28.05.2013 Views

download - Carducci

download - Carducci

download - Carducci

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

Dialoghi al Liceo Dante<br />

2


B. BIANCHI - F. BRANDMAYR - R. COSIMI<br />

F. CREAZZO - D. STROPPOLO - M. ZOCCHI<br />

DIALOGHI<br />

AL LICEO DANTE<br />

pagine di cultura e didattica<br />

numero 2<br />

Liceo Ginnasio Statale “Dante Alighieri”<br />

Trieste 2011


Prima edizione: novembre 2011<br />

Tutti i diritti sono riservati a norma di legge<br />

© 2011 Liceo Ginnasio Statale “Dante Alighieri”<br />

via Giustiniano 3 - 34133 Trieste<br />

www.liceodantets.it<br />

pubblicazione realizzata da:<br />

LINT Editoriale srl - Trieste<br />

www.linteditoriale.com<br />

ISBN 978-88-8190-234-7


Indice<br />

Nota introduttiva di Federico Creazzo ..............................<br />

Anestetismi musicali. Breve saggio sull’utilizzo ideologi-<br />

» 7<br />

co della musica (Daniele Stroppolo)................................... » 11<br />

Medioevo: un pregiudizio secolare che perdura nel discorso<br />

comune? Esercizi di decostruzione alla luce delle<br />

scienze sociali (Franz Brandmayr) ....................................<br />

Nessuno è come sembra. Breve saggio sulla lettera-<br />

» 37<br />

tura migrante (Brigitta Bianchi) ......................................... »<br />

Dal sapere letterario al “saper essere”: sviluppare una com-<br />

117<br />

petenza interpretativa (Raffaela Cosimi) .......................... »<br />

Diario di una settimana di scuola diversa dal solito<br />

129<br />

(Marco Zocchi) ..................................................................... » 153<br />

5


Nota introduttiva<br />

di Federico Creazzo<br />

Difficile non è sapere, ma saper far uso di<br />

quel che si sa.<br />

Han Fei Tzu (280-233 a.C.)<br />

A circa un anno di distanza dal primo numero, ecco il secondo<br />

volume dei “Dialoghi al Liceo Dante”, frutto anch’esso della collaborazione<br />

tra i docenti della storica istituzione scolastica triestina.<br />

Vincendo la tradizionale ritrosia ad apparire in vesti diverse da<br />

quelle della quotidiana mediazione didattica, gli autori di queste<br />

pagine propongono ai colleghi, ai genitori e a tutti i lettori interessati<br />

e di buona volontà, le proprie riflessioni sui più diversi aspetti<br />

della formazione culturale e didattica, ciascuno secondo un personale<br />

percorso di ricerca e di approfondimento, spesso legato<br />

agli stimoli – ma anche alle difficoltà – dell’azione didattica svolta<br />

in classe. Si tratta, in alcuni casi, di pagine tratte da un immaginario<br />

diario di bordo, in cui i docenti annotano a futura memoria,<br />

propria e dei colleghi, le piccole o grandi scoperte fatte durante la<br />

non facile navigazione didattica, le strategie ma talvolta anche le<br />

trovate “tattiche” e i paradossi di cui si servono per motivare gli<br />

alunni all’ascolto, per rendere efficace una lezione, interessante<br />

un argomento. Il confronto, il dialogo e la condivisione di tali<br />

esperienze è una pratica decisamente virtuosa in una scuola che<br />

cerca di ridefinire la propria immagine (e funzione) e per evitare<br />

di essere semplicemente al traino di conformistiche e a volte<br />

deprecabili tendenze sociali e di costume, in un’epoca che forse<br />

più di ogni altra sembra aver smarrito i necessari riferimenti valoriali<br />

e culturali. È convinzione di chi scrive che la scuola potrà tornare<br />

7


8<br />

Federico Creazzo<br />

a essere per gli alunni (e cittadini!) un fecondo laboratorio di ricerca<br />

e formazione solo se anche i docenti sapranno più spesso<br />

abbandonare la sicura terraferma delle pratiche consolidate e sempre<br />

più “burocratiche” e accettare l’azzardo del mare aperto della<br />

ricerca e del confronto. 1<br />

Con ciò non si intende svalutare il ruolo svolto dall’esperienza,<br />

ma affermare che essa sarà tanto più efficace se saprà evitare<br />

pratiche ripetitive e demotivanti, se saprà sfuggire al pigro<br />

ripiegamento nella routine.<br />

Questo volume, senza eccessive ambizioni, ma con onesta<br />

convinzione, si muove nella stessa direzione che la maggior parte<br />

dei docenti vorrebbe imprimere alla scuola italiana del futuro:<br />

una scuola decisamente colta per non cadere nella soddisfatta<br />

insipienza del “tempo del mercante”, ma che al tempo stesso<br />

non fa del suo sapere mummia o reliquia del passato. Una scuola<br />

che dà voce al pluralismo degli stili didattici, e valorizza le differenze<br />

come una ricchezza da proporre allo studente, come un<br />

antidoto contro la minaccia di un presente senza spessore.<br />

Il cosiddetto comitato di redazione della rivista costituito dai<br />

docenti “pionieri” di questa esperienza ormai giunta al suo secondo<br />

traguardo, ha a lungo discusso intorno all’opportunità di<br />

caratterizzare la forma editoriale della pubblicazione, e cioè se<br />

si dovesse predeterminare la tipologia e la distribuzione dei contributi<br />

secondo un criterio certo, o se piuttosto la rivista dovesse<br />

rimanere un contenitore neutro e aperto. Alla fine si è optato<br />

per la seconda ipotesi. Ciò ha favorito la più ampia partecipazione<br />

da parte dei colleghi della scuola i quali hanno potuto<br />

proporre con la massima libertà i loro contributi. Per involontaria<br />

alchimia questo secondo numero ha assunto una fisionomia<br />

esattamente complementare al primo. Tanto in quello dominavano<br />

i contributi teorici, quanto in questo prevalgono i saggi di<br />

1 DE LUCA E., Opera sull’acqua e altre poesie, Einaudi, Torino 2002, passim.


Nota introduttiva<br />

carattere didattico. È mia speranza che in futuro i “Dialoghi al<br />

Liceo Dante”, pur mantenendo la forma aperta di cui abbiamo<br />

apprezzato i vantaggi, possano ospitare delle rubriche fisse dedicate<br />

a eventi musicali, teatrali e cinematografici, data la grande<br />

importanza che queste forme espressive hanno assunto nella<br />

paide…a dell’uomo contemporaneo e di cui anche la scuola dovrebbe<br />

tener maggiormente conto. Sarebbe bello, infine, se nei<br />

prossimi numeri comparisse in appendice una sorta di tavola<br />

rotonda (non troppo estemporanea) tra gli autori su uno o più<br />

argomenti trattati nel libro, un modo, insomma, per dare ai temi<br />

quel sapore vivo e dialogico che per Socrate era il contrassegno<br />

autentico della ricerca.<br />

Nell’anno della transizione, che doveva preludere alla creazione<br />

dell’ISIS “<strong>Carducci</strong>-Dante”, il dirigente scolastico Franco De<br />

Marchi e il direttore dei servizi generali amministrativi Lucia<br />

Napolitano, pur oberati da una mole non indifferente di lavoro<br />

aggiuntivo, hanno guardato con grande simpatia a questo nuovo<br />

tentativo di mettere in comune, oltre alla stima reciproca, i rispettivi<br />

interessi, le competenze e le conoscenze. Di questo noi docenti<br />

del “Dante Alighieri” siamo loro grati, come siamo riconoscenti<br />

a tutti i colleghi che ci hanno dimostrato il loro interesse e<br />

a quelli che, per vari motivi, non hanno fatto in tempo a produrre<br />

un loro contributo da aggiungere alla presente pubblicazione.<br />

Auspichiamo che ciò possa avvenire in un prossimo volume,<br />

magari unitamente agli apporti che – sicuramente – giungeranno<br />

dai nuovi colleghi acquisiti in seguito alla fusione con il già Liceo<br />

“Giosuè <strong>Carducci</strong>”.<br />

Buona lettura!<br />

9


Anestetismi musicali. Breve saggio<br />

sull’utilizzo ideologico della musica<br />

di Daniele Stroppolo *<br />

1. Due cugini a confronto<br />

Questo scritto è il prodotto di una riflessione che procede, a<br />

strappi e pause, da molti anni, cioè da quando ero occupato<br />

nella redazione della mia tesi di laurea che intendeva comprendere<br />

in che modo le teorie estetiche e musicologiche di Theodor<br />

Wiesengrund Adorno avessero influenzato la produzione<br />

musicale italiana. A margine di quel lungo lavoro di catalogazione<br />

di articoli, interviste e biografie di musicisti e critici italiani, si<br />

è radicata in me l’idea che le riflessioni di quel pensatore intimamente<br />

legato agli strumenti d’indagine del reale tipici del marxismo,<br />

ormai così demodé, fossero tutt’altro che obsolete e che anzi<br />

il suo approccio ai prodotti musicali di consumo fosse terribilmente<br />

attuale; così ho approfittato dell’occasione di questo secondo<br />

numero dei “Dialoghi” per sfogliare nuovamente un paio<br />

di quei saggi e per redigere uno scritto più o meno ordinato<br />

sull’argomento. L’intento è quello di provare a osservare il grande<br />

insieme della produzione musicale odierna e della sua fruizione<br />

con uno sguardo influenzato dall’approccio critico che Adorno<br />

aveva applicato alla sua realtà sin dalla pubblicazione del fonda-<br />

* Docente di italiano e latino.<br />

11


12<br />

Daniele Stroppolo<br />

mentale saggio Il carattere di feticcio in musica e il regresso dell’ascolto 1 ,<br />

pubblicato nel 1938.<br />

Il testo adorniano viene redatto in risposta allo scritto del<br />

suo cugino e collega di studi Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca<br />

della sua riproducibilità tecnica, 2 nel quale il filosofo tedesco<br />

propone una riflessione sul cambio di qualità della fruizione<br />

artistica dovuto al diffondersi di alcune tecnologie industriali<br />

applicabili all’arte stessa. Benjamin delinea un fenomeno estetico<br />

che egli definisce «perdita dell’aura»: l’opera d’arte, grazie<br />

alle possibilità tecnologiche della fedele riproduzione seriale è<br />

destinata a emanciparsi dal proprio elemento sacrale, strettamente<br />

vincolato alla sua unicità:<br />

Le opere d’arte più antiche sono nate, com’è noto, al servizio di<br />

un rituale, dapprima magico, poi religioso. Ora, riveste un significato<br />

decisivo il fatto che questo modo di esistenza, avvolto da<br />

un’aura particolare, non possa mai staccarsi dalla sua funzione<br />

rituale. In altre parole: il valore unico dell’opera d’arte autentica<br />

trova una sua fondazione nel rituale, nell’ambito del quale ha<br />

avuto il suo primo e originario valore d’uso. Questo fondarsi,<br />

per mediato che sia, è riconoscibile, nella forma di un rituale<br />

secolarizzato, anche nelle forme più profane della bellezza. [...]<br />

La riproducibilità tecnica dell’opera d’arte emancipa per la prima<br />

volta nella storia del mondo quest’ultima dalla sua esistenza<br />

parassitaria nell’ambito del rituale. L’opera d’arte riprodotta di-<br />

1 ADORNO TH. W., Über den Fetischcharakter in der Musik und die Regression des<br />

Hörens, in “Zeitschrift für Sozialforschung”, Paris 1938. Tale rivista era emanazione<br />

dell’Institut für Sozialforschung di Francoforte. Il testo del saggio fu poi<br />

ripubblicato nel volume Dissonanzen. Musik in der verwalteten Welt, Göttingen<br />

1956; trad. it. Dissonanze, Feltrinelli, Milano 1959.<br />

2 BENJAMIN W., Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit, in<br />

“Zeitschrift für Sozialforschung”, Paris 1936, poi in Das Kunstwerk im Zeitalter<br />

seiner technischen Reproduzierbarkeit, Frankfurt am Main 1955; trad. it. L’opera<br />

d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino 1966.


Anestetismi musicali<br />

venta in misura sempre maggiore la riproduzione di un’opera<br />

d’arte predisposta alla sua riproducibilità. 3<br />

Secondo Benjamin, tale fatto implica una trasformazione dei<br />

parametri estetici tout court paragonabile a quella avvenuta in<br />

ambito letterario con l’invenzione della stampa:<br />

Gli enormi mutamenti che la stampa, cioè la riproducibilità tecnica<br />

della scrittura, ha suscitato nella letteratura sono noti. Ma<br />

essi costituiscono soltanto un caso, benché certo particolarmente<br />

importante, del fenomeno che qui viene considerato sulla scala<br />

della storia mondiale. 4<br />

Infatti, a suo modo di vedere, la riproducibilità tecnica consente<br />

di creare un rapporto totalmente diverso tra opera e fruitore:<br />

Mentre l’autentico mantiene la sua piena autorità di fronte alla riproduzione<br />

manuale, che di regola viene da esso bollata come un falso,<br />

ciò non accade nel caso della riproduzione tecnica. Essa può, per<br />

esempio mediante la fotografia, rilevare aspetti dell’originale che sono<br />

accessibili soltanto all’obiettivo, che è spostabile e in grado di scegliere<br />

a piacimento il suo punto di vista, ma non all’occhio umano,<br />

oppure, con l’aiuto di certi procedimenti, come l’ingrandimento o la<br />

ripresa al rallentatore, può cogliere immagini che si sottraggono interamente<br />

all’ottica naturale. È questo il primo punto. Essa può inoltre<br />

introdurre la riproduzione dell’originale in situazioni che all’originale<br />

stesso non sono accessibili. In particolare, gli permette di andare<br />

incontro al fruitore, nella forma della fotografia oppure del<br />

disco. La cattedrale abbandona la sua ubicazione per essere accolta<br />

nello studio di un amatore d’arte; il coro che è stato eseguito in un<br />

auditorio oppure all’aria aperta può venir ascoltato in una camera. 5<br />

3 BENJAMIN W., L’opera d’arte, cit., pp. 24-25.<br />

4 Ivi, p. 20.<br />

5 Ivi, pp. 22-23.<br />

13


14<br />

Daniele Stroppolo<br />

Ecco quindi che si delineano due fondamentali questioni circa<br />

le possibilità di fruizione dell’opera d’arte attraverso le sue riproduzioni:<br />

innanzitutto è da considerare che l’indagine analitica<br />

su un’opera può rendersi più approfondita grazie agli strumenti<br />

tecnologici che permettono non solo di crearne copie<br />

fedeli, ma anche di decifrarne particolari altrimenti difficilmente<br />

percepibili. Secondariamente, l’opera perde parte della sua<br />

unicità “andando incontro” al fruitore attraverso le proprie fedeli<br />

riproduzioni. È la «perdita dell’aura»:<br />

L’autenticità di una cosa è la quintessenza di tutto ciò che, fin<br />

dall’origine di essa, può venir tramandato, dalla sua durata materiale<br />

alla sua virtù di testimonianza storica. Poiché quest’ultima è<br />

fondata sulla prima, nella riproduzione, in cui la prima è sottratta<br />

all’uomo, vacilla anche la seconda, la virtù di testimonianza della<br />

cosa. Certo, non soltanto questa; ma ciò che così prende a vacillare<br />

è l’autorità della cosa. Ciò che vien meno è insomma quanto<br />

può essere riassunto con la nozione di “aura”; e si può dire: ciò<br />

che vien meno nell’epoca della riproducibilità tecnica è l’“aura”<br />

dell’opera d’arte. Il processo è sintomatico; il suo significato rimanda<br />

al di là dell’ambito artistico. La tecnica della riproduzione,<br />

così si potrebbe formulare la cosa, sottrae il riprodotto all’ambito<br />

della tradizione. Moltiplicando la riproduzione, essa pone<br />

al posto di un evento unico una serie quantitativa di eventi. E<br />

permettendo alla riproduzione di venire incontro a colui che ne<br />

fruisce nella sua particolare situazione, attualizza il prodotto. 6<br />

Tale perdita si configura quindi come un’emancipazione dell’arte<br />

dal senso sacrale che ha sempre accompagnato ciascuna<br />

opera proprio in virtù delle sue autenticità e unicità; la sottrae alla<br />

sua «esistenza parassitaria nell’ambito rituale» 7 inducendo il pub-<br />

6 Ivi, p. 23.<br />

7 Ivi, p. 27.


Anestetismi musicali<br />

blico a fruirne attraverso la distrazione, intesa sia come svago o<br />

divertissement, sia come percezione distratta, scarsamente concentrata:<br />

la riproduzione di un’opera non richiede quel rispetto che è<br />

invece indotto dalla veneranda autorità dell’originale.<br />

Benjamin intende leggere tali dinamiche in un’ottica ottimistica:<br />

il grande pubblico, soprattutto attraverso quelle forme d’arte<br />

nate già nell’alveo della riproducibilità e grazie a essa stessa<br />

(la fotografia e ancor più il cinema), tramite una fruizione epidermica<br />

e fors’anche distratta, ma emotivamente partecipata delle<br />

opere, avrà modo di sviluppare un atteggiamento valutativo che<br />

mobiliterà le coscienze delle masse.<br />

Adorno, invece, nel suo saggio ribalta tale assunto e intende<br />

dimostrare che la riproducibilità tecnica, se non altro in ambito<br />

musicale, ha prodotto risultati devastanti sul piano della capacità<br />

critica del pubblico, al punto da rendere del tutto privi di<br />

significato i tradizionali criteri di gusto: l’arte, nell’epoca della<br />

società di massa, non può più sottostare a criteri meramente<br />

estetici, ma deve invece rispondere a esigenze etiche; è necessario<br />

quindi che la categoria del giusto sostituisca quella del piacevole.<br />

Questo in virtù del fatto che il soggetto moderno non è<br />

più in grado di stabilire che cosa gli piaccia e che cosa non gli<br />

piaccia, e il piacere che egli trae dalla musica risiede nel solo<br />

fatto di riconoscere strutture o motivi già noti o equivalenti a<br />

quelli noti. In un mondo in cui l’offerta è standardizzata, il criterio<br />

della preferenza diviene arbitrario. Il senso critico è ottuso<br />

dalla continua stimolazione attraverso composizioni superficialmente<br />

piacevoli, ma incapaci di fornire un’autentica attrattiva<br />

musicale rispettosa di criteri significativi; oppure dalla riproduzione<br />

di brani, di estratti da opere di ampio respiro che vengono<br />

ridotti a orecchiabili e insignificanti frammenti:<br />

Il piacere dell’attimo e quello della facciata variopinta diventano<br />

un pretesto per sgravare l’ascoltatore dal pensiero del tutto,<br />

sempre presente e necessario in un ascolto esatto, e l’ascoltato-<br />

15


16<br />

Daniele Stroppolo<br />

re viene mutato in compratore convinto sulla linea della minima<br />

opposizione. I momenti parziali non hanno più una funzione<br />

critica di fronte a un tutto preordinato, ma sospendono la<br />

critica che la vera totalità estetica esercita nei confronti della<br />

totalità incrinata della società. Viene insomma sacrificata loro<br />

l’unità sintetica, ed essi non ne producono più una che sostituisca<br />

quella reificata, ma si mostrano condiscendenti proprio<br />

verso questa. I momenti isolati di fascino sensoriale si dimostrano<br />

inconciliabili con la costituzione immanente dell’opera<br />

d’arte e sacrificano ciò che innalza l’opera d’arte a conoscenza<br />

vincolante: essi non sono cattivi di per se stessi ma per la loro<br />

funzione smorzatrice. Servi del successo, si spogliano di quel<br />

tratto di insubordinazione loro inerente, e si vincolano alla connivenza<br />

con tutto ciò che l’attimo isolato è in grado di offrire a<br />

un individuo che è a sua volta isolato e da tempo non è nemmeno<br />

più un individuo. Nell’isolamento gli stimoli si ottundono<br />

e producono clichés tratti dal patrimonio corrente. 8<br />

La musica leggera e quella colta, quella definita comunemente<br />

“classica”, finiscono quindi per assumere la stessa alienante funzione<br />

di intrattenimento meramente epidermico. Ciò non solo<br />

per il fatto che tale fruizione è connaturata nella musica leggera e<br />

può facilmente essere applicata anche all’ascolto di arie famose o<br />

estratti celebri da opere più strutturate, ma soprattutto perché<br />

l’ascoltare, opportunamente addestrato dalla radio, anche all’ascolto<br />

di una composizione completa, non è in grado di mettere in<br />

funzione gli strumenti critici necessari per decodificare l’opera<br />

nella sua interezza. L’ampio respiro di ogni sinfonia, di ogni opera<br />

lirica finisce per ridursi ad una serie spezzata di brevi spasmi<br />

più o meno orecchiabili, e quindi più o meno piacevoli.<br />

Rimane estranea a tale meccanismo la musica colta moderna,<br />

quella che oggi noi definiremmo d’avanguardia, la quale ha<br />

scientemente rinunciato a ogni traccia di eufonia, di piacevolez-<br />

8 ADORNO TH. W., Dissonanze, cit., p. 13.


Anestetismi musicali<br />

za, in nome dello smascheramento della realtà, in nome della<br />

riproduzione in suono dell’alienazione dell’io nella società moderna.<br />

Tale fatto, però, non le permette di penetrare con efficacia<br />

nell’orecchio ormai deteriorato dell’ascoltatore:<br />

L’unità delle due sfere della musica è l’unità della contraddizione<br />

insoluta. Il loro rapporto non va inteso nel senso che la musica<br />

inferiore costituisca una sorta di propedeutica popolare per quella<br />

superiore, o che quest’ultima possa riacquistare dalla prima la forza<br />

collettiva ormai perduta; il tutto non può essere ricostituito addizionando<br />

semplicemente le due metà separate con violenza, ma<br />

in ciascuna di esse compaiono, sia pure in prospettiva, le modificazioni<br />

dell’insieme, che si muove esclusivamente entro la contraddizione.<br />

Nel momento in cui la fuga dal banale si fa definitiva e in<br />

cui la smerciabilità della produzione seria, a causa delle sue esigenze<br />

reali, si riduce a nulla, nel campo della musica inferiore la standardizzazione<br />

del successo fa sì che non sia più possibile un successo<br />

alla vecchia maniera, ma solo la totale connivenza. Tra incomprensibilità<br />

ed inevitabilità non esiste un terzo anello: lo stato<br />

delle cose si è polarizzato agli estremi che ormai realmente si toccano.<br />

Tra questi due poli non c’è posto per l’“individuo”, le cui<br />

esigenze, ammettendo che ancora ne abbia, sono solo apparenti,<br />

cioè ricalcate sugli standard stessi: la liquidazione dell’individuo è<br />

il vero suggello del nuovo stadio della musica. 9<br />

La produzione disinteressata, colta, non commerciale produce<br />

quindi l’incomprensibile, l’imponderabile nel quale l’ascoltatore<br />

moderno non è in grado di entrare. D’altra parte non ha<br />

neppure alcun interesse nel tentare di farlo, dal momento che i<br />

suoi gusti sono stati debitamente appianati sullo standard dal<br />

lavorio dell’offerta musicale di consumo. L’ascoltatore non è<br />

più un individuo con i suoi gusti personali, ma un cliente che si<br />

muove tra prodotti preconfezionati e che si illude di avere liber-<br />

9 Ivi, p. 17.<br />

17


18<br />

Daniele Stroppolo<br />

tà di scelta, mentre non può far altro che aderire alle imposizioni<br />

della grande industria scegliendo esclusivamente entro i confini<br />

di ciò che essa offre.<br />

A fronte di questo ascolto sordo si sviluppa nell’ascoltatore<br />

un tipo di fruizione musicale alienato e feticistico che investe<br />

ogni ambito della produzione musicale: l’adorazione delle star,<br />

siano esse cantanti di musica leggera o maestri d’orchestra, il<br />

rispetto imbalsamato e fiacco per le grandi composizioni classiche,<br />

il culto del suono di uno Stradivari, il collezionismo di dischi,<br />

l’adorazione per cantanti d’opera dalla voce particolarmente<br />

brillante (indipendentemente dalla qualità dell’interpretazione)<br />

e così via. Tutto ciò che dovrebbe essere periferico diviene centrale,<br />

in quanto facilmente mercificabile e vendibile. La sostanza<br />

musicale, invece, rimane estranea, neppure sfiorata, oppure<br />

banalizzata attraverso una percezione inefficace.<br />

D’altra parte in una situazione così compromessa, anche l’intenditore,<br />

l’esperto, il musicologo e persino l’esecutore filologico<br />

finiscono per contribuire al compimento di questa enorme<br />

degradazione dell’ascolto:<br />

Il feticismo coinvolge anche l’attività musicale che vorrebbe essere<br />

seria e che mobilita contro la musica leggera elevata il pathos<br />

della distanza. La purezza e la fedeltà con cui essa presenta<br />

le opere si dimostra spesso altrettanto ostile alla causa quanto la<br />

depravazione dell’arrangiamento, 10 e l’ideale ufficiale delle esecuzioni<br />

musicali, diffusosi in tutto il mondo in seguito alla straordinaria<br />

opera di Toscanini, è un nuovo ausilio a sanzionare e<br />

convalidare uno stato di cose che, con le parole di Eduard Steuermann,<br />

può ben essere detto «barbarie della perfezione». È vero<br />

10 Adorno si riferisce qui al fatto, enucleato nei precedenti paragrafi del suo<br />

scritto, che molto spesso i mezzi espressivi della musica colta vengono raccolti<br />

e banalizzati negli arrangiamenti della musica leggera, divenendo così<br />

strumenti volti ad un’enfasi precalcolata e falsa.


Anestetismi musicali<br />

che qui non vengono più trasformati in feticcio i pochi nomi<br />

delle opere più famose, anche se quelle meno famose che trovano<br />

posto nei programmi farebbero desiderare una simile delimitazione;<br />

è vero che qui non vengono più sbandierate ai quattro<br />

venti le «idee musicali», che i grandi crescendi dinamici non hanno<br />

lo scopo di provocare una determinata fascinazione, e che vi<br />

domina una disciplina ferrea: ma è appunto una disciplina ferrea.<br />

Il nuovo feticcio è l’apparato in sé, che funziona con perfezione<br />

e risplende come metallo, nel quale tutte le rotelline combaciano<br />

con tale regolarità che non resta più nemmeno uno spiraglio<br />

per il vero senso dell’insieme. L’esecuzione musicale oggi impostasi,<br />

perfetta e senza macchia, conserva l’opera al prezzo di reificarla<br />

definitivamente. [...] Nel momento stesso in cui un’opera viene<br />

fissata a scopo di conservazione, essa soccombe proprio a questo<br />

processo di fissazione. L’estremo feticismo che afferra la cosa<br />

la soffoca, e l’assoluta fedeltà all’opera smentisce l’opera stessa e la<br />

fa scomparire con indifferenza dietro l’apparato. 11<br />

L’opera, fissata nella propria immagine perfetta, nella dinamica<br />

studiata minuziosamente, risuona come un blocco statico<br />

e già dato, bene culturale privo di vitalità.<br />

Al feticismo del mezzo, di qualsiasi mezzo, corrisponde un<br />

regresso dell’ascolto. Il regresso non si attua a confronto di una<br />

precedente situazione dello stesso individuo, né sarebbe possibile<br />

parlare di una decadenza del livello complessivo, dal momento<br />

che la situazione moderna di massificazione non è paragonabile<br />

alle epoche precedenti. Il regresso dell’ascolto si compie invece<br />

nel senso che il consumatore di musica ha una capacità di fruizione<br />

simile a quella di un individuo regredito, bloccato coercitivamente<br />

allo stadio infantile. L’assimilazione acritica di prodotti privi<br />

di significato e ridotti a slogan atomizzati in brevissime dimensioni<br />

ne è il sintomo più evidente. Si consuma un’adesione al prodotto<br />

al fine di sentirlo proprio nonostante la sua estraneità, men-<br />

11 Ivi, pp. 29-30.<br />

19


20<br />

Daniele Stroppolo<br />

tre il meccanismo di immedesimazione con il divo popolare, irraggiungibile<br />

e al tempo stesso sempre vicino grazie alla sua onnipresente<br />

visibilità, allevia ogni senso di frustrazione nei confronti<br />

della propria impotenza sul mondo.<br />

Il modo di ascolto imposto dal prodotto, al tempo stesso<br />

promosso per una sua maggiore efficacia e necessario per la<br />

sua riuscita, è quello della deconcentrazione. Pochi particolari,<br />

evidenziati a proposito, distinguono brani estremamente<br />

simili gli uni agli altri e sempre uguali a se stessi, al punto che<br />

un ascolto concentrato risulterebbe insopportabile. L’ascolto<br />

atomizzato, che frammenta la musica superiore degradandola<br />

ai suoi singoli elementi, è invece l’unico possibile nella musica<br />

leggera, che è già frammentata in sé. L’aspetto che maggiormente<br />

colpisce l’ascoltatore alienato, incapace di cogliere l’essenza<br />

musicale, è quello del timbro, sintesi perfetta del feticcio<br />

del materiale, in questo caso lo strumento, e della ricezione<br />

facile, assimilabile a quella di un infante che predilige gli<br />

oggetti particolarmente colorati.<br />

Al piacere effimero dell’ascolto atomizzato corrisponde un<br />

immediato senso di nausea, riscontrabile nel fatto che l’ascoltatore<br />

di musica leggera necessita continuamente di nuovi brani<br />

in grado di fornirgli stimoli rinnovati, ma al tempo stesso sempre<br />

uguali a quelli precedenti. Vi è anzi un odio, un’ostilità marcatissima<br />

nei confronti di ogni novità sostanziale, che non può<br />

essere tollerata in alcun modo. Addirittura spesso si ricorre a<br />

citazioni di brani già noti affinché la novità possa risultare tale<br />

senza richiedere alcuno sforzo.<br />

Adorno chiude il proprio saggio con alcune considerazioni<br />

dedicate all’autentica nuova musica, all’avanguardia e in particolare<br />

alla scuola di Vienna che aveva ideato la tecnica di composizione<br />

dodecafonica. La produzione musicale di Schönberg o<br />

Webern risulta insopportabile al pubblico alienato non perché sia<br />

incomprensibile, ma al contrario perché esprime in maniera fin<br />

troppo diretta l’angoscia e lo spavento per una situazione cata-


Anestetismi musicali<br />

strofica alla quale l’individuo integrato si può sottrarre esclusivamente<br />

regredendo. La musica di tali autori, definita dalla critica<br />

conservatrice “individualistica”, è in realtà in rapporto dialettico<br />

con le forze oggettive atte alla distruzione dell’individuo.<br />

2. A complemento: On Popular Music<br />

Gli studi di Theodor Adorno sulla musica di consumo proseguono<br />

in un altro breve saggio, pubblicato per la prima volta<br />

negli Stati Uniti nel 1941: Sulla popular music. 12 In questo nuovo<br />

scritto vengono approfonditi alcuni aspetti specifici, più strettamente<br />

musicologici, che riguardano la struttura stessa della canzone<br />

commerciale. In particolare Adorno si sofferma sulle differenze<br />

che si evidenziano nel rapporto tra il particolare e la<br />

totalità del brano nella musica di consumo rispetto a quella colta,<br />

che egli preferisce chiamare “seria”:<br />

Nella buona musica seria in generale – non siamo interessati qui<br />

alla musica seria cattiva, che può essere rigida e meccanica come<br />

la popular music – il dettaglio contiene virtualmente il tutto e porta<br />

all’esposizione del tutto, mentre, allo stesso tempo, esso è generato<br />

dalla concezione dell’insieme. Nella musica popular la relazione<br />

è invece accidentale. Il dettaglio non ha influenza su una<br />

qualche totalità, che si presenta qui come uno schema generale<br />

ad esso estraneo. Così, il tutto non è mai modificato dall’evento<br />

singolo e perciò rimane, per così dire, lontano, imperturbabile,<br />

inosservato per tutto il pezzo. Al contempo, il dettaglio è mutilato<br />

da un meccanismo che non può mai influenzare e modificare,<br />

cosicché esso resta privo di conseguenze. Un dettaglio musicale<br />

12 On Popular Music, in “Studies in Philosophy and Social Science”, vol. 9,<br />

New York 1941; trad. it. Sulla popular music, a cura di Marco Santoro, Armando,<br />

Roma 2004.<br />

21


22<br />

Daniele Stroppolo<br />

cui non è permesso di svilupparsi diventa una caricatura delle<br />

sue stesse potenzialità. 13<br />

Secondo Adorno, quindi, ciò che nella musica colta è funzionale<br />

e consequenziale, nella musica di consumo diventa aleatorio<br />

e arbitrario. Nei richiami tra macrostruttura e microstruttura<br />

musicale si racchiude, secondo Adorno, lo spessore artistico<br />

di un brano. La sua configurazione complessiva deve dialogare<br />

con le sue melodie, con le sue scelte armoniche, con l’arrangiamento,<br />

con la dinamica. Tutto ciò, a suo modo di vedere,<br />

viene annullato nella musica di consumo, che si struttura secondo<br />

forme standardizzate e rigide, riconoscibili anche nel momento<br />

in cui vi vengano applicate in modo posticcio forme<br />

estrinseche di complessità, con precise ricadute sulla sua percezione<br />

da parte del fruitore e di conseguenza sul significato che<br />

la musica assume:<br />

L’ascolto della musica popular è consapevolmente trasformato, non<br />

solo dai suoi promotori ma per così dire dalla natura intrinseca di<br />

questa musica, in un sistema di meccanismi reattivi totalmente<br />

antagonistici all’ideale di individualità in una società libera e liberale.<br />

Questo non ha nulla a che vedere con la semplicità e la complessità.<br />

Nella musica seria, ogni elemento musicale, anche il più<br />

semplice, è proprio “lui”, e più l’opera è altamente organizzata,<br />

meno possibilità vi sono di sostituzione dei singoli dettagli. Nella<br />

musica di successo commerciale, invece, la struttura sottostante al<br />

pezzo è astratta, esistendo indipendentemente dallo specifico sviluppo<br />

musicale. [...] L’orecchio tratta le difficoltà della musica di<br />

successo facendo sostituzioni minime derivate dalla conoscenza<br />

dei modelli. L’ascoltatore, quando è alle prese con il complicato,<br />

ode in realtà solo il semplice che esso rappresenta e percepisce il<br />

complicato solo come una distorsione parodistica del semplice. 14<br />

13 ADORNO TH. W., Sulla popular music, cit., p. 73.<br />

14 Ivi, p. 75.


Anestetismi musicali<br />

Così la musica di consumo si configura come il frutto di una<br />

tensione duale: da una parte strutture conosciute e rassicuranti<br />

con la loro costante presenza, strutture che il fruitore finisce<br />

per ritenere connaturate alla musica in sé; dall’altra una serie di<br />

variazioni di superficie che creano l’illusione del nuovo e che<br />

danno all’ascoltatore/cliente l’idea di poter scegliere liberamente<br />

tra brani/prodotto diversi tra loro, ma che in realtà sono intimamente<br />

identici.<br />

In condizioni così degradate d’ascolto, il successo di un brano<br />

rispetto a un altro dipende soprattutto dal suo plugging, ovvero<br />

da quanto esso sia “spinto” attraverso i media: il suo riconoscimento<br />

indotto diviene lo strumento principe per decretarne<br />

ascolto, gradimento e vendita. Naturalmente, aggiunge Adorno,<br />

anche nella musica seria il riconoscimento è un passaggio<br />

fondamentale per la fruizione della musica: il riconoscimento di<br />

determinati temi e di certe strutture permette di individuare le<br />

connessioni delle singole parti di una composizione con il tutto,<br />

e della composizione con il suo genere d’appartenenza, con il<br />

suo contesto di produzione e così via. Insomma, il riconoscimento<br />

è presupposto per la comprensione, al fine di far emergere<br />

il nuovo, la novità intrinseca al brano. Nella musica di consumo,<br />

invece, riconoscimento e comprensione coincidono, perché<br />

la profonda novità è bandita, e accolte sono invece esclusivamente<br />

quelle modulazioni che permettono di confermare<br />

strutture già note. In questo modo viene promosso e rafforzato<br />

un tipo di ascolto distratto e disattento, che diviene anche l’unico<br />

possibile per riuscire ad accettare la monotonia della popular<br />

music senza incorrere nel tedio. Tale fatto implica precise ricadute<br />

sociali tutt’altro che innocue:<br />

Nella nostra società attuale le masse sono intrise dello stesso<br />

modo di produzione nascosto dietro il materiale manufatto che<br />

viene loro rifilato. I clienti dell’intrattenimento musicale sono<br />

essi stessi oggetti o, in effetti, prodotti dello stesso meccanismo<br />

23


24<br />

Daniele Stroppolo<br />

che determina la produzione della popular music. Il loro tempo<br />

libero serve solo a riprodurre la loro capacità lavorativa. È un<br />

mezzo invece che un fine. Il potere del processo di produzione si<br />

estende sugli intervalli di tempo che in superficie appaiono essere<br />

“liberi”. Essi vogliono beni standardizzati e pseudo-individualizzazione,<br />

perché il loro riposo è una fuga dal lavoro e allo stesso<br />

tempo è plasmato da quegli atteggiamenti psicologici ai quali<br />

il loro mondo quotidiano del lavoro li abitua in modo esclusivo.<br />

[...] Essi cercano il nuovo, ma la tensione e la noia associate al<br />

lavoro reale induce ad evitare qualunque sforzo in quel tempo<br />

libero che offre l’unica possibilità per esperienze realmente nuove.<br />

Come surrogato, essi chiedono insistentemente qualcosa di<br />

stimolante. La popular music viene ad offrirlo. Le sue stimolazioni<br />

si incontrano con l’incapacità di fare qualche sforzo nel sempreidentico.<br />

Questo significa ancora noia. È un cerchio che rende<br />

impossibile la fuga. L’impossibilità della fuga produce il diffuso<br />

atteggiamento di disattenzione verso la popular music. Il momento<br />

del riconoscimento è quello di una sensazione senza fatica. La<br />

subitanea attenzione associata a questo momento si brucia all’istante<br />

e relega l’ascoltatore in un regno di disattenzione e distrazione.<br />

Da un lato, il dominio della produzione e del plugging<br />

presuppone la distrazione e, dall’altro, la produce. 15<br />

Non si deve però presupporre che l’ascoltatore di musica di<br />

consumo sia totalmente inconsapevole rispetto ai meccanismi<br />

produttivi e psicologici appena delineati; viceversa, il fruitore di<br />

popular music è ben cosciente dell’intrinseca vacuità dei brani radiofonici<br />

e del loro mero scopo commerciale. Ed è proprio grazie<br />

a tale coscienza e al sentimento ambivalente suscitato da<br />

essa che la sottomissione alla musica di consumo si attua al livello<br />

più profondo: accettarne le regole, accettarne la natura<br />

significa vincere una resistenza interna nei confronti della consuetudine<br />

imposta:<br />

15 Ivi, pp. 107-108.


Anestetismi musicali<br />

Quando la popular music viene ripetuta ad un livello tale da non<br />

sembrare più uno stratagemma ma un elemento intrinseco del<br />

mondo naturale, la resistenza assume un diverso aspetto perché<br />

l’unità dell’individuo comincia a frantumarsi. Questo naturalmente<br />

non significa l’eliminazione completa della resistenza.<br />

Ma essa viene sospinta negli strati sempre più profondi della<br />

struttura psicologica. L’energia psicologica deve essere direttamente<br />

investita allo scopo di vincere la resistenza. Perché<br />

questa resistenza non scompare del tutto cedendo a forze esterne,<br />

ma resta viva entro l’individuo e ancora sopravvive anche<br />

nel momento dell’accettazione. Qui fa la sua drastica comparsa<br />

il risentimento. [...] Per essere accettato, il materiale musicale<br />

ha bisogno di questo risentimento. Il suo carattere di merce, la<br />

sua predominante standardizzazione, non è così nascosta da<br />

non essere percepibile. Esso richiede un’azione psicologica da<br />

parte dell’ascoltatore. La passività da sola non basta. L’ascoltatore<br />

deve sforzarsi di accettarlo. 16<br />

Così ascoltare musica commerciale diviene un atteggiamento<br />

parallelo a quello di coloro che sostengono di guardare programmi<br />

televisivi di infimo livello pur riconoscendone perfettamente<br />

la pessima qualità. O meglio, proprio in nome di essa:<br />

una fruizione che permette e anzi invoglia la distrazione, lo sguardo<br />

disattento, l’assopimento graduale e rassicurante. La distrazione<br />

fino all’incoscienza come risposta alla noia delle proprie<br />

attività obbligate.<br />

3. Obsolescenza?<br />

Potrebbe sembrare del tutto inattuale riproporre uno studio sulla<br />

produzione musicale degli anni Trenta del Ventesimo secolo,<br />

con relativo compendio di poco successivo, e sulle capacità<br />

16 Ivi, pp. 118-120.<br />

25


26<br />

Daniele Stroppolo<br />

d’ascolto del pubblico di quell’epoca distante quasi un secolo<br />

dal nostro presente. Eppure nella durissima analisi proposta da<br />

Theodor Adorno si evidenziano problemi che non solo non<br />

sono stati superati, ma si sono infinitamente esacerbati a causa<br />

del progresso tecnologico; il quale, sosteneva Adorno stesso,<br />

comporta non solo costanti miglioramenti in alcuni aspetti oggettivi<br />

dell’esistenza, ma implica anche continue rinunce sul piano<br />

soggettivo e individuale, a causa del suo inevitabile portato di<br />

violenza e di reificazione 17 .<br />

Sotto il profilo della fruizione musicale è indubbio che all’ampliamento<br />

dell’offerta di apparecchi d’ascolto e al moltiplicarsi<br />

degli strumenti di registrazione e riproduzione sia corrisposta<br />

una mutazione, in negativo, sempre più radicale e irreversibile<br />

delle capacità di concentrazione e di penetrazione da<br />

parte dell’ascoltatore nel testo musicale. Affinché queste affermazioni,<br />

però, non sembrino aleatorie, pregiudiziali o addirittura<br />

nostalgiche rispetto a un passato che, peraltro, è ormai estraneo<br />

all’esperienza diretta di ogni pubblico attuale, è opportuno<br />

che l’argomento sia affrontato sul piano concreto.<br />

Esiste un’affermazione, una frase particolarmente fortunata,<br />

tanto da essere diventata una sorta di moderno proverbio e<br />

che spietatamente riassume l’odierno rapporto tra musica e ascolto:<br />

«Music is the soundtrack of your life.» È solitamente attribuita<br />

a un tale Dick Clark, uomo di spettacolo statunitense, speaker<br />

radiofonico e presentatore televisivo. Al di là della paternità di<br />

tale frase, è sicuramente interessante il fatto che essa abbia incontrato<br />

una tale popolarità da divenire una sorta di verità acquisita<br />

per ciascun ascoltatore di musica commerciale. Il termi-<br />

17 Riguardo all’approfondimento di queste tesi è opportuno rimandare alla<br />

lettura di ADORNO TH. W.-HORKHEIMER M., Dialektik der Aufklärung.<br />

Philosophische Fragmente, Amsterdam 1947; trad. it. Dialettica dell’illuminismo,<br />

Einaudi, Torino 1966.


