di genere e non una differenza economica,
sociale, di razza, di religione ecc.).
L’enunciato di cui al punto b), al contrario, non contiene un principio, né tantomeno costituisce
esplicazione sul piano della rappresentanza politica del principio di eguaglianza
46
note
Annamaria Poggi
sostanziale di cui al punto a). A parte il dato formale (“promuovono”) su cui, tuttavia, si
potrebbe innestare uno sterile dibattito, il punto è che sul terreno delle cariche elettive il
principio (cioè quello che DWORKIN definisce “uno standard che deve essere osservato non
perché provochi o mantenga una situazione economica, politica o sociale desiderata, ma in
quanto è un’esigenza di giustizia” 35 e HABERMAS come “norme di rango superiore alla
cui luce possono giustificarsi altre norme”) 36 è l’uguaglianza formale. Ciò in funzione del
cardine stesso del concetto di rappresentanza come rappresentanza nazionale che rende
irrilevante qualunque differenza (anche di genere) e che rifiuta l’idea dell’identificazione
elettore-eletto, che si tradurrebbe nel sostenere che la solo la persona concreta (bianco,
nero cattolico …donna, uomo) sia astrattamente più idonea a rappresentare gli interessi di
quella parte della collettività che lo vota e, al contrario che persone non concrete non siano
astrattamente in grado di rappresentare gli interessi di quelle stesse parti di collettività (per
rimanere all’oggetto in questione che un uomo non possa rappresentare gli interessi di una
donna e viceversa). 37
In questa prospettiva l’art. 51 Cost., nella parte in cui si riferisce all’eguaglianza formale dei
due generi rispetto alle cariche elettive, altro non è che traduzione di quel “principio supremo”
di cui all’art. 67 (la rappresentanza è rappresentanza dell’unità nazionale) 38 richiamato
dalla Corte nella sentenza del 1995.
Non c’è dubbio che l’art. 67 sia la “norma chiave in questa materia”, 39 perché connessa
non tanto e non solo ad una esigenza logico-concettuale, bensì alla “sopravvivenza di una
forma politica in termini storico-concreti”, 40 Ponendosi sul solo piano logio-concettuale,
infatti, “nulla impedisce di pensare forme e organizzazioni politiche basate sul principio del
mandato imperativo, inteso quale succedaneo dell’identità tra governanti e governati, e
perciò come realizzazione della democrazia in quanto identità.” 41 Negli spazi in cui la rappresentanza
politica assume la forma dell’identificazione, in considerazione dell’elemento
personale, non c’è sovranità popolare, c’è quella che LOMBARDI ha definito, una “frontiera
interna”. 42
35 R.DWORKIN, I diritti presi sul serio (1977), Bologna, 1982, 90
36 J.HABERMAS, Fatti e norme (1992), Milano, 1996, 303.
37 Il tema della conflittualità tra volontà generale e interessi particolari è giustamente definito (F.CASSELLA, Profili costituzionali della
rappresentanza. Percorsi storici e comparatistici, Napoli, 1997, 239) “il” problema costituzionale del XX secolo rispetto al quale gli studi
sulla rappresentanza politica hanno tentato di affrontare l’identico problema: come regolare lo “svincolo” della sfera sociale da quella
politica al fine di non compromettere l’unità di quest’ultima.
38 E’ il risultato, sottolinea F.CASSELLA, Profili costituzionali della rappresentanza cit., 245 cui parrebbero essere pervenute le più
moderne Carte costituzionali.
39 G.BRUNELLI, Le “quote” riprendono quota? (A proposito di azioni positive in materia elettorale regionale) cit., 542.
40 N.ZANON, Premesse ad uno studio sui “principi supremi” di organizzazione come limiti alla revisione costituzionale, Giur. cost., 1998,
1943.
41 Ibidem. Sull’art. 67 come principio supremo della nostra Costituzione, ma più al fondo quale dimensione storico-concreta di una democrazia
realizzata v. dello stesso A., Il libero mandato parlamentare, Milano, 1991, 328 ss. ed ivi ampli riferimenti bibliografici.
42 G.LOMBARDI, Spazio e frontiera tra eguaglianza e privilegio: problemi costituzionali fra storia e diritto in Scritti in onore di Vezio
Crisafulli, II, Padova, 1985, 477 ss.
47

note
Annamaria Poggi
3.3. La parità d’accesso e la sua finalizzazione al “riequilibrio della rappresentanza dei
sessi”: un obiettivo di “politica” costituzionale.
La disposizione sulla parità di accesso alle cariche elettive, dunque, non è un principio costituzionale,
meglio non è un principio che concorre a definire l’essenza e la struttura deontica
della rappresentanza politica come rappresentanza nazionale (ovviamente nel senso di territorio)
ma è piuttosto quella che DWORKIN definisce una “politica”, cioè “un obiettivo da raggiungere,
in genere un miglioramento in qualche aspetto della vita della comunità”. 43
Che un ordinamento, attraverso i suoi sistemi elettorali, si ponga degli obiettivi è funzionale
alle esigenze che lo stesso avverte nel corso del suo sviluppo con riguardo anche ai suoi
mutamenti sociali, etnici, culturali, demografici. La necessità di garantire la stabilità degli
organi politici, l’eccessiva frammentazione della rappresentanza politica, il riequilibrio della
rappresentanza tra i sessi possono divenire obiettivi di politica legislativa, non principi che
concorrono a definire e strutturare l’istituto della rappresentanza politica.
In questo senso vanno interpretate tanto le disposizioni sulla parità di accesso contenute
negli statuti speciali, quanto la seconda parte del comma 7 della l.c. 3/2001 il cui significato
ben emerge dall’inciso contenuto nella prima parte della disposizione aggiunta negli
statuti speciali: “Al fine di conseguire l’equilibrio della rappresentanza dei sessi”. La parità di
accesso è strumentale alla finalità (non al risultato) del riequilibrio della rappresentanza dei
sessi: una finalità, assurta a rilievo costituzionale che può informare, a certe condizioni, la
legge elettorale.
In questa prospettiva appare più che condivisibile l’opinione secondo cui “il mero inserimento
necessario nelle liste elettorali di candidati aventi alcune caratteristiche giustificabili
in termini di tutela di valori costituzionali appare compatibile con comma 1 art. 51”. 44
L’inserzione di donne nelle liste elettorali, se e quale espressione della tutela di valori costituzionali
(non individualisticamente assunti ma oggettivamente contenuti nel testo costituzionale
come nel caso del 117, comma 7) non appare, in astratto, contrastante con il
comma 1 dell’art. 51. Anzi, da questo punto di vista non concreta neppure una “azione
positiva”, intesa come azione che conferisce un significato giuridico (derogatorio alla regola)
all’elemento del sesso. 45
La stessa finalità non potrebbe, invece, intendersi come “principio” che pretende di strutturare
l’istituto della rappresentanza politica e cioè come principio portatore di un concetto
immanente e permanente di “democrazia paritaria” 46 : questa interpretazione conduce
43 R.DWORKIN, I diritti presi sul serio cit., 90.
44 U.DE SIERVO, La mano pesante della Corte sulle “quote” nelle liste elettorali, Giur. cost., 1995, 3270.
45 Sul punto occorre dar ragione a L.CARLASSARE Parere sulla legittimità costituzionale della previsione di una quota del 50% riservata
alle candidature femminili (parere richiesto dalla Provincia di Bolzano) in www.landtag-bz.org/Parere_Carlassare.htm quando
distingue tra azioni positive (che attribuiscono vantaggi speciali e diversi) e regole formulate con l’obiettivo di consentire l’eguale accesso
a uomini e donne alle cariche elettive.
46 Così A.DEFFENU, La parità tra i sessi nella legislazione elettorale di alcuni paesi europei, Diritto pubbl., 200, 643 che, conseguentemente,
sostiene la permanenza del meccanismo del riequilibrio, invocabile a favore anche degli uomini: ma questo significa mutare la
concezione moderna della rappresentanza politica introducendo l’idea che gli uomini sono meglio rappresentanti dagli uomini e le donne
dalle donne e, dunque, vulnerando il vero principio supremo: il divieto di mandato imperativo.
48
note
Annamaria Poggi
di certo ad una “rottura” della Costituzione. 47 Ma non occorre arrivare ad una tale “drammatizzazione”,
48 poiché più di un dato conferma la mancata pretesa delle nuove disposizioni
costituzionali ad essere interpretate come principi che confliggano con gli artt. 3, 51
e 67.
Il primo dato giunge dai lavori della Commissione Bicamerale D’Alema. Il secondo comma
della prima disposizione dedicata al Parlamento (l’art. 77) affermava, nella prima formulazione
proposta in Commissione, faceva carico “alle leggi elettorali e alle altre leggi” di “promuovere
l’equilibrio della rappresentanza elettiva tra i sessi”. Dopo ampio dibattito in
Commissione il testo finale dell’art. 77 viene liquidato con la sostituzione della formula “le
leggi elettorali e le altre leggi” con quella “la legge”. All’obiezione della commissaria
Mancina secondo cui la formulazione finale alludeva alla “definizione di un obiettivo di
equilibrio con riferimento alla composizione delle assemblee rappresentative” e da non
sarebbe derivata necessariamente l’introduzione di quote nella legge elettorale, il
Presidente della Commissione non diede risposta esauriente. 49
Il secondo dato è desumibile dal Disegno di legge (AC 1583) governativo recante “Modifica
dell’articolo 51 della Costituzione” che conferma l’orientamento di introdurre il solo principio
di parità di accesso (“La Repubblica promuove, a tale fine, le pari opportunità tra uomini e
donne”) e non anche quelle dell’equilibrata rappresentanza nelle cariche elettive. 50
Il terzo dato arriva dal Disegno di legge n. 1094 (Disposizioni di attuazione dell’art. 122,
primo comma della Costituzione) d’iniziativa governativa 51 nella versione approvata dalla
Commissione affari costituzionali del Senato il 25 giugno 2002. L’art. 4 (Disposizioni di principio,
in attuazione dell’art. 122, primo comma, della Costituzione, in materia di sistema di elezione)
elenca quattro principi fondamentali tra i quali non solo non compare quello relativo
al riequilibrio della rappresentanza tra i sessi, né tantomeno quello di parità di accesso,
mentre al punto d) è affermato il “divieto di mandato imperativo”. 52
47 Ancora più profonda di quella che potrebbe rinvenirsi nel conflitto tra art. 51, comma 1 e art. 6 Cost: il concetto di democrazia paritaria,
infatti, trasforma la concezione stessa della rappresentanza politica e non costituisce, invece, una deroga, come l’art. 6 giustificata
sull’esistenza di minoranze linguistiche. Sul punto ha svolto considerazioni puntuali G.CINANNI, Leggi elettorali e azioni positive in
favore delle donne, Giur. cost., 1995, spec. 3291 ss.
48 Rottura che deriverebbe dal contrasto insanabile tra nuove disposizioni costituzionali e sent. 422 del 1995: così A.PIZZORUSSO e
E.ROSSI, Le azioni positive in materia elettorale in Italia cit., 184 e G.CHIARA La “pari opportunità” elettorale dei sessi nella riforma
degli statuti speciali, Giur. cost., 2001, 845.
49 La circostanza è riportata da. A.PIZZORUSSO e E.ROSSI, Le azioni positive in materia elettorale in Italia cit. 183 ss.
50 All’espressione “parità di accesso”, adottata nel testo approvato in prima lettura dalla Camera si è peraltro preferito quello di “pari
opportunità”. Nella Relazione, inoltre, si precisa che la sottorappresentanza delle donne in Parlamento se “certamente non comporta un
deficit democratico giacchè la scelta degli elettori è espressione del libero voto dei cittadini” per altro verso “non v’è alcun dubbio che
essa implichi un difetto di rappresentatività della parte femminile della popolazione”. Assai diverse, invece, le proposte di iniziativa parlamentare
abbinate al Disegno di legge governativo. Alcune prevedono unicamente che la legge promuova l’equilibrio nella rappresentanza
elettiva dei sessi (P.d.l. AC 367, AC 404 e AC 1316); altre prevedono sia la promozione dell’uguaglianza nell’accesso alle cariche
elettive, sia la promozione dell’equilibrio tra i sessi nella rappresentanza politica (P.d.l. AC 183, AC 303 e AC 355); altre ancora aggiungono
al testo approvato dalla Camera in prima lettura la seguente disposizione: “La Repubblica promuove con appositi provvedimenti
la parità di accesso tra donne e uomini” (P.d.l. AC 61, AC 1313 e AC 466).
51 Comunicato alla Presidenza del Senato il 4 febbraio 2002.
52 Gli altri tre principi sono: “a) individuazione di un sistema elettorale che agevole la formazione di stabili maggioranze nel Consiglio
regionale e assicuri la rappresentanza delle minoranze; b) con testualità dell’elezione del Presidente della Giunta regionale e del
Consiglio regionale, se il Presidente è eletto a suffragio universale e diretto. La regione, nel caso in cui adotti l’ipotesi, prevista in via
derogatoria dall’art. 122 della Costituzione, di lezione del presidente della Giunta regionale secondo modalità diverse dal suffragio
universale e diretto, deve prevedere termini temporali tassativi per l’elezione del Presidente e per la nomina degli altri componenti della
Giunta; c) previsione della eventuale limitazione del numero di mandata consecutivi del presidente della Giunta regionale eletto direttamente”.
49

