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588<br />

L’INDICE <strong>PENALE</strong>, 1/2011<br />

solo dai rigidi principi della morale: a questo composito valore dovendosi<br />

in pratica confrontare il criterio con cui giudicare se un atto fosse contrario<br />

alla decenza.<br />

Era una indicazione non esaustiva, certo, ma pur sempre un’indicazione.<br />

Solo che il problema esegetico non avrebbe potuto trascurare la<br />

realtà di altre concrete indicazioni. Perché senza dubbio – esclusa naturalmente<br />

l’intenzione di far deliberatamente oltraggio al pudore – noncuranza,<br />

sottovalutazione delle’’buone norme’’ di condotta civile, disinvoltura,<br />

rozzezza scurrile di linguaggio e di gestualità potevano rivelarsi non<br />

proprio così rare in taluni ambienti sociali. E saltimbanchi, giocolieri girovaghi,<br />

burattinai, divinatori, interpreti di sogni, ciarlatani – è ben comprensibile<br />

– non sapevano facilmente correggere, né rifiutare sempre, espressioni<br />

verbali o manifestazioni gestuali sconvenienti, volgari, indecorose;<br />

consuete però al modo di vivere e di sentire la decenza tra la gente, percepite<br />

infine e adottate senza particolare disagio.<br />

Spesso infatti l’atto indecoroso rispondeva proprio al modo usuale di<br />

comunicare, di stabilire relazioni, appariva cioè avulso da una reale offesa<br />

per quel sentimento collettivo di elementare castigatezza cui si riconduceva<br />

il valore pubblica decenza. Per un sensale, ad esempio, concludere nelle<br />

sua attività girovaga un contratto, gestire tra i privati comunque un qualsiasi<br />

negozio, significava talvolta ricorrere, adeguarsi ad espressioni e manifestazioni<br />

esteriori forse anche sconvenienti, e tuttavia risolutive. Certo<br />

consuete, correnti tra la gente del luogo e di quel tempo, nella definizione<br />

di un affare: in astratto obiettivamente contrarie ai canoni della pubblica<br />

decenza.<br />

In astratto però.<br />

Inconcreto,invecerimproverareachioperavainunambientenon<br />

particolarmente sensibile, o del tutto insensibile a forme sconvenienti<br />

di comunicazione, una disattenzione verso regole etico-sociali di elementare<br />

castigatezza, di pudore tali da offendere la pubblica decenza, poteva<br />

rivelarsi davvero pretestuoso. Il criterio di giudizio, in effetti, doveva adeguarsi<br />

al significato relativo e convenzionale di decenza, tenendo dunque<br />

conto dei tempi, dei luoghi appunto, della moda, della consuetudine dialettale;<br />

e della tolleranza, del resto, verso licenziosità comunemente ammesse.<br />

L’invito al magistrato era quindi a giudicare con moderazione: ciò che<br />

ieri pareva in urto con la decenza poteva non esserlo più; ciò che in un<br />

luogo e fra certe persone sembrava indecente poteva non esserlo in altro<br />

luogo, tra altra gente. Così, se la comunicazione verbale o gestuale adottava<br />

senza suscitare particolare imbarazzo, particolare disagio o disgusto, modelli<br />

di discutibile castigatezza, il concetto di pubblica decenza doveva risentire<br />

di questa ‘‘tolleranza del mondo’’, e affidarsi a criteri di valutazione<br />

essenzialmente mondani, capaci nell’insieme, di rivelare la reale volontà

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