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Una lingua che combatte - DSpace@Unipr

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difficile distinguerne le diverse stagioni: molte poesie pubblicate negli anni Settanta<br />

sono “ripescaggi” di testi scritti negli anni Venti-Quaranta, dimenticati nel cassetto, per<br />

così dire, e poi, in alcuni casi, postdatati. 6 An<strong>che</strong> in questo senso si può dire <strong>che</strong> la<br />

poesia di Penna non è soggetta ad una dinamica storica, ma brilla della sua<br />

inappartenenza al tempo, se è vero, come dice Garboli, <strong>che</strong> «è il solo poeta […] <strong>che</strong><br />

tratti le poesie come fossero dei quadri», dotandole di una vita propria non sottomessa<br />

alla ferrea logica della struttura del libro poetico, ma lasciandole vivere «isolatamente,<br />

separatamente». 7 Ciò <strong>che</strong> spicca dai suoi versi è l’impressione <strong>che</strong> il reale emerga da<br />

incontri fortuiti, da occasioni del tutto fugaci e istantanee, e da questo non-luogo furtivo<br />

il poeta guarda la realtà:<br />

Vuoi baciare il tuo bimbo <strong>che</strong> non vuole:<br />

ama guardare la vita, di fuori.<br />

Tu sei delusa allora, ma sorridi:<br />

non è l’angoscia della gelosia<br />

an<strong>che</strong> se già somiglia egli all’altr’uomo<br />

<strong>che</strong> per «guardare la vita, di fuori»<br />

ti ha lasciata così…<br />

(Sandro Penna, Donna in tram, in Croce e delizia)<br />

Il poeta si pone al di fuori della storia, ma si predispone an<strong>che</strong> ad un inesausto<br />

confronto con il tempo, <strong>che</strong> tuttavia non si conforma al contesto ermetico degli anni<br />

Trenta: accostandosi ad un realismo semplice e sensuale, arriva a recuperare l’idillio,<br />

salvo poi insinuare il dubbio e l’angoscia di uno sguardo <strong>che</strong> si scopre estraneo, <strong>che</strong> non<br />

sa partecipare veramente alle cose. La parola poetica richiama l’uomo alle sue radici, lo<br />

spinge a riflettere, a meditare, a guardare dentro l’anima. «La chiara superficie del suo<br />

<strong>lingua</strong>ggio fa trasparire o sospettare – da minime vibrazioni, lievi moti ondosi, e col<br />

profilo degli oggetti sfuggenti <strong>che</strong> porta alla luce – una profondità inquieta ed enorme»: 8<br />

6 Cfr. Cesare Garboli, Penna, Montale e il desiderio, cit., pp. 55-56: «la quartina di Penna [Addio fanciullo, entra<br />

nel buio ancora] era ancora nel cassetto nel 1976, quando Penna me la consegnò dattiloscritta per la stampa di<br />

Stranezze. Al tempo dei Penna papers, mi accorsi <strong>che</strong> era già stata pubblicata in un vecchio fascicolo di “Botteghe<br />

Oscure” del 1948. Penna se l’era dimenticata, e quando ritrovò in casa il cartiglio, la post-datò addirittura agli anni<br />

Sessanta – per la sua solita fissazione di apparire e di sentirsi giovane an<strong>che</strong> da vecchio». E si legga an<strong>che</strong> Andrea<br />

Zanzotto, Per Sandro Penna, in Scritti sulla letteratura. Aure e disincanti nel Novecento letterario, Milano,<br />

Mondadori, 2001: «Si è an<strong>che</strong> notato <strong>che</strong> nella poesia di Penna quasi non esiste una storia, né dei motivi, né delle<br />

forme; nei suoi componimenti, <strong>che</strong> è così difficile datare, gli anni trenta si sovrappongono agli anni settanta, ed è<br />

attenuata ogni traccia di angoscia derivata dal confronto con la mutazione storica e culturale».<br />

7 Cesare Garboli, Postfazione, in Sandro Penna, Stranezze, Milano, Garzanti, 1976, p. 132.<br />

8 Alfredo Giuliani, Le poesie di Sandro Penna, in Immagini e maniere, Milano, Feltrinelli, 1965, p. 56. E ancora:<br />

«La grazia e l’angoscia <strong>che</strong> emanano dalla poesia di Penna provengono dal fatto <strong>che</strong> quel margine di canto in cui egli<br />

sopravvive a se stesso non affiora da una volontà di conoscenza […] né da uno stato mistico […], ma dalla<br />

percezione immediata di uno sdoppiamento: dal vedersi nella vita con gli occhi di una “<strong>che</strong>ta follia.”», p. 57.<br />

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