Una lingua che combatte - DSpace@Unipr

Una lingua che combatte - DSpace@Unipr Una lingua che combatte - DSpace@Unipr

dspace.unipr.cilea.it
from dspace.unipr.cilea.it More from this publisher
28.05.2013 Views

multipli vaghi di noi quali saremo stati. (Altro posto di lavoro, in Stella variabile) Il punto di vista qui si concentra sulla percezione di un cambiamento, che ha reso l’io qualcosa di incerto dal punto di vista dell’esserci: «specimen», «imago», «postille sempre più fioche», «multipli vaghi», la cui esistenza è complicata dall’uso del futuro anteriore, un futuro che in qualche modo è già passato, e che mette in crisi la dialettica tra essere e non essere, tra ciò che è stato e ciò che non è ancora. È anche uno sguardo proiettato su un’«altra riva», è l’ipotesi di una poesia che «allacci nome a cosa». In Un posto di vacanza la visione ricade nel gioco di affermazioni e negazioni, tentativi sempre sull’orlo del fallimento; lo sguardo, mezzo privilegiato di conoscenza del mondo, conosce la sconfitta, quando la vista è ingannata, per così dire, da effetti ottici che danno origine ad una prospettiva falsata, sghemba, imperfetta. Il poemetto è percorso da continui richiami allo sguardo, alla visione, che si confonde col sogno e l’allucinazione, con una sovrapposizione di immagini, di voci, di suggestioni, che rendono il senso del caos, della frantumazione e della precarietà di ogni possibilità conoscitiva: Pensavo, niente di peggio di una cosa scritta che abbia lo scrivente per eroe, dico lo scrivente come tale, e i fatti suoi le cose sue di scrivente come azione. Non c’è indizio più chiaro di prossima vergogna: uno osservante sé mentre si scrive e poi scrivente di questo suo osservarsi. (Un posto di vacanza, V, in Stella variabile) La vista rischia di perdere peso, capacità speculativa, rischia di diventare voyeurismo, sguardo privo di una qualsiasi valenza conoscitiva: «Sarei io dunque il superstite voyeur, uno scalpore» e «l’occhio intento / all’attraversamento» non può più allacciare nome a cosa, come aveva ipotizzato, perché «ombre», «colori», «attimi» sono «freddati nel nome che non è / la cosa ma la imita soltanto». La parola poetica non deve determinare logicamente la realtà, come tenta di fare il linguaggio filosofico, ma spogliarsi di ogni pretesa descrittiva e dare forma ad una realtà altra, da cui scaturisca una nuova coscienza. 94 Parlare della realtà non vuol dire riprodurla in modo mimetico: 94 Occorre ridefinire il valore dell’imitazione, nel rapporto tra soggetto e realtà. Parlando della pittura di Franco Francese Sereni scrive: «“imitare” – termine altrimenti sospetto – significa dunque “collocarsi accanto”: assecondare 152

superati i limiti dell’io, la conoscenza per via poetica deve guardare oltre i semplici fenomeni, pena il cadere vittima di un gioco di specchi, che confonde la realtà. La struttura della materia è complessa, come dinamico e brulicante di vita è l’universo, e lo sguardo del poeta, se vuole andare in profondità, deve affrontare la realtà da più punti prospettici, cogliendone il carattere mutevole: Un sasso, ci spiegano, non è così semplice come pare. Tanto meno un fiore. L’uno dirama in sé una cattedrale. L’altro un paradiso in terra. Svetta su entrambi un Himalaya di vite in movimento. (Un posto di vacanza, VII, in Stella variabile) Nel testo che rappresenta la summa della poetica sereniana, un catalogo della sua esistenza e della sua scrittura, viene messo in crisi il presupposto classico della conoscenza e dell’arte. Sereni prende definitivamente le distanze dai vincoli della mimesi del reale: la res cogitans (il soggetto) non descrive soltanto, ma interpreta la res extensa (l’oggetto), secondo una prospettiva storica e non astorica. Egli porta a compimento un percorso che aveva intrapreso a partire da Gli strumenti umani: Ridono alcuni: tu scrivevi per l’Arte. Nemmeno io volevo questo che volevo ben altro. Si fanno versi per scrollare un peso e passare al seguente. Ma c’è sempre qualche peso di troppo, non c’è mai alcun verso che basti 153 (I versi, in Gli strumenti umani) La conoscenza si lega, da questo momento in poi, a un «progetto / sempre in divenire», mai compiutamente realizzato, che va oltre l’orizzonte stesso della poesia, perché ormai lo sguardo rivela i suoi limiti, il suo relativismo, le sue contraddizioni. Contro le lusinghe di una poetica autoreferenziale e vana, uno «specchio ora uniforme e la natura per come viene a noi e ci si manifesta, […] non imporre dall’esterno una forma al fenomeno e nemmeno subirla (copiarla) dal fenomeno, ma lasciare che questo agisca, condividerlo e interpretarlo, cioè restituirlo dopo averne organizzato le trasformazioni in noi» (Vittorio Sereni, Franco Francese. La bestia addosso, Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1976, pp. 7-8). Non copiare, dunque, ma «collocarsi accanto» alla realtà per interpretarla è lo scopo della poesia dello stesso Sereni.

