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28.05.2013 Views

ivoluzionarie e la parola può mutarsi in «fede stravolta, o ira, o grido» (Al di là della speranza, in Poesia e errore), allora «la finzione è l’ultima speranza» (La realtà, in Paesaggio con serpente), e in Composita solvantur dichiara più volte l’errore, la sfasatura rispetto ad una lettura piana della realtà: «(Nulla era vero. Voi tutto dovrete inventare)» (Considero errore…, in Composita solvantur), che ricorda Penna e se ne distanzia («Amore inventa e rischia. / L’inventare / a voi solo conviene», Avete mai provato in un’aria serena…, in Poesie). L’oggetto, in altri termini, non è un assoluto intuibile e rappresentabile: ciò che può essere intuito e rappresentato per Penna è la «dolce mischia» dei sensi, mentre per Fortini la poesia può essere solo ricerca di valori («Il dovere di Schiller è di resistere», La realtà, in Paesaggio con serpente), che non albergano nelle cose in sé, ma nella loro meta («Tutto è / tremendo ma non ancora irrimediabile», La realtà, in Paesaggio con serpente). Anche Fortini trova nel sogno lo spazio per ridefinire il rapporto col reale, ma con esiti che esprimono una sicurezza acquisita e non perplessità o sospensione. Nel sogno le cose composte si dissolveranno, come recita il titolo della sua ultima raccolta, 21 che vuole anche dire che si romperanno i legami con questo mondo, tutto si capovolgerà, si trasformerà e muterà: Quella che. È ritornata questa notte in sogno. Uno dei miei compivo ultimi anni. «Sono, - le chiesi, - vicino a morire?» Sorrise come allora. «Di te so, - mi rispose, - tutto. Lascia quel brutto impermeabile scuro. Ritornerai com’eri». (Franco Fortini, Quella che…, in Composita solvantur) La figura femminile apparsa in sogno, come una nuova Beatrice dantesca, conosce tutto e preannuncia il cambiamento. Il ritorno all’origine è, dialetticamente, possibilità futura e, come la morte, predispone al ritrovamento di sé e al passaggio verso qualcosa d’altro. La «derealizzazione» significa negazione della mimesi del reale, interferenza tra realtà e surrealtà, che ha nella dialettica un modello di rappresentazione che riesce a produrre un senso contro il non-senso del nichilismo: è strumento di conoscenza, ma allo stesso 21 Cosi Fortini, nelle Note che chiudono la raccolta, spiega il significato del titolo: Composita solvantur è il «comando e l’augurio [affinché] si dissolva quanto è composto, il disordine succeda all’ordine (ma anche, com’era nel vetusto precetto alchemico, si dia l’inverso)» (Franco Fortini, Composita solvantur, Torino, Einaudi, 1994, p. 85). 186

tempo anche conoscenza in sé. Essa mostra la relazione tra le parti e delle parti col tutto, offre la possibilità di scorgere «contraddizioni e identità» (Sonetto dei sette cinesi, in L’ospite ingrato) che si oppongono al nulla. Questo rapporto straniato col reale rimanda al problema ontologico. Il pensiero del non-esistere può essere paradossalmente il punto di partenza per una poetica che lotta «in modi trasversali» 22 contro la tensione verso il nulla e il non-sense: Qui stiamo a udire la sentenza. E non ci sarà, lo sappiamo, una sentenza. A uno a uno siamo in noi giù volti. Quanto sei bella, giglio di Saron, Gerusalemme che ci avrai raccolti. Quanto lucente la tua inesistenza. (Franco Fortini, Per l’ultimo dell’anno 1975…, in Paesaggio con serpente) Come nota Luca Lenzini, «i versi fortiniani insistono sul separarsi, sullo straniarsi e allontanarsi dell’io, non sull’incontro o sulla sintonia tra esistenze distinte ma fraterne». 23 Tuttavia è dalla lontananza, dalla inesistenza che comprende e completa l’esistere, che il pensiero può diventare non solo presa di coscienza, ma anche sovvertimento del vuoto, attraverso un rapporto profondo con la natura, prima della dissoluzione. La natura prova su di sé gli effetti della derealizzazione e conosce perciò una dimensione sfaccettata. Anche in questo caso, sulla via indicata da Garboli, il confronto con Penna può chiarire la posizione di Fortini. In Penna la natura registra i movimenti emotivi dell’io e diventa il referente della sua diversità, oggettivazione dell’altro e dell’alterità, in contrasto con un mondo che dopo il fascismo stava conoscendo lo sviluppo economico e industriale. La dimensione poetica di Penna rimanda a una realtà preindustriale, fatta di stazioni, di strade sterrate e polverose, ma soprattutto di scogli e di mare, paesaggi che risentono della consistenza e del colore dell’aria, «filtrati dallo stato d’animo dell’io lirico» e delineati «tra percezioni oggettive e figurazioni fantastiche». 24 In Fortini la natura, sebbene mantenga i caratteri di alterità, convive con questo mondo, ne fa parte e allo stesso tempo tenta di sopravvivergli e di 22 Romano Luperini, Il futuro di Fortini, cit., p. 73. 23 Luca Lenzini, Il poeta di nome Fortini, cit., p. 185. Anche secondo Enrico Testa la poesia di Fortini «riduce […] ogni pretesa di onnicomprensiva risoluzione di quanto – ed è sempre di più – cade di là dai suoi confini; e adotta come prospettiva nei riguardi del reale e della sua assediante mole, quella della distanza» (Enrico Testa, Dopo la lirica. Poeti italiani 1960-2000, Torino, Einaudi, 2005, p. 78). 24 Antonio Girardi, Cinque storie stilistiche. Saba, Penna, Bertolucci, Caproni, Sereni, cit., pp. 60-61. 187

