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28.05.2013 Views

Italo Calvino ha parlato, a proposito di Caproni, di una poesia senza idillio: 47 il rapporto tra il tempo, la natura e l’uomo procede verso una negatività che non lascia spazio alla speranza. 48 Se in Come un’allegoria gli uccelli si confondevano con le stelle, quasi a dirne la medesima sostanza naturale e divina («il sangue ferveva / di meraviglia, a vedere / ogni uccello mutarsi in stella nel cielo», Ricordo), nel Seme del piangere vengono sostituiti dalla «tenebra d’un apparecchio» (Due appunti 2. Maggio, 1) che porta la guerra, e in Res amissa lo sfaldamento ne farà «dispersi brandelli» di una divinità negativa (Alzando gli occhi). Così, ad esempio, in Träumerei, (Il franco cacciatore) ai segni vitali delle «musiche trasparenti / tra i fiori» e agli «spiazzi dell’infanzia» si alternano «Le trombe militari», «Gli spari», «la notte dura / […] dell’ossidiana», e, nell’articolazione complessa della poesia, la memoria idilliaca di Alcina va a cozzare con Hiroshima, mentre altri luoghi della disumanità (Dachau, Piazza Fontana) vengono evocati. L’unico riparo dall’insopportabile «rumore / della storia» (Albàro) tornerà ad essere la natura, l’«antistoria» di Odor vestimentorum, sola voce e tuttavia inquietante, sola presenza nel buio deserto del post-umano: «Ero solo. Andavo. / Seguivo una buia viottola. / Mi batteva il cuore. Ascoltavo / (non c’era altra voce) la nottola» (La nottola). L’orrore non è solo quello della fine incombente, ma è anche la sensazione che tutt’intorno si stia diffondendo il vuoto, come in un muto assedio, cancellando qualunque presenza umana, come se la realtà fosse già invasa dalla morte. Al contrario le liriche di Penna sembrano […] tutte risolte nel bisogno impellente di dire nella sua immediatezza l’esistenza, di rendere immobili le immagini, di fermare sulla carta e concentrare il vissuto in un punto […]. Per questo nella sua immanenza e imminenza il presente è pronto a tradursi nel passato […] della memoria, di ciò che è già stato. 49 47 Italo Calvino, Nel cielo dei pipistrelli, in «la Repubblica», 19 dicembre 1980. Poi col titolo Il taciturno ciarliero, in AA.VV., Genova a Giorgio Caproni, a cura di Giorgio Devoto e Stefano Verdino, Genova, S. Marco dei Giustiniani, 1982. Ora, col titolo Il taciturno ciarliero (per Giorgio Caproni), in Italo Calvino, Saggi, cit., p. 1025. 48 Cfr. Fabio Moliterni, Poesia e pensiero nell’opera di Giorgio Caproni e di Vittorio Sereni, cit., p. 172: «in Caproni, come nelle frequenti liriche sereniane, l’interrogazione drammatica sul tempo dell’uomo è suscitata, generata dalle immagini (dalla presenza, dall’animarsi) della natura». 49 Daniela Marcheschi, Sandro Penna. Corpo, tempo e narratività, Roma, Avagliano Editore, 2007, pp. 65-66. 32

La memoria, come ha detto Caproni, è generatrice di quelle emozioni che Penna rivive cogliendone la verginità e l’autenticità, come è dimostrato nel testo paradigmatico di tutto il suo percorso poetico: La vita… è ricordarsi di un risveglio triste in un treno all’alba: aver veduto fuori la luce incerta: aver sentito nel corpo rotto la malinconia vergine e aspra dell’aria pungente. (Sandro Penna, La vita… è ricordarsi di un risveglio, in Poesie) Mancando il senso della stratificazione, ogni volta l’esperienza si rinnova, si ripete, come non ci fossero né prima né dopo e la memoria diventa la sostanza positiva della vita stessa. 50 In Penna non troviamo figure antagonistiche, quei doppi dell’io che portano il soggetto alla coscienza della negatività, ma l’io poetico cerca di accordarsi col tempo-fuori-dal-tempo dei fanciulli e dell’eros. Tuttavia non c’è una visione pacificata del reale, piuttosto la consapevolezza di voler reagire alla precarietà della condizione umana recuperando il potere antico che lega la parola poetica alla vita. Una dimensione temporale affrancata dai limiti dell’ordinaria cronologia, aperta ad un tempo-mondo in cui il passato si inserisce in un ciclo eterno e naturale di cui la poesia è parte, riproducendolo nei suoi movimenti, non ignorando la storia, ma superandola in una dimensione – per dirla con Caproni – antistorica, che rompe con il tempo lineare prefigurando una possibilità diversa nel sogno o nella visione. Si è cercato di delineare alcuni nodi della lotta e del confronto col reale, col tempo e con la storia, che riemergono o che l’io rivive nell’ansia della ripetizione, della sospensione e poi del loro superamento, in cui si definiscono le relazioni dinamiche tra soggetto e mondo, e che, di volta in volta, prendono i nomi di antistoria, contemporaneità, simultaneità, reversibilità. Il discorso sul soggetto si amplia se si prende in considerazione l’aspetto verbale della poesia, se si concentra l’attenzione sulle azioni e sui tempi. Rifiutando di ridurre la propria esistenza al qui ed ora, l’uso dei tempi verbali diventa metafora attraverso cui convogliare una visione del mondo, della storia e di sé. Il tempo presente e il futuro, in rapporto col passato, articolano diverse esperienze di separazione dalla realtà che è allo stesso tempo accettata e rifiutata, 50 Ivi, pp. 65-69. 33

