Una lingua che combatte - DSpace@Unipr
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ma già presenti in noi e nelle cose. 47 Il poeta non inventa niente, non si abbandona ad una fantasia che allontani dalla realtà. 48 Non è la poesia che conferisce senso al mondo, creandone uno fittizio, perché l’atto poetico non è anteriore alla percezione, esso è, invece, «percezione di realtà che fermenta e prolifera», 49 mezzo attraverso cui la percezione del mondo ci porta alla comprensione: 50 Ci sono momenti della nostra esistenza che non danno pace fino a quando restano informi e anche in questo, almeno in parte, è per me il significato dello scrivere versi. 51 Esistono cose che mi hanno impressionato in un senso o nell’altro e dunque tutte, possibilmente, vanno scritte. Non ho una cosa da affermare in assoluto, una mia «verità» da trasmettere. Ho dei conti da saldare con l’esperienza. 52 Sono uno scrittore che parte da una base autobiografica. In generale, se io ho visto, ascoltato, vissuto per esperienza diretta una cosa, ci sono probabilità che questo dia dei frutti di poesia, diciamo così. Se questa cosa io non l’ho vissuta nella sua origine diretta, immediata, sul suo spunto autobiografico, per averla constatata, percepita attraverso i sensi e l’emotività, è difficilissimo che io ci possa scrivere qualche cosa sopra. 53 47 Così Maurice Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., p. 51: «[…] proprio perché percepiamo un insieme come cosa, l’atteggiamento analitico può in seguito discernervi somiglianze o contiguità. Ciò non significa solo che, senza la percezione del tutto, noi non penseremmo a notare la somiglianza o la contiguità dei suoi elementi, ma letteralmente che questi non farebbero parte del medesimo mondo e che quelle non esisterebbero affatto». 48 Egli arriva per questa via a percorrere lo spazio di un disagio che da individuale si fa esistenziale, ovvero collettivo: «[L’esperienza] non consiste tanto di singoli eventi esattamente fissati nel ricordo quanto di dati accumulati, spesso inconsapevoli, che confluiscono nella memoria. […] Dove c’è esperienza nel senso proprio del termine, determinati contenuti del passato individuale entrano in congiunzione, nella memoria, con quelli del passato collettivo» (Walter Benjamin, Di alcuni motivi in Baudelaire, in Angelus Novus. Saggi e frammenti, Torino, Einaudi, 1962, pp. 91, 93). 49 Vittorio Sereni, Dovuto a Montale, in Gli immediati dintorni, ora in La tentazione della prosa, cit., p. 149. 50 Si veda Pier Vincenzo Mengaldo, La tradizione del Novecento. Seconda serie, cit., pp. 316-317: «Seppure in senso diverso da Montale, anche Sereni avrebbe potuto dire di sé che non inventava nulla. La sua poesia nasceva a stretto contatto coi fatti e fenomeni, esterni e più spesso interni, incessanti, incessantemente ruminati […]. Ciò vuol dire, contro la moderna superbia della poesia […] che i fatti e dunque la vita, avevano un valore e una dignità in sé che si trasferivano per riverbero e impregnazione su quelli della poesia, e non viceversa. Sereni era l’antitesi del poeta orfico; era un poeta esistenziale». 51 Vittorio Sereni, Poesie, cit., pp. 585-586. 52 Vittorio Sereni, Una vicenda amicale: lettere di Vittorio Sereni, a cura di Giancarlo Buzzi, «Concertino», a. 1, n. 1, giugno 1992, p. 43. Si legga anche Un posto di vacanza, V: «“Ho un lungo conto aperto” gli rispondo. / “Un conto aperto? di parole?”. “Spero non di sole parole”». 