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28.05.2013 Views

essere occasione, per assumere una profondità che si apre alle suggestioni dello straniamento e dello slittamento emotivo: Com’ero lieto sotto un albero in fiore. Credevo di soffrire ed ascoltavo i fanciulli voler baciare un cane. Rispondeva un guaito, – e una risata spavalda mi faceva ancor più triste. Tutto poi si perdeva nella luce ed il bacio mi stava ad ascoltare. (Com’ero lieto sotto un albero in fiore, in Croce e delizia) Penna traduce la realtà nella presenza vibrante e sconcertante di luoghi ed esistenze periferiche, apparentemente senza storia, senza un prima né un dopo, ma in cui convivono sofferenza e amore, l’una complementare all’altro. Tutto si perde nella luce di una dimensione primigenia non definibile se non attraverso un lieve e veloce segno poetico. Come ha scritto Alfonso Berardinelli, «Penna istituisce questo altrove, questa seconda realtà esente dalla realtà storica: una realtà di ore, di stagioni e di corpi, una natura sovranamente splendente e variabile». 2 L’accettazione di questo spazio scentrato, sospeso tra concretezza e astrazione, garantisce una sorta di inalterabilità rispetto alla crisi che caratterizza i nostri tempi politici e poetici. Nella naturale predisposizione alla marginalità esistenziale il sogno e l’infinito si trasformano in un altrove estatico e luminoso: nella prospettiva scorciata dei versi uno spazio imperfetto diventa assoluto, viene strappato all’incertezza del presente. Spetta al poeta il compito di recuperare questa realtà dimessa e anonima in una sorta di mappa mentale, l’atlante di una geografia interiore e intima, ma allo stesso tempo, a suo modo, religiosa e civile. 2.2.1. La dialettica del desiderio In versi concisi e lapidari l’esprit de délicatesse di Penna fissa l’intensità dell’istante attraverso una percezione sensoriale e psichica che supera tutti i segni che circondano l’essere. Anche la storia in quanto categoria umana e intellettuale viene messa da parte, 2 Alfonso Berardinelli, La poesia verso la prosa. Controversie sulla lirica moderna, Torino, Bollati Boringhieri, 1994, p. 151. 60

mentre il confronto è aperto col tempo, con le stagioni, le ore, i momenti che passano, gli attimi. Si potrebbe dire, prendendo in prestito le parole di Sereni, che Penna è «custode non di anni ma di attimi» in cui un gesto si assolutizza in evento. 3 Si potrebbero ricordare le parole di Ermanno Krumm: «Basta un nulla […] perché in un attimo rivelatore si abbia l’epifania di un impossibile equilibrio, l’intuizione di qualcosa che si arresta nel flusso continuo del mondo […]. È un punto fermo in cui, però, qualcosa danza». 4 Qualcosa danza nelle parole di Penna: egli mette in scena degli oggetti concretissimi, che, inserendosi in un processo di intensificazione emozionale, rendono determinato e nitido il mondo psichico. Spetta al desiderio, elemento dinamico, il compito di collegare i due mondi, quello delle cose e quello della psiche: la poesia sembra trascendere i limiti, ma rimane sempre legata ai particolari fisici della natura, del corpo, del sesso e dello spirito, che rappresentano un territorio da esplorare infinitamente, per esprimere un piacere di cui occorre rinnovare la pronuncia. Così Penna crea il mito dell’altro – il fanciullo – oggetto e asse del suo desiderio: 5 Esco dal mio lavoro tutto pieno di aride parole. Ma al cancello hanno posto gli dei per la mia gioia un fanciullo che gioca con la noia. (Esco dal mio lavoro tutto pieno, in Poesie) L’eros è come una musica contrappuntistica, che emana dagli dei e avvicina ad essi, ma allo stesso tempo la voluttà risolve solo parzialmente il contatto dell’io con l’alterità e conferma il dualismo insormontabile dell’essere, la sua incapacità di partecipare alla vita. In quanto oggetto di un desiderio mai risolto, mai compiuto, l’altro non coincide con l’io, ma rimane avvolto in un mistero che tuttavia ne custodisce anche la potenzialità: esso si adempie sotto l’egida della visione luminosa e irraggiungibile del fanciullo chiuso nel suo pudore o nella sua noia, un’immagine che lo sguardo non può profanare e che per questo è disponibile ad infiniti ritorni. 3 Come ha scritto Elio Pecora nella poesia di Penna troviamo «la particella che accoglie in sé la vita e l’universo, l’attimo che chiude in sé ogni tempo» (Elio Pecora, Sandro Penna: una cheta follia, cit., p. 72). E si legga anche Daniela Marcheschi, Sandro Penna. Corpo, tempo e narratività, cit., p. 15. 4 Ermanno Krumm, Lirica moderna e contemporanea, cit., p. 134. 5 Cfr. Daniela Marcheschi, Sandro Penna. Corpo, tempo e narratività, cit., pp. 13-14: «In Penna la vita materiale è liberata da ogni valenza comica e grottesca, perché, semplicemente, il poeta l’accetta nella sua datità, al suo grado zero, e può in tal modo trasferirla in una dimensione altamente spirituale. Il fatto è che Penna non mescola mai corpo, mondo esterno, cose: il corpo dell’amato non cessa infatti di essere se stesso, qualcosa di definito nella sua bellezza e grazia, riflesso della immensa bellezza del mondo. Poeta della corporeità significa infatti poeta del tutto, ossia del corpo come carne, mente, spirito; come capacità di progettare, di slanciarsi verso il mondo e di ricordare». 61

