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28.05.2013 Views

monostilismo e nel monotematismo che forse sono una delle spie più luminose del particolare rapporto che Penna instaura tra pensiero e mondo. Nel breve giro di pochi versi la descrizione convive con una estrema resa astratta di una realtà scomposta in forma e colore, nel segno di una generale vaghezza (bellezza e indeterminatezza), quasi si trattasse di un acquarello di Kandinsky: Traversare un paese… e lì vedere cheti fanciulli ridestarsi a un soffio di musica e danzare. S’allontana forma o colore: un sogno. […] (Sandro Penna, Traversare un paese… e lì vedere, in Croce e delizia) Anche «la poesia fortiniana segue un andamento tutto sommato unitario», che «non altera alcuni presupposti fondanti», differenziandosi da quella di Caproni e Sereni, «che hanno percorso itinerari molto più accidentati, ricchi di svolte, di fratture, di mutamenti di registro o silenzi». 10 Questo tratto si concilia con la tensione alla totalità propria di Fortini, che pur partendo dal vissuto individuale, non si limita alla prospettiva esistenziale-biografica, ma cerca di abbracciare il mondo e il tempo. In ragione di ciò egli non riconosce all’immediatezza, tipica invece di Penna, un valore conoscitivo: 11 per Fortini la conoscenza è mediata da modelli culturali e ideologici che la collocano nella profondità del tempo e della storia. Il discorso risulta ancora più evidente se l’immediatezza di Penna viene messa in relazione anche con la sua scarsa propensione per l’attività metapoetica e critica o per l’autocommento, che invece Fortini, Sereni e Caproni integrano nello stesso fare poetico, con effetti di ampliamento e tensione del significato. 12 Così, per Sereni l’immediatezza creativa è «condizionata […] a un preliminare dibattito sull’interpretazione» 13 della realtà. Per il poeta umbro, al contrario, allontanarsi dalla realtà, ignorandone l’approccio analitico interpretativo, è il solo modo per rappresentare la vita e i suoi slanci. Il suo linguaggio è ripiegato su se stesso, non si apre alla totalità, ma si impone come totalità. Fortini, dal canto suo, «accoppia il rigore 10 Elisa Gambaro, Fortini poeta, in AA.VV., «Se tu vorrai sapere…». Cinque lezioni su Franco Fortini, cit., p. 58. Per un confronto tra Penna e Fortini si legga in particolare Cesare Garboli, Le poesie parallele, in AA.VV., Per Franco Fortini. Contributi e testimonianze sulla sua poesia, cit., pp. 81-86. 11 Cfr. Elisa Gambaro, Fortini poeta, in AA.VV., «Se tu vorrai sapere…». Cinque lezioni su Franco Fortini, cit., p. 58: «la resa immediata del reale è illusoria, poiché misconosce che non si dà verità se non nell’ordine di una totalità necessariamente mediata». 12 Cfr. Pier Vincenzo Mengaldo, Divagazioni in forma di lettera, in AA.VV., Per Franco Fortini. Contributi e testimonianze sulla sua poesia, cit., p.144. 13 Vittorio Sereni, Il nome di poeta, in Gli immediati dintorni, poi in La tentazione della prosa, cit., pp. 53-54. 182

logico alla confusione, e fa della sua capacità di pensiero un mare impraticabile e infido», 14 allontanandosi decisamente da ogni forma di immediatezza. Il linguaggio poetico di Fortini si articola in uno «stile da traduzione», 15 ovvero si fa trascrizione di un testo preesistente (la realtà come insieme di segni), che viene sottoposto ad una attività critica e analitica. 16 Anzitutto egli procede verso la «derealizzazione», 17 ovvero «una condizione di straniamento rispetto al reale», come spiega Lenzini, che evidenzia «la crisi del rapporto io/mondo: lo spogliarsi di senso del mondo di fronte all’io»: 18 Molto chiare si vedono le cose. Puoi contare ogni foglia dei platani. Lungo il parco di settembre l’autobus già ne porta via qualcuna. Ad uno ad uno tornano gli ultimi mesi, il lavoro imperfetto e l’ansia le mattine, le attese e le piogge. Lo sguardo è là ma non vede una storia di sé o di altri. Non sa più chi sia l’ostinato che a notte annera carte coi segni di una lingua non più sua e replica il suo errore. (Franco Fortini, Molto chiare…, in Paesaggio con serpente) In contrasto con quanto annunciato nella prima strofa, nella seconda emerge l’estraneità tra l’io e il mondo, separati da uno sguardo, che «non vede una storia / di sé o di altri», poiché il presente sembra composto di eventi sempre uguali («Ad uno ad uno tornano gli ultimi mesi»). Questa condizione annichilente si riflette nella scrittura che diventa un’attività notturna e confusa. L’io si trova ad utilizzare «una lingua non più sua», quindi una lingua straniera, una lingua altra, approdando così all’unica vera forma di scrittura, che dichiara l’errore di chi crede che le cose si vedano chiaramente e che siano 14 Cesare Garboli, Le poesie parallele, in AA.VV., Per Franco Fortini. Contributi e testimonianze sulla sua poesia, cit., p. 83. 15 Franco Fortini, Foglio di via. Prefazione 1967, ora in Una volta per sempre. Poesie 1938-1973, cit., p. 359. 16 Cfr. Giovanni Raboni, Qualche ipotesi su Fortini traduttore di poesia, «Allegoria», 21-22, anno VIII, 1996, p. 177: «Se è vero […] che per Fortini il testo originale è un oggetto che chiede di essere conosciuto criticamente prima – oppure nell’atto stesso – di descriverlo o ritrarlo con altre parole, è altrettanto vero che una priorità analoga si manifesta e agisce, di regola, nel suo lavoro poetico in prima persona, dove le parti di realtà coinvolte nella singola metafora o nell’intera struttura vengono idealmente e tendenzialmente sottoposte, prima che il coinvolgimento abbia (possa avere) luogo, a un non meno approfondito e, se così si può dire, spietato trattamento analitico-conoscitivo». Si legga anche quanto scrive lo stesso Fortini a proposito della sua traduzione del Faust: «Non mi sono proposto una traduzione che avesse vita indipendente dall’originale. Ho voluto che il lettore avvertisse il rinvio continuo ad un testo anteriore, il sapore di traduzione, il suo farsi» (Franco Fortini, Introduzione a J. W. Goethe, Faust, introduzione, traduzione con testo a fronte e note a cura di Franco Fortini, Milano, Mondadori, «i Meridiani», 1970, p. XII). 17 Franco Fortini, Metrica e biografia, «Quaderni piacentini», 2, XX, 1981, p. 111. 18 Luca Lenzini, Il poeta di nome Fortini. Saggi e proposte di lettura, Lecce, Piero Manni, 1999, p. 62. 183

