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Una lingua che combatte - DSpace@Unipr

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Fortini dichiara i limiti di un mondo in cui «si vedono le cose» (Molto chiare…, in<br />

Paesaggio con serpente), in cui l’ansia e il senso profondo di una impossibilità di<br />

partecipazione, di una mancanza deviano il discorso verso un’altra e più alta<br />

prospettiva, nella consapevolezza <strong>che</strong> le cose non sono tutto, così come «l’estate non è<br />

tutto» (Molto chiare…), perché, come ha scritto Luperini, «l’atto del vedere viene<br />

sdoppiato, scisso fra una realtà evidente (quella unidimensionale della vista sensibile) e<br />

una pluridimensionale oscuramente possibile». 42 Fortini non si lascia contaminare da<br />

impulsi millenaristici o dal fascino negativo del nichilismo, il suo sguardo può dare un<br />

senso alle cose, an<strong>che</strong> se questo senso cade in un altro tempo, in un’altra dimensione:<br />

«Il senso esiste / e lo conosceranno» (Primavera occidentale, in Paesaggio con<br />

serpente).<br />

In Sereni e in Caproni, c’è, al contrario, una «impossibilità di rinnovarsi», 43 derivante<br />

da un’esperienza <strong>che</strong> si compone di stratificazioni del passato <strong>che</strong> emergono nel<br />

presente in modo sofferto. Come ha scritto Niva Lorenzini: «poeta è appunto per Sereni<br />

chi, rivisitando, vorrebbe “vivere daccapo” l’emozione mentre deve limitarsi ogni volta<br />

a “riviverla”, interponendo una distanza tra sé e il paesaggio, i luoghi, gli oggetti, le<br />

memorie», 44 per cui il senso sta sempre in un al di là irraggiungibile, oltre quel<br />

caproniano muro della terra, <strong>che</strong> è metafora «dell’ottusa chiusura delle possibilità<br />

conoscitive umane di fronte alla fenomenologia del reale». 45 La memoria genera un<br />

movimento negativo di perdita e di esclusione dalla vita, di percezione del nulla e del<br />

male, <strong>che</strong> si insinuano nell’esperienza del presente: se lo spazio è strettamente legato al<br />

tempo, e il divenire è fatto di rotture e lacerazioni, di muri e frontiere invalicabili, il<br />

tempo stesso sancisce la lontananza e la separazione dell’io dal mondo. Caproni e<br />

Sereni dicono l’inesistente, attraverso una memoria <strong>che</strong> distorce e devia, «<strong>che</strong> estrania le<br />

coordinate dell’esperienza soggettiva» 46 nell’ambito di una visionarietà ambigua e<br />

42<br />

Romano Luperini, Il futuro di Fortini, cit., p. 55.<br />

43<br />

Pier Vincenzo Mengaldo, Iterazione e specularità in Sereni, in«Strumenti critici», VI, 17, febbraio 1972, poi in<br />

La tradizione del Novecento. Da D’Annunzio a Montale, Torino, Bollati Boringhieri, 1996, poi, sempre con lo stesso<br />

titolo in Vittorio Sereni, Poesie, edizione critica a cura di Dante Isella, Milano, Mondadori, «I Meridiani», 1995, p.<br />

LXV.<br />

44<br />

Così Niva Lorenzini, In margine a un “Diario intermittente”, in «Poeti<strong>che</strong>», numero monografico dedicato a<br />

Vittorio Sereni, 3/1999, p. 467.<br />

45<br />

Luigi Surdich, Giorgio Caproni. Un ritratto, Genova, Costa & Nolan, 1990, p. 88.<br />

46<br />

Così Luca Lenzini nel Commento a Vittorio Sereni, Il grande amico. Poesie (1935-1981), introduzione di<br />

Gilberto Lonardi, Milano, Rizzoli, 2004, p. 225. Si legga an<strong>che</strong> Fabio Moliterni, Poesia e pensiero nell’opera di<br />

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