essere occasione, per assumere una profondità <strong>che</strong> si apre alle suggestioni dello<br />

straniamento e dello slittamento emotivo:<br />

Com’ero lieto sotto un albero in fiore.<br />

Credevo di soffrire ed ascoltavo<br />

i fanciulli voler baciare un cane.<br />

Rispondeva un guaito, – e una risata<br />

spavalda mi faceva ancor più triste.<br />

Tutto poi si perdeva nella luce<br />

ed il bacio mi stava ad ascoltare.<br />

(Com’ero lieto sotto un albero in fiore, in Croce e delizia)<br />

Penna traduce la realtà nella presenza vibrante e sconcertante di luoghi ed esistenze<br />

periferi<strong>che</strong>, apparentemente senza storia, senza un prima né un dopo, ma in cui<br />

convivono sofferenza e amore, l’una complementare all’altro. Tutto si perde nella luce<br />

di una dimensione primigenia non definibile se non attraverso un lieve e veloce segno<br />

poetico. Come ha scritto Alfonso Berardinelli, «Penna istituisce questo altrove, questa<br />

seconda realtà esente dalla realtà storica: una realtà di ore, di stagioni e di corpi, una<br />

natura sovranamente splendente e variabile». 2 L’accettazione di questo spazio scentrato,<br />

sospeso tra concretezza e astrazione, garantisce una sorta di inalterabilità rispetto alla<br />

crisi <strong>che</strong> caratterizza i nostri tempi politici e poetici.<br />

Nella naturale predisposizione alla marginalità esistenziale il sogno e l’infinito si<br />

trasformano in un altrove estatico e luminoso: nella prospettiva scorciata dei versi uno<br />

spazio imperfetto diventa assoluto, viene strappato all’incertezza del presente. Spetta al<br />

poeta il compito di recuperare questa realtà dimessa e anonima in una sorta di mappa<br />

mentale, l’atlante di una geografia interiore e intima, ma allo stesso tempo, a suo modo,<br />

religiosa e civile.<br />

2.2.1. La dialettica del desiderio<br />

In versi concisi e lapidari l’esprit de délicatesse di Penna fissa l’intensità dell’istante<br />

attraverso una percezione sensoriale e psichica <strong>che</strong> supera tutti i segni <strong>che</strong> circondano<br />

l’essere. An<strong>che</strong> la storia in quanto categoria umana e intellettuale viene messa da parte,<br />

2 Alfonso Berardinelli, La poesia verso la prosa. Controversie sulla lirica moderna, Torino, Bollati Boringhieri,<br />

1994, p. 151.<br />

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