note
Annamaria Poggi
Certo, si potrebbe obiettare che il Disegno di legge appena riportato, se divenisse definitivo
nella versione appena analizzato, sarebbe incostituzionale perché contrastante con il
comma 7 dell’art. 117 e d’altro lato si potrebbero riproporre, oltre all’obiezione testuale
fondata sul “promuovono”, tutte le motivazioni contenute nella sentenza 442 del 1995,
ciò che qui preme sottolineare è che tale Disegno di legge, come del resto la modifica dell’art.
51 e quella sfumata della Bicamerale si muovono nella consapevolezza che conferire
rilievo costituzionale alla parità di accesso tra uomini e donne alle cariche elettive non equivale
a costituzionalizzare il principio dell’equilibrio tra i sessi nell’ambito della rappresentanza
politica. 53
4. L’attuazione della l.c. 2/2001 e del comma 7 dell’art. 117
Posto che il riequilibrio tra i sessi non è un principio costituzionale che entra a comporre le
regole che strutturano organizzativamente la rappresentanza politica anche in sede regionale,
è comunque evidente che la sua assunzione a finalità di rilievo costituzionale non è
senza conseguenze.
Essa, infatti, obbliga le Regioni ad assumere provvedimenti espressamente finalizzati al
riequilibrio della rappresentanza dei due sessi. 54 Naturalmente la legittimità costituzionale
di tali provvedimenti, e soprattutto di quelli riguardanti l’inserzione di candidati di entrambi
i sessi nelle liste elettorali (rispetto alle norme costituzionali implicate e soprattutto rispetto
al 51), vanno valutati non in astratto per cui nulla è consentito (perché il 51 “neutralizza”
gli effetti interpretativi delle nuove disposizioni costituzionali) 55 o tutto è possibile (perché
le nuove disposizioni obbligano ad ottenere il risultato del riequilibrio) 56 ma in concreto
e in relazione alla corretta (“costituzionalmente” corretta) dinamica tra principi costituzionali
che regolano la rappresentanza politica e interesse costituzionalmente protetto al
riequilibrio della rappresentanza dei sessi.
4.1. Norme statutarie (per le Regioni ordinarie)
Le norme statutarie possibili in argomento trovano fondamento nella riserva statutaria sui
“principi fondamentali di organizzazione e funzionamento” (art. 123 Cost, comma 1). Tale
norma, letta in connessione con il comma 7 dell’art. 117 consente:
a) l’istituzionalizzazione delle commissioni pari-opportunità quali garanti “interni” dell’at-
53 Ciò emerge indirettamente nella Relazione al Disegno di legge n. 1094 sul punto relativo all’inserzione del principio del divieto di mandato
operativo dove si legge: “Nel parere espresso dalla Conferenza Stato-Regioni si chiedeva di non preveder alcuna disposizione concernente
il divieto di mandato imperativo sulla base della considerazione per cui tale questione potrà essere affrontata da ciascuna
Regione nell’adozione dello statuto. Tuttavia, si è ritenuto che si tratti di un principio necessariamente fondamentale e non derogabile
nel rapporto che collega rappresentanti e rappresentati”.
54 In questo senso criticamente G.CHIARA, La “pari opportunità” elettorale dei sessi nella riforma degli statuti speciali cit., 841 e
G.BRUNELLI, Le “quote” riprendono quota? cit., 535 e, adesivamente, L.CARLASSARE, Parere sulla legittimità costituzionale della
previsione di una quota del 50% riservata alle candidature femminili cit., adesivamente Elisabetta E.PALICI DI SUNI PRAT, Le ragioni
delle donne e le donne nelle Regioni, Riv. dir. pubbl. comp. ed europeo cit., e A.DEFFENU, La parità tra i sessi nella legislazione
elettorale di alcuni paesi europei cit., 635.
55 Parrebbe questa la posizione di G.Chiara, La “pari opportunità” elettorale dei sessi nella riforma degli statuti special cit.
56 Parrebbe questa la posizione di L.CARLASSARE, Parere cit.
50
note
tuazione della disposizione costituzionale, dunque non solo con compiti consultivi e propositivi
ma altresì con funzioni ispettive e di denuncia (al Consiglio) di eventuali discriminazioni.
Si potrebbe accentuare la funzione consultiva (obbligatoria) con riguardo alle
proposte di legge; 57
b) la previsione di una norma che preveda una composizione della giunta regionale rispettosa
della finalità del riequilibrio; 58
c) la previsione di norme sulla parità di accesso per quanto attiene le nomine negli organi
dipendenti o strumentali della Regione, similmente, del resto, a quanto prevede l’art. 6,
comma 3, d.lgs. n. 267/2000: “Gli statuti comunali e provinciali stabiliscono norme per
assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna ai sensi della legge 10 aprile
1991, n. 125, e per promuovere la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali
del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende e istituzioni da essi dipendenti”.
Naturalmente la disciplina di dettaglio dovrebbe essere rinviata ad una legge regionale
sulle nomine, peraltro già esistente in alcune Regioni; 59
d) la previsione che i regolamenti del Consiglio regionale diano attuazione alla parità di accesso,
ad esempio quanto alla presenza nelle commissioni e nella giunta per le elezioni.
4.2. Leggi di attuazione degli statuti speciali e del 117, comma 7
Annamaria Poggi
Oltre alle leggi di incentivazione ai partiti che presentino nelle proprie liste candidate donne e
ad altre norme quali quelle che impongono ai partiti in lizza di rendere visibile la presenza di
donne nelle proprie liste (con qualche attenzione a non “sommare”, tra legislazione nazionale
e legislazione regionale, troppo vantaggi, con il rischio di oltrepassare il limite per cui l’incentivo
si traduce in discriminazione dei candidati uomini) è anche ammissibile una legge elettorale
che preveda l’inserzione nelle liste di candidati di entrambi i sessi, purchè tale misura si traduca
nel rendere operante una condizione di partenza e non nell’imporre un risultato.
Naturalmente il nodo rispetto alla sent. n. 422 del 1995 è proprio qui perché in quella sentenza,
imporre la candidabilità equivale ad imporre il risultato della eleggibilità.
57 Il documento adottato dalla Commissione nazionale pari-opportunità del 22 aprile 2002 prevede, invero, che a tali organismi debbano
altresì essere conferiti “poteri conoscitivi analoghi a quelli delle Commissioni consiliari”.
58 Nella forma prevista dalla l. r. 137/2002 (sconfitta dall’esito negativo del referendum) all’art. 15, comma 3: “Per la medesima finalità
è altresì assicurata la composizione della giunta con la presenza di entrambi i sessi”. Dubbia pare invece la formulazione proposta dalla
Commissione nazionale pari-opportunità nel documento del 22 aprile 2002 che risulta del seguente tenore: “Al fine di promuovere la
parità di accesso alle cariche politiche fra gli uomini e le donne, qualora la presenza in giunta di uno dei due sessi risultasse inferiore
alla metà dei componenti, il Presidente dovrà illustrare specificamente le ragioni che hanno determinato tale risultato, con una comunicazione
al Consiglio e all’organismo di parità”: in primo luogo perché nel caso positivo si impone il risultato (cioè 50% delle donne
in giunta), in caso negativo si impone al Presidente della giunta di dar conto al Consiglio di una circostanza che nulla ha a che vedere
con la forma di governo.
59 Nella legge regionale occorrerebbe distinguere, anzitutto, tra nomine “tecniche”, per le quali, cioè sono richiesti dalla legge regionale
titoli professionali e nomine “politiche”. Per quanto riguarda le nomine tecniche potrebbe prevedersi: norma secondo cui i soggetti titolari
della facoltà di presentare candidature sono tenuti a proporre nominativi di entrambi i sessi; una norma che disponga che il comitato
di valutazione delle candidature preveda la presenza di entrambi i sessi (l.r. Lombardia n. 14/1995 ). Norme che, a parità di requisiti
prevedono la prevalenza della donna, sarebbero illegittime. Per quanto riguarda le nomine “politiche” occorrerebbe ancora distinguere
tra nomine risultanti da una designazione o da una elezione. In quest’ultimo caso si potrebbe prevedere la norma che le candidature
avanzate prevedano entrambi i sessi. Nel caso di designazione (da parte della giunta o direttamente dal Presidente) non dovrebbero
porsi vincoli alla libertà di scelta (che non siano quelli risultanti dalle modalità di presentazione delle candidature). Semmai si potrebbe
immaginare che la Commissione pari-opportunità, qualora ritenga che si sia verificata una discriminazione possa proporre una interrogazione
o una interpellanza in Consiglio regionale.
51

note
Annamaria Poggi
Le argomentazioni già addotte in dottrina per criticare l’eccessiva genericità di quella sentenza,
fondate sulla necessità di porre in relazione la regola con il sistema elettorale trovano
oggi nelle nuove disposizioni costituzionali una argomentazione ulteriore: sono consentite
misure che, appunto, “promuovono” la parità di accesso alle cariche elettive e alle consultazioni
elettorali e, dunque, anche misure che promuovano la parità di accesso nella formazione
delle liste elettorali.
La finalità promozionale assicura copertura costituzionale a discipline che prevedano la presenza
di entrambi i sessi nelle liste elettorali, non copre, invece le discipline che considerino
la candidabilità quale presupposto di eleggibilità e dunque contravvengono con:
a) l’eguaglianza e la libertà di voto dell’elettore;
b) l’eguaglianza di partenza tra i candidati;
c) l’uguaglianza tra le formazioni politiche in campo. 60
In astratto non è possibile affermare che l’inserzione di candidati di entrambi i sessi nelle
liste elettorali contravvenga con tali principi perché ciò dipende dal sistema elettorale che
viene adottato.
La previsione che le liste elettorali prevedano “candidati di entrambi i sessi” è sempre compatibile
con sistemi elettorali a scrutinio di lista e cioè:
a) con un sistema elettorale proporzionale a preferenza multipla;
b) con un sistema elettorale proporzionale corretto, con listino bloccato: la previsione della
presenza di candidati di entrambi i sessi anche nel listino bloccato costringe i partiti ma
non limita la libertà di scelta dell’elettore, che sarebbe in ogni caso ristretta dal listino
bloccato). 61
Nel sistema maggioritario, invece, il collegio uninominale limita di molto le possibilità: qui
qualunque previsione che imponesse come capolista una donna (o come seconda in lista,
se il primo è uomo, o due preferenze di cui un uomo e una donna) presenterebbe profili di
illegittimità.
Come del resto tali possibilità sono altresì limitate sul terreno dell’elezione delle cariche
monocratiche, quali l’elezione del Presidente della giunta regionale.
In sostanza, la previsione della presenza di entrambi i sessi nelle liste elettorali presenta profili
di illegittimità quando:
a) consista nella previsione del 50% della presenza femminile: ciò introduce surrettiziamente
quel concetto di democrazia paritaria che muta il fondamento della rappresen-
60 E’ la “chiave di lettura” della legittimità dei sistemi elettorali adottata da M. LUCIANI, Il voto e la democrazia. La questione delle riforme
elettorali in Italia, Roma, 1991, 32.
61 Questo mi pare il sistema verso cui si stanno orientando le Regioni, oltrechè verso l’aumento del numero dei consiglieri regionali: ciò
sdrammatizzerebbe in parte l’introduzione di norme sulla parità di accesso per molti versi legata alle comprensibili resistenze degli
attuali consiglieri che vedono nell’introduzione di quote la condizione della loro fuoriscita dai consigli regionali.
52
note
Annamaria Poggi
tanza politica, almeno come questo è accolto nella nostra Costituzione;
b) quando si collochi in un contesto in cui candidabilità equivale ad eleggibilità.
In entrambi i casi siamo in presenza di azioni positive che, come tali, configgono inevitabilmente
con l‘art. 51, comma 1. 62
Se previsioni di “quote” (il termine pare improprio rispetto a formulazioni che paiono conformi
a Costituzione quali: “le liste elettorali devono prevedere la presenza di candidati di
entrambi i sessi”) sono possibili, ma non obbligatorie per le Regioni si pone indubbiamente
il problema di eventuali differenziazioni sul territorio nazionale derivanti dall’evenienza
che non tutte le leggi elettorali si orientino in tal senso.
Il problema nasce anche in forza delle affermazioni contenute nella sentenza n. 109 del
1993 che, come noto, affermava l’esigenza di una “applicazione uniforme sul territorio
nazionale” delle azioni positive.
Già in allora la sentenza era stata criticata su questo specifico punto da AINIS che giustamente
sosteneva che l’eccezione (l’azione positiva) “ospita sempre la diversità, la differenza”
e tale differenza 63 è anche “spaziale”: “se è abbastanza ovvio che nel suo complesso
la condizione della donna imprenditrice sia penalizzante, può ben darsi tuttavia che la situazione
sia diversificata, ed anche profondamente diversificata da Regione a Regione”. 64
L’osservazione, già in allora condivisibile, ha oggi un fondamento che deriva dalla dinamica
uniformità-differenze introdotta dal Titolo V.
Tale dinamica consente oggi la differenziazione (laddove le Regioni hanno potere legislativo)
tranne che sul terreno in cui l’ordinamento costituzionale impone la regola “unificante” (non
uniformante) della cittadinanza civile e sociale: il riferimento è al limite che alle Regioni deriva
dalla “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di diritti civili e sociali
che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (art. 117, comma 2, lett. m).
Ammesso che la differenziazione è non solo consentita ma in qualche misura voluta con il
nuovo Titolo V (sebbene i segnali che giungono dal fronte regionale sono diversi e tendono
invece nella direzione di adottare discipline quanto più possibile “simili”), il problema
diventa quello di individuare il livello essenziale da garantire su tutto il territorio nazionale
cui, in materia di elettorato passivo, le Regioni non possono derogare.
La Corte, in alcune sentenze in cui doveva affrontare il problema della legittimità di norme
regionali che derogavano la normativa statale in materia di elettorato passivo ha costantemente
affermato il principio per cui “eleggibililità” e “incompatibilità” costituiscono terreni
uniformanti. Di qui la dichiarazione di incostituzionalità di normative regionali che
restringevano, rispetto a quella statale, l’eleggibilità alle cariche o la compatibilità tra cariche
diverse. 65
62 Neppure se si conformassero alle regole proposte da M.AINIS, Cinque regole per le azioni positive, Quad. cost., 1999, 359 ss.
63 M.AINIS, L’eccezione e la sua regola, Giur. cost., 1993, 896.
64 Ibidem
65 Sent. n. 235 del 1998 (che ha dichiarato l’incostituzionalità di una legge siciliana che nel prevedere che le cause d'incompatibilità preesistenti
all'elezione alla carica di consigliere comunale rendevano nulla l'elezione stessa, disponeva una disciplina più restrittiva rispetto
a quella nazionale (artt. 6 e 7, l. 23 aprile 1981, n. 154), che invece prevede, per la medesima ipotesi, la conseguenza della decaden-
53

