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VECCHIE PAGINE, RICORDI E PROSPETTIVE STORICHEI<br />

561<br />

In fondo, sul controllo dei mestieri girovaghi si rifletteva e ripeteva un<br />

tema centrale, assillante nella stessa letteratura penale di fine ottocento; e<br />

cioè l’esigenza, o la speranza, di tutelare la tranquillità e la sicurezza dei cittadini<br />

senza tuttavia forzare limiti, coartare libertà, rispettando anzi il diritto<br />

del singolo ad una concreta libertà: nel caso specifico, quella di vagabondare<br />

per lavorare.<br />

Ma, in definitiva: tra prevenzione e repressione, tra legge di Polizia e<br />

Codice penale ‘‘liberale’’, l’esercizio di mestieri girovaghi soggiacerà comunque<br />

a un controllo appunto di polizia amministrativa, e di normazione<br />

penale. Normazione piuttosto faticosa innegabilmente nelle sue chances applicative.<br />

Inopportuno infatti stabilire un automatismo quasi, tra occupazione<br />

vagabonda e pericolo per ‘‘il regolare andamento del vivere civile’’;<br />

inopportuno, e insidioso, anche, tradurre e materializzare poi il persistente<br />

diffuso sospetto di attività prodromiche al delitto – tipiche del vagabondare<br />

– in una concreta fattispecie penale.<br />

Di questo problema la ‘‘scuola classica’’ fu certo consapevole e preoccupata<br />

– ricorderei l’insistenza di Carrara sulla necessaria offensività del reato –,<br />

di fatto però nonriuscìad opporre che una resistibile avversione alla pratica<br />

del sospetto, tentazione costante e sempre sottesa: a significare puntualmente<br />

prioritarie pressanti esigenze di rafforzata tutela per l’ordine pubblico.<br />

Vero: non tutti i settori dell’attività girovaga da queste esigenze furono<br />

probabilmente vessati. Tuttavia, è comunque vero, e sembra ora più agevole<br />

costatarlo, nella stessa disciplina, nel giudizio in pratica sulla rispondenza di<br />

quell’attività alle regole di un assetto civile e ordinato della società, si insinuò<br />

anche – vale ricordarlo – una complessa dislocazione di competenza e di poteri,<br />

per certi aspetti invasiva nei confronti di un suo libero esercizio.<br />

Potrebbe essere, ad esempio, piuttosto utile ricordare ancora l’istituto<br />

della revoca, il ritiro cioè del certificato di iscrizione, da parte dell’Autorità<br />

di polizia per la commissione, in particolare, di fatti abusivi da parte del<br />

mestierante vagabondo. Priva di formalità giudiziarie, affidata ad una semplice<br />

normazione amministrativa, la revoca, in sostanza, non escludeva affatto<br />

nella valutazione dei singoli casi di abuso, rilievi e decisioni della<br />

stessa Autorità locale. E basterebbe di nuovo pensare a fatti di occupazione<br />

del suolo pubblico o privato senza permesso speciale, ad intralci al traffico,<br />

al disturbo quindi della viabilità: situazioni, tutte, in cui la competenza del<br />

Comune era indiscutibile, e tale da permettere una delle condizioni di revoca.<br />

L’impressione allora è che questo intervento del potere locale, il facile<br />

addebito poi della violazione a taluni tipi di lavoro ambulante – gli artisti di<br />

strada appunto – interferisse non di rado sull’esercizio del mestiere; penalizzato<br />

infine da capillari misure revocatorie, da un controllo piuttosto articolato,<br />

frazionato appunto tra vari poteri; non proprio vessatorio forse,<br />

ma neppure rassicurante.<br />

Nessun dubbio: la frammentazione di competenza, e naturalmente i<br />

suoi riflessi imbarazzanti negativi su questo, e altri problemi del resto, di-

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