53 Vittorio Sereni, dichiarazione a Gian Carlo Ferretti, «Rinascita», a. 30, n. 15, 13 aprile 1973, p. 32 ora in Gian Carlo Ferretti, Poeta e di poeti funzionario. Il lavoro editoriale di Vittorio Sereni, cit., p. 132. Ma si legga anche quanto scrive Vittorio Sereni in Un tacito mistero. Il carteggio Vittorio Sereni-Alessandro Parronchi (1941-1982), cit., lettera 24, p. 65: «Per il resto, oggi, non c’è più niente, né Luino, né l’Africa, né la guerra. Il che vuol dire che ho sempre avuto bisogno – e questo è male – di cercare la poesia fuori di me»; lettera 27, p. 74: «Scrivo sempre a distanza di anni senza mai prescindere da una lunga memoria»; e anche Vittorio Sereni nell’intervista a Anna Del Bo Boffino, Il terzo occhio del poeta, «Amica», 28 settembre 1982, p. 156, ora in Vittorio Sereni, Poesie, cit., p. 582: «In senso positivo ciò significa necessità di maturazione di un motivo; in senso negativo, lentezza, pigrizia, impotenza, remora psicologica, paura. In ogni caso quell’aspetto dell’“impegno” per cui la poesia o lo scrivere hanno un peso nella misura in cui concorrono al formarsi della storia mi è totalmente estraneo». 138
Da queste premesse si attua il superamento dell’autobiografismo insito nella scrittura lirica in rapporto con gli eventi della contemporaneità, per esprimere piuttosto i «fermenti segreti che tali eventi o l’esclusione da tali eventi possono far maturare nella coscienza (come la sofferta non-partecipazione alla lotta di liberazione, imposta dalla prigionia)», 54 perché «proprio nello scoprirsi incapaci di spiegarsi la tragedia e di parteciparvi» 55 sta il senso della parola poetica: essa indaga le ragioni più profonde della realtà, i nodi rimasti irrisolti, le sfumature dell’io, che altrimenti non emergerebbero. Così Sereni spiega questo procedimento: Esiste per me questo problema: rifarmi alla prima emozione e restituirla, e più ancora elaborarla, spremerne il senso e la riserva di altre energie, che essa includeva ma che all’inizio non erano state nemmeno supposte. […] I miei versi riflettono la sedimentazione, l’acquisizione di altri motivi, l’arricchimento e la dilatazione rispetto alla prima configurazione emotiva, e, parallelamente, il sopraggiungere di esperienze diverse, umane e culturali. 56 Due campi di forza agiscono nelle poesie, nel tentativo di superare la divaricazione tra l’occasione poetica e la scrittura vera e propria (che in alcuni casi è rielaborazione attraverso stesure e varianti successive). Come scrive Massimo Grillandi, le «immagini poetiche, al di là del dato esistenziale, tendevano a fuggire per la tangente di una indeterminatezza piacevole alla lettura, ma non garante di un risultato definitivo. E allora Sereni le ha accortamente fermate, sul punto emotivo di svanire, con il fissatore della cronaca, che non è tanto precisazione di un dato “vero” quanto aggancio, sensibile ancoraggio, a una realtà sensibile che resta, e deve restare, strumento di comprensione in poesia». 57 Nel Diario d’Algeria Sereni rielabora la vicenda centrale della propria vita, per accentuarne le possibilità conoscitive: storia, realtà ed esperienza si articolano nel tentativo di superare la dimensione puramente privata, intima e individuale, per diventare voce corale. 58 Il tormento del poeta è il tormento di una generazione «morta 54 Gian Carlo Ferretti, Poeta e di poeti funzionario. Il lavoro editoriale di Vittorio Sereni, cit., p. 135. 55 Vittorio Sereni, Una vicenda amicale: lettere di Vittorio Sereni, cit., p. 43. 56 Vittorio Sereni in Ferdinando Camon, Il mestiere di poeta, cit., pp. 121-122. 57 Massimo Grillandi, Sereni, Firenze, La Nuova Italia, 1972, p. 46. 58 Cfr. Giovanni Raboni, Prefazione a Vittorio Sereni, Diario d’Algeria, cit., p. X: «più della storia, come dice Debenedetti, più della realtà come a un certo punto mi è parso di poter ipotizzare, a entrare con il Diario nella poesia di Sereni potrebbe essere, più precisamente, l’esperienza – l’esperienza nella specie emblematica e traumatica di fine della giovinezza, del suo limpido, incantevole, sogno d’attesa». E si legga anche Bernard Simeone, Vacuité, réticence, in Vittorio Sereni, Les instruments humains précédé de Journal d’Algérie, traduit par Philippe Renard et Bernard Simeone, préface de Bernard Simeone, postface de Philippe Renard, Paris, Verdier, 1991, p. 8: «La captivité 139