Italo Calvino ha parlato, a proposito di Caproni, di una poesia senza idillio: 47 il rapporto<br />

tra il tempo, la natura e l’uomo procede verso una negatività <strong>che</strong> non lascia spazio alla<br />

speranza. 48 Se in Come un’allegoria gli uccelli si confondevano con le stelle, quasi a<br />

dirne la medesima sostanza naturale e divina («il sangue ferveva / di meraviglia, a<br />

vedere / ogni uccello mutarsi in stella nel cielo», Ricordo), nel Seme del piangere<br />

vengono sostituiti dalla «tenebra d’un apparecchio» (Due appunti 2. Maggio, 1) <strong>che</strong><br />

porta la guerra, e in Res amissa lo sfaldamento ne farà «dispersi brandelli» di una<br />

divinità negativa (Alzando gli occhi). Così, ad esempio, in Träumerei, (Il franco<br />

cacciatore) ai segni vitali delle «musi<strong>che</strong> trasparenti / tra i fiori» e agli «spiazzi<br />

dell’infanzia» si alternano «Le trombe militari», «Gli spari», «la notte dura / […]<br />

dell’ossidiana», e, nell’articolazione complessa della poesia, la memoria idilliaca di<br />

Alcina va a cozzare con Hiroshima, mentre altri luoghi della disumanità (Dachau,<br />

Piazza Fontana) vengono evocati. L’unico riparo dall’insopportabile «rumore / della<br />

storia» (Albàro) tornerà ad essere la natura, l’«antistoria» di Odor vestimentorum, sola<br />

voce e tuttavia inquietante, sola presenza nel buio deserto del post-umano: «Ero solo.<br />

Andavo. / Seguivo una buia viottola. / Mi batteva il cuore. Ascoltavo / (non c’era altra<br />

voce) la nottola» (La nottola). L’orrore non è solo quello della fine incombente, ma è<br />

an<strong>che</strong> la sensazione <strong>che</strong> tutt’intorno si stia diffondendo il vuoto, come in un muto<br />

assedio, cancellando qualunque presenza umana, come se la realtà fosse già invasa dalla<br />

morte.<br />

Al contrario le liri<strong>che</strong> di Penna<br />

sembrano […] tutte risolte nel bisogno impellente di dire nella sua<br />

immediatezza l’esistenza, di rendere immobili le immagini, di fermare sulla<br />

carta e concentrare il vissuto in un punto […]. Per questo nella sua<br />

immanenza e imminenza il presente è pronto a tradursi nel passato […] della<br />

memoria, di ciò <strong>che</strong> è già stato. 49<br />

47 Italo Calvino, Nel cielo dei pipistrelli, in «la Repubblica», 19 dicembre 1980. Poi col titolo Il taciturno<br />

ciarliero, in AA.VV., Genova a Giorgio Caproni, a cura di Giorgio Devoto e Stefano Verdino, Genova, S. Marco dei<br />

Giustiniani, 1982. Ora, col titolo Il taciturno ciarliero (per Giorgio Caproni), in Italo Calvino, Saggi, cit., p. 1025.<br />

48 Cfr. Fabio Moliterni, Poesia e pensiero nell’opera di Giorgio Caproni e di Vittorio Sereni, cit., p. 172: «in<br />

Caproni, come nelle frequenti liri<strong>che</strong> sereniane, l’interrogazione drammatica sul tempo dell’uomo è suscitata,<br />

generata dalle immagini (dalla presenza, dall’animarsi) della natura».<br />

49 Daniela Mar<strong>che</strong>schi, Sandro Penna. Corpo, tempo e narratività, Roma, Avagliano Editore, 2007, pp. 65-66.<br />

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