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L’INDICE PENALE, 1/2011
lizia e codificazione penale il principio, e il limite, di libertà nell’esercizio
dei mestieri girovaghi qualche pecca di quell’edificio finirebbe per rivelare.
Potrebbe