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Da queste premesse si attua il superamento dell’autobiografismo insito nella scrittura<br />
lirica in rapporto con gli eventi della contemporaneità, per esprimere piuttosto i<br />
«fermenti segreti <strong>che</strong> tali eventi o l’esclusione da tali eventi possono far maturare nella<br />
coscienza (come la sofferta non-partecipazione alla lotta di liberazione, imposta dalla<br />
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parteciparvi» 55 sta il senso della parola poetica: essa indaga le ragioni più profonde della<br />
realtà, i nodi rimasti irrisolti, le sfumature dell’io, <strong>che</strong> altrimenti non emergerebbero.<br />
Così Sereni spiega questo procedimento:<br />
Esiste per me questo problema: rifarmi alla prima emozione e restituirla, e<br />
più ancora elaborarla, spremerne il senso e la riserva di altre energie, <strong>che</strong> essa<br />
includeva ma <strong>che</strong> all’inizio non erano state nemmeno supposte. […] I miei<br />
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parallelamente, il sopraggiungere di esperienze diverse, umane e culturali. 56<br />
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attraverso stesure e varianti successive). Come scrive Massimo Grillandi, le «immagini<br />
poeti<strong>che</strong>, al di là del dato esistenziale, tendevano a fuggire per la tangente di una<br />
indeterminatezza piacevole alla lettura, ma non garante di un risultato definitivo. E<br />
allora Sereni le ha accortamente fermate, sul punto emotivo di svanire, con il fissatore<br />
della cronaca, <strong>che</strong> non è tanto precisazione di un dato “vero” quanto aggancio, sensibile<br />
ancoraggio, a una realtà sensibile <strong>che</strong> resta, e deve restare, strumento di comprensione<br />
in poesia». 57<br />
Nel Diario d’Algeria Sereni rielabora la vicenda centrale della propria vita, per<br />
accentuarne le possibilità conoscitive: storia, realtà ed esperienza si articolano nel<br />
tentativo di superare la dimensione puramente privata, intima e individuale, per<br />
diventare voce corale. 58 Il tormento del poeta è il tormento di una generazione «morta<br />
54 Gian Carlo Ferretti, Poeta e di poeti funzionario. Il lavoro editoriale di Vittorio Sereni, cit., p. 135.<br />
55 Vittorio Sereni, <strong>Una</strong> vicenda amicale: lettere di Vittorio Sereni, cit., p. 43.<br />
56 Vittorio Sereni in Ferdinando Camon, Il mestiere di poeta, cit., pp. 121-122.<br />
57 Massimo Grillandi, Sereni, Firenze, La Nuova Italia, 1972, p. 46.<br />
58 Cfr. Giovanni Raboni, Prefazione a Vittorio Sereni, Diario d’Algeria, cit., p. X: «più della storia, come dice<br />
Debenedetti, più della realtà come a un certo punto mi è parso di poter ipotizzare, a entrare con il Diario nella poesia<br />
di Sereni potrebbe essere, più precisamente, l’esperienza – l’esperienza nella specie emblematica e traumatica di fine<br />
della giovinezza, del suo limpido, incantevole, sogno d’attesa». E si legga an<strong>che</strong> Bernard Simeone, Vacuité,<br />
réticence, in Vittorio Sereni, Les instruments humains précédé de Journal d’Algérie, traduit par Philippe Renard et<br />
Bernard Simeone, préface de Bernard Simeone, postface de Philippe Renard, Paris, Verdier, 1991, p. 8: «La captivité<br />
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