Una lingua che combatte - DSpace@Unipr
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Il ritorno si rivela per quello <strong>che</strong> è veramente, cioè morte, e il futuro viene piegato ad<br />
indicare un’azione ripetitiva, <strong>che</strong> riproduce se stessa senza introdurre alcuna sfumatura<br />
di speranza. Si procede verso una dimensione spazio-temporale stridente e<br />
contraddittoria, o più semplicemente impossibile: come se le poesie fossero sabbie<br />
mobili ogni movimento non fa <strong>che</strong> avvicinare alla fine, al punto in cui ogni nostro<br />
slancio ci allontana sempre di più dalla conoscenza razionale del mondo. A differenza<br />
del barone di Münchhausen, l’io non riesce a riemergere dalla palude tirandosi per i<br />
capelli, lasciando intravedere minimi particolari, intermittenti possibilità di salvezza.<br />
Ciò <strong>che</strong> ci è concesso è solo il dissidio interiore <strong>che</strong> procede per antitesi, opposizioni e<br />
vertigini, «nella continua reversibilità di funzioni, nella coincidenza di io e non io». 12<br />
Reversibilità è an<strong>che</strong> il titolo di una sezione del Franco cacciatore, in cui i normali<br />
rapporti dell’essere con le coordinate spazio-temporali vengono stravolti, il futuro non<br />
apre prospettive nuove, non muta nulla:<br />
Pronto sabré quién soy.<br />
(Borges)<br />
Presto sarò chi sono.<br />
(Io)<br />
88<br />
(Sfarfallone, in Il franco cacciatore)<br />
Caproni distorce il «sabré» (saprò) di Borges, in un’affermazione non di conoscenza,<br />
ma di esistenza paradossale, <strong>che</strong> esclude il mutamento e non ammette nessuna reale<br />
palingenesi. L’io cade vittima di un continuo gioco di specchi, di contrari <strong>che</strong><br />
convivono e <strong>che</strong>, sempre secondo il principio della reversibilità, si scambiano le parti,<br />
come nella grottesca affermazione di rinnovamento «Saremo nuovi. / Non saremo noi. /<br />
Saremo altri», <strong>che</strong> in realtà non prelude a nessun mutamento positivo, ma alla<br />
12 Adele Dei, Giorgio Caproni, cit., pp. 170-173: «Intorno all’ossimoro primario (esistere-non esistere; io-non io),<br />
altri se ne ramificano a catena, seguendo i motivi più profondi: le antinomie fuori-dentro, luce-buio, la perdita delle<br />
certezze spazio-temporali (tornare dove non si è mai stati, arrivare al punto di partenza). […] Nella continua<br />
reversibilità di funzioni, nella coincidenza di io e non io <strong>che</strong> caratterizzano Il muro della terra, si viene chiamati ai<br />
compiti più inaspettati e difficoltosi, si scambiano in continuazione le parti; ciascun ruolo istituzionale si riflette e si<br />
ripercuote sull’altro, soggetto e oggetto si confondono». Si legga an<strong>che</strong> Niva Lorenzini, Il presente della poesia.<br />
1960-1990, cit., p. 88: «Questo è il punto: il problema vero con cui Caproni comincia a confrontarsi è l’impossibilità<br />
di conservare un <strong>lingua</strong>ggio del soggetto (l’interscambiabilità io-noi-voi non ne è <strong>che</strong> un sintomo) contrapposto, ma<br />
in conseguenza di ciò appunto riconoscibile, a un oggetto inteso come alterità linguistica, realtà separata, esterna. <strong>Una</strong><br />
realtà irriducibilmente diversa, ma <strong>che</strong> si poteva riprodurre, traducendola in comportamento verbale. Da questo<br />
momento in avanti la fiducia nel potere rappresentativo del segno è invece irrimediabilmente compromessa dal<br />
carattere reversibile dei ruoli (interno-esterno, movimento-stasi, esserci-scomparire): lo sguardo, l’occhio, si separano<br />
dalla coscienza della percezione, al punto <strong>che</strong> non si saprà più indicare un’area semantica definita né per la presenza<br />
né per l’assenza, nella dispersione frantumata di voci sempre più inconsistenti ed effimere».