note
Annamaria Poggi
Forse questo è un buon punto di partenza per impostare la soluzione del problema che,
certo, anche in presenza di un sistema che legittima la differenziazione non può non porsi
il problema delle regole unificanti il sistema su un terreno, quale quello elettorale, che concorre
certamente alla costruzione della “cittadinanza civile”.
za dall'ufficio e una disciplina procedimentale a garanzia dell'interessato); n. 463 del 1992 in cui la Corte afferma il regime di uguaglianza
che deve ispirare le norme sull’ineleggibilità; n. 438 del 1994 che dichiara incostituzionale una legge della regione Friuli Venezia
Giulia limitativa delle cause di eleggibilità, richiamando in motivazione la sua precedente giurisprudenza (sentt. n. 105 del 1957 e 84
del 1994).
54
Mauro Durando
Osservatorio Regionale Piemontese
Mauro Durando
L’Osservatorio Regionale sul Mercato del Lavoro riserva ormai da anni un’attenzione particolare
alle tematiche legate alla presenza femminile sul mercato del lavoro, sia con la diffusione
di pubblicazioni periodiche sul rapporto tra donne e lavoro in Piemonte, sia con la
predisposizione di statistiche opportunamente suddivise per genere, per consentire una
corretta lettura dei fenomeni rilevati sotto questo profilo.
Tale approccio si è ulteriormente consolidato con il processo di decentramento di competenze
in materia di lavoro alla regione, e la conseguente collaborazione con la Consiglierà
di Parità Regionale, che proprio negli uffici dell’ORML si è trovata ad operare. Si è messa a
punto, a tal proposito, un’apposita convenzione tra la Direzione Regionale Formazione
Professionale-Lavoro e la Consigliera di Parità, il primo documento di questo tipo approvato
a livello nazionale, che prevede, tra l’altro, che l’ORML possa accedere a fini di elaborazione
aggregata e di analisi, ai rapporti presentati alla Consigliera dalle imprese con più di
100 dipendenti ai sensi dell’art.9 della L.125/91.
Si tratta di una fonte statistica importante, che consente non solo di ricostruire un quadro
quantitativo sulla collocazione femminile nelle imprese maggiori della regione, ma da cui
derivano anche vari approfondimenti di natura qualitativa, riguardanti in particolare l’effettivo
inquadramento contrattuale in seno all’azienda, i percorsi di carriera intrapresi, la partecipazione
femminile alle attività di formazione professionale realizzate.
I rapporti in questione, com’è noto, vengono presentati a cadenza biennale, entro la data
del 30 aprile degli anni pari, e constano in otto tabelle, con dati relativi per lo più allo stock
di addetti al 31.12 dell’anno immediatamente precedente la scadenza e ai movimenti registrati
nel corso degli ultimi 12 mesi (entrate, uscite, promozioni, trasferimenti).
Si tratta di un archivio di rilevanti dimensioni (le imprese coinvolte sono circa 800 nella
nostra regione), che era rimasto fino ad allora inutilizzato, sotto il piano statistico ed informativo,
per l’oggettiva complessità di trattamento ed elaborazione dei dati, se si eccettua
un tentativo in tal senso condotto in Piemonte da parte dell’IRES Lucia Morosini sui dati del
biennio 1992-93.
L’ORML, nel 2000, ha provveduto, a titolo sperimentale, al recupero dei dati del biennio
1996-97; l’anno successivo, visto l’esito positivo della sperimentazione, ha costruito l’archivio
del biennio seguente, e in questi mesi si sta provvedendo al caricamento dei dati del
biennio 2000-2001, pervenuti alla scadenza del 30 aprile 2002. I risultati delle elaborazio-
55

Mauro Durando
ni relative al biennio 1996-97 e 1998-99 sono stati oggetto di due rapporti analitici pubblicati
nei volumi annuali “Donne e Lavoro in Piemonte”, integrati da altri contributi sul
tema, utili ad inquadrare nel contesto regionale allargato le informazioni relative al sottoinsieme
di imprese con più di 100 dipendenti.
Nell’edizione 2001, in specie, oltre a fornire un quadro dei principali dati statistici dell’anno
in questione, si è svolto uno studio di natura comparativa sulla collocazione femminile
sui mercati del lavoro provinciali in Piemonte, e si è inserita una comunicazione sulle politiche
di pari opportunità del Fondo Sociale Europeo.
L’analisi dei dati dei rapporti ex art.9 rappresenta comunque l’elemento di maggior interesse
in questa sede, per la ricchezza di elementi informativi inediti che ne derivano.
Quali sono le principali risultanze di queste elaborazioni ? Un primo elemento, ancora
grezzo, ma significativo, è dato dalla presenza femminile ai livelli superiori della scala
gerarchica aziendale, fra i dirigenti e i quadri, per cui siamo in grado di anticipare alcune
elaborazioni, ancora provvisorie, relative al 2001. Il quadro strutturale evidenzia, come
prevedibile, una larga maggioranza maschile nelle due fasce professionali superiori: nell’industria,
in particolare le donne sono il 5% circa dei dirigenti e il 10% dei quadri, nei
servizi, dove le lavoratrici tendono a collocarsi in larga prevalenza, la percentuale sale
notevolmente, ma con una netta distinzione fra pubblico e privato: nell’area privata le
quote citate quasi raddoppiano, con una presenza femminile pari al 9% tra i dirigenti e
al 20% circa tra i quadri, nel pubblico (i dati si riferiscono alle aziende del comparto sanitario
e a qualche grande amministrazione comunale che ha presentato il rapporto previsto
dall’art.9) siamo su livelli molto superiori, al di sopra del 35% fra le figure apicali e
oltre il 70% in quelle intermedie.
La distinzione fra pubblico e privato è uno degli aspetti di maggior rilievo emersi nell’analisi
dei dati del biennio 1998-99, quando per la prima volta si sono acquisiti i rapporti di
ASL ed Aziende Ospedaliere. Come si è osservato nel commento ai dati, “le differenze sono
impressionanti, e, anche se in parte determinate da fattori strutturali (ad esempio, il particolare
assetto contrattuale dell’area sanitaria, o la forte concentrazione femminile nei settori
in esame), mettono in luce la presenza di pratiche discriminatorie di qualche natura nell’area
del lavoro privato. Alla base di queste differenze è presumibile che siano sottesi meccanismi
di selezione per l’accesso ai percorsi di mobilità verticale di natura diversa … ed è
anche probabile che sul dato incida una differente organizzazione del lavoro nelle due aree:
carichi meno intensivi nel pubblico, con una maggiore facilità di conciliazione con gli impegni
familiari, ritmi più pressanti nel privato, dove le incombenze esterne sono vissute come
un ostacolo al conseguimento delle performances richieste alle figure più elevate della scala
gerarchica.”
I primi dati disponibili per il 2001 evidenziano, da questo punto di vista, la prosecuzione
delle tendenze già individuate nell’analisi della serie storica omogenea 1996-99: le donne
stanno guadagnando posizioni e la loro presenza ai livelli superiori delle professioni è in progressiva
crescita, anche se resta largamente minoritaria. Tra i dirigenti dell’industria il tasso
di femminilizzazione passa dal 3,5% del 1996 al 5,8% del 2001 (dati provvisori); per i qua-
56
Mauro Durando
dri i valori corrispondenti sono 8,7% nell’anno di partenza e 11,3% in quello di arrivo, con
una crescita progressiva, di anno in anno. Nei servizi esistono maggiori problemi di confrontabilità
del dato 2001, legati alle modifiche contrattuali che hanno interessato il settore
del credito e ad una limitata acquisizione, per il momento, delle denunce del comparto
pubblico. Una prima verifica, limitata ai restanti settori, conferma comunque che anche in
quest’area di attività va crescendo la presenza femminile ai livelli superiori, in analogia con
quanto si è segnalato nel settore secondario.
L’evidenza statistica quindi ci fa guardare con un cauto ottimismo alle tendenze in corso,
ma va sottolineato il fatto che i progressi sono lenti, anche se costanti, e che il gap da recuperare
è particolarmente ampio. Per dare un’idea del tutto orientativa della tempistica, se
(e sottolineo se…) l’andamento rilevato dai nostri dati continuasse su ritmi analoghi nelle
imprese con più di 100 addetti le donne giungerebbero ad essere il 30% del personale dirigenziale
(cioè pur sempre una minoranza) verso l’anno 2025. Alla stessa data, si raggiungerebbe
fra i quadri, ripetendo lo stesso esercizio anche per questo sottoinsieme, la quota
del 40%.
Un altro elemento, più qualitativo, che val la pena di richiamare succintamente in questo
intervento, sono le risultanze dell’analisi della Tabella 4 dei rapporti, relativa all’inquadramento
contrattuale interno alle grandi categorie professionali individuate (operai ed impiegati in
particolare, nelle varie articolazioni di livello previste dai CCNL): un’analisi svolta sui dati del
biennio 1998-99 per vari settori di attività, evidenzia come le lavoratrici, siano esse operaie o
impiegate, tendono a concentrarsi nei livelli più bassi della scala gerarchica interna alla categoria
professionale, mentre la presenza maschile è proporzionalmente molto più elevata nei
livelli superiori. Ne derivano ovvie conseguenze in termini di retribuzioni e di possibilità di
avanzamento: le donne percepiranno degli stipendi mediamente inferiori agli uomini, e i loro
percorsi di carriera, partendo più dal basso, saranno più lunghi e difficoltosi. Questo stato di
cose è rilevabile anche nelle procedure di assunzione esperite nel corso del 1999, e non dipende
quindi da una situazione pregressa in via di riassestamento, ma si configura come dato
strutturale che ancora informa di sé le politiche di reclutamento aziendale.
Le elaborazioni riferite alle promozioni segnalano un maggiore coinvolgimento maschile
nelle fasce alte della scala contrattuale, né potrebbe essere diversamente, date le premesse:
al di là di eventuali pratiche discriminatorie messe in atto, le lavoratrici partono in condizioni
di svantaggio, sia per la loro collocazione professionale interna alle imprese (le differenze
di inquadramento prima sottolineate), sia per i condizionamenti ed i vincoli che
derivano dalla collocazione sociale della donna nell’ambito familiare. Si può ritenere, anzi,
che i dislivelli rilevati sul lavoro siano in una certa misura connessi alla posizione femminile
di relativa debolezza, per gli impegni esterni a cui deve sottostare. Questo doppio handicap
rappresenta un ostacolo al pieno sviluppo delle potenzialità professionali delle donne,
e, sotto questa luce, i progressi realizzati nel mondo del lavoro negli ultimi anni, di cui si è
detto, non possono che avere richiesto un impegno particolarmente gravoso.
Si sta ora completando il caricamento dei dati del biennio 2000-2001 e procedendo alla
verifica dei rapporti pervenuti, sia in termini di congruenza nella compilazione, sia per indi-
57

Mauro Durando
viduare eventuali evasioni all’obbligo e sollecitare le imprese in difetto a provvedere alla trasmissione
delle Tabelle. Si tratta di un’attività particolarmente complessa e laboriosa, che si
prevede di completare nei primi mesi del 2003.
L’impressione è che andrebbe rivista la modulistica utilizzata, sia per aggiornarla alle novità
introdotte sul mercato del lavoro nel decennio trascorso, sia, soprattutto, per renderla
più funzionale alla rilevazione dei dati a livello regionale, per le imprese plurilocalizzate, a
cui è consentito, in sostanza, di fornire il dettaglio informativo solo a livello nazionale, per
l’insieme dell’impresa, rendendo in molti casi impraticabile il caricamento nell’archivio
regionale dei dati più qualitativi.
Sul piano delle politiche, inoltre, la documentazione disponibile costituisce un potenziale
informativo importante per le Consigliere di Parità Provinciali, soprattutto in un’area come
quella torinese, dove la presenza della grande impresa assume un rilievo centrale. Si tratta
di capire se, al di là dell’accesso al materiale pervenuto, si possono sviluppare indicatori statistici
idonei a cogliere elementi qualitativi utili all’attività delle Consigliere Provinciali, considerando
che, a questo livello territoriale, le elaborazioni aggregate assumono scarsa significatività.
58
Lucia Mollica
Direttore Agenzia Piemonte Lavoro
Lucia Mollica
Saluto tutti e ringrazio, sono Lucia Mollica, dirigo l’Agenzia Piemonte Lavoro dal 1 luglio di
quest’anno. L’Agenzia è l’ente di monitoraggio e di assistenza tecnica alla Regione ed alle
Province in materia di lavoro e formazione. Vorrei oggi con voi fare una riflessione utilizzando
i dati 2001 dell’Istat che sono reperibili dall’Osservatorio, e analizzandoli porre all’attenzione
alcune domande, che con i miei collaboratori abbiamo formulato . Nell’ambito del
mercato del lavoro sussiste realmente una segregazione di tipo verticale o orizzontale ? Le
donne dirigenti sono veramente pochissime, la segregazione nel raggiungere i vertici della
carriera esiste, ovvero ci sono settori del mercato del lavoro inibiti alla presenza femminile.
Questo percorso si riscontra nella prima tabella che evidenzia la situazione dei disoccupati
e degli occupati in Piemonte nel 2001. Una precisazione è necessaria subito, si osserva che
in Piemonte le donne disoccupate sono il 66% rispetto al totale dei disoccupati. La tabella
mostra la cosiddetta disoccupazione allargata che conteggia non solo i disoccupati ma
anche le donne potenzialmente disoccupate, cioè quelle che nei periodi di crisi hanno perso
la speranza di trovare lavoro, e quindi non si dichiarano disponibili. Il dato rappresenta in
modo significativo la situazione. Invece in Piemonte le donne nell’ambito degli occupati
rappresentano il 41 %. Ricordiamo come ha già accennato prima il collega
dell’Osservatorio che il documento nazionale sull’occupazione auspica per il 2005 un tasso
pari al 46%.
Abbiamo scelto di osservare i dati prima in Piemonte e poi di distinguerli tra Torino e le altre
province, perché siamo oggi ospiti della provincia di Torino ed era doveroso, e anche perché
in realtà abbiamo osservato che Torino è una peculiarità importante e significativa.
Invece in questa slide la situazione dei disoccupati mostra una sostanziale conferma che
non si discosta dai dati regionali: la disoccupazione è prevalentemente femminile, così
come la situazione degli occupati tra Torino e le altre province non si discosta dal dato complessivo
piemontese, lo confermano gli istogrammi che potete osservare.
Poi ci siamo posti un’altra domanda: se la scarsa occupazione femminile fosse attribuibile
alla bassa scolarità, e abbiamo confrontato i dati della scolarità obbligatoria e superiore tra
gli uomini e le donne. Abbiamo rilevato che nell’ambito dei disoccupati non si può dire
che ci sia una differenza sostanziale tra i due sessi, invece tra gli occupati la scolarità delle
donne è decisamente superiore. Questo dato è importante perché ci aiuta a capire le ragioni
della segregazione, l’ipotesi che abbiamo posto al centro del mio intervento.
59

