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28.05.2013 Views

Al limite, uno potrebbe parlare di rose e nuvole invece che di Intifada e, nondimeno, introdurre nelle forme sintattiche o scelte lessicali qualcosa che ferisca l’ordine più gravemente di un appello all’insurrezione. 39 Questo atteggiamento, politico prima che poetico, trova conferma nell’uso di un linguaggio manieristico e stilizzato, che produce una sfasatura, un «rapporto decisamente straniato della poesia alla realtà», 40 di una lingua che non si vuole attuale, perché non vuole compromettersi coi meccanismi del presente. 41 Questo era anche il merito che Fortini riconosceva all’avanguardia, cioè di «aver richiamato alla memoria […] il grande valore del montaggio, del collaggio, e quindi del falsetto: che è un valore essenziale». 42 Non ne condivideva invece lo sperimentalismo, 43 la tendenza a mutuare i termini e il lessico della quotidianità e della tecnica, per riprodurre in modo mimetico gli automatismi che la società dei consumi aveva portato nel cuore del linguaggio e che Fortini accusava di «soggettivismo e, specularmente, di resa alla falsa oggettività dei reali». 44 Contro la falsificazione egli poneva la finzione: 38 Pier Vincenzo Mengaldo, Poeti italiani del Novecento, cit., p. 831. 39 Franco Fortini, Extrema ratio. Note per un buon uso delle rovine, Milano, Garzanti, 1990, p. 113. 40 Pier Vincenzo Mengaldo, Poeti italiani del Novecento, cit., p. 830. 41 Giovanni Raboni, La poesia che si fa. Cronaca e storia del Novecento poetico italiano – 1959-2004, cit., p. 196: «È una lingua che si vuole «morta» nella misura in cui rifugge […] da qualsiasi forma di collaborazione o complicità con lo stato di cose esistente. Porsi, formalmente, dalla parte della tradizione (non esclusa una parte cospicua della tradizione novecentesca, dall’eredità vociana – Rèbora, Jahier – sino alla lezione quasi fraterna dei quasi coetanei Luzi e Sereni) contro ogni forma di sperimentalismo e ogni progetto di «attualità» significa, per Fortini, guardare al di sopra del presente verso un’ideale traiettoria che congiunga la dignità del passato e la dignità di un futuro negato ma non impossibile». 42 Così Franco Fortini in Ferdinando Camon, Il mestiere di poeta, cit., p.138. Questa idea del falsetto trova poi una sua più completa realizzazione in Composita solvantur, in cui il contenuto politico viene riversato all’interno di forme iperletterarie che generano una stridente ironia. Il falsetto diventa «nota acuta» (Se volessi un’altra volta…) che dichiara ancora una volta l’impossibilità e il dolore della parola, ma anche la sua realizzazione nonostante tutto. 43 Romano Luperini, Il futuro di Fortini, cit., p. 17: «La forma, infatti, è anche realtà di presente e peso di passato; non solo anticipazione di un nuovo assetto sociale, è anche attributo della classe dominante. Per questo, i versi di Fortini esprimono un tentativo permanente di esorcizzare la forma, riducendola a maniera, essiccandola in retorica, mortificando ogni sua vitalità, ripudiando qualunque tentazione avanguardistica o sperimentale». 44 Così Pier Vincenzo Mengaldo, Poeti italiani del Novecento, cit., p. 830. Ma si legga anche un’intervista rilasciata al critico francese Rémi Roche, nella quale Fortini, riprendendo un suo scritto del 1960, dice che: «L’interrogation sur la possibilité de commettre présentement une erreur de méthode critique, poétique et finalement de vie, ne fait qu’une avec celle portant sur la possibilité d’une erreur de méthode quand nous voulons «transformer le monde». La résistance au «monde», que nous estimons héroïque, semble par instants (d’une façon horrible) être un refus infantile de l’aride vérité. La déception déchaine des passions autopunitives. […] «À la fin, qu’attends-tu de nous?» nous disent souvent les plus généreux. Et nous n’osons pas répondre comme nous devrions: «la grandeur», c'est-à-dire «vérité». La page et l’intention critiques, d’abord dirigées vers l’objet, le public, le discours vérifiable (dit-on) dérivent bientôt vers le journal et la confession. […] Et nous en arrivons bientôt aux mémoires dans le manuscrit, à l’outre-tombe dans la bouteille, à ce qui est le plus détestable: ces limbes où les anciens ennemis confus sourient, moqueurs ou repentants, aux vieux camarades. Il ne reste que l’espérance, à vrai dire non infondée, que quelques-unes de nos lettres de prisonnier, griffonnées au dos des plans d’opérations ayant échoué ou de projets de fortification détruites, témoignent, si elles sont lues des deux côtés de la feuille, d’une vérité objective qu’on n’espérait pas posséder, sinon en rêve» (Franco Fortini in «Donc sous peu sans mots la bouche» échanges Rémi Roche/Franco Fortini, in Franco Fortini, Une fois pour toutes. Poésie 1938-1986, cit., p. 153). 114

