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28.05.2013 Views

per dare profondità emotiva ed intellettuale non solo all’esperienza, ma al pensiero e all’andamento lirico stesso. 64 Il «tempo irreparabile / della nostra viltà» suona, allora, come un a parte, una voce fuori campo, che risponde ad un desiderio di maggiore chiarezza e determinazione storico-etica, «un “fuori testo” che, a causa di un postumo desiderio di verità, altera la percezione poetica della temporalità, che da fatale trascorrere diviene “epoca” connotabile con il giudizio». 65 A distanza di anni Sereni introduce una variante, non per motivi di purezza linguistica, ma per la necessità di dare un’interpretazione morale: è l’interiorità della coscienza (storica, civile e umana), che si impone sull’esteriorità del dato biografico puro e semplice. Si giunge per questa via ad un sentimento del tempo che non è intemporalità, ma coesistenza di diversi piani temporali in un evento psichico che risente della lezione occidentale, che da Sant’Agostino giunge, attraverso Bergson, sino a Proust. La prigionia, con il suo tempo dell’attesa («luoghi di esilio e di attesa» 66 li chiama Sereni), un tempo sospeso e circolare in cui presente passato e futuro sono indistinguibili, è in contrasto con il tempo dell’azione nella storia, e introduce lo spazio ambiguo della perdita di sé e della «consapevolezza che oltre la Frontiera (termine inteso in senso geografico, politico ed esistenziale) esiste un’altra possibilità di vita, un altro poter-essere sul quale fondare il progettare, caratteristica dell’essere umano»: 67 La giovinezza è tutta nella luce d’una città al tramonto dove straziato ed esule ogni suono si spicca dal brusio. E tu mia vita salvati se puoi serba te stessa al futuro passante e quelle parvenze sui ponti nel baleno dei fari. (Periferia 1940, in Diario d’Algeria) La coscienza stra-ordinaria della distanza va di pari passo con la percezione di un mutamento interiore, che produce «un senso dell’essere […] come manifestazione tale 64 Vittorio Sereni, Poesie, cit., p. 426: «Scritta in Algeria nel ’44, ma lo spunto è bolognese, del ’42. esclusa dal Diario, è poi stata pubblicata (nel ’48?) nell’Indicatore Partigiano e nel Progresso. L’ultimo verso suonava così: “fugge oltre i borghi un tempo irreparabile”. La correzione è molto recente». 65 Fulvio Papi, La parola incantata e altri saggi di filosofia dell’arte, Milano, Guerini e Associati, 1992, p. 107. 66 Vittorio Sereni, Male del reticolato, in Gli immediati dintorni, ora in La tentazione della prosa, cit., p. 20. 67 Giuliano Ladolfi, Vittorio Sereni. Il “prigioniero”, Borgomanero, Edizioni Atelier, 2003, p. 14. 142

da mettere fuori gioco la coscienza ordinaria». 68 Il poeta guarda le cose che ha davanti a sé (si pensi anche alla partita di calcio tra prigionieri in Rinascono la valentia), ma guarda soprattutto dentro di sé. Può valere come esempio l’incipit di Troppo il tempo ha tardato, in cui la grazia e, perché no, il languore lirico di sapore petrarchesco della «pena degli anni giovani», sono attenuati e bilanciati dalla volontà di riportare l’attenzione a dati sensibili e fisici: la «città», i «sobborghi», la «curva d’un viale», i «papaveri», con un dinamismo centrifugo, che dal centro della vita cittadina sembra condurci all’esterno. Ci sono tratti dal sapore spiccatamente cromatico-affettivo, quasi impressionistico, e altri invece che, innestandosi su questi, condensano la trama esistenziale della poesia, con una continua oscillazione fra trasfigurazione psicologica e concretezza del reale: «Illividiva la città nel vento», «riflessi beati», «ticchettio meditabondo», «indolenza di sobborghi chiari», «un occhio lustro», «ombre leggere», «svaniva / in tristezza la curva d’un viale», «ruote fuggite», «cinerea estate». Questa doppia natura della parola salva il poeta dal risolvere la propria esistenza nell’hic et nunc della prigionia, che per Sereni è attesa, incompiuta realizzazione di sé, che soltanto nel tempo potrà trovare una più piena significazione. 69 Oltre i limiti della scrittura autobiografica, il lavoro poetico si compone di due parti distinte ma complementari, che sono le «sollecitazioni intime» e le «sollecitazioni esterne»: Può accadere, a chi sia impegnato in un lavoro, che certe sollecitazioni intime vengano improvvisamente a coincidere con sollecitazioni esterne, sulla natura, sul senso e sull’indirizzo di quel lavoro; che anche qui ci si senta chiamati in causa perché qualche dato della propria esperienza sembra intonarsi ai dati di un’esperienza più generale. […] La guerra, che è stata di tutti, e forse anche più il dopoguerra, hanno non operato, ma favorito qualcosa di analogo all’interno della poesia e dei poeti. 70 Benjamin, nelle sue Tesi di filosofia della storia, scrive che «la storia è oggetto di una costruzione il cui luogo non è il tempo omogeneo e vuoto, ma quello pieno di “attualità”», 71 cioè il tempo della storia è discontinuo e ciò permette che il passato faccia capolino nel presente superando i limiti della memoria individuale, verso una 68 Marcello Ciccuto, Letteratura e arte, in AA.VV., Storia della letteratura italiana, XI, Il Novecento. Scenari di fine secolo, a cura di Nino Borsellino e Lucio Felici, Milano, Garzanti, 2001, p. 413. 69 Si legga anche Fulvio Papi, La parola incantata e altri saggi di filosofia dell’arte, cit., p. 102: «l’occasione, nella poetica di Sereni, si compone nel tempo in un composto lavorio della memoria, come progressiva valorizzazione del ricordo attraverso una sua semantizzazione». 70 Vittorio Sereni, Esperienza della poesia, in Gli immediati dintorni, ora in La tentazione della prosa, cit., p. 29. 71 Walter Benjamin, Tesi di filosofia della storia, in Angelus Novus. Saggi e frammenti, cit., p. 83. 143

