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Una lingua che combatte - DSpace@Unipr

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Se la logica della dialettica fortiniana tende alla totalità, al tutto, l’illogica del paradosso<br />

caproniano tende al nulla, al vuoto, all’irrealtà, <strong>che</strong> riempiono lo spazio della parola<br />

perduta: il <strong>lingua</strong>ggio non solo li dice, ma li traduce, ovvero si struttura come se fosse<br />

esso stesso quel vuoto, quel nulla, quell’irrealtà. In tal modo Caproni estremizza il<br />

problema della precarietà del rapporto tra parole e cose. La parola, ha scritto Adele Dei,<br />

è «incommensurabilmente lontana dalla cosa, o si dirama in voci lievi e spettrali, […] o<br />

scatta come una tagliola e immobilizza», 45 lasciando emergere an<strong>che</strong> la distanza con il<br />

soggetto: «Il nome non è la persona // Il nome è la larva» (Il nome, in Il Conte di<br />

Kevenhüller). Mentre Fortini si appropria della maniera e dell’allegoria per potenziare le<br />

possibilità di traduzione/interpretazione della realtà, Caproni – come ha detto Agamben<br />

– approda ad una «disappropriata maniera», 46 <strong>che</strong> non annuncia, ma descrive il<br />

disfacimento come realtà in atto, e oppone alla rivoluzione una involuzione della<br />

persona e della parola a larva. 47 Involuzione <strong>che</strong> al nulla non risponde con la strenua<br />

difesa di un destino generale, e nemmeno con l’antistoria, ma con una realtà intima e<br />

inattuale, <strong>che</strong> nell’affetto privato (l’amore per la moglie) trova l’unico spazio di<br />

resistenza e di senso: 48<br />

Senza di te un albero<br />

non sarebbe più un albero.<br />

Nulla senza di te<br />

sarebbe quello <strong>che</strong> è.<br />

(Giorgio Caproni, A Rina, in Il Conte di Kevenhüller)<br />

La disappropriazione procede su più livelli: sul piano stilistico i testi si sfarinano come<br />

oggetti fragilissimi, con un armamentario retorico limitato ad alcuni strumenti essenziali<br />

quali l’iterazione, l’allitterazione, l’anafora, la rima, <strong>che</strong> strutturano un <strong>lingua</strong>ggio<br />

estremamente ridotto e una minima volontà di significazione. Dal punto di vista dei<br />

contenuti si nota di conseguenza una decisa abdicazione dalla profondità e dalla<br />

complessità, in un sistema di pensiero <strong>che</strong> tende alla semplificazione estrema. <strong>Una</strong><br />

45<br />

Adele Dei, Giorgio Caproni, cit., p. 251.<br />

46<br />

Questo il titolo dato da Giorgio Agamben alla prefazione contenuta in Giorgio Caproni, Res amissa, Milano,<br />

Garzanti, 1991, pp. 5-26.<br />

47<br />

Così Adele Dei, Giorgio Caproni, cit., p. 252: «In questo mondo offuscato, <strong>che</strong> è forse il riflesso di una realtà<br />

già morta, si muovono spettri senza consistenza […]; sono ombre senza corpo, come se uno specchio continuasse per<br />

inerzia a rimandare le immagini di una corporeità dissolta».<br />

48<br />

E a questo proposito si legga Luigi Surdich, Le idee e la poesia. Montale e Caproni, cit., pp. 206-207.<br />

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