Una lingua che combatte - DSpace@Unipr
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I tre punti finali lasciano il discorso sospeso, senza una parola che dichiari una certezza positiva. La poesia si chiude senza risolvere dubbi e ansie: se anche si scorge «di qua» uno «spiraglio» negli affetti più intimi e personali, tuttavia la speranza rimane «inerte». Da questo silenzio senza risposte, dall’inerzia o assenza della speranza, emerge la volontà di Caproni di attenuare o addirittura eliminare i sentimenti troppo intensi, che sbilancerebbero l’immobilità e l’assolutezza dell’angoscia: «Ma… non sperate paura» (Codicillo, in Il Conte di Kevenhüller). Priva delle passioni dell’anima la «disperazione / calma e senza sgomento» (Congedo del viaggiatore cerimonioso) può attivare la «ricerca di un principio primo (e ultimo) del proprio essere». 7 L’io si confronta con versi in cui la situazione di abbandono sembra senza via di scampo, e in cui viene negata ogni possibilità di comunicazione con l’altro da sé: Sono partiti tutti. Hanno spento la luce, chiuso la porta, e tutti (tutti) se ne sono andati uno dopo l’altro. Piangeva, quasi. S’era coperta la faccia. Si premeva gli occhi. Aveva perso completamente, con la speranza, ogni traccia. Tutti se ne sono andati senza lasciare traccia. (Lasciando loco, in Il muro della terra) 84 (Il cercatore, in Il muro della terra) (Foglie, in Il franco cacciatore) La presa di coscienza di aver perso «ogni traccia» del senso e della realtà, contribuisce a fare slittare il discorso verso una terra di nessuno dove si riconosce nella perdita la sola verità possibile, nell’incertezza la sola certezza. Questo senso di estrema solitudine era già presente nelle numerose immagini dell’«uomo solo», che percorrono tutta l’opera poetica di Caproni, e che fanno pensare ad una figura umana sospesa tra 7 Marco Forti, Tempi della poesia. Il Secondo Novecento da Montale a Porta, Milano, Mondadori, 1999, p. 120.
l’al di qua e l’al di là: «Io come sono solo sulla terra» (I lamenti, III, in Il passaggio d’Enea); «… perch’io, che nella notte abito solo» (Perch’io…, in Il seme del piangere); «… l’uomo che nel buio è solo» (Il bicchiere, in Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee). La parola si predispone all’incontro con quelle presenze silenziose che partecipano di una natura ambigua, a metà strada tra la vita e la morte. In Scalo dei fiorentini il passare in rassegna i morti, che non si muovono e non si voltano, diventa presa di coscienza che ogni comunicazione è negata e la separazione e la distanza coinvolgono sia l’io che la parola: 8 I nomi si allontanavano vuoti. Rimbombavano sotto la volta. Li restituivano dall’altro capo – dall’Al di là – gli echi che io sentivo, vuoti, morire. […] E poi, allontanandosi con rassegnazione: […] Nessuno m’ha richiamato – nessuno – indietro. (Scalo dei fiorentini, in Congedo del viaggiatore cerimonioso) Tesa sul limite dell’evanescenza la poesia slitta progressivamente verso il vuoto dell’assenza e della negazione di ogni contatto salvifico. Tra gli attributi della morte riscontriamo quell’immobilità che era propria della Storia sin dai tempi delle prime raccolte, ma alla quale ora non si contrappone più la vita molteplice dei sensi: Un uomo solo, chiuso nella sua stanza. […] Solo in una stanza vuota, a parlare. Ai morti. 85 (Condizione, in Il muro della terra) 8 E così Enrico Testa, Per interposta persona. Lingua e poesia nel Secondo Novecento, cit., p. 81: «Al movimento che scava verso il principio della parola corrisponde un movimento che si volge verso i margini e che allarga progressivamente la sua azione: il momento in cui s’avverte la sordità, la non-risposta dei morti […] e in cui si scopre il dissolversi della propria voce nella parola».
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«… l’uomo <strong>che</strong> nel buio è solo» (Il bicchiere, in Congedo del viaggiatore cerimonioso<br />
& altre prosopopee). La parola si predispone all’incontro con quelle presenze silenziose<br />
<strong>che</strong> partecipano di una natura ambigua, a metà strada tra la vita e la morte. In Scalo dei<br />
fiorentini il passare in rassegna i morti, <strong>che</strong> non si muovono e non si voltano, diventa<br />
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8 E così Enrico Testa, Per interposta persona. Lingua e poesia nel Secondo Novecento, cit., p. 81: «Al<br />
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