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Una lingua che combatte - DSpace@Unipr

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Io in poesia sono per le “cose”; non mi piace dire “io”, preferisco dire:<br />

“loro”. […] Con tutti i pericoli <strong>che</strong> ne derivano: notazioni, magari<br />

impressionismi, non risolti: “loro” ma soltanto “loro” senza <strong>che</strong> ci sia dentro<br />

“io”. […] Ancora io non ho chiara a me stesso una mia pena (o una mia<br />

gioia) d’uomo; so <strong>che</strong> c’è e per ora basta. Quando avrò trovato una radice a<br />

questo mio senso oggettivo, di questo mio amore per “loro”, io avrò<br />

cominciato a trovare me stesso e forse la poesia. A patto però […] <strong>che</strong> io non<br />

perda niente del mio guardare, senza accentuazioni polemi<strong>che</strong>, in ogni<br />

direzione; <strong>che</strong> io abbia ancora il coraggio di parlare di semafori e di feltri<br />

verdi (per ora può parere un preziosismo e niente più): necessità delle scorie<br />

(v. Eastburne) e dialettica. 16<br />

Attraverso la «necessità di scorie […] e dialettica» Sereni manifesta un’esigenza<br />

conoscitiva <strong>che</strong> percorre tutta la sua produzione poetica e <strong>che</strong> lo sospende tra nichilismo<br />

e speranza:<br />

Le cose, nonostante tutto, nascondono sempre una promessa: nel senso<br />

<strong>che</strong> si avverte sempre una possibilità diversa, un altro modo di vita, qualcosa<br />

di più pieno. C’è in esse un’attuazione <strong>che</strong> viene costantemente delusa e <strong>che</strong><br />

costantemente risorge, una potenzialità contraddetta o disdetta e tuttavia<br />

ritornante. 17<br />

All’altezza di Frontiera la dimensione oggettiva prende forma nella relazione <strong>che</strong><br />

l’io intrattiene col mondo e <strong>che</strong> lo porta a immergersi in esso, a farsi quasi cronista dei<br />

momenti del giorno e del succedersi delle stagioni. 18 Il tempo stesso si manifesta in<br />

questa relazione e la conoscenza deriva dall’osservazione dei dati sensibili <strong>che</strong><br />

diventano parola: «a ritmi di gocce / il mio tempo si accorda» (Concerto in giardino). È<br />

il contatto con gli elementi naturali quali l’acqua, il vento, lo spazio, la terra, l’aria, la<br />

luce, <strong>che</strong> determina la sostanza stessa di questi versi, <strong>che</strong> ancora tengono ai margini la<br />

guerra imminente, di cui però giunge già l’eco: «il tuono ti fingeva gli orrori / di una<br />

guerra lontana» (Immagine); «bambini in guerra sulle aiole» (Concerto in giardino).<br />

Tuttavia nonostante questi flash anticipatori di un drammatico prossimo futuro, in<br />

della fine” (A parma con A. B.) e della “recidiva speranza” (Autostrada della Cisa), un processo di svuotamento<br />

dell’io, <strong>che</strong>, se respinge l’idea cristiana della trascendenza, lambisce però una sorta di mistica laica e razionalistica»<br />

(Enrico Testa, Per interposta persona. Lingua e poesia nel secondo Novecento, cit., p. 70), <strong>che</strong> trova il suo momento<br />

iniziale in Frontiera.<br />

16 Così Vittorio Sereni in una lettera a Giancarlo Vigorelli datata 1937, in Giancarlo Vigorelli, Carte d’identità,<br />

Milano, Camunia, 1989, pp. 210-211. Poi in Dante Isella, Giornale di “Frontiera”, cit., p. 34.<br />

17 Così Sereni nell’intervista a Gian Carlo Ferretti Questo scrivere così vacuo così vitale. Conversazione con<br />

Vittorio Sereni sul presente e sul passato, sul suo lavoro, in «Rinascita», n. 42, 24 ottobre 1980, p. 40. Ora in Vittorio<br />

Sereni, La tentazione della prosa, a cura di Giulia Raboni, introduzione di Giovanni Raboni, Milano, Mondadori,<br />

1998, p. 462.<br />

18 Dante Isella, Giornale di “Frontiera”, cit., p. 18: «non si tratta di un’oggettualità in presa diretta, […] il<br />

“diario” non va inteso come registrazione di una realtà immediata e in divenire, ma al contrario come fedele<br />

registrazione di una memoria riservata, sollecitante nel corso del tempo e sollecitata quale indizio di una verità<br />

intensamente luminosa».<br />

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