Una lingua che combatte - DSpace@Unipr
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alla guerra e alla pace» (Non sa più nulla, è alto sulle ali), su cui agisce un senso di distacco, di sradicamento, che sarà centrale nel quadro esistenziale del dopoguerra e dagli anni Sessanta in avanti: Cominciavi a vivere con pienezza, uscito una buona volta dallo sbalordimento giovanile. Venne la guerra e rovinò ogni cosa. Ti pareva di spiegare così la crisi che colse te e alcuni tuoi coetanei dopo il ’45, di ritorno dalla guerra e dalla segregazione (e dall’esserti sentito escluso dalla Liberazione, privato della sua lotta come di un’esperienza che ti è mancata lasciandoti incompleto per sempre). 59 Nella Nota alla prima edizione de Gli immediati dintorni, Giacomo Debenedetti sottolinea due punti che ci riportano al problema centrale dal quale siamo partiti: «Nella storia della poesia di Sereni ci sono grumi di vita, che hanno preteso tutto il necessario, fisiologico tempo di soluzione per poi, da quella fluidità sostanziosa, disponibile a tutte le assimilazioni organiche, arrivare a cristallizzarsi liricamente. […] Più esplicitamente che la poesia, il diario verifica l’ipotesi, da Sereni proposta insieme e contestata, “che la cosa da dire sia in fondo o un momento o un luogo della propria esperienza (esistenza) da salvare”». 60 Le ragioni della poesia di Sereni vanno cercate, insomma, in quei «grumi di vita» che rimangono come sostanza magmatica al di sotto della crosta lirica, a sua volta mai ferma, mai determinata in una forma fissa e assoluta (o assolutizzante), ma sempre in movimento, in quella che Parronchi ha definito una «costante difesa dal presente nel presente». 61 Viene spontaneo a questo punto ritornare alla Nota che Sereni aux portes du désert, entre des murailles d’air et de sable, est une figure indélébile de vacuité, qui se transforme vite en métaphore de toute condition individuelle ou collective». 59 Vittorio Sereni, Gli immediati dintorni, ora in La tentazione della prosa, cit., p. 59. Tra gli altri, Giancarlo Vigorelli sottolinea come la solitudine e la separazione derivate dall’esperienza mancata della Resistenza, dalla consapevolezza che quel periodo è definitivamente perduto senza essere stato vissuto, diano a Sereni la certezza di essere un escluso: «Tutto era cambiato sotto gli occhi di noi che eravamo pur stati testimoni, e in parte partecipi, del travolgimento, del capovolgimento, e Vittorio non nascondeva primamente a se stesso, alla sua coscienza, alla sua faccia, d’essere dovuto rientrare in patria a cose fatte. Ma in realtà da fare: ed a lui pareva di avere scarso diritto a quel “da fare”, non essendo stato presente, pur senza sua colpa, all’atto del primo “fare”» (Giancarlo Vigorelli, Carte d’identità, cit., p. 198). Si legga anche una lettera ad Alessandro Parronchi, in cui Sereni scrive: «Mai come ora ho avuto il senso del tempo sperperato, degli anni regalati agli altri». Ora in Un tacito mistero. Il carteggio Vittorio Sereni-Alessandro Parronchi (1941-1982), cit., lettera 17, p. 41. Ma sul concetto del tempo sperperato Sereni torna in più momenti dell’epistolario, sino a quello «specchio del tempo sperperato» che troviamo nell’ultima poesia di Stella variabile: «Ho cinque duri anni di disamore e di dispersione sulle spalle» (lettera 24, p. 64); «Ma questi sono stati giorni di spreco del poco di vivo che rimane ancora in me» (lettera 36, p. 109); «Io finisco l’anno con un po’ d’influenza in corpo e una cresciuta insofferenza per il tempo che si perde» (lettera 111, p. 285). 60 Giacomo Debenedetti, Nota alla prima edizione, in Vittorio Sereni, Gli immediati dintorni, ora in La tentazione della prosa, cit., pp. 6-7. 61 Così Alessandro Parronchi in Un tacito mistero. Il carteggio Vittorio Sereni-Alessandro Parronchi (1941- 1982), cit., lettera CVII, p. 301: «Caro Vittorio, ho avuto Gli immediati dintorni, e l’ho letto con molta partecipazione. Non è la tua storia – quella è nel tuo libro di poesie – ma un controcanto sottile alla tua storia, dove sento un’attenzione sempre tesa, un occhio vigilante sull’oggi in modo esasperato. […] Ma questa tua posizione di costante difesa dal presente nel presente mi pare sempre la migliore condizione alla poesia». E Vittorio Sereni, 140
