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28.05.2013 Views

Ogni rivoluzione genera una civiltà contro la quale, per la sua stessa salvezza, cioè perché tale civiltà non si esaurisca nell’estrema consunzione letteraria o, in una parola, nell’imitazione, è a un certo punto nuovamente necessario ribellarsi. 21 In queste parole dell’immediato dopoguerra sono contenute una tensione al cambiamento e una speranza che negli anni successivi vengono meno, come si è visto precedentemente, perché progressivamente la poesia scopre il senso della perdita e dello spaesamento: perdita della madre, delle città amate, della fede, dei valori nei quali il poeta stesso aveva creduto e di quegli ideali di rinnovamento che dopo la Resistenza vengono soffocati nel monocolore democristiano. Prevale, allora, il senso di solitudine, l’impossibilità di comunicare, la rottura di ogni unione tra l’uomo e lo spazio-tempo in cui vive. Prima che ricerca estetica, è posizione etica: solo così il poeta trova la spinta per continuare, nonostante lo choc, la ricerca di un’adesione critica al presente. Caproni diviene descrittore di una realtà stravolta dalle «rovine invisibili» dell’epoca postbellica, in cui le parole toccano i nervi sensibili dell’esistenza mondana senza porsi al di sopra o al di là della vita quotidiana. La poesia è, invece, un nuovo occhio che si apre e modifica la vista degli altri occhi: Oggi (in fondo gli «impossibili contenuti nuovi» non sono che questo: un modo nuovo di considerarsi nel mondo, uno spostamento del centro di gravitazione, e quindi un modo nuovo di riflettere in modi e forme nuove) vivere sui pinnacoli non giova più: non giova almeno in questo particolare momento d’emergenza. 22 Caproni, prima su un versante intimista, con Il seme del piangere, poi passando dall’io all’uomo con il Congedo del viaggiatore cerimonioso, inventa una retorica in aperta opposizione al multiforme vitalismo della metropoli, in cui «gli uomini non hanno più tempo né luogo per piangere» 23 e l’uomo “solo” è lo scandalo della civiltà collettiva. Il poeta cerca di allontanarsi e di abbandonare quella realtà che si impone come “normale” e che obbliga le masse a farsi accettare come tale. I temi e le immagini del passato, estremi baluardi contro la dissoluzione, vengono assaliti dal germe del disfacimento e stravolti dall’irrazionalismo logico, dalla sfasatura spazio-temporale: 21 Giorgio Caproni, Poesia come disobbedienza, «Perseo», 20 ottobre 1948, poi in La scatola nera, cit., p. 24. 22 Ivi, p. 25. 23 Giorgio Caproni, Né tempo né luogo, «La Fiera Letteraria», 9 novembre 1958. 92

Essere in disarmonia con l’epoca (andare contro i tempi a favore del tempo) è una nostra mania. Crediamo nell’anacronismo. Nel fulmine. Non nell’avvenirismo. 93 (A certuni, in Res amissa) C’è, insomma, la coscienza di un’opposizione radicale e il rifiuto di uno stato di cose che non può più considerarsi fatale, ma che è, invece, fondato su precise colpe di pochi, interessatissimi al condizionamento dei molti: Coi mezzi attuali di propaganda, non ci vuol molto a un “partito di massa” per creare una “massa”. Cioè un agglomerato di gente che la pensa tutta allo stesso modo, senza persone realmente capaci di pensare in proprio. E a questo modo i partiti di massa non fan che ripetere la chiesa, con la differenza che alla giustificazione d’un premio ultraterreno, al crescete e moltiplicate, sostituiscono il miraggio d’un premio terreno: un aspirapolvere, un frigorifero, una macchina, una casa, una villeggiatura (campa cavallo) per tutti. 24 In questa direzione si sviluppano i vari alter ego del poeta, le allegorie attraverso cui egli addita le colpe e le discrepanze di una società che si vorrebbe democratica e sana. Sono figure o voci di “esuli”, di “fuggitivi”, le cui parole si stagliano contro l’ottusa animosità di chi ha «la testa sulle spalle» e «i piedi per terra», come dice il preticello del Lamento o boria, frequente bersaglio polemico del Caproni pubblicista: Contro la comoda società del benessere d’oggi, tutta tesa ai beni elettrodomestici, al carrierismo ecc., facendosi puntello, magari, d’un Dio nel quale, in fondo all’animo, non crede più. Il “bisogno di Dio” del preticello è soprattutto bisogno d’un poco di giustizia, di un poco di “luce”, di un poco di “anima” in tanta massa condizionata dai potenti mezzi di diffusione (e di educazione alla rovescia) oggi esistenti. 25 Negli anni Sessanta inizia uno scoperto j’accuse rivolto alla società, e seppure i fatti da cui nasce questa critica non siano mai esplicitamente detti, ma soltanto suggeriti, è chiaro il giudizio e la condanna di tutto un sistema di istituzioni (religiose, morali, politiche, sociali etc.) che, ormai svuotate di ogni contenuto e giustificazione, sono mantenute in vita e sopravvivono soltanto come strumento di salvaguardia di interessi non confessabili: 24 Giorgio Caproni, Politica e cultura, «Critica d’oggi», 12-13, settembre-novembre 1962. 25 Giorgio Caproni in Ferdinando Camon, Il mestiere di poeta, cit., p. 109.

