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28.05.2013 Views

della memoria e del futuro. Valga per tutti la nota immagine dell’Enea caproniano (immagine carica di risonanze): essi si muovono in un tempo ambiguo e indefinito, nell’attesa dell’evento, attesa che sarà la cifra concettuale e poetica del Sereni del Diario d’Algeria, ma anche delle atmosfere sospese di Sandro Penna, un tempo conflittuale (la guerra, prima reale poi metaforica, ma sempre dall’evidenza concreta), che li strappa al passato, al ricordo, e li getta in un presente da rifiutare, per poi proiettarli in un futuro oscuro e incerto: Dico Enea meno eroe che uomo, e per di più uomo posto al centro di un’azione suprema (la guerra) proprio nel momento della sua maggiore solitudine: quando non potendo più appoggiarsi alla tradizione, ossia al padre, che ormai cadente è lui ad avere necessità d’esser sostenuto, tantomeno può appoggiarsi alla speranza, all’avvenire: ossia all’ancor troppo piccolo figlio. 3 Dietro alla figura di Enea possiamo intravedere un’intera generazione che fa i conti con il tempo, incarnando il destino di chi si trova a vivere simultaneamente passato e futuro nel presente del ricordo, della cronaca e della storia. Il poeta ha fatta propria, a titolo intellettuale e personale, una poetica dell’inappartenenza e della diversità, che lo porta al rifiuto di ogni sistema autoritario che, in quanto tale, si declina secondo le varie accezioni che assume la radice pater. La visione cristiana del Padre, con la sua gerarchia del bene e del male, del qui e dell’altrove, propone un ordine oppositivo ed esclusivo, così come il patrimonio della tradizione codificata e imposta e l’appartenenza nazionale (patria) spesso sembrano refrattari ad accogliere opposizioni e contraddizioni, o, quando ve ne siano, pronti a superarle attraverso violente rotture. Il rifiuto di un sistema così rigidamente gerarchizzato passa attraverso l’esperienza di una soggettività in dissidio col reale: la solitudine, la povertà e l’omosessualità di Penna, le sue incomprensioni col padre, che la famiglia lascia nel mezzo di un fallimento commerciale per trasferirsi a Roma, 4 dicono la ricerca di un’alternativa e di una diversità in cui si incarna il desiderio di fuga e di lontananza; l’invettiva e l’immagine del Dio-padre «morto o inesistente, ma, 3 Giorgio Caproni, Noi, Enea, «La Fiera letteraria», 3 luglio 1949. 4 Cfr. AA.VV., Sandro Penna appunti di vita, a cura di Elio Pecora, Milano, Electa, 1990, p. 51. E si legga anche quanto scrive Elio Pecora in Sandro Penna: una cheta follia, Milano, Frassinelli, 1984, pp. 99-100: «Ai dissidi interni fra pensiero e azione, fra visione artistica e passione, s’aggiunsero a quel tempo gravi disaccordi con il padre che, dopo un’ennesima lite, arrivò a cacciarlo di casa e scrisse alla moglie addossando al figlio una serie di sbagli e di colpe. […] In quello stesso mese partì per Roma, andò ad abitare in via Caio Mario con la madre e con Elda e Beniamino». 10

come il negativo, ineliminabile» 5 dell’ultimo Caproni e il senso di solitudine assoluto che ne deriva, che lo porta a sovvertire il rapporto generazionale rovesciandolo e trasformandosi nel figlio di suo figlio («Portami con te lontano / … lontano… / nel tuo futuro. / Diventa mio padre, portami / per mano…», A mio figlio Attilio Mauro…, in Il muro della terra); il tentativo di definire se stessi “rinominandosi” di Franco Fortini, nato Lattes, come se l’io volesse guardare se stesso dall’esterno, da una distanza che permetta di vedere meglio e di capire che il rapporto col padre «implica, o simboleggia, il rapporto con la classe, con la realtà»; 6 il senso di colpa, l’insicurezza e l’assenza di Dio nelle pagine di Sereni, che innesta nel rapporto generazionale un’immagine di violenza (Sarà la noia, in Stella variabile), 7 per cui il vissuto individuale non è mai pacificato ma si scontra sempre con la colpa di fronte alla storia e all’umanità. Il rifiuto di modelli nazionalistici, religiosi, filiali e identitari genera un processo di lotta, condotto dal soggetto contro i princìpi che regolano la nostra società: religione, famiglia, capitalismo e nazionalismo. Nella figura di Enea, emblema della relazione figlio/padre, c’è un senso ulteriore e per così dire dialettico: egli rappresenta l’unione del passato, quindi della tradizione e dell’eredità da salvare, e del futuro, quindi della speranza e dell’attesa nella prospettiva utopica di una nuova città e civiltà da fondare. Enea non deve annullare il passato, ma riconoscere ciò che in esso può dare un senso al presente. Questo è un nodo centrale anche nell’opera di Fortini, che parla di un «indimostrabile legame e presenza di 5 Franco Fortini, Oltre il valico, in Nuovi saggi italiani, Milano, Garzanti, 1987, p. 176. 6 Così Fortini: «Bisogna saper guardare i propri genitori in faccia. […] Avere un rapporto non nevrotico con i padri è probabilmente molto difficile; ma esso implica, o simboleggia, il rapporto con la classe, con la realtà» (Franco Fortini, Difesa del cretino, in Verifica dei poteri, ora in Saggi ed epigrammi, a cura e con un saggio introduttivo di Luca Lenzini e uno scritto di Rossana Rossanda, Milano, Mondadori «i Meridiani», 2003, pp. 192-193). Romano Luperini parla di un «vuoto di una figura paterna verso cui egli manifesta un sentimento oscillante tra disprezzo e pietà. […] in Fortini c’è l’atteggiamento opposto rispetto a quello di chi è stato frustrato da un padre eccessivamente rispettato; c’è un sentimento di vergogna per lui, per il suo tremore, per la sua mancanza di compostezza e di calma, che lo fa arrossire […]. La negazione del padre (sino a rifiutarne il cognome, anche se in questa scelta un peso forse determinante l’ebbero ragioni razziali e religiose), […] l’adesione a una norma costante d’autorepressione e d’interdizione di ogni movimento incomposto o vitalistico sembrano essere necessarie premesse della poesia fortiniana. Ne deriva una volontà di superiorità, di distanziamento […] una tendenza a porsi in alto […] per vedere meglio e giudicare insieme presente passato futuro» (Romano Luperini, Il futuro di Fortini, Lecce, Manni, 2007, p. 18). Dietro al cambio del nome dovevano comunque esserci ragioni pratiche, vista la torbida epoca che nel 1938 avrebbe portato alle leggi razziali, e ragioni religiose. In un’intervista Fortini afferma: «A diciotto anni ho conosciuto chi mi ha convertito: lo storico Giorgio Spini, valdese, che aveva un anno più di me. La mia formazione protestante nasce da lui: mi ha dato fortissimo il senso della storia, la necessità della concreta incarnazione, e ho letto i testi cristiani, insieme con Karl Barth e Kierkegaard» (intervista a Franco Fortini di Claudio Altarocca, «Tuttolibri», supplemento de «La Stampa», 5 marzo 1994; ora in Paolo Jachia, Franco Fortini. Un ritratto, Arezzo, Zona, 2007, p. 129). 7 Non direttamente rapporto figlio/padre, poiché la Laura di cui parla nella poesia è la nipote, figlia della sua primogenita Maria Teresa. Qui Sereni si vede quindi come padre “alla seconda”, ossia nonno. 11