scrisse per l’edizione del Diario d’Algeria del 1947, che ha il valore di una vera e propria dichiarazione di poetica: Le singole date vanno comunque riferite, là dove appaiono, alle circostanze che originarono i versi e non al tempo dell’effettiva stesura. 62 Il tempo che passa tra l’esperienza e la sua realizzazione lirica, lungi dall’essere un silenzio vuoto di accadimenti, si dimostra il tempo più vero della poesia, che si definisce come annotazione del dato biografico e insieme come sua dilatazione a valore esistenziale, che permette di sottrarlo ai limiti della contingenza. 63 Il linguaggio tende ad inarcarsi su tonalità cupe, opprimenti atmosfere in cui si traducono i dettagli dell’esperienza: «Inquieto nella tradotta / […] / mi tendo alle tue luci sinistre», «un volto solo / che per sempre si chiude» (Città di notte, in Diario d’Algeria); «Io non so come sempre / un disperato murmure m’opprima», «E non è fiore in te che non m’esprima / il male che presto lo morde», «alla tua gioia / sono cieco ed inerme». Fino a giungere a toni espressionistici, che deformano la realtà in uno straziato paesaggio dell’anima: «E l’ombra dorata trabocca nel rogo serale, / l’amore sui volti s’imbestia»; per poi concludere: «fugge oltre i borghi il tempo irreparabile / della nostra viltà» (Diario Bolognese, in Diario d’Algeria), in cui bisognerà notare che l’ultimo verso è un’aggiunta successiva alla prima stesura, che precisa il più vago e “fatale” «disperato murmure» del secondo verso, come a ribadire il tempo necessario della rielaborazione, rispondendo all’amico: «Quello che mi dici del libro e della posizione di difesa “dal presente nel presente” mi sembra davvero esatto, mette al posto giusto certe impennate apparenti – che possono trovare facili consensi e altrettanto facili dissensi in un’aria sostanzialemente estranea a quella in cui pensi di essere» (Un tacito mistero. Il carteggio Vittorio Sereni-Alessandro Parronchi (1941-1982), cit., lettera 123, p. 301). 62 Vittorio Sereni, Diario d’Algeria, Firenze, Vallecchi, 1947, p. 45. Ora in Poesie, cit., p. 417. All’altezza degli Strumenti umani, Sereni scrive una Nota che chiarisce ancora di più questo suo procedere, che potrebbe essere esteso, à rebours, anche a Frontiera e allo stesso Diario d’Algeria: «Per i singoli componimenti una datazione più rigorosa risulterebbe tutto sommato arbitraria. Sarebbe possibile, se mai, per ciascuno di essi stabilire una data di «partenza» e una di «arrivo»: nel qual caso però alcune «partenze» rischierebbero di figurare come anteriori persino al ’45. Un margine così largo di tempo non implica in alcun modo fasi di lavorazione protratte al segno dell’incontentabilità o del rigore dal punto di vista strettamente stilistico, bensì una serie di modifiche e aggiunte, di deviazioni e articolazioni successive, dilatazioni e rarefazioni offerte o suggerite, quando non imposte, dall’esistenza, dal caso, dalla disposizione dell’ora […]. Si dà quindi per inteso che là dove un riferimento temporale accompagna esplicitamente un testo, quel riferimento indica, senza eccezioni, una «partenza» o una fase e non rappresenta mai una data di composizione» (Vittorio Sereni, Gli strumenti umani, Torino, Einaudi, 1965, p. 95, poi in Poesie, cit., p. 469. Questa Nota è in parte citata anche da Dante Isella, Giornale di “Frontiera”, cit., p. 17). 63 Alessandro Parronchi, a proposito del Diario d’Algeria, parla di «quella grazia di consistere in pochi momenti, sottratti al tempo, di vita piena» e distingue le due direzioni verso cui si muove il Diario: «indietro la limpidità di tanti paesaggi attraversati, parte vissuti parte sognati – in avanti il ricollegarsi dell’anima col suo centro intimo», da cui risulta che «il tessuto della poesia non resta fisso, non trova quei calchi mnemonici che danno un tono scadente – così spesso – alla poesia di Montale; ma anche dov’è preciso e unito, ha l’essenza del variabile, di ciò che ogni volta sorprende». Ora in Un tacito mistero. Il carteggio Vittorio Sereni-Alessandro Parronchi (1941-1982), cit., lettera XXVI, p. 89; lettera XXXI, p. 100; lettera XXXVI, p. 119. 141