Anestetismi musicali<br />

ne che connette music con life è soundtrack, ovvero colonna sonora.<br />

Accompagnamento. Sottofondo. E in effetti è questo il ruolo<br />

che la musica ha assunto nella società di massa: accompagnare<br />

il soggetto nel corso delle sue attività quotidiane; soprattutto<br />

nel tempo libero, ma in taluni casi anche durante la propria attività<br />

produttiva. Ciò comporta una serie di implicazioni necessarie:<br />

la prima è che la musica trova un numero infinito di collocazioni.<br />

Una radio o una selezione musicale sono presenti nella<br />

maggior parte degli ambienti commerciali, dove esse non siano<br />

sostituite dalla televisione, la quale emette anch’essa una costante<br />

“colonna sonora” composta dall’insieme dei motivi e dei jingle<br />

che scandiscono la programmazione e la commentano. D’altra<br />

parte anche nelle abitazioni private tendenzialmente si fa uso<br />

degli stessi strumenti di compagnia: televisori e, meno diffusamente,<br />

radio o lettori musicali; con le stesse implicazioni. A ciò<br />

si aggiunge il fatto che negli ultimi due decenni si è diffuso l’utilizzo<br />

sempre più frequente di apparecchi d’ascolto portatili (a<br />

partire dagli obsoleti mangiacassette, per giungere ai lettori<br />

multimediali ora in commercio, con l’aggiunta ulteriore degli<br />

smartphone con le loro versatili applicazioni) che garantiscono al<br />

soggetto un adeguato supporto sonoro in tutte le occasioni in<br />

cui le attività non sono socializzate: 18 un viaggio su un mezzo<br />

pubblico, una passeggiata, una sessione di sport individuale. Non<br />

di rado gli utenti più giovani utilizzano tali dispositivi anche come<br />

strumento di socializzazione: una cuffia auricolare a testa e si<br />

possono condividere le emozioni di un ascolto comune senza<br />

arrecare alcun disturbo a chiunque altro si trovi nello stesso<br />

ambiente. Poco importa se la compressione digitale delle tracce<br />

18 E naturalmente anche in tutte le occasioni in cui il soggetto intende diminuire<br />

il proprio grado di socializzazione rispetto all’attività svolta: indossare<br />

le cuffie auricolari significa spesso porre un volontario ed evidente limite<br />

all’interazione altrui.<br />

27


28<br />

Daniele Stroppolo<br />

e l’utilizzo di materiale scadente nella costruzione dei dispositivi<br />

di riproduzione e di amplificazione abbia tendenzialmente<br />

fatto scemare la qualità del segnale d’ascolto: l’importante è la<br />

diffusione sempre più capillare, con lo scopo che la nostra soundtrack<br />

personalizzata lasci sempre meno spazio al silenzio.<br />

La costante presenza di una musica di sottofondo implica<br />

una riduzione dell’attenzione su un doppio piano: quello dell’ascolto<br />

e quello della percezione del reale. Ad auricolari inseriti<br />

ci si muove immersi nella propria selezione musicale, e la realtà<br />

viene colorata, filtrata dalla musica; ogni tappa in bus diviene<br />

la brutta copia di un film on the road, una corsa nel parco è la<br />

riproduzione del massacrante allenamento di un prodigio nascente<br />

grazie all’American dream; e la dimensione del reale si riverbera<br />

di finzioni e citazioni, sbiadendo l’hic et nunc contingente<br />

e individuale in una dimensione standard e condivisa. Al tempo<br />

stesso la musica non può che essere sottofondo: il suo ruolo<br />

è sempre relegato a quello di coro, di commento; la sua fruizione<br />

è puramente epidermica e sempre in relazione con un immaginario<br />

extramusicale che a sua volta colora e profuma la musica<br />

con toni e sfumature che non le appartengono. L’ascolto<br />

concentrato, emancipato, non automatizzato diventa l’eccezione.<br />

E diventando eccezione, finisce per essere in costante dialogo<br />

con la fruizione da colonna sonora: chi decide di dedicare<br />

parte del proprio tempo libero a un ascolto attento e non distratto<br />

deve in ogni caso forzarsi rispetto all’ascolto da sottofondo<br />

al quale è stato sicuramente ammaestrato attraverso la<br />

presenza incessante di soundtrack nei luoghi pubblici e nei mass<br />

media, quand’anche non sia tra i volontari fruitori di musica da<br />

auricolare. E oltre all’influenza individualizzata rispetto al suo<br />

personale modo di ascolto, il soggetto si trova anche in condizione<br />

di dover contrastare un ascolto ormai accettato come<br />

modus principe di approccio alla musica dal punto di vista collettivo.<br />

La cultura odierna della musica è la cultura massificata,<br />

standardizzata e volta alla fruizione di cornice.


4. Le musiche leggere<br />

Anestetismi musicali<br />

Si potrebbe obiettare che l’analisi di Adorno potesse essere valida<br />

alla metà del secolo scorso e non più oggi: la musica leggera<br />

si è diversificata in un numero elevatissimo di generi e sottogeneri;<br />

esistono culture sotterranee e antagoniste che hanno fatto<br />

proprio lo strumento della canzone, o della canzonetta, per esprimere<br />

messaggi di protesta e di denuncia del tutto non allineati<br />

rispetto ai grandi poteri economici. L’industria musicale non è<br />

più in mano a pochi grandi marchi generalisti, i quali addirittura<br />

si trovano a fronteggiare una crisi di mercato che invece non<br />

riguarda i prodotti musicali meno smaccatamente popular; i dischi<br />

si registrano e si stampano in piccoli laboratori; la distribuzione<br />

via Internet non comporta alcuna spesa e raggiunge immediatamente<br />

un mercato pressoché illimitato.<br />

Ora, si tratta di obiezioni ragionevoli e sensate; tuttavia ciò<br />

che non è cambiato è il prodotto musicale nella sua essenza, e di<br />

conseguenza la sua funzione di ammaestramento allo standard.<br />

Innanzitutto è opportuno sviluppare la questione sul piano strettamente<br />

musicale. In base ai propri gusti un ascoltatore è portato<br />

a preferire un brano rispetto a un altro, che può trovare noioso,<br />

indifferente o addirittura disturbante o rumoroso. Tale fatto<br />

è notorio ormai da decenni, a partire dalla promozione di generi<br />

musicali quali il beat e il rock’n’roll, ritenuti poco orecchiabili<br />

dal pubblico più conservatore e invece energici e vitali da quello<br />

giovanile o giovanilistico. Credo che non sia necessario dilungarsi<br />

sul fatto che entrambi i generi citati non abbiano introdotto<br />

nulla di particolarmente innovativo rispetto alla musica commerciale<br />

precedente; fondamentalmente si tratta di un leggero<br />

inasprimento dei timbri utilizzati e una moderata accelerazione<br />

del ritmo di base; dal punto di vista vocale, soprattutto nel<br />

rock’n’roll, vi è una minore presenza del controcanto in favore di<br />

una linea melodica più asciutta, ma sempre perfettamente intelligibile<br />

nel suo andamento diatonico.<br />

29


30<br />

Daniele Stroppolo<br />

Dal solo rock’n’roll si sono sviluppati diversi approcci alla<br />

canzone, talvolta con esiti molto aggressivi sul piano timbrico:<br />

hard rock, progressive rock, heavy metal, punk rock, grunge, hard<br />

core, grind core e così via. Elencare tutti i nomi che sono stati<br />

assegnati a ciascun tipo di variazione diventerebbe quasi impossibile,<br />

oltre che tedioso; analizzarli in modo sistematico<br />

secondo le caratteristiche di ognuno sarebbe compito più di<br />

un’enciclopedia che di un articolo. È quindi necessario sottoporre<br />

la questione a una qualche forma di generalizzazione<br />

che, spero, verrà compresa e giustificata.<br />

Sul piano armonico la musica leggera si muove fondamentalmente<br />

all’interno della diatonia, in una scala maggiore o minore<br />

ben definita e facilmente intelligibile dall’inizio alla fine del pezzo.<br />

Praticamente assenti i cambi di tonalità, tranne per qualche semplicissimo<br />

escamotage quale l’innalzamento di un tono rispetto alla<br />

scala di partenza alla terza o quarta ripresa del ritornello o poco<br />

altro. 19 Se l’armonia presenta accordi particolarmente carichi o<br />

complessi, tale ricchezza si dimostra puramente posticcia, in quanto<br />

l’andamento generale del brano censurerà qualsiasi variazione<br />

significativa rispetto al modello diatonico. A queste rigide norme<br />

si rifanno anche generi considerati particolarmente rumorosi, quali<br />

l’heavy metal o il punk: la loro aggressività è puramente timbrica,<br />

mai strutturale. La dissonanza è bandita.<br />

Quanto all’uso della voce, sul piano melodico sono ammesse<br />

ampie escursioni, a patto che siano evitate tensioni e dissonanze<br />

rispetto alla base musicale e che il cantante gestisca gli<br />

intervalli, per quanto ampi, in modo tecnicamente ineccepibile<br />

(non è tollerata un’imperizia che denoti sforzo o disagio, tranne<br />

19 È ad esempio tollerato il passaggio da una scala minore alla corrispondente<br />

maggiore nel passaggio da strofa a ritornello, ma si tratta di espedienti<br />

tipici di alcune tradizioni (come la canzone melodica napoletana),<br />

che in virtù di questo fatto vengono solitamente confinati nei rispettivi<br />

generi d’appartenenza.


Anestetismi musicali<br />

che in rari casi) 20 . Sul piano timbrico il discorso si fa più articolato:<br />

vi è ampio margine di tolleranza rispetto all’approccio canoro.<br />

Accanto a voci impostate e sicure da crooner si possono<br />

ascoltare agili timbri tenorili, canti dimessi al limite del sussurrato,<br />

andamenti soavi e gole roche e consumate. Vi è un’apparente<br />

libertà in tutto ciò, che presuppone però un fatto che riguarda<br />

nell’insieme ciascuna voce ritenuta vendibile: il timbro dev’essere<br />

pieno, completo nei suoi armonici. Le voci più graffianti<br />

e “sporche”, come quella dell’italiano Vasco Rossi, o del<br />

defunto Kurt Cobain dei Nirvana o ancora di Chester Bennington<br />

dei Linkin Park mantengono intatto il proprio spettro armonico<br />

anche nei momenti in cui esprimono il massimo livello<br />

di rabbia: il loro “grido” dev’essere ben modulato e risultare<br />

sempre perfettamente in focus rispetto alla nota emessa. Non<br />

sono ammesse sbavature che denotino una mancanza di controllo<br />

o la perdita della maschera da cantante consumato: la performance<br />

non deve uscire dallo specchio della rappresentazione,<br />

il grido dev’essere l’immagine melodica di un grido.<br />

Sul piano ritmico l’andamento della canzone è regolare, scandito<br />

da un metronomo che relega eventuali rallentamenti o accelerazioni<br />

nel rango dell’abbellimento di cornice, usato esclusivamente<br />

in un eventuale finale particolarmente a effetto o in<br />

simili funzioni periferiche. Le misure generalmente utilizzate<br />

sono quella di 4/4 e quella di 3/4, sulle quali si possono proporre<br />

accenti diversi a seconda del tenore che si intende fornire al<br />

pezzo. Quasi sempre il ritmo è scandito in modo molto netto e<br />

chiaro da qualche strumento percussivo, acustico o elettronico.<br />

20 Ancora una volta è necessario ribadire che le componenti in stretta minoranza<br />

rispetto a tendenze costituite e consolidate non esistono in quanto tali,<br />

ma solo in rapporto al tutto: così il cantante pop imperfetto o leggermente<br />

stonato è tollerato solo come variazione rispetto alla regola che presuppone<br />

voci sempre piene e cariche di armonici, mai in difficoltà nell’esecuzione.<br />

31


32<br />

Daniele Stroppolo<br />

Quanto ai testi, sarebbe impossibile riassumerne i contenuti<br />

secondo una qualche forma di semplificazione; certo, esiste naturalmente<br />

una quantità incommensurabile di canzonette d’amore,<br />

ma è pur vero che esistono brani che riguardano gli argomenti<br />

più disparati. È interessante, invece, cercare di comprendere<br />

in che modo il testo interagisca con una musica siffatta.<br />

Ribadendo che le strutture della musica leggera sono atte all’ottundimento<br />

dovuto a un ascolto distratto, disattento e paralizzato<br />

nello standard, diventa chiaro che un testo “impegnato”<br />

viene sconfessato nel momento stesso in cui tenta di essere veicolato<br />

dalla forma-canzone. Cantare di utopie, di pacifismo o<br />

di diritti delle minoranze nella forma del jingle musicale o della<br />

hit da classifica significa mercificare e quindi reificare il messaggio<br />

stesso, che proprio in virtù del suo tramite viene svilito e<br />

irriso. La canzone impegnata è la parodia di una canzone impegnata;<br />

l’effetto anestetico dell’apparato musicale esonda dal puro<br />

suono per coprire il valore semantico della parola.<br />

5. Mondi alternativi<br />

Eppure, si potrebbe obiettare, non tutta la musica leggera rientra<br />

in questo quadro; esistono le autoproduzioni e le distribuzioni<br />

gratuite, che rifuggono in ogni modo dall’idea di profitto.<br />

Esistono canzoni in cui il grido è vero grido e in cui la diatonia<br />

o la regolarità dei due ritmi dominanti non è affatto rispettata.<br />

Che succede di tutto quel movimento “alternativo” che tenta<br />

autenticamente di resistere alle tendenze totalizzanti della musica<br />

di consumo? È opportuno affrontare questo punto con la<br />

dovuta attenzione, dal momento che la questione è complessa e<br />

articolata. Innanzitutto sarebbe opportuno fare chiarezza rispetto<br />

al termine “alternativo”. Alternativo a che cosa? Moltissime band,<br />

moltissimi cantanti mainstream vengono definiti alternativi dai<br />

mass media, e scalano le classifiche grazie all’appoggio di qualche


Anestetismi musicali<br />

grande marchio internazionale e a qualche buon contratto di<br />

sponsorizzazione. Non è di questo tipo di musica che può essere<br />

interessante discutere nei termini espressi: in questo caso si<br />

tratta semplicemente di un’etichetta di genere come può esserlo<br />

qualunque altra, e il prodotto musicale rientra perfettamente<br />

negli standard descritti precedentemente. Esiste poi un grande<br />

movimento che si autodefinisce alternativo perché costretto<br />

dall’industria musicale a rimanere ai margini: il confinamento<br />

dovuto a scarsi mezzi economici o a performance non professionalizzate<br />

diviene oggetto di rivendicazione, ma la verità è che<br />

tale movimento esiste solo in quanto retropalco dell’industria<br />

dell’intrattenimento, la quale attinge da esso per trarne i prodotti<br />

più vendibili. Si tratta quindi di un circuito parallelo a<br />

quello principale, con gli stessi intenti e lo stesso approccio,<br />

ma che funziona secondo un sistema di investimenti ridotto;<br />

nella speranza o meglio nella prospettiva che qualche suo ingranaggio<br />

possa essere raccolto e utilizzato entro il meccanismo<br />

di ordine maggiore.<br />

Esistono infine musicisti che non possiedono alcuna velleità<br />

di professionalizzarsi, che scrivono, eseguono e producono i<br />

propri brani senza lo scopo del profitto, e che intendono muoversi<br />

con assoluta libertà rispetto ai canoni della smerciabilità<br />

del proprio prodotto. Alcuni di essi, oltre che nelle intenzioni,<br />

sanno distaccarsi dai parametri standardizzati della canzone commerciale<br />

anche nei fatti. Con quali esiti?<br />

Naturalmente il primo problema è che l’esclusione dal grande<br />

circuito permette di utilizzare mezzi di esecuzione, registrazione<br />

e distribuzione di gran lunga inferiori rispetto a quelli a<br />

disposizione dell’industria dell’intrattenimento. Ciò comporta<br />

un livello di produzione molto spesso amatoriale e di scarsa rilevanza<br />

artistica. Ma tale fatto non costituisce una regola e si può<br />

ammettere che una produzione di alto livello tecnico possa avvenire<br />

anche al di fuori del circuito mainstream. E in effetti in<br />

alcuni dei brani composti ed eseguiti al di fuori del circuito com-<br />

33


34<br />

Daniele Stroppolo<br />

merciale si riscontrano sostanziali differenze rispetto alle rigide<br />

regole che governano la produzione allineata.<br />

Per quel che concerne l’aspetto armonico si può riscontrare<br />

una disinvolta emancipazione dalla diatonia e in molti brani vengono<br />

utilizzate anche dissonanze non risolte, con valore funzionale<br />

e non puramente accessorio. Sotto il profilo ritmico è<br />

lasciato spazio a misure diverse da 4/4 e 3/4; talvolta si<br />

avvicendano variazioni di misura significative durante il brano e<br />

non mancano tempi composti e poliritmie. Riguardo alla vocalità,<br />

si possono evidenziare fondamentalmente due distinti esiti del<br />

canto: un canto melodico e uno gridato. Il canto gridato consiste<br />

in un’emissione vocale che non fa risuonare una nota in particolare,<br />

ma si risolve in una sorta di recitazione ritmica dai toni<br />

esasperati. Esistono vari stili, catalogati con nomi diversi, per<br />

questo tipo di vocalità; essa tenta di esprimere in modo diretto e<br />

immediato uno sfogo di fronte al negativo. L’operazione, però,<br />

sembra scontrarsi con la natura stessa della musica, che in quanto<br />

arte presuppone una mediazione tra quanto viene espresso<br />

nell’opera e l’opera stessa. Il grido in sé non può essere musica<br />

nella stessa misura in cui non può esserlo un qualsiasi suono<br />

spontaneo e non mediato. Questa contraddizione non riguarda<br />

solamente l’aspetto teorico della questione, ma anche le sue caratteristiche<br />

concrete. In particolare il suo andamento ritmico,<br />

la sua cadenza musicale contraddice istantaneamente il suo tentativo<br />

di essere libero e liberatorio. Si tratta anche in questo caso<br />

dell’immagine sonora di un grido e non di un grido in quanto<br />

tale, e il suo tentativo mimetico rispetto a un’emissione spontanea<br />

ne evidenzia in modo inequivocabile il fallimento. Anche<br />

sul piano timbrico la soluzione sembra insoddisfacente: al fine<br />

di conservare la propria integrità fisica, il cantante che intende<br />

eseguire il canto gridato deve sfruttare alcune tecniche di respirazione<br />

e di emissione che ne deformano la sonorità in una direzione<br />

facilmente percepibile come artificiosa e innaturale; di<br />

conseguenza il grido non viene percepito come sfogo sponta-


Anestetismi musicali<br />

neo, ma come l’imitazione parodistica di uno sfogo, un tentativo<br />

di riproduzione che oscilla in modo totalmente scisso tra<br />

l’esternazione spontanea e una sua primitiva figurazione. Quanto<br />

al canto melodico, nella musica leggera non commerciale il<br />

suo andamento non si distacca molto dalla canzonetta; e molto<br />

spesso è proprio la linea melodica vocale a semplificare la comprensione<br />

armonica e strutturale del pezzo dimostrando il suo<br />

diatonismo anche a fronte di qualche soluzione d’arrangiamento<br />

complessa e articolata. Infatti le dissonanze non risolte non<br />

sono contemplate nell’andamento vocale, e dove esse sono presenti<br />

nella base strumentale la voce si fa da parte rimanendo in<br />

silenzio o affidandosi a soluzioni puramente ritmiche (come<br />

quelle del grido) o di commento attraverso una qualche forma<br />

di recitato. Da questo punto di vista, quindi, le soluzioni della<br />

musica underground più che sconfessare quelle della musica da<br />

classifica sembrano confermarle per sottrazione.<br />

Al di là degli esiti estetici in sé, sembra importante tentare di<br />

comprendere se queste forme musicali non allineate promuovano<br />

un tipo di ascolto diverso da quello che viene inculcato<br />

dalla musica commerciale; se, insomma, il loro insieme sonoro<br />

esca effettivamente dagli standard imposti all’orecchio del<br />

fruitore di musica popular inducendolo a un grado di attenzione<br />

e di concentrazione maggiore; o se, invece, sia anch’esso appiattito<br />

nel ruolo di soundtrack dell’esistenza.<br />

Ebbene, se anche alcuni aspetti della musica leggera non<br />

commerciale si allontanano da alcuni logori aspetti di quella da<br />

classifica, ve ne sono altri che invece conducono il fruitore a<br />

schemi d’ascolto stereotipati: passività, distrazione, uso di<br />

sottofondo. Vi sono infatti alcune componenti della musica non<br />

colta che le sono, almeno allo stato degli sviluppi attuali, del<br />

tutto connaturate: la diatonia nelle parti melodiche e l’uso di un<br />

beat, di una regolarità ritmica che schematizza ogni metro in una<br />

uniformità di fondo per cui l’uso di tempi composti, poliritmie<br />

e tempi dispari (anche nei casi non frequenti in cui sono utiliz-<br />

35


36<br />

Daniele Stroppolo<br />

zati) finisce per ridursi a una sorta di variazione attorno alle<br />

pulsazioni sentite come necessarie e immanenti, ovvero il 4/4 o<br />

in alternativa il 3/4. Questi elementi concedono all’ascoltatore<br />

di non concentrarsi sulla musica, perché il suo fluire procede<br />

con andamento rassicurante e all’interno di schemi armonici<br />

riconoscibili, in modo che i suoi esiti non si emancipino mai<br />

dalle aspettative standardizzate del fruitore.<br />

Vi è inoltre un ulteriore aspetto non trascurabile della musica<br />

leggera nel suo insieme, che penetra strutturalmente anche<br />

nelle canzoni underground: il cliché di genere. Si tratta di scelte<br />

timbriche e di costruzione dei brani, o anche di una determinata<br />

prevalenza di certi intervalli musicali nelle armonie e nelle<br />

melodie, o ancora dell’utilizzo di brevi fraseggi chitarristici<br />

che fungono da unità minima del pezzo, i cosiddetti riff; questi<br />

elementi introducono il fruitore in un sistema conosciuto, nel<br />

quale le novità sono sempre puro contorno rispetto all’essenza<br />

del brano stesso. È in questo modo che si creano ascoltatori<br />

specializzati, frequentatori di determinati generi nei quali<br />

essi si muovono a proprio agio riconoscendo stilemi precisi<br />

che corrispondono perfettamente alle aspettative del fruitore:<br />

un meccanismo di autorafforzamento che oscilla tra il rassicurante<br />

territorio conosciuto e l’introduzione periferica di novità<br />

marginali; lo stesso automatismo della musica da classifica,<br />

con analoghi risultati sul piano dell’ammaestramento allo<br />

standard conoscitivo.


Medioevo: un pregiudizio secolare che<br />

perdura nel discorso comune. Esercizi<br />

di decostruzione alla luce delle scienze sociali<br />

di Franz Brandmayr *<br />

1. Introduzione. Un contributo ab extra<br />

La vita del medievalista potrebbe consumarsi<br />

tutta nel raddrizzare torti: perché quasi sempre<br />

i fatti, i testi del tempo, smentiscono le leggende<br />

accumulatesi a partire dal XVI secolo e diffuse<br />

soprattutto con il XIX secolo. 1<br />

Provengo da una formazione storica, anche se già prima degli<br />

studi universitari (si era negli anni Settanta) i miei interessi antropologico-culturali<br />

si erano ben caratterizzati. Indirizzai poi decisamente<br />

le mie ricerche nel campo degli studi sociali, all’interno<br />

dei quali mi sono mosso fino a oggi in maniera quasi esclusiva. In<br />

ogni caso la storia ha continuato a rappresentare un mio interesse<br />

costante, spesso anche ineludibile, tanto nella ricerca sociale, 2<br />

* Docente di I. r. c.<br />

1 PERNOUD R., Medioevo. Un secolare pregiudizio, Bompiani, Milano 1998 5<br />

(1977), p. 146.<br />

2 Per una introduzione dal punto di vista dell’antropologia ai rapporti intercorrenti<br />

fra le scienze etnoantropologiche e la storia rinvio a BELLAGAMBA A.,<br />

s.v. Annales, Scuola delle, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), Dizionario di<br />

antropologia. Etnologia antropologia culturale antropologia sociale, Zanichelli, Bologna<br />

1997, p. 49; COMBA E., s.v. Storia, ivi, pp. 709-710; CIRESE A.M., Cultura<br />

37


38<br />

Franz Brandmayr<br />

quanto nell’attività di insegnamento della Religione cattolica, 3 nella<br />

quale è noto che essa debba intessere un confronto serrato con<br />

altre discipline diacroniche (soprattutto con la Storia delle Religioni<br />

e con la Storia della Chiesa), oltre che, più in generale, con<br />

tutte le Scienze delle Religioni. 4<br />

Ciò nonostante – come esplicito fin dal titolo – non vorrebbe<br />

essere quello prettamente storiografico l’angolo visuale di<br />

questo contributo. Il mio vorrebbe configurarsi come un approccio<br />

antropologico-culturale alla “narrazione” 5 del Medioevo<br />

nel discorso comune. Data la vastità del campo considerato,<br />

proverei a sperimentare qualche forma di esercizio critico avvalendomi<br />

soprattutto di poche pubblicazioni (qualche manuale<br />

scolastico e una sintesi divulgativa), prese quasi a caso dalla pletora<br />

di produzioni di qualità assai diversificata, che hanno per oggetto<br />

l’epoca medievale o qualche suo aspetto specifico.<br />

egemonica e culture subalterne. Rassegna degli studi sul mondo popolare tradizionale,<br />

Palumbo, Palermo 1973 2 (1971), pp. 24-39; RIVIERE C., Introduzione all’antropologia,<br />

Il Mulino, Bologna 1995, pp. 18-19; TULLIO-ALTAN C., Antropologia.<br />

Storia e problemi, Feltrinelli, Milano 1985 2 (1983), pp. 267-304.<br />

3 Dalle mie matrici culturali non ho ricavato una grande propensione a<br />

soffermarmi sul dato autobiografico; tuttavia nell’ambito antropologico-culturale<br />

è divenuto ormai costume consolidato il farlo, allo scopo di esplicitare<br />

al lettore, almeno indicativamente, le premesse teoriche di partenza e i possibili<br />

condizionamenti che vi sono connessi [cfr. GEERTZ C., Opere e vite. L’antropologo<br />

come autore, Il Mulino, Bologna 1995 (1992), pp. 85-86].<br />

4 Cfr. BUCARO G., Filosofia della religione. La riflessione sul “senso” del fatto religioso<br />

da Spinoza a Nietzsche, da Bloch a Eliade, Città Nuova, Roma 1986, pp. 13-15;<br />

FILORAMO G.-PRANDI C., Scienze delle Religioni, Morcelliana, Brescia 1997 3 (1987),<br />

passim; RAGOZZINO G., Il fatto religioso. Introduzione allo studio della religione, Edizioni<br />

Messaggero, Padova 1990, pp. 50-75; TERRIN A.N., Introduzione allo studio<br />

comparato delle religioni, Morcelliana, Brescia 1991, pp. 13-29.<br />

5 Conferisco al termine tutta la pregnanza storiografica che gli deriva dalla riflessione<br />

dei Post-colonial Studies [cfr. ad es. CHAKRABARTY D., Storia delle minoranze, passati<br />

subalterni, in ID., Provincializzare l’Europa, Meltemi, Roma 2004 (2000), pp. 135-155].


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

In queste pagine cerco anche di configurare alcune linee ipotetiche<br />

di un possibile successivo lavoro di ricerca più esteso,<br />

volto ad accertare con criteri anche quantitativi l’eventuale persistenza<br />

del pregiudizio antimedievale nel discorso comune. Nel<br />

caso la presente riflessione dovesse portare a sviluppi di questo<br />

genere, si renderebbe naturalmente necessario operare concretamente<br />

su un “terreno” accuratamente definito, come da consolidata<br />

tradizione antropologico-culturale. 6<br />

Tuttavia questo elaborato potrebbe risultare forse già apprezzabile<br />

anche sotto due altri profili: in prima istanza in una prospettiva<br />

didattica, in quanto esprimo il punto di vista del docente,<br />

che da più di un quarto di secolo rileva – o ritiene di rilevare –<br />

negli studenti la persistenza di una forte stereotipizzazione delle<br />

conoscenze e delle competenze interpretative intorno al Medioevo<br />

europeo. Queste sembrerebbero – in buona sostanza – riprodurre<br />

pedissequamente i luoghi comuni che numerosi storici denunciano<br />

essere ricorrenti in tanta manualistica e pubblicistica<br />

attuali. Pernoud scriveva già nel 1977 di «opere “storiche”» o addirittura<br />

di collane storiche scritte con «procedimenti giornalistici» 7 .<br />

6 Cfr. ad es. BERNARDI B., Uomo cultura società. Introduzione agli studi etno-antropologici,<br />

Franco Angeli, Milano 1984 8 (s.d. orig.), p. 119; BIANCO C., Dall’evento al<br />

documento. Orientamenti etnografici, C.I.S.U., Roma 1988, passim; «è proprio su questo<br />

punto che può individuarsi la distinzione fra ogni tipo di filosofia e ogni<br />

tipo di antropologia culturale scientificamente valida: la falsificabilità delle proposizioni<br />

antropologiche e il suo carattere sperimentale» [TULLIO-ALTAN C., Manuale<br />

di antropologia culturale. Storia e metodo, Bompiani, Milano 1979 (1971), p. 573].<br />

7 CARMO FELICIANI S., Introduzione, in DAWSON CH., Il cristianesimo e la formazione<br />

della civiltà occidentale, Rizzoli, Milano 1997 2 (1950), p. 6; PERNOUD R., op. cit.,<br />

p. 145; cfr. PIVATO S., Vuoti di memoria. Usi ed abusi della storia nella vita pubblica<br />

italiana, Laterza, Roma-Bari 2007, pp. 22, 26, 34, 74, 87-88, 129, 131 et alibi. Il<br />

pensiero non può non correre ai giorni nostri, in cui – ad esempio – un<br />

«libraccio» (F. Cardini) come Il codice Da Vinci viene accolto anche da un<br />

soggetto laureato come una sorta di rivelazione esoterica (colloquio 1.1.<br />

02.02.2006). Vd. anche infra nt. 291.<br />

39


40<br />

Franz Brandmayr<br />

Peraltro la critica storiografica a queste produzioni di consumo è<br />

destinata a rimanere confinata in riviste erudite 8 e non riesce a scalfire<br />

il complesso stereotipico antimedievale sedimentato nell’immaginario<br />

collettivo, che – invece – di questa pubblicistica sembra<br />

nutrirsi abbondantemente. Inoltre – più in generale – pare che questo<br />

senso comune pervada anche i cosiddetti ambienti colti. 9<br />

In queste rappresentazioni collettive 10 il Medioevo costituirebbe,<br />

pertanto, proprio come asserivano gli umanisti, un periodo<br />

storico «vuoto» e «scadente», 11 un autentico «iato» fra due<br />

epoche che sarebbero invece significative, quella classica e quella<br />

moderna. Per gli storici delle più svariate impostazioni è oramai<br />

acquisito il fatto che sia vero «il contrario», 12 ma le ricerche<br />

scientifiche dell’ultimo secolo e mezzo 13 sembrano non avere<br />

ancora raggiunto il grande pubblico e – talvolta – neanche i<br />

manuali scolastici; 14 e – lo si sa bene – sono questi ultimi a rappresentare<br />

più efficacemente la «verità storica ufficiale» 15 . Al<br />

posto della storiografia più avanzata potrebbe prevalere – è questa<br />

l’ipotesi antropologico-culturale che formulo, in vista di un<br />

8 PERNOUD R., op. cit., p. 145; SANFILIPPO M., La storia in edicola: biografie, romanzi,<br />

gadget, in “Memoria e Ricerca”, gennaio-aprile 2007, passim.<br />

9 LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario medievale, Laterza, Roma-Bari<br />

1998 2 (1985), p. XVIII.<br />

10 DURKHEIM E., Rappresentazioni individuali e rappresentazioni collettive, in ID., Le<br />

regole del metodo sociologico. Sociologia e filosofia, Comunità, Torino 2001 (1898),<br />

pp. 137-164.<br />

11 LE GOFF J., Prefazione, in ID., Tempo della Chiesa e tempo del mercante, Einaudi,<br />

Torino 1977 (1976), pp. VII-VIII.<br />

12 LE GOFF J., ivi, p. IX.<br />

13 DAWSON CH., op. cit., pp. 23-24 scriveva questo già nel 1950; PERNOUD R.,<br />

op. cit., p. 16.<br />

14 Cfr. ibidem.<br />

15<br />

CONTI F., Massoneria e religioni civili. Cultura laica e liturgie politiche fra XVIII e<br />

XX secolo, Il Mulino, Bologna 2008, p. 8.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

possibile rilevamento empirico sul campo – una sorta di<br />

rielaborazione e di amplificazione mediatica; 16 questa sembra<br />

alimentarsi (anche questo andrebbe dimostrato con uno studio<br />

sistematico) – oltre che di sintesi manualistiche – della<br />

pubblicistica non-specialistica sopra menzionata, di documentari<br />

televisivi, di enciclopedie on line, in cui il controllo della produzione<br />

spesso sfugge a una selezione seria, e di altre opere di<br />

divulgazione più o meno dilettantesche. 17<br />

Non nutro dubbio alcuno sulle gravose difficoltà insite nella<br />

didattica della storia; 18 io stesso le sperimento quando tento di<br />

porgere dei contenuti la cui distanza culturale dal “mondo vitale”<br />

19 degli studenti è particolarmente marcata. È per questo motivo<br />

che invito i colleghi storici e/o insegnanti di storia o di altre<br />

discipline interessate 20 (la filosofia, 21 le letterature italiana e straniere,<br />

la storia dell’arte ecc.) ad avviare un dibattito che prenda sul<br />

serio il difficile compito del docente che si impegna a trasmettere<br />

una certa sensibilità storica 22 agli allievi, con un particolare riferi-<br />

16 Cfr. PERNOUD R., op. cit., p. 149.<br />

17 Ivi, pp. 9, 16, 145, 156 et alibi. Cfr. supra anche nt. 7 e infra nt. 291.<br />

18 PIVATO S., op. cit., p. 37.<br />

19 ABBAGNANO N., s.v. Mondo della vita, in ID., Dizionario di filosofia, U.T.E.T.,<br />

Torino 1971 2 (s.d. orig.), p. 596; PARDI F., s.v. Soggettività, in DEMARCHI F.-<br />

ELLENA A.-CATTARINUSSI B. (a cura di), Nuovo dizionario di sociologia, San Paolo,<br />

Cinisello Balsamo (MI) 1994 3 (1987), p. 1986.<br />

20 Cfr. PERNOUD R., op. cit., pp. 153 e 168. Devo ai colleghi e amici Paolo<br />

Emilio Biagini, Brigitta Bianchi, Federico Creazzo, Lucia D’Agnolo, Silvia<br />

Visintini e Marco Zocchi svariati stimoli e suggerimenti preziosi per la stesura<br />

di queste pagine: colgo qui l’occasione per ringraziarli. Va da sé che ascrivo<br />

a me stesso ogni carenza di questo scritto.<br />

21 Vd. ad es. PORCARELLI A., Insegnare la filosofia medievale. Stereotipi e innovazioni<br />

didattiche, in http://archive.sfi.it/cf/cf4/articoli/porcarelli.htm.<br />

22 Cfr. MARROU H.-I., La conoscenza storica, Il Mulino, Bologna 1988 (1954), p.<br />

36; PERNOUD R., op. cit., p. 168.<br />

41


42<br />

Franz Brandmayr<br />

mento all’epoca in questione. All’inevitabile semplificazione del<br />

discorso storiografico congenito alla manualistica e alla sproporzione<br />

esistente fra la lunghezza dell’arco temporale considerato<br />

nei programmi e le scarse risorse (misurate in unità orarie scolastiche,<br />

in pagine di libri di testo e altro ancora) disponibili per lo<br />

studio del Medioevo, 23 vengono spesso ad aggiungersi ancora tante<br />

difficoltà: tra le altre quelle determinate dalla diffusa svalutazione<br />

della storia, 24 ma anche quelle originate da una cultura dominante<br />

(non solo didattica) ossessionata dal problem solving, 25 oramai incline<br />

a formare l’allievo al “saper fare” senza indurlo a concentrare<br />

l’attenzione sul “perché fare”, cultura inoltre sempre meno propensa<br />

a cogliere le sfumature – di cui la narrazione storica è invece<br />

solitamente ricca. Nel nome di una sorta di pragmatismo cognitivo<br />

– infine – si spaccia talvolta per un attardamento passatistico 26 la<br />

presa in esame di tematiche che si presumono antiquate.<br />

Su queste premesse della questione articolerei il mio discorso<br />

focalizzando l’attenzione su un secondo obiettivo, in qualche modo<br />

conseguente e funzionale al primo: ritengo che, per allentare la<br />

presa del pregiudizio antimedievale, ci possa provenire un supporto<br />

epistemologico importante dalla strumentazione concettuale<br />

più “classica” delle scienze sociali. 27 Gli allievi (ma, perché<br />

23 Ivi, p. 153.<br />

24 PIVATO S., op. cit., pp. 37-46.<br />

25 Vd. ad es. CICATELLI S., Conoscere la scuola. Ordinamento didattica legislazione, La<br />

Scuola, Brescia 2004, p. 117.<br />

26 A questo proposito PERNOUD R., op. cit., p. 177 scriveva negli anni Settanta<br />

che la scuola francese produceva soggetti «amnesiaci», che rischiavano di<br />

diventare inabili all’esercizio della responsabilità e della libertà.<br />

27 Per un’introduzione all’utilizzo delle prospettive concettuali antropologiche<br />

nella storiografia vd. LE GOFF J., Prefazione, cit., p. VIII; LE GOFF J.-NORA<br />

P. (a cura di), Fare storia. Temi e metodi della nuova storiografia, Einaudi, Torino<br />

1981 (1974), passim; BOGLIONI P., Introduzione, in MANSELLI R., Il soprannaturale<br />

e la religione popolare nel Medio Evo, Studium, Roma 1985, p. XVI.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

no? forse anche qualche adulto…) potrebbero ricavarne qualche<br />

spunto per elaborare una sintesi (perché pur sempre di questo<br />

si tratta) autonoma sull’“Età di Mezzo”, una sintesi forse<br />

meno inficiata da etichette categoriali, 28 che credo non soddisfino<br />

adeguatamente le loro esigenze di comprensione 29 di quest’epoca<br />

storica.<br />

All’interno di questa trattazione riserverei ancora qualche<br />

spunto all’intento di sensibilizzare i colleghi di storia o, chissà,<br />

forse anche qualche storico 30 circa l’opportunità di un ulteriore<br />

approfondimento del dialogo metodologico fra l’antropologia<br />

e la storia. È possibile che, in un futuro lavoro, una sorta di<br />

complemento di queste riflessioni, io tenti di cercare una risposta<br />

a determinate aporie del discorso storiografico medievistico<br />

operando una serie di confronti con i Subaltern Studies, i Postcolonial<br />

Studies e con la corrente dell’antropologia critica. 31 Non è impossibile<br />

che da ciò possa scaturire qualche suggestione valida<br />

per affinare le metodiche scientifiche 32 di approccio allo specifico<br />

medievale. Sotto questo profilo, del resto, non faccio che<br />

28 Le etichette categoriali o etichettazioni sono espressioni che diventano «un<br />

punto di ancoraggio per l’interpretazione di tratti di personalità e descrizioni<br />

comportamentali ad essa associate» [ARCURI L., Percezione e cognizione sociale, in<br />

ID. (a cura di), Manuale di psicologia sociale, Il Mulino, Bologna 1996, pp. 128-<br />

129]; mediante le etichettazioni viene poi attivata la memoria semantica del<br />

soggetto, nella quale viene così innescata una serie di associazioni di tali<br />

espressioni con altre che a esse si collegano. Cfr. infra nt. 65.<br />

29 Cfr. infra paragrafo 3.<br />

30 PERNOUD R., op. cit., p. 165, nt. 3 non sottace la differenza di formazione fra<br />

gli storici, avvezzi al trattamento dei dati documentali, e gli insegnanti di<br />

storia, che non sempre fanno esperienza in tal senso.<br />

31 Per una prima introduzione vd. CHAMBERS I. (a cura di), Esercizi di potere.<br />

Gramsci, Said e il postcoloniale, Meltemi, Roma 2006, passim; PASQUINELLI C. (a<br />

cura di), Occidentalismi, Carocci, Roma 2005, passim; vd. anche infra nt. 171.<br />

32 Cfr. MARROU H.-I., op. cit., p. 5, che scrive di una «filosofia critica della storia».<br />

43


44<br />

Franz Brandmayr<br />

pormi al seguito di parecchi storici, che sottolineano la criticità<br />

dell’utilizzo di categorie rigidamente e, talora, inconsapevolmente<br />

etnocentriche nella ricerca storiografica. 33<br />

1.1. Limiti del saggio<br />

Riuscire a fondare in poche decine di pagine un’ipotesi, che si<br />

colloca sul versante opposto rispetto a quanto una plurisecolare<br />

rielaborazione mediatica (dapprima prodotta dalla letteratura<br />

polemica colta, poi – nell’ultimo secolo e mezzo – “discesa”<br />

al “livello” 34 del senso comune) va alimentando, è senz’altro<br />

impresa improba. Va interpretata in questa prospettiva la<br />

trattazione selettiva che seguirà, dalla quale potrà emergere<br />

una versione consapevolmente migliorativa dell’Età di Mezzo;<br />

si tratterà di un’esposizione che – però – non intende suffragare<br />

alcuna «leggenda fantastica» 35 sul Medioevo stesso. Do<br />

pertanto per valida la ricerca storiografica precedente, anche<br />

quella più scopertamente denigratoria, 36 e propongo al lettore<br />

di sostituire all’aut aut di un certo tipo di approccio, forse talvolta<br />

manicheo, un et et «multivocale» più in sintonia con l’orizzonte<br />

metodologico di certe correnti di pensiero delle scienze<br />

33 Cfr. ad es. BURKE P., Cultura e società nell’Italia del Rinascimento, Einaudi, Torino<br />

1984 (1972), p. 21; CHABOD F., Storia dell’idea di Europa, Laterza, Roma-<br />

Bari 2001 4 (1961), p. 18; GUREVIČ A.J., Contadini e santi. Problemi della cultura<br />

popolare nel Medioevo, Einaudi, Torino 2000 2 (1981), p. 182; LE GOFF J., Prefazione,<br />

in ID., Tempo, cit., p. IX.<br />

34 Rinvio ai concetti di “livelli di cultura”, “prodotto culturale”, “processo di<br />

discesa/salita dei fatti culturali” (CIRESE A.M., op. cit., pp. 15-23 e ID., Dislivelli<br />

di cultura e altri discorsi inattuali, Meltemi, Roma 1997, passim.<br />

35 Cfr. ad es. DEDIEU J.-P., L’Inquisizione, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI)<br />

2003 (1987), p. 6.<br />

36 Ivi, pp. 76 e 77; MERLO G.G., Eretici ed eresie medievali, Il Mulino, Bologna<br />

1989, p. 10.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

umane, 37 ma compatibile – suppongo – anche con uno studio<br />

storiografico aperto alla logica del Verstehen. 38<br />

All’inizio della ricerca avevo formulato una serie di ipotesi<br />

alla luce del «secolare pregiudizio» colto da diversi angoli<br />

prospettici. In particolare, avevo pensato di occuparmi di<br />

quattro ambiti o aspetti del preconcetto antimedievale: quello<br />

della solidarietà e dei diritti umani 39 , all’interno del quale<br />

avrei considerato soprattutto i nodi problematici delle crociate<br />

40 e dell’Inquisizione, 41 quello della condizione femminile,<br />

42 quello della presunta ignoranza e, infine, quello del-<br />

37 Cfr. CHAKRABARTY D., Storia, cit., p. 146.<br />

38 Vd. infra paragrafo 3.<br />

39 Intorno all’influenza del pensiero cristiano medievale ai fini dell’elaborazione<br />

della nozione di “diritti umani” cfr. FACCHI A., Breve storia dei diritti<br />

umani, Il Mulino, Bologna 2007, pp. 26-27, 37 et alibi. Altre indicazioni sull’incidenza<br />

del cristianesimo medievale sulla solidarietà sociale e sul tramonto<br />

della schiavitù si trovano in BLOCH M., Come e perché finì la schiavitù antica, in<br />