della memoria e del futuro. Valga per tutti la nota immagine dell’Enea caproniano<br />

(immagine carica di risonanze): essi si muovono in un tempo ambiguo e indefinito,<br />

nell’attesa dell’evento, attesa <strong>che</strong> sarà la cifra concettuale e poetica del Sereni del<br />

Diario d’Algeria, ma an<strong>che</strong> delle atmosfere sospese di Sandro Penna, un tempo<br />

conflittuale (la guerra, prima reale poi metaforica, ma sempre dall’evidenza concreta),<br />

<strong>che</strong> li strappa al passato, al ricordo, e li getta in un presente da rifiutare, per poi<br />

proiettarli in un futuro oscuro e incerto:<br />

Dico Enea meno eroe <strong>che</strong> uomo, e per di più uomo posto al centro di<br />

un’azione suprema (la guerra) proprio nel momento della sua maggiore<br />

solitudine: quando non potendo più appoggiarsi alla tradizione, ossia al<br />

padre, <strong>che</strong> ormai cadente è lui ad avere necessità d’esser sostenuto,<br />

tantomeno può appoggiarsi alla speranza, all’avvenire: ossia all’ancor troppo<br />

piccolo figlio. 3<br />

Dietro alla figura di Enea possiamo intravedere un’intera generazione <strong>che</strong> fa i conti con<br />

il tempo, incarnando il destino di chi si trova a vivere simultaneamente passato e futuro<br />

nel presente del ricordo, della cronaca e della storia. Il poeta ha fatta propria, a titolo<br />

intellettuale e personale, una poetica dell’inappartenenza e della diversità, <strong>che</strong> lo porta<br />

al rifiuto di ogni sistema autoritario <strong>che</strong>, in quanto tale, si declina secondo le varie<br />

accezioni <strong>che</strong> assume la radice pater. La visione cristiana del Padre, con la sua gerarchia<br />

del bene e del male, del qui e dell’altrove, propone un ordine oppositivo ed esclusivo,<br />

così come il patrimonio della tradizione codificata e imposta e l’appartenenza nazionale<br />

(patria) spesso sembrano refrattari ad accogliere opposizioni e contraddizioni, o, quando<br />

ve ne siano, pronti a superarle attraverso violente rotture. Il rifiuto di un sistema così<br />

rigidamente gerarchizzato passa attraverso l’esperienza di una soggettività in dissidio<br />

col reale: la solitudine, la povertà e l’omosessualità di Penna, le sue incomprensioni col<br />

padre, <strong>che</strong> la famiglia lascia nel mezzo di un fallimento commerciale per trasferirsi a<br />

Roma, 4 dicono la ricerca di un’alternativa e di una diversità in cui si incarna il desiderio<br />

di fuga e di lontananza; l’invettiva e l’immagine del Dio-padre «morto o inesistente, ma,<br />

3 Giorgio Caproni, Noi, Enea, «La Fiera letteraria», 3 luglio 1949.<br />

4 Cfr. AA.VV., Sandro Penna appunti di vita, a cura di Elio Pecora, Milano, Electa, 1990, p. 51. E si legga an<strong>che</strong><br />

quanto scrive Elio Pecora in Sandro Penna: una <strong>che</strong>ta follia, Milano, Frassinelli, 1984, pp. 99-100: «Ai dissidi interni<br />

fra pensiero e azione, fra visione artistica e passione, s’aggiunsero a quel tempo gravi disaccordi con il padre <strong>che</strong>,<br />

dopo un’ennesima lite, arrivò a cacciarlo di casa e scrisse alla moglie addossando al figlio una serie di sbagli e di<br />

colpe. […] In quello stesso mese partì per Roma, andò ad abitare in via Caio Mario con la madre e con Elda e<br />

Beniamino».<br />

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