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scrisse per l’edizione del Diario d’Algeria del 1947, <strong>che</strong> ha il valore di una vera e<br />
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Le singole date vanno comunque riferite, là dove appaiono, alle<br />
circostanze <strong>che</strong> originarono i versi e non al tempo dell’effettiva stesura. 62<br />
Il tempo <strong>che</strong> passa tra l’esperienza e la sua realizzazione lirica, lungi dall’essere un<br />
silenzio vuoto di accadimenti, si dimostra il tempo più vero della poesia, <strong>che</strong> si<br />
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esistenziale, <strong>che</strong> permette di sottrarlo ai limiti della contingenza. 63 Il <strong>lingua</strong>ggio tende ad<br />
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dell’anima: «E l’ombra dorata trabocca nel rogo serale, / l’amore sui volti s’imbestia»;<br />
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(Diario Bolognese, in Diario d’Algeria), in cui bisognerà notare <strong>che</strong> l’ultimo verso è<br />
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murmure» del secondo verso, come a ribadire il tempo necessario della rielaborazione,<br />
rispondendo all’amico: «Quello <strong>che</strong> mi dici del libro e della posizione di difesa “dal presente nel presente” mi sembra<br />
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62 Vittorio Sereni, Diario d’Algeria, Firenze, Vallecchi, 1947, p. 45. Ora in Poesie, cit., p. 417. All’altezza degli<br />
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una di «arrivo»: nel qual caso però alcune «partenze» rischierebbero di figurare come anteriori persino al ’45. Un<br />
margine così largo di tempo non implica in alcun modo fasi di lavorazione protratte al segno dell’incontentabilità o<br />
del rigore dal punto di vista strettamente stilistico, bensì una serie di modifi<strong>che</strong> e aggiunte, di deviazioni e<br />
articolazioni successive, dilatazioni e rarefazioni offerte o suggerite, quando non imposte, dall’esistenza, dal caso,<br />
dalla disposizione dell’ora […]. Si dà quindi per inteso <strong>che</strong> là dove un riferimento temporale accompagna<br />
esplicitamente un testo, quel riferimento indica, senza eccezioni, una «partenza» o una fase e non rappresenta mai una<br />
data di composizione» (Vittorio Sereni, Gli strumenti umani, Torino, Einaudi, 1965, p. 95, poi in Poesie, cit., p. 469.<br />
Questa Nota è in parte citata an<strong>che</strong> da Dante Isella, Giornale di “Frontiera”, cit., p. 17).<br />
63 Alessandro Parronchi, a proposito del Diario d’Algeria, parla di «quella grazia di consistere in pochi momenti,<br />
sottratti al tempo, di vita piena» e distingue le due direzioni verso cui si muove il Diario: «indietro la limpidità di<br />
tanti paesaggi attraversati, parte vissuti parte sognati – in avanti il ricollegarsi dell’anima col suo centro intimo», da<br />
cui risulta <strong>che</strong> «il tessuto della poesia non resta fisso, non trova quei calchi mnemonici <strong>che</strong> danno un tono scadente –<br />
così spesso – alla poesia di Montale; ma an<strong>che</strong> dov’è preciso e unito, ha l’essenza del variabile, di ciò <strong>che</strong> ogni volta<br />
sorprende». Ora in Un tacito mistero. Il carteggio Vittorio Sereni-Alessandro Parronchi (1941-1982), cit., lettera<br />
XXVI, p. 89; lettera XXXI, p. 100; lettera XXXVI, p. 119.<br />
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