Lucia Mollica
Questa slide non contraddice la precedente ma ci da una indicazione particolare. A Torino e
nella provincia la scolarità superiore è uguale sia per gli uomini sia per le donne, e questo
che io volevo mostrarvi nel corso della presentazione perché può far nascere altre interessanti
ipotesi. Ma che cosa fanno le donne? Abbiamo diviso uomini e donne secondo le varie
professioni: elevata specializzazione, le professioni tecniche intermedie, amministrative, vendite
e i servizi alla famiglia, gli artigiani, operai specializzati, agricoltori, i conduttori di
impianti e operai di montaggio, il personale non qualificato e per ultimo le forze armate.
In questa slide si può notare il dato “culturale storico” che conferma la mentalità di come
in una famiglia una ragazza immagina il proprio futuro e quindi sceglie una scuola, una
professione e una realizzazione in determinati settori. Per questo non stupisce che le professioni
amministrative esecutive siano a prevalenza femminile, così pure le professioni di
vendita e servizi alla famiglia. Ma se osserviamo il dato delle professioni tecniche intermedie
e confrontiamo l’ordine di grandezza con il totale degli occupati, scopriamo che
192.390 rappresenta il 18% del totale degli occupati, mentre 179.289 è il 24% del totale
delle donne occupate, cioè quasi un quarto delle donne che lavorano svolge una professione
tecnica intermedia. In fondo queste slide confermano quello che ha detto Durando,
anche se lui ha toccato specificatamente la materia industriale. Infine arriva la slide che definisco
del dolore, nel senso che esprime quello già anticipato e evidenzia la segregazione
femminile. Le donne nell’industria: abbiamo diviso le donne ed i contratti, i contratti per
settore e per genere, tra primario, secondario e terziario. I tre settori non andrebbero visti
insieme però era utile per dare l’ordine di grandezza. Nel settore industriale che è totalmente
in mano al privato le donne dirigenti sono in misura ridottissima, 3850 donne dirigenti
in Piemonte nel 2001 che rappresentano il 4%. Mentre sono quasi la metà degli
uomini nello stesso anno nel settore terziario, consideriamo che nel terziario c’è la pubblica
amministrazione e quindi il dato ha una maggiore significatività.
Permettetemi un inciso personale: forte della mia esperienza non provo stupore di fronte a
questi dati perché, benché io non sia una femminista, ho sempre pensato che dovevo sapere
il doppio degli uomini per poter fare la stessa carriera.
Ora vediamo di verificare la segregazione orizzontale e osservare in quali settori ritroviamo
le donne, verificando la loro presenza nell’ambito dei tre settori classici: primario agricoltura,
secondario industria e terziario le altre attività. Anche se non ci soddisfano completamente
perché la maggior presenza è nel terziario.
In questa slide si tiene conto della divisione che si è soliti riscontrare tra Torino e le altre province,
anche in questo caso si osserva che nelle altre province l’industria è ancora prevalente
mentre Torino conosce una significativa flessione e anche nel settore maschile sono
prevalenti i servizi.
Questi dati ci fanno immaginare un quadro in cui le donne e gli uomini sono progressivamente
più istruiti. Nella provincia di Torino prevalgono i servizi e rispetto all’industrializzazione
che è periferica si pongono delle domande su come possiamo immaginare e agire in
futuro.
Infine mi sono posta il problema del lavoro atipico. Il concetto di lavoro atipico è un concetto
tradizionale. Il lavoro è tipico se è a tempo indeterminato e a tempo pieno, e tutto
60
Lucia Mollica
ciò che non rientra in questo quadro è atipico. Noi abbiamo fatto delle ripartizioni che non
sono esaustive ma che danno delle prime indicazioni. Sarebbe interessante, e ci siamo ripromessi,
di approfondire i lavori a tempo determinato. Abbiamo confrontato il part time, il
tempo determinato e anche quelli che non sono propriamente dei lavori come gli stage,
l’apprendistato ed i contratti di formazione. Il part time ha avuto un enorme successo nell’ambitofemminile,
così come lo ha avuto il tempo determinato.
Se osserviamo la stessa suddivisione tra Torino e le altre province guardando l’ultimo istogramma
riscontriamo che il part time si concentra prevalentemente su Torino e che qui è
utilizzato anche dagli uomini. Sicuramente il contratto di formazione lavoro non è rilevante
perché si attesta sulle stesse cifre a livello regionale.
In conclusione, su Torino abbiamo verificato che gli avviamenti interinali nei due sessi sono
abbastanza allineati così come lo sono gli avviamenti di carattere atipico, perché le cifre
sono 95.615 contro 90.366.
La domanda che io vorrei lasciare aperta è la seguente: sembrerebbe dai dati che abbiamo
che Torino si discosti dal resto del Piemonte e badate bene che nelle nostre rilevazioni sempre
Torino rappresenta quantitativamente il 50% di tutta la regione. Questo è un dato significativo.
Torino rapresenta certamente l’evoluzione anticipata del sistema? La deindustrializzazione,
l’incremento del terziario e le nuove forme di lavoro sembrerebbero favorire un
avvicinamento dei generi? E’ una domanda che io vi pongo perché significa approfondire
lo studio delle garanzie in quei settori dove si lavora a tempo determinato.
DISOCCUPAZIONE ALLARGATA IN PIEMONTE NEL 2001
F
F
91.933-66%
TORINO
ALTRE
PROVINCE
M
M
47.811-34%
F 17.113
ANNO 2001 DISOCCUPATI
F 30.698
M 32.379
M 59.554
F
733.440-41%
OCCUPATI IN PIEMONTE NEL 2001
F M
0 10.000 20.000 30.000 40.000 50.000 60.000
M
1.051.899-59%
61

Lucia Mollica
62
ALTRE
PROVINCE
TORINO
F
ALTRE
ATTIVITÀ M
F
INDUSTRIA M
F
M 512.106
M 539.793
ANNO 2001 OCCUPATI
F 357.143
F 376.297
0 100.000 200.000 300.000 400.000 500.000 600.000 700.000 800.000 900.000 1.000.000
26.133
49.536
3.850
22.299
60.463
592 903
261.259 119.165
164.645
98.743
89.122 286.967
1.869
117.400
AGRICOLTURA
M
267 1.890
3.857
0% 20% 40% 60% 80% 100%
600.000
500.000
400.000
300.000
200.000
100.000
ANNO 2001 OCCUPATI DIPENDENTI - SUDDIVISIONE PER SETTORE, CONTRATTO E GENERE
0
562.404
489.496
320.172
M F
413.267
DIRIGENTI
QUADRI
IMPIEGATI
OPERAI
E ASSIMILATI
Per occupati dipendenti si intendono gli avviamenti esclusi i lavoratori autonomi.
PIEMONTE ANNO 2001 TITOLO DI STUDIO PER GENERE
OBBLIGO SCOLASTICO
ISTRUZIONE SUPERIORE
F
ALTRE
PROVINCE M
300.000
250.000
200.000
150.000
100.000
50.000
F
TORINO M
0
168.780
ANNO 2001 TITOLO DI STUDIO PER GENERE
188.363
295.617 216.490
151.391 224.904
266.786 273.006
0 100.000 200.000 300.000 400.000 500.000 600.000
192.390
179.289
138.490
156.214
114.056
67.125
101.109
121.374
PROF. DI ELEVATA SPECIALIZZ.
PROF. TECNICHE INTERMEDIE
PROF. ESECUTIVE AMMINISTRATIVE
600.000
500.000
400.000
300.000
200.000
100.000
0
ANNO 2001 OCCUPATI IN PIEMONTE SUDDIVISI PER PROFESSIONE E PER GENERE
PROF. VENDITE E SERVIZI FAMIGLIE
278.120
ARTIGIANI, OP. SPECIAL., AGRICOLTORI
61.483
179.889
CONDUT. IMPIANTI E OP. DI MONTAGGIO
PIEMONTE ANNO 2001 SUDDIVISIONE GENERE PER SETTORE
40.292 25.492
498.360
183.246
64.322 66.515
55.637
Lucia Mollica
OBBLIGO SCOLASTICO
ISTRUZIONE SUPERIORE
9.321
PERSONALE NON QUALIFICATO
FORZE ARMATE
513.247 524.702
AGRICOLTURA INDUSTRIA ALTRE ATTIVITÀ
M
F
M
F
63

Lucia Mollica
64
180.000
160.000
140.000
120.000
100.000
80.000
60.000
40.000
20.000
300.000
250.000
200.000
150.000
100.000
50.000
0 0
100.000
90.000
80.000
70.000
60.000
50.000
40.000
30.000
20.000
10.000
0
0
253.861
10.937
19.227
ANNO 2001 OCCUPATI SUDDIVISIONE GENERE PER SETTORE
274.995
5.699
280.570
29.355
244.499
238.252
19.793
93.218
TORINO M F ALTRE PROVINCE M F
PIEMONTE ANNO 2001 LAVORO ATIPICO PER GENERE
50.083
163.062
129.250
244.132
8.776 4.898
PART-TIME TEMPI DETERMINATI CONTR. FORMAZ.
ANNO 2001 LAVORO ATIPICO SUDDIVISO PER TORINO E ALTRE PROVINCE
13.692
91.590
4.515
33.576
74.247
2.584
5.585
71.472
4.261
16.507
TORINO M F ALTRE PROVINCE M
F
55.003
2.314
AGRICOLTURA
INDUSTRIA
ALTRE ATTIVITÀ
M
F
PART-TIME
TEMPI
DETERMINATI
CONTR. FORMA
Z. LAVORO
100.000
ANNO 2001 PROVINCIA DI TORINO AVVIAMENTI LAVORO ATIPICO PER GENERE
90.000
80.000
70.000
60.000
50.000
40.000
30.000
20.000
10.000
0
35.000
30.000
25.000
20.000
15.000
10.000
5.000
19.431
14.792
90.366 95.615
AVVIAMENTI INTERINALE AVVIAMENTI DI
CARATTERE ATIPICO
PIEMONTE ANNO 2001 DISOCCUPATI, TITOLO DI STUDIO PER GENERE
0
22.171
13.755
32.202
M F
23.498
Lucia Mollica
OBBLIGO
SCOLASTICO
ISTRUZIONE
SUPERIORE
M
F
65

Ida Rossi
Dirigente Servizio Lavoro - Provincia di Torino
Ida Rossi
Buongiorno a tutti, porto innanzi tutto i saluti dell’assessore Barbara Tibaldi, che per impegni
non previsti non ha potuto essere presente a questo seminario, ma mi ha pregata di
salutarvi.
Mi è stato richiesto di esprimere il mio punto di vista sulla riforma dei servizi per l’impiego,
ma preferisco non soffermarmi troppo su questo tema, che ci porterebbe via davvero parecchio
tempo. Credo che il processo di costruzione del sistema dei servizi per l’impiego sia
ormai giunto ad un livello in cui si manifestano elementi di consolidamento strutturale, che
consentono un sereno confronto con le attività che i privati possono mettere in campo, a
prescindere, diciamo così, dai contenuti della delega sul mercato del lavoro e degli ultimi
provvedimenti di riforma. Questi infatti non fanno altro che allineare l’Italia alle caratteristiche
del sistema dei servizi per l’impiego degli altri paesi, ma non rivoluzioneranno gli assetti
che derivano dall’impianto della riforma già avviata.
In provincia di Torino questo processo è stato portato avanti faticosamente, per le note problematiche
legate alla scarsità delle risorse trasferite, ma è stato portato avanti con l’impegno
di dar vita ad un modello che vede nel servizio pubblico il punto di forza e garanzia
del sistema.
Una tappa fondamentale di questo percorso – ed è l’aspetto su cui brevemente vorrei
richiamare l’attenzione oggi - è consistito nel progetto di revisione generalizzata delle liste
dei disoccupati iscritti ai Centri per l’Impiego della Provincia. All’interno di quel bacino
occorreva infatti individuare in maniera precisa i destinatari delle future azioni di promozione
di inserimento lavorativo, distinguendoli da tutti coloro che erano iscritti per motivi
diversi dalla ricerca di un’occupazione e che non manifestavano disponibilità immediata al
lavoro.
Perché vorrei richiamare l’attenzione su questo intervento? Per due ordini di motivi.
Innanzitutto per la rilevanza che, di per sé, ha avuto l’operazione. Noi abbiamo compiuto
un’indagine, tramite rilevazione postale, su tutto il bacino delle persone iscritte alle liste di
disoccupazione in Provincia di Torino, approssimativamente pari a 220mila persone.
Abbiamo inviato a ciascuno una lettera ed un questionario per rilevare prima di tutto l’immediata
disponibilità al lavoro, ma anche informazioni di carattere anagrafico e professionale,
secondo i modelli di schede approvate dai decreti del Ministero del Lavoro.
All’intervento sullo stock degli iscritti, che è stato realizzato nel periodo maggio-luglio di
67