ID., Lavoro e tecnica nel Medioevo, Laterza, Roma-Bari 2001 3 (1947), pp. 221-63;<br />

DOLZA L., Storia della tecnologia, Il Mulino, Bologna 2008, p. 51; FROMM E.,<br />

Psicanalisi della società contemporanea, Mondadori, Milano 1987 (1955), pp. 95-<br />

96; GUGLIELMI N., Il medioevo degli ultimi. Emarginazione e marginalità nei secoli<br />

XI-XIV, Città Nuova, Roma 2001, passim; LE GOFF J., Il Medioevo. Alle origini<br />

dell’identità europea, Laterza, Roma-Bari 2003 7 (1996), pp. 53-54; PERNOUD R.,<br />

Le rane e gli uomini, in EAD., Medioevo, cit., pp. 87-99.<br />

40 FLORI J., La cavalleria medievale, Il Mulino, Bologna 2002 (1998), passim; ID.,<br />

Le crociate, Il Mulino, Bologna 2003 (2001), passim; HÖFFNER J., La dottrina<br />

sociale cristiana, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1986 3 (1983), p. 237.<br />

41 CARDINI F.-MONTESANO M., La lunga storia dell’Inquisizione. Luci e ombre della<br />

“leggenda nera”, Città Nuova, Roma 2005, passim; DEDIEU J.-P., op. cit., passim;<br />

MEREU I., Storia dell’intolleranza in Europa, Bompiani, Milano 1988, passim;<br />

PERNOUD R., L’indice accusatore, in EAD., Medioevo, cit., pp. 119-142.<br />

42 Vd. ad es. CONTE F., Gli slavi. Le civiltà dell’Europa centrale e orientale, Einaudi,<br />

Torino 1991 (1986), pp. 161-201; DUBY G., Il potere delle donne nel Medioevo, Laterza,<br />

Roma-Bari 2001 (1995), passim; LE GOFF J., Il Medioevo, cit., p. 105; cfr. anche<br />

PERNOUD R., La donna priva di anima, in EAD., Medioevo, cit., pp. 101-117.<br />

45


46<br />

Franz Brandmayr<br />

l’anticlericalismo 43 . A un certo punto dell’indagine questo progetto<br />

si è rivelato essere decisamente troppo vasto rispetto<br />

alle caratteristiche della presente pubblicazione, perciò, ho<br />

voluto ridimensionarlo notevolmente, limitandomi a considerare<br />

più in particolare una sola di queste tematiche e operando<br />

– al limite – qualche digressione più o meno ampia con riferimento<br />

alle rimanenti piste di ricerca.<br />

Fra le quattro opportunità ho inteso privilegiare quella offerta<br />

dalla presa in esame della presunta ignoranza 44 del Medioevo. I<br />

topoi della staticità intellettuale e dell’oscurantismo retrivo, dell’incapacità<br />

innovativa in ambito tecnico e del supposto culto della<br />

ripetizione in ossequio alle auctoritates sono fra i più significativi<br />

nella rappresentazione del Medioevo e, se si vuole, sono anche<br />

quelli che influenzano sensibilmente gli altri stereotipi, quasi dei<br />

corollari, della brutalità e della prevaricazione della donna. Anche<br />

il tema dell’anticlericalismo non potrà non emergere – fra l’altro –<br />

anche per la strettissima correlazione che, notoriamente, intercorre<br />

fra la cultura medievale e l’ordo dei clerici. 45<br />

2. Falsificazione o selettività?<br />

Dopo quanto premesso credo che, a fornire qualche spunto su<br />

quanto già da molto tempo conosciamo intorno al Medioevo,<br />

possano contribuire alcuni strumenti concettuali ricavati<br />

43 Vd. un accenno in questo senso in PORCARELLI A., op. cit.<br />

44 PERNOUD R., op. cit., p. 45.<br />

Humanas actiones non ridere, non lugere neque<br />

detestari, sed intelligere. 46<br />

45 FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M., L’intellettuale, in LE GOFF J. (a cura di),<br />

L’uomo medievale, Laterza, Roma-Bari 1999 13 (1987), p. 205.<br />

46 SPINOZA B., Tractatus teologico-politicus, Einaudi, Torino 1958 (1670), 1, 4.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

dall’etno-antropologia, dalla psicologia sociale e dalla sociologia,<br />

che consentono di limitare, almeno in parte, l’influenza derivata<br />

da una lettura storica troppo semplicistica come è, qualche volta,<br />

quella riportata dai manuali scolastici e, come abbiamo visto,<br />

da certa divulgazione mediatica. I concetti di cui scriverò potrebbero<br />

– in effetti – consentirci di prendere maggiore consapevolezza<br />

di una serie di “impliciti del discorso”. 47<br />

Alla domanda da cui parto, che non vorrebbe essere retorica,<br />

potrà rispondere l’eventuale lettore integrando nel proprio<br />

bagaglio concettuale gli strumenti che cercherò di fornirgli<br />

lungo il percorso. Credo il quesito non abbisogni di soverchie<br />

spiegazioni: mi pare sia abbastanza chiara la differenza fra<br />

l’azione consapevole della falsificazione e, invece, l’eventuale<br />

inconscia (o parzialmente inconscia) selezione delle notizie<br />

congruenti con la propria concezione del mondo effettuata<br />

ad opera dell’autore che scrive di Medioevo. 48 È appena il caso<br />

di aggiungere che la risposta del lettore potrà riguardare, ovviamente,<br />

solo ed esclusivamente i pochi testi che saranno oggetto<br />

della nostra analisi e, perciò, senza alcuna pretesa di dare<br />

risposte totali a un problema, la cui risoluzione comporterebbe<br />

un rilevamento empirico da effettuarsi all’interno di un campione<br />

di ben più vaste proporzioni.<br />

2.1. Schemi culturali, stigmatizzazione ed epoché<br />

Gli studiosi registrano la tendenza di ogni epoca storica, gruppo<br />

sociale, cultura a giudicare le epoche, i gruppi sociali e le<br />

culture “altri” (out-groups) secondo i parametri peculiari del pro-<br />

47 Vd. SBISÀ M., Detto non detto. Le forme della comunicazione implicita, Laterza,<br />

Roma-Bari 2007, passim.<br />

48 GILI G., Il problema della manipolazione: peccato originale dei media?, Franco Angeli,<br />

Milano 2001, p. 119.<br />

47


48<br />

Franz Brandmayr<br />

prio gruppo di appartenenza 49 (in-group) 50 . È certo che gli scienziati<br />

sociali e – in particolare – gli etnoantropologi hanno fatto<br />

della differenza culturale 51 il loro campo specifico di osservazione<br />

e di riflessione. Almeno teoricamente essi dovrebbero<br />

essere particolarmente consapevoli della pervasiva influenza degli<br />

schemi culturali 52 del ricercatore sugli strumenti concettuali (che<br />

si vorrebbero “oggettivi”), che questi adopera nel suo lavoro.<br />

Tuttavia non manca certo anche fra gli storici chi prende molto<br />

sul serio il rischio di contrabbandare per indagine storiografica<br />

ciò che è frutto, invece, di meri giudizi di valore.<br />

Il problema non è di poco conto; intorno alla questione si<br />

sono scritti fiumi di parole e non mi illudo certamente di poter<br />

dire una parola definitiva in merito. A mio avviso, però, certa<br />

produzione storiografica e – chissà – forse anche un certo tipo di<br />

insegnamento della storia potrebbero essere inclini a esercitarsi<br />

troppo poco – o troppo maldestramente – a fare tabula rasa 53 , in<br />

particolare, degli idola fori e degli idola theatri 54 della propria epoca<br />

storica o del proprio gruppo sociale di appartenenza.<br />

In che misura l’osservatore può considerarsi immune da queste<br />

categorie prevalenti (stereotipi ed etichettazioni), se esse sono<br />

incorporate nella sua cultura? […] nulla garantisce automaticamente<br />

l’immunità del ricercatore dai pregiudizi […] la pretesa<br />

che le scienze umane si siano liberate del linguaggio e delle cate-<br />

49 STRUFFI L.-POLLINI G., s.v. Appartenenza, in DEMARCHI F.-ELLENA A.-<br />

CATTARINUSSI B. (a cura di), op. cit., pp. 155-168.<br />

50 Cfr. MALIGHETTI R., s.v. Etnocentrismo, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di),<br />

op. cit., pp. 273-274.<br />

51 HANNERZ U., La diversità culturale, Il Mulino, Bologna 2001 (1996), passim.<br />

52 Cfr. TENTORI T., Antropologia culturale, Studium, Roma 1960, p. 19.<br />

53 Sui limiti storiografici dell’utilizzo di questo strumento concettuale<br />

«cartesiano» vd. PERNOUD R., op. cit., pp. 170-171.<br />

54 BACONE F., Novum organum, La Scuola, Brescia 1968 (1620), I, pp. 264-266.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

gorie di senso comune è solo una pia illusione […] L’implicazione<br />

nella cultura retroagisce sull’osservatore […] in un gran numero<br />

di modi, spesso indiretti e scarsamente visibili […] Molto<br />

frequentemente, il solo fatto di formulare un problema relativo a<br />

un oggetto contiene un pregiudizio implicito che qualifica in<br />

modo distorto quell’oggetto, indipendentemente dalla buona<br />

volontà o dalla correttezza procedurale del ricercatore […] Gli<br />

orizzonti di senso comune […] non sono semplici dimensioni<br />

cognitive […] vincolano chi vi si riconosce al mantenimento di<br />

gerarchie, di micropoteri, di inclusioni e di esclusioni […] sostengono<br />

le forme di identità, le appartenenze, quel senso del<br />

“noi” che è essenziale alla vita di ogni comunità. 55<br />

Probabilmente nel prendere in considerazione il Medioevo<br />

questo sforzo, che è di autoanalisi e di autoeducazione, non risulta<br />

essere sempre facile: uno storico contemporaneo si sente «gelare<br />

il sangue» quando legge le pene previste nei penitenziali monastici<br />

irlandesi per infrazioni alla regola che noi, donne e uomini<br />

del Terzo millennio, riterremmo assolutamente irrilevanti. 56<br />

Parimenti, ci rallegriamo di non dover più manifestare la nostra<br />

piena appartenenza al gruppo con assordanti urla corali 57 e dopo<br />

avere attraversato le durissime prove iniziatiche dei berserkr 58 ger-<br />

55 DAL LAGO A., I nostri riti quotidiani. Prospettive nell’analisi della cultura, Costa &<br />

Nolan, Genova 1995, pp. 12-13.<br />

56 LAWRENCE C.H., Il monachesimo medievale. Forme di vita religiosa in Occidente, San<br />

Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1993 (1989), pp. 76-78; cfr. DAWSON CH., op.<br />

cit., p. 77; PENCO G., Il monachesimo, Mondadori, Milano 2000, p. 85.<br />

57 Per la verità certe forme espressive degli ultras negli stadi di calcio mi<br />

dissuadono ancora dal cantare la vittoria definitiva della dea ragione nel nostro<br />

vecchio Occidente [cfr. BROMBERGER C., La partita di calcio. Etnologia di<br />

una passione, Ed. Riuniti, Roma 1999 (1995), passim; DAL LAGO A., Descrizione<br />

di una battaglia. I rituali del calcio, Il Mulino, Bologna 2001 2 (1990), passim].<br />

58 ELIADE M., La nascita mistica. Riti e simboli d’iniziazione, Morcelliana, Brescia<br />

1988 3 (1958), pp. 125-130.<br />

49


50<br />

Franz Brandmayr<br />

manici, anche se i progressi forse più significativi rispetto agli antenati<br />

europei del Nord sembrano riguardare – piuttosto che una<br />

maggiore propensione alla vita pacifica – la nostra maggiore dimestichezza<br />

con l’acqua… 59 Considerare i contadini alla stregua<br />

di «mostri appena umani» 60 , trasformare un mite rabbì ebreo in un<br />

konung, un re sassone in armi, 61 percorrere in massa strade e villaggi<br />

infliggendosi penitenze le più sanguinose, 62 praticare i crudeli<br />

rituali carnevaleschi… 63<br />

Che cosa rimane da fare a chi si accinge a studiare questa<br />

realtà storica così distante? Gli “stigmi” – così li chiamano certi<br />

antropologi – della superstizione, della brutalità (anche<br />

masochista), dell’autoritarismo, della rozzezza dei costumi, dell’ottusità,<br />

dell’aggressività più selvaggia, del disprezzo degli umili<br />

e altri ancora sembrerebbero potersi applicare senza esitazione<br />

alcuna ai pochi esempi richiamati. Potremmo non sentirci indotti<br />

a svolgere neanche un’opportuna verifica documentale,<br />

tanto essi paiono scontati nella loro chiarezza, inoltre continuamente<br />

rievocata e ribadita dai media. 64 Essi – gli stigmi –<br />

indica{no} un attributo (fisico o morale) profondamente dispre-<br />

59 CONTE F., op. cit., pp. 117-118.<br />

60 Cfr. LE GOFF J., I contadini e il mondo rurale nella letteratura dell’alto Medioevo<br />

(secoli V e VI), in ID., Tempo, cit., p. 107.<br />

61 GUREVIČ A.J., op. cit., pp. 78-79.<br />

62 TOSCHI P., s.v. Flagellanti, in AA.VV., Enciclopedia Cattolica, Ente per l’Enciclopedia<br />

Cattolica e per il Libro Cattolico – Sansoni, Città del Vaticano – Firenze<br />

1950, vol. V, cc. 1439-1441.<br />

63 Cfr. ad es. BACHTIN M., L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale<br />

e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, Einaudi, Torino 1979<br />

(1965), passim.<br />

64 Vd. il concetto di «manipolazione per inondazione», che risulta funzionale<br />

alla creazione di pseudo-eventi in GILI G., op. cit., pp. 244-250: una “verità”<br />

continuamente proclamata alla fine diventa tale anche se non lo è.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

giativo e [...] mett{ono} in relazione tale attributo con gli stereotipi<br />

relativi alla “normalità”, espressi dalla cultura dominante 65 ,<br />

cultura dominante che – in questo caso – neanche a dirlo, è<br />

quella occidentale attuale: secolarizzata, urbanizzata, postborghese,<br />

ispirata alla “gabbia di ferro” della razionalizzazione<br />

weberiana, postindustriale, telematica, individualistica 66 (talvolta<br />

fino al narcisismo) 67 , consumistica, 68 tesa a dare attuazione<br />

la più completa al freudiano principio di piacere e via<br />

dicendo.<br />

Da almeno tre secoli nelle “descrizioni” medievalistiche del<br />

discorso comune, dove abbondano delle autentiche “clave<br />

terminologiche” – fortemente peggiorative – come «feudale»,<br />

«gotico», 69 «barbaro/barbarico» 70 ecc. sembrano manifestarsi una<br />

sovrabbondanza di alterità, un divario incolmabile e gli stigmi<br />

rispondono proprio all’esigenza di contenere una diversità<br />

debordante, eccessiva. Nel campo della verbalizzazione, infatti,<br />

essi ottemperano alla funzione di esorcizzare ciò che è “strano”,<br />

“estraneo”, “straniero”, “forestiero”, in quanto viene “da<br />

65 AIME M., s.v. Stigma, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., p. 709; le<br />

parentesi quadre sono mie. Nel corso della trattazione potrò usare come<br />

quasi-sinonimi anche le espressioni etichetta categoriale o etichettazione (vd.<br />

supra nt. 28) adoperate, solitamente, dagli psicologi sociali.<br />

66 Vd. ad es. BAUMAN Z., La società individualizzata. Come cambia la nostra esperienza,<br />

Il Mulino, Bologna 2002 (2001), passim.<br />

67 LASCH CH., La cultura del narcisismo, Bompiani, Milano 2001 4 (1979), passim.<br />

68 Cfr. ad es. il classico BAUDRILLARD J., La società dei consumi, Il Mulino, Bologna<br />

1976, passim.<br />

69 PERNOUD R., op. cit., pp. 80-86.<br />

70 Come è noto si tratta, inoltre, di un’espressione pesantemente connotata in<br />

senso italocentrico e francocentrico [AZZARA C., Le invasioni barbariche, Il<br />

Mulino, Bologna 1999, p. 9; cfr. anche WOLFRAM H., I germani, Il Mulino,<br />

Bologna 2005 (1997), p. 89].<br />

51


52<br />

Franz Brandmayr<br />

fuori” rispetto al gruppo-noi. 71 Sotto questo profilo corrispondono<br />

funzionalmente a quanto mirano a realizzare le liturgie<br />

apotropaiche nell’ambito della ritualità.<br />

Ritengo di semplificare l’esposizione eleggendo a terreno<br />

di fondazione di alcune delle mie ipotesi sugli stigmi o<br />

etichettazioni soprattutto un testo della fine degli anni Novanta.<br />

La Breve storia delle grandi scoperte scientifiche di Giovanni<br />

Caprara dedica soltanto ventidue pagine al Medioevo, 72 ma il<br />

volume mi sembra rappresentare validamente un certo tipo di<br />

approccio divulgativo al nostro tema. Mentre fornisce notizie<br />

sullo stato della scienza nel Terzo secolo, il nostro «giornalista<br />

scientifico del “Corriere della Sera”», autore di diversi volumi<br />

e premiato per la sua attività di divulgazione scientifica, 73 sintetizza<br />

lapidariamente un millennio e più di storia con due<br />

brevi frasi introduttive della storia alla scienza medievale. Secondo<br />

me queste due proposizioni – vergate con accenti<br />

apodittici – potrebbero rappresentare emblematicamente la<br />

diffusa pratica della stigmatizzazione antimedievale per il tramite<br />

dell’etichettazione oscurantistica. Ecco la prima:<br />

I padri della Chiesa rifiutavano la cultura classica perché la ritenevano<br />

troppo compromessa con la religione pagana. 74<br />

Un asserto di questo genere presenta notevoli errori e lacune<br />

anche se lo si voglia riferire al solo alto Medioevo, ma l’Autore<br />

non lo integra né lo ridimensiona nel prosieguo dell’esposi-<br />

71 Vd. infra nt. 289.<br />

72 CAPRARA G., Breve storia delle grandi scoperte scientifiche, Bompiani, Milano 1999 2<br />

(1998), pp. 43-64.<br />

73 Ivi, quarta di copertina.<br />

74 Ivi, p. 42.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

zione, lasciando – con ciò – intendere che tale situazione perduri<br />

addirittura per tutta l’età medievale.<br />

Un’analisi, ancorché generica, delle letterature patristica e<br />

scolastica nel loro rapporto di dipendenza e innovazione rispetto<br />

alla tradizione classica non si può neanche accennare in<br />

queste pagine. 75 Forse vale la pena di fare qualche richiamo,<br />

piuttosto, alla tradizione monastica occidentale, intorno alla<br />

quale gli storici non nutrono dubbi sul fatto che nel VI secolo<br />

l’intellettuale di origine siriaca (e già ministro di Teodorico)<br />

Cassiodoro creava «il primo esempio di monachesimo dotto e<br />

umanistico, che conciliava l’otium classico e la preghiera» 76 . In<br />

Italia egli agì soprattutto nell’ambiente calabrese e i suoi scritti<br />

si diffusero, pare, fino all’ambiente romano e alla biblioteca<br />

papale del Laterano in particolare, 77 da dove – secondo alcuni<br />

– la sua influenza si sarebbe propagata a tutte le successive<br />

esperienze monastiche occidentali. A lui si devono, fra le altre<br />

cose, la composizione di «una vera e propria ratio studiorum», di<br />

un autentico «programma enciclopedico […] tracciato con<br />

l’esame delle sette arti liberali […] nella linea degli enciclopedisti<br />

del tardo mondo antico [… (che)] prepara l’avvento di quelli<br />

dell’Alto Medioevo, Isidoro, Beda, Rabano Mauro».<br />

75 Una prima introduzione al tema si può ricavare, da un punto di vista teologico,<br />

in RAHNER K.-VORGRIMLER H., s.v. Patristica, in IID., Dizionario di teologia,<br />

Herder-Morcelliana, Roma-Brescia 1968, pp. 475-476; da una prospettiva filosofica<br />

vd. VANNI ROVIGHI S., s.v. Aristotelismo, in AA.VV., Dizionario teologico<br />

interdisciplinare, Marietti, Casale Monferrato (AL) 1977, vol. I, pp. 419-423; EAD.,<br />

s.v. Platonismo, in AA.VV., Dizionario, cit., vol. II, pp. 731-735. Anche in ambito<br />

manualistico una sintesi critica argomentata e in totale disaccordo con il Caprara<br />

viene proposta da CONTE G.B.-PIANEZZOLA E., Corso integrato di letteratura latina,<br />

5, La tarda età imperiale, Le Monnier, Firenze 2004, pp. 146-147.<br />

76 AA.VV., s.v. Cassiodoro, in IID., Enciclopedia Garzanti di filosofia, Garzanti, Milano<br />

1982 2 (1981), p. 130.<br />

77 PENCO G., op. cit., p. 47.<br />

53


54<br />

Franz Brandmayr<br />

Egli getta, inoltre, «le basi di tutta la morfologia della cultura<br />

medievale», nella quale la cultura greca e quella latina, quella sacra<br />

e quella profana vengono impostate nei loro sviluppi futuri. 78<br />

Di lì a poco sarà il monachesimo benedettino a farsi via via<br />

promotore di istanze culturali di portata sempre crescente, operando<br />

una sintesi fra la humanitas ereditata dalla cultura romana<br />

e le esigenze di un evangelismo radicale mutuato dalle esperienze<br />

monastiche copte e siriache. 79 Ne scaturirà uno stile cenobitico<br />

originale, praticato secondo modalità autoctone «latine»<br />

80 ; ciò costituirà la premessa indispensabile alla creazione<br />

di una sorta di identificazione della romanitas e della christianitas,<br />

81 che si realizzerà fin dall’epoca altomedievale. 82 I rigori<br />

ascetici degli anacoreti e dei monaci orientali troveranno nel<br />

movimento benedettino un’interpretazione meno austera, 83<br />

progressivamente sempre più aperta alla dimensione culturale,<br />

84 di cui è opportuno sottolineare la «polivalenza» 85 sotto<br />

vari profili: le interpretazioni – diversificate a seconda delle<br />

78 Ivi, pp. 46-47; parentesi rotonda dello scrivente; cfr. anche ivi, pp. 48 e 176.<br />

79 Ivi, pp. 32-33.<br />

80 LAWRENCE C.H., op. cit., pp. 100-104; TURBESSI G., Il monachesimo in Occidente<br />

fino a S. Benedetto (c. 480-547), in ID., Ascetismo e monachesimo prebenedettino,<br />

Studium, Roma 1961, pp. 134-148.<br />

81 ULLMANN W., Radici del Rinascimento, Laterza, Bari-Roma 1980 (1977), p. 36;<br />

DAWSON CH., op. cit., p. 37 riferisce che «“Romano” e “cristiano” divennero<br />

quasi termini sinonimi» (cfr. anche ivi, pp. 63 e 81). Il terzo e il quarto elemento<br />

dell’amalgama culturale della Civiltà occidentale saranno quello<br />

germanico-pagano (ULLMANN W., op. cit., p. 29) e quello «“tradizionale” delle<br />

vecchie culture indigene» (LE GOFF J., Guerrieri e borghesi rampanti. L’immagine<br />

della città nella letteratura francese del secolo XII, in ID., L’immaginario, cit., p. 32).<br />

82 Ivi, p. 3.<br />

83 LAWRENCE C.H., op. cit., p. 69; PENCO G., op. cit., pp. 60 ss.<br />

84 Cfr. infra le nt. 91 e 95.<br />

85 PENCO G., op. cit., p. 175.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

situazioni – del contemptus mundi e l’enorme varietà delle attività<br />

culturali (teologia monastica, 86 letteratura, scienze e arti, 87<br />

scriptoria e biblioteche 88 ), della quale non è possibile rendere<br />

ulteriormente conto in queste pagine. 89 Si tratta di un’opera<br />

immensa, efficacemente riassunta nel celebre motto ora et labora,<br />

che in seguito, allargata ad altre componenti ecclesiali e<br />

sociali, fonderà, secondo molti autori senza possibilità di equivoco,<br />

l’edificio della Civiltà occidentale. 90 L’influsso poderoso<br />

dei benedettini diventerà ancor più trainante nei secoli X-XII 91<br />

e riguarderà in maniera eminente, oltre l’avanzamento tecnologico<br />

92 , tanto gli aspetti dell’alfabetizzazione e dell’istruzione<br />

quanto la cultura dotta. 93<br />

È sul fondamento monastico, quindi, che si costruisce la<br />

cultura medievale nel suo rapporto con i classici greci e latini.<br />

Questi sarebbero stati trascurati, oppure selezionati a seconda<br />

delle esigenze di «purificazione» della Chiesa 94 o addirittura cen-<br />

86 Ivi, pp. 181-186.<br />

87 Ivi, pp. 186-192.<br />

88 Ivi, 192-193.<br />

89 Cfr. anche MICCOLI G., Il monaco, in LE GOFF J. (a cura di), L’uomo medievale,<br />

cit., p. 48 et passim.<br />

90 Cfr. ad es. CHABOD F., op. cit., pp. 162-163; CROCE B., “Perché non possiamo non<br />

dirci cristiani”, in “La Critica”, XL (1942), pp. 289 ss; DAWSON CH., op. cit., pp.<br />

26-27 et alibi; NOBLE D.F., La religione della tecnologia. Divinità dell’uomo e spirito<br />

d’invenzione, Comunità, Torino 2000 (1997), pp. 4-5.<br />

91 DOLZA L., op. cit., p. 52; MICCOLI G., op. cit., pp. 56-68 dal punto di vista<br />

dell’importanza storica del fenomeno monastico definisce questo periodo<br />

come gli aurea saecula.<br />

92 Vd. infra paragrafo 2.3.<br />

93 GRAFF H.J., Storia dell’alfabetizzazione occidentale, 1, Dalle origini alla fine del<br />

medioevo, Il Mulino, Bologna 1989 (1987), p. 22; LAWRENCE C.H., op. cit., p. 65.<br />

94 Cfr. MICCOLI G., op. cit., p. 75.<br />

55


56<br />

Franz Brandmayr<br />

surati e messi in ombra. Anche tutto ciò è senz’altro vero (almeno<br />

fino all’epoca carolingia) 95 , ma, al contempo,<br />

ci si è potuti accorgere che, in effetti, nel Medioevo, gli autori<br />

latini, e anche quelli greci, erano già parecchio conosciuti e […]<br />

l’apporto del mondo antico, classico o no che fosse, era a quell’epoca<br />

lontano dall’essere disprezzato o rifiutato. 96<br />

Non va ignorato, inoltre, il fatto che persino nei cosiddetti<br />

«anni bui» 97 (V-VII) non si potesse parlare di ignoranza del latino<br />

neanche tra gli stessi laici, 98 fra i quali si potevano annoverare<br />

delle donne nonché «alcuni barbari» 99 .<br />

Già all’epoca di Carlomagno e, ancor di più, al tempo di Bernardo<br />

da Chiaravalle la conoscenza degli autori greci e latini<br />

viene coltivata al punto che «taluni studiosi […] hanno parlato<br />

allora di una “Rinascita carolingia” […] di “Rinascita del XII<br />

secolo”, o anche di “umanesimo medievale”» 100 anche con un<br />

riferimento preciso alla frequentazione dei classici. Perciò, almeno<br />

per quanto riguarda il latino, l’idioma e i testi sarebbero<br />

sempre stati «fascinosi» per la civiltà medievale presa nel suo<br />

95 Va precisato che LAWRENCE C.H., op. cit., p. 78 osserva una più spiccata<br />

libertà di spirito presso i monaci irlandesi, che – come è noto – operarono in<br />

gran parte dell’area centro-occidentale del continente e diffusero la sensibilità<br />

verso la cultura classica (DAWSON CH., op. cit., pp. 71-77) proprio nel periodo<br />

in cui i benedettini ne fecero talora oggetto di ascetica diffidenza.<br />

96 PERNOUD R., op. cit., pp. 20-21; cfr. anche LE GOFF J., Prefazione, in ID.,<br />

L’immaginario, cit., p. XX.<br />

97 GRAFF H.J., op. cit., p. 69; cfr. LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., p. XVI.<br />

98 Sull’alfabetizzazione dei chierici e dei monaci, peraltro, non è bene operare<br />

troppe generalizzazioni; lo stesso discorso si pone intorno alla loro conoscenza<br />

del latino; cfr. infra nt. 267.<br />

99 GRAFF H.J., op. cit., p. 72.<br />

100 PERNOUD R., op. cit., p. 21.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

complesso e non soltanto fra il 1380 e il 1450. 101 Per quanto<br />

concerne il latino liturgico, inoltre, Graff rileva che esso sarebbe<br />

stato conosciuto in misura persino maggiore fra le donne e<br />

per tutto l’arco temporale del Medioevo. 102<br />

In definitiva, secondo Garin il pensiero cristiano medievale,<br />

dopo «secoli di meditazione», di «critica insistente, inesorabile e<br />

sempre più consapevole della concezione classica»,<br />

si impadroniva delle armi dell’avversario, pur col pericolo, scendendo<br />

sul suo terreno ed usando i suoi mezzi, di confondersi con esso;<br />

che è l’impressione che, dalla patristica in poi, dà così spesso il pensiero<br />

medievale, tutto fatto di apparenti ritorni e di strani miscugli:<br />

platonismo, stoicismo, neoplatonismo, aristotelismo, averroismo,<br />

fino a pervenire alla «formulazione cosciente, e cioè filosofica<br />

[…] della propria concezione, e delle proprie ragioni» 103 . Peraltro,<br />

è noto che una delle più profonde operazioni culturali dell’intero<br />

percorso filosofico europeo è consistita nella faticosa adozione<br />

del sistema aristotelico nel XIII secolo, 104 a riprova di un rapporto<br />

con la classicità vissuto intensamente e ricco di sviluppi originali.<br />

La Pernoud ricorda ancora che «i cataloghi delle biblioteche<br />

che ci sono stati conservati […] provano abbondantemente»<br />

che non fu la caduta di Costantinopoli (1453), se non in minima<br />

parte, a determinare «l’introduzione in Europa delle biblioteche<br />

di autori antichi conservate a Bisanzio» 105 .<br />

101 GRAFF H.J., op. cit., p. 162; cfr. ULLMANN W., op. cit., p. 35.<br />

102 GRAFF H.J., op. cit., p. 119.<br />

103 GARIN E., La crisi del pensiero medievale, in ID., Medioevo e Rinascimento. Studi e<br />

ricerche, Laterza, Roma-Bari 1980 3 (1950), p. 18.<br />

104 PERNOUD R., op. cit., p. 162.<br />

105 Ivi, p. 22; cfr. LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., p. XX, ove<br />

l’Autore menziona il «ritorno all’antico» fin dal secolo XIII e l’«invasione di<br />

Aristotele» nelle forme scultoree dei Pisano.<br />

57


58<br />

Franz Brandmayr<br />

Dai semplici richiami prodotti scaturisce – pertanto – una<br />

notevole ricchezza di sfumature, di situazioni diversificate a seconda<br />

dei vari segmenti sociali, cui andrebbero aggiunte le diversità<br />

rispetto alle aree geografiche. Si tratta di differenze, delle<br />

quali una divulgazione, effettuata sulla scorta di studi specialistici<br />

non si sa quanto fondati e che si esprime con affermazioni<br />

lapidarie, non sembra riuscire a rendere ragione neanche approssimativamente.<br />

Caprara insiste nel proporre l’immagine di un Medioevo oscurantista,<br />

cui continua a soggiacere il tema, che a lui pare fondamentale,<br />

del rapporto antitetico fra la scienza e la religione:<br />

Se nei secoli precedenti, l’ondata di misticismo aveva demolito<br />

l’interesse per la scienza, ora l’insistenza sui temi della salvezza e<br />

della fede predicati come fondamentali e prioritari rafforzava ed<br />

ampliava l’opera di chiusura culturale. E quando non si dimostrava<br />

avversione si esibiva indifferenza. 106<br />

Sulla fragilità documentaria di un’affermazione tanto lontana<br />

dalla realtà abbiamo già scritto qualcosa per quanto riguarda il<br />

rapporto con i classici; per quanto concerne lo spirito di invenzione,<br />

invece, dovremo soffermarci ancora oltre. 107 Già a questo<br />

punto mi piace, però, richiamare un passo di Bertrand Russell,<br />

uno dei tanti del suo Misticismo e logica, che può contribuire a liberare<br />

dai gravami del pregiudizio questo tema, che i più affrontano<br />

in una condizione di coinvolgimento preconcetto:<br />

Anche la cauta e paziente ricerca della verità per mezzo della<br />

scienza, che sembra l’assoluta antitesi dell’incrollabile certezza<br />

106 CAPRARA G., op. cit., p. 42.<br />

107 Vd. infra paragrafo 2.3.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

del mistico, può essere incoraggiata e nutrita da quell’autentico<br />

spirito di venerazione nel quale il misticismo vive e opera. 108<br />

Punto di vista dell’osservatore, da una parte, e società, cultura,<br />

civiltà osservata, dall’altra: come stabilire un rapporto corretto<br />

con l’oggetto dello studio storiografico? Credo non vi sia<br />

indagine seria, non c’è scienza storica senza una sospensione<br />

del giudizio, 109 cioè senza la messa tra parentesi dei propri schemi<br />

culturali da parte del ricercatore. È umano, umanissimo provare<br />

sentimenti di ripulsa o assumere atteggiamenti irridenti di<br />

fronte a palesi manifestazioni di differenza culturale, ma essi<br />

vanno considerati per quello che sono: mere reazioni emotive,<br />

oltre che difensive. Nella migliore delle ipotesi, se vengono inserite<br />

in un quadro filosofico coerente, potrà trattarsi di riflessioni<br />

etiche, ma quando i piani filosofico-morale e storiografico<br />

vengono sovrapposti fino a confondersi, difficilmente il discorso<br />

eviterà uno slittamento su di un piano puramente moraleggiante<br />

e – con ciò – antiscientifico. 110<br />

108 RUSSELL B., Misticismo e logica, in ID., Misticismo e logica e altri saggi, Longanesi,<br />

Milano 1970 (1914), p. 12; cfr., da un punto di vista antropologico-culturale,<br />

BASTIDE R., Un misticismo senza dei, in ID., Il sacro selvaggio, Jaca Book, Milano<br />

1979 (1931), p. 22. Sul rapporto fra mistica e spirito innovativo possono<br />

risultare interessanti anche le riflessioni riportate nei paragrafi 2.3. e 2.4.<br />

109 Si tratta, come è noto, dell’poc» = epoché; vd. ABBAGNANO N., s.v. Epoché,<br />

in ID., op. cit., pp. 309-310. Nella traduzione tedesca il lemma presenta sfumature<br />

quasi ascetiche: Ausschaltung significherebbe, quindi, «esclusione»<br />

ed «eliminazione» (MACCHI V., s.v., in ID., Dizionario Sansoni. Tedesco-Italiano.<br />

Italiano-Tedesco, Sansoni, Firenze-Roma 1977) del proprio Io, delle proprie<br />

preoccupazioni di studioso (cfr. MARROU H.-I., op. cit., p. 78); la forma verbale<br />

ausschalten, inoltre, si adopera per indicare lo «spegnere» (ad es. di fonti<br />

di energia elettrica).<br />

110 WEBER M., La scienza come professione, in ID., Il lavoro intellettuale come professione,<br />

Einaudi, Torino 1966 (1919), pp. 18 e 26-27.<br />

59


60<br />

Franz Brandmayr<br />

2.2. Avalutatività, anacronismo, luoghi comuni ed etnocentrismo<br />

È quando lo studioso si colloca in una disposizione mentale di<br />

“avalutatività” 111 , dunque, che trova attuazione pratica la metodologia<br />

baconiana della tabula rasa, della almeno provvisoria disattivazione<br />

degli idola tribus e degli idola fori. Gli storici e – nondimeno<br />

– gli antropologi non coltivano più alcun mito della<br />

pura oggettività, 112 tuttavia caldeggiare questo genere di autoanalisi<br />

e autocontrollo nello studioso, ma anche nel docente e<br />

nello studente stessi, può «evitare (a tutti costoro) il vicolo cieco<br />

[…] dell’anacronismo» 113 .<br />

Propriamente, l’anacronismo è un «errore in cui si cade attribuendo<br />

certi fatti ad un’epoca diversa da quella in cui sono avvenuti»<br />

114 . Si tratta, in buona sostanza, di un meccanismo proiettivo,<br />

115 che può agire almeno in due modi, positivo il primo e<br />

negativo il secondo. Nel primo caso il soggetto può assegnare<br />

positivamente a un’epoca o a un personaggio del passato dei<br />

sentimenti o degli atteggiamenti che sono, in realtà, estranei all’epoca<br />

o al personaggio in questione. Come esempio richiamo<br />

quello portato dalla Pernoud, che scrive di come certi studiosi<br />

abbiano ascritto ad Abelardo una miscredenza e uno scetticismo,<br />

che non emergono assolutamente da una attenta e completa<br />

disamina documentaria. In studi parziali e – spesso – ela-<br />

111 ID., Il metodo delle scienze storico-sociali, Einaudi, Torino, 1981 2 (1922), pp.<br />

309-375.<br />

112<br />

MARROU H.-I., op. cit., p. 44.<br />

113 Ivi, p. 78 (parentesi rotonda mia).<br />

114<br />

DEVOTO G.-OLI G.C., s.v. Anacronismo, in IID., Il dizionario della lingua italiana,<br />

Le Monnier, Firenze 1995.<br />

115<br />

TOMAN W., s.v. Proiezione, in ARNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a cura di),<br />

Dizionario di psicologia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 19863 (1980), pp.<br />

894-895.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

borati sulla scorta di ricerche puramente compilative vengono<br />

fatte risaltare del teologo, invece, delle caratteristiche di presunta<br />

modernità che – perlomeno negli anni Settanta – erano date<br />

per acquisite pur in assenza di un adeguato approfondimento<br />

dei testi originali. 116<br />

La modalità negativa dell’anacronismo, invece, rivela una tendenza<br />

del soggetto a proiettare a ritroso lungo l’asse del tempo<br />

la propria energia psichica 117 nel senso di una colpevolizzazione<br />

dell’epoca o del personaggio considerati. Qui la negatività non<br />

va letta nel suo significato psicologico e morale (di acrimonia<br />

che, invece, può essere sottesa al lemma “colpevolizzazione”),<br />

bensì nel senso etimologico del mancato riscontro, ad opera del<br />

ricercatore, di una sintonia di atteggiamenti e sentimenti fra il<br />

periodo storico esaminato e il ricercatore stesso. In definitiva,<br />

questi attiva un meccanismo di difesa 118 (perché di questo in<br />

definitiva si tratta) mediante il quale egli, lo studioso, tutela – in<br />

qualche modo – la propria concezione del mondo e la propria<br />

gerarchia dei valori, rilevando, talvolta lamentando o, addirittura,<br />

deprecando la loro assenza o il loro misconoscimento nell’epoca,<br />

nel personaggio o nella cultura specifica che è chiamato<br />

a indagare e conoscere. Gli esempi in questo ambito potrebbero<br />

essere numerosi: valga per tutti il richiamo alla mentalità guerriera<br />

119 dell’uomo medievale, che indigna, forse giustamente, il<br />

pacifista europeo contemporaneo. Si potrebbe, forse, dare per<br />

scontata la capacità dello storico di professione – abituato a lavorare<br />

sui documenti – di evitare quell’anacronismo, per cui si<br />

proiettano sul Medioevo le sensibilità e le esperienze dei movi-<br />

116 PERNOUD R., op. cit., pp. 149-150.<br />

117 MULLER P., s.v. Psichica/energia, in ARNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a<br />

cura di), op. cit., p. 902.<br />

118 Cfr. TOMAN W., v. cit., p. 894.<br />

119 LE GOFF J., Il Medioevo, cit., pp. 36 e 100-107.<br />

61


62<br />

Franz Brandmayr<br />

menti pacifisti del secolo XX. 120 È possibile, però, che qualche<br />

insegnante e, più ancora, gli studenti risultino particolarmente<br />

esposti a questa ingenuità metodologica.<br />

Va detto che il meccanismo proiettivo di difesa sussiste anche<br />

nel primo tipo di anacronismo, quando – cioè – il soggetto<br />

si addentra a esplorare un’epoca, un personaggio, una cultura<br />

che portano valori dissonanti rispetto ai propri schemi culturali<br />

e tende a plasmare a propria immagine e somiglianza l’oggetto<br />

della propria ricerca per renderlo meno unheimlich 121 e, in qualche<br />

modo, più domestico e utilizzabile. 122 Una dinamica di questo<br />

genere si ripropone anche quando, con rialzismo cronologico<br />

123 patente, si cercano antenati illustri, che solitamente conferiscono<br />

prestigio e avvalorano la posizione culturale propria di<br />

chi effettua l’indagine, come probabilmente è accaduto nel caso<br />

della vulgata costruita intorno ad Abelardo e denunciata dalla<br />

Pernoud. È verosimile, inoltre, che un simile atteggiamento di<br />

riplasmazione della storia a immagine e somiglianza della memoria<br />

storica del proprio gruppo di appartenenza possa produrre<br />

più facilmente esiti configurabili come œpoj (= epos) collettivo<br />

piuttosto che come vera e propria storiografia. 124<br />

120 Per un’introduzione al tema vd. GIACOMINI M.R., Antimilitarismo e pacifismo<br />

nel primo Novecento. Ezio Bartalini e “La Pace”. 1903-1915, Franco Angeli, Milano<br />

