Una lingua che combatte - DSpace@Unipr
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contro ogni logica parla e si muove, dall’altra è proprio questa alterità fuori fuoco e<br />
fuori senso <strong>che</strong> sembra proporre la sola parola positiva, proiettata al futuro. 26<br />
In Stella variabile la decostruzione del reale si traduce in scomposizione dei piani<br />
spazio-temporali. La realtà e le categorie <strong>che</strong> la inquadrano vengono rovesciate e risolte<br />
in un’ambigua compresenza di esistenza e inesistenza, mentre l’io poetico si definisce<br />
come «trapassante» e concentra in sé un sentimento straniante di non appartenenza:<br />
«Insomma l’esistenza non esiste»<br />
(l’altro: «leggi certi poeti,<br />
ti diranno<br />
<strong>che</strong> inesistendo esiste»).<br />
Scollinava quel buffo dialogo più giù<br />
di un viottolo o due<br />
alla volta del mare.<br />
Fanno di questi discorsi<br />
nell’ora <strong>che</strong> canicola di brutto<br />
i ragazzi Cioè? – mi dicevo<br />
scarpinando per quelle petraie –.<br />
Proprio non ha senso<br />
se non per certi trapassanti amari<br />
quando si stampano per sempre in loro<br />
interi pezzi di natura<br />
gelandosi nelle pupille.<br />
Ma ero<br />
io il trapassante, ero io,<br />
perplesso non propriamente amaro.<br />
(Vittorio Sereni, In salita, in Stella variabile)<br />
Nella dimensione perturbante <strong>che</strong> ne deriva si radicalizza la lotta contro il nulla, <strong>che</strong> in<br />
Autostrada della Cisa assume i tratti del rito del passaggio della soglia spazio-<br />
temporale. La poesia procede «di là dal valico», sul terreno ambiguo ed ellittico di<br />
«quell’altra vita», <strong>che</strong> è data dallo stratificarsi dei tempi nel tempo lungo della memoria,<br />
<strong>che</strong> si pone come l’unica verità e preannuncia, nella simultaneità e convertibilità delle<br />
epo<strong>che</strong> stori<strong>che</strong>, il «raggiungimento, in un domani non lontano, di una propria “città del<br />
sole”»: 27<br />
26 Cfr. Franco Fortini, Di Sereni, in Saggi italiani, e ora in Saggi ed epigrammi, cit., p. 645: «Chi «parlerà»? Non<br />
soltanto il poeta […]. Ma già parlano i distanti, i lontani, gli avvenire. In una certa misura: i vendicatori». E si legga<br />
an<strong>che</strong> Mengaldo, Da una prigione, in Giudizi di valore, Torino, Einaudi, 1999, p. 121: «Geloso della propria<br />
individualità, Sereni sa però <strong>che</strong> questa non esiste se non modellata e offesa dalla società in cui vive: a questa oppone<br />
non tanto i viventi quanto i morti e l’utopia: sono i morti <strong>che</strong> «parleranno», ultima parola di La spiaggia, la grande<br />
poesia <strong>che</strong> chiude la raccolta». Da questa parola finale emerge una «volontà eroica, patetica e ingenua, di continuare a<br />
riproporre i valori in un contesto <strong>che</strong> li rende paradossali e li smentisce. […] L’io della Spiaggia continua invece a<br />
vedere i “segnali” an<strong>che</strong> quando la “voce saputa” <strong>che</strong> “blatera nel ricevitore” sembra negarne l’esistenza» (Guido<br />
Mazzoni, Forma e solitudine. Un’idea della poesia contemporanea, cit., p.178).<br />
27 Così Maria Laura Baffoni Licata, Stella variabile di Vittorio Sereni: alternanza ossimorica di luci e ombre, cit.,<br />
p. 134.<br />
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