logico alla confusione, e fa della sua capacità di pensiero un mare impraticabile e<br />

infido», 14 allontanandosi decisamente da ogni forma di immediatezza. Il <strong>lingua</strong>ggio<br />

poetico di Fortini si articola in uno «stile da traduzione», 15 ovvero si fa trascrizione di<br />

un testo preesistente (la realtà come insieme di segni), <strong>che</strong> viene sottoposto ad una<br />

attività critica e analitica. 16 Anzitutto egli procede verso la «derealizzazione», 17 ovvero<br />

«una condizione di straniamento rispetto al reale», come spiega Lenzini, <strong>che</strong> evidenzia<br />

«la crisi del rapporto io/mondo: lo spogliarsi di senso del mondo di fronte all’io»: 18<br />

Molto chiare si vedono le cose.<br />

Puoi contare ogni foglia dei platani.<br />

Lungo il parco di settembre<br />

l’autobus già ne porta via qualcuna.<br />

Ad uno ad uno tornano gli ultimi mesi,<br />

il lavoro imperfetto e l’ansia<br />

le mattine, le attese e le piogge.<br />

Lo sguardo è là ma non vede una storia<br />

di sé o di altri. Non sa più chi sia<br />

l’ostinato <strong>che</strong> a notte annera carte<br />

coi segni di una <strong>lingua</strong> non più sua<br />

e replica il suo errore.<br />

(Franco Fortini, Molto chiare…, in Paesaggio con serpente)<br />

In contrasto con quanto annunciato nella prima strofa, nella seconda emerge l’estraneità<br />

tra l’io e il mondo, separati da uno sguardo, <strong>che</strong> «non vede una storia / di sé o di altri»,<br />

poiché il presente sembra composto di eventi sempre uguali («Ad uno ad uno tornano<br />

gli ultimi mesi»). Questa condizione annichilente si riflette nella scrittura <strong>che</strong> diventa<br />

un’attività notturna e confusa. L’io si trova ad utilizzare «una <strong>lingua</strong> non più sua»,<br />

quindi una <strong>lingua</strong> straniera, una <strong>lingua</strong> altra, approdando così all’unica vera forma di<br />

scrittura, <strong>che</strong> dichiara l’errore di chi crede <strong>che</strong> le cose si vedano chiaramente e <strong>che</strong> siano<br />

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Cesare Garboli, Le poesie parallele, in AA.VV., Per Franco Fortini. Contributi e testimonianze sulla sua<br />

poesia, cit., p. 83.<br />

15<br />

Franco Fortini, Foglio di via. Prefazione 1967, ora in <strong>Una</strong> volta per sempre. Poesie 1938-1973, cit., p. 359.<br />

16<br />

Cfr. Giovanni Raboni, Qual<strong>che</strong> ipotesi su Fortini traduttore di poesia, «Allegoria», 21-22, anno VIII, 1996, p.<br />

177: «Se è vero […] <strong>che</strong> per Fortini il testo originale è un oggetto <strong>che</strong> chiede di essere conosciuto criticamente prima<br />

– oppure nell’atto stesso – di descriverlo o ritrarlo con altre parole, è altrettanto vero <strong>che</strong> una priorità analoga si<br />

manifesta e agisce, di regola, nel suo lavoro poetico in prima persona, dove le parti di realtà coinvolte nella singola<br />

metafora o nell’intera struttura vengono idealmente e tendenzialmente sottoposte, prima <strong>che</strong> il coinvolgimento abbia<br />

(possa avere) luogo, a un non meno approfondito e, se così si può dire, spietato trattamento analitico-conoscitivo». Si<br />

legga an<strong>che</strong> quanto scrive lo stesso Fortini a proposito della sua traduzione del Faust: «Non mi sono proposto una<br />

traduzione <strong>che</strong> avesse vita indipendente dall’originale. Ho voluto <strong>che</strong> il lettore avvertisse il rinvio continuo ad un<br />

testo anteriore, il sapore di traduzione, il suo farsi» (Franco Fortini, Introduzione a J. W. Goethe, Faust, introduzione,<br />

traduzione con testo a fronte e note a cura di Franco Fortini, Milano, Mondadori, «i Meridiani», 1970, p. XII).<br />

17<br />

Franco Fortini, Metrica e biografia, «Quaderni piacentini», 2, XX, 1981, p. 111.<br />

18<br />

Luca Lenzini, Il poeta di nome Fortini. Saggi e proposte di lettura, Lecce, Piero Manni, 1999, p. 62.<br />

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