tempo an<strong>che</strong> conoscenza in sé. Essa mostra la relazione tra le parti e delle parti col tutto,<br />

offre la possibilità di scorgere «contraddizioni e identità» (Sonetto dei sette cinesi, in<br />

L’ospite ingrato) <strong>che</strong> si oppongono al nulla. Questo rapporto straniato col reale rimanda<br />

al problema ontologico. Il pensiero del non-esistere può essere paradossalmente il punto<br />

di partenza per una poetica <strong>che</strong> lotta «in modi trasversali» 22 contro la tensione verso il<br />

nulla e il non-sense:<br />

Qui stiamo a udire la sentenza. E non<br />

ci sarà, lo sappiamo, una sentenza.<br />

A uno a uno siamo in noi giù volti.<br />

Quanto sei bella, giglio di Saron,<br />

Gerusalemme <strong>che</strong> ci avrai raccolti.<br />

Quanto lucente la tua inesistenza.<br />

(Franco Fortini, Per l’ultimo dell’anno 1975…, in Paesaggio con serpente)<br />

Come nota Luca Lenzini, «i versi fortiniani insistono sul separarsi, sullo straniarsi e<br />

allontanarsi dell’io, non sull’incontro o sulla sintonia tra esistenze distinte ma<br />

fraterne». 23 Tuttavia è dalla lontananza, dalla inesistenza <strong>che</strong> comprende e completa<br />

l’esistere, <strong>che</strong> il pensiero può diventare non solo presa di coscienza, ma an<strong>che</strong><br />

sovvertimento del vuoto, attraverso un rapporto profondo con la natura, prima della<br />

dissoluzione. La natura prova su di sé gli effetti della derealizzazione e conosce perciò<br />

una dimensione sfaccettata. An<strong>che</strong> in questo caso, sulla via indicata da Garboli, il<br />

confronto con Penna può chiarire la posizione di Fortini. In Penna la natura registra i<br />

movimenti emotivi dell’io e diventa il referente della sua diversità, oggettivazione<br />

dell’altro e dell’alterità, in contrasto con un mondo <strong>che</strong> dopo il fascismo stava<br />

conoscendo lo sviluppo economico e industriale. La dimensione poetica di Penna<br />

rimanda a una realtà preindustriale, fatta di stazioni, di strade sterrate e polverose, ma<br />

soprattutto di scogli e di mare, paesaggi <strong>che</strong> risentono della consistenza e del colore<br />

dell’aria, «filtrati dallo stato d’animo dell’io lirico» e delineati «tra percezioni oggettive<br />

e figurazioni fantasti<strong>che</strong>». 24 In Fortini la natura, sebbene mantenga i caratteri di alterità,<br />

convive con questo mondo, ne fa parte e allo stesso tempo tenta di sopravvivergli e di<br />

22 Romano Luperini, Il futuro di Fortini, cit., p. 73.<br />

23 Luca Lenzini, Il poeta di nome Fortini, cit., p. 185. An<strong>che</strong> secondo Enrico Testa la poesia di Fortini «riduce<br />

[…] ogni pretesa di onnicomprensiva risoluzione di quanto – ed è sempre di più – cade di là dai suoi confini; e adotta<br />

come prospettiva nei riguardi del reale e della sua assediante mole, quella della distanza» (Enrico Testa, Dopo la<br />

lirica. Poeti italiani 1960-2000, Torino, Einaudi, 2005, p. 78).<br />

24 Antonio Girardi, Cinque storie stilisti<strong>che</strong>. Saba, Penna, Bertolucci, Caproni, Sereni, cit., pp. 60-61.<br />

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