1990, passim con le relative indicazioni bibliografiche.<br />

121 Tengo presente il concetto di Unheimlichkeit = «spaesamento» (HEIDEGGER<br />

M., Essere e tempo, Longanesi & C., Milano 1976 (1927), p. 548), cui ricollego<br />

l’aggettivo unheimlich, che significa: «sospetto», «poco rassicurante» (s.v. in<br />

MACCHI V., op. cit.).<br />

122 TULLIO-ALTAN C., Soggetto simbolo valore. Per un’ermeneutica antropologica,<br />

Feltrinelli, Milano 1992, pp. 26-32.<br />

123 CIRESE A.M., Cultura, cit., pp. 110-114.<br />

124 Lo spazio non consente di trattare l’importante argomento [per un primo<br />

approccio vd. ad es. PIVATO S., op. cit., p. 47-49; RICOEUR P., La memoria, la<br />

storia, l’oblio, Cortina, Milano 2003 (2000), passim; TRAVERSO E., Il passato: istru-


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

Il concetto di avalutatività, che vado richiamando in queste<br />

pagine, viene spesso confuso con un’improbabile asetticità (talvolta<br />

scambiata a sua volta con l’oggettività) di tipo veteropositivistico;<br />

essa affonda le proprie radici culturali – come è<br />

noto – nell’approccio sperimentale proprio delle scienze della<br />

natura. 125 L’entusiasmo ottocentesco per l’enorme sviluppo<br />

metodologico di questo ambito della conoscenza umana e la<br />

grande mole di risultati ottenuti sul piano strettamente cognitivo<br />

hanno finito per influenzare profondamente anche le scienze<br />

umane, facendo ritenere che lo storico, 126 il sociologo e<br />

l’antropologo 127 potessero osservare i fenomeni umani alla stregua<br />

dello scienziato nel suo laboratorio, impegnato con le proprie<br />

sperimentazioni in campo fisico o chimico. Tramontato del<br />

tutto – suppongo – fra gli storici questo tipo di sensibilità, esso<br />

non è per niente scomparso dal discorso comune, 128 quell’immenso<br />

terreno di gioco verbale nel quale tutti noi, studenti e<br />

insegnanti (e – nonostante tutto – anche gli storici), siamo immersi.<br />

È ancora Max Weber, però, a ricordarci che l’atteggiamento<br />

avalutativo non comporta affatto il rinnegamento delle<br />

appartenenze né delle personalissime concezioni del mondo del<br />

singolo ricercatore, dell’insegnante e dello studente; 129 il<br />

sociologo tedesco invita – semplicemente – a non confondere i<br />

zioni per l’uso. Storia, memoria, politica, Ombre Corte, Verona 2006, passim], decisivo<br />

anche per individuare le «strategie del discredito» [che sono: la «costruzione<br />

del nemico», la «disconferma» e l’«insinuazione» (GILI G., op. cit.,<br />

pp. 98-102)] dell’Età medievale e gli eventuali imprenditori delle stesse.<br />

125 GRANGER G.-G., La scienza e le scienze, Il Mulino, Bologna 1996, pp. 77-92.<br />

126 MARROU H.-I., op. cit., pp. 44 e 74.<br />

127 TULLIO-ALTAN C., Antropologia, cit., pp. 38-49.<br />

128 GEERTZ C., Antropologia interpretativa, Il Mulino, Bologna 1988 (1983), pp.<br />

91-117.<br />

129<br />

WEBER M., Il metodo, cit., p. 68.<br />

63


64<br />

Franz Brandmayr<br />

due piani: quello valutativo-etico personale e quello espositivo e<br />

analitico della materia considerata. Per di più – come si sa – lo<br />

studioso manifesta la propria onestà intellettuale nella misura in<br />

cui esplicita i presupposti metodologici e, al limite, ideologici<br />

dai quali prende le mosse la propria ricerca, offrendo – in questo<br />

modo – al destinatario del proprio lavoro gli strumenti atti a<br />

confutare, eventualmente, la tesi della quale lo studioso stesso si<br />

facesse portatore. 130<br />

Forse legata a questo atteggiamento positivistico di distanza<br />

e di osservazione dall’esterno, va menzionata anche una specie<br />

di ipercriticismo, che si presumeva dovesse sostanziare, in un<br />

certo immaginario collettivo non estraneo neanche agli storici,<br />

la ricerca storiografica di qualità:<br />

Storico […] era soprattutto il critico […] capace di scorgere<br />

l’interpolazione, smascherare il falsario, respingere un’attribuzione<br />

usurpata. Di qui […], a lungo andare, l’accentuazione di<br />

un atteggiamento odioso, che consisteva nel sottolineare ironicamente<br />

le altrui miserie e debolezze, una disposizione all’arroganza<br />

e al disprezzo; in definitiva, una sorta di incapacità a<br />

comunicare a riconoscere e ad accogliere – laddove esistessero<br />

– gli autentici valori umani. 131<br />

Si tratta dunque di un atteggiamento complessivo, che può inficiare<br />

un approccio storiografico o una esposizione storica corretti e che<br />

tende ad assommare le componenti valutative, stigmatizzanti e<br />

anacronistiche, che ho cercato di evidenziare sopra.<br />

Altre volte ancora chi scrive di Medioevo può fare ricorso a<br />

vari artifici retorici, talora piuttosto manifesti. Riporto qui brevemente<br />

un passaggio di un noto e peraltro validissimo manua-<br />

130 POPPER K., Congetture e confutazioni. Lo sviluppo della conoscenza scientifica, Fabbri,<br />

Milano 1998 2 (1962), vol. I, pp. 66-67 et circa.<br />

131 MARROU H.-I., op. cit., p. 88.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

le scolastico della fine degli anni Ottanta e cerco di confrontarlo<br />

con un’opera più recente, che ci permette di ipotizzare una<br />

possibile evoluzione nella tematizzazione della didattica<br />

medievalistica. Gli Autori, citando un passo di Le Goff dal registro<br />

quasi confidenziale, invitano a diffidare di una visione troppo<br />

rosea del rivalutato Medioevo:<br />

Se mi si permetterà di dare un consiglio assai grossolano, dirò al<br />

lettore che, di fronte a queste tentazioni di evasione verso un<br />

Medioevo trasfigurato, chieda onestamente a se stesso se gli piacerebbe,<br />

per virtù del mago Merlino […] essere trasportato in<br />

quel tempo e viverci. 132<br />

Questa soluzione scelta dai nostri per equilibrare i presunti<br />

eccessi di un certo revisionismo storico, oltre a prestare il fianco<br />

a una facile ironia (gli Autori del testo avrebbero ambito «onestamente»<br />

– forse – di «evadere» in qualche paradiso di una «trasfigurata»<br />

classicità, modernità o postmodernità? …), non riesce<br />

a nascondere le proprie connotazioni valutativa e retorica.<br />

Valutativa, in quanto gli Autori ritengono sia «importante non<br />

cadere nell’eccesso opposto» alla tabuizzazione del Medioevo,<br />

in quanto esso configurerebbe una «tentazione ancora più grave<br />

della precedente». L’asserto non risulta argomentato in alcun<br />

modo, ma viene da chiedersi se si possa lasciare a uno stadio<br />

tanto “grezzo” la trattazione della Parola chiave Medioevo, quella<br />

che – in fondo – dà, o dovrebbe dare, il “la” all’intero volume<br />

primo dell’opera. Viene pertanto spontaneo porre una serie di<br />

quesiti a Giardina, Sabbatucci e Vidotto, come ad esempio: perché<br />

proporre un’immagine «ottimistica» del Medioevo sarebbe<br />

un errore più grave rispetto alla divulgazione della precedente<br />

132 LE GOFF J., cit. in GIARDINA A.-SABBATUCCI G.-VIDOTTO V., Uomini e storia,<br />

1, Dal Medioevo all’età moderna, Laterza, Roma-Bari 1990 2 (s.d. orig.), pp. 6-7<br />

(citato senza indicazione della fonte).<br />

65


66<br />

Franz Brandmayr<br />

immagine pessimistica dello stesso? Perché non potrebbe essere<br />

semplicemente un errore storico, esattamente come lo è la versione<br />

peggiorativa del periodo in questione? Esiste per caso una<br />

classifica degli errori storici (una “serie A” e una “serie B”, per<br />

intenderci)? Inoltre: a chi era allora funzionale un’immagine negativa<br />

del Medioevo? È sicuro che servisse solo agli interessi<br />

degli «umanisti italiani»? Come mai fra i medievisti si chiamano in<br />

causa anche molti pensatori illuministi, 133 che invece gli Autori<br />

del nostro manuale non menzionano nemmeno? È certo, inoltre,<br />

che non persista ancora adesso un «uso o un abuso della storia» 134<br />

medievale simile – in qualche modo – a quello realizzato dagli<br />

umanisti e da una parte delle correnti illuministiche? In considerazione<br />

del fatto che è «opinione comune» che il Medioevo sia<br />

«sinonimo di età buia e barbara, di epoca segnata da un grave<br />

regresso economico e culturale» 135 , come mai non viene<br />

configurata alcuna ipotesi né – tantomeno – viene esposta alcuna<br />

tesi 136 in merito alla rivalutazione del periodo in questione? Ecco<br />

tutta l’argomentazione proposta dal manuale in questione:<br />

Contro questa valutazione negativa ha reagito una parte degli<br />

storici moderni, che ha cercato di rivalutare, soprattutto sotto il<br />

profilo culturale, la vitalità dell’epoca medievale. Questa reazione<br />

ha fatto compiere notevoli progressi alla nostra conoscenza<br />

del periodo. 137<br />

Il fatto che la “finestra” dedicata dal suddetto manuale alla<br />

Parola chiave Medioevo non riporti alcuna suggestione che possa<br />

133 Cfr. infra nt. 294.<br />

134 Cfr. PIVATO S., op. cit., passim.<br />

135 GIARDINA A.-SABBATUCCI G.-VIDOTTO V., op. cit., p. 6.<br />

136 In merito vd. infra al paragrafo 2.4.<br />

137 GIARDINA A.-SABBATUCCI G.-VIDOTTO V., op. cit., p. 6.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

aiutare lo studente a riflettere anche nelle direzioni sopra indicate,<br />

ma che denoti – al di là del generico riconoscimento di<br />

una certa validità cognitiva alla reazione di «una parte degli<br />

storici» 138 – una malcelata e più evidente preoccupazione di<br />

inibire un’improbabile concezione ottimistica del Medioevo,<br />

lungi dallo scandalizzare, consente di scorgere con maggiore<br />

chiarezza un certo tipo di approccio manualistico, che sembra<br />

orientato a preservare l’«opinione comune» 139 intorno alla civiltà<br />

medievale.<br />

La posizione valutativa dei nostri Autori pare confermata<br />

anche dall’espediente retorico da loro adoperato; essi fondano,<br />

infatti, il proprio giudizio riassuntivo circa il Medioevo per il tramite<br />

dell’ironia di Jacques Le Goff, senz’altro «un grande medievista<br />

contemporaneo» 140 , ma anche – e questo non viene invece<br />

da loro riportato 141 – un grande estimatore del Medioevo. 142 Osserviamo<br />

– in questo caso – il riferimento a una auctoritas indiscussa,<br />

all’ipse dixit dello storico affermato. Di per sé in certi frangenti<br />

ciò è inevitabile: è naturale (lo sto attuando con una certa<br />

frequenza anch’io nella presente trattazione) fare un consapevole<br />

e abbondante utilizzo di autori che godono di un prestigio scientifico<br />

universalmente riconosciuto; è essenziale – tuttavia – non<br />

farne un esercizio meramente retorico e cercare di esporre le loro<br />

descrizioni e argomentazioni in chiave dialettica, 143 fornendo an-<br />

138 Lo stesso Le Goff sembra invece intendere che la totalità degli storici<br />

abbia rivalorizzato l’epoca medievale (LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario,<br />

cit., p. XVIII; cfr. supra anche nt. 12).<br />

139 GIARDINA A.-SABBATUCCI G.-VIDOTTO V., op. cit., p. 6.<br />

140 Ibidem.<br />

141 Cfr. infra nel paragrafo 2.3. le indicazioni circa la selettività.<br />

142 Cfr. ad es. infra nt. 354 e – più in generale – il volume di LE GOFF J.,<br />

Medioevo, cit., passim; cfr. anche infra nt. 156.<br />

143 Cfr. ad es. PIVATO S., op. cit., pp. 87-88.<br />

67


68<br />

Franz Brandmayr<br />

che indicazioni contrarie 144 e cercando di fornire al lettore gli strumenti<br />

atti a cogliere i punti deboli della propria trattazione. 145<br />

Al contrario, Giardina, Sabbatucci e Vidotto sembrano seguire<br />

una via più facile e ad effetto: a una auctoritas 146 – come<br />

abbiamo visto – viene delegato il compito di liquidare il tema in<br />

oggetto con una battuta ironica; questa è – per sua stessa natura<br />

– agonistica 147 e mirata non a porre le premesse per una<br />

tematizzazione adeguata (per esempio mediante la definizione<br />

più precisa delle diverse posizioni esistenti fra gli storici), bensì<br />

tesa a sottrarre all’avversario la possibilità di argomentare proprio<br />

per l’“evidente” plausibilità 148 del contenuto proposto. In<br />

questo modo viene strumentalizzato il prestigio sociale di un<br />

luminare, attingendo a una sua produzione, di cui non si danno<br />

gli estremi, 149 selezionata fra le numerosissime testimonianze di<br />

ammirazione per l’Età medievale formulate dallo stesso storico,<br />

nella quale questi pronuncia apoditticamente una frase che si<br />

propone come un entimema. 150 In questo «sillogismo ellittico» è<br />

144 GUITTON J., Arte nuova di pensare, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1986 11<br />

(s. d. orig.), pp. 109-110 e 114-117.<br />

145 Vd. supra nt. 130.<br />

146 Cfr. l’«argomento d’autorità» in MORTARA GARAVELLI B., Manuale di retorica,<br />

Bompiani, Milano 1997 (1988), p. 77.<br />

147 Il passaggio al registro confidenziale da parte di Le Goff rinvia alla co-<br />

municazione orale, nella quale è sovente implicito un «tono agonistico» [ONG<br />

G.W., Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Il Mulino, Bologna 1986 (1982),<br />

pp. 73-75], che pare confermato dal fatto che «dal punto di vista della retorica<br />

l’ironia acquista la funzione di arma oratoria» (INFANTINO M.G., L’ironia.<br />

L’arte di comunicare con astuzia, Xenia, Milano 2000, p. 8).<br />

148 Mi rifaccio al concetto di «struttura di plausibilità» di BERGER P.L.-LUCKMANN<br />

TH., La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna 1969 (1966), cap. 3.<br />

149 Vd. supra nt. 132; è certo che individuare la fonte consenta al lettore una<br />

sua più agevole messa in discussione critica.<br />

150 MORTARA GARAVELLI B., op. cit., pp. 77-78.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

dato cioè per presupposto dal senso comune (orizzonte nel quale<br />

pare scontato che non vi sia alcuno che «onestamente» asserirebbe<br />

di ambire a vivere nel Medioevo), ciò che andrebbe invece appena<br />

argomentato 151 con gli strumenti metodologici storiografici e<br />

non con una battuta ad effetto. La tautologia sottesa a questa<br />

pseudo-argomentazione è tipica, come abbiamo già evidenziato,<br />

delle retoriche del senso comune, 152 che solitamente attingono<br />

alla ricca messe dei topoi, dei «luoghi comuni della quantità» 153 ,<br />

cioè approvati dalla massa. Di questo tipo di paralogismo si può<br />

dire, ancora, che – scritto al più tardi nel 1990 – esso pare ricordare,<br />

per la sua levità, un certo modo «giornalistico» di affrontare gli<br />

argomenti 154 e – in particolare – la storia. 155<br />

Può risultare di qualche interesse rilevare che, invece, nell’impostare<br />

il quadro storico-letterario medievale, un recentissimo<br />

manuale di letteratura italiana supera senza alcuna reticenza<br />

il vecchio pregiudizio e, sempre per il tramite di Le Goff, pone<br />

in particolare luce il novum, che sembra emergere soprattutto a<br />

partire dall’anno Mille. 156<br />

Ai nostri fini – comunque – ciò non sposta i termini complessivi<br />

del discorso: il senso comune 157 pare continuare a essere<br />

151 Ciò vale in quanto l’entimema consiste in un sillogismo che non è fondato<br />

su una premessa necessaria (cfr. ABBAGNANO N., s.v. Entimema, in ID., op. cit.,<br />

p. 305).<br />

152 Vd. infra nt. 165.<br />

153 MORTARA GARAVELLI B., op. cit., pp. 78-80.<br />

154 SORRENTINO C., Tutto fa notizia. Leggere il giornale, capire il giornalismo, Carocci,<br />

Roma 2010, p. 134.<br />

155 Cfr. ad es. PIVATO S., op. cit., pp. 87-88.<br />

156 LUPERINI R.-CATALDI P.-MARCHIANI L.-MARCHESE F., Il Nuovo la scrittura e<br />

l’interpretazione. Storia della letteratura italiana nel quadro della civiltà europea secondo<br />

i nuovi programmi, 1, Dalle origini al Medioevo (dalle origini al 1380), Palumbo,<br />

Palermo 2011, p. 4.<br />

157 Cfr. anche ibidem.<br />

69


70<br />

Franz Brandmayr<br />

informato dal consueto pregiudizio, al quale – a livello di<br />

manualistica – vengono portate appena in questi anni le prime<br />

critiche serie e argomentate.<br />

A questo punto, va messo ancora in evidenza un altro aspetto<br />

della questione del pregiudizio antimedievale; finora ho creduto<br />

opportuno rimarcare soprattutto gli aspetti individuali e<br />

psicologici del rapporto che lo storico, il docente e lo studente<br />

potrebbero intessere con la materia medievalistica in cui si dovessero<br />

imbattere; va tuttavia ribadita anche la componente sociale<br />

dei loro eventuali comportamenti valutativi, stigmatizzanti<br />

e anacronistici. Questi comportamenti, che scaturiscono da sentimenti<br />

e valutazioni personali, 158 si inseriscono – infatti – in un<br />

contesto collettivo e condiviso, da questa cornice olistica ricevono<br />

un rinforzo ed essi stessi, a loro volta, la corroborano,<br />

instaurando con essa una prassi reciproca. 159<br />

Ciò accade, va detto, nonostante il soggetto, si tratti di uno<br />

storico, di un docente o di uno studente, non sia sempre avvertito<br />

delle dinamiche psico-sociali, discorsive e interetniche, che<br />

rendono attivi i suoi criteri valutativi e di quanto il proprio ethos<br />

sia condizionato dall’ambiente sociale. 160<br />

In realtà non esiste solo un etnocentrismo legato ai grandi<br />

insiemi sociali, alle grandi civiltà e alle entità nazionali; questo<br />

concetto, se preso nel suo significato tecnico di erezione degli<br />

schemi culturali di una «collettività» a criterio assoluto di valuta-<br />

158 Sentimenti, valutazioni e comportamenti degli informatori costituiscono,<br />

in buona sintesi, l’oggetto della ricerca etnoantropologica [BIANCO C.,<br />

op. cit., pp. 162-163; cfr. TURNER V., Dal rito al teatro, Il Mulino, Bologna<br />

1986 (1982), p. 120].<br />

159 Mi rifaccio al concetto marxiano di umwälzende Praxis (condizionamento<br />

vicendevole).<br />

160 Per un’introduzione a queste dinamiche vd. DUBAR C., La socializzazione.<br />

Come si costruisce l’identità sociale, Il Mulino, Bologna 2004 (2000), passim.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

zione: a) della realtà; b) degli altri gruppi, 161 può esprimere l’identificazione<br />

del soggetto con gli schemi culturali di una<br />

subcultura, 162 di una classe sociale, 163 di un gruppo religioso, di<br />

un partito politico e via discorrendo. 164<br />

Secondo gli antropologi esiste una versione «spontanea» 165<br />

dell’etnocentrismo. Senza una certa dose di etnocentrismo l’individuo<br />

non avrebbe punti di riferimento, non disporrebbe di<br />

una “mappa” interpretativa della realtà che lo circonda e si troverebbe<br />

esposto al disorientamento culturale e, forse, a<br />

un’“anomia” 166 psicologicamente destrutturante e pericolosa per<br />

l’equilibrio personale.<br />

La collettività in cui il soggetto è inserito, dunque, codifica e<br />

veicola i contenuti e le articolazioni dei propri schemi attraverso<br />

una serie di linguaggi verbali, gestuali e simbolici, che solo in<br />

parte possono venire condivisi anche da altre collettività. All’interno<br />

del gruppo ogni individuo coordina i propri comportamenti<br />

con quelli degli altri membri, in una tensione alla reciproca<br />

conferma della validità dei comuni schemi di valutazione,<br />

emozionali ed etici. È a questo punto che si può parlare di un<br />

“senso comune”:<br />

161 BERNARDI B., op. cit., p. 44.<br />

162 CUCHE D., La nozione di cultura nelle scienze sociali, Il Mulino, Bologna 2003<br />

(1996), p. 58.<br />

163 Si veda il concetto di classicentrismo in LOMBARDI SATRIANI L.M., Antropologia<br />

culturale ed analisi della cultura subalterna, Guaraldi, Firenze 1976, p. 104.<br />

164 Per la nozione di esclusivismo culturale, una specie di etnocentrismo che<br />

non concerne necessariamente un gruppo etnico, cfr. CIRESE A.M., Cultura,<br />

cit., p. 7.<br />

165 TULLIO-ALTAN C., Antropologia, cit., p. 70.<br />

166 Si tratta, in buona sostanza, del disagio che può pervadere singoli o gruppi<br />

a causa della «inadeguatezza delle norme» della convivenza sociale durante le<br />

fasi di mutamento [MILANESI G., s.v. Anomia, in DEMARCHI F.-ELLENA A.-<br />

CATTARINUSSI B. (a cura di), op. cit., p. 140].<br />

71


72<br />

Franz Brandmayr<br />

Il senso comune non è ciò che la mente comprende spontaneamente,<br />

(una volta) liberata dal ciarpame; è quello che la mente<br />

riempita di presupposti [(socio-culturali) …] conclude […] Come<br />

struttura del pensiero e suo esemplare il senso comune è totalizzante<br />

come ogni altro: nessuna religione è più dogmatica, nessuna<br />

scienza più ambiziosa, nessuna filosofia più generale [… (esso)]<br />

pretende di raggiungere la realtà oltre l’illusione, le cose come<br />

sono [… (ciò che è)] “realmente reale”. 167<br />

Il senso comune si esprime e si nutre mediante il discorso<br />

comune, tutto strutturato attorno agli schemi che fondano e<br />

danno consistenza alla cultura del gruppo o di una società. Esso<br />

si sviluppa dalla bottega alla piazza, passa attraverso l’aula scolastica,<br />

ma – come abbiamo già costatato – arriva nondimeno<br />

nei salotti che si presumono “buoni” 168 , informa gran parte dei<br />

media e, conseguentemente, viene rilanciato nuovamente ai<br />

fruitori degli stessi mezzi di comunicazione, in uno scambio<br />

quotidiano continuo. 169 Le sue «semiqualità» sarebbero, secondo<br />

Geertz, la «naturalezza», la «praticità», la «leggerezza», la<br />

«mancanza di metodo», una facile «accessibilità» 170 per chiunque:<br />

in buona sostanza, in questa quasi-filosofia (o filosofia spicciola)<br />

i contenuti sembrerebbero presentare i caratteri di un’ovvietà<br />

priva di ogni senso di meraviglia 171 e di scoperta. All’interno<br />

di questo complesso di narrazioni il Medioevo potrebbe ri-<br />

167<br />

GEERTZ C., Antropologia, cit., pp. 105-106; parentesi rotonde mie.<br />

168 Cfr. supra nt. 9.<br />

169 Vd. ad es. GOFFMAN E., La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino,<br />

Bologna 1969 (1959), passim.<br />

170<br />

GEERTZ C., Antropologia, cit., p. 107.<br />

171 Geertz (ivi, p. 104) mi induce a richiamare il di¦ g¦r tÕ qaum£zein oƒ<br />

¥nqropoi [...] ½rxanto filosofe‹n [gli uomini hanno incominciato a<br />

filosofare a causa della (capacità di provare) meraviglia (ARISTOTELE, Metafisica,<br />

2, 12-13); trad. di Giovanni Reale; parentesi rotonda mia].


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

sultare configurato (è quanto un’analisi antropologica dovrebbe<br />

accertare) alla stregua dei divertenti luoghi comuni tanto spiritosamente<br />

descritti da Régine Pernoud nella raccolta di saggi<br />

che ho ripetutamente citato.<br />

L’etnocentrismo (quello cosiddetto spontaneo, perlomeno),<br />

dunque, è un atteggiamento insito nella condizione umana, abbiamo<br />

detto e ciò, a scanso di idealismi fuorvianti, non va mai<br />

dimenticato. 172 Esistono, però, due reazioni tipiche a una constatazione<br />

di questo genere: una, la prima, configura una sorta di<br />

nichilismo antiscientifico, 173 che porta a negare al ricercatore ogni<br />

competenza a proferire qualsivoglia contenuto sull’“Altro”, che<br />

non sia una mera proiezione del sé. La seconda reazione, simmetrica<br />

alla prima, parte dalla identica considerazione dell’impossibilità<br />

di evitare l’etnocentrismo, ma ne ricava una conclusione<br />

opposta e propone una “scienza” consapevolmente etnocentrica<br />

(una sorta di ossimoro, direi) e tetragona ad accogliere contributi<br />

dagli out-groups, a meno che non siano consonanti 174 con la propria<br />

concezione della realtà. Questa seconda posizione risulta,<br />

probabilmente, presente sia al livello del discorso comune 175 che a<br />

quello accademico 176 e si caratterizza per la confusione che tende<br />

a operare fra i concetti di storiografia e di memoria storica. 177 Si<br />

172 Cfr. ad es. MALIGHETTI R., s.v. Etnocentrismo critico, in FABIETTI U.-REMOTTI<br />

F. (a cura di), op. cit., p. 274.<br />

173 Cfr., ad es., GEERTZ C., L’io testimoniante. I figli di Malinowsky, in ID., Opere e<br />

vite L’antropologo come autore, Il Mulino, Bologna 1995 (1992), pp. 101-102. Vd.<br />

anche supra nt. 31.<br />

174 Cfr. TRENTIN R., Gli atteggiamenti sociali, in ARCURI L. (a cura di), op. cit., pp.<br />

274-281, soprattutto a p. 276.<br />

175 Vd. ad es. DAWSON CH., op. cit., p. 17.<br />

176 La Pernoud scriveva che «per la Sorbona, tra Plotino e Cartesio non c’è<br />

niente» (EAD., op. cit., pp. 49 e 153).<br />

177 Vd. supra nt. 124.<br />

73


74<br />

Franz Brandmayr<br />

tratta di un salto di qualità che, sempre a detta degli antropologi,<br />

può provocare il passaggio a una versione «ideologica» dell’etnocentrismo;<br />

è quanto si verificherebbe allorché venisse teorizzata<br />

consapevolmente una presunta superiorità della propria cultura<br />

di appartenenza rispetto alle culture “altre” 178 . A un etnocentrismo<br />

spontaneo si sostituirebbe, allora, una costruzione sociale<br />

più dottrinaria, solitamente pianificata e promossa da agenzie e<br />

da gruppi di interesse, 179 che intendono porsi a capo o – comunque<br />

– concorrere all’elaborazione di un processo di autoaffermazione<br />

o addirittura di egemonizzazione 180 rispetto a culture o subculture<br />

altre percepite come antagonistiche. 181<br />

Esiste, però, una terza via, quella dell’“etnocentrismo critico”<br />

prefigurato da Ernesto de Martino 182 e rielaborato da Vittorio<br />

Lanternari 183 . In poche parole, partendo dal dato inevitabile<br />

dell’etnocentrismo, si tratterebbe di operare delle concettualizzazioni<br />

che consentano, tanto allo storico quanto allo studente,<br />

di «defamiliarizzarsi» 184 rispetto ai propri paradigmi valutativi e<br />

di simpatizzare 185 con quelli altrui, dopo averli conosciuti attraverso<br />

lo spoglio documentario e i testi specialistici (lo storico o,<br />

178 TULLIO-ALTAN C., Antropologia, cit., p. 70.<br />

179 Cfr. COLOMBO E., Le società multiculturali, Carocci, Roma 2002, pp. 53-57;<br />

FABIETTI U., L’identità etnica. Storia e critica di un concetto equivoco, Carocci, Roma<br />

1998 2 (1995), pp. 33-34.<br />

180 AIME M., s.v. Egemonia, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., pp. 256-257.<br />

181 Cfr. il concetto di “acculturazione” in CUCHE D., op. cit., pp. 63-83.<br />

182 DE MARTINO E., La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali,<br />

Einaudi, Torino 1977, pp. 396-397.<br />

183 LANTERNARI V., Ernesto De Martino, etnologo meridionalista: vent’anni dopo, in<br />

“L’Uomo”, 1, 1977, pp. 29-56.<br />

184 Cfr. CLEMENTE P., Lontananze vicine: sui modi di pensare e insegnare l’antropologia<br />

nel mondo globale, in PASQUINELLI C., (a cura di), op. cit., p. 167.<br />

185 Vd. infra paragrafo 3.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

eventualmente, il docente) o, più modestamente, attraverso i<br />

manuali (lo studente).<br />

2.3. Effetto alone, selettività, tautologia ed etnicità<br />

Per le cause già accennate sopra 186 il Medioevo costituisce un<br />

complesso di contenuti didattici che si presta in modo particolare<br />

a subire l’azione dell’effetto alone, cioè la tendenza del soggetto<br />

inquirente a «lasciarsi guidare da un’impressione generale<br />

o da un tratto emergente» 187 invece che da una totalità di fatti<br />

rilevati empiricamente e analizzati nei loro rapporti reciproci.<br />

Nei dialoghi didattici in aula – come ogni insegnante sa bene –<br />

è molto frequente emergano dagli studenti (solo da loro?) “sintesi”<br />

piuttosto stereotipate su tematiche che abbisognerebbero<br />

di trattazioni ben più articolate, più ricche di sfumature e, soprattutto,<br />

con un riferimento più preciso alla documentazione<br />

relativa all’oggetto di studio. 188<br />

Quando si spiega, ad esempio, che le critiche più risolute all’azione<br />

dei tribunali dell’Inquisizione durante la “crociata degli<br />

albigesi” 189 provengono dall’interno della Chiesa, gli studenti perplessi<br />

– almeno all’inizio – scoprono essere la Chiesa un organismo<br />

piuttosto complesso e multivoco, dove – nella fattispecie –<br />

gli inquisitori domenicani incontravano una forte opposizione da<br />

parte dei vescovi nelle diocesi dei quali si trovavano a operare, 190<br />

186 Cfr. supra paragrafo 1.<br />

187 MANDL H., s.v. Alone/effetto, in ARNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a cura<br />

di), op. cit., p. 61.<br />

188 PERNOUD R., op. cit., pp. 144 e 173.<br />

189 Metto fra virgolette l’espressione, perché il termine “crociata” è moderno<br />

(ivi, p. 141, nt. 13).<br />

190 CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., pp. 36 e 40; DEDIEU J.-P., op. cit., pp. 14-<br />

16 et alibi.<br />

75


76<br />

Franz Brandmayr<br />

in cui Domenico di Guzmàn stesso «non era favorevole all’uso<br />

della forza» e nel quale «anche la popolazione cattolica (della<br />

Linguadoca) detestava l’istituzione inquisitoria, perché simboleggiava<br />

un’occupazione mal sopportata» 191 . All’interno della Chiesa,<br />

del resto, non si era mai inaridita nei secoli una corrente di<br />

pensiero 192 , spesso perdente, ma mai priva di influenza, che caldeggiava<br />

linee d’azione missionaria non-violente direttamente<br />

improntate al vangelo, piuttosto che alla Realpolitik ritenuta funzionale<br />

al governo della societas christiana.<br />

Francesco d’Assisi e Domenico, personaggi carismatici personalmente<br />

propensi alla predicazione pacifica, 193 la popolazione<br />

cattolica del Mezzogiorno francese insofferente nei confronti<br />

degli eserciti del re e dei grandi feudatari del Nord (a loro volta<br />

cattolici), veri vincitori politico-militari della crociata degli<br />

albigesi, 194 le gerarchie ecclesiastiche e civili locali sovente vicine<br />

ai borghesi catari 195 e ostili ai domenicani forestieri, le indicazioni<br />

– spesso mitigatrici nei toni 196 – provenienti dai papi di<br />

Roma… Si fa presto a dire: “Chiesa”. Dov’è la Chiesa qui? È la<br />

Chiesa gerarchica? Ma, in questo modo, il concetto risulta<br />

pregiudizialmente valutativo, come ora cercherò di chiarire. È la<br />

191 Ivi, p. 18 (parentesi mia).<br />

192 Cfr. ad es. CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 65; DEDIEU J.-P., op. cit., p.<br />

12. FLORI J., Le crociate, cit., pp. 13-16 preferisce, invece, mettere in evidenza<br />

il processo di «sacralizzazione della guerra» interno alla Chiesa, completatosi<br />

dopo l’anno Mille in seguito al processo di acculturazione verificatosi nel<br />

plurisecolare contatto fra la Chiesa stessa e le popolazioni germaniche.<br />

193 DEDIEU J.-P., op. cit., p. 12.<br />

194 CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 32; DEDIEU J.-P., op. cit., p. 17. Al di là<br />

della crociata degli albigesi, sul rapporto potere politico/Inquisizione e<br />

sull’egemonizzazione di questa ad opera degli Stati, vd. CARDINI F.-MONTESANO<br />

M., op. cit., pp. 36, 49, 81-98 e 159; DEDIEU J.-P., op. cit., pp. 12-27.<br />

195 Ivi, p. 19 et alibi.<br />

196 Cfr. CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 32; DEDIEU J.-P., op. cit., p. 18.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

“Chiesa spirituale” 197 dei santi succitati? Oppure dobbiamo espellerne<br />

Domenico, come fa qualcuno, per le nefandezze ascritte<br />

al suo ordine? Eppure non è infrequente il caso dei domenicani<br />

che, proprio perché giudicano in favore del presunto eretico, si<br />

inimicano l’autorità civile e la popolazione locale propense all’esecuzione.<br />

198 Ciò sembra confermare ulteriormente l’opportunità<br />

che l’evento storico della cosiddetta “crociata” venga letto<br />

con una serie più articolata di chiavi di lettura. Infatti, non<br />

sempre vengono considerate, accanto alle istanze omologatrici 199<br />

della Chiesa, che certo sussistono, anche le dinamiche locali (conflitti<br />

di potere, la concorrenza economica interna a una classe<br />

mercantile in espansione, risentimenti personali, vendette politiche<br />

200 ecc.), oltre alle mire espansionistiche del re di Francia e<br />

dei suoi feudatari settentrionali.<br />

Ma, se identifichiamo la Chiesa con le sue élites dove collochiamo,<br />

in questo caso, la Chiesa della religione popolare, tanto<br />

rivalutata dalla più matura storiografia degli ultimi decenni 201 e<br />

che coinvolge la gran parte delle popolazioni europee di allora?<br />

Che cosa intendono gli autori dei manuali designando l’istituzione<br />

ecclesiale? E il docente? E che cosa coglie, in tutto ciò, lo<br />

studente? Si tratta, direi, di uno dei numerosi casi in cui un’etichetta<br />

categoriale, il vocabolo “Chiesa”, che viene ingiustificatamente<br />

a designare le generiche “gerarchie” (quali poi? quelle<br />

del clero regolare o di quello secolare? tutte e due?), si estende a<br />

197 Mi riferisco al noto concetto della tradizione gioachimita (cfr. POTESTÀ<br />

G.L., s.v. Gioacchino da Fiore, in AA.VV., Enciclopedia Garzanti, cit., p. 357).<br />

198 CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 54.<br />

199 Ivi, p. 160.<br />

200 Ivi, p. 35.<br />

201 Per una bibliografia introduttiva vd., ad es., GUREVIČ A.J., op. cit., passim;<br />

MANSELLI R., op. cit., passim e SCHMITT J.C., Religione folklore e società nell’Occidente<br />

medievale, Laterza, Bari 1988 (anno), passim.<br />

77


78<br />

Franz Brandmayr<br />

coprire semanticamente un’ampia serie di altri sottoinsiemi (dei<br />

quali ho elencato una parte) compresi nella societas ecclesiale.<br />

Non si tratta, tuttavia, di un’estensione semantica dalle conseguenze<br />

meramente teoriche e oziose: se ne può ricavare una<br />

generica impressione di monolitismo ecclesiale che, storicamente,<br />

non si è assolutamente dato. L’effetto alone, in questo<br />

modo, pare assicurato: i «tratti (che si vorrebbero) emergenti»<br />

del potere e della violenza assorbono in un unico lemma omologante<br />

tutta una pluralità di diverse componenti sociali, culturali<br />

e politico-militari (clero/popolo, clero regolare/clero<br />

secolare, clerici/bellatores, borghesi/popolo, alto clero/basso<br />

clero, monarchia francese/papato, re e grandi feudatari del<br />

Nord della Francia/feudatari meridionali, inquisitori/non-inquisitori<br />

ecc.), nessuna delle quali, fatte salve le élites più consapevoli<br />

dei catari, 202 avrebbe mai rinunciato alla propria prerogativa<br />

di appartenere alla cristianità.<br />

Pertanto, applicando il concetto di Chiesa senza una definizione<br />

precisa dei suoi contorni sociologici, non è impossibile<br />

che esso perda di consistenza e si riduca a una mera etichetta<br />

categoriale. In questo modo il ricercatore, il docente o lo studente<br />

sono esposti a una serie di rischi teoretici: a) il riduzionismo<br />

della comunità ecclesiale a una sua parte: la gerarchia, e ciò – di<br />

solito – senza un’adeguata motivazione metodologica; b)<br />

l’anacronismo di un dualismo radicale 203 clero/laicato, 204 la cui<br />

radice socio-culturale è decisamente moderna, viene proiettato<br />

202 Nel catarismo «strutturatosi in modo mimetico rispetto all’organismo ecclesiastico<br />

egemone» (MERLO G.G., op. cit., p. 45) i simpatizzanti tendevano a<br />

riconoscere nei «perfetti» semplicemente dei «buoni cristiani», senza rendersi<br />

sempre conto del fatto che si trattasse di una religione dualistica e diversa<br />

dal cristianesimo.<br />

203 Cioè l’antitesi inconciliabile di due entità concepite come opposte (VIGLINO<br />

U., s.v. Dualismo, in AA.VV., Enciclopedia Cattolica, cit., vol. IV, c. 1942).<br />

204 Cfr. GRAFF H.J., op. cit., pp. 104, 111 e 113.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

nel XIII secolo, 205 epoca nella quale era – al contrario – nettamente<br />

dominante una concezione ecclesiale sì dialettica, 206 ma<br />

anche fortemente unitaria; 207 c) l’affermazione di una sorta di<br />

univocità del gruppo-Chiesa e la complementare obliterazione<br />

dell’esistenza di un pluralismo di culture e subculture ecclesiali,<br />

di cui la storiografia dà abbondante testimonianza; d) la perdita<br />

di concretezza storica dovuta al misconoscimento della<br />

microstoria e della storia locale, che – della crociata – offrono<br />

molte varianti contraddittorie rispetto alla «leggenda nera». 208<br />

205 TORTAROLO E., Laicismo, Laterza, Roma-Bari 1998, pp. 11-13.<br />

206 Cfr. REINHARD W., Storia dello stato moderno, Il Mulino, Bologna 2010 (2007),<br />

p. 58.<br />

207 Cfr. il concetto di «unipolarità» del «corpo della Chiesa» (ULLMANN W., op.<br />

cit., p. 24).<br />

208<br />

DEDIEU J.-P., op. cit., p. 6. Trattare a fondo la questione dell’Inquisizione e<br />

dei diritti umani (cfr. supra paragrafo 1.1.) non fa parte degli scopi di questo<br />

saggio, pertanto mi limito a una brevissima serie di riferimenti forse indicativi<br />

di un certo uso della storia poi concretizzatosi nella “leggenda nera”.<br />

Può essere interessante rilevare, ad esempio, la comminazione della condanna<br />

a morte al “solo” (non si tratta comunque di una vittoria della civiltà…)<br />

1% degli imputati da parte del tribunale dell’Inquisizione di Tolosa nella<br />

seconda metà del Duecento (DEDIEU J.-P., op. cit., p. 18); questo 1 % va ridotto<br />

ulteriormente, in quanto è certo che la condanna spesso si risolveva in un<br />

pentimento dell’ultima ora davanti al patibolo. La «moderazione» degli inquisitori<br />

si concretizzava, inoltre, anche con la risoluzione pro reo in dubiis<br />

(CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 57), con una pratica della tortura che –<br />

a differenza da quella esercitata dai poteri laici – non doveva portare alla<br />

morte (ivi, p. 61), né alle mutilazioni (ivi, p. 55), che era sottoposta a limitazioni<br />

e controlli (ivi, pp. 63 e 65), a sospensioni e annullamenti (ivi, p. 62). La<br />

tortura – ancora – praticata dagli Stati fino al XVIII secolo, secondo alcuni<br />

autori fu «forse» poco usata, «perché raramente documentata» [PAOLINI L., Il<br />

modello italiano nella manualistica, in AA.VV., L’Inquisizione, Atti del Simposio<br />

internazionale (29-31 ottobre 1998) Città del Vaticano, Roma 2003, p. 101].<br />