Ogni rivoluzione genera una civiltà contro la quale, per la sua stessa<br />

salvezza, cioè perché tale civiltà non si esaurisca nell’estrema consunzione<br />

letteraria o, in una parola, nell’imitazione, è a un certo punto nuovamente<br />

necessario ribellarsi. 21<br />

In queste parole dell’immediato dopoguerra sono contenute una tensione al<br />

cambiamento e una speranza <strong>che</strong> negli anni successivi vengono meno, come si è visto<br />

precedentemente, perché progressivamente la poesia scopre il senso della perdita e dello<br />

spaesamento: perdita della madre, delle città amate, della fede, dei valori nei quali il<br />

poeta stesso aveva creduto e di quegli ideali di rinnovamento <strong>che</strong> dopo la Resistenza<br />

vengono soffocati nel monocolore democristiano. Prevale, allora, il senso di solitudine,<br />

l’impossibilità di comunicare, la rottura di ogni unione tra l’uomo e lo spazio-tempo in<br />

cui vive.<br />

Prima <strong>che</strong> ricerca estetica, è posizione etica: solo così il poeta trova la spinta per<br />

continuare, nonostante lo choc, la ricerca di un’adesione critica al presente. Caproni<br />

diviene descrittore di una realtà stravolta dalle «rovine invisibili» dell’epoca postbellica,<br />

in cui le parole toccano i nervi sensibili dell’esistenza mondana senza porsi al di sopra o<br />

al di là della vita quotidiana. La poesia è, invece, un nuovo occhio <strong>che</strong> si apre e<br />

modifica la vista degli altri occhi:<br />

Oggi (in fondo gli «impossibili contenuti nuovi» non sono <strong>che</strong> questo: un<br />

modo nuovo di considerarsi nel mondo, uno spostamento del centro di<br />

gravitazione, e quindi un modo nuovo di riflettere in modi e forme nuove)<br />

vivere sui pinnacoli non giova più: non giova almeno in questo particolare<br />

momento d’emergenza. 22<br />

Caproni, prima su un versante intimista, con Il seme del piangere, poi passando<br />

dall’io all’uomo con il Congedo del viaggiatore cerimonioso, inventa una retorica in<br />

aperta opposizione al multiforme vitalismo della metropoli, in cui «gli uomini non<br />

hanno più tempo né luogo per piangere» 23 e l’uomo “solo” è lo scandalo della civiltà<br />

collettiva. Il poeta cerca di allontanarsi e di abbandonare quella realtà <strong>che</strong> si impone<br />

come “normale” e <strong>che</strong> obbliga le masse a farsi accettare come tale. I temi e le immagini<br />

del passato, estremi baluardi contro la dissoluzione, vengono assaliti dal germe del<br />

disfacimento e stravolti dall’irrazionalismo logico, dalla sfasatura spazio-temporale:<br />

21<br />

Giorgio Caproni, Poesia come disobbedienza, «Perseo», 20 ottobre 1948, poi in La scatola nera, cit., p. 24.<br />

22<br />

Ivi, p. 25.<br />

23<br />

Giorgio Caproni, Né tempo né luogo, «La Fiera Letteraria», 9 novembre 1958.<br />

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