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Una lingua che combatte - DSpace@Unipr

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sensualità, oppure reso ombra di se stesso, fantasma e apparizione; c’è, infine, il<br />

pensiero del nulla, <strong>che</strong> dal corpo si trasmette alla parola stessa. La scelta è quella di una<br />

poesia <strong>che</strong> metta in stretta relazione l’io e il mondo, una poesia <strong>che</strong> porti a confrontarsi,<br />

pur con esperienze ed esiti assai differenti, con le trasformazioni di una società <strong>che</strong> si<br />

vuole a tutti i costi moderna, ma <strong>che</strong> in realtà nega ogni progresso civile (il «progresso<br />

come falso progresso» di cui parla Pasolini nelle Lettere luterane). Lontani da tale<br />

prospettiva di modernità questi autori manifestano un rapporto necessariamente<br />

contraddittorio con la storia: le loro poesie non solo esprimono l’angoscia per<br />

l’esperienza dello spaesamento, della lontananza e dell’esilio, ma, come una forza<br />

oppositiva, spingono questa esperienza storica e psicologica ai suoi limiti.<br />

Ricostruiscono e conferiscono una forma nuova all’identità individuale, contro la sua<br />

perdita o la sua dislocazione ad altri livelli di senso, come è avvenuto all’inizio del<br />

secolo, da una parte col futurismo, <strong>che</strong> si è fatto portavoce dell’iperbolico nazionalismo,<br />

e dall’altra, più tardi, con l’ermetismo, <strong>che</strong> ha reagito al nazionalismo con il<br />

ripiegamento individualistico di un io separato, di una <strong>lingua</strong> <strong>che</strong> si allontanava da ogni<br />

relazione col mondo. Ciò di cui essi ci parlano non appartiene ad un’altra dimensione,<br />

ad un altro mondo, e an<strong>che</strong> quando ci siano apparizioni o fantasmi, an<strong>che</strong> quando ci si<br />

confronti direttamente con l’altro e l’altrove, essi non «si riferiscono a una storia<br />

differente dalla nostra». 11<br />

Caproni, Penna, Fortini e Sereni hanno esordito negli anni Trenta e Quaranta, in<br />

pieno periodo fascista e bellico, e successivamente hanno dovuto confrontarsi con la<br />

situazione venutasi a creare dopo la guerra. Si imponeva una profonda riflessione sul<br />

<strong>lingua</strong>ggio poetico e sulla sua evoluzione: occorreva mettere in discussione il rapporto<br />

tra le parole e le cose, tra soggetto e oggetto. Se da una parte si può parlare di<br />

dissoluzione di tali rapporti, dall’altra si tratta an<strong>che</strong> di trovare un punto di resistenza<br />

<strong>che</strong> non sia punto fermo ma snodo <strong>che</strong> predisponga ad una evoluzione. Sin dagli esordi<br />

nel clima ermetico, questi poeti manifestano un doloroso rapporto col reale, <strong>che</strong> passa<br />

attraverso il senso del tempo perduto della giovinezza, <strong>che</strong> solo Penna, forse, si illude di<br />

rivivere specchiandosi nelle molteplici immagini dei fanciulli. A prevalere è il senso del<br />

distacco, della fine e della distanza, an<strong>che</strong> fisica, da una terra <strong>che</strong> non gli appartiene più:<br />

il grande tema sereniano della prigionia diventa emblema di una condizione esistenziale<br />

11 Giacomo Debenedetti, Poesia italiana del Novecento, Milano, Garzanti, 1974, p. 38.<br />

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