superati i limiti dell’io, la conoscenza per via poetica deve guardare oltre i semplici<br />

fenomeni, pena il cadere vittima di un gioco di specchi, <strong>che</strong> confonde la realtà. La<br />

struttura della materia è complessa, come dinamico e brulicante di vita è l’universo, e lo<br />

sguardo del poeta, se vuole andare in profondità, deve affrontare la realtà da più punti<br />

prospettici, cogliendone il carattere mutevole:<br />

Un sasso, ci spiegano,<br />

non è così semplice come pare.<br />

Tanto meno un fiore.<br />

L’uno dirama in sé una cattedrale.<br />

L’altro un paradiso in terra.<br />

Svetta su entrambi un Himalaya<br />

di vite in movimento.<br />

(Un posto di vacanza, VII, in Stella variabile)<br />

Nel testo <strong>che</strong> rappresenta la summa della poetica sereniana, un catalogo della sua<br />

esistenza e della sua scrittura, viene messo in crisi il presupposto classico della<br />

conoscenza e dell’arte.<br />

Sereni prende definitivamente le distanze dai vincoli della mimesi del reale: la res<br />

cogitans (il soggetto) non descrive soltanto, ma interpreta la res extensa (l’oggetto),<br />

secondo una prospettiva storica e non astorica. Egli porta a compimento un percorso <strong>che</strong><br />

aveva intrapreso a partire da Gli strumenti umani:<br />

Ridono alcuni: tu scrivevi per l’Arte.<br />

Nemmeno io volevo questo <strong>che</strong> volevo ben altro.<br />

Si fanno versi per scrollare un peso<br />

e passare al seguente. Ma c’è sempre<br />

qual<strong>che</strong> peso di troppo, non c’è mai<br />

alcun verso <strong>che</strong> basti<br />

153<br />

(I versi, in Gli strumenti umani)<br />

La conoscenza si lega, da questo momento in poi, a un «progetto / sempre in<br />

divenire», mai compiutamente realizzato, <strong>che</strong> va oltre l’orizzonte stesso della poesia,<br />

perché ormai lo sguardo rivela i suoi limiti, il suo relativismo, le sue contraddizioni.<br />

Contro le lusinghe di una poetica autoreferenziale e vana, uno «specchio ora uniforme e<br />

la natura per come viene a noi e ci si manifesta, […] non imporre dall’esterno una forma al fenomeno e nemmeno<br />

subirla (copiarla) dal fenomeno, ma lasciare <strong>che</strong> questo agisca, condividerlo e interpretarlo, cioè restituirlo dopo<br />

averne organizzato le trasformazioni in noi» (Vittorio Sereni, Franco Francese. La bestia addosso, Milano,<br />

All’insegna del pesce d’oro, 1976, pp. 7-8). Non copiare, dunque, ma «collocarsi accanto» alla realtà per interpretarla<br />

è lo scopo della poesia dello stesso Sereni.

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!