Senza misconoscere l’esistenza di una certa letteratura che tende a minimizzare<br />

la portata delle vicende delle Inquisizioni, Cardini ricorda che il confronto<br />

sulla tortura va fatto con i contemporanei [ivi, p. 64; cfr. anche LE<br />

79


80<br />

Franz Brandmayr<br />

Può essere di qualche utilità notare come di tutti questi aspetti<br />

descrittivi, che rendono problematica l’interpretazione della crociata<br />

degli albigesi e dell’Inquisizione, il già citato manuale di<br />

Giardina, Sabbatucci e Vidotto non riporti praticamente nulla. 209<br />

Una consapevolezza più profonda della matrice etnicoidentitaria<br />

del conflitto e della strumentalità dell’alibi religioso<br />

dei «Franchi», portatori della cultura feudale del Nord francese<br />

e lanciati alla conquista della civiltà urbana «romana» della<br />

Linguadoca, traspare – invece – in un testo recente, 210 nel quale<br />

si afferma a chiare lettere che «la crociata contro gli albigesi<br />

appare un momento significativo nel processo di consolidamento<br />

territoriale della monarchia francese» 211 . Per il resto,<br />

però, neanche De Bernardi e Guarracino consentono allo studente<br />

del XXI secolo, a mio avviso, di comprendere come mai,<br />

in una istituzione che si proclamava fondata sul Vangelo, una<br />

consistente parte delle gerarchie e degli intellettuali potesse<br />

non trovare abominevole l’impiego della coercizione violenta<br />

e di massa nella propria pratica pastorale. 212 Non vi si trova<br />

alcun riferimento al Decretum Gratiani, 213 uno dei documenti<br />

fondamentali del Medioevo, nessun richiamo al concetto di<br />

GOFF J., La nascita del Purgatorio, Einaudi, Torino 1996 2 (1981), p. 248; vd.<br />

supra al paragrafo 2.2. le osservazioni sugli anacronismi] e che i dati quantitativi<br />

sull’Inquisizione sono ancora carenti (CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p.<br />

158) e, pertanto, anche gli storici rischiano di subire l’influenza dell’effetto<br />

alone (cfr. DEDIEU J.-P., op. cit., p. 76).<br />

209 Cfr. GIARDINA A.-SABBATUCCI G.-VIDOTTO V., Uomini, cit., pp. 89-94.<br />

210 DE BERNARDI A.-GUARRACINO S., I saperi della storia. 1. Dalla società feudale alla crisi<br />

del Seicento, Paravia Bruno Mondadori, Milano 2006, p. 72; gli Autori evitano,<br />

peraltro, di menzionare le numerose vittime cattoliche delle stragi perpetrate dai<br />

Franchi (cfr. DE ROSA G., Storia medioevale, Minerva Italica, s.l., 1982 3 , p. 187).<br />

211 DE BERNARDI A.-GUARRACINO S., op. cit., p. 73.<br />

212 Ivi, pp. 70-73.<br />

213 DE ROSA G., op. cit., pp. 188-189.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

società olistica 214 né al delitto di lesa maestà, 215 nessuna vera<br />

esplorazione della mentalità medievale, nessuno sforzo<br />

ermeneutico: l’“Altro” rimane distante e fissato nella sua riprovevole<br />

estraneità, resa in maniera quasi caricaturale.<br />

Eppure già il De Rosa, ad esempio, nel suo vecchio manuale<br />

aveva proposto un’interpretazione che non sembrava affatto una<br />

giustificazione. 216 Che l’avesse fatto con spirito apologetico, in<br />

quanto studioso di matrice cattolica? La storiografia si ridurrebbe,<br />

allora, a una noiosa sequenza di polemiche da quotidiano sportivo,<br />

con la “curva nord” a disputare con la “curva sud” intorno<br />

al comportamento arbitrale? Comprendere significa forse giustificare?<br />

Un approccio ermeneutico comporta necessariamente il<br />

condividere i valori e le scelte dell’“avversario”? Domande<br />

senz’altro retoriche, ma la cui riproposizione pare essere tutt’altro<br />

che fuori luogo in una temperie culturale nella quale vengono<br />

giustamente denunciati tanto gli usi e abusi della storia quanto il<br />

dilettantismo. Perciò su quest’argomento dovrò ancora insistere<br />

più avanti, ma – nel frattempo – possiamo rilevare anche nei casi<br />

ora richiamati il persistente riprodursi delle dinamiche<br />

etnocentriche e psicosociali che andiamo analizzando.<br />

Certo, le esigenze di sintesi didattica richiedono inevitabilmente<br />

il ricorso a espedienti, che scoprono il fianco a questo<br />

genere di difetto: con gli studenti – si dice – non sempre si può<br />

entrare in un dettaglio troppo analitico. L’effetto alone, in ogni<br />

caso, rivela meglio la sua qualità affabulatoria se esaminato<br />

unitamente a un’altra caratteristica che, non di rado, accompa-<br />

214<br />

MATERA V., s.v. Olismo/individualismo, in FABIETTI U.-REMOTTI F., op. cit., pp.<br />

531-532.<br />

215<br />

CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 9.<br />

216<br />

DE ROSA G., op. cit., pp. 188-189; certo, lo storico siciliano mi dà talvolta<br />

l’impressione di non volere scendere troppo nei particolari di questo nodo<br />

storico scabroso.<br />

81


82<br />

Franz Brandmayr<br />

gna le narrazioni sul Medioevo: si tratta dell’«esposizione<br />

selettiva» 217 . Essa consiste nella<br />

tendenza delle persone a cercare informazioni congruenti con i<br />

loro sentimenti, credenze e comportamenti passati e ad evitare<br />

attivamente quelle incoerenti o dissonanti. 218<br />

Alla reticenza ad ascoltare ciò che non collima con le proprie<br />

idee si associa, in maniera complementare, l’«aspettativa<br />

stereotipica» 219 , che induce il soggetto a rilevare nell’oggetto del<br />

suo studio solo ed esclusivamente i tratti culturali, che sarebbe<br />

stato disposto a reperire fin dal principio.<br />

Vediamo ancora qualche esempio.<br />

Caprara scrive ancora del “triste panorama” offerto dalle<br />

scienze astronomiche di allora. «Ne era responsabile la diffusione<br />

del cristianesimo che […] imponeva la descrizione (sic)<br />

della Bibbia e del capitolo (sic) della Genesi» 220 . A prescindere<br />

dall’incompetenza circa gli aspetti esegetico-biblici e dal grave<br />

errore cronologico dell’attribuzione di un potere impositivo<br />

alla Chiesa del Terzo secolo (notoriamente oppressa dalle au-<br />

217 GILI G., op. cit., pp. 42 ss. ne scrive collegando l’esposizione con gli altri<br />

due meccanismi selettivi della percezione e della memorizzazione.<br />

218 TRENTIN R., Gli atteggiamenti sociali, in ARCURI L. (a cura di), op. cit., p. 276.<br />

219 ID., Percezione e cognizione sociale, in ID. (a cura di), Manuale, cit., p. 127.<br />

220 CAPRARA G., op. cit., p. 42. Non è qui possibile esplicitare nei dettagli<br />

l’erroneità del linguaggio del Caprara: basti ricordare che, in un’opera di divulgazione<br />

scientifica, risulta quantomeno equivoco riferirsi a una narrazione<br />

cosmogonica con il termine di «descrizione» (cfr. ABBAGNANO N., s.v. Descrittivo,<br />

in ID., op. cit., p. 218), che risulta certamente inadeguato per esprimere<br />

il significato [BONORA A., s.v. Cosmo, in ROSSANO P.-RAVASI G.-GIRLANDA<br />

A. (a cura di), Nuovo dizionario di teologia biblica, San Paolo, Cinisello Balsamo<br />

(MI) 2001 7 (1988), pp. 327-328] dei due “racconti della creazione” compresi<br />

nei primi tre capitoli della Bibbia.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

torità imperiali) 221 , risalta fin dal primo impatto con il testo la<br />

selezione operata dall’Autore, che – fra tutte le dottrine soteriologiche<br />

orientali, coinvolgenti e ricche di cosmogonie e di<br />

riferimenti cosmologico-escatologici i più immaginifici, 222 di<br />

cui la civiltà romana (ormai priva di riferimenti valoriali significativi)<br />

223 è assetata – sceglie il cristianesimo ed esso soltanto<br />

come causa dell’oscurantismo anti-astronomico. A una contestualizzazione<br />

(è la soluzione migliore?) o a una attenuazione<br />

dei toni [es.: la Chiesa (ovviamente quella teodosiana e postteodosiana,<br />

dal 391 in poi) «concorre a promuovere una concezione<br />

creazionistica» (e chi non lo faceva, allora?)] o a una<br />

estensione delle corresponsabilità (se proprio si deve studiare<br />

il passato per cercare dei colpevoli, non è meglio trovarli tutti?),<br />

il Caprara preferisce forse «dare informazioni congruenti<br />

con i propri sentimenti ed evitare quelle incoerenti o dissonanti»<br />

rispetto agli stessi? In un eventuale sviluppo di questa<br />

indagine sarebbe opportuno riprendere questo quesito, per riconnetterlo<br />

agli attuali usi e abusi della storia finalizzati a possibili<br />

strumentalizzazioni nella sfera pubblica. Questa argomentazione<br />

iniziale dell’Autore sembra essere il preludio interpretativo<br />

di più di un millennio di scienza e tecnica e, infatti,<br />

il Medioevo narrato dal nostro si caratterizzerà per una serie<br />

di carenze, o di “oscuramenti”, frutto di operazioni che<br />

noi, fino a prova contraria, non vogliamo pensare come dolosamente<br />

falsificanti bensì come inconsapevolmente selettive.<br />

221 È il secolo delle dure persecuzioni di Simplicio Severo, di Decio e Valeriano<br />

[FRANZEN A., Breve storia della Chiesa, Queriniana, Brescia 1982 5 (1965), pp. 57-61].<br />

222 CUMONT F., Le religioni orientali nel paganesimo romano, Laterza, Bari 1967<br />

(1913), pp. 56-58; vd. anche ELIADE M., Paganesimo, cristianesimo e gnosi all’epoca<br />

imperiale, in ID., Storia delle credenze e delle idee religiose, II, Da Gautama Buddha al<br />

trionfo del Cristianesimo, Sansoni, Firenze 1980 (1978), pp. 363-394.<br />

223 CUMONT F., op. cit., p. 54.<br />

83


84<br />

Franz Brandmayr<br />

Ad esempio, nel suo volume non vi è alcuna menzione del<br />

fatto che il Medioevo riconobbe il valore delle arti meccaniche 224<br />

e che lo fece «investendo le arti pratiche di un significato spirituale»<br />

225 , per il quale «venne loro conferita una nuova dignità» 226 . Né<br />

il Caprara scrive che a compiere questo passo sotto il profilo<br />

teorico è l’abate-filosofo Giovanni Scoto Eriugena, che nel IX<br />

secolo equipara il lavoro manuale a quello intellettuale 227 e opera<br />

– con ciò – una netta rottura epistemologica sia nei confronti<br />

della civiltà classica che rispetto al pensiero di Agostino<br />

d’Ippona. 228 Nella società «ecclesiologica» 229 dell’alto Medioevo,<br />

infatti, il fine di ogni vita, che non può essere altro che vita<br />

cristiana, è: divenire “immagine e somiglianza di Dio”, e ciò si<br />

realizza anche attraverso il lavoro. 230 Già a partire dal VI secolo<br />

224 Associandole per dignità a quelle liberali (LE GOFF J., Il Medioevo, cit., p. 71).<br />

225 NOBLE D.F., op. cit., p. 17.<br />

226 DOLZA L., op. cit., p. 52.<br />

227 NOBLE D.F., op. cit., p. 20; Dolza, invece, sembra situare nel secolo XII,<br />

quello della Rinascenza, questo passaggio assai importante sotto il profilo<br />

teorico-filosofico: secondo la storica sarebbe stato Ugo da San Vittore a<br />

«colloca[re] le arti meccaniche nell’ambito del sapere» nelle sue opere intitolate<br />

Didascalicon ed Epitome Dindimi in philosophiam (DOLZA L., op. cit., p. 57;<br />

parentesi quadrata mia). In Noble (ivi, pp. 24-26) gli scritti di Ugo sembrano<br />

avere piuttosto un valore di rinforzo e di amplificazione, nella mutata temperie<br />

culturale, dei contenuti elaborati da Giovanni Scoto. Cfr. anche LE GOFF J.,<br />

Lavoro, tecniche e artigiani nei sistemi di valore dell’alto Medioevo (V-X secolo), in ID.,<br />

Tempo, cit., (1971), p. 90, che avvalora la posizione di Noble.<br />

228 NOBLE D.F., op. cit., p. 21. Come è noto, Agostino, già manicheo e – comunque<br />

– neoplatonico anche dopo la conversione, manifesta un atteggiamento<br />

non particolarmente positivo verso la materia in generale e il lavoro<br />

manuale in particolare (DOLZA L., op. cit., pp. 47-48; cfr. NOBLE D.F., op. cit.,<br />

14-15 ); in definitiva egli non sembra discostarsi dalla posizione classica, che<br />

fa prevalere le arti liberali su ogni altra forma di attività umana.<br />

229 ULLMANN W., op. cit., p. 12 et passim.<br />

230 DOLZA L., op. cit., p. 51. Cfr. infra le nt. 314 e 321.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

le comunità benedettine, con il loro celebre motto ora et labora,<br />

si sforzano di tradurre questa concezione del mondo in comportamenti<br />

conseguenti, con la ferma convinzione che l’attività<br />

pratica e la tecnica servano i disegni divini, oltre che la stessa<br />

comunità monastica. 231 In questo modo<br />

l’ideologia del lavoro viene riscattata positivamente dal cristianesimo<br />

e sarà determinante anche per la nascita e la diffusione […]<br />

dei mestieri;<br />

sarà dunque la progressiva evangelizzazione dell’Europa a modificare<br />

l’attitudine dell’uomo medievale verso il lavoro manuale,<br />

232 il quale assumerà – in questo modo – un «significato spirituale»<br />

233 in tutta l’area cristianizzata. Persino gli attrezzi da lavoro,<br />

in particolare quelli prodotti con il ferro o con parti in ferro,<br />

234 vengono assimilati dalla Regola benedettina agli stessi vasi<br />

sacri. 235 Marc Bloch non teme di scrivere che le<br />

acquisizioni e invenzioni (medievali) portano, a ben vedere, la<br />

stessa testimonianza: quella di una notevole agilità delle mani,<br />

dello sguardo e dello spirito. In questa capacità di rinnovamento,<br />

diffusa sin nelle masse degli artigiani, come non riconoscere una<br />

delle fonti di quella grandezza europea che fu vista sorgere, con<br />

231 DOLZA L., op. cit., p. 50.<br />

232 Ivi, p. 51; sull’importanza del lavoro già agli inizi del monachesimo copto<br />

vd. LAWRENCE C.H., op. cit., pp. 35 e 64.<br />

233 NOBLE D.F., op. cit., p. 17; sarà l’umanista Petrarca a manifestare un rinnovato<br />

disprezzo verso il lavoro manuale (FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M.,<br />

op. cit., p. 230).<br />

234 Nella storia delle religioni sono conosciuti i significati simbolici attribuiti<br />

alla figura del fabbro [ELIADE M., Storia delle credenze e delle idee religiose, I, Dall’età<br />

della pietra ai misteri eleusini, Sansoni, Firenze 1996 (1975), pp. 65-68].<br />

235 LE GOFF J., Lavoro, cit., p. 86.<br />

85


86<br />

Franz Brandmayr<br />

uno slancio così prodigioso, dal seno dei torbidi più gravi? L’homo<br />

europaeus, in altri termini, fu per eccellenza un homo faber. 236<br />

Il «gusto dell’esperimento» 237 , la sete di scoperta e di ricerca<br />

che porterà gli europei alla conquista del mondo, 238 l’ingegno e<br />

l’abilità meccanica tali da raggiungere «risultati tecnici moderni»<br />

239 non sembrano giustificare l’appellativo di “zotico e incolto”<br />

240 attribuito all’uomo medievale. Si può giustamente porre<br />

l’obiezione che i riferimenti dei nostri storici sembrano calcare<br />

l’accento sulla dimensione della tecnica più che su quella della<br />

scienza, tuttavia già nel 1959 Butterfield osservava che<br />

si comincia ora a comprendere che la storia della tecnica ha, nello<br />

sviluppo del movimento scientifico, una parte più importante<br />

di quanto si reputasse un tempo. 241<br />

Ancora, a un uomo medievale esageratamente rappresentato<br />

come alienato e proiettato verso attese ultraterrene, 242 Garin<br />

236 BLOCH M., Le “invenzioni” medievali, in ID., Lavoro, cit., p. 210; parentesi mia.<br />

237 ID., Le “invenzioni”, cit., pp. 204-205.<br />

238 DOLZA L., op. cit., p. 83.<br />

239 BUTTERFIELD H., Le origini della scienza moderna, Il Mulino, Bologna 1998<br />

(1958), p. 110.<br />

240 Cfr. PERNOUD R., op. cit., p. 45.<br />

241 BUTTERFIELD H., op. cit., p. 110.<br />

242 Sul «dualismo tra l’“aldilà” e l’“aldiquà” che la maggior parte degli storici<br />

attuali riduce sbrigativamente a evasione dal mondo» (CARMO FELICIANI<br />

S., Introduzione, cit., p. 8) pare concentrarsi con una certa insistenza forse<br />

anche Le Goff (cfr., ad es., ID., Lavoro, cit., pp. 75 e 85 e ID., Medioevo, cit.,<br />

p. 23), che – in quei casi – sembra tenere in scarso conto il giovanneo<br />

Verbum caro factum est e le conseguenze storiche che ne sono derivate; eppure<br />

sul cattolicesimo inteso come fomite della «religione della tecnologia»<br />

(cfr. NOBLE D.F., op. cit., passim) e «del lavoro» (cfr. infra nt. 354) pare concordare<br />

anche lo storico francese.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

sembra restituire il suo spirito d’invenzione e la sua attitudine<br />

alla ricerca, a perseguire la conoscenza e ad aderire alla realtà<br />

concreta.<br />

Quando, liberati da una pericolosa eredità illuministica, gli storici<br />

della filosofia avranno imparato a valutare in pieno, nel suo<br />

reale significato, l’enorme produzione medievale medico-magica,<br />

astrologica, alchimistica, ci renderemo, credo, conto di una<br />

esigenza di congiungere la cognizione […] delle cose con la trasformazione<br />

di esse secondo i bisogni umani: di far convergere<br />

continuamente teoria e pratica, tecnica e scienza: di afferrare un<br />

ordine esistente, ma per modificarlo. 243<br />

Prendiamo ora in esame un altro aspetto della cultura diffusa:<br />

l’alfabetizzazione, senza la quale, sottolineano due fra i massimi<br />

studiosi della tradizione orale, non avrebbe potuto sussistere<br />

una logica lineare, 244 quella stessa che ha contribuito al<br />

decollo culturale, sociale ed economico dell’Europa. 245 In relazione<br />

a questo vasto campo voglio qui richiamare la rilevanza,<br />

anche a giudizio di Le Goff, 246 dell’estendersi dell’istruzione<br />

commerciale e giuridica nel periodo che va dall’XI al XIII secolo.<br />

Laici appartenenti alla nascente classe media dei commercianti,<br />

dei notai e degli avvocati fondarono scuole con curricula<br />

propri. 247 L’offerta formativa, come la si chiamerebbe oggi con<br />

243 GARIN E., op. cit., p. 25; cfr. anche PERNOUD R., op. cit., p. 30.<br />

244 GOODY J., Il potere della tradizione scritta, Bollati Boringhieri, Torino 2002<br />

(2000), pp. 88-94; cfr. ONG W.J., op. cit., p. 89.<br />

245 Cfr. CIPOLLA C.M., Vele e cannoni, Il Mulino, Bologna 1999 3 (1965), p. 87;<br />

DAWSON CH., op. cit., p. 20; LE GOFF J., Il Medioevo, cit., p. 69.<br />

246 Vd. infra nt. 253.<br />

247 CIPOLLA C.M., Istruzione e sviluppo. Il declino dell’analfabetismo nel mondo occidentale,<br />

Il Mulino, Bologna 2002 (1969), pp. 51ss; GRAFF H.J., op. cit., pp. 110<br />

e 125-126.<br />

87


88<br />

Franz Brandmayr<br />

espressione mercantile, aumentò la propria diversificazione in<br />

svariate zone geografiche europee toccate dal fenomeno dell’urbanesimo<br />

e ciò al punto di determinare nel XII secolo una<br />

sorta di competizione fra le scuole monastiche e quelle secolari.<br />

248 Graff riporta l’esempio inglese del secolo XIII, quando<br />

esisteva una vasta gamma di istituti: Grammar Schools, scuole cattedrali,<br />

scuole di monastero, scuole di chiese collegiate, 249 Hospital<br />

Schools, scuole di gilda, scuole comunali, cappellanie, scuole parrocchiali<br />

primarie, oltre a varie scuole specialistiche (di canto, di<br />

scrittura, di lettura) e ad altre opportunità informali. 250 Oramai<br />

nell’Inghilterra del XIII secolo<br />

reali, nobili, cavalieri, mercanti ed ecclesiastici erano nella stragrande<br />

maggioranza in grado di leggere e scrivere. Fra gli artigiani<br />

l’alfabetizzazione era divenuta più diffusa, ma restava molto<br />

lontano dall’essere universale. Fra i contadini dovette rimanere<br />

cosa rara, ma non del tutto impossibile. 251<br />

Il fatto può lasciare freddo l’osservatore contemporaneo,<br />

abituato all’attuale velocità del mutamento sociale, ma non è<br />

certo questo sguardo assuefatto quello che permette di cogliere<br />

lo specifico medievale; all’occhio incapace di guardare con partecipazione<br />

252 il fenomeno storico del deciso ampliamento delle<br />

percentuali di alfabetismo rischia di sfuggire la rivoluzione cul-<br />

248 LAWRENCE C.H., op. cit., pp. 193-195.<br />

249 «Dal latino collegium, “associazione”. Chiesa che possiede un capitolo di<br />

canonici, di solito regolari, pur senza essere la sede di un vescovato»<br />

[BARBERO A.-FRUGONI C., Dizionario del Medioevo, Laterza, Roma-Bari 2002 2<br />

(1994), p. 78].<br />

250 GRAFF H.J., op. cit., pp. 136-137.<br />

251 Ivi, p. 133.<br />

252 Vd. infra paragrafo 3.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

turale, che – secondo Graff – si sarebbe verificata fra il X e il<br />

XIII secolo: «una cosa molto più nuova di quanto non sarebbe<br />

diventata più tardi» 253 . Viene compresa – per la prima volta a un<br />

livello massivo – l’utilità dell’istruzione «per la partecipazione, il<br />

servizio, il potere» 254 . Persino la cultura cavalleresca non è più<br />

ostile 255 alle lettere e all’alfabetizzazione 256 .<br />

A questo proposito Ullmann scrive del riuscito amalgama<br />

degli elementi cristiani, romani e germanici, anche se questi ultimi<br />

«dovettero cedere alla autorità della dottrina e del dogma» 257 .<br />

Parafrasando la celebre battuta di Stalin, secondo il quale lo Stato<br />

del Vaticano disponeva di troppo poche divisioni per impensierirlo,<br />

gli storici solitamente sono propensi a credere che – più<br />

che imporre la dottrina e il dogma – la Chiesa abbia piuttosto<br />

esercitato una costante pressione culturale e sociale sulle aristocrazie<br />

germaniche e che lo abbia fatto soprattutto per mezzo<br />

del “cavallo di Troia” rappresentato dai numerosi membri della<br />

nobiltà, che nel corso di tutto l’alto Medioevo ingrossarono le<br />

file di quelli che furono alfine chiamati gli oratores e, in questo<br />

253<br />

GRAFF H.J., op. cit., p. 107. «La lettura si diffonde ben prima della galassia<br />

Gutenberg e l’alfabetizzazione – è il fenomeno culturale che più conta – non<br />

attende l’invenzione della stampa» (LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario,<br />

cit., p. XX).<br />

254<br />

GRAFF H.J., op. cit., p. 107.<br />

255 Per una serie di indicazioni introduttive circa il lento evolvere delle culture<br />

germaniche da una tradizione orale alla loro «romanizzazione» (cfr. ULLMANN<br />

W., op. cit., p. 29) vd., ad es., BARBERO A., Santi laici e guerrieri. Le trasformazioni<br />

di un modello nell’agiografia altomedievale, in BARONE G.-CAFFIERO M.-SCORZA<br />

BARCELLONA F. (a cura di), Modelli di santità e modelli di comportamento, Rosenberg<br />

& Sellier, Torino 1994, p. 127; CHABOD F., op. cit., p. 38; CIPOLLA C.M., Istruzione,<br />

cit., pp. 47-48; DAWSON CH., op. cit., pp. 89-131; ELIADE M., La nascita<br />

mistica, Morcelliana, Brescia 19883 (1958), pp. 125-130; ID., Storia, cit., pp.<br />

164-166; cfr. anche PERNOUD R., op. cit., p. 55.<br />

256<br />

GRAFF H.J., op. cit., pp. 120, 122 e 128.<br />

257 ULLMANN W., Radici, cit., p. 29.<br />

89


90<br />

Franz Brandmayr<br />

modo, portando i bellatores a un grado di crescente mitigazione<br />

dei loro costumi violenti.<br />

A ciò contribuisce anche l’epoca aurea del monachesimo benedettino<br />

(secoli XI-XII), durante la quale si diffonde fra i cadetti<br />

dell’aristocrazia una modalità culturale, fatta di preghiera e di studio<br />

(e non più soltanto guerresca) di affermazione del proprio<br />

«onore». 258 Questo nuovo atteggiamento della classe dei cavalieri<br />

si manifesta anche nel crescente prestigio che la città e la classe<br />

borghese sembrano assumere ai loro occhi ad esempio in alcune<br />

opere della giovane letteratura volgare in lingua d’oil. 259<br />

Nell’Occidente europeo lettere e alfabetizzazione riacquistano<br />

finalmente, abbiamo visto, un prestigio sociale oramai da lungo<br />

tempo perduto e che rimarrà un’acquisizione definitiva della<br />

cultura occidentale:<br />

La gente incominciò ad attribuire un connotato negativo all’analfabetismo<br />

e in prosieguo di tempo gli analfabeti furono sempre<br />

più considerati inadatti ad un numero sempre crescente di attività<br />

sociali ed economiche. 260<br />

Con l’alfabetizzazione aumentano la coerenza dottrinale cristiana<br />

e, ad un tempo, lo spirito critico, 261 mentre<br />

con il secolo XI la Chiesa perse progressivamente il monopolio<br />

dell’istruzione specie in quelle aree dove […] i benestanti […]<br />

solevano assumere tutori privati per […] i loro figli; 262<br />

in questo modo, conclude Cipolla, il «principio morale» del-<br />

258 Cfr. MICCOLI G., op. cit., p. 71; GRAFF H.J., op. cit., p. 128.<br />

259 Vd. LE GOFF J., Guerrieri, cit., passim.<br />

260 GRAFF H.J., op. cit., p. 49.<br />

261 Ivi, p. 126; vd. anche infra le nt. 269, 307-313 e 321-326.<br />

262 CIPOLLA C.M., Istruzione, cit., p. 51; LAWRENCE C.H., op. cit., p. 308.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

l’istruzione, fino ad allora «proclamato da uno sparuto gruppo<br />

di clerici illuminati, divenne un’idea corrente» 263 , della quale<br />

le istituzioni religiose continuarono a farsi promotrici investendo<br />

gran parte delle risorse disponibili 264 e con una speciale<br />

attenzione alle classi sociali svantaggiate. 265 Se è vero, dunque,<br />

che nei secoli X-XIII «senza la chiesa l’offerta d’istruzione e<br />

alfabetizzazione in Occidente sarebbe stata incredibilmente limitata»<br />

266 e se è parimenti vero che fosse quello del clero il<br />

gruppo sociale più colto, 267 sembra tuttavia di poter dire con<br />

una certa sicurezza che il basso Medioevo vide in svariate zone<br />

d’Europa 268 un laicato autonomo e critico, 269 capace di produrre<br />

iniziative culturali significative sia all’interno che all’esterno<br />

dell’istituzione ecclesiale.<br />

In effetti, soprattutto dopo l’opera fondamentale di<br />

Grundmann, 270 gli studi eresiologici di quasi tutte le impostazioni<br />

sottolineano gli aspetti di omogeneità fra le esperienze carismatiche<br />

ortodosse (come – ad esempio – il francescanesimo) ed<br />

263 CIPOLLA C.M., Istruzione, cit., p. 50.<br />

264 GRAFF H.J., op. cit., pp. 113-115.<br />

265 CIPOLLA C.M., Istruzione, cit., p. 50; GRAFF H.J., op. cit., p. 117.<br />

266 Ivi, p. 113.<br />

267 Per la situazione dell’Inghilterra dei secoli XIV e XV, che è fra quelle più<br />

accuratamente studiate, vd. ivi, p. 205. È probabile che l’osservazione possa<br />

venire estesa anche ad altre parti dell’Europa. È opportuno, tuttavia, non<br />

omologare il clero in un’unica categoria socio-culturale: vi è, ad es., chi lo<br />

divide in due (per l’alto Medioevo vd. MANSELLI R., op. cit., pp. 12-13) o quattro<br />

gruppi (BURKE P., op. cit., pp. 265-268). Vd. anche supra nt. 98.<br />

268 Probabilmente soprattutto nelle zone più urbanizzate d’Europa, che – nel<br />

periodo dal 1440 al 1492 – erano i Paesi Bassi e l’Italia (BURKE P., op. cit., p. 56).<br />

269 Ad es. MANSELLI R., op. cit., pp. 80-85 scrive di «anticlericalismo» già nei<br />

secoli XI-XIII.<br />

270 GRUNDMANN H., Movimenti religiosi nel medioevo, Il Mulino, Bologna 1980<br />

(1935), passim.<br />

91


92<br />

Franz Brandmayr<br />

eterodosse, colte nel loro insieme come grande e creativa stagione<br />

dei movimenti spirituali medievali. 271<br />

Appare perciò dai contributi di autori di varia impostazione<br />

un’immagine del Medioevo assai più luminosa e, soprattutto,<br />

differenziata e ricca di sfumature rispetto alle stereotipie di certa<br />

manualistica. Di questi (come di altri) importanti passaggi<br />

teorici e descrittivi fondamentali 272 nel volume di Caprara non<br />

si trova invece traccia. La Weltanschauung del nostro narratore<br />

sembra sottendere una concezione aprioristicamente e<br />

irreversibilmente antagonistica fra scienza e fede del tutto lecita,<br />

naturalmente, nella dimensione noetica personale, ma i cui<br />

presupposti non vengono tematizzati e – tantomeno – discussi<br />

neanche sotto forma di abbozzo larvato. 273 Conseguentemente,<br />

in questa prospettiva la religione e la Chiesa sembrano ricoprire<br />

un ruolo esclusivamente oscurantista e retrivo, anche in questo<br />

caso senza che appaia argomentazione di sorta né disamina dialettica<br />

in merito; l’assioma sembra innervare la trama della narrazione<br />

“in punta di piedi”, come un implicito del discorso, che<br />

poggia sulla sua stessa “ovvietà”, “costruita” con etichette ed<br />

espressioni ritenute familiari e scontate per il lettore. 274<br />

La selettività, però, non consiste soltanto nell’eliminare radicalmente<br />

tutto ciò che non risulta congruente con il sentire dello<br />

scrittore. Vi sono, infatti, nomi ed eventi che – per la loro<br />

271 Vd. ad es. MERLO G.G., op. cit., pp. 16-19 et passim; PERETTO E., Movimenti<br />

spirituali laicali del Medioevo. Tra ortodossia ed eresia, Studium, Roma, 1985, p. 18<br />

et passim. Cfr. anche supra nt. 261 e infra nt. 323.<br />

272 Per i quali rimando alla bibliografia delle note precedenti e a quella contenuta<br />

all’interno delle opere indicate stesse.<br />

273 NOBLE D.F., op. cit., p. 5. Per una introduzione filosofica al problema vd.,<br />

ad es., BOGDANOV G.- BOGDANOV I.-GUITTON J., Dio e la scienza. Verso il<br />

metarealismo, Bompiani, Milano 1998 (1991), passim, in cui si propone il dialogo<br />

fra un fisico teorico, un astrofisico e un filosofo; cfr. infra anche nt. 280.<br />

274 Vd. supra paragrafo 2.1.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

importanza – non si possono cancellare del tutto. In questo caso<br />

la menzione risulta – in qualche modo – come l’esito di una<br />

selezione effettuata per mezzo di una riduzione dell’alterità alle<br />

categorie proprie della visione del mondo del narratore o,<br />

quantomeno, ad attribuzioni apparentemente “neutre”.<br />

Il britannico Ruggero Bacone inventava gli occhiali. 275<br />

Chi non vuole scadere a sua volta nel pregiudizio e nell’errore,<br />

che abbiamo definito effetto alone, non può ricavare certo<br />

da un unico indizio la tendenza a celare l’appartenenza al clero<br />

di Roger Bacon e la sua identità squisitamente francescana. Allora<br />

insistiamo e più sotto troviamo che<br />

Nel XIII secolo [… (il)] filosofo inglese Ruggero Bacone […]<br />

professava la “scienza come esperimento” e rilevava i gravi errori<br />

scientifici contenuti nelle Sacre Scritture, (e) cominciava a porre<br />

la “questione del metodo” che è alla base della ricerca. 276<br />

Ci accorgiamo, del resto, che qui è in gioco un complesso di<br />

fattori di grande rilievo storico. Si tratta nientemeno che della<br />

genesi remota della scienza sperimentale moderna: 277 possibile<br />

che a farsene iniziatore e promotore sia un frate dal cervello<br />

fino? Ciò sembra contravvenire a un certo senso comune, che si<br />

affermerà con decisione molti secoli dopo, secondo il quale i<br />

frati – probabilmente – potrebbero avere altre qualità, ma certamente<br />

non quella del raziocinio innovatore. O forse l’Autore<br />

ritiene che l’Opus maius sia frutto solo del Bacone-filosofo, per<br />

cui non occorre mettere in rilievo la (disdicevole?) appartenen-<br />

275 CAPRARA G., op. cit., p. 54.<br />

276 Ivi, p. 56 (parentesi rotonde mie).<br />

277 DAWSON CH., op. cit., pp. 23 e 285-286.<br />

93


94<br />

Franz Brandmayr<br />

za religiosa del pensatore. A ciò si aggiunge un ulteriore elemento<br />

destabilizzante: pare che a evidenziare «i gravi errori scientifici<br />

contenuti nelle Sacre Scritture» sia proprio un soggetto<br />

ben inserito nella Chiesa; in questo modo la compagine ecclesiale<br />

sembrerebbe essere composta anche da soggetti capaci non<br />

solo di prescindere dalle auctoritates, 278 ma inoltre di innovare, di<br />

pensare criticamente 279 (persino sulla Sacra Scrittura!) e di anticipare<br />

i tempi proprio sotto il profilo della riflessione intorno<br />

all’ambito scientifico-sperimentale, “notoriamente” appannaggio<br />

del “pensiero laico”. 280 Offrire anche questa immagine della società<br />

ecclesiale, pertanto, risulta troppo dissonante rispetto a un<br />

copione che pare venga rispettato fedelmente attraverso la semplice<br />

omissione di qualche termine identificativo (il “teologo”?<br />

il “filosofo francescano”?). Sottacendo qualche particolare, pertanto,<br />

l’Autore ottiene l’effetto di riordinare la trama della propria<br />

narrazione secondo uno schema selettivo e consonante 281<br />

con la propria pregiudiziale di fondo, ancorata all’idea di una<br />

Chiesa retriva e chiusa al novum. 282<br />

278 Cfr. infra nt. 313.<br />

279 Cfr. supra nt. 261.<br />

280 Uso l’espressione fra virgolette, in quanto topos «della quantità», che richiederebbe<br />

un’analisi molto approfondita, per il suo radicamento nel discorso<br />

comune (cfr. supra nt. 151). In mancanza di spazio, invito il lettore alla lettura di<br />

EINSTEIN A., Idee e opinioni. Come io vedo il mondo, Fabbri, Milano 1996 (1957), pp.<br />

187-193. Intorno alle stereotipie connesse al termine “laico” vd. POSSENTI V.,<br />

Le ragioni della laicità, Rubbettino, Soveria Mannelli (CT) 2007, pp. 14-15, che<br />

sottolinea il riduzionismo dell’odierna interpretazione dominante del concetto<br />

a fronte delle sue possibili cinque accezioni. Per rinvenire ancora alcune indicazioni<br />

circa questo specifico anacronismo cfr. supra le nt. 204-207.<br />

281 Cfr. supra nt. 174.<br />

282 Se esco dall’ambito medievistico rilevo la menzione selettiva del fisico<br />

belga Georges-Henri Lemaitre, che negli anni Venti del Novecento elabora<br />

per primo l’ipotesi del Big Bang e del quale il Caprara omette di indicare la<br />

confessione cattolica e lo stato di vita sacerdotale (ID., op. cit., p. 247).