Ida Rossi
quest’anno, si è affiancato un intervento sul flusso continuo di persone che si rivolgono ai
nostri centri, in realtà già avviato da luglio 2001. Questi interventi ci hanno fornito alcuni
elementi conoscitivi di ritorno che sono estremamente interessanti. Oltre a fornirci indicazioni
da cui partire per costruire l’offerta di servizi successiva, hanno infatti permesso di evidenziare,
e qui vengo al secondo motivo per cui desidero parlare di questo argomento,
aspetti e caratteristiche della disoccupazione nel nostro territorio, e in particolare della disoccupazione
femminile, che vorrei sottoporre alla vostra attenzione.
Delle 220 mila persone interpellate, abbiamo ricevuto risposta soltanto da circa 30mila persone,
che ci hanno restituito la scheda compilata dichiarando la propria disponibilità al lavoro.
A queste vanno aggiunte 18.000 persone che, attraverso l’intervento sui flussi, sono state
individuate come disponibili al lavoro nell’ultimo anno da parte dei Centri per l’Impiego.
Questo ci permette di identificare il primo bacino di riferimento di persone che in cerca di
occupazione sono potenzialmente interessate anche alla nostra offerta di servizi.
E’ innanzitutto significativo come questi numeri si approssimano ai dati sulla disoccupazione
che l’Istat rileva e che indicano circa 60 mila persone in ceca di occupazione in ambito
provinciale nel 2001. Riteniamo che complessivamente, l’effetto “censimento” abbia prodotto,
nell’immediato, una sottostima delle persone in cerca di occupazione. Se tuttavia
teniamo conto di quei segmenti dell’offerta di lavoro che si muovono sul mercato senza
rivolgersi ai Centri per l’Impiego (alte qualifiche, professionisti, ecc.) possiamo considerare
i risultati raggiunti come una buona approssimazione della disoccupazione effettiva, sicuramente
più affidabili dei dati che prima registravamo.
All’interno di questo bacino emergono alcuni elementi, dal punto di vista qualitativo, che
segnalano criticità in particolari segmenti dell’offerta di lavoro, soprattutto per quanto
riguarda la componente femminile. Secondo le rilevazioni Istat, indicativamente la componente
femminile nel mercato del lavoro è intorno al 60%. Un primo dato da considerare è
che nella rilevazione che noi abbiamo compiuto le donne che hanno risposto ai questionari
e che si dichiarano disponibili rappresentano circa il 68%.
Questo induce ad alcune riflessioni. Noi sappiamo che nel mercato del lavoro la domanda
e l’offerta si incontrano per la grande maggioranza attraverso meccanismi di incontro spontaneo,
quindi non agevolati da strutture e istituzioni. Esiste però una componente del mercato
del lavoro che fa ricorso a soggetti istituzionali che agevolano l’incontro tra la domanda
e l’offerta. All’interno di questa componente, che esprime una domanda di servizi e che
è sicuramente rappresentata, per quanto riguarda l’offerta, dalle persone che noi abbiamo
intercettato, il segmento femminile è più consistente. E’ come se emergesse un bisogno di
servizio di incontro domanda-offerta più forte da parte della componente femminile. La
componente maschile (si tratta di riflessioni ancora molto superficiali che meriterebbero un
approfondimento) sembrerebbe essere più attrezzata nella ricerca autonoma di un’occupazione.
Questo è un primo dato che credo sia interessante segnalare.
Altri elementi di tipo qualitativo emersi dalla nostra rilevazione credo che confermino cose
che sono state dette probabilmente anche questa stamattina. Gli aspetti qualitativi che
risultano, esprimono di nuovo criticità per quanto riguarda la componente femminile del
mercato del lavoro: sono quelli che attengono ai titoli di studio, alle caratteristiche di qua-
68
Ida Rossi
lifica, alle fasce di età. Se incrociamo queste variabili, vediamo che il profilo del disoccupato
tipico, in Provincia di Torino, è quello di una donna giovane con bassa scolarità, difficilmente
collocabile. Da un altro lato è presente una componente femminile adulta maggioritaria
rispetto a quella maschile, quindi con altrettante difficoltà occupazionali.
Provo a dare alcuni dati sulla base di quello che è emerso dalla nostra rilevazione, dal nostro
censimento. Su un totale di 18 mila donne che avevano risposto alla scheda, 10.900 hanno
soltanto la scuola dell’obbligo, vale a dire il 60%, percentuale più elevata di quella maschile.
Solo il 26 % possiede il diploma o titolo di scuole superiori, mentre per gli uomini la
quota è del 29%. Ci sono anche altri elementi interessanti: ad esempio abbiamo chiesto
quali programmi informatici le persone conoscono e quali lingue straniere, per avere una
prima fotografia di quelle che sono alcune competenze di base ormai sempre più richieste
sul mercato del lavoro. La componente femminile che non conosce nessun programma
informatico - e quindi non ha avuto nessun rapporto con un computer - è molto elevata:
siamo sull’ordine del 68%. Devo dire che è elevata anche per la componente maschile,
dove è pari al 61%. E’ pure alta la percentuale di persone che non conoscono nessuna lingua.
Altri dati interessanti sono quelli riguardanti le qualifiche di iscrizione che nuovamente
confermano una certa tendenza delle donne a qualificarsi in settori amministrativi medio
bassi: il 32% delle persone che hanno dato la disponibilità ha una qualifica ascrivibile alla
categoria delle impiegate esecutive d’ufficio. Questo dato, combinato con i bassi livelli di
scolarità che si riscontrano, denotano il persistere di una certa debolezza dal lato dell’offerta
di lavoro femminile.
Abbiamo rilevato alcuni dati anche per quanto riguarda i cittadini non comunitari. Esiste
una componente femminile nel mercato del lavoro degli stranieri sempre più significativa,
in ragione del fatto che si sta assistendo a dei cambiamenti rispetto alle caratteristiche delle
prime ondate migratorie, dove era decisamente più elevata la componente maschile. La
componente femminile, in questa seconda fase del processo di inserimento nel mercato del
lavoro di lavoratori stranieri, incomincia ad essere consistente, ma presenta, anche in questo
caso, caratteristiche che denunciano elementi di debolezza. Il 41% delle donne è in una
fascia di età che è ultra-trentennale; se aggiungiamo il dato di coloro che hanno tra i 40-
49 anni e oltre i 50, rileviamo che oltre il 60% delle donne non comunitarie ha più di 30 o
40 anni.
Un altro dato significativo riguarda i titoli di studio degli stranieri disoccupati. Pur con tutte
le riserve che occorre esprimere rispetto a questi dati, poiché si fondano su risposte che gli
interessati ci hanno fornito autonomamente e rispetto alle quali potrebbero esserci state
incomprensioni, siamo in presenza senz’altro di informazioni più affidabili di quelle che si
potevano estrapolare dalle vecchie base dati in possesso dei centri per l’impiego, che subivano
un filtro di tipo amministrativo e non registravano i titoli di studio non riconosciuti in
Italia. In questa sede sono stati invece considerati i titoli di studio, a prescindere dalla riconoscibilità
o meno nel nostro ordinamento. Inoltre, le schede erano state preparate nelle
diverse lingue e ci eravamo convenzionati con le associazioni di lavoratori stranieri che
hanno fornito assistenza agli stranieri nella compilazione delle schede. Ciò che emerge,
come era abbastanza facile aspettarsi, è che esiste una altissima e molto preoccupante per-
69

Ida Rossi
centuale di persone con addirittura nessun titolo di studio. Per quanto riguarda le donne,
che, complessivamente manifestano dati qualitativamente migliori rispetto agli uomini, in
questo specifico caso, una quota del 56% risulta non avere addirittura nessun titolo di studio,
mentre un altro 20% solo la scuola dell’obbligo. Insomma siamo intorno al 75-76% di
lavoratrici straniere che hanno qualificazioni bassissime. Conosciamo le connotazioni dell’occupazione
delle donne straniere, che prevalentemente consiste in attività di cura e di
servizi alle persone, quindi il dato forse non stupisce; è però evidente che questo è un elemento
su cui lavorare in una prospettiva di piena integrazione professionale e sociale delle
donne straniere.
Non mi dilungo ulteriormente su questi dati, mi interessava dare qualche flash, e soprattutto
evidenziare come, tenendo più sotto controllo il fenomeno della disoccupazione da
un punto di vista conoscitivo, si possono individuare elementi su cui formulare ipotesi di
lavoro concrete.
Noi ci stiamo attrezzando, sia da un punto di vista delle necessità di monitoraggio del fenomeno,
sia dal punto di vista della capacità di intervento dei servizi. Vorrei indicare a questo
proposito due progetti della Provincia di Torino, in parte già avviati e in parte in corso di
attuazione.
Il primo è quello che ha dato vita ad un Osservatorio provinciale sul mercato del lavoro.
L’osservatorio è nato nel 2001, già da un anno è perciò operante, e ha prodotto alcuni rapporti
su fenomeni specifici. Prossimamente pubblicherà un rapporto complessivo sul mercato
del lavoro, con particolare attenzione alla qualità delle fonti reperibili. D’intesa con la
Consigliera di parità, l’Osservatorio sul mercato del lavoro della Provincia di Torino assumerà
la prospettiva di genere come prospettiva dalla quale osservare i fenomeni del mercato
del lavoro. Mi sembra che i dati che poco prima illustravo evidenziano come è estremamente
importante mantenere questo punto di vista. Questo è sicuramente uno strumento
che ci permetterà di orientare e impostare le azioni di politica del lavoro verso una
direttrice che deve essere quella che va a riequilibrare gli elementi di disparità e di debolezza
che emergono sul mercato del lavoro.
La seconda azione che metteremo in campo a breve consiste nel riprendere un progetto
nato più di un anno fa, che era stato presentato a finanziamento sulla L.125, ora finanziato
dall’Assessorato alle Pari Opportunità della Provincia di Torino. Il progetto si realizzerà a
partire dai primi mesi del prossimo anno e consisterà in un intervento formativo su tutte le
persone che operano nei servizi per l’impiego della provincia, su tutte le operatrici e gli operatori.
Sarà una forte azione di mainstreaming finalizzata sostanzialmente a rafforzare le
competenze delle persone in materia di pari opportunità e rafforzare le loro sensibilità nei
confronti delle problematiche del lavoro femminile, a supporto delle azioni che la consigliera
svolge. All’intervento di questo intervento di sensibilizzazione e formazione di base,
che sarà svolto a tappeto, si affiancherà un ulteriore intervento più specifico, rivolto a delle
figure di referenti della Consigliera di parità che, sempre all’interno di un orientamento di
mainstreaming, rappresenteranno all’interno delle strutture dell’impiego un punto di riferimento
per quanto riguarda le diverse problematiche che possono riguardare l’utenza femminile.
70
Ida Rossi
Sicuramente ci sarà occasione di fare ulteriori riflessioni su quelli che saranno i risultati di
questo progetto, per il quale c’è una forte aspettativa.
Concludo il mio intervento ricordando che, a breve, elaboreremo in maniera compiuta sia
i dati del censimento, sia quelli delle persone che hanno manifestato in altre occasioni la
disponibilità al lavoro, con l’impegno di mettere in particolare evidenza gli aspetti che
attengono alla componente femminile.
71

Giampiero Colore
Giampiero Colore
Direzione Provinciale del Lavoro - Servizio Ispezione del Lavoro
Quale premessa tengo a ringraziare gli organizzatori del convegno in quanto hanno permesso
questa occasione d’incontro e di approfondimento. Molto raramente, infatti, la Direzione
Provinciale del Lavoro di Torino viene invitata a partecipare a tali occasioni di studio.
Vi porto i saluti del Direttore, Dr. Bartolomeo Pirone, oggi assente per improrogabili esigenze
d’Ufficio.
La Direzione Provinciale del Lavoro è l’organo territoriale del Ministero del Lavoro che ha
avuto origine, con il decreto Montecchi, dalla fusione dell’ex Ispettorato del lavoro e dell’ex
Ufficio del lavoro e della massima occupazione: si occupa, in via prevalente, dell’ispezione
del lavoro e della conciliazione dei conflitti di lavoro sia dei lavoratori pubblici che privati.
La Direzione interviene anche nelle politiche di genere, in particolar modo riguardo i progetti
di azioni positive realizzate con i contributi della legge 125/91.
Come materiale a supporto vi ho fornito la Circolare ministeriale n.31/01 del 26 marzo
2001, che avete tutti in cartellina. E’ un’ottima circolare: individua le tematiche giuslavoristiche
di competenza del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con i relativi provvedimenti
sanzionatori.
Il mio intervento voleva esser teso unicamente a presentare tale Circolare, approfondendone
alcuni aspetti specifici ma, sollecitato dalle domande formulate in precedenza, in particolare
dalla sig.ra Dessanaj, preferisco aderire alle richieste formulate e, andando un po’ a
braccio, modifico la scaletta che mi ero prefissato.
La Circolare rappresenta quello che la prof.ssa Luciano definiva come “vittoria”. E’ una circolare
operativa molto puntuale e precisa, rivolta direttamente al Servizio Ispettivo delle
Direzioni Provinciali. Tende a sensibilizzare gli ispettori del lavoro durante il corso della propria
ordinaria attività di verifica nelle aziende, rispetto alle discriminazioni in base al genere.
Leggendola, potrete riscontrate una elencazione di numerose norme. Norme che costituiscono
la predetta “vittoria” citata dalla Professoressa.
Vi preciso che i provvedimenti sanzionatori a carico dei datori di lavoro inadempienti possono
essere di natura amministrativa, penale ed economica.
Questi ultimi, decisamente efficaci, consistono nel non riconoscere benefici finanziari, tributari
o di altra natura a tutti quei soggetti giuridici che non rispettano le normative in
argomento: in termini semplicistici, li potremmo definire ‘la chiusura dei rubinetti ’. Molte
società, infatti, beneficiano a vario titolo, di innumerevoli finanziamenti od agevolazioni, ma
73

