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28.05.2013 Views

Dovrò cambiare geografie e topografie. Non vuole saperne, mi rinnega in effigie, rifiuta lo specchio di me (di noi) che le tendo. […] E dopo tutto ho pozzi in me abbastanza profondi per gettarvi anche questo. Ecco che adesso nevica… Ma io, mia signora, non mi appello al candore della neve alla sua pace di selva conclusiva […] Sono per questa – notturna, immaginosa – neve di marzo plurisensa […] Per il suo turbine il suo tumulto che scompone la notte e ricompone laminandola di peltri acciai leggeri argenti. (Vittorio Sereni, Addio Lugano bella, in Stella variabile) La parola registra la crisi della percezione del reale («mi rinnega in effigie, rifiuta / lo specchio di me»), l’io scivola in una dimensione onirica e visionaria, in una profondità inquieta in cui prende corpo la lotta contro il nulla: alla lusinga offerta dal «candore della neve» con la sua «pace di selva / conclusiva» si oppone la «– notturna, immaginosa – neve di marzo» con «il suo turbine il suo tumulto» che è dissoluzione ma anche possibilità di ricomposizione e di rinnovamento del senso. In questo contesto non si pone un problema di esistenza o inesistenza delle parole nelle cose e viceversa, o dell’annullamento delle une nelle altre sotto il segno dell’irrealtà. Per Sereni si tratta di cercare di stabilire in che rapporto sono le parole e le cose. Qui a garantire questo rapporto vi è una visionarietà che ha le sue radici nell’evento memoriale che la parola traduce in forma poetica. È il modo trovato da Sereni per non cadere vittima di un nichilismo assoluto e assolutizzante: Ne vanno alteri i gentiluomini nottambuli scesi con me per la strada da un quadro visto una volta, perso di vista, rincorso tra altrui reminiscenze o soltanto sognato. (Vittorio Sereni, Addio Lugano bella, in Stella variabile) Immaginiamo, dunque, i fantasmi con cui il vuoto si misura, presenze che affiorano da un altrove indistinto, senza poter essere definite, se non per via di negazione. Sono 202

elementi in mutazione, travestimenti di una condizione che non è più rinviabile. Sono luoghi della mente, segnali d’allarme, che generano uno spostamento della percezione. Caproni, Fortini e Sereni vanno oltre la bidimensionalità che caratterizza la poesia di Penna, indagano aspetti psicologici oscuri, ambigui e contraddittori. Penna, come si è visto, lascia che ciò che riemerge dal passato si ripresenti tale e quale, senza che venga modificato da un modello interpretativo, che lo calerebbe in una dimensione temporale, ossia in un contesto evolutivo. Il tempo di Penna è un presente sottratto al continuum storico, è un tempo che non passa e si ripete, per sottrarre l’io alla precarietà. In questo si avvicina a Fortini, alle sue immagini di fossili, all’ambra o alla rosa che esita dentro al sasso, che rivelano un’ansia temporale comune a entrambi. Tuttavia l’approccio di Fortini è segnato dall’ideologia, che si rapporta sempre con la storia di chi è venuto prima e di chi verrà poi, si relaziona sempre col tempo e non con il desiderio di atemporalità. 55 Sereni, dal canto suo, riesce a guardare oltre la linearità del tempo: il presente non è una tabula rasa, e l’esperienza che ne facciamo viene modificata da ciò che riemerge dal passato. Il tempo di Sereni è un tempo che passa ma che ritorna. Caproni si avvicina a Sereni, in quanto la memoria lungi dal determinare una via di salvezza, lascia intravedere il vuoto e la disarmonia. Tuttavia, l’idea stessa di un tempo percorribile in due direzioni opposte, che abbiano nel presente il loro punto d’incontro, è qualcosa in cui non crede veramente. Passato e presente sono inconciliabili e non c’è slancio verso il futuro. La linearità storica fa del passato qualcosa che non torna, o che torna a tratti, attraverso epifanie che ribadiscono il senso della fine e non aprono uno spiraglio salvifico (si pensi a quanto accade nel Seme del piangere, sul cui “fallimento” Caproni costruisce l’edificio della sua poesia successiva). La poesia di Fortini, infine, si compone di tensioni contrastanti che possono mettere il lettore di fronte alla condizione dell’uomo nella storia, dove «Ci sono solo io e tutti gli altri / a metà del non esistere» (Raniero, in Paesaggio con serpente), come dire che siamo in una dimensione sospesa, in cui anche il non essere è parziale e se un senso c’è, deve essere ancora detto («Diremo più tardi quello che deve essere detto», I lampi della magnolia, in Paesaggio 55 Cfr. Bernard Simeone, Sandro Penna, le rapt immobile, in Sandro Penna, Une ardente solitude, cit., p. 11: «La chose vue est dérobée à sa précarité et inscrite dans l’ambre. En cela, Penna se rapproche, de façon surprenante, d’un autre poète italien contemporain: Franco Fortini. La hantise de la fossilisation qui fige mais aussi protège, les images répétitives de visages vus dans un mur, de roses hésitant au cœur du roc et d’insectes pris dans le carbone révèlent, chez ce poète de l’engagement et de l’exigence éthique qu’est Fortini, une obsession temporelle parfois proche de celle de Penna, mais qui motive un rapport passionnel à l’idéologie bien éloigné du désir d’atemporalité de l’auteur de Croix et délice». 203

