Una lingua che combatte - DSpace@Unipr
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prato»; «Nel tocco delle campane / c’è ancora qualche sapore»; «Ma io sento ancora / fresco sulla mia pelle il vento»; «Mentre commuove / dei voli l’aria il giro»; «Mentre per la pastura / si sparge l’amaro aroma»; «Mentre la piana cede / al sonno»; «mentre s’oblia / nell’orizzonte d’erbe / il cuore»; «Ora è tempo che s’apra / ilare ai vostri lini / un colore»; «Già un sentore / d’estate […] / esala in un rossore». Questi trasmettono un senso di continuità dell’azione, di una sua durata, di un suo compiersi in un tempo effimero e irripetibile. Siamo in presenza di un carpe diem teso e modulato attraverso variazioni continue e un linguaggio ansioso, instabile, claudicante. Caproni mette in versi «la giovinezza e il gusto quasi fisico della vita, ombreggiato da un vivo senso della labilità delle cose, della loro fuggevolezza»: 40 (Voci e canzoni cancella la brezza: fra poco il fuoco si spenge. Ma io sento ancora fresco sulla mia pelle il vento d’una fanciulla passatami a fianco di corsa). (Giorgio Caproni, San Giovambattista, in Come un’allegoria) Nel primo Caproni c’è il senso dell’evento e dell’epifania, egli costruisce le sue poesie come miracoli di grazia fulminante, ed ecco Penna: la poesia di entrambi è fatta di cose presenti, di sensazioni concrete e istantanee; e si pensi anche all’uso del “ma” avversativo, visto anche poco sopra, pronto a rimettere in gioco l’io, a prolungare un’azione, un gesto, 41 o l’impiego della congiunzione coordinante “e”: «Ma io sento ancora / fresco sulla mia pelle il vento», San Giovambattista; «ma ride il sole / bianco sui prati di marzo», Marzo; «e cade / strano nella frescura un suono», Sei ricordo d’estate. Inoltre l’uso ricorrente dell’enjambement – che qui più che in Penna contribuisce a conferire inattese possibilità semantiche alle parole – spezzando il verso ne inarca il ritmo, generando uno squilibrio e uno scarto dovuti all’eccezionalità dell’evento. Rispetto a tanta poesia della negazione di quegli anni e del nostro tempo, in questi versi sembra di intravedere un tentativo di superamento del vuoto, c’è la sospensione del trasalimento, «una prova minuta di catarsi in atto, dinanzi al predetto male della materia». 42 40 Giorgio Caproni in Ferdinando Camon, Il mestiere di poeta, cit., p. 102. 41 Cfr. Luigi Tassoni, L’angelo e il suo doppio. Sulla poesia di Sandro Penna, cit., p. 48. 42 Silvio Ramat, Storia della poesia italiana del Novecento, Milano, Mursia, 1976, p. 337. 52
Il tempo presente è però teso tra l’evento e la sua memoria, sospeso tra apparizioni e sparizioni che fanno già presagire le più tarde «asparizioni» del Conte di Kevenhüller. Il presente è già passato e il passato è ancora un po’ presente: 43 Finita la leggera canzone, mentre senza un saluto, senza un cenno d’addio mi muore il giorno, e anch’io dentro il cuore m’abbuio, te ne sei andata, e il buio di te più non s’adorna (Giorgio Caproni, Mentre senza un saluto, in Finzioni) Estrema rarefazione e precarietà di una poesia che «deve sfiorare la realtà senza rappresentarla», 44 in cui il presente verbale toglie ai testi il peso del passato (e dunque della storia) o quello dell’attesa del futuro (il male della guerra, le cui nubi si addensano all’orizzonte), rendendoli estranei ad una «presa troppo umana». 45 È tuttavia ineluttabile il confronto più diretto con la morte, di cui l’addio e il buio diventano segni distintivi. Viene chiamato in causa Penna, come accade in un testo degli anni Cinquanta: Il rumore dell’alba com’è forte! Ma Penna dice altrimenti, e s’esprime più piano, senza il vento della morte che invece scuote certune mie rime. (Giorgio Caproni, Il rumore dell’alba com’è forte!, in Poesie disperse) In Penna il buio è una «variante oraria del tempo meteorologico», 46 e la morte, quando è presente, è per lo più uno stato d’animo, un’«ansia» che, senza apparente spiegazione, «i ridenti occhi / già turba / al fanciullo» amico del poeta (Cimitero di campagna). «Penna è insensibile alla Storia come evoluzione o processo» 47 e quando la presenza della morte si fa più evidente, essa viene esorcizzata attraverso la resurrezione offerta dalla ripetizione infinita delle cose: 43 Così Silvio Ramat: «[Caproni] è il poeta, non dimentichiamolo, della condensazione della storia in un sol punto – il presente – , e quindi del tradimento della legge diacronica. […] (Tra parentesi, saranno proprio i dati della storia esterna, più tardi – fra il ’43 e il ’47, nella serie Gli anni tedeschi –, a rappresentare in Caproni questo emergere in icona del male, questo suo tetro scatto, appunto, da latenza a evidenza.)» (Silvio Ramat, Storia della poesia italiana del Novecento, cit., p. 337). 44 Gaetano Mariani, Primo tempo di Giorgio Caproni, in AA.VV., Genova a Giorgio Caproni, cit., p. 12. 45 Ivi, p. 20. 46 Cesare Garboli, Penna, Montale e il desiderio, cit., p. 54. 47 Remo Pagnanelli, Studi critici. Poesia e poeti italiani del secondo Novecento, a cura di Daniela Marcheschi, Milano, Mursia, 1991, p. 12. 53
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40 Giorgio Caproni in Ferdinando Camon, Il mestiere di poeta, cit., p. 102.<br />
41 Cfr. Luigi Tassoni, L’angelo e il suo doppio. Sulla poesia di Sandro Penna, cit., p. 48.<br />
42 Silvio Ramat, Storia della poesia italiana del Novecento, Milano, Mursia, 1976, p. 337.<br />
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