La città di cui sto parlando non esiste, è un’idea della ragione e della volontà. Nella speranza di essere compreso la chiamo con un nome sconosciuto. I suoi viali si aprono nel vuoto. […] (La realtà, in L’ospite ingrato secondo) L’andamento nominale rende l’idea di una sintassi sussultoria, come se la poesia stessa fosse protesa sul vuoto, in procinto di scivolare. Il discorso si fa instabile, «quasi a segnalare l’assenza (la perdita) di una logica articolata secondo le gerarchie del pensiero»: 45 la frattura tra pensiero e mondo è ormai irrimediabile, ragione e volontà parlano di qualcosa che non esiste, perché è venuta meno definitivamente la possibilità di collegare i due piani, quello delle parole e quello della realtà. La città che «non esiste» è utopia, non luogo, spazio che si apre ad una serie di possibilità che si oppongono alla Storia e alla realtà propriamente intesa. È un atto di insurrezione contro questa realtà, come il «giglio di Saron» dalla «lucente […] inesistenza» (Per l’ultimo dell’anno 1975 ad Andrea Zanzotto, in Paesaggio con serpente). Tale poetica era stata formulata negli anni Sessanta in alcuni testi teorici in cui scriveva che «Deve essere combattuta qualsiasi forma di vita apparente cioè di mimesi» 46 e che «come scrittore – almeno nella misura in cui mi sia dato di comunicare ad un pubblico – mi dico di voler apparire il più astratto». 47 Astrazione dunque: le immagini poetiche «si susseguono secondo la loro vicinanza al sapere assoluto, e non secondo l’ideale estetico della coincidenza della forma sensibile e l’idea». 48 La poesia si definisce come resistenza ad una realtà che non manifesta tensioni rivoluzionarie e che imprigiona in atti meccanici senza prospettiva di futuro: 191. […] Le dattilografe mettono la copertina sulla contabile. I gatti si occupano dei fatti loro. Nel garage puliscono carburatori. Questa è la realtà. Se lasci cadere un giornale esso volteggia e raggiunge le ortensie. Non vuoi abbandonare la sintassi. La finzione è l’ultima speranza. […] 45 Alberto Asor Rosa, Un altro Novecento, Firenze, La Nuova Italia, 1999, p. 363. 46 FrancoFortini, Poetica in nuce, in L’ospite ingrato primo, ora in Saggi ed epigrammi, cit., p. 963. 47 Franco Fortini, Astuti come colombe, cit., p. 67. 48 Guido Mazzoni, Forma e solitudine. Un’idea della poesia contemporanea, Milano, Marcos y Marcos, 2002, p. 115

La città di cui sto parlando non esiste,<br />

è un’idea della ragione e della volontà.<br />

Nella speranza di essere compreso<br />

la chiamo con un nome sconosciuto.<br />

I suoi viali si aprono nel vuoto.<br />

[…]<br />

(La realtà, in L’ospite ingrato secondo)<br />

L’andamento nominale rende l’idea di una sintassi sussultoria, come se la poesia stessa<br />

fosse protesa sul vuoto, in procinto di scivolare. Il discorso si fa instabile, «quasi a<br />

segnalare l’assenza (la perdita) di una logica articolata secondo le gerarchie del<br />

pensiero»: 45 la frattura tra pensiero e mondo è ormai irrimediabile, ragione e volontà<br />

parlano di qualcosa <strong>che</strong> non esiste, perché è venuta meno definitivamente la possibilità<br />

di collegare i due piani, quello delle parole e quello della realtà. La città <strong>che</strong> «non<br />

esiste» è utopia, non luogo, spazio <strong>che</strong> si apre ad una serie di possibilità <strong>che</strong> si<br />

oppongono alla Storia e alla realtà propriamente intesa. È un atto di insurrezione contro<br />

questa realtà, come il «giglio di Saron» dalla «lucente […] inesistenza» (Per l’ultimo<br />

dell’anno 1975 ad Andrea Zanzotto, in Paesaggio con serpente). Tale poetica era stata<br />

formulata negli anni Sessanta in alcuni testi teorici in cui scriveva <strong>che</strong> «Deve essere<br />

combattuta qualsiasi forma di vita apparente cioè di mimesi» 46 e <strong>che</strong> «come scrittore –<br />

almeno nella misura in cui mi sia dato di comunicare ad un pubblico – mi dico di voler<br />

apparire il più astratto». 47 Astrazione dunque: le immagini poeti<strong>che</strong> «si susseguono<br />

secondo la loro vicinanza al sapere assoluto, e non secondo l’ideale estetico della<br />

coincidenza della forma sensibile e l’idea». 48 La poesia si definisce come resistenza ad<br />

una realtà <strong>che</strong> non manifesta tensioni rivoluzionarie e <strong>che</strong> imprigiona in atti meccanici<br />

senza prospettiva di futuro:<br />

191.<br />

[…]<br />

Le dattilografe mettono la copertina sulla contabile.<br />

I gatti si occupano dei fatti loro.<br />

Nel garage puliscono carburatori. Questa<br />

è la realtà. Se lasci cadere un giornale<br />

esso volteggia e raggiunge le ortensie.<br />

Non vuoi abbandonare la sintassi.<br />

La finzione è l’ultima speranza.<br />

[…]<br />

45 Alberto Asor Rosa, Un altro Novecento, Firenze, La Nuova Italia, 1999, p. 363.<br />

46 FrancoFortini, Poetica in nuce, in L’ospite ingrato primo, ora in Saggi ed epigrammi, cit., p. 963.<br />

47 Franco Fortini, Astuti come colombe, cit., p. 67.<br />

48 Guido Mazzoni, Forma e solitudine. Un’idea della poesia contemporanea, Milano, Marcos y Marcos, 2002, p.<br />

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