Giampiero Colore
nel caso di riconosciuta inapplicazione della normativa in esame l’ispettore del lavoro sarà
tenuto a rapportare il comportamento irregolare all’ente erogante affinché tale agevolazione
venga revocata con il contestuale recupero di quanto eventualmente anticipato.
Con questa Circolare il Ministero del Lavoro attiva una nuova attività di vigilanza che
potremmo definire di controllo delle politiche di welfare, in linea anticipatrice con quanto
in esame al Senato della Repubblica riguardo il disegno di legge del collegato al lavoro della
Finanziaria.
Il disegno di legge, già approvato dalla Camera dei Deputati, cambia sostanzialmente il
futuro degli organi territoriali del Ministero del lavoro.
La normativa attuale, non ancora applicata, prevede che gli Uffici periferici del Ministero
debbano scomparire per essere assorbiti dagli Uffici Territoriali del Governo (già Prefetture).
Dagli atti delibati da una camera del Parlamento, sembra invece che questa fusione non
avverrà più, con la conferma dell’autonomia degli Uffici a cui verranno aggiunte nuove
competenze e restituite alcune istituzioni procedurale quali la diffida. E non solo. Verrà ufficializzato
il ruolo di consulenti istituzionali: ruolo di grande prestigio ma anche di grande
responsabilità. Tra l’altro non nuovo agli ex Ispettorati del lavoro. Nell’ambito della vigilanza
sulle attività formative cofinanziate dal Fondo Sociale Europeo, infatti, una Circolare
ministeriale del 1990, la numero 32, regolamentava il dovere di collaborazione con gli Enti
gestori dei finanziamenti.
Per gli Uffici si è trattato di una vera e propria rivoluzione: l’ispettore del lavoro, abituato ad
emettere solo provvedimenti sanzionatori, difficilmente accettava il nuovo ruolo di consulente,
di accompagnatore, di facilitatore, di preventore.
Culturalmente l’azione ispettiva assumerebbe l’accezione anglosassone di ‘control’ cioè di
governo, di indirizzo.
Se passerà questa impostazione di riforma degli Uffici territoriali del Ministero, si potranno
organizzare verifiche sull’erogazione dei servizi minimi garantiti e forse sulla valutazione dei
risultati raggiunti a fronte di contribuzioni o agevolazioni concesse.
Riguardo la rilevante disponibilità di risorse finanziarie riservate alla realizzazioni di politiche
di genere, è necessario uno sforzo di fantasia enorme, fantasia in senso positivo: progettuale,
d’ideazione. E’ necessario realizzare progetti validi, puntuali che abbiano un’efficacia
reale, evitando, quindi, ipotesi speculative, di autoreferenzialità.
Sarà ulteriormente necessario valutare qualitativamente i risultati raggiunti con l’utilizzo
delle risorse finanziarie concesse: non dovrà essere sufficiente solo una esatta corrispondenza
contabile delle poste economiche interessate.
Un’ulteriore considerazione è l’evitare che nei progetti di genere ci si fermi ad un livello
molto elevato: ad un livello intellettuale, un livello culturalmente preparato ed elevato che
tende però a scendere verso il basso con molta lentezza.
Un suggerimento potrebbe essere quello di sensibilizzare le RSA e/o le RSU sulla disciplina
contrattuale: i contratti di secondo livello hanno una prevalenza fondamentale per la realizzazione
di politiche di genere all’interno dell’organizzazione aziendale, specialmente per
la piccole e medie imprese.
Quando mi riferivo ad uno sforzo di fantasia pensavo, anche, alla legge 53. Recentemente
74
Giampiero Colore
ho analizzato la graduatoria delle aziende ammesse ai benefici disposti dalla norma: non è
risultata presente, né come ammessa né come esclusa, alcuna azienda torinese. Sembra
incredibile che nemmeno una azienda abbia provato a presentare un progetto. Considerato
che con le nuove disposizioni di indirizzo politico i soldi non spesi vengono ritenuti non idonei
a quello strumento e quindi ritirati, le disponibilità finanziarie della predetta legge
avranno vita breve. Se gli operatori privati non sono in grado di pensare ad alcunché vuol
dire che non ne hanno bisogno e che le aziende allocate nella provincia di Torino che non
pensino affatto ad utilizzare queste risorse, sembra incredibilmente strano. Vero è che entrare
nella sfera dell’organizzazione di un’impresa non può non far piacere, ma proprio per
questo diventa fondamentale usare le risorse disponibili per le politiche di genere affinchè
almeno i ceti interni, quali impiegati, operai apprendisti, gli RSU, le RSA possano venire a
conoscenza delle possibilità di questa legge o di tante altre.
Ho concluso, grazie per l’attenzione.
75

CHI SIAMO
Roberto Visetti
Società di fornitura Obiettivo lavoro Scrl
L’OCCUPAZIONE FEMMINILE NEL SETTORE
DELLE AGENZIE DI FORNITURA DI LAVORO TEMPORANEO
Roberto Visetti
Obiettivo Lavoro e' la piu' grande societa' italiana nel settore del lavoro temporaneo. Siamo
nati e ci siamo sviluppati grazie ad un rapporto stretto con i territori e con le forze sociali
ed imprenditoriali. La societa', in forma cooperativa, conta oggi 439 imprese socie, che
rappresentano un panorama economico ricco e distribuito.
Nella compagine societaria di Obiettivo Lavoro sono presenti aziende e cooperative aderenti
a Legacoop, Compagnia delle Opere, Confcooperative, Cna, e strutture di servizio di
Acli, Cisl, Uil, Confesercenti, Cispel
Siamo una impresa dai grandi numeri
Siamo parte dello sviluppo economico del Paese. Vi contribuiamo con risultati importanti:
130.000 lavoratori avviati dal 1998, oltre 9.000 imprese clienti.
Le scelte di qualita' di Obiettivo Lavoro fanno sì che 1 lavoratore su 3 venga assunto stabilmente
appena terminata la missione. Entro i 12-18 mesi successivi, piu' del 70% dei nostri
avviati risulta occupato a tempo indeterminato.
77

Roberto Visetti
REGIONE Piemonte
C_LAV_SESSO F
AVVIATI ANNO
C_CLASSE_ETA_DES 2000 % 2001 % 2002 %
60 - 13 0% 14 0%
Totale complessivo 678 41% 1.291 46% 1.402 47%
REGIONE Piemonte
AVVIATI ANNOAVVIO
ETA' 2000 % 2001 % 2002 %
60 6 0% 25 1% 20 1%
Totale complessivo1.667 100% 2.825 100% 2.970 100%
REGIONE Piemonte
C_LAV_SESSO F
AVVIATI ANNO
C_LAV_STATO_NASC 2000 % 2001 % 2002 %
Albania 1 0,15% 10 0,77% 9 0,64%
Argentina - 0,00% 2 0,15% 6 0,43%
Australia 0,00% 0,00% 2 0,14%
Belgio 0,00% 1 0,08% 0,00%
Bolivia 0,00% 2 0,15% 0,00%
Bosnia 0,00% 0,00% 1 0,07%
Brasile 1 0,15% 0,00% 4 0,29%
Bulgaria 0,00% 1 0,08% 0,00%
C.d'Avorio 1 0,15% 3 0,23% 0,00%
Cambogia 1 0,15% 1 0,08% 0,00%
Camerun 1 0,15% 0,00% 0,00%
Canada 0,00% 9 0,70% 2 0,14%
Ceca Rep. 0,00% 1 0,08% 1 0,07%
Colombia 0,00% 1 0,08% 0,00%
Cuba 0,00% 9 0,70% 11 0,78%
Domenicana 2 0,29% 3 0,23% 8 0,57%
Eritrea 0,00% 1 0,08% 0,00%
Estonia 0,00% 0,00% 2 0,14%
78
Etiopia 1 0,15% 0,00% 0,00%
Finlandia 0,00% 2 0,15% 1 0,07%
Francia 4 0,59% 8 0,62% 2 0,14%
GB 0,00% 0,00% 1 0,07%
Germania 6 0,88% 8 0,62% 4 0,29%
Ghana 2 0,29% 7 0,54% 1 0,07%
Italia 633 93,36% 1.020 79,01% 1.218 86,88%
Iugoslavia 3 0,44% 1 0,08% 0,00%
Libano 0,00% 0,00% 2 0,14%
Liberia 0,00% 1 0,08% 0,00%
Marocco 6 0,88% 57 4,42% 43 3,07%
Messico 0,00% 0,00% 1 0,07%
Moldavia 0,00% 1 0,08% 0,00%
Nigeria 2 0,29% 101 7,82% 48 3,42%
Peru 1 0,15% 1 0,08% 2 0,14%
Polonia 1 0,15% 0,00% 1 0,07%
Portogallo 0,00% 0,00% 1 0,07%
Romania 2 0,29% 14 1,08% 15 1,07%
Russia 0,00% 1 0,08% 2 0,14%
Senegal 0,00% 2 0,15% 1 0,07%
Slovacchia 0,00% 1 0,08% 0,00%
Somalia 0,00% 1 0,08% 1 0,07%
Spagna 2 0,29% 9 0,70% 3 0,21%
Sudafrica 1 0,15% 1 0,08% 2 0,14%
Svizzera 3 0,44% 4 0,31% 2 0,14%
Thailandia 0,00% 0,00% 2 0,14%
Tunisia 0,00% 2 0,15% 0,00%
Ucraina 0,00% 0,00% 1 0,07%
Uganda 0,00% 1 0,08% 0,00%
Ungheria 1 0,15% 0,00% 0,00%
URSS 0,00% 2 0,15% 1 0,07%
Uruguai 0,00% 1 0,08% 1 0,07%
Venezuela 1 0,15% 0,00% 0,00%
Vietnam 1 0,15% 0,00% 0,00%
Zaire 1 0,15% 1 0,08% 0,00%
Totale complessivo 678 100,00% 1.291 100,00% 1.402 100,00%
REGIONE Piemonte
Roberto Visetti
AVVIATI ANNOAVVIO
STATO_NASC 2000 % 2001 % 2002 %
Albania 18 1,08% 67 2,37% 48 1,62%
Algeria 0,00% 8 0,28% 10 0,34%
Argentina 3 0,18% 6 0,21% 20 0,67%
Australia 0,00% 0,00% 2 0,07%
Belgio 1 0,06% 1 0,04% 1 0,03%
Bolivia 0,00% 2 0,07% 0,00%
Bosnia 0,00% 0,00% 1 0,03%
Brasile 1 0,06% 0,00% 5 0,17%
79

Roberto Visetti
Bulgaria 0,00% 1 0,04% 0,00%
C.Avorio 0,00% 1 0,04% 2 0,07%
C.d'Avorio 5 0,30% 9 0,32% 2 0,07%
Cambogia 1 0,06% 1 0,04% 0,00%
Camerun 1 0,06% 0,00% 4 0,13%
Canada 0,00% 9 0,32% 2 0,07%
Ceca Rep. 0,00% 1 0,04% 1 0,03%
Cina 0,00% 6 0,21% 32 1,08%
Colombia 0,00% 1 0,04% 1 0,03%
Croazia 0,00% 0,00% 1 0,03%
Cuba 0,00% 10 0,35% 14 0,47%
Domenicana 5 0,30% 4 0,14% 10 0,34%
Ecuador 2 0,12% 7 0,25% 2 0,07%
Egitto 9 0,54% 2 0,07% 3 0,10%
Eritrea 0,00% 1 0,04% 4 0,13%
Estonia 0,00% 0,00% 2 0,07%
Etiopia 1 0,06% 0,00% 0,00%
Filippine 14 0,84% 0,00% 0,00%
Finlandia 0,00% 2 0,07% 1 0,03%
Francia 6 0,36% 11 0,39% 21 0,71%
GB 0,00% 0,00% 1 0,03%
Germania 10 0,60% 9 0,32% 6 0,20%
Ghana 6 0,36% 9 0,32% 3 0,10%
Giordania 1 0,06% 2 0,07% 0,00%
Guinea 0,00% 0,00% 1 0,03%
India 2 0,12% 1 0,04% 0,00%
Iran 0,00% 3 0,11% 1 0,03%
Iraq 0,00% 0,00% 1 0,03%
Italia 1.336 80,14% 2.086 73,84% 2.395 80,64%
Iugoslavia 4 0,24% 4 0,14% 2 0,07%
Libano 0,00% 0,00% 2 0,07%
Liberia 0,00% 1 0,04% 0,00%
Libia 0,00% 0,00% 2 0,07%
Lussemburg 0,00% 0,00% 1 0,03%
Macedonia 0,00% 1 0,04% 0,00%
Marocco 174 10,44% 300 10,62% 196 6,60%
Messico 0,00% 0,00% 1 0,03%
Moldavia 0,00% 4 0,14% 0,00%
Nigeria 10 0,60% 125 4,42% 56 1,89%
Pakistan 0,00% 2 0,07% 1 0,03%
Peru 2 0,12% 5 0,18% 8 0,27%
Polonia 1 0,06% 0,00% 1 0,03%
Portogallo 0,00% 0,00% 1 0,03%
Romania 14 0,84% 29 1,03% 21 0,71%
Russia 0,00% 2 0,07% 2 0,07%
Senegal 11 0,66% 31 1,10% 47 1,58%
Slovacchia 0,00% 1 0,04% 0,00%
Somalia 2 0,12% 15 0,53% 5 0,17%
Spagna 2 0,12% 11 0,39% 3 0,10%
Sri Lanka 0,00% 0,00% 4 0,13%
80
Sudafrica 1 0,06% 1 0,04% 2 0,07%
Svizzera 3 0,18% 5 0,18% 2 0,07%
Thailandia 0,00% 0,00% 2 0,07%
Tunisia 9 0,54% 21 0,74% 7 0,24%
Ucraina 0,00% 0,00% 1 0,03%
Uganda 0,00% 1 0,04% 0,00%
Ungheria 1 0,06% 0,00% 0,00%
URSS 1 0,06% 2 0,07% 1 0,03%
Uruguai 0,00% 1 0,04% 1 0,03%
USA 0,00% 1 0,04% 1 0,03%
Venezuela 2 0,12% 0,00% 0,00%
Vietnam 1 0,06% 0,00% 0,00%
Zaire 7 0,42% 2 0,07% 3 0,10%
Totale complessivo1.667 100,00% 2.825 100,00% 2.970 100,00%
REGIONE Piemonte
C_LAV_SESSO F
Roberto Visetti
AVVIATI ANNO AVVIO
C_CLI_CCNL 2000 % 2001 % 2002 %
ALIMENTARI ARTIGIANI 1 0,15% 1 0,08% 2 0,14%
ALIMENTARI INDUSTRIA 80 11,80% 206 15,96% 174 12,41%
ALIMENTARI P.M.I. 15 2,21% 158 12,24% 116 8,27%
ALTRI 5 0,74% 4 0,31% 0,00%
ASSICURAZIONI AGENZIE LIB 0,00% 1 0,08% 0,00%
ASSICURAZIONI AMM. E PROD 2 0,29% 1 0,08% 0,00%
AUTOFERROTRANVIERI 0,00% 0,00% 2 0,14%
AUTORIMESSE E NOLEGGIO 0,00% 0,00% 1 0,07%
AUTOSTRADE E TRAFORI 0,00% 3 0,23% 3 0,21%
AZ. MUNICIPALIZ GAS ACQUA 4 0,59% 8 0,62% 0,00%
AZ. PRIVATE NETTEZZA URB. 0,00% 0,00% 1 0,07%
AZ.MUNICIPAL. NETT.URBANA 0,00% 7 0,54% 24 1,71%
CARTAI E CARTOTEC.INDUST. 2 0,29% 1 0,08% 1 0,07%
CARTAI E CARTOTEC.P.M.I. 0,00% 0,00% 3 0,21%
CASE DI CURA PR.NO MEDICO 0,00% 1 0,08% 0,00%
CHIM-GOMMA-PLAST-VETR-ART 0,00% 5 0,39% 7 0,50%
CHIMICA FARMACEUTICA IND. 16 2,36% 19 1,47% 10 0,71%
CONCERIE INDUSTRIA 0,00% 1 0,08% 0,00%
COOPERATIVE DI CONSUMO 4 0,59% 55 4,26% 128 9,13%
COOPERATIVE E CONSORZI AG 0,00% 2 0,15% 2 0,14%
COOPERATIVE SOCIALI 0,00% 36 2,79% 14 1,00%
CREDITO COOPERATIVO 0,00% 0,00% 12 0,86%
CREDITO E FINANZA 0,00% 18 1,39% 11 0,78%
81

