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28.05.2013 Views

la pioggia fina, solo. Mi guardavano muti meravigliati i nudi pioppi: soffrivano della mia pena: pena di non saper chiaramente… E la terra bagnata e i neri altissimi monti tacevano vinti. Sembrava che un dio cattivo avesse con un sol gesto tutto pietrificato. E la pioggia lavava quelle pietre. Quanta limpida luce orna il colore Delle ombre del mondo. Ora conosco Perché mai dagli inverni ove a fatica Si levò questo esistere mio vivo M’è rimasto quel nome, che mi scrivo Su quest’aria d’aprile, o sola antica E perduta e oltre il pianto sempre cara Immagine d’amore mia compagna. (Sandro Penna, Mi avevano lasciato solo, in Poesie) (Franco Fortini, vice veris, in Foglio di via) In questi testi è forte il senso concreto di inquietudine, espresso attraverso immagini dalla fisicità vibrante, luci e ombre di un mondo sorpreso in un momento di passaggio che è anche perdita (l’alba e il tramonto ne sono chiari esempi). I testi sono intessuti di sensazioni dell’io lirico, che trasmettono un turbamento, un senso di vaghezza e sospensione, che vibrano nei tratti angosciati dei paesaggi, per cui il tono elegiaco è in stretto rapporto con la realtà, con luoghi concreti, pronti a entrare in urto con la storia: Forse da oggi soltanto avvertiremo l’impeto dell’ore a mezzo il nostro secolo volgenti, mentre al vento oscillano le lampade bisbiglia un portico in ombra e tu trasali al rombo degli autocarri che mordono la montagna. Ma salvo nelle voci degli addii sommesso presentiva il mare al passo dei notturni battaglioni. (Vittorio Sereni, Soldati a Urbino, in Frontiera) (Vittorio Sereni, Poesia militare, in Frontiera) 24

Di notte il paese è frugato dai fari, lo borda un’insonnia di fuochi vaganti nella campagna, un fioco tumulto di lontane locomotive verso la frontiera. […] E poi i sudori polverosi, le mani senza affetto e chiuse già nelle voci che fuori d’ogni numero intaccano il perfetto spazio di giugno, cadranno nel duro vuoto che lasci: un bianchissimo tuono di macerie, che crollano al futuro vento dei giorni – e al mio orecchio un frastuono dove si perde il tuo squillo più puro. (Vittorio Sereni, Inverno a Luino, in Frontiera) (Giorgio Caproni, Sonetti dell’anniversario, XIV, in Cronistoria) L’elegia costeggia la cronaca, il dato biografico diviene allegoria di una condizione universale, e il dolore individuale diviene esistenziale. L’io è già un «trapassante», come dirà Sereni in Stella variabile, in un’esistenza che «non esiste», o che «inesistendo esiste» (In salita), e allora il momento poetico «trascende il dato di contingenza e prende il sapore di un evento ultratemporale, non extratemporale, ovvero di qualcosa che entra nell’eterno passando da una concreta dimensione storica»: 37 Dunque nulla di nuovo da questa altezza Dove ancora un poco senza guardare si parla E nei capelli il vento cala la sera. Dunque nessun cammino per discendere Se non questo del nord dove il sole non tocca E sono d'acqua i rami degli alberi. Dunque fra poco senza parole la bocca. E questa sera saremo in fondo alla valle Dove le feste han spento tutte le lampade. Dove una folla tace e gli amici non riconoscono. 37 Paolo Jachia, Franco Fortini. Un ritratto, cit., p. 50. 25 (Franco Fortini, Foglio di via)

la pioggia fina, solo.<br />

Mi guardavano muti<br />

meravigliati<br />

i nudi pioppi: soffrivano<br />

della mia pena: pena<br />

di non saper chiaramente…<br />

E la terra bagnata<br />

e i neri altissimi monti<br />

tacevano vinti. Sembrava<br />

<strong>che</strong> un dio cattivo<br />

avesse con un sol gesto<br />

tutto pietrificato.<br />

E la pioggia lavava quelle pietre.<br />

Quanta limpida luce orna il colore<br />

Delle ombre del mondo. Ora conosco<br />

Perché mai dagli inverni ove a fatica<br />

Si levò questo esistere mio vivo<br />

M’è rimasto quel nome, <strong>che</strong> mi scrivo<br />

Su quest’aria d’aprile, o sola antica<br />

E perduta e oltre il pianto sempre cara<br />

Immagine d’amore mia compagna.<br />

(Sandro Penna, Mi avevano lasciato solo, in Poesie)<br />

(Franco Fortini, vice veris, in Foglio di via)<br />

In questi testi è forte il senso concreto di inquietudine, espresso attraverso immagini<br />

dalla fisicità vibrante, luci e ombre di un mondo sorpreso in un momento di passaggio<br />

<strong>che</strong> è an<strong>che</strong> perdita (l’alba e il tramonto ne sono chiari esempi). I testi sono intessuti di<br />

sensazioni dell’io lirico, <strong>che</strong> trasmettono un turbamento, un senso di vaghezza e<br />

sospensione, <strong>che</strong> vibrano nei tratti angosciati dei paesaggi, per cui il tono elegiaco è in<br />

stretto rapporto con la realtà, con luoghi concreti, pronti a entrare in urto con la storia:<br />

Forse da oggi soltanto<br />

avvertiremo l’impeto dell’ore<br />

a mezzo il nostro secolo volgenti,<br />

mentre al vento oscillano le lampade<br />

bisbiglia un portico in ombra<br />

e tu trasali al rombo<br />

degli autocarri <strong>che</strong> mordono la montagna.<br />

Ma salvo nelle voci degli addii<br />

sommesso presentiva il mare<br />

al passo dei notturni battaglioni.<br />

(Vittorio Sereni, Soldati a Urbino, in Frontiera)<br />

(Vittorio Sereni, Poesia militare, in Frontiera)<br />

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