Una lingua che combatte - DSpace@Unipr
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la pioggia fina, solo. Mi guardavano muti meravigliati i nudi pioppi: soffrivano della mia pena: pena di non saper chiaramente… E la terra bagnata e i neri altissimi monti tacevano vinti. Sembrava che un dio cattivo avesse con un sol gesto tutto pietrificato. E la pioggia lavava quelle pietre. Quanta limpida luce orna il colore Delle ombre del mondo. Ora conosco Perché mai dagli inverni ove a fatica Si levò questo esistere mio vivo M’è rimasto quel nome, che mi scrivo Su quest’aria d’aprile, o sola antica E perduta e oltre il pianto sempre cara Immagine d’amore mia compagna. (Sandro Penna, Mi avevano lasciato solo, in Poesie) (Franco Fortini, vice veris, in Foglio di via) In questi testi è forte il senso concreto di inquietudine, espresso attraverso immagini dalla fisicità vibrante, luci e ombre di un mondo sorpreso in un momento di passaggio che è anche perdita (l’alba e il tramonto ne sono chiari esempi). I testi sono intessuti di sensazioni dell’io lirico, che trasmettono un turbamento, un senso di vaghezza e sospensione, che vibrano nei tratti angosciati dei paesaggi, per cui il tono elegiaco è in stretto rapporto con la realtà, con luoghi concreti, pronti a entrare in urto con la storia: Forse da oggi soltanto avvertiremo l’impeto dell’ore a mezzo il nostro secolo volgenti, mentre al vento oscillano le lampade bisbiglia un portico in ombra e tu trasali al rombo degli autocarri che mordono la montagna. Ma salvo nelle voci degli addii sommesso presentiva il mare al passo dei notturni battaglioni. (Vittorio Sereni, Soldati a Urbino, in Frontiera) (Vittorio Sereni, Poesia militare, in Frontiera) 24
Di notte il paese è frugato dai fari, lo borda un’insonnia di fuochi vaganti nella campagna, un fioco tumulto di lontane locomotive verso la frontiera. […] E poi i sudori polverosi, le mani senza affetto e chiuse già nelle voci che fuori d’ogni numero intaccano il perfetto spazio di giugno, cadranno nel duro vuoto che lasci: un bianchissimo tuono di macerie, che crollano al futuro vento dei giorni – e al mio orecchio un frastuono dove si perde il tuo squillo più puro. (Vittorio Sereni, Inverno a Luino, in Frontiera) (Giorgio Caproni, Sonetti dell’anniversario, XIV, in Cronistoria) L’elegia costeggia la cronaca, il dato biografico diviene allegoria di una condizione universale, e il dolore individuale diviene esistenziale. L’io è già un «trapassante», come dirà Sereni in Stella variabile, in un’esistenza che «non esiste», o che «inesistendo esiste» (In salita), e allora il momento poetico «trascende il dato di contingenza e prende il sapore di un evento ultratemporale, non extratemporale, ovvero di qualcosa che entra nell’eterno passando da una concreta dimensione storica»: 37 Dunque nulla di nuovo da questa altezza Dove ancora un poco senza guardare si parla E nei capelli il vento cala la sera. Dunque nessun cammino per discendere Se non questo del nord dove il sole non tocca E sono d'acqua i rami degli alberi. Dunque fra poco senza parole la bocca. E questa sera saremo in fondo alla valle Dove le feste han spento tutte le lampade. Dove una folla tace e gli amici non riconoscono. 37 Paolo Jachia, Franco Fortini. Un ritratto, cit., p. 50. 25 (Franco Fortini, Foglio di via)
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