elementi in mutazione, travestimenti di una condizione <strong>che</strong> non è più rinviabile. Sono<br />

luoghi della mente, segnali d’allarme, <strong>che</strong> generano uno spostamento della percezione.<br />

Caproni, Fortini e Sereni vanno oltre la bidimensionalità <strong>che</strong> caratterizza la poesia di<br />

Penna, indagano aspetti psicologici oscuri, ambigui e contraddittori. Penna, come si è<br />

visto, lascia <strong>che</strong> ciò <strong>che</strong> riemerge dal passato si ripresenti tale e quale, senza <strong>che</strong> venga<br />

modificato da un modello interpretativo, <strong>che</strong> lo calerebbe in una dimensione temporale,<br />

ossia in un contesto evolutivo. Il tempo di Penna è un presente sottratto al continuum<br />

storico, è un tempo <strong>che</strong> non passa e si ripete, per sottrarre l’io alla precarietà. In questo<br />

si avvicina a Fortini, alle sue immagini di fossili, all’ambra o alla rosa <strong>che</strong> esita dentro<br />

al sasso, <strong>che</strong> rivelano un’ansia temporale comune a entrambi. Tuttavia l’approccio di<br />

Fortini è segnato dall’ideologia, <strong>che</strong> si rapporta sempre con la storia di chi è venuto<br />

prima e di chi verrà poi, si relaziona sempre col tempo e non con il desiderio di<br />

atemporalità. 55 Sereni, dal canto suo, riesce a guardare oltre la linearità del tempo: il<br />

presente non è una tabula rasa, e l’esperienza <strong>che</strong> ne facciamo viene modificata da ciò<br />

<strong>che</strong> riemerge dal passato. Il tempo di Sereni è un tempo <strong>che</strong> passa ma <strong>che</strong> ritorna.<br />

Caproni si avvicina a Sereni, in quanto la memoria lungi dal determinare una via di<br />

salvezza, lascia intravedere il vuoto e la disarmonia. Tuttavia, l’idea stessa di un tempo<br />

percorribile in due direzioni opposte, <strong>che</strong> abbiano nel presente il loro punto d’incontro,<br />

è qualcosa in cui non crede veramente. Passato e presente sono inconciliabili e non c’è<br />

slancio verso il futuro. La linearità storica fa del passato qualcosa <strong>che</strong> non torna, o <strong>che</strong><br />

torna a tratti, attraverso epifanie <strong>che</strong> ribadiscono il senso della fine e non aprono uno<br />

spiraglio salvifico (si pensi a quanto accade nel Seme del piangere, sul cui “fallimento”<br />

Caproni costruisce l’edificio della sua poesia successiva). La poesia di Fortini, infine, si<br />

compone di tensioni contrastanti <strong>che</strong> possono mettere il lettore di fronte alla condizione<br />

dell’uomo nella storia, dove «Ci sono solo io e tutti gli altri / a metà del non esistere»<br />

(Raniero, in Paesaggio con serpente), come dire <strong>che</strong> siamo in una dimensione sospesa,<br />

in cui an<strong>che</strong> il non essere è parziale e se un senso c’è, deve essere ancora detto<br />

(«Diremo più tardi quello <strong>che</strong> deve essere detto», I lampi della magnolia, in Paesaggio<br />

55 Cfr. Bernard Simeone, Sandro Penna, le rapt immobile, in Sandro Penna, Une ardente solitude, cit., p. 11: «La<br />

chose vue est dérobée à sa précarité et inscrite dans l’ambre. En cela, Penna se rappro<strong>che</strong>, de façon surprenante, d’un<br />

autre poète italien contemporain: Franco Fortini. La hantise de la fossilisation qui fige mais aussi protège, les images<br />

répétitives de visages vus dans un mur, de roses hésitant au cœur du roc et d’insectes pris dans le carbone révèlent,<br />

<strong>che</strong>z ce poète de l’engagement et de l’exigence éthique qu’est Fortini, une obsession temporelle parfois pro<strong>che</strong> de<br />

celle de Penna, mais qui motive un rapport passionnel à l’idéologie bien éloigné du désir d’atemporalité de l’auteur<br />

de Croix et délice».<br />

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