Roberto Visetti
EDILIZIA COOPERATIVE 1 0,15% 0,00% 0,00%
EDILIZIA INDUSTRIA 0,00% 2 0,15% 1 0,07%
ENTI LOCALI 101 14,90% 44 3,41% 43 3,07%
ENTI LOCALI AOSTA 11 1,62% 27 2,09% 55 3,92%
ENTI PUBBL.NON ECONOMICI 3 0,44% 1 0,08% 5 0,36%
F.S. 1 0,15% 0,00% 0,00%
F.S.SERVIZI APPALTO 0,00% 0,00% 7 0,50%
FARMACIE MUNICIPALIZZATE 0,00% 1 0,08% 0,00%
FORMAZIONE PROFESSIONALE 2 0,29% 0,00% 1 0,07%
FOTOLABORATORI CONTO TERZ 1 0,15% 5 0,39% 1 0,07%
GOMMA E PLASTICA INDUST. 49 7,23% 78 6,04% 43 3,07%
GOMMA E PLASTICA P.M.I. 4 0,59% 5 0,39% 12 0,86%
GRAFICI EDITORIALI IND. 1 0,15% 4 0,31% 5 0,36%
GRAFICI EDITORIALI P.M.I. 0,00% 1 0,08% 0,00%
IST. SOCIO-ASSIST. UNEBA 6 0,88% 1 0,08% 1 0,07%
LAVANDERIE-TINTORIE AUIL 0,00% 6 0,46% 6 0,43%
LEGNO E ARREDAMENTO ART. 0,00% 4 0,31% 0,00%
LEGNO E ARREDAMENTO IND. 0,00% 3 0,23% 4 0,29%
METALMECCANICA ARTIGIANI 12 1,77% 12 0,93% 30 2,14%
METALMECCANICA INDUSTRIA 181 26,70% 170 13,17% 161 11,48%
METALMECCANICA PMI 4 0,59% 18 1,39% 21 1,50%
MINISTERI 0,00% 18 1,39% 15 1,07%
PANIFICATORI FEDERPANIFIC 2 0,29% 0,00% 2 0,14%
PELLI E CUOIO INDUSTRIA 3 0,44% 0,00% 0,00%
PENNE SPAZZOLE INDUSTRIA 0,00% 1 0,08% 0,00%
PETROLIO INDUSTR. PRIVATA 0,00% 2 0,15% 0,00%
PORTIERI E CUSTODI 2 0,29% 2 0,15% 2 0,14%
POSTE 0,00% 24 1,86% 25 1,78%
PULIZIE ARTIGIANATO 0,00% 0,00% 1 0,07%
PULIZIE INDUSTRIA E P.M.I 6 0,88% 24 1,86% 33 2,35%
RADIO PRIVATE 0,00% 2 0,15% 0,00%
RECAPITI TELEGRAMMI ESPRE 9 1,33% 47 3,64% 0,00%
REGOLAMENTO C.I.S.L. 0,00% 0,00% 10 0,71%
SANITA PERS. NON MEDICO 0,00% 2 0,15% 4 0,29%
SPEDIZ.E TRASP.MERCI . 4 0,59% 5 0,39% 1 0,07%
STUDI PROFES.CIPA-CONSILP 3 0,44% 8 0,62% 26 1,85%
STUDI PROFESS.TECNICI 0,00% 3 0,23% 0,00%
TERZIARIO DISTRIBUZ. SERV 92 13,57% 146 11,31% 225 16,05%
TESSILI ART. CALZ.DISEGNI 0,00% 1 0,08% 0,00%
TESSILI ART.CONFEZ. PELLI 0,00% 0,00% 1 0,07%
TESSILI ART.LAVOR. A MANO 0,00% 0,00% 1 0,07%
TESSILI INDUSTRIA 34 5,01% 32 2,48% 28 2,00%
82
TURISMO ALBERGHI MAGGIORI 3 0,44% 34 2,63% 72 5,14%
TURISMO ALBERGHI MINORI 0,00% 8 0,62% 12 0,86%
TURISMO PUBBL. ESERC. MIN 10 1,47% 17 1,32% 30 2,14%
UNIVERSITA 3 0,44% 0,00% 0,00%
VETRO SETTORE MECCANIZZ. 1 0,15% 6 0,46% 7 0,50%
Totale complessivo 678 100,00% 1.291 100,00% 1.402 100,00%
REGIONE Piemonte
Roberto Visetti
AVVIATI ANNO AVVIO
C_CLI_CCNL 2000 % 2001 % 2002 %
AGRICOLTURA OP.FLOROVIVAI 0,00% 0,00% 1 0,03%
AGRICOLTURA OPERAI 0,00% 0,00% 1 0,03%
ALIMENTARI ARTIGIANI 1 0,06% 1 0,04% 4 0,13%
ALIMENTARI INDUSTRIA 140 8,40% 314 11,12% 297 10,00%
ALIMENTARI P.M.I. 29 1,74% 248 8,78% 158 5,32%
ALTRI 9 0,54% 5 0,18% 0,00%
ASSICURAZIONI AGENZIE LIB 0,00% 1 0,04% 0,00%
ASSICURAZIONI AMM. E PROD 2 0,12% 1 0,04% 0,00%
AUTOFERROTRANVIERI 0,00% 6 0,21% 4 0,13%
AUTORIMESSE E NOLEGGIO 0,00% 0,00% 1 0,03%
AUTOSTRADE E TRAFORI 0,00% 3 0,11% 3 0,10%
AUTOTRASP.E SPEDIZ. ART. 0,00% 0,00% 1 0,03%
AZ. MUNICIPALIZ GAS ACQUA 18 1,08% 17 0,60% 1 0,03%
AZ. PRIVATE NETTEZZA URB. 0,00% 0,00% 8 0,27%
AZ.MUNICIPAL. NETT.URBANA 0,00% 72 2,55% 53 1,78%
CARTAI E CARTOTEC.INDUST. 7 0,42% 7 0,25% 6 0,20%
CARTAI E CARTOTEC.P.M.I. 0,00% 1 0,04% 5 0,17%
CASE DI CURA PR.NO MEDICO 0,00% 1 0,04% 1 0,03%
CEMENTO CALCE GESSO INDUS 0,00% 1 0,04% 7 0,24%
CERAMICA (ASSOPIASTRELLE) 0,00% 3 0,11% 0,00%
CHIM-GOMMA-PLAST-VETR-ART 0,00% 19 0,67% 22 0,74%
CHIMICA FARMACEUTICA IND. 44 2,64% 49 1,73% 24 0,81%
CHIMICA P.M.I. 7 0,42% 0,00% 0,00%
CONCERIE INDUSTRIA 0,00% 9 0,32% 9 0,30%
COOPERATIVE DI CONSUMO 4 0,24% 69 2,44% 170 5,72%
COOPERATIVE E CONSORZI AG 0,00% 5 0,18% 3 0,10%
COOPERATIVE SOCIALI 0,00% 50 1,77% 25 0,84%
CREDITO COOPERATIVO 0,00% 0,00% 27 0,91%
CREDITO E FINANZA 0,00% 24 0,85% 16 0,54%
EDILIZIA COOPERATIVE 1 0,06% 0,00% 0,00%
83

Roberto Visetti
EDILIZIA INDUSTRIA 0,00% 3 0,11% 1 0,03%
ENTI LOCALI 128 7,68% 70 2,48% 51 1,72%
ENTI LOCALI AOSTA 12 0,72% 27 0,96% 62 2,09%
ENTI PUBBL.NON ECONOMICI 3 0,18% 1 0,04% 5 0,17%
F.S. 1 0,06% 2 0,07% 0,00%
F.S.SERVIZI APPALTO 0,00% 0,00% 8 0,27%
FARMACIE MUNICIPALIZZATE 0,00% 1 0,04% 0,00%
FORMAZIONE PROFESSIONALE 2 0,12% 0,00% 1 0,03%
FOTOLABORATORI CONTO TERZ 5 0,30% 20 0,71% 6 0,20%
GOMMA E PLASTICA INDUST. 140 8,40% 231 8,18% 188 6,33%
GOMMA E PLASTICA P.M.I. 16 0,96% 19 0,67% 49 1,65%
GRAFICI EDITORIALI ART. 1 0,06% 0,00% 0,00%
GRAFICI EDITORIALI IND. 1 0,06% 13 0,46% 12 0,40%
GRAFICI EDITORIALI P.M.I. 0,00% 1 0,04% 0,00%
IST. SOCIO-ASSIST. UNEBA 6 0,36% 1 0,04% 1 0,03%
LAPIDEI INDUSTRIA 0,00% 3 0,11% 0,00%
LATERIZI INDUSTRIA 0,00% 0,00% 7 0,24%
LAVANDERIE-TINTORIE AUIL 0,00% 7 0,25% 11 0,37%
LEGNO E ARREDAMENTO ART. 0,00% 7 0,25% 7 0,24%
LEGNO E ARREDAMENTO IND. 5 0,30% 11 0,39% 17 0,57%
LEGNO E ARREDAMENTO P.M.I 0,00% 6 0,21% 0,00%
MAGAZZINI GENERALI 0,00% 0,00% 1 0,03%
METALMECCANICA ARTIGIANI 73 4,38% 67 2,37% 105 3,54%
METALMECCANICA INDUSTRIA 581 34,85% 568 20,11% 668 22,49%
METALMECCANICA PMI 28 1,68% 104 3,68% 140 4,71%
METALMECCANICI COOPERATIV 45 2,70% 37 1,31% 29 0,98%
MINISTERI 0,00% 21 0,74% 18 0,61%
PANIFICATORI FEDERPANIFIC 2 0,12% 17 0,60% 3 0,10%
PELLI E CUOIO INDUSTRIA 19 1,14% 4 0,14% 0,00%
PENNE SPAZZOLE INDUSTRIA 0,00% 1 0,04% 0,00%
PETROLIO INDUSTR. PRIVATA 0,00% 3 0,11% 0,00%
PORTIERI E CUSTODI 2 0,12% 2 0,07% 2 0,07%
POSTE 0,00% 24 0,85% 26 0,88%
PUBBLICI ESERCIZI MAGGIOR 0,00% 1 0,04% 0,00%
PULIZIE ARTIGIANATO 0,00% 0,00% 2 0,07%
PULIZIE INDUSTRIA E P.M.I 23 1,38% 35 1,24% 37 1,25%
RADIO PRIVATE 1 0,06% 2 0,07% 0,00%
RECAPITI TELEGRAMMI ESPRE 11 0,66% 51 1,81% 0,00%
REGOLAMENTO C.I.S.L. 0,00% 0,00% 14 0,47%
SANITA PERS. NON MEDICO 0,00% 2 0,07% 4 0,13%
SPEDIZ.E TRASP.MERCI . 20 1,20% 11 0,39% 6 0,20%
STUDI PROFES.CIPA-CONSILP 3 0,18% 15 0,53% 38 1,28%
84
STUDI PROFESS.TECNICI 0,00% 3 0,11% 1 0,03%
TERZIARIO DISTRIBUZ. SERV 153 9,18% 274 9,70% 332 11,18%
TESSILI ART. CALZ.DISEGNI 0,00% 1 0,04% 0,00%
TESSILI ART.CONFEZ. PELLI 0,00% 1 0,04% 1 0,03%
TESSILI ART.LAVOR. A MANO 0,00% 0,00% 1 0,03%
TESSILI INDUSTRIA 84 5,04% 139 4,92% 97 3,27%
TESSILI P.M.I. 1 0,06% 0,00% 0,00%
TRASPORTO A FUNE 6 0,36% 18 0,64% 8 0,27%
TURISMO ALBERGHI MAGGIORI 15 0,90% 37 1,31% 105 3,54%
TURISMO ALBERGHI MINORI 0,00% 18 0,64% 13 0,44%
TURISMO PUBBL. ESERC. MIN 13 0,78% 20 0,71% 39 1,31%
UNIVERSITA 4 0,24% 0,00% 0,00%
VETRO SETTORE MECCANIZZ. 1 0,06% 20 0,71% 7 0,24%
Totale complessivo1.667 100,00% 2.825 100,00% 2.970 100,00%
REGIONE Piemonte
C_LAV_SESSO F
ANNOAVVIO
Dati 2000 2001 2002
AVVIATI 678 1.291 1.402
Media di DURATAMESI 2,21 1,99 1,95
REGIONE Piemonte
ANNOAVVIO
Dati 2000 2001 2002
AVVIATI 1.667 2.825 2.970
Media di DURATAMESI 1,83 2,08 1,8
Roberto Visetti
EMERGE DALL’ANALISI DEI DATI:
1. l’occupazione femminile è andata crescendo nel settore del lavoro interinale
2. la durata media dei contratto è bassa quindi il lavoratore interinale donna deve avere
grosse capacità di adattabilità, recuperare un senso di identità pur cmabiando spesso
azienda utilizzatrice, fare della precarietà un elemento non soltanto negativo.
3. l’alta percentuale della trasformazione dei contratti a tempo indeterminato, rilevato dal
dato nazionale, dimostra che il lavoro temporaneo è una opportunità interessante per
entrare nel mondo del lavoro e va sfruttata in tal senso.
4. allora molto importante è la formazione sia sulle competenze professionali specifiche che su
quelle trasversali (portiamo qui di seguito l'esperienza del PROGETTO DONNA di Obiettivo
Lavoro di Bologna, in particolare il corso "l'empowerment per lo sviluppo personale".
85