da mettere fuori gioco la coscienza ordinaria». 68 Il poeta guarda le cose <strong>che</strong> ha davanti a<br />

sé (si pensi an<strong>che</strong> alla partita di calcio tra prigionieri in Rinascono la valentia), ma<br />

guarda soprattutto dentro di sé. Può valere come esempio l’incipit di Troppo il tempo ha<br />

tardato, in cui la grazia e, perché no, il languore lirico di sapore petrar<strong>che</strong>sco della<br />

«pena degli anni giovani», sono attenuati e bilanciati dalla volontà di riportare<br />

l’attenzione a dati sensibili e fisici: la «città», i «sobborghi», la «curva d’un viale», i<br />

«papaveri», con un dinamismo centrifugo, <strong>che</strong> dal centro della vita cittadina sembra<br />

condurci all’esterno. Ci sono tratti dal sapore spiccatamente cromatico-affettivo, quasi<br />

impressionistico, e altri invece <strong>che</strong>, innestandosi su questi, condensano la trama<br />

esistenziale della poesia, con una continua oscillazione fra trasfigurazione psicologica e<br />

concretezza del reale: «Illividiva la città nel vento», «riflessi beati», «tic<strong>che</strong>ttio<br />

meditabondo», «indolenza di sobborghi chiari», «un occhio lustro», «ombre leggere»,<br />

«svaniva / in tristezza la curva d’un viale», «ruote fuggite», «cinerea estate». Questa<br />

doppia natura della parola salva il poeta dal risolvere la propria esistenza nell’hic et<br />

nunc della prigionia, <strong>che</strong> per Sereni è attesa, incompiuta realizzazione di sé, <strong>che</strong> soltanto<br />

nel tempo potrà trovare una più piena significazione. 69 Oltre i limiti della scrittura<br />

autobiografica, il lavoro poetico si compone di due parti distinte ma complementari, <strong>che</strong><br />

sono le «sollecitazioni intime» e le «sollecitazioni esterne»:<br />

Può accadere, a chi sia impegnato in un lavoro, <strong>che</strong> certe sollecitazioni<br />

intime vengano improvvisamente a coincidere con sollecitazioni esterne,<br />

sulla natura, sul senso e sull’indirizzo di quel lavoro; <strong>che</strong> an<strong>che</strong> qui ci si senta<br />

chiamati in causa perché qual<strong>che</strong> dato della propria esperienza sembra<br />

intonarsi ai dati di un’esperienza più generale. […] La guerra, <strong>che</strong> è stata di<br />

tutti, e forse an<strong>che</strong> più il dopoguerra, hanno non operato, ma favorito<br />

qualcosa di analogo all’interno della poesia e dei poeti. 70<br />

Benjamin, nelle sue Tesi di filosofia della storia, scrive <strong>che</strong> «la storia è oggetto di<br />

una costruzione il cui luogo non è il tempo omogeneo e vuoto, ma quello pieno di<br />

“attualità”», 71 cioè il tempo della storia è discontinuo e ciò permette <strong>che</strong> il passato<br />

faccia capolino nel presente superando i limiti della memoria individuale, verso una<br />

68 Marcello Ciccuto, Letteratura e arte, in AA.VV., Storia della letteratura italiana, XI, Il Novecento. Scenari di<br />

fine secolo, a cura di Nino Borsellino e Lucio Felici, Milano, Garzanti, 2001, p. 413.<br />

69 Si legga an<strong>che</strong> Fulvio Papi, La parola incantata e altri saggi di filosofia dell’arte, cit., p. 102: «l’occasione,<br />

nella poetica di Sereni, si compone nel tempo in un composto lavorio della memoria, come progressiva<br />

valorizzazione del ricordo attraverso una sua semantizzazione».<br />

70 Vittorio Sereni, Esperienza della poesia, in Gli immediati dintorni, ora in La tentazione della prosa, cit., p. 29.<br />

71 Walter Benjamin, Tesi di filosofia della storia, in Angelus Novus. Saggi e frammenti, cit., p. 83.<br />

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