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28.05.2013 Views

gradi successivi di approssimazione: a partire dal Seme del piangere, e sempre più insistentemente nelle altre raccolte, il tema della «pena / del futuro» e dell’impossibilità di ritorno si declina nella variante complementare della distanza, del distacco dai luoghi e dai tempi della vita. Si definisce così la diversità di un io che è altrove e in nessun luogo: Nell’ossa ho un’altra città che mi strugge. È là. L’ho perduta […] Città cui nulla, nemmeno la morte – mai – mi ricondurrà. (Il gibbone, in Congedo del viaggiatore cerimonioso) La perdita e il dolore sono totalizzanti, e non è prevista nessuna possibilità di salvezza, soltanto il resoconto di un viaggio in un altrove in cui presente e passato si fondono senza speranza di futuro: Sono stato là dove non si può tornare. Tutto è come fu. (Toba, in Congedo del viaggiatore cerimonioso) La geografia di Caproni si definisce come lo spazio mentale del negativo e del nulla, come la mappa di un mondo capovolto in cui vengano indicati i luoghi del non-essere. Questa minacciosa apocalisse delinea una dimensione altra, al di fuori della realtà. Il muro della terra, la raccolta successiva al Congedo, si apre con una indicazione di confine, che prelude ad un trapasso: «Confine» diceva il cartello. Cercai la dogana. Non c’era. Non vidi, dietro il cancello, ombra di terra straniera. (Falsa indicazione, in Il muro della terra) L’altrove non è un luogo sconosciuto e straniero, perché è già qui, è già il presente che abitiamo quotidianamente. Il linguaggio non può indicare un senso che valga a dare una dimensione nuova al destino dell’uomo, non c’è indicazione sicura, c’è solo il niente dell’irrealtà in cui si capovolge il reale: 80

Quando avrà raggiunto il luogo dov’è segnato l’albergo (è il migliore albergo esistente) vedrà che assolutamente lei non avrà trovato – vada tranquillo – niente. (Indicazione sicura, o bontà della guida, in Il franco cacciatore) La terribile verità racchiusa in questi pochi versi non conosce drammaticità, il mondo ha debellato il tragico per il grottesco e qui l’abbassamento di tono al colloquiale «vada tranquillo» ribadisce il carattere minore dell’apocalisse caproniana, generando un effetto straniante che ci pone in una dimensione inquietante. La vera paura nasce dalla consapevolezza che ogni emozione è tenuta sotto controllo, come se fosse narcotizzata da un boia sadico e premuroso allo stesso tempo. Allo straniamento contribuisce anche l’uso del futuro anteriore, che genera il corto circuito di un “passato nel futuro” che, anticipando l’evento, elimina ogni possibilità di speranza e l’idea stessa di un rinnovamento dell’essere. Del resto si tratta di un viaggio di cui conosciamo già la meta, «il tono è di voce recitante che, ancora nel caldo delle cose, ne sancisce la distanza, ancora nella vita, ne traspone già gli esiti accecati di luce». 5 Avvicinandosi al grado zero esistenziale, la disperazione calma di Caproni trova il suo punto culminante nell’attesa di una parola di cui viene dichiarata l’inesistenza: Non resta nemmeno il lutto, nel grigio, ad aspettar la sola (inesistente) parola. 81 (Tutto, in Il muro della terra) Prevale l’immagine del mondo come spazio mentale e metafisico. In questo modo si delineano i tratti di una ontologia che assume forme drammatiche nella continua alternanza tra essere e non essere, che esplicita la sostanza nichilistica della Weltanschauung caproniana. Partendo dalla dissoluzione della giovanile nostalgia del presente, il lutto che invade i versi di Caproni prende forma nell’immobilità di una palude mortifera che tutto inghiotte e in cui sprofonda anche la storia: 5 Marco Forti, Il Novecento in versi. Studi, indagini e ricerche, Milano, il Saggiatore, 2004, p. 141.

gradi successivi di approssimazione: a partire dal Seme del piangere, e sempre più<br />

insistentemente nelle altre raccolte, il tema della «pena / del futuro» e dell’impossibilità<br />

di ritorno si declina nella variante complementare della distanza, del distacco dai luoghi<br />

e dai tempi della vita. Si definisce così la diversità di un io <strong>che</strong> è altrove e in nessun<br />

luogo:<br />

Nell’ossa ho un’altra città<br />

<strong>che</strong> mi strugge. È là.<br />

L’ho perduta<br />

[…]<br />

Città<br />

cui nulla, nemmeno la morte<br />

– mai – mi ricondurrà.<br />

(Il gibbone, in Congedo del viaggiatore cerimonioso)<br />

La perdita e il dolore sono totalizzanti, e non è prevista nessuna possibilità di salvezza,<br />

soltanto il resoconto di un viaggio in un altrove in cui presente e passato si fondono<br />

senza speranza di futuro:<br />

Sono stato là<br />

dove non si può tornare.<br />

Tutto è come fu.<br />

(Toba, in Congedo del viaggiatore cerimonioso)<br />

La geografia di Caproni si definisce come lo spazio mentale del negativo e del nulla,<br />

come la mappa di un mondo capovolto in cui vengano indicati i luoghi del non-essere.<br />

Questa minacciosa apocalisse delinea una dimensione altra, al di fuori della realtà. Il<br />

muro della terra, la raccolta successiva al Congedo, si apre con una indicazione di<br />

confine, <strong>che</strong> prelude ad un trapasso:<br />

«Confine» diceva il cartello.<br />

Cercai la dogana. Non c’era.<br />

Non vidi, dietro il cancello,<br />

ombra di terra straniera.<br />

(Falsa indicazione, in Il muro della terra)<br />

L’altrove non è un luogo sconosciuto e straniero, perché è già qui, è già il presente <strong>che</strong><br />

abitiamo quotidianamente. Il <strong>lingua</strong>ggio non può indicare un senso <strong>che</strong> valga a dare una<br />

dimensione nuova al destino dell’uomo, non c’è indicazione sicura, c’è solo il niente<br />

dell’irrealtà in cui si capovolge il reale:<br />

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