Roberto Visetti
5. è interessante l’analisi delle percentuali sulle nazionalità dei lavoratori donna, da cui
emerge che le donne provenienti da alcuni paesi extracomunitari sono più presenti, più
si adattano alla specificità del lavoro interinale.
6. l’analisi del dato sui settori d’impiego delle donne interinali conferma l’alta percentuale
di assorbimento nel settore pubblico ma evidenzia anche alcuni settori del privato (es. il
settore alimentare, il terziario, il settore tessile oltre al metalmeccanico).
DATI SULL’OCCUPAZIONE FEMMINILE NEL PERSONALE DIRETTO DELL'AGENZIA
Emerge dal dato:
1. un’alta percentuale di impiego di donne nel settore dei servizi tipico dell’agenzia
2. dimostra una più alta capacità di adattamento delle donne al lavoro nelle agenzie di fornitura
di lavoro temporaneo caratterizzare da temi di lavoro rapidi (conseguenza della
durata media bassa dei contratti), forte stress, necessità di orientamento al cliente, problem-solving,
precisione (soprattutto nei ruoli amministrativi), intuizione ( nei ruoli di
selezione e reclutamento).
3. L’età media è bassa
4. Emerge inoltre che le donne ricoprono con più difficoltà ruoli di comando.
IL PROGETTO DONNA - BOLOGNA
E’ un progetto di Obiettivo Lavoro di Bologna. E’ interessante perché oltre a creare delle
competenze professionali specifiche, lavora su aspetti trasversali. Lo sviluppo personale
delle donne (come in generale di ogni lavoratore) negli ambiti dell’autostima, della consapevolezza,
della presa di decisione, della responsabilità sono fondamentali.
L’unione delle competenze professionali con le qualità umane è la chiave per reggere il forte
dinamismo del settore del lavoro interinale, aumenta la capacità di adattabilità a contesti
lavorativi diversi, lavora sull’identità dei lavoratori pur in un contesto dove l’appartenenza
ad una stessa azienda viene meno.
L’empowerment quale strumento di base per la crescita e lo sviluppo personale, sociale, professionale
delle donne. – Bologna 13.09.2002 –
Nonostante i titoli di studio femminili abbiano oramai superato quello degli uomini, i livelli
di disoccupazione e di crescita professionale sono molto inferiori.
Il tutto si manifesta in una situazione di cambiamento sia del mercato del lavoro (processo
di globalizzazione) che dalla condizioni di mercato (scarsità di risorse umane qualificate,
decentramento demografico, spostamento dalle competenze hard alle competenze soft),
che richiede alti livelli di competitività, professionalità e creatività. Il sottoutilizzo e quindi
spreco di risorse è un lusso che nessuna nazione si può permettere.
L’occupazione femminile è così diventata il principale nodo da sciogliere per ottenere quel
cambiamento che permetterà al mondo delle imprese europee di essere in grado di competere
con la concorrenza internazionale.
Lo strumento strategico creato per combattere e superare le discriminazioni di genere per
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Roberto Visetti
l’inserimento e lo sviluppo professionale delle donne, si chiama Gender Maintreaming.
C’è la necessità pertanto di inserire nella formazione di base dei moduli formativi dedicati
a quello che viene definito oggi con un termine inglese oramai universalmente accettato,
“empoweerment”, ossia l’acquisizione da parte delle persone, nel nostro caso donne, di
“strumenti” per la consapevolezza, l’autostima, l’immagine e la sicurezza di sé, necessari a
gestire la propria vita, le proprie scelte personali, sociali e lavorative, per acquisire le altre
competenze per mettersi in gioco, in prima persona.
La Regione Emilia Romagna, sensibile at tutte le problematiche sopra esposte, ha già programmato
l’inserimento delle competenze di genere tra i requisiti richiesti per l’accreditamento
regionale per gli enti di formazione.
L’inserimento di moduli formativi di base per l’empowerment nella formazione per l’occupazione
femminile, costituisce quindi un fattore doppiamente importante di employability:
• Strumento indispensabile e qualificante per l’occupabilità delle donne, piattaforma indispensabile
per l’acquisizione delle competenze trasversali e tecnico-professionali utili a
facilitare l’inserimento lavorativo.
• Strumento di sviluppo professionale per superare l’autoemarginazione e le discriminazioni
di genere nei luoghi di lavoro, attraverso l’acquisizione di sicurezza, autostima, forte
identità personale e consapevolezza di sé.
Inoltre il mondo del lavoro temporaneo, spesso descritto dalla stampa come “precario e on
qualificante”, richiede ancora di più, per attirare la forza lavoro femminile, strumenti che
aiutino la donna a superare le paure, la bassa autostima, e a capire quali sono le opportunità
con questa nuova forma di lavoro, sia per un reale sbocco occupazionale sia per una
crescita professionale qualificata.
Corso di inserimento nelle attività lavorative
Per effetto della legge sui ricongiungimenti familiari (40/98 e successive legislazioni) in Italia
arrivano molte donne immigrate in cerca di lavoro. L’obiettivo principale è sostenere i percorsi
delle donne verso l’inserimento, il raggiungimento dell’autonomia e la realizzazione
del loro progetto di vita. Per favorire il conseguimento di tale obiettivo, si individuano alcune
azioni che possono essere svolte da PROGETTO DONNA.
1) Corsi per la conoscenza della lingua italiana, sostenendo e integrando le iniziative del
territorio.
2) Corsi per assistente a domicilio per l’aiuto alla famiglia, per il lavoro di cura degli anziani
o disabili.
e successivamente
3) Conoscenza delle norme che regolano l’ingresso e il soggiorno con l’individuazione dei
presidi sul territorio di informazione dettagliata.
4) Conoscenza dei servizi e delle procedure relative all’utilizzo dei servizi pubblici e delle
procedure relative al sistema scolastico, sanitario, attività aggregative, culturali, conoscenza
dei diritti e dei doveri.
5) Percorsi personalizzati di ricerca attiva del lavoro, assistenza di base (adb) alle persone
non autosufficienti, inserimento in azienda, promozione e sostegno all’impresa.
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Luisa Pavesio Mosso
Luisa Pavesio Mosso
Presidente nazionale FIDAPA, Federazione Italiana Donne Arti Professionali Affari
Sono presidente nazionale di un’associazione femminile, FIDAPA, Federazione Italiana
Donne Arti Professioni Affari, e parlerò, relativamente all’argomento di questo Convegno,
dal punto di vista dell’associazionismo femminile. Dividerò questo intervento in tre piccoli
ambiti:
1) una fotografia dell’esistente
2) un contributo che la nostra associazione sta dando nel settore lavoro
3) cosa si potrebbe fare.
Le donne soffrono non tanto di disoccupazione, ma di sottooccupazione. Noi sappiamo
che siamo più numerose nei livelli più bassi dell’occupazione che non nei livelli alti, là dove
si domina la situazione e si decidono le politiche del lavoro o dei vari settori della società:
penso alla medicina, alla pediatria. Come medico pediatra mi sono fatta una vasta idea del
potere che potrebbero avere le donne e che invece non hanno. Ormai siamo la maggioranza
nella pediatria, otteniamo buonissimi voti, siamo bravissime nei concorsi e poi comincia
la conciliazione, i problemi della vita reale e noi restiamo indietro.
C’è oggi un forte pericolo di alta disoccupazione delle donne e il fatto che le donne sappiano
utilizzare la mancanza di lavoro per inventarsi nuovo lavoro, ci dà una prova in più
che le donne sono in grado di dare il loro contributo in questo momento difficile per l’occupazione.
Uno dei problemi principali del lavoro femminile è Il doppio e il triplo lavoro a cui le donne
sono sottoposte: sicuramente questo è un punto che è stato sottolineato da tutti i partecipanti
a questo Convegno. Noi in Italia sopportiamo e soffriamo in modo particolare. Dati
statistici che riguardano tutto il territorio nazionale, dimostrano che in una settimana le
donne lavorano con lavoro retribuito in media 19 ore e come lavoro-famiglia raggiungono
46 ore la settimana. Vediamo gli uomini: hanno più o meno un lavoro retribuito che va
dalle 36 alle 40 ore, il lavoro-famiglia è di 9 ore. Non ci siamo.
A tutto questo aggiungiamo, e qui lo sottolineo, come pediatra, la bassa natalità, che è un
problema enorme di cui dovremo farci carico e che di conseguenza interessa sì le donne
ma anche gli uomini.
Come fare. Cominciamo con il contributo che la mia Associazione ha cercato di dare a que-
89

Luisa Pavesio Mosso
sti aspetti. Per prima cosa stiamo cercando di portare avanti con due associazioni di categoria,
la Domina e la Fidaldo, due associazioni che firmano il contratto nazionale per le
COLF, la proposta di poter dedurre dal reddito del datore di lavoro, quello che si versa alle
collaboratrici alla famiglia e alla casa.
E’ giusto che un datore di lavoro versi uno stipendio a terzi e, per quel lavoro, paghi le tasse
su quello stesso stipendio? E se per caso si versano i contributi, quel lavoratore anche se
pagherà forse un po’ meno tasse relativamente al datore di lavoro, ripaga le tasse sullo stesso
stipendio. Siamo di fronte ad una anomalia assoluta, direi incostituzionale, perché uno
stipendio viene tassato due volte, alla fonte e al lavoratore che lo percepisce.
La deducibilità dello stipendio è anche un ottimo sistema per mettere in luce tutto il lavoro
nero che c’è in questo settore e, di conseguenza, ottenere che le persone che lavorano
in settori marginali possano avere una pensione decente e una giusta assicurazione contro
gli infortuni e le malattie. Alla nostra iniziativa possono unirsi altre Associazioni e, in
modo particolare le forze sindacali, in modo da trovare soluzioni operative eque, ai problemi
del mondo del lavoro.
Questa è una prima iniziativa dell’Associazione. Chi desidera collaborare, può utilizzare il
modulo presente nella cartellina del Convegno per raccogliere le firme ed inviarle alla sede
nazionale della FIDAPA. Vi ringraziamo per l’aiuto.
Aumentare, premiare la condivisione dei ruoli. Noi ce lo siamo posto questo problema e ci
siamo stancate di lamentarci. Con le lamentele, l’aggressività verso gli uomini, verso gli altri,
si ottiene poco. In tutti questi anni abbiamo modificato con le proteste la condivisione dei
ruoli da parte dei compagni della nostra vita? Molto poco. Soltanto i giovani hanno saputo
cambiare la loro cultura, il loro atteggiamento mentale al riguardo..
Nella cerimonia delle candele che la nostra Associazione fa ogni anno per riconfermare l’adesione
ai nostri scopi statutari e soprattutto alla Federazione Internazionale che è presente
in 105 paesi del mondo, quest’anno distribuiremo, su segnalazione delle 240 sezioni
della FIDAPA, una pergamena ad un marito eccellentissimo per la condivisione
dei ruoli. E’ una iniziativa che farà sicuramente sorridere, perché sui giornali, nell’articolo
celebrativo della cerimonia delle candele, apparirà che l’avvocato, il funzionario ecc.
“hanno avuto il premio come marito per la condivisione dei ruoli”. Forse riusciremo ad ottenere
con un sorriso quella condivisione dei ruoli che è stata così difficile in questi anni da
raggiungere.
Un altro problema, legato strettamente a quello del lavoro è quello della politica. La FIDA-
PA sta facendo insieme a tante altre forze in Italia, un’azione molto forte, culturale, formativa,
legislativa, per riuscire ad ottenere che più donne siano presenti nei luoghi dove si
governa la cosa pubblica. A Torino, come in 240 sezioni in Italia, la FIDAPA ha organizzato
corsi di formazione politica per le donne. A livello nazionale abbiamo contribuito a raccogliere
le firme per una nuova legge elettorale che preveda il voto di lista, l’alternanza di un
uomo e una donna nella lista e la penalizzazione per i partiti che non seguono questa regola.
La FIDAPA ha anche presentato alcuni articoli da inserire negli Statuti Regionali per realizzare
operativamente la parità elettorale fra uomini e donne.
Per le donne è ormai necessario entrare in gran numero nel Governo del paese a livello loca-
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Luisa Pavesio Mosso
le, regionale, nazionale ed europeo. Questo passaggio è indispensabile per cambiare il
modo di fare politica e di gestire il potere, ma anche per dimostrare che le donne oggi
sono in grado di affrontare e risolvere i problemi della nostra società come quello del
lavoro.
E’ necessario unire le forze, identificare alcuni obiettivi della nostra azione ed utilizzare la
capacità di organizzazione delle nostre figure istituzionali, come le Consigliere di Parità.
Sono necessari “tavoli di concertazione” fra le diverse forze sociali, promossi dalle donne,
fatti non solo di donne e per le donne. Dobbiamo essere consapevoli della nostra storia di
“Pari Opportunità” e dobbiamo saper cambiare per costruire il futuro.
Per essere elette numerose al Governo della cosa pubblica dobbiamo saper parlare a tutti,
donne e uomini e saper proporre soluzioni ai problemi di tutti i cittadini.
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