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Una lingua che combatte - DSpace@Unipr

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in punta di lacrime,<br />

non piango nemmeno vedi.<br />

Vedo. Ma è l’angelo<br />

nero dello sterminio<br />

quello <strong>che</strong> adesso vedo<br />

lucente nelle sue bardature<br />

di morte<br />

e a lui rivolto in estasi<br />

il bambinetto ebreo<br />

invitandolo al gioco<br />

del massacro.<br />

149<br />

(Sarà la noia, in Stella variabile)<br />

In questa poesia vediamo ripetersi il meccanismo, già precedentemente osservato, di un<br />

fatto quotidiano e totalmente marginale <strong>che</strong> diventa il punto in cui si concentra una<br />

riflessione sul senso della storia e del male:<br />

La guerra oggi è dappertutto, in un certo senso. […] Invece di esplosione<br />

si potrebbe parlare di implosione, cioè di qual<strong>che</strong> cosa <strong>che</strong> avviene all’interno<br />

di noi stessi, nell’ambito apparentemente pacifico nel quale viviamo e <strong>che</strong> si<br />

esprime in forme di violenza <strong>che</strong> non sono quelle della guerra. 87<br />

Si passa dalla rappresentazione delle cose alla loro interpretazione, attraverso un<br />

correlativo psichico <strong>che</strong> affonda le radici in un passato <strong>che</strong> non è stato completamente<br />

superato, e <strong>che</strong> riemerge, come un fantasma, come una dichiarazione di esistenza più<br />

forte dell’esistenza stessa. La situazione familiare, tesa tra la noia e l’irritazione, di un<br />

padre infastidito dai piccoli dispetti della figlia, ben presto si trasforma in altro.<br />

L’essenzialità e la banalità della situazione iniziale accentuano, per contrasto, il senso<br />

storico di un male latente nelle cose e nei gesti di tutti i giorni. Il presente si conferma<br />

come durata di un’esperienza <strong>che</strong> non ha più nulla di autobiografico, ma in cui permane<br />

l’emozione <strong>che</strong> le cose hanno provocato nell’io. 88 Si genera così uno slittamento<br />

87 Vittorio Sereni in AA.VV., Sulla poesia. Conversazioni nelle scuole, cit., p. 51.<br />

88 L’esperienza della durata è concretamente corroborata attraverso una proliferazione dei gerundi e delle forme<br />

aggettivali del participio presente: «torcendole», «guardandomi», «invitandolo», «petulante», «lucente». Così Maria<br />

Laura Baffoni Licata, Stella variabile di Vittorio Sereni: alternanza ossimorica di luci e ombre, cit., p. 133: «Questa<br />

tendenza del verso ad allungarsi è an<strong>che</strong> messa in evidenza, da un punto di vista più propriamente grammaticale, da<br />

una decisa inclinazione all’uso di gerundi quali: “triturando”, “mordendo”, “indugiando”, “parendo”, “cercando”,<br />

“svoltando”, e di participi presenti: “osservante”, “trascorrente”, “cangiante”, “sventolante”, “reiteranti”, “vocianti”,<br />

– di modi verbali,cioè, <strong>che</strong>, promuovendo una durata nel tempo, vengono a corroborare l’aspetto paratattico del<br />

verso». Ma si legga an<strong>che</strong> Maria Antonietta Grignani, La linea metafisica nella poesia italiana del Novecento: esiti di<br />

fine millennio, in AA.VV., «Vaghe stelle dell’Orsa…». L’«io» e il «tu» nella lirica italiana, a cura di Francesco Bruni,<br />

Venezia, Marsilio, 2005, p. 352: «Mi sembra <strong>che</strong> oggi si sia ridotta, rispetto al grande modello montaliano, l’intensità<br />

e la forza con cui vengono pronunciate le presenze nominali <strong>che</strong> rinviano agli oggetti, mentre è il sistema verbale a<br />

dominare, in inarcature e forzature rilevanti perfino in poeti, come Sereni, alieni dalla deformazione linguistica. Il<br />

verbo cede spesso alle proprie forme nominali (infinito, ma soprattutto participi e gerundi); i futuri, magari anteriori,

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