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

Se procediamo nell’analisi, ancora più sotto troviamo che,<br />

con quasi duecento anni di ritardo rispetto ai presbiti, soccorsi<br />

dall’inventività di Bacone,<br />

ai miopi, invece, penserà lo studioso tedesco Niccolò Cusano<br />

nel 1451. 283<br />

In questo caso si tratta del celebre filosofo neoplatonico,<br />

astronomo e matematico illustre, 284 che ha però il grave difetto<br />

di essere addirittura un cardinale, per cui forse sembra più<br />

opportuno celare il suo stigma vergognoso sotto le generiche<br />

e pudiche espressioni di «studioso» e di «tedesco», certamente<br />

più neutre rispetto alla pretesa antinomia scienza/religione.<br />

Perciò possiamo concludere che quando l’inventore è un uomo<br />

di Chiesa e inoltre, come nel caso di Bacone e di Cusano, filosofo<br />

di prima grandezza, la tendenza è quella di lasciare emergere<br />

solo ed esclusivamente gli elementi che possano favorire<br />

l’ipotesi di partenza (cioè: il Medioevo come età oscura, barbara,<br />

di fanatismo religioso e di superstizione, tutte qualità<br />

negative determinate dall’influenza della Chiesa cattolica), occultando<br />

o minimizzando, dall’altro lato, i fatti storici che potrebbero<br />

indebolirla.<br />

A volte il discorso comune ma, come vedremo, nondimeno<br />

anche la pubblicistica divulgativa, ricorrono a delle false spiegazioni,<br />

in cui il pregiudizio lascia intravedere una sclerotizzazione<br />

oltremodo evidente del suo nucleo cognitivo, cioè dello<br />

stereotipo. 285 Ne riporto un esempio ricavato dallo stesso manuale<br />

del Caprara:<br />

283 Ivi, p. 58.<br />

284 Cfr. ad es. VANNINI M., Mistica e filosofia, Piemme, Casale Monferrato 1996,<br />

pp. 62-70 e 79.<br />

285 MAZZARA B.M., Stereotipi e pregiudizi, Il Mulino, Bologna 1997, p. 16.<br />

95


96<br />

Franz Brandmayr<br />

Fibonacci (1170-1240?) […] proponeva miglioramenti alle dimostrazioni<br />

ottenute dai grandi classici come Archimede. E anche<br />

questo era un segno del nuovo spirito innovatore che stava<br />

portando ormai il Medioevo verso il tramonto. 286<br />

Il concetto di Medioevo sembra oramai reificato 287 e lo stigma<br />

dell’ignoranza oscurantista lo penetra e lo pervade fino alla saturazione.<br />

Il fatto di reperirvi qualche prodotto culturale innovativo<br />

non induce l’Autore a porre in dubbio le sue sicurezze o ad attenuarne<br />

e sfumarne i toni: tale progresso, infatti, non può (“per<br />

definizione”…) essere un frutto della civiltà medievale e rappresenta<br />

con ogni certezza, perciò, un anticipo della fervida e feconda<br />

età rinascimentale… Abbiamo qui un esempio di pseudo-eziologia,<br />

una proposizione di chiara natura tautologica, 288 nella quale,<br />

per giustificare il verificarsi di un progresso matematico nel<br />

Medioevo si ribadisce il Leitmotiv dell’opera in questione: evidentemente<br />

non si tratta più di Medioevo…<br />

L’ultimo concetto che mi propongo di richiamare in questo<br />

paragrafo porta il discorso a stretto contatto con uno dei fattori<br />

causali nodali del pregiudizio antimedievale, fattore che, a mio<br />

avviso, potrebbe rivelarsi forse il più importante: si tratta del processo<br />

dell’“etnicità”. Attraverso questo complesso di dinamiche<br />

interculturali trovano espressione la «classificazione, l’organizzazione<br />

e la comunicazione della differenza culturale tra i gruppi»,<br />

che polarizza le relazioni diadiche noi/loro in una dialettica di<br />

contatto-somiglianza e, al contrario, di differenziazione. 289<br />

286 CAPRARA G., op. cit., p. 53.<br />

287 ABBAGNANO N., s.v. Reificazione, in ID., op. cit., p. 738.<br />

288 Cioè un «discorso […] ripetente nella conseguenza, o nel predicato […] il<br />

concetto già contenuto nel primo membro» (ABBAGNANO N., s.v. Tautologia,<br />

in ID., op. cit., p. 857).<br />

289 SACCHI P., s.v. Etnicità, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., p. 271.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

Faccio di seguito l’esempio, credo assai chiaro, della contrapposizione<br />

fra Medioevo e Rinascimento. È probabile che – alla<br />

stregua dei processi dell’etnicità che pure oggi vediamo instaurarsi<br />

fra culture che si confrontano e si scontrano nel mondo<br />

contemporaneo (ad es. l’Occidente e il mondo islamico) 290 –<br />

parimenti, ai fini della promozione e della celebrazione del Rinascimento,<br />

la denigrazione del Medioevo abbia costituito una<br />

sorta di punto d’appoggio archimedeo sul quale è stato possibile<br />

fare leva per lo meno fino al celebre studio di Burckhardt.<br />

Come si è già evidenziato sopra, inoltre, al di fuori dell’ambito<br />

ristretto degli specialisti, questa ricostruzione storiografica oramai<br />

superata sembrerebbe perdurare e riprodursi, come per inerzia,<br />

nel senso comune, nella produzione “storica” non specialistica<br />

e persino in un certo genere di manualistica. 291<br />

La connotazione negativa dell’immagine del Medioevo, pertanto,<br />

è stata fin dal principio resa funzionale alla costruzione<br />

culturale di un Rinascimento colto e interpretato come una sorta<br />

di riemersione dall’abisso della barbarie. Nel suo corso le arti<br />

290 Svariati studiosi come, ad es., il sociologo ALLIEVI S., Parole dell’islam, parole<br />

sull’islam. Formazione culturale, comunicazione e ruolo dei mass media, in SIGGILLINO<br />

I. (a cura di), I media e l’islam. L’informazione e la sfida del pluralismo religioso,<br />

E.M.I., Bologna 2001, p. 41, attribuiscono al testo di HUNTINGDON S.P., Lo<br />

scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano 1997 (1996), passim<br />

un intento politico strumentale; in esso si fomenterebbe, infatti, una<br />

contrapposizione frontale tra Occidente e Civiltà islamica funzionale a una<br />

riaggregazione degli Stati occidentali intorno agli Stati Uniti d’America, visti<br />

come vessilliferi del mondo “civile”. Questa lettura sembrerebbe sostanzialmente<br />

condivisa anche da CARDINI F., Astrea e i Titani. Le lobbies americane alla<br />

conquista del mondo, Laterza, Roma-Bari 2005 (2003), passim.<br />

291 VASOLI C., Prefazione, in BURDACH K., Riforma Rinascimento Umanesimo. Due<br />

dissertazioni sui fondamenti della cultura e dell’arte della parola moderne, Sansoni,<br />

Firenze 1986 2 (1918), p. VII scrive della «volgarizzazione» del «grande affresco<br />

storiografico del Burckhardt», trasformato troppo spesso in «un facile<br />

cliché» da «mediocri storici, pubblicisti e banali giornalisti».<br />

97


98<br />

Franz Brandmayr<br />

sarebbero rifiorite, avrebbero assunto nuovi valenze e significati<br />

– in certo modo più moderni – e avrebbero espresso «determinate<br />

tendenze prevalenti, cioè il realismo, la secolarizzazione<br />

e l’individualismo» 292 . Ancora, va evidenziato – in prima approssimazione<br />

– il fatto che, di questo genere di ermeneutica della<br />

civiltà medievale europea, si siano fatti imprenditori in modo<br />

particolare la storiografia di matrice riformata 293 e, in seguito,<br />

gran parte degli esponenti della corrente illuministica:<br />

Oggi sappiamo che il mito del Medioevo, come epoca di barbarie,<br />

era, appunto, un mito, costruito dalla cultura degli umanisti e<br />

dai padri fondatori della modernità. 294<br />

2.4. Rinascimento vs. Medioevo: la revisione di un dualismo storiografico<br />

La contrapposizione fra le due epoche, come si sa, si è progressivamente<br />

attenuata nel mondo accademico europeo, fino a determinare<br />

un cambiamento di rotta particolarmente avvertibile<br />

negli ultimi decenni. 295 La concezione di Jakob Burckhardt, che<br />

colse nel Rinascimento un fenomeno culturale moderno creato<br />

da una società moderna, negli anni Ottanta del XX secolo ormai<br />

«non appare più in questa luce» 296 e viene attaccata in vari<br />

modi dagli storici. Secondo una parte di costoro andrebbero<br />

invece messi in maggiore risalto gli elementi di continuità fra le<br />

292 BURKE P., op. cit., p. 29.<br />

293 Cfr. supra nt. 36.<br />

294 ROSSI P., Introduzione, in ID., La nascita della scienza moderna in Europa, Laterza,<br />

Roma-Bari 2007 5 (1997), p. XIV. Cfr. supra nt. 133. Vd. anche BURKE P., op.<br />

cit., pp. 16-17 e 32; DAWSON CH., op. cit., pp. 23 e 31; GARIN E., op. cit., p. 25; LE<br />

GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., p. XVI.<br />

295 Ivi, p. XVII.<br />

296 BURKE P., op. cit., p. 4.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

due epoche e ciò va inteso in un duplice senso: nel senso del<br />

reperimento di elementi documentari che impongono di anticipare<br />

al Medioevo fenomeni che si ritenevano essere caratteristici<br />

del Rinascimento e, per converso, nel senso dell’individuazione<br />

di numerose persistenze e prolungamenti di “tratti culturali” 297 ,<br />

che si presumevano essere “medievali”, ben addentro alla cronologia<br />

rinascimentale.<br />

Nel primo gruppo di fenomeni va senz’altro inserita la crescita<br />

dell’alfabetismo; 298 Graff, come abbiamo già visto sopra, 299<br />

scrive di una «discreta alfabetizzazione» 300 già nell’uomo medievale<br />

e osserva anche che<br />

gli studi sul Rinascimento spesso associano i “decolli” intellettuali<br />

e culturali a risultati nel campo dell’istruzione e della stampa<br />

[…] su di essi si è in genere esagerato. Le attività del Rinascimento<br />

erano già ben evolute prima dell’invenzione della tipografia<br />

a caratteri mobili […] La presenza dell’alfabetizzazione è costante<br />

anche se contraddittoria, 301<br />

e – perciò – non si può parlare di salti improvvisi. La percentuale<br />

di alfabetizzazione del 5-10% nel secolo XV, pertanto, sarebbe<br />

– secondo lo storico inglese – una «base per il futuro» e<br />

un «traguardo fondamentale» 302 . Ciò si sarebbe verificato, per di<br />

più, nonostante la stabilità e il benessere fossero stati “spazzati<br />

via” in tante parti d’Europa da una serie di calamità e di eventi<br />

negativi verificatisi fra il 1270 e il 1470 303 e le condizioni stori-<br />

297 MERCIER P., Storia dell’antropologia, Il Mulino, Bologna 1996 2 (1966), pp. 83 ss.<br />

298 GRAFF H.J., op. cit., p. 150 et alibi.<br />

299 Vd. supra paragrafo 2.3.<br />

300 GRAFF H.J., op. cit., p. 71.<br />

301 Ivi, p. 163.<br />

302 Ivi, p. 209.<br />

303 Ivi, p. 147.<br />

99


100<br />

Franz Brandmayr<br />

che favorevoli per una ripresa si fossero presentate appena verso<br />

la fine del XV secolo. 304<br />

Questo discorso sarebbe valido anche qualora si volesse considerare<br />

soltanto la cultura dotta sotto il profilo della sua creatività,<br />

della quale scrive, ad esempio, Le Goff nel suo celebre La<br />

nascita del Purgatorio:<br />

Certo, la cristianità medievale – questo libro spera di dimostrarlo –<br />

non è stata né immobile né sterile, ma anzi estremamente creativa. 305<br />

Infatti, se – come abbiamo visto sopra – nel Medioevo le<br />

arti hanno prodotto molte innovazioni, 306 anche al livello<br />

dell’intelligencija la capacità di innovare non è mancata affatto<br />

e, al contrario di quanto comunemente si crede, 307 proprio in<br />

virtù delle doti inventive di un certo numero di intellettuali<br />

combattivi, di uomini d’azione e di pensiero, 308 di uomini il cui<br />

«prestigio», il cui «fascino» e la cui «autorevolezza» fanno comprendere<br />

come si sia resa possibile l’egemonia culturale 309 da<br />

loro stessi esercitata fra i contemporanei. Questa creatività si<br />

dipana attraverso percorsi di ricerca spesso travagliati (come –<br />

ad esempio – in Wycliff, Hus e Gerson), lungo i quali dissenso<br />

e conservazione convivono con diversa intensità, alternanza e<br />

304 Ivi, p. 148.<br />

305 LE GOFF J., La nascita, cit., p. 256.<br />

306 Cfr. supra le nt. 224-241.<br />

307 La teoria della creatività rinascimentale, esposta con grande ricchezza di<br />

sfumature e con molti distinguo da BURKE P., op. cit., passim (cfr. ad es. infra le<br />

note relative all’Autore in questione), fornisce talvolta l’estro per<br />

generalizzazioni piuttosto grossolane circa la presunta incapacità innovativa<br />

dell’intellettuale medievale (colloquio 2.1.13.12.2009).<br />

308 FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M., op. cit., p. 213.<br />

309 MICCOLI G., op. cit., pp. 65-67.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

dosaggio, 310 mentre vengono anticipati sensibilmente luoghi<br />

comuni che si presumono “moderni”, come il «teismo della<br />

religione universale e l’idea di tolleranza» 311 e precoci «tendenze<br />

illuministiche» 312 . Tutto ciò fa concludere alla Fumagalli che<br />

la cosiddetta subordinazione alle auctoritates da parte dell’intellettuale<br />

medievale possa configurarsi come un vero e proprio<br />

pregiudizio. 313<br />

Come è noto, poi, Ullmann si fa portatore di una tesi ancor<br />

meno conforme al discorso comune, secondo la quale la stessa<br />

idea di Rinascimento, inteso in particolare modo come sviluppo<br />

della humanitas dell’individuo come della collettività, non sia<br />

comprensibile se non alla luce del concetto di «rinascita battesimale»,<br />

contenuto teologico che – lungo tutto l’arco temporale<br />

del Medioevo – sta alla base della dottrina della “deificazione”<br />

dell’uomo, di cui ho già fatto menzione. 314<br />

La rinascita battesimale era l’assunto esplicito e implicito su cui<br />

poggiava tutt’intera la concezione del mondo del Medioevo: i<br />

suoi effetti globali toccavano l’uomo dalla culla alla tomba, in<br />

ogni sfera della sua vita privata e pubblica e in tutti gli aspetti<br />

socialmente e costituzionalmente rilevanti. 315<br />

Con queste considerazioni Ullmann riprende e approfondisce<br />

la tesi – già avanzata da Burdach 316 – della matrice squisita-<br />

310 Cfr. FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M., op. cit., pp. 221-225.<br />

311 STADELMANN R., Il declino del Medioevo. Una crisi di valori, Il Mulino, Bologna,<br />

1978 (1929), pp. 211-254.<br />

312 Ivi, pp. 255-291.<br />

313 FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M., op. cit., pp. 231-232.<br />

314 Cfr. supra nt. 230 e infra nt. 321.<br />

315 ULLMANN W., Prefazione, cit., p. IX.<br />

316 BURDACH K., Significato ed origine dei termini Rinascimento e Riforma, in ID.,<br />

Riforma, cit., p. 8 et passim.<br />

101


102<br />

Franz Brandmayr<br />

mente religiosa che soggiacerebbe al Rinascimento; ciò lo porta<br />

a concludere che «il rinascimento umanistico fu in sostanza<br />

un’espansione di questo tema ecclesiologico» 317 della rinascita<br />

battesimale. Infine altri ancora – sia pure con minore convinzione<br />

– riconoscono la possibilità di una genesi rinascimentale<br />

in eventuale dipendenza teoretica dalla apocalittica renovatio mundi,<br />

a suo tempo fatta oggetto di riflessione da parte di Gioacchino<br />

da Fiore 318 e riattualizzata 319 da una congerie di autori e correnti<br />

di pensiero basso-medievali fino al Rinascimento e oltre. 320<br />

Fa loro eco Le Goff, che sostiene essere il tema dell’uomoimago<br />

Dei a ispirare, animare «lo sviluppo dell’umanesimo medievale.<br />

Un umanesimo all’opera in tutte le attività della società<br />

medievale, dalle imprese economiche fino alle più alte creazioni<br />

culturali e spirituali» 321 , mentre lo stesso storico francese ricorda<br />

ai sostenitori della teoria della creatività rinascimentale 322 che ci<br />

fu maggiore innovazione religiosa nel periodo della nascita degli<br />

Ordini mendicanti e – possiamo aggiungere noi – degli<br />

eresiarchi medievali, 323 rispetto a quanto realizzò più tardi il<br />

Concilio di Trento. 324 Analogamente, Manselli sostiene esservi<br />

317 ULLMANN W., Radici, cit., pp. 12 e 28.<br />

318 BURKE P., op. cit., pp. 237-238.<br />

319 PANOFF M.-PERRIN M., Dizionario di etnologia, Newton Compton, Roma<br />

1975, pp. 184-185.<br />

320 NOBLE D.F., op. cit., pp. 27-50. Per una penetrante sintesi intorno al prolungamento<br />

in piena Età Moderna e Contemporanea dell’escatologismo medievale<br />

vd., dal punto di vista della Storia delle Religioni, ELIADE M., Paradiso e<br />

utopia: geografia mitica ed escatologia, in ID., La nostalgia delle origini. Storia e significato<br />

nella religione, Morcelliana, Brescia 2000 3 (1969), pp. 103-127.<br />

321 LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., p. XV. Cfr. supra le nt. 230<br />

e 314.<br />

322 BURKE P., op. cit., passim.<br />

323 Cfr. supra le nt. 261 e 269-271.<br />

324 LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., p. XX.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

stata una maggiore lungimiranza e una più profonda comprensione<br />

dei movimenti popolari – ereticali e ortodossi – in<br />

Innocenzo III nel Duecento di quanto si sia in seguito verificato<br />

fra i papi dell’inizio dell’Età moderna. 325<br />

È ancora Manselli a farci presente che l’anticlericalismo non<br />

è un prodotto tardo-medievale o rinascimentale, bensì un sentire<br />

comune a svariati gruppi e aree geografiche fra l’XI e il XIII<br />

secolo. 326 Fra i mecenati pare essere la Chiesa il protettore dei<br />

letterati più tollerante (anche con riferimento alla condotta<br />

morale), mentre dal Quattrocento la libertà per gli intellettuali<br />

di corte sarà sempre più limitata, in quanto essi si vedranno<br />

progressivamente costretti a uno sdoppiamento delle loro funzioni<br />

pubbliche e private, fino a dovere cercare un rifugio più<br />

sicuro nell’intimità della loro coscienza. 327 Ancora a proposito<br />

della cosiddetta “tolleranza”, inoltre, il Medioevo cristiano riesce<br />

a inculcare nell’uomo europeo il messaggio universalistico, 328<br />

per il quale, dal momento che gli attributi naturali<br />

non giocavano alcun ruolo all’interno della realtà ecclesiologica,<br />

i suoi princìpi, i suoi dommi e le sue mete […] erano di fatto<br />

universali. Regionalismo, provincialismo, tribalismo, e tutte le tante<br />

altre varietà di aggregazione sociale naturale, non avevano alcuna<br />

incidenza concreta. Non c’era che una sola società – la società<br />

ecclesiologica universale, che programmaticamente metteva da<br />

parte le peculiarità biologiche, etniche, linguistiche e geografiche<br />

e le riduceva ad un ruolo secondario. 329<br />

325 MANSELLI R., op. cit., p. 129.<br />

326 Cfr. supra nt. 269.<br />

327 FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M., op. cit., pp. 228-229.<br />

328 LE GOFF J., L’uomo medievale, in ID. (a cura di), L’uomo, cit., p. 9.<br />

329 ULLMANN W., Radici, cit., p. 12; cfr. anche DAWSON CH., op. cit., pp. 150 e 152.<br />

103


104<br />

Franz Brandmayr<br />

Al ridimensionamento storiografico del concetto di discontinuità<br />

e rottura applicato alla diade ideal-tipica 330 Medioevo/Rinascimento<br />

e alla fragilità concettuale che oramai vi viene attribuita<br />

contribuiscono anche i motivi di continuità, che il Rinascimento<br />

sembra mostrare rispetto a certe caratteristiche medievali. Su questa<br />

linea sembra porsi anche il notevole lavoro di Burke, 331 che prende<br />

in esame gli anni fra il 1440 e il 1520 e che – perciò – coglie in<br />

pieno il periodo che ci interessa, quasi una sorta di sutura fra le<br />

due epoche. In queste pagine lo storico inglese sostiene che la<br />

fioritura artistica e le ipotetiche caratteristiche rinascimentali della<br />

modernità, del realismo, della secolarizzazione e dell’individualismo<br />

non costituiscono affatto dei dati storici sicuri: «se pure è<br />

possibile salvarle, lo si potrà fare solo a costo di notevoli riformulazioni»,<br />

in quanto «tutte queste certezze si sono andate dissolvendo»<br />

nel corso della sua ricerca, 332 mentre – in realtà – nell’«umanesimo<br />

rinascimentale […] sono ancora operanti un buon<br />

numero di elementi medievali» 333 . Il fenomeno rinascimentale italiano<br />

è reso infatti possibile da un laicato colto 334 – sulla cui matrice<br />

squisitamente medievale ci siamo già soffermati 335 – e dalla<br />

«vita ecclesiastica», che «in nessun altro paese d’Europa […] aveva<br />

uguale portata» 336 . Anche Lucien Febvre mette in evidenza come<br />

lo spirito religioso del Medioevo sia «ben vivo […] in quel genio<br />

che più d’ogni altro a quel tempo aveva rivendicato la modernità<br />

del suo secolo» 337 , cioè in Rabelais, mentre altri insistono sul fatto<br />

330 WEBER M., Il metodo, cit., pp. 107-120.<br />

331 BURKE P., op. cit., pp. 29, 36-37, 39, 71, 214 e 223.<br />

332 Ivi, p. 29.<br />

333 BURKE P., Prefazione, in ID., Cultura, cit., p. X.<br />

334 Ivi, pp. 36-37.<br />

335 Vd. supra paragrafo 2.3.<br />

336 ULLMANN W., Radici, cit., p. 16.<br />

337 LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., pp. XX-XXI; l’A. si riferi-


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

che la secolarizzazione del Rinascimento è relativa, 338 che «la maggior<br />

parte dei quadri aveva soggetto religioso» 339 e che «Dio è<br />

ovunque nella letteratura dell’epoca» 340 .<br />

Si è visto sopra che gli intellettuali e gli “artisti” del Medioevo<br />

sono stati capaci anche di creatività, mentre – contro ogni<br />

“aspettativa stereotipica” 341 –<br />

è paradossale che in un’epoca in cui la cultura italiana fu contrassegnata<br />

da quella che potremmo definire “propensione al nuovo”,<br />

l’innovazione fosse considerata in modo negativo. 342<br />

In effetti, l’ideale rinascimentale è quello di considerare «le opere<br />

antiche come altrettanti modelli da imitare» 343 e anche Burke riconosce<br />

che gli italiani del Rinascimento, con Guicciardini in testa,<br />

sono contrari alle novità, 344 che la creatività sia per loro qualche<br />

cosa di strano 345 e che, in ogni caso, anche i cosiddetti “creativi”<br />

attingono sia alla tradizione che all’innovazione. 346<br />

A proposito dell’ultimo elemento innovativo considerato,<br />

infine, quello del presunto individualismo rinascimentale, Burke<br />

osserva che gli artisti del periodo da lui esaminato sono formati<br />

sce al celebre studio di FEBVRE L., Il problema dell’incredulità nel secolo XVI. La<br />

religione di Rabelais, Einaudi, Torino 1978 (1942), passim.<br />

338 BURKE P., Cultura, cit., p. 3.<br />

339 Ivi, p. 214.<br />

340 Ivi, p. 223; ULLMANN W., Radici, cit., p. 6.<br />

341 Vd. supra nt. 219.<br />

342 BURKE P., Cultura, cit., p. 237.<br />

343 PERNOUD R., op. cit., p. 22.<br />

344 BURKE P., Cultura, cit., pp. 236-237.<br />

345 Ivi, p. 377.<br />

346 Ivi, p. 32.<br />

105


106<br />

Franz Brandmayr<br />

a una collaborazione intensa e costante decisamente «contraria<br />

allo sviluppo dell’individualismo» 347 .<br />

È opinione di svariati studiosi, perciò, che vi sia un certo accanimento<br />

nel ricorso alle suddivisioni e una sottolineatura esagerata<br />

delle cesure che separerebbero il Medioevo dal Rinascimento.<br />

Ullmann – ad esempio – non nutre dubbi sul fatto che sia<br />

insostenibile la posizione, comunemente accettata, 348 di chi parla<br />

di una “nuova era” o di una “frattura (del Rinascimento) nei<br />

confronti del passato medievale”. 349<br />

Molti elementi documentari raccolti dagli studiosi sembrerebbero<br />

perciò suffragare la posizione della continuità storica<br />

fra le due epoche, ma Pietro Rossi mette in guardia da<br />

omologazioni eccessive: quando si parla di scienza medievale e<br />

di scienza moderna<br />

il continuismo è solo una mediocre filosofia della storia sovrapposta<br />

alla storia reale. 350<br />

Almeno sotto il profilo scientifico, sostiene l’Autore, va confermata<br />

l’esistenza di una sorta di discontinuità. Anche Butterfield,<br />

pur nutrendo – come abbiamo già visto 351 – una considerevole<br />

opinione sulla capacità d’invenzione medievale, sembra incoraggiare<br />

una posizione di non-omologazione fra le due epoche, quando<br />

argomenta che l’Età di Mezzo pare esprimere una serie di<br />

conati in direzione di una scienza empirica, ma<br />

347 Ivi, p. 71.<br />

348 L’Autore pubblicava l’opera nel 1977.<br />

349 ULLMANN W., Radici, cit., p. 261; parentesi mia. Vd. anche ivi, p. 10 et alibi.<br />

Cfr. infra anche nt. 354.<br />

350 ROSSI P., Introduzione, cit., p. XIX.<br />

351 Vd. supra nt. 239 e 241.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

l’uso degli esperimenti non venne tuttavia, per così dire, addomesticato<br />

e bardato prima del diciassettesimo secolo, quando gli<br />

si dette un ordine interno, così che esso divenne come una grande<br />

macchina in movimento. 352<br />

Osserviamo, pertanto, che – com’è comprensibile – le differenze<br />

diventano più nette soprattutto mano a mano che ci si<br />

addentra nell’Età moderna e si attraversa la stessa età rinascimentale.<br />

In definitiva, mi sembra che la posizione teorica più<br />

prossima a una visione d’insieme abbastanza equilibrata è forse<br />

quella che proviene dagli studi sull’alfabetizzazione di Graff:<br />

Quando si descrivono circostanze in cui sviluppo e mutamento<br />

tendono ad essere graduali piuttosto che rapidi, come nel caso<br />

dell’alfabetizzazione del Continente, è più efficace ricorrere ai<br />

concetti di “continuità” e “contraddizione”. 353<br />

Non pare trattarsi più di un aut aut, quindi, bensì di un et et,<br />

che può sinteticamente rendere ragione di un polimorfismo di<br />

esperienze e di situazioni particolari assai mutevoli a seconda<br />

delle classi sociali, delle aree geografiche, delle subculture e degli<br />

aspetti o tratti culturali considerati.<br />

Ho voluto dare spazio, per quanto possibile in un contributo<br />

di queste dimensioni, ad angolature prospettiche diversificate per<br />

oggetto di studi e per la sensibilità degli autori rispetto al tema del<br />

rapporto fra il Medioevo e il Rinascimento. Non mi sembra inutile,<br />

però, lasciare concludere questa argomentazione a Le Goff,<br />

che non mostra reticenze di sorta quando afferma che<br />

la maggior parte dei segni caratteristici per mezzo dei quali si è<br />

voluto riconoscerlo [il Rinascimento] sono apparsi ben prima del-<br />

352 BUTTERFIELD H., op. cit., p. 110.<br />

353 GRAFF H.J.., op. cit., pp. 19-20.<br />

107


108<br />

Franz Brandmayr<br />

l’epoca (secoli XV-XVI) in cui il Rinascimento viene collocato. Il<br />

“ritorno all’antico” si manifesta fin dal secolo XIII […] lo stato<br />

“machiavellico” è già presente nella Francia di Filippo il Bello. La<br />

prospettiva entra nell’ottica e nella pittura già alla fine del secolo<br />

XIII. La lettura si diffonde ben prima della galassia Gutenberg e<br />

l’alfabetizzazione – è il fenomeno culturale che più conta – non<br />

attende l’invenzione della stampa. Fra la fine del secolo XII e gli<br />

inizi del XIII l’individuo si afferma con altrettanta forza che nell’Italia<br />

del Quattrocento […] Non sono d’accordo con Max Weber<br />

e Robert Tawney quando collegano la “religione” del lavoro al<br />

protestantesimo. Questa esiste fin dal secolo XIII. 354<br />

3. Verstehen, empatia, osservazione partecipante<br />

Condannare o assolvere il passato non dovrebbe rientrare<br />

fra i compiti dello storico ma, in generale, neppure delle società<br />

contemporanee: il Novecento e gli inizi del nuovo millennio<br />

hanno registrato sufficienti crimini perché nessuno fra<br />

i contemporanei si possa sentire giudice del passato. 355<br />

Quando si tratta di mettere in rilievo gli errori o i limiti altrui il<br />

lavoro del critico risulta sempre facilitato, perché distruggere è<br />

più facile che costruire. Il soggetto sottoposto a valutazione critica<br />

ha lavorato, ha indagato, ha esercitato uno sforzo di analisi<br />

e di scelta e si è – con ciò – caricato di una serie di atti di responsabilità.<br />

Chi lo giudica, invece, dispone del vantaggio di costruire<br />

il proprio edificio teorico sul fondamento del travaglio al-<br />

354<br />

LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., pp. XIX e XX; parentesi<br />

quadrata mia. Per quanto attiene alla nascita dello stato si veda anche REINHARD<br />

W., op. cit., pp. 34-35. Dal punto di vista della sociologia delle religioni si<br />

evince un considerevole rinforzo a questa visione positiva del Medioevo anche<br />

dai primi cinque capitoli di STARK R., La vittoria della Ragione. Come il<br />

cristianesimo ha prodotto libertà, progresso e ricchezza, Lindau, Torino 2006 (2005).<br />

355<br />

CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 164.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

trui. È con questa consapevolezza e con questo atteggiamento<br />

di rispetto che cerco di fornire qualche spunto in direzione di<br />

un approccio più efficace alla storia medievale.<br />

È possibile che la carenza principale che denotano certe trattazioni<br />

del tema di cui ci occupiamo possa riguardare la sua problematica<br />

comprensione da parte dei suoi volgarizzatori, (così<br />

potremmo essere considerati noi insegnanti quando non siamo<br />

anche storici), ma talvolta – perché negarlo? – forse anche da<br />

parte di qualche storico. Come si sa, il termine “comprensione”,<br />

reso dal tedesco Verstehen 356 a partire dal dibattito epistemologico<br />

– svoltosi a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento 357 – chiamato<br />

Methodenstreit 358 , non ha soltanto un generico significato legato<br />

semplicemente al “capire”. Fin dalla sua radice latina (capere) il<br />

verbo capire dà l’idea di «afferrare» 359 , di «prendere», perciò, un<br />

qualche cosa di estrinseco, di esterno rispetto al soggetto che “coglie”.<br />

Il con-prehendere del latino 360 sembra invece rinviare a un significato<br />

più inclusivo e a un coinvolgimento tale da permettere<br />

una Einfühlung 361 , un sentire dentro 362 e, al contempo,<br />

un’«immedesimazione» 363 . Si tratta, perciò, come si può constatare,<br />

della stessa etimologia, ma – soprattutto – dello stesso atteg-<br />

356 MARROU H.-I., op. cit., p. 73.<br />

357 ABBAGNANO N., s.v. Comprendere, in ID., op. cit., pp. 141-142.<br />

358 TULLIO-ALTAN C., Antropologia, cit., p. 287.<br />

359 LIOTTA G.-ROSSI L.-GAFFIOT F., s.v. Capio, in IID., Dizionario della lingua latina.<br />

Latino-italiano, il capitello, Torino 2010; il complesso greifen – Begriff – begreifen =<br />

«prendere, pigliare» – «concetto» – «capire, comprendere» (MACCHI V., s.vv., in<br />

ID., op. cit.) sembra rinviare a rapporti di significato abbastanza simili.<br />

360 DEVOTO G.-OLI G.C., s.v. Comprendere, in IID., Il dizionario della lingua italiana,<br />

Le Monnier, Firenze 1995.<br />

361 MALIGHETTI R., s.v. Verstehen, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., p. 790.<br />

362 MACCHI V., s.vv. Ein e Fühlen, in ID., op. cit.<br />

363 Ivi, s.v. Einfühlung.<br />

109


110<br />

Franz Brandmayr<br />

giamento 364 di empatia metodologica, che gli antropologi cercano<br />

di porre in atto nella loro ricerca sul campo. 365 Ciò non consiste,<br />

come il lettore capisce, in una mera concessione al sentimentalismo,<br />

bensì in un percorso metodologico che, a partire da svariati<br />

autori che hanno fondato le scienze sociali, 366 ha dato i suoi buoni<br />

frutti fino a pervenire – in tempi a noi più vicini – all’elaborazione<br />

originale del metodo dell’antropologia interpretativa affinato<br />

da Clifford Geertz. 367 In questa sede non è possibile neanche accennare<br />

ai passaggi più significativi che portano a questi esiti teorici;<br />

è sufficiente proporre all’attenzione di chiunque si occupi di<br />

divulgare i contenuti della civiltà medievale l’opportunità di un<br />

approccio dall’interno ai singoli dati, come alle epoche e alle culture<br />

fatte oggetto di studio. Ciò si può realizzare in maniera in<br />

qualche modo analoga a quella attuata dall’antropologo che ricorre<br />

all’«osservazione partecipante» 368 quando si trova a indagare<br />

“sul campo” intorno a una qualche cultura specifica.<br />

364 Sotto il profilo psicologico si tratta del «tentativo di riprodurre in proprio<br />

i sentimenti altrui, al fine di comprendere l’altra persona» [STECK P., s.v.<br />

Empatia, in ARNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a cura di), op. cit., p. 354].<br />

365 Cfr. ad es. il riferimento alla «simpatia» dell’antropologo per l’oggetto di<br />

studio (FIRTH R., I simboli e le mode, Laterza, Bari 1977, p. 40); a sua volta TULLIO-<br />

ALTAN C., Soggetto, cit., pp. 210-222 scrive dell’«empatia» richiesta nella ricerca<br />

intorno alle varie tematiche inerenti l’ambito del simbolico. Sono espressioni,<br />

comunque, che non vanno intese in senso «emotivo», né confuse con opzioni<br />

teoriche che rifiutino a priori il tentativo di una «comprensione» oggettiva della<br />

cultura studiata (cfr. TULLIO-ALTAN C., Manuale, cit., p. 543).<br />

366 Si tratta, ad es., di Weber, di Simmel, di Talcott Parsons e di Wright Mills<br />

(MALIGHETTI R., s.v. Verstehen, cit., p. 790).<br />

367 ID., s.v. Antropologia interpretativa, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op.<br />

cit., p. 71; va tuttavia notato che – rispetto al Verstehen – la prospettiva geertziana<br />

non contempla la nozione di empatia (MALIGHETTI R., s.v. Verstehen, cit., ib.).<br />

368 BERNARDI B., op. cit., pp. 114 e 249-250; CIRESE A.M., Cultura, cit., pp. 249-<br />

250, dove l’Autore rende il medesimo concetto con l’espressione «integrazione<br />

mentale»; TULLIO-ALTAN C., Manuale, cit., pp. 515-516 e 542-545.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

Ma non occorre uscire dall’ambito degli studi storici per rinvenire<br />

indicazioni metodologiche – espresse con grande autorevolezza<br />

– sui temi della comprensione e della simpatia metodologica:<br />

Storico è colui che, attraverso l’epokhè, sa uscire da se stesso<br />

per incontrarsi con gli altri. A tale virtù possiamo dare un<br />

nome: “simpatia”. 369<br />

I «vecchi maestri positivisti», continua Marrou, ritenevano<br />

essere lo spirito critico la migliore virtù dello storico: il dubbio<br />

metodologico di ispirazione cartesiana – peraltro imprescindibile<br />

in ogni scienza – veniva da loro esasperato fino a diventare<br />

una «diffidenza programmatica», che – eretta a sistema 370<br />

– «dovrà considerarsi come una delle più gravi deficienze dello<br />

storico» 371 .<br />

In assenza di simpatia metodologica, addirittura di una sorta<br />

di amicizia 372 con l’autore del documento, con il suo mondo fatto<br />

di sentimenti, di passioni da occultare, di interessi materiali e simbolici<br />

da difendere, di tragedie rimosse e di sofferenze forse amplificate,<br />

difficilmente la fonte potrà venire “sfruttata” appieno e<br />

solo con difficoltà essa potrà esprimere ogni sua potenzialità. Se<br />

l’Altro non viene, in qualche modo, guardato con “partecipazione”<br />

(è il termine – forse meno enfatico dell’“amicizia” di Marrou<br />

– che preferisco attingere dalla letteratura antropologica), egli –<br />

l’Altro – rischierà di diventare «una creatura della ragione, un<br />

fantasma che la mia immaginazione si compiace di alimenta-<br />

369 MARROU H.-I., op. cit., p. 85.<br />

370 Per una serie di argomentazioni sulla differenza fra “metodo” e “sistema”<br />

e sulla loro articolazione speculare rispetto alla diade concettuale “apertura”/”chiusura”<br />

si veda ad es. GUITTON J., op. cit., pp. 119-120.<br />

371 MARROU H.-I., op. cit., p. 85. Cfr. supra anche nt. 131.<br />

372 ID., op. cit., p. 86.<br />

111


112<br />

Franz Brandmayr<br />

re» 373 o, se vogliamo adoperare un termine che abbiamo già incontrato,<br />

un concentrato di etichettazioni al quale la ricerca d’archivio<br />

o sul terreno non potrà aggiungere niente di nuovo. Si<br />

configurerà – in questo modo – ciò che gli psicologi sociali definiscono<br />

aspettativa stereotipica, cioè la supposta conferma – ottenuta<br />

dai cosiddetti “fatti documentati” – di ciò che già si era<br />

fissato a priori nella memoria selettiva del ricercatore, l’unica evidenza<br />

che – fin dal principio – egli sarebbe stato disposto a rilevare<br />

sul terreno dell’indagine. In questi casi ogni dissonanza cognitiva<br />

rispetto all’ipotesi di partenza tenderà a venire obliterata, in quanto<br />

non suffragherà l’ipotesi di partenza del ricercatore e si perverrà,<br />

come abbiamo già visto sopra, a una sorta di pseudo-conoscenza<br />

di natura tautologica. Mi piace concludere il paragrafo con<br />

una citazione ricavata da uno studio di un importante sociologo<br />

della comunicazione, mentre tratta il delicato tema della percezione<br />

delle culture islamiche ad opera degli occidentali:<br />

Comprendere i valori degli altri […] non significa […] necessariamente<br />

condividerli, anche se generalmente il risultato del procedimento<br />

è quello di un arricchimento della propria sensibilità etica. 374<br />

3.1. Per una conclusione aperta…<br />

Abbiamo già accennato alla reticenza e finanche alla diffidenza<br />

che certe espressioni (sospensione del giudizio, simpatia, partecipazione)<br />

suscitano in una parte dei ricercatori dei Cultural<br />

Studies, fino a portarli talora a esiti nichilistici375 rispetto alla pos-<br />

373 Ibidem.<br />

374 MARLETTI C., Le immagini dell’islam nella narrazione di eventi e nel dibattito su temi.<br />

Analisi qualitativa dei testi e dei generi, in ID. (a cura di), Televisione e Islam. Immagini e<br />

stereotipi dell’islam nella comunicazione italiana, RAI-Nuova ERI, Roma 1995, p. 157.<br />

375 Vd. supra nt. 173.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

sibilità di fare ricerca su culture e civiltà altre. Credo – del resto<br />

– che anche certi storici non siano disposti a offrire uno spazio<br />

eccessivo a questi atteggiamenti, che ben si presterebbero a essere<br />

resi funzionali a un irenismo accomodante. Ma non è certamente<br />

a questo che allude Marrou, il quale infatti precisa che<br />

al progresso della nostra scienza (la storia) non nuoce che una<br />

critica esigente, a volte ingiusta, possa scuotere una pigra simpatia<br />

pronta a scivolare nell’indulgenza e nella facilità. 376<br />

La sfida è certamente aperta e i risultati, sempre se arrivano,<br />

non sono affatto scontati. Credo fosse, in ogni caso, importante<br />

tornare a sollevare il problema del pregiudizio antimedievale e<br />

cercare di mettere in ulteriore evidenza quanto esso sia compenetrato<br />

con il senso comune: dalla messa in luce delle modalità<br />

riproduttive 377 del pregiudizio che abbiamo cercato di esaminare,<br />

il docente, lo studente, forse lo storico stesso, potrebbero<br />

attingere spunti per l’autoanalisi e per l’affinamento degli strumenti<br />

concettuali necessari per la comprensione del Medioevo.<br />

Si tratterebbe, inoltre, di un esercizio utile anche per la comprensione<br />

di realtà socio-culturali “altre”, con le quali siamo<br />

chiamati a misurarci nella concretezza dell’oggi. 378<br />

Restano aperte, a mio avviso, ancora due questioni, alle quali<br />

ho accennato nel corso del saggio. In primo luogo, credo sia<br />

opportuno un futuro approfondimento, complementare a queste<br />

riflessioni, della matrice occidentalista del pregiudizio antimedievale:<br />

potrebbe derivarne una visione nuova e, forse,<br />

meno dogmatica di alcuni assiomi della civiltà euroamericana.<br />

376 MARROU H.-I., op. cit., p. 87.<br />

377 MAZZARA B.M., op. cit., p. 16.<br />

378 Cfr., ad es., supra nt. 290.<br />

113


114<br />

Franz Brandmayr<br />

“Sacralizzati” 379 e divenuti un tutt’uno con il discorso comune, i<br />

valori e i paradigmi dell’Occidente (ad es.: «la visione universale<br />

e secolare di ciò che è {autenticamente} umano», i «diritti umani»,<br />

il pensiero marxista e liberale e le «scienze umane» 380 , l’idea<br />

del «soggetto-cittadino», «le concezioni della società civile […],<br />

le diverse distinzioni fra pubblico e privato […], il tempo storico<br />

{lineare}» 381 , l’«individualismo», l’«intellettualismo»,<br />

l’«antitradizionalismo» e l’idea di «nazione» ecc.) hanno rappresentato<br />

un saldo supporto teorico funzionale alla tesi della<br />

missione «civilizzatrice» dell’Occidente nei confronti del resto<br />

del mondo. 382 Essi potrebbero conferire – secondo alcuni –<br />

una connotazione addirittura “religiosa” alla modernizzazione,<br />

383 all’interno della quale dette nozioni rischiano di assumere<br />

significati imperituri e sottratti alla critica storica. 384 Altri<br />

ancora, come – ad esempio – Jürgen Habermas, non esitano a<br />

cogliere nella stessa storia della filosofia occidentale un «tentativo<br />

delle società democratiche di rassicurare se stesse» circa<br />

379 Sul processo di “sacralizzazione dei simboli” cfr. REMOTTI F., Noi primitivi.<br />

Lo specchio dell’antropologia, Boringhieri, Torino 1990, p. 157.<br />

380 CHAKRABARTY D., Provincializzare, cit., pp. 16-17; parentesi mia. Qualche<br />

“impressionista” è portato a credere che il pensiero marxista sia stato abbattuto<br />

con il Muro di Berlino; Chakrabarty opportunamente ci ricorda la sua<br />

persistenza e vitalità. In questo senso credo che il volume di MASSET P., Il<br />

marxismo nella coscienza moderna, Città Nuova, Roma 1977 2 (s.d. orig.), passim,<br />

pur superato dagli eventi, rappresenti ancora un’utile introduzione.<br />

381 CHAKRABARTY D., Provincializzare, cit., p. 38; parentesi graffe mie.<br />

382 Cfr. ad es. BASTIDE R., Noi e gli altri. I luoghi di incontro e di separazione culturali<br />

e razziali, Jaca Book, Milano 1990 2 (1970), pp. 27-28; CHAKRABARTY D.,<br />

Provincializzare, cit., p. 21; TRIULZI A., Lo sguardo coloniale, in PASQUINELLI C. (a<br />

cura di), op. cit., p. 106.<br />

383 Cfr. ad es. KIPPENBERG H.G., La scoperta della storia delle religioni. Scienze delle<br />

religioni e modernità, Brescia, Morcelliana 2002 (1997), pp. 196-197, 253 e 256-257.<br />

384 Cfr. REMOTTI F., op. cit., p. 157.


Medioevo: un pregiudizio secolare<br />

la bontà del proprio progetto modernistico 385 da estendere al<br />

mondo intero.<br />

Rimanderei, pertanto, a un ipotetico lavoro futuro l’analisi di<br />

questa particolare tipologia di precomprensioni, le quali – per<br />

quanto a noi care – fondano, sostengono e rendono eurocentriche<br />

– oltre alla storiografia che si occupa delle aree extraeuropee<br />

– anche le narrazioni moderne del Medioevo europeo. Questa<br />

seconda fase del nostro esercizio decostruttivo potrebbe consentirci<br />

di portare a compimento quel lavoro di defamiliarizzazione<br />

386 rispetto alle prospettive moderne e postmoderne, che avevamo<br />

posto come nostro obiettivo critico.<br />

Da ultimo, si pone la necessità della ricerca delle cause<br />

dell’«ostilità simbolica» 387 contro il Medioevo. Vi è chi la attribuisce<br />

non tanto alla malignità, quanto – piuttosto – all’incompetenza<br />

e alla mancanza di curiosità; 388 vi è anche chi sosteneva già<br />

alla metà del secolo scorso che<br />

fuori del mondo accademico si sono affermate nuove forze sociali<br />

che si servono della storia o d’una versione particolare della<br />

storia per fini sociali, come un mezzo per trasformare la vita e le<br />

azioni degli uomini. 389<br />

È compito degli storici l’ipotizzare e il verificare se nella seconda<br />

metà del Novecento vi sia stata una manipolazione della<br />

narrazione medievalistica ad opera di agenzie culturali, che non<br />

385 Cfr. anche le argomentazioni di CHAKRABARTY D., Provincializzare, cit., pp. 62-63.<br />

386 Vd. supra nt. 184.<br />

387 È un concetto che attingo da DAL LAGO A., Non-persone. L’esclusione dei<br />

migranti in una società globale, Feltrinelli, Milano 2004 2 (1999), p. 50; in COLOM-<br />

BO E., op. cit., p. 37 trovo la nozione affine di «violenza simbolica».<br />

388 PERNOUD R., op. cit., p. 152.<br />

389 DAWSON CH., op. cit., p. 17.<br />

115


390 Cfr. supra nt. 158.<br />

116<br />

Franz Brandmayr<br />

abbiano tenuto che in scarso conto gli sviluppi della ricerca<br />

storiografica meno condizionata da istanze extrascientifiche.<br />

Per quanto mi riguarda sarei più interessato per formazione<br />

a un rilevamento in ambito sincronico, da effettuarsi all’interno<br />

di qualche collettività (alcune classi di studenti? un gruppo di<br />

colleghi?) o su una certa tipologia di prodotti culturali (un semestre<br />

di osservazione e controllo della produzione scritta di<br />

una o più testate giornalistiche? una disamina sistematica dei<br />

manuali in commercio nell’arco di un periodo determinato?): il<br />

lavoro di registrazione e di analisi dei sentimenti, delle valutazioni<br />

e delle scelte 390 degli individui e delle comunità riguardo al<br />

Medioevo potrebbe anche essere molto significativo rispetto sia<br />

alla conoscenza del processo di individuazione 391 dei singoli attori<br />

sociali sia alla costruzione dell’identità negli specifici gruppi<br />

di appartenenza.<br />

391 JUNG C.G., s.v. Individuazione, in ID., Dizionario di psicologia analitica,<br />

Boringhieri, Torino 1977 (1921), pp. 82-85.


Nessuno è ciò che sembra. Breve incursione<br />

nella letteratura migrante<br />

di Brigitta Bianchi *<br />

Fervono i dibattiti sulla vitalità della lingua italiana connessi a quelli<br />

sull’unità del Paese. Segnalo, soltanto per citare gli ultimi contributi,<br />

il recente volumetto di Gian Luigi Beccaria Mia lingua italiana, 1 le<br />

conferenze all’ultimo Salone del libro di Torino, l’articolo La lingua<br />

doc apparso su “Focus” di maggio 2 e la simpatica e spumeggiante<br />

trasmissione radiofonica Salva con nome condotta settimanalmente<br />

da Lucia Cosmetico dagli studi regionali FVG della Rai.<br />

È ancora attuale, per certi versi, il distico conclusivo della<br />

quarta strofa dell’ode manzoniana Marzo 1821 (vv. 31-32) riferito<br />

alla nazione: «una d’arme, di lingua, d’altare, / di memorie, di<br />

sangue, di cor».<br />

Intanto la “letteratura migrante” forse apporta nuova linfa<br />

alla comunque rigogliosa pianta della narrativa italiana. Si tratta<br />

di testi prodotti in lingua italiana da migranti, non di lingua madre<br />

italiana. Convenzionalmente si fa iniziare questa produzione con<br />

il racconto Villa Literno scritto in italiano da Tahar Ben Jelloun a<br />

quattro mani con quello che poi sarebbe diventato il suo traduttore<br />

ufficiale, Egi Volterrani. Nei primi anni Novanta interessa-<br />

* Docente di italiano e latino.<br />

1 Einaudi 2011.<br />

2 N. 223, pp. 78-84, a firma di Sabina Berra.<br />

117


118<br />

Brigitta Bianchi<br />

va alle case editrici rinnovare i propri cataloghi con storie “strane”<br />

e di denuncia. Molta strada si è percorsa da allora nel campo<br />

dell’editoria. 3 Proporrò, a testimonianza della vitalità del filone,<br />

due esempi recenti di romanzi scritti in italiano da autori<br />

non di lingua madre italiana.<br />

A Trieste è ambientato Amiche per la pelle dell’indiana Laila<br />

Wadia. 4 In un fatiscente stabile della centrale via Ungaretti, strada<br />

di fantasia, ma verisimile, abitano quattro famiglie extracomunitarie<br />

(una indiana, una cinese, una bosniaca e una albanese)<br />

e un burbero anziano triestino, il signor Rosso, per il quale<br />

tutti gli stranieri sono “negri”. La voce narrante è quella di Shanti<br />

Kumar, una trentenne indiana, che si definisce «tenera ma tenace»<br />

e osserva: «Sono diventata una specie di ibrido culturale e<br />

linguistico, ma il mio cuore è sempre rimasto in un sari: devi<br />

srotolare le cinque iarde di soffice e luccicante patina occidentale<br />

per sentire il suo vero battito.» 5 Moglie di Ashok e madre di<br />

Kamla, italianizzata in Camilla, di cinque anni, la donna ha instaurato<br />

un rapporto vivace e solidale con la signora Fong, detta<br />

Bocciolo di rosa, con Marinka Zigović, moglie del bosniaco Bobo<br />

e mamma di due gemelli, e con Lule, moglie dell’ingegnere albanese<br />

Besim Dardani. «Lule è sempre elegantissima – con i<br />

corti capelli biondo scuro sempre a posto come se andasse dalla<br />

parrucchiera ogni mattina. È alta e slanciata e cammina con la<br />

sicurezza di un’attrice. Assomiglia vagamente a Virna Lisi.» 6 Con<br />

orgoglio Shanti racconta della comune decisione di prendere<br />

lezioni di italiano dalla signora Laura, ex insegnante di scuola<br />

media. «È una donna alta e magra, e ha lunghi capelli argentati<br />

3 In merito, segnalo il recente e sintetico contributo a firma di Filippo La<br />

Porta, L’italiano come scelta, “Domenicale del Sole 24 Ore”, 21 agosto 2011.<br />

4 Edizioni e/o 2009 (orig. 2007).<br />

5 Ivi, p. 140.<br />

6 Ivi, p. 36.


Nessuno è ciò che sembra<br />

che porta sciolti come una quindicenne. Profonde rughe si irradiano<br />

dai suoi occhi grigioverdi, ma sono rughe di una donna<br />

appagata, che ha vissuto la sua vita come voleva. Assieme ai<br />

verbi irregolari e alla “s” impura, cerca di inculcarci l’importanza<br />

di questa libertà, e spesso ci parla di quello che l’emancipazione<br />

femminile ha significato per la sua città natale» 7 . Laura le<br />

porta una volta a fare lezione al caffè San Marco, un’altra a un<br />

concerto al Ridotto del teatro Verdi, 8 un’altra ancora assegna<br />

loro il compito di andare a visitare il castello di Miramare per<br />

scrivere poi le loro impressioni. Le quattro donne ci vanno in<br />

autobus con le loro famiglie e durante questa piacevole gita hanno<br />

modo di entrare in contatto diretto, soprattutto linguistico, con<br />

una tipica anziana triestina chiacchierona, che ovviamente comunica<br />

in dialetto, pur avendo ben capito di aver di fronte degli<br />

stranieri (chi non conosce questo tipo di donna, qui a Trieste?!).<br />

«Gli anziani – e soprattutto le anziane – di questa città sono<br />

assai eccentrici. Hanno un’energia e una grinta da far invidia ai<br />

ventenni, e sugli autobus spingono e imprecano come gli adolescenti<br />

con i loro enormi zaini sulle spalle. Tanti si sentono molto<br />

soli. Alla fermata ti raccontano tutta la loro vita – figli, malattie,<br />

disgrazie delle loro vicine di casa – quasi foste vecchi amici.<br />

Poi salgono sull’autobus e fanno finta di non averti mai visto<br />

prima, mentre ti strattonano per accaparrarsi un posto.» 9 Anche<br />

il signor Rosso appartiene a questa categoria di energici e scontrosi<br />

triestini, ma la piccola Kamla riesce a far breccia in un<br />

temperamento che la Wadia definisce con gusto «da pentola a<br />

pressione con la valvola difettosa» 10 e gli fa sgorgare dal petto<br />

7 Ivi, p. 54.<br />

8 Ivi, p. 71. Gustosi i fraintendimenti delle quattro amiche su che cosa possa<br />

essere un quartetto d’archi.<br />

9 Ivi, p. 90.<br />

10 Ivi, p. 17.<br />

119


120<br />

Brigitta Bianchi<br />

«una risata che aveva soffocato per decenni. Come il tappo di<br />

una bottiglia di spumante» 11 . Si scopre che il vecchio è una persona<br />

colta, che insegna a memoria alla bambina poesie di Ungaretti<br />

e di Saba tra lo stupore e il compiacimento dei genitori.<br />

Inizialmente scettico è il padre Ashok, che sbotta: «Ungaretti?<br />

È una persona? Pensavo che fosse un posto, come Fernetti» 12 .<br />

La vita quotidiana dei condomini scorre veloce tra routine, animate<br />

discussioni, condivisioni di cibo, che possono anche generare<br />

incomprensioni e amarezze. Percependo la diffidenza delle<br />

amiche nei confronti della sua jota, la bosniaca Marinka esplode:<br />

«”Voi volete essere diversi. Vi crogiolate nel vostro stato di miserevoli<br />

stranieri! Vi ostinate ad aggrapparvi al vostro passato, a<br />

un tempo e un paese che non esistono più al di fuori della vostra<br />

fantasia. Che senso ha prendere lezioni d’italiano? Spaccarvi<br />

la testa per imparare la coniugazione dei verbi? Sforzarvi di<br />

leggere I promessi sposi e andare al cinema a vedere Il postino? Se<br />

rifiutate le basi di una cultura, la sua cucina, cioè, se non riuscite<br />

a mandare giù nemmeno un boccone di jota, come intendete<br />

digerire la vita in questo paese?” E ha sbattuto la porta a mo’ di<br />

punto esclamativo alla sua arringa.» 13 Arriva il giorno in cui gli<br />

inquilini ricevono dal padrone di casa una lettera, che ingiunge<br />

loro di lasciare lo stabile entro sessanta giorni in quanto l’edificio,<br />

risultato pericolante, deve essere sottoposto a manutenzione<br />

straordinaria. Le famiglie sgomente devono innanzitutto cimentarsi<br />

con l’incomprensibile linguaggio burocratico. «Chi diavolo<br />

era S.V. ad esempio? Io sono S.K., Shanti Kumar.» 14 Affrontano<br />

poi l’affannosa ricerca di una sistemazione alternativa<br />

e di un’occupazione per le donne, che consentirebbe loro una<br />

11 Ivi, p. 28.<br />

12 Ivi, p. 31.<br />

13 Ivi, p. 51.<br />

14 Ivi, p. 98.


Nessuno è ciò che sembra<br />

maggiore disponibilità di denaro. Marinka trova lavoro come<br />

donna delle pulizie, Shanti come babysitter. È in questa occasione<br />

che l’eleganza e il benessere di Lule vengono drasticamente<br />

ridimensionati con curiosità e sollievo delle altre. Ma anche<br />

la soluzione che giunge inaspettata da parte della famiglia<br />

Fong, e poi pure dal signor Rosso («Nemmeno in un film indiano<br />

ho sentito una storia così incredibile, penso», commenta<br />

Shanti) 15 , ridimensiona (in positivo) la percezione dell’altro che<br />

si ha in questo condominio.<br />

La lingua di Laila Wadia è piana e scorrevole, lo stile denota<br />

acutezza e capacità di cogliere anche nel particolare le caratteristiche<br />

espressive di vari gruppi linguistici. «Due persone che<br />

vogliono abbattere il muro linguistico tra di loro sono due esseri<br />

ansiosi di costruire un mondo migliore. E noi, armate di mattoni<br />

– libri di grammatica e di esercizi, vocabolari e audiocassette<br />

– e con tanto cemento di buona volontà, stiamo tirando su con<br />

non poco sacrificio l’impalcatura del nostro futuro. […] Lule ha<br />

detto che sarebbe stato più produttivo trovarci un’insegnante<br />

privata. Avremmo avuto più tempo per risolvere i nostri problemi<br />

individuali con la lingua. La “r” di Bocciolo di rosa, kvindi<br />

la “kv” di Marinka, la mia eterna lotta con i generi e gli accenti.<br />

Lule, chiaramente, doveva solo ampliare il suo lessico già notevole.»<br />

16 I mariti non capiscono il bisogno delle loro mogli di<br />

imparare bene l’italiano. «Ai loro occhi spendere tre euro a testa<br />

all’ora e passare settimane intere a declinare verbi è uno spreco,<br />

un delitto, quasi. A Bobo non importa parlare spruzzando l’italiano<br />

con parole nella sua lingua e in triestino, Ashok sbaglia<br />

spesso accento, e Besim e il signor Fong sono così parchi di<br />

parole che i loro sbagli passano quasi inosservati.» 17 Spicca, come<br />

15 Ivi, p. 153.<br />

16 Ivi, p. 53.<br />

17 Ivi, p. 59.<br />

121


122<br />

Brigitta Bianchi<br />

si è già accennato in precedenza, la capacità della Wadia di creare<br />

paragoni icastici. Il vecchio proprietario dello stabile, il signor<br />

Zacchigna, aveva una voce «da sturalavandino» 18 e, se stringeva<br />

la mano, «la stritolava come uno spicchio d’aglio nel mixer» 19 .<br />

Marinka si esprime «con un singhiozzo che la fa tremare come<br />

un budino», «ha il cuore fatto di mozzarella, basta un niente e si<br />

scioglie» 20 ; una domanda le esce dalla bocca «come il fuoco da<br />

una mitragliatrice al rallentatore» 21 ; ancora, con dei tacchi alti<br />

insoliti per lei, muove i passi «un po’ incerti, come se fosse un<br />

pianoforte a coda che qualcuno spingeva da dietro» 22 ; «suda come<br />

una fetta di melanzana sotto sale» 23 . Il signor Rosso «bussa alla<br />

porta come un martello pneumatico» e «aveva il riporto grigio<br />

che gli penzolava dalla parte sbagliata come un topo morto» 24 .<br />

Kamla ha una «vocina dolce come lo zucchero filato» 25 . I mobili,<br />

dice Shanti, «li abbiamo messi insieme come dei trovatelli in<br />

un orfanotrofio» 26 . Bocciolo di rosa «ha la pelle liscia come l’interno<br />

di una conchiglia di madreperla» 27 . Laura sbatte le ciglia<br />

«come un ventaglio a ferragosto» 28 .<br />

18 Ivi, p. 10.<br />

19 Ivi, p. 11.<br />

20 Ivi, p. 14.<br />

21 Ivi, p. 49.<br />

22 Ivi, p. 68.<br />

23 Ivi, p. 131.<br />

24 Ivi, p. 20.<br />

25 Ivi, p. 27.<br />

26 Ivi, p. 38.<br />

27 Ivi, p. 52.<br />

28 Ivi, p. 56.


Nessuno è ciò che sembra<br />

Roma è lo sfondo del romanzo dell’algerino Amara Lakhous<br />

Divorzio all’islamica a viale Marconi. 29 Due voci si rincorrono e si<br />

intrecciano durante tutta la storia: quella del tunisino Issa (il<br />

corrispettivo di Gesù per i musulmani), al secolo Christian Mazzari,<br />

giovane siciliano che parla perfettamente l’arabo, in missione<br />

per il Sismi; e quella di Sofia, l’egiziana Safia, madre di<br />

Aida e moglie dell’architetto Said, che a Roma lavora come pizzaiolo<br />

e si fa chiamare Felice.<br />

È la primavera del 2005 e sembra che i servizi segreti italiani<br />

abbiano ricevuto la notizia che un gruppo di immigrati<br />

musulmani sta preparando un attentato nella zona di viale<br />

Marconi, vicino all’università Roma Tre. Si rende necessario<br />

quindi infiltrare una persona, Christian appunto, nella comunità<br />

araba musulmana a Roma, che gravita intorno al call center<br />

chiamato Little Cairo gestito dall’egiziano Akram. Questi<br />

propone a Issa prima un posto letto con altri undici immigrati<br />

nell’appartamento della sessantenne Teresa, soprannominata<br />

Vacanza, e poi un impiego come lavapiatti proprio nella pizzeria<br />

dove lavora Felice. Christian deve calarsi nel suo personaggio,<br />

sembrare ciò che non è, ma che gli riesce facile essere,<br />

salvo in alcuni frangenti. «Mi accorgo di un problema che avevo<br />

completamente sottovalutato: per sembrare credibile devo<br />

parlare un italiano stentato, e pure un po’ sgrammaticato. A<br />

volte mi capita di dimenticare la parte che sto interpretando.<br />

Mi devo identificare nel personaggio Issa, un immigrato tunisino.<br />

Cerco di ricordare la parlata dei miei conoscenti arabi,<br />

soprattutto di quelli tunisini. Devo imitare anche il loro accento.<br />

L’ideale è parlare un italiano con una doppia cadenza:<br />

araba, perché sono tunisino, e siciliana, perché sono un immigrato<br />

che ha vissuto in Sicilia. Forse meno italiano parlo meglio<br />

sarà. Decido senza esitazione di sospendere momentane-<br />

29 Edizioni e/o 2010.<br />

123


124<br />

Brigitta Bianchi<br />

amente molte regole grammaticali, quindi via il congiuntivo e<br />

il passato remoto.» 30<br />

È il bengalese Omar a iniziare Christian/Issa alla vita dell’appartamento<br />

e anche a fornirgli spiegazioni su che cosa significhi<br />

essere immigrato. Issa si adatta con qualche difficoltà alla<br />

convivenza forzata, ma impara a conoscere i suoi vicini di letto<br />

e riesce pure ad aiutarne qualcuno, mandando in bestia Giuda,<br />

cioè il capitano Tassarotti del Sismi, il suo superiore che lo guida<br />

da un appartamento in via Nazionale, dove Issa può anche<br />

tornare per qualche attimo alla sua vita precedente, facendosi<br />

una doccia o leggendo le e-mail.<br />

Su un binario parallelo scorre la narrazione di Sofia, laureata<br />

in lingue, parrucchiera di nascosto dal marito, che le ha imposto<br />

l’uso del velo. «Mettere il velo? Forse non avevo capito bene.<br />

Ma noi saremmo andati a vivere in Italia o in Iran? Il velo è per<br />

caso obbligatorio a Roma? Felice non scherzava affatto. Un vero<br />

colpo basso. Un pugno sotto la cintura. Se fossimo stati sul ring<br />

l’arbitro l’avrebbe subito ammonito e io avrei guadagnato dei<br />

punti. Forse avrei pure vinto, alla fine. Ci sono delle regole del<br />

gioco da rispettare, o sbaglio? Il vero problema è che viviamo in<br />

una società nella quale il maschio fa contemporaneamente l’avversario<br />

e l’arbitro. Noi donne che dobbiamo fare? Potremmo<br />

mai vincere in questa situazione?» 31<br />

Se il racconto di Issa è fortemente incentrato sulla sua integrazione,<br />

quello di Sofia ci ragguaglia sul suo passato e ci svela i<br />

suoi pensieri e i suoi dubbi di giovane donna immigrata. «Vogliamo<br />

parlare della poligamia nel Corano? Non ho paura. Sono<br />

pronta. Non ho fatto studi all’università religiosa di Al-Azhar,<br />

però ho letto un sacco di libri sull’argomento. Dunque, i versetti<br />

dedicati alla poligamia sono soltanto tre e si trovano nel capito-<br />

30 Ivi, p. 45.<br />

31 Ivi, p. 39.


Nessuno è ciò che sembra<br />

lo intitolato “Le donne”. Ecco cosa dicono esattamente: “Sposate<br />

allora fra le donne che vi piacciono due o tre o quattro, e se<br />

temete di non essere giusti con loro, allora una sola”. Fine della<br />

citazione. Secondo il mio modesto parere, la poligamia è vincolata<br />

a condizioni impossibili da rispettare. Voglio proprio vedere<br />

come farà il signor poligamo a essere giusto con quattro mogli!<br />

Infatti, dovrà dividere in maniera precisa tutto in quattro: il tempo,<br />

i soldi, i baci, i regali eccetera eccetera. È più facile vedere la<br />

luna a mezzogiorno che trattare quattro mogli in modo identico!<br />

È una roba infernale che porta direttamente in manicomio.<br />

Povero poligamo? Povero un corno! Peggio per lui.» 32<br />

Sofia è una donna colta (frequenta la biblioteca) e socievole:<br />

la sua amica del cuore, l’algerina Samira, abita nel suo stesso<br />

palazzo, ma sovente Sofia incontra anche l’italiana Giulia e l’albanese<br />

Dorina al giardino di piazza Meucci. Queste forse non<br />

sono amiche per la pelle, come le donne di Laila Wadia, ma si<br />

confrontano e crescono insieme. Parlano di maternità, di divorzio,<br />

di chirurgia estetica. «La mia teoria è semplice: il velo non è<br />

sempre di stoffa, ci sono altri trucchi, paragonabili al nostro<br />

velo, che nascondono altre parti del corpo. E allora? Allora niente.<br />

Insomma, il seno rifatto nasconde il seno originale, il naso rifatto<br />

nasconde il naso originale, le labbra rifatte nascondono le<br />

labbra originali e così via.» 33 Anche con queste amiche c’è l’anziano<br />

burbero, il signor Giovanni, a cui Dorina fa da badante.<br />

Egli legge La Padania, Libero e Il Giornale, ma, quando è triste,<br />

per sfogarsi prendendosela con i partigiani, legge Il Manifesto!<br />

Per un pianto di Sofia al call center e un provvidenziale fazzoletto<br />

porto da Issa, le due storie si intrecciano e gli stessi episodi<br />

vengono narrati dai due punti di vista. All’inizio lui per lei è solo<br />

un ragazzo con i baffi che le offre un fazzoletto, ma poi diventa<br />

32 Ivi, pp. 60-61.<br />

33 Ivi, p. 101.<br />

125


126<br />

Brigitta Bianchi<br />

“il Marcello arabo” 34 dopo un sogno sulla Dolce vita. Sì, perché ad<br />

entrambe le voci il cinema italiano è molto familiare: se Sofia<br />

dimostra spiccate preferenze per i film con Marcello Mastroianni,<br />

Issa spazia da Nanni Moretti a Federico Fellini, da Anna Magnani<br />

ad Alberto Sordi. I due si rivedono in biblioteca e poi al<br />

mercato dove Issa rischia di far saltare la sua copertura prendendo<br />

le difese di Sofia, che è stata spinta da un arrogante cinquantenne.<br />

Lei commenta: «Da quando vivo in Italia non ho mai sentito<br />

un arabo, un immigrato, uno straniero parlare un italiano così<br />

perfetto.» 35 L’assimilazione di Issa continua e il capitano Giuda gli<br />

chiede di infiltrarsi nella moschea della Pace. Dopo un’iniziale<br />

ritrosia Issa riflette: «Ma perché lamentarmi? Questa è una vera<br />

occasione. Potrebbe essere un’esperienza unica che arricchirebbe<br />

il mio curriculum di orientalista, o meglio di arabista, come si usa<br />

dire in ambito accademico. Ho sempre guardato con diffidenza a<br />

quegli occidentali che vivono nei paesi arabi per anni senza sforzarsi<br />

minimamente di imparare l’arabo, e rimangono sempre dei<br />

turisti odiosi, superficiali e viziati, insopportabili! Credono di conoscere<br />

il paese in cui vivono, e invece non sanno una minchia!» 36<br />

Bisogna specificare che Christian, la sua famiglia e la sua ragazza<br />

Marta vivono in Sicilia, a Mazara del Vallo, e fin dalle prime pagine<br />

del libro la lingua di Issa riflette questo dato sia sul piano lessicale<br />

che su quello sintattico. Sono soprattutto i suoi proverbi a<br />

portarci in Sicilia: «Cu’ parra picca campa cent’anni!» 37 Ma proverbi<br />

ce ne sono anche in arabo e in francese e sono perle di<br />

saggezza come quelle di padron ’Ntoni ne I Malavoglia.<br />

Sofia, dal canto suo, confessa con orgoglio di parlare bene<br />

l’italiano: «Mi è capitato di essere scambiata per un’italiana con-<br />

34 Ivi, p. 100.<br />

35 Ivi, p. 105.<br />

36 Ivi, p. 140.<br />

37 Ivi, p. 46.


Nessuno è ciò che sembra<br />

vertita all’Islam oppure per una nata o arrivata da piccola in Italia.»<br />

38 Sottolinea invece che il marito, come tanti egiziani, non riesce<br />

a pronunciare la “p” e immagina un’esilarante scenetta in cui<br />

Felice e «un altro orfano della lettera p» dialoghino in italiano al<br />

Little Cairo.<br />

A questo punto la vicenda si complica, come in Amiche per la<br />

pelle, e avvengono due colpi di scena, che coinvolgono entrambi<br />

Issa, con i quali il romanzo si conclude.<br />

La narrazione scorrevole, la lingua particolare e gli interessanti<br />

punti di vista di immigrati sull’Italia e anche sui loro Paesi<br />

d’origine mi hanno indotto a proporre i due romanzi a studenti<br />

di una quinta ginnasiale in cui ho avuto la ventura di insegnare<br />

geografia. Gli alunni hanno accolto di buon grado il suggerimento<br />

e quasi tutti hanno letto un romanzo o l’altro e ne hanno<br />

vivacemente discusso in classe.<br />

Del libro di Lakhous hanno messo in evidenza l’attualità della<br />

tematica e il contributo che fornisce all’abbattimento di pregiudizi<br />

sul mondo arabo. Sono rimasti colpiti dal fatto che gli immigrati<br />

arrivano in Italia carichi di aspettative e lì si accorgono<br />

che gli italiani, scontenti, abbandonano il loro Paese. I ragazzi<br />

hanno espresso qualche riserva sullo stile: non hanno gradito<br />

stilemi che caratterizzassero anche linguisticamente un personaggio<br />

e si sono trovati a disagio davanti al siciliano o al<br />

romanesco, che talvolta compaiono nel testo.<br />

Comicità, ironia e triestinità sono stati gli elementi del gradimento<br />

di Amiche per la pelle. Gli alunni sono rimasti colpiti dal<br />

senso del passato, che dimostrano le quattro donne. Hanno imparato<br />

che non bisogna fidarsi delle apparenze. Chiave portante<br />

di tutta la storia è, secondo loro, la condizione della donna.<br />

Entrambi i libri sono calorosamente consigliati dai ragazzi.<br />

38 Ivi, p. 81.<br />

127


Dal “sapere” letterario al “saper essere”:<br />

sviluppare una competenza interpretativa<br />

di Raffaela Cosimi*<br />

L’insegnamento della letteratura in lingua straniera<br />

Se è vero che la letteratura è soltanto uno delle molteplici espressioni<br />

della cultura di un popolo che l’insegnante di lingua straniera<br />

deve prendere in considerazione nella sua pratica quotidiana,<br />

accanto al cinema, al patrimonio artistico, alle tradizioni<br />

e ai fenomeni di costume, alle conquiste tecnologiche e scientifiche,<br />

non dimentichiamo che essa ricopre un ruolo assolutamente<br />

preponderante nell’indirizzo linguistico direttamente<br />

correlato alla prova dell’Esame di Stato.<br />

È bene altresì ricordare che il QCER (Quadro Comune di<br />

Riferimento Europeo), ha reintegrato la letteratura all’interno<br />

dell’approccio “per azioni-compiti” 1 , conferendole un’importan-<br />

* Docente di lingua e civiltà francese.<br />

1 Il termine comunemente usato in francese per il metodo che ha superato<br />

quello comunicativo, integrandolo, negli anni ’90 è “approche actionnelle”<br />

ed è chiaramente definito da Rémi Thibert nel Dossier d’actualité n. 58 (novembre<br />

2010) – Pour des langues plus vivantes à l’école [Per delle lingue più vive a<br />

scuola] in questo modo: «L’approccio comunicativo ha ceduto il posto alla<br />

didattica per azioni-compiti con il QCER, rendendo centrale il concetto di compito:<br />

i compiti sono dei progetti con reali obiettivi sociali in cui l’apprendente<br />

deve cercare, selezionare e analizzare le informazioni in funzione di ciò<br />

129


130<br />

Raffaela Cosimi<br />

za etica e politica (benché limitata all’ambito educativo), che<br />

costituisce un grande passo avanti rispetto ai precedenti documenti<br />

(Français Fondamental e Niveau Seuil) 2 nei quali non<br />

compariva affatto. 3<br />

Partirò dal presupposto che gli obiettivi dell’insegnamento<br />

della letteratura in Lingua Straniera sono gli stessi che riguardano<br />

la Lingua Materna, 4 e solo successivamente prenderò in esame<br />

le differenze e le eventuali difficoltà che l’uso di una lingua<br />

diversa comporta nella lettura e interpretazione dei testi.<br />

Ma già la definizione degli obiettivi didattici ed educativi non<br />

è impresa facile, perché il concetto di letteratura si declina nei<br />

due aspetti fondamentali di storia letteraria e di testo. Ad esempio<br />

secondo C. Bemporad (Università di Losanna), per letteratura<br />

si intende «l’insieme costituito dall’oggetto letterario [il testo,<br />

NdT] e da tutti i discorsi su questo testo, come anche tutti<br />

gli elementi, le pratiche, le attività attorno a questo oggetto: le<br />

critiche letterarie rivolte agli specialisti, le riviste, le trasmissioni<br />

(…) i battage pubblicitari (…) le dissertazioni e naturalmente le<br />

attività scolastiche» 5 .<br />

che vuole realizzare utilizzando la lingua con uno scopo specifico. Tale prospettiva<br />

si adatta all’approccio per competenze, nella misura in cui una competenza<br />

si realizza sempre in un contesto sociale dato, anche se si misura<br />

sempre a livello individuale» (la traduzione è della scrivente).<br />

2 Si tratta dei primi modelli, elaborati negli anni Sessanta e Settanta, per definire<br />

rispettivamente il lessico di base necessario per esprimersi in modo efficace<br />

e il livello di autonomia linguistica dell’apprendente, in pratica i primi<br />

tentativi di classificare le competenze in lingua francese.<br />

3 Cfr. BEMPORAD C., Le cadre et la littérature. Proposition d’une articulation possible,<br />

in 11èmes Rencontres des chercheurs en didactique des littératures, Ginevra, marzo<br />

2010, p. 19, consultabile sul sito: http://www.unige.ch/litteratures2010/<br />

contributions_files/Bemporad%202010.pdf<br />

4 Per semplificare da qui in avanti userò le sigle LM e LS.<br />

5 Ivi, p. 2


Dal “sapere” letterario al “saper essere”<br />

Questa doppia valenza rende già difficile operare una scelta/<br />

integrazione tra storia letteraria e analisi testuale e il rischio che<br />

si corre, sollecitati dalla necessità di sintesi e di semplificazione<br />

imposta dalla tirannia del tempo, è quello di dare maggior spazio<br />

a uno dei due aspetti, a scapito dell’altro.<br />

Valorizzando troppo l’aspetto cognitivo e dei contenuti, si<br />

incorre nell’errore che condannava nel lontano 1894 Gustave<br />

Lanson, il fondatore della storia letteraria come disciplina in LM:<br />

Ultimamente hanno travisato l’insegnamento e lo studio della<br />

letteratura. L’hanno presa per materia di programma, che bisogna<br />

aver scorso, sfiorato, ingoiato, alla bell’e meglio, il più velocemente<br />

possibile, per non essere bocciati: salvo poi, come tutto<br />

il resto, non pensarci più per il resto della vita. 6<br />

Nell’ansia di voler insegnare tutto, la letteratura si riduce a<br />

un’arida collezione di fatti e di formule, che finiscono per allontanare<br />

i giovani dalle opere, le vere depositarie e rivelatrici dell’individualità,<br />

per lasciare il posto a una conoscenza sterile e priva di<br />

valore, un sapere “letterale” senza “virtù letteraria” e senza assimilazione<br />

critica. È invece importante rivalutare le opere:<br />

In letteratura, come in arte, non si può perdere di vista le opere,<br />

infinitamente e indefinitamente ricettive e di cui mai nessuno<br />

può affermare di aver esaurito il contenuto né fissato la formula.<br />

Vale a dire che la letteratura non è l’oggetto di un sapere: è esercizio,<br />

gusto, piacere. Non la si sa, non la si impara: la si pratica, la<br />

si coltiva, la si ama. 7<br />

Oltre ad abbandonare la pretesa di esaustività, è bene anche<br />

6 LANSON G., Histoire de la littérature française. Avant-propos, 1894, rist. Hachette,<br />

Paris 1920, p. VI (traduzione della scrivente).<br />

7 Ivi, p. VIII (traduzione della scrivente).<br />

131


132<br />

Raffaela Cosimi<br />

non dimenticare che la letteratura nella Secondaria Superiore<br />

non è critica letteraria, ma materia di studio da definire in termini<br />

di obiettivi didattici 8 e che pertanto va considerata come una<br />

tappa in un processo di crescita, una fase temporanea in vista di<br />

un ulteriore sviluppo che, si auspica, non venga interrotto al<br />

termine del ciclo, ma continui anche dopo in forma autonoma.<br />

Tuttavia la quantità di obiettivi assegnati all’insegnamento/<br />

apprendimento della letteratura è a dir poco impressionante; ad<br />

esempio, per citare il Reuter:<br />

Sviluppare lo spirito di analisi, sviluppare le competenze linguistiche,<br />

sviluppare le competenze di lettura e scrittura, sviluppare<br />

i saperi letterari, il bagaglio culturale dell’allievo, il suo spirito<br />

critico, permettergli di appropriarsi un patrimonio, sviluppare il<br />

suo senso estetico e la sua sensibilità, procurargli piacere, contribuire<br />

alla formazione della sua personalità… 9<br />

Finalità così vaste e ambiziose difficilmente possono essere<br />

acquisite affrontando la materia soltanto a partire dal quarto,<br />

quinto anno di studio, soprattutto se devono essere sviluppate<br />

attraverso dei contenuti cognitivi che abbracciano alcuni secoli<br />

di storia della letteratura, e compresse in un monte ore annuale<br />

piuttosto esiguo, all’interno del quale non vanno dimenticate<br />

altre competenze, in primo luogo quella di scrittura.<br />

Alla difficoltà di definire e collocare l’apprendimento/insegnamento<br />

della letteratura nel curricolo scolastico ed educativo,<br />

8 Per la distinzione tra letteratura come disciplina e come materia di studio a<br />

scuola vd. WIDDOWSON H.G., Stylistics and the Teaching of Literature, Longman<br />

1975, citato in Insegnare letteratura in lingua straniera, a cura di STAGI SCARPA M.,<br />

collana Scuolafacendo, Carocci Faber, Roma 2005, p. 18.<br />

9 REUTER Y., L’enseignement apprentissage de la littérature en question, Enjeux 43-44,<br />

Namur, p. 197 (traduzione della scrivente). Yves Reuter è professore di didattica<br />

del francese all’Università Charles de Gaulle - Lille 3, fondatore e direttore<br />

dell’équipe di ricerca THEODILE, la più importante nella didattica del francese.


Dal “sapere” letterario al “saper essere”<br />

si aggiunge negli ultimi tempi un’esigenza che diventa sempre<br />

più pressante, in presenza di un pubblico di studenti le cui coordinate<br />

culturali e sociali cambiano in modo assai rapido; quella<br />

di essere motivati, «cioè aiutati a cogliere significato (per la costruzione<br />

di sé e della loro immagine del mondo) in ciò che<br />

stanno studiando». 10<br />

Si pone cioè un problema di attualizzazione degli argomenti<br />

di studio, che appaiono sempre più distanti dall’esperienza di<br />

vita dei nostri giovani soprattutto nel linguaggio, ma spesso<br />

anche nelle tematiche, e lontani dalle loro esigenze e dai loro<br />

bisogni, pericolosamente soppiantati da modelli banalizzati e<br />

culturalmente poveri sia nel messaggio che nello strumento<br />

linguistico.<br />

Se per rivitalizzare il patrimonio letterario è utile ricorrere a<br />

linguaggi diversi (visivi, musicali, teatrali), è altresì importante<br />

conservare il ruolo preponderante del testo scritto, proprio perché<br />

ci aiuta a contrastare i pericoli insiti nell’eccesso di comunicazione<br />

mediatica:<br />

Appare quasi superfluo sottolineare quanto la parola scritta possa<br />

indurre alla riflessione un universo giovanile che vive in una vera e<br />

propria full immersion di comunicazione audiovisiva caratterizzata<br />

da immediatezza ma allo steso tempo da pericolosa labilità. 11<br />

È quindi uno strumento importante che bisogna rinnovare e<br />

valorizzare.<br />

10 Cfr. CAROTTI L.-SCLARANDIS C., La storia letteraria nella didattica del triennio<br />

(Griselda on-line, rivista letteraria), http://www.griseldaonline.it/adi/<br />

carotti_sclarandis_print.htm.<br />

11 Cfr. Insegnare letteratura in lingua straniera, cit., p. 15.<br />

133


134<br />

Raffaela Cosimi<br />

Il testo letterario: una preziosa risorsa di apprendimento<br />

linguistico<br />

Il merito di aver restituito alla letteratura un ruolo primario nell’insegnamento<br />

della lingua straniera, e anche ai livelli elementari,<br />

è di Daniel Coste, Jean Peytard e Henri Besse, che ne hanno sottolineato<br />

i vantaggi, tra i quali ci limitiamo a citare i seguenti: «(Il<br />

testo letterario) è il miglior rivelatore dei fatti linguistici» secondo<br />

la formula di Eliane Papo; esso risponde al desiderio degli insegnanti<br />

di condividere i loro saperi; soddisfa insieme la richiesta di<br />

formazione linguistica (o di strumento di comunicazione) e culturale<br />

(o umanistica, di sviluppo della personalità individuale). 12<br />

Appare quindi ormai superata la visione di stampo struttural-funzionalistico<br />

che, identificando nell’uso “connotativo”<br />

della lingua la specificità del testo letterario, elaborava una “stilistica<br />

dello scarto” rispetto alla “norma linguistica” imponendo<br />

di affrontarlo solo dopo che lo studente avesse raggiunto<br />

la piena padronanza di quest’ultima, cioè della lingua di uso<br />

quotidiano.<br />

Perciò è auspicabile che essa non venga sminuita o addirittura<br />

eliminata, sulla scia dell’attuale orientamento verso una formazione<br />

strettamente professionalizzante, sempre più ancorata<br />

alle necessità del mercato del lavoro, nell’ottica di una tecnicizzazione<br />

dilagante nelle società occidentali, 13 ma anzi valorizzata<br />

nella sua valenza educativa anche in settori non prettamente<br />

umanistici, poiché la scuola ha il dovere di fornire il suo soste-<br />

12 Cfr. SEOUD A., Des soucis pour la langue? Mais quelle langue, et quels soucis?, in<br />

11èmes Rencontres… cit., Ginevra, marzo 2010; inoltre si può consultare PAPO<br />

E.-PEYTARD J.-BOUGAIN D., Littérature et classe de langue, collection “Langue<br />

et Apprentissage des Langues”, sotto la direzione di COSTE D., Crédif, ed<br />

Hatier-Didier 1982.<br />

13 Su questo argomento cfr. l’introduzione di BRANDMAYR F., A mo’ di prefazione.<br />

Il significato di queste pagine, in “Dialoghi al Liceo Dante”, Trieste 2010.


Dal “sapere” letterario al “saper essere”<br />

gno soprattutto a chi non dispone di determinati strumenti culturali<br />

in ambito familiare e perché, infine, la letteratura è anche<br />

veicolo di idee e valori civili ed etici, oltre che estetici.<br />

Anzi, è importante che la letteratura diventi una delle tante<br />

risorse, e non soltanto nei Licei Linguistici, in quanto offre agli<br />

studenti un’occasione di arricchimento attraverso testi che veicolano<br />

messaggi interessanti, ma soprattutto perché fa della lingua<br />

un uso specialissimo, sfruttandone tutte le possibilità espressive,<br />

rinnovandola e arricchendola continuamente. 14<br />

Senza contare che i testi letterari raccontano storie, descrivono<br />

esperienze umane, rivelano mondi diversi, talvolta lontani da<br />

quelli dell’esperienza quotidiana aprendo nuovi orizzonti e fornendo<br />

messaggi interessanti, non effimeri e soggetti all’invecchiamento<br />

come le letture prese dai giornali o dall’attualità. E<br />

ancora hanno un carattere di permanenza collettiva (prova ne<br />

sia che i “grandi testi” vengono letti e studiati anche a distanza<br />

di centinaia d’anni), ma anche individuale (si possono rileggere<br />

più volte a distanza di tempo ritrovando lo stesso piacere o scoprendovi<br />

una sollecitazione diversa, correlata al vissuto individuale<br />

che è in continuo divenire).<br />

Il testo letterario: un obiettivo di livello avanzato?<br />

La lettura del testo letterario comporta tuttavia una serie di difficoltà<br />

quando sia affrontata nell’ambito di un LS.<br />

In primo luogo presuppone un livello di competenza linguistica<br />

elevato, che le nuove generazioni di studenti hanno sempre<br />

più difficoltà a raggiungere anche nella lingua materna; senza<br />

contare che, malgrado gli sforzi degli insegnanti, il testo letterario<br />

è in genere percepito dal discente di difficile accesso e<br />

14 Cfr. Insegnare letteratura in lingua straniera, cit., p. 13.<br />

135


136<br />

Raffaela Cosimi<br />

piuttosto lontano dalla pratica quotidiana. Inoltre, perché esso<br />

possa acquisire quella valenza sociale ed esistenziale che auspichiamo,<br />

deve essere forte e significativo per agganciare in qualche<br />

modo i bisogni impliciti – anche intellettuali, dei giovani. 15<br />

Infine, la lettura del testo deve essere supportata da conoscenze<br />

di tipo culturale abbastanza approfondite, senza le quali è impossibile<br />

comprenderlo, apprezzarlo e interpretarlo.<br />

La complessità del testo letterario richiede dunque un’educazione<br />

alla lettura che dovrebbe iniziare praticamente dai primi<br />

livelli (A1/A2) tramite le letture facilitate che si trovano comunemente<br />

in commercio, per proseguire con testi di autori<br />

contemporanei che presentino situazioni vicine all’esperienza<br />

degli apprendenti e per loro più significative, opportunamente<br />

graduate nella difficoltà linguistica oltre che nella scelta dei temi.<br />

Perché lo scopo dell’educazione letteraria è innanzitutto di renderli<br />

consapevoli dei cambiamenti culturali e sociali che stanno<br />

avvenendo ora attorno a loro, ma anche di aiutarli ad «acquisire<br />

strumenti critici di valutazione personale non offrendo alla loro<br />

passiva accettazione gerarchie preordinate di valori e fama, ma<br />

stimolandoli a prestare occhi, orecchie e intelligenza critica a<br />

tutto ciò che si presenta alla loro attenzione» 16 .<br />

Affrontare i grandi autori del “canone” letterario senza aver<br />

prima costruito una competenza interpretativa individuale, rischia<br />

di inaridire lo studio della letteratura riducendolo a una<br />

lista di contenuti che resteranno estranei al vissuto degli apprendenti;<br />

questi ultimi si avvicineranno ai “sacri testi” con timore<br />

reverenziale e sentimento di inadeguatezza culturale che scoraggeranno<br />

la libera espressione delle loro reazioni emotive.<br />

Infatti tutto il corredo di domande, che in genere accompagnano<br />

la lettura dei testi letterari e che hanno lo scopo di verificar-<br />

15 Cfr. CAROTTI L.-SCLARANDIS C., op. cit.<br />

16 Ivi.


Dal “sapere” letterario al “saper essere”<br />

ne la comprensione ma anche di orientarne l’interpretazione<br />

all’interno di un contesto, tende a instaurare un meccanismo<br />

domanda/risposta e un concetto di giusto/sbagliato che rischia<br />

di inibire le risposte autentiche degli apprendenti.<br />

La centralità del lettore<br />

Per ottenere invece un’educazione stabile bisogna mettere in<br />

moto i meccanismi di acquisizione profonda, non soltanto quelli<br />

di apprendimento temporaneo, e fare in modo che gli studenti<br />

interiorizzino gli elementi nuovi appropriandosene: fondamentale<br />

in questo processo cognitivo è il ruolo dell’emozione. 17<br />

Ora se riflettiamo all’uso che normalmente si fa in classe dei<br />

testi letterari, osserviamo che le letture:<br />

- non sono quasi mai integrali e la frammentazione in<br />

piccoli estratti non permette al lettore di “entrare” nell’intreccio,<br />

né di familiarizzare con lo stile narrativo;<br />

- sono imposte dall’insegnante in quanto devono rispondere<br />

agli obiettivi cognitivi che si è prefissato;<br />

- sono scandite dai tempi e dalle necessità scolastiche;<br />

- necessitano in genere di un intenso lavoro di interpretazione<br />

linguistica con il supporto dell’insegnante, delle<br />

note o di un dizionario, che rallentano la lettura;<br />

- sono appesantite da una quantità talvolta eccessiva di<br />

richieste di tipo tecnico che la interrompono rischiando<br />

di scoraggiare la curiosità naturale a leggere.<br />

17 In Insegnare la letteratura italiana per stranieri, Guerra, Perugia 2006, a p. 9 il<br />

prof. P.E. BALBONI fa riferimento agli studi di SCHUMANN (1997) sul funzionamento<br />

cerebrale, riportando i cinque criteri utilizzati dal cervello per selezionare<br />

ciò che vuole acquisire: novità, attrattiva, funzionalità, realizzabilità,<br />

sicurezza psicologica e sociale.<br />

137


138<br />

Raffaela Cosimi<br />

Privilegiano dunque l’aspetto cognitivo, in quanto scelte perché<br />

veicolano determinati contenuti (relativi al periodo storico, alle tematiche,<br />

al movimento in cui si inseriscono, o al contesto dell’opera<br />

dell’autore) e l’aspetto del testo, di cui si tendono a evidenziare i<br />

tratti stilistici e le implicazioni linguistiche, trascurando invece il terzo<br />

fattore, la ricezione del testo da parte del lettore.<br />

Infatti, solo superando la percezione di un’educazione letteraria<br />

concepita come “dovere”, facendo scoprire agli studenti che<br />

hanno bisogno della letteratura e che da questa possono trarre<br />

piaceri straordinari, 18 riusciremo a incrementare la loro motivazione<br />

che si va facendo sempre più debole; constatiamo tutti infatti<br />

che i giovani leggono sempre meno, anche in lingua materna<br />

e, una volta esaurito il compito imposto dall’insegnante, difficilmente<br />

si accostano in piena autonomia a un’opera letteraria.<br />

Per raggiungere questo obiettivo, potrebbe essere utile recuperare<br />

l’aspetto socio-affettivo e soggettivo della lettura utilizzando<br />

pertanto come modello quella silenziosa in LM, chiamata anche<br />

“empirica” (in quanto legata all’esperienza personale) e “autentica”<br />

(in quanto motivata da bisogni e interessi reali), e che:<br />

- è individuale, solitaria, autonoma;<br />

- è liberamente scelta, e praticata in condizioni e in<br />

momenti anch’essi liberamente scelti;<br />

- è solitamente di un testo narrativo;<br />

- è integrale;<br />

- ha l’obiettivo di trovare piacere.<br />

Questo piacere scaturisce spesso dal fatto che il testo incontra<br />

delle necessità emotive o riflessive del soggetto, sollecita la<br />

sua curiosità di scoprire le azioni e i personaggi con i quali più o<br />

meno si identifica, fornisce delle risposte a certi suoi interroga-<br />

18 Ivi, a p. 10 il prof. P.E. BALBONI definisce in modo dettagliato l’educazione<br />

letteraria come “risposta ad un bisogno” e “chiave per un piacere”.


Dal “sapere” letterario al “saper essere”<br />

tivi o in ogni modo si allinea con il suo sentire. 19 Il ruolo dell’insegnante<br />

è allora quello di creare nuovi lettori, stimolando il<br />

desiderio di capire, partendo da letture che presentino temi vicini<br />

alle esperienze del presente, aumentando il piacere di leggere<br />

e la capacità di ciascuno di attingere alle molteplici ricchezze<br />

del testo in modo sempre più articolato e profondo, rinnovandolo<br />

(perché no) nelle diverse fasi della vita alla luce delle<br />

singole esperienze individuali.<br />

Si tratta quindi di sviluppare una competenza trasversale tra<br />

LM e le diverse LS, spesso sottintesa ma raramente esplicitata,<br />

che chiameremo “di saper apprezzare le opere letterarie”, o più<br />

semplicemente “competenza letteraria”, definita come «una<br />

specie di direttore d’orchestra che attiva ed integra, completandole,<br />

tutte le altre competenze, e che si sviluppa mediante una<br />

pratica quotidiana di condivisione culturale attorno ai libri» 20 .<br />

Essa è da considerare nella sua doppia valenza di strumento,<br />

in quanto permetterebbe all’apprendente di sviluppare delle strategie<br />

sempre più valide per affrontare testi via via più difficili e<br />

complessi; e un obiettivo, perché gli permetterà di mantenere e<br />

perfezionare la sua competenza linguistica e culturale, anche una<br />

volta terminato il ciclo formativo della Secondaria Superiore.<br />

L’autonomia è in effetti lo scopo principale dell’apprendimento,<br />

che «deve realizzarsi nell’arco di tutta la vita e va promosso e<br />

facilitato in tutto il precorso educativo, dalla scuola dell’infanzia<br />

19 Cfr. RIQUOIS E., Exploitation pédagogique du texte littéraire et lecture littéraire en<br />

FLE: un équilibre fragile, ATER, Université de Rouen. In 11ème Rencontres…<br />

cit., p. 250.<br />

20 A proposito di questa competenza, che in Québec viene valorizzata e sviluppata<br />

a partire dal ciclo elementare nella lingua materna, è utile leggere il<br />

progetto “Les oeuvres littéraires: projet du sous-comité de français de la<br />

Montérégie”, giugno 2003, http://clindoeilpedagogique.net/IMG/apprecier-<br />

Nicole_1_.pdf. Il testo riporta anche una suddivisione interessante in<br />

sottocompetenze (comprendere, reagire, interpretare, apprezzare).<br />

139


140<br />

Raffaela Cosimi<br />

fino all’educazione degli adulti» 21 , e la lettura di un testo letterario<br />

(strumento sempre disponibile) è praticabile individualmente in<br />

qualsiasi momento, ed è fonte inesauribile di materiale che ha il<br />

vantaggio, rispetto agli articoli di attualità reperibili sulla stampa e<br />

in Internet, di non “invecchiare”: un libro è immutabile, sarà eventualmente<br />

il lettore, in relazione al momento e alle esperienze<br />

personali, a riempirlo di significati diversi.<br />

È evidente che questo approccio scardina i ruoli tradizionali;<br />

l’insegnante allora, più che depositario di un sapere da trasmettere<br />

o di una chiave interpretativa preordinata, diventa una specie<br />

di “mentore” che legge e rilegge con gli studenti dei libri che<br />

ha scelto (evidentemente) per loro, condividendo con loro il<br />

piacere e la scoperta delle varie pieghe interpretative dell’opera.<br />

Strategie e proposte<br />

Benché il contesto scolastico e le difficoltà linguistiche, oltre<br />

che culturali, modifichino inevitabilmente la ricezione di qualsiasi<br />

documento, lo scopo è di restituire il più possibile la modalità<br />

di lettura “autentica” in LM mediante delle pratiche opportune.<br />

In fondo a questo articolo riporto alcune proposte di lettura<br />

e tre schede a uso dell’insegnante che ho selezionato e sperimentato<br />

in classe in base ai seguenti criteri:<br />

- lunghezza: sono da preferire novelle, romanzi brevi<br />

o racconti lunghi, che, pur consentendo al lettore<br />

di familiarizzare con luoghi, eventi e personaggi,<br />

non ne mettono a dura prova la resistenza;<br />

21 Cfr. punto 2 dei documenti del Simposio intergovernativo di Rüschlikon, novembre<br />

1991, citato in Quadro comune europeo di riferimento per le lingue, La Nuova<br />

Italia, Oxford, p. 6.


Dal “sapere” letterario al “saper essere”<br />

- gradualità: essa riguarda le difficoltà lessicali e grammaticali<br />

costituite soprattutto dall’uso letterario del<br />

“passé simple” (passato remoto) in francese;<br />

- centralità del lettore: le tematiche proposte dovrebbero<br />

essere vicine all’apprendente, in quanto il narratore<br />

o il protagonista è quasi sempre un bambino o<br />

un giovane;<br />

- interesse culturale e sociale: i temi proposti sono utili a<br />

comprendere la realtà sociale e culturale della Francia<br />

e del mondo francofono;<br />

- attualità: sono da preferire gli autori contemporanei<br />

perché presentano situazioni e linguaggi in cui i giovani<br />

meglio possono identificarsi, agganciandosi alla<br />

realtà in cui vivono;<br />

- diversità culturale: è bene proporre autori non strettamente<br />

francesi, ma appartenenti alle diverse realtà<br />

culturali e religiose integrate sempre più alla realtà<br />

sociale occidentale.<br />

Altro elemento importante per sostenere e incrementare la<br />

motivazione, è dare allo studente l’opportunità di confrontarsi<br />

con i suoi pari, favorendo innanzitutto lo scambio di emozioni,<br />

percezioni e giudizi, affinché ciascuno sia stimolato ad ampliare<br />

il suo spirito critico, ad arricchire la sua identità personale e il<br />

suo bagaglio culturale.<br />

Dalla lettura empirica alla competenza letteraria:<br />

definizione, metodi, strumenti didattici<br />

Le nuove tendenze didattiche hanno evidenziato come la lettura<br />

autentica può rivelarsi uno strumento importante nella pratica<br />

della lettura analitica (o metodica) dei testi letterari, più oggettiva<br />

e supportata da elementi linguistici e socio-culturali, per condurre<br />

l’apprendente a una lettura che chiameremo “soggettiva argo-<br />

141


142<br />

Raffaela Cosimi<br />

mentata”, in cui i due precedenti aspetti, cioè i poli rispettivamente<br />

del soggetto cognitivo e del testo (lettura metodica) e del soggetto<br />

lettore (lettura empirica), assumano un ruolo complementare<br />

e si integrino. Tale lettura viene definita nella nuova didattica<br />

della letteratura insieme “partecipativa” e “distanziata” 22 .<br />

Infatti, ogni lettura interpretativa è un processo dialettico che<br />

richiede implicazione e distanziazione da parte dei soggetti lettori<br />

(Dufay 2007), partendo però sempre da un approccio intuitivo<br />

che poggia sulle reazioni spontanee della classe per andare<br />

verso una interpretazione ragionata dei testi letterari.<br />

La sperimentazione messa in atto negli ultimi anni sia nelle<br />

Suole medie (Collège) che nei Licei francesi prevede due strumenti<br />

innovativi: il “carnet de lecture” (quaderno di lettura) e il<br />

“débat en classe” (dibattito in classe).<br />

Il primo è una specie di diario in cui l’alunno annota le sue<br />

reazioni in modo istintivo, disordinato e individuale durante o<br />

immediatamente dopo la lettura, e rientra in un tipo di lettura<br />

detta “implicata” 23 , connotata da un coinvolgimento psico-affettivo<br />

o intellettuale del soggetto lettore.<br />

Nella seconda fase, il dibattito costituisce la messa in comune<br />

delle impressioni soggettive e individuali, e dunque un momento<br />

di confronto e di scambio che permette un certo grado<br />

di oggettivazione, in quanto osservazioni o interpretazioni diverse<br />

spingono a rivedere le proprie posizioni. È bene tener<br />

presente che non si tratta di parlare del testo letto, né di discutere<br />

attorno a un testo, e tanto meno di chiarirne il senso, ma di<br />

22 Il concetto è sviluppato da ANNIE ROUXEL et GERARD LANGLADE in occasione<br />

del convegno intitolato Le sujet lecteur. Lecture subjective et enseignement de la<br />

littérature. Il concetto del triplo lettore è teorizzato da MICHEL PICARD e poi<br />

ripreso da VINCENT JOUVE. Cfr. AHR S., D’une lecture empirique à une lecture subjective<br />

argumentée: quels processus cognitifs et langagiers mobilise?, in 11ème Rencontres… cit.<br />

23 Il termine francese “impliqué” è di difficile traduzione e indica un<br />

coinvolgimento anche emotivo.


Dal “sapere” letterario al “saper essere”<br />

imparare a sviluppare, arricchire e organizzare il proprio pensiero<br />

e la propria lettura interagendo con i propri pari e con<br />

l’insegnante. Inutile evidenziare quanto entrambe le pratiche<br />

(quella scritta del quaderno e quella orale del dibattito), elaborate<br />

in un contesto di lingua materna, implichino in termini di<br />

apprendimento linguistico, favorendo la verbalizzazione del processo<br />

attraverso il quale il lettore reale si appropria del testo<br />

ricorrendo al proprio vissuto e alla sua cultura personale, integrando<br />

obiettivi linguistici, culturali e formativi.<br />

In una terza fase il “carnet” viene ripreso e rielaborato, per<br />

incoraggiare un atteggiamento riflessivo, e permettere al lettore<br />

di incamerare gli elementi scaturiti dal dibattito, farli propri e inglobarli<br />

nella sua interpretazione, passando dalla lettura implicata<br />

a quella distanziata e completando così il processo dialettico.<br />

In tal modo si fa prevalere la ricezione empirica dei testi da parte<br />

del soggetto lettore a scapito dell’oggetto della lettura (il testo) e<br />

dell’effetto programmato di questo sul lettore; ma contemporaneamente<br />

si stimola quest’ultimo alla pratica linguistica e a un’attività<br />

cognitiva che lo porteranno a una lettura soggettiva argomentata.<br />

Insomma, una vera rivoluzione che mette i lettori singoli in contatto<br />

diretto con il testo: il percorso non si fonda più sul meccanismo<br />

domanda/risposta costruito da un discorso comune istituzionalizzato<br />

sull’opera letteraria, quella del lettore esperto rappresentato<br />

dall’insegnante o dal redattore del manuale, ma sono i<br />

singoli lettori/studenti che conducono il gioco e imparano così a<br />

costruire il loro percorso interpretativo del testo. Nulla impedisce<br />

poi all’insegnante di riprendere le nozioni introdotte dal dibattito<br />

che ritiene più valide o interessanti in una lezione di approfondimento<br />

di tipo più “magistrale”. In questo modo «la co-attività interpretativa<br />

non parte dai contenuti di saperi ma vi ci conduce» 24 .<br />

24 «La co-activité interprétative ne part pas des contenus de savoirs mais elle<br />

y conduit (Jorro 2009)» in AHR S., op. cit.<br />

143


144<br />

Raffaela Cosimi<br />

Tuttavia è necessario guidare gli apprendenti nella verbalizzazione<br />

del processo di appropriazione del testo, perché tanta<br />

libertà, alla quale questi ultimi sono poco abituati, genera spesso<br />

risposte laconiche e insoddisfacenti. Si possono ad esempio<br />

sollecitare le immagini mentali che ogni lettore si costruisce<br />

durante la lettura, e nelle quali fa confluire il suo vissuto e la<br />

sua cultura personale per riempire l’incompletezza del testo.<br />

Oppure chiedere di annotare i tempi e i ritmi della lettura per<br />

aiutarli a prendere consapevolezza delle strategie di scrittura<br />

(come le tecniche narrative) e delle loro preferenze estetiche<br />

(parti descrittive che sollecitano l’immaginazione, parti narrative<br />

che risvegliano la curiosità). Infine, spingerli a selezionare<br />

una parte del testo giustificando la loro scelta, il che equivale<br />

già a una forma di interpretazione, poiché ogni selezione si<br />

fonda su una sensibilità individuale che può essere di ordine<br />

intellettuale, ma anche estetico.<br />

Conclusione<br />

Appare necessario sperimentare nuove formule per avvicinare i<br />

giovani alla lettura, ponendoli al centro del processo e aiutandoli<br />

a sviluppare le loro potenzialità interpretative in piena libertà.<br />

La lettura dei testi letterari, dapprima in forma semplificata, poi<br />

integrale, di autori contemporanei, può diventare una palestra<br />

importante per accrescere la competenza letteraria necessaria<br />

ad avvicinare lo studente ai grandi autori del passato, e costituirà<br />

uno strumento sempre disponibile e accessibile in forma autonoma<br />

per migliorare e mantenere la competenza linguistica,<br />

oltre che una risorsa importante sia per l’arricchimento culturale<br />

individuale, che per l’interpretazione critica della complessità<br />

del mondo attuale in continuo mutamento.


Dal “sapere” letterario al “saper essere”<br />

SCHEDE PRATICHE<br />

Nella mia ventennale esperienza didattica ho avuto modo di<br />

selezionare e sperimentare in classe alcuni testi che hanno riscosso<br />

un buon successo e un diffuso interesse. Si tratta in genere<br />

di racconti di formazione i cui protagonisti sono ragazzi o<br />

giovani che si misurano con la realtà, vivono esperienze anche<br />

difficili, o attraversano una fase di crescita. Dei primi tre ho<br />

redatto una scheda per orientare l’insegnante nella sua scelta, le<br />

altre sono semplici indicazioni.<br />

J.M.G. LE CLÉZIO, Mondo, in Mondo et autres histoires, Gallimard 1996, corredato<br />

da un dossier cui ho in parte attinto per la formulazione della scheda<br />

Pertinenza della<br />

scelta e centri di<br />

interesse<br />

Lingua e stile<br />

La forma e il<br />

genere letterario<br />

Destinatari: studenti in possesso di un livello A2<br />

(250 ore di apprendimento circa), orientativamente<br />

3°/4° anno di studio, a partire dai 16 anni.<br />

La lingua, pur essendo letteraria, presenta la singolarità<br />

di un uso assai frequente dell’imperfetto,<br />

che rende il racconto accessibile anche con<br />

un livello intermedio. La presenza di un esiguo<br />

numero di verbi al passato remoto consente una<br />

certa fluidità della lettura, che presenta invece<br />

qualche complessità a livello lessicale, per la quale<br />

si suggerisce un approccio propedeutico all’uso<br />

del dizionario.<br />

Racconto lungo (una settantina di pagine nell’edizione<br />

citata) alla terza persona, la cui voce narrante<br />

si determina solo all’inizio e alla fine come testimone-personaggio<br />

degli avvenimenti entro i limiti temporali<br />

dell’arrivo di Mondo nella imprecisata città e<br />

la sua partenza verso una meta sconosciuta. Verosimile<br />

e realistico nella struttura e nell’intreccio, il<br />

racconto si colora nello stile di un’aurea magica che<br />

lo avvicina al genere della favola.<br />

145


I temi<br />

La storia<br />

146<br />

Raffaela Cosimi<br />

La libertà dai legami affettivi (Mondo è un orfano)<br />

e dagli obblighi sociali (non frequenta la scuola<br />

e dispone di tutto il suo tempo), la solitudine e<br />

il desiderio di essere accudito (Mondo chiede<br />

continuamente alle persone che incontra di essere<br />

adottato), la necessità di fare i conti con le<br />

regole sociali, il viaggio iniziatico e l’incontro che<br />

trasforma il protagonista che ne trae un insegnamento,<br />

il sentimento di una natura affascinante<br />

ed ambivalente che attrae e spaventa allo stesso<br />

tempo, la fusione in una visione sincretica di elementi<br />

di culture diverse (i personaggi che incontra<br />

già nei nomi evocano paesi diversi – Ciapacan,<br />

Thi Chin, il Cosacco, il Gitano), la sofferenza<br />

e la necessità della separazione, il potere magico<br />

delle parole e la capacità dello sguardo infantile<br />

di ingentilire un mondo banale e perfino<br />

brutto e crudele.<br />

In una città della Francia del sud non meglio<br />

determinata un giorno arriva Mondo, un bambino<br />

di cui nessuno sa nulla, nemmeno il narratore,<br />

che segue i suoi movimenti quotidiani, i<br />

suoi giochi infantili, i suoi approcci diretti e talvolta<br />

ingenui con il mondo e le persone che lo<br />

circondano. Qui il ragazzino farà una serie di<br />

incontri e di esperienze che lo matureranno: due<br />

avventurieri che si guadagnano il pane con giochi<br />

di prestigio che si prendono cura di lui, la<br />

piccola vietnamita Thi Chin, silenziosa e accogliente<br />

come la sua casa e il suo giardino, ma<br />

sperimenterà anche la paura di essere catturato<br />

come un cane randagio e infilato nella<br />

camionetta di Ciapacan, e infine la gioia di imparare<br />

a scrivere il proprio nome nell’illusione<br />

di poter cogliere la bellezza del mondo. Ma l’incanto<br />

della bella favola si spezzerà e Mondo sarà<br />

costretto a ripartire per evitare di finire in un<br />

istituto dell’assistenza pubblica e perdere così<br />

la sua libertà.


Dal “sapere” letterario al “saper essere”<br />

ERIC-EMMANUEL SCHMITT, Monsieur Ibrahim et les fleurs du Coran, Albin Michel<br />

2001; collection “Classiques & contemporains”, Magnard 2004 per il dossier<br />

Pertinenza della<br />

scelta e centri di<br />

interesse<br />

Lingua e stile<br />

La forma e il<br />

genere letterario<br />

I temi<br />

La storia<br />

Destinatari: studenti in possesso di un livello A2/<br />

B1 (200 ore di apprendimento circa), vale a dire<br />

3°/4° anno di liceo, a partire dai 15 anni.<br />

Accessibile sia per la sintassi lineare e semplice (il<br />

racconto viene fatto da un bambino), sia per l’uso<br />

molto frequente del dialogo; stile spesso poetico<br />

con l’uso di metafore che potrebbero richiedere<br />

un intervento dell’insegnante. L’uso ridotto del<br />

passato remoto non condiziona la comprensione.<br />

Potrebbe essere consigliabile un’edizione con un<br />

supporto di note (soprattutto per il lessico) come<br />

ad esempio l’Edizione sopra indicata, corredata<br />

da un dossier che l’insegnante può scegliere di<br />

utilizzare anche solo in parte.<br />

Racconto lungo/romanzo breve vagamente fiabesco,<br />

raccontato in forma di “ricordi d’infanzia”<br />

da un narratore adulto che si alterna con il narratore<br />

bambino, scaturito da uno spettacolo che l’autore<br />

ha scritto per Bruno Abraham-Kremer e parzialmente<br />

ispirato alla sua storia. François Dupeyron<br />

ne ha tratto un film presentato a Cannes<br />

nel 2004, che ha valso ad Omar Sharif nel ruolo<br />

di M. Ibrahim il César per il miglior attore.<br />

Gli stereotipi culturali e l’incontro delle culture e<br />

delle religioni, la tolleranza religiosa, la ricerca della<br />

felicità, il rapporto padre/figlio, l’amicizia e il modello<br />

adulto nella crescita e nella formazione della<br />

personalità, l’iniziazione all’età adulta, l’indifferenza,<br />

la solitudine e l’abbandono, la depressione. Fra<br />

i contenuti culturali si può anche proporre un approfondimento<br />

del quartiere di Parigi della rue du<br />

Faubourg Poissonnière.<br />

Siamo negli anni ’60 e Moïse, soprannominato<br />

147


148<br />

Raffaela Cosimi<br />

Momo, è un ragazzino di undici anni trascurato<br />

dal padre, avvocato depresso da quando la moglie<br />

lo ha lasciato. A poco a poco la sua figura di riferimento<br />

diventa M. Ibrahim, un turco che tutti<br />

chiamano “l’arabe du coin” (l’arabo dell’angolo)<br />

perché tiene aperta la sua bottega della rue Bleu<br />

tutti i giorni, che fra piccole trasgressioni e semplici<br />

riflessioni sulla religione, gli indicherà i segreti<br />

della felicità e lo accompagnerà, insieme alle<br />

prostitute del quartiere, nel difficile cammino verso<br />

l’età adulta. Momo, a sua volta, accompagnerà M.<br />

Ibrahim nel suo viaggio di ritorno al paese natale,<br />

per vederlo un’ultima volta….Molti elementi della<br />

storia lo avvicinano al romanzo di Romain Gary<br />

La vie devant soi, pubblicato con lo pseudonimo<br />

Emile Ajar, Gallimard, Paris 1982<br />

FAIZA GUÈNE, Kiffe kiffe demain, Hachette littératures 2004 Paris, collection<br />

“Le Livre de Poche”<br />

Pertinenza della<br />

scelta e centri di<br />

interesse<br />

Lingua e stile<br />

La forma e il<br />

genere letterario<br />

Destinatari: studenti in possesso di un livello A2<br />

(200 ore di apprendimento circa), orientativamente<br />

3° anno di studio, a partire dai 15 anni.<br />

Lo stile è quello della lingua orale sia dal punto di<br />

vista morfo-sintattico, che delle scelte lessicali e<br />

dell’uso dei tempi verbali, il che lo rende accessibile<br />

anche a discenti con nozioni di grammatica<br />

non avanzate (in particolare l’uso del passato prossimo<br />

nella narrazione). Tuttavia bisogna prevedere<br />

qualche lezione propedeutica sulle varie forme<br />

del linguaggio familiare (“argot”, “verlan”, espressioni<br />

idiomatiche) ampiamente utilizzato nel romanzo,<br />

o un glossario elaborato dall’insegnante<br />

per accelerare i tempi di lettura.<br />

Romanzo di formazione al limite del diario intimo,<br />

realistico nell’intreccio ma estremamente


I temi<br />

La storia<br />

Dal “sapere” letterario al “saper essere”<br />

gettivo nella presentazione dei fatti. Si tratta infatti<br />

del racconto in prima persona, in forma di diario<br />

personale, di un’adolescente di origine marocchina<br />

con difficoltà a integrarsi e scarso rendimento scolastico;<br />

lo sguardo estremamente critico che porta<br />

sulla realtà è l’espressione della sua sofferenza interiore,<br />

sofferenza che via via, grazie agli incontri e<br />

agli eventi che si susseguono nella sua vita, riuscirà<br />

a superare per acquisire maggior fiducia nel futuro.<br />

La narrazione si divide in brevi capitoli non numerati<br />

ma separati da semplici spazi tipografici, a loro<br />

volta suddivisi in parti seguendo un criterio tematico<br />

o le esigenze del racconto intimo più che i ritmi<br />

di una progressione narrativa esterna.<br />

La difficoltà di integrazione delle culture<br />

(marocchina e francese), l’analfabetismo, gli<br />

stereotipi sugli immigrati e il razzismo, i rischi legati<br />

allo statuto di immigrato (fallimento scolastico,<br />

uso di sostanze stupefacenti, piccola delinquenza),<br />

la povertà e la vergogna che ne derivano, l’importanza<br />

dell’istruzione per l’emancipazione sociale,<br />

la ribellione e la crisi adolescenziale, il ruolo<br />

svolto dalla televisione nell’analisi della realtà, la<br />

possibilità di trovare nella letteratura un sollievo e<br />

una risposta alla sofferenza umana.<br />

Un mattino il padre di Doria è tornato al paese<br />

natale, il Marocco, per sposare una donna più giovane<br />

e in grado di dargli dei figli (possibilmente<br />

maschi). La quindicenne attraversa allora un periodo<br />

non facile: la madre analfabeta è depressa e<br />

costretta a lavorare come donna delle pulizie per<br />

sbarcare il lunario; lo scarso rendimento scolastico<br />

dà luogo a una sfilata di assistenti sociali mal<br />

sopportate; l’amicizia con un magrebino più grande<br />

di lei, del quale è forse un po’ innamorata, la fa<br />

soffrire di gelosia nei confronti delle donne che<br />

frequenta. Sullo sfondo, la realtà sociale degradata<br />

di una delle tante “cité” dove si muove, soffre e<br />

149


Elementi<br />

di analisi<br />

dell’opera<br />

150<br />

Raffaela Cosimi<br />

si arrabatta per sbarcare il lunario tutta una folla<br />

variopinta di persone, ciascuna con la sua cultura,<br />

i suoi limiti, le sue speranze. E su tutto, lo sguardo<br />

critico e talvolta feroce ma sempre ricco di humour,<br />

di un’adolescente che cerca di decifrare il<br />

mondo con i mezzi che ha (una conoscenza enciclopedica<br />

dei programmi televisivi), sforzandosi<br />

di integrare la sua cultura di origine, con i suoi<br />

rituali e le sue tradizioni, a una realtà dinamica ma<br />

spesso crudele e poco accogliente. Un po’ alla volta<br />

i vari nodi si sciolgono, i rapporti cambiano e nuovi<br />

spiragli si aprono, lasciando sperare in un futuro<br />

migliore.<br />

La forma narrativa alla prima persona (diario); il<br />

linguaggio parlato (scelte lessicali, strutture<br />

sintattiche, forme idiomatiche); la soggettività del<br />

racconto e le informazioni che si ricavano dall’analisi<br />

della voce narrante; i riferimenti socio-culturali<br />

(numerosissimi) a tradizioni marocchine, trasmissioni<br />

televisive e testi letterari.<br />

Altre proposte di lettura<br />

Joseph Joffo, Un sac de billes, Hachette 1998, collection “Le Livre de Poche”<br />

Amélie Nothomb, Robert des noms propres, Albin Michel 2003, collection “Le<br />

Livre de Poche”<br />

Delphine de Vigan, No et moi, Lattès 2007, collection “Le Livre de Poche”<br />

Tahar Ben Jelloun, Les raisins de la Galère, Fayard 1996<br />

M. Pagnol, La gloire de mon père, Flammarion 1974 (esiste anche il film diretto<br />

da Yves Robert, 2002 TF1 VIDEO)<br />

A. de Saint Exupéry, Le petit Prince, Gallimard 1987, collection “Folio Junior”<br />

Per altri suggerimenti si può consultare il sito http://takalirsa.pagespersoorange.fr/index.html,<br />

ricco di idee e sollecitazioni.<br />

Bibliografia e sitografia<br />

Aa. Vv., Littérature et classe de langue. Français langue étrangère, Hatier et CREDIF 1982<br />

DUFAY J.L., Enseigner et apprendre la littérature aujourd’hui, pour quoi faire? Sens,<br />

utilité, évaluation, Presses Universitaires de Louvain 2007.


Dal “sapere” letterario al “saper essere”<br />

PAPO E., Littérature et communication en classe de langue, Hatier-Didier 1990<br />

ROUXEL A., Enseigner la lecture littéraire, Presses Universitaires de Rennes, 1996<br />

THIBERT R., Dossier d’actualité n. 58 (novembre 2010) – Pour des langues plus<br />

vivantes à l’école<br />

DUFAYS J.-L., GEMENNE L., LEDUR D., Pour une lecture littéraire. Histoire, théories,<br />

pistes pour la classe, 2e édition, De Boeck 2005.<br />

Riviste<br />

LIDIL, revue de linguistique, http://lidil.revues.org/index60.html<br />

LE MAGAZINE LITTÉRAIRE, http://www.magazine-litteraire.com/<br />

TDC. La revue des enseignants, http://www.cndp.fr/tdc/tous-les-numeros/<br />

le-roman-francais-contemporain/sequences-pedagogiques/lire-le-romancontemporain-a-lecole.html.<br />

151


Diario di una settimana di scuola<br />

diversa dal solito<br />

di Marco Zocchi*<br />

La settimana verde delle classi 5A e 5B a Piano d’Arta<br />

(10-15 maggio 2010)<br />

Tra le attività educative e didattiche che vengono proposte agli<br />

studenti del secondo anno un posto di un certo rilievo è riservato<br />

al viaggio d’istruzione. Da alcuni anni si è deciso di proporre<br />

alle classi interessate la settimana verde. La località scelta è Piano<br />

d’Arta, punto di partenza per escursioni che portano alla<br />

scoperta degli ambienti naturali, dei tesori d’arte e delle tracce<br />

della storia in tutta la Valle del But. La meta è stata scelta proprio<br />

perché offre la possibilità di svolgere attività molto varie,<br />

ma sempre legate alla programmazione educativa e didattica, in<br />

particolare alla storia, alla geografia, alle scienze naturali, alla<br />

storia dell’arte e all’educazione fisica.<br />

La “ricaduta” è stata sempre positiva, non tanto perché gli<br />

studenti si divertono (naturalmente non è questo l’obiettivo più<br />

importante), ma soprattutto perché hanno l’occasione di vivere<br />

esperienze umane e culturali nuove e stimolanti.<br />

Al termine della settimana verde del 2010, nel ripensare con<br />

gli studenti della classe 5A ai momenti più formativi del viaggio,<br />

è emersa la volontà di far conoscere anche ad altri le esperienze<br />

vissute. Da questa esigenza è nata la decisione di riprendere in<br />

mano e di pubblicare gli “appunti di viaggio” presi di giorno in<br />

153


154<br />

Marco Zocchi<br />

giorno, redigendo una sorta di diario. Quello che segue è l’esito<br />

di questo lavoro.<br />

Lunedì 10 maggio<br />

L’inizio è tranquillo e leggero. Il simpatico Mauro, albergatore e<br />

accompagnatore in tutte le gite, ci porta a visitare lo stabilimento<br />

termale e ci spiega le miracolose proprietà curative delle acque<br />

sulfuree, che erano sfruttate già dagli antichi Romani e che<br />

molti secoli dopo hanno fatto venire da queste parti anche un<br />

certo Giosué <strong>Carducci</strong>. Poi un primo “assaggio” di natura tra<br />

boschi, prati e ruscelli.<br />

Nel pomeriggio Tiziana, l’esperta di botanica, ci porta, ancora<br />

tra boschi e prati, a scoprire le piante della Carnia (le conosce<br />

proprio tutte!). Quelle che a uno sguardo superficiale sembrano<br />

solo erbacce tutte uguali rivelano una straordinaria<br />

biodiversità. Impariamo a distinguere erbe curative, saporiti aromi<br />

per le nostre pietanze e letali veleni, e riflettiamo sull’uso sapiente<br />

che gli antichi facevano delle semplici e preziose risorse<br />

che la natura ci offre.<br />

Martedì 11 maggio<br />

A vederla dal paese, arroccata sulla cima di un’impervia montagna,<br />

la Pieve di San Pietro sembra inaccessibile; eppure è proprio<br />

quella la meta della nostra gita. Dopo la dura salita lungo il<br />

ripido costone boscoso, con sorpresa ci troviamo all’improvviso<br />

tra le case del paesino semi-spopolato di Fielis. Con altrettanta<br />

sorpresa scopriamo che qui un coraggioso gruppo di volontari<br />

ha fondato un’istituzione unica, dal nome curioso, la<br />

“Polse di Cougnes”: centro culturale, luogo di incontro e di dialogo<br />

interreligioso, foresteria, biblioteca, orto botanico, laboratorio<br />

artistico, musicale e scientifico, persino osservatorio astronomico.<br />

Quindi ci dirigiamo all’antica Pieve. Risalente agli albori<br />

del Medioevo e più volte ristrutturata e ampliata nel corso dei<br />

secoli, si erge in posizione dominante su tutta la valle del But;


Una settimana di scuola diversa dal solito<br />

nel Medioevo fu sede episcopale e la sua giurisdizione si estendeva<br />

sulla Carnia e su parte del Cadore. Da lì scendiamo per un<br />

altro ripido sentiero a Zuglio, l’antica Iulium Carnicum. In epoca<br />

romana la città, situata lungo l’importante via che attraverso<br />

il Passo di Monte Croce Carnico collegava Aquileia con<br />

l’area germanica, era il centro più importante della zona. Dopo<br />

una rapida occhiata all’area archeologica, corrispondente all’antico<br />

foro, visitiamo il Museo, che conserva interessanti reperti<br />

dell’epoca celtica (armi e corredi funerari) e del periodo<br />

romano (mosaici, sculture, frammenti architettonici, oggetti<br />

di vita quotidiana).<br />

Mercoledì 12 maggio<br />

Dopo la fatica di ieri, oggi è un giorno di riposo. Al mattino<br />

visitiamo la fattoria didattica di Bosco Museis, presso Cercivento.<br />

Il posto è ameno e bucolico. Il “padrone di casa”, Renato<br />

Garibaldi, un pronipote dell’eroe dei due mondi, ci spiega come<br />

si possa e si debba conciliare lo sviluppo e il progresso con il<br />

rispetto dell’ambiente.<br />

Nel pomeriggio ecco un’esperienza nuova per i più e divertente:<br />

la gara di orienteering. Dotati di carta topografica e di<br />

bussola, dobbiamo trovare nel minor tempo possibile i punti in<br />

cui sono posizionate le cosiddette “lanterne”, ben nascoste nel<br />

bosco e tra le case. Il record stabilito lo scorso anno proprio da<br />

una squadra del Dante resiste, ma i tempi dei primi classificati<br />

sono molto buoni.<br />

Siccome è venuta fame, molti accettano la proposta di recarsi<br />

in cucina per imparare dalla cuoca Benedetta i segreti della<br />

sua arte e, naturalmente, per assaggiare le pietanze.<br />

Giovedì 13 maggio<br />

La camminata di oggi ci porta in un ambiente di alta montagna,<br />

sulle cime che costituiscono il confine naturale tra l’Italia e l’Austria.<br />

La mano ferma di Mauro aiuta chi ha poca dimestichezza<br />

155


156<br />

Marco Zocchi<br />

con la montagna. Ci fa da guida Bruno; una vita, la sua, dedicata<br />

alla scuola e alla montagna. L’interesse dell’escursione non è<br />

solo naturalistico, ma anche storico. In questi luoghi, infatti, si<br />

possono vedere ancora le tracce lasciate dalla Grande Guerra<br />

’15-’18. Le cime che sovrastano il Passo di Monte Croce Carnico<br />

furono teatro di sanguinosi combattimenti; la guerra in alta<br />

montagna era resa ancora più dura dalle difficili condizioni ambientali<br />

e vi persero la vita moltissimi giovani da entrambe le<br />

parti. Sulle cime e lungo le creste, le trincee degli opposti schieramenti<br />

correvano a poche decine di metri di distanza; la guerra<br />

fu un susseguirsi di sanguinosi attacchi e contrattacchi per contendersi<br />

pochi metri di territorio e i punti più strategici passarono<br />

ripetutamente da un contendente all’altro. Salendo lungo i<br />

sassosi sentieri che portano al Pal Piccolo passiamo in mezzo ai<br />

resti delle trincee e delle postazioni, muti testimoni di una grande<br />

tragedia. Ma per noi non mancano le gradite sorprese. La<br />

prima è la neve, che a metà maggio resiste ancora abbondante<br />

in quota; a chi crede di essere arrivato dove inizia la neve perenne,<br />

Mauro fa notare che anche a Trieste la neve inizia “per<br />

enne”… Girato lo spigolo della montagna, ecco un’altra sorpresa:<br />

dopo lunghe ore di preparazione tecnica sulla parete attrezzata<br />

della palestra, finalmente l’ebbrezza di una vera ferrata; la affrontiamo<br />

in sicurezza sotto la guida esperta di Bruno. Tutto è<br />

molto divertente, ma il nostro pensiero va anche ai giovani che<br />

sono saliti lungo questi sentieri con la certezza di andare a morire.<br />

Venerdì 14 maggio<br />

Oggi ci dividiamo in due gruppi: chi è interessato all’arte va da<br />

una parte, chi preferisce camminare in montagna dall’altra.<br />

Il primo gruppo si reca a Illegio. In questo piccolo borgo,<br />

lontano dai flussi turistici e dalle grandi vie di comunicazione,<br />

già da alcuni anni l’intraprendenza del Comitato di San Floriano<br />

permette di allestire importanti mostre d’arte con opere provenienti<br />

dai musei di tutta Europa. La mostra di quest’anno è de-


Una settimana di scuola diversa dal solito<br />

dicata alla raffigurazione degli angeli e attraverso le opere esposte<br />

ci permette di gettare uno sguardo sulle varie correnti artistiche<br />

che si sono susseguite a partire dal Medioevo. Ma a Illegio<br />

non c’è solo la mostra. Si possono vedere il caseificio, che produce<br />

il genuino formaggio di montagna con tecniche tradizionali,<br />

i mulini azionati dall’acqua del torrente, e l’antica Pieve di<br />

S. Floriano, isolata sulla panoramica cima di una collina e raggiungibile<br />

dal paese con una comoda passeggiata.<br />

Per gli “irriducibili” invece la meta è il Lander. Dopo una<br />

lunga salita nel bosco arriviamo al bivacco e, percorsi ancora<br />

pochi metri, ci affacciamo da un lato sul lontano fondovalle,<br />

dall’altro sugli imponenti scoscendimenti franosi, formatisi circa<br />

10.000 anni fa, che costituiscono i versanti meridionali del<br />

Monte di Rivo e del Monte Cucco. Il ritiro del ghiacciaio, che<br />

prima tratteneva i versanti, ha lasciato questi ultimi in condizione<br />

di instabilità, con la conseguente formazione di frane e fenomeni<br />

di erosione, con creste, guglie e pinnacoli. Sulla cima per<br />

un attimo la nostra attenzione è attratta dal volo di un falco, che<br />

volteggia libero sopra di noi tra il bosco e i brulli dirupi e subito<br />

scompare tra le nubi. Un insperato squarcio tra le nuvole permette<br />

un ultimo sguardo al panorama da una radura prativa, poi<br />

bisogna scendere rapidamente. È stata un’escursione impegnativa,<br />

ma ha offerto piccole grandi soddisfazioni: trovare con la<br />

mappa il sentiero giusto nel cuore della foresta di abeti, ripararsi<br />

dalla pioggia in una baracca di legno in mezzo al bosco, sedersi<br />

in compagnia accanto al fuoco, arrampicarsi sui faggi secolari,<br />

correre a perdifiato giù per i prati in pendio, balzare da un sasso<br />

a un altro per attraversare un torrente senza bagnarsi. Siamo in<br />

Carnia, ma potremmo essere anche tra le Montagne Rocciose:<br />

l’avventura è assicurata; e tutto questo in un giorno di scuola!<br />

Dopo una camminata così impegnativa che cosa c’è di meglio<br />

per ritemprare le energie che una corroborante partita di<br />

calcio? E allora, il tempo di cambiarsi e via verso il campo sportivo<br />

di Arta. Non sarà il Bernabeu, ma va bene lo stesso… La<br />

157


158<br />

Marco Zocchi<br />

partita è spettacolare e combattuta, nonostante la pioggia; al<br />

fischio finale abbracci e strette di mano: bell’esempio di fair play.<br />

Alla sera Mauro ci intrattiene cantando e suonando. Darko,<br />

il factotum dell’albergo, ci stupisce con la sua inesauribile allegria.<br />

Sabato 15 maggio<br />

È già arrivato l’ultimo giorno! Visitiamo le chiesette medievali<br />

di Arta, S. Spirito di Chiusini e S. Nicolò degli Alzeri, due piccoli<br />

gioielli d’arte e di storia. Mauro ci racconta affascinanti storie<br />

medievali di dame e di cavalieri; come in tutte le storie medievali,<br />

non manca il mistero: il miracolo della salvia e il cunicolo<br />

segreto sotto la chiesa dei Templari.<br />

Dopo pranzo, in attesa della corriera, Mauro ci intrattiene<br />

con strani e bizzarri giochi di abilità; i giochi con cui nelle miniere<br />

del Belgio i minatori emigrati dalla Carnia passavano il<br />

tempo tra un turno di lavoro e l’altro, quando nemmeno nei<br />

momenti di riposo avevano la possibilità di uscire all’aria aperta.<br />

Ma ora è proprio giunto il momento di partire.<br />

Le montagne sono ormai alle spalle. Si torna alla normalità,<br />

da lunedì si torna a fare lezione in aula anziché all’aria aperta.<br />

Ma questa settimana di scuola diversa dal solito rimarrà a lungo<br />

nel nostro ricordo.


Finito di stampare<br />

nel mese di novembre 2011<br />

presso lo stabilimento tipografico<br />

Globalprint srl di Gorgonzola (MI)<br />

per conto della casa editrice<br />

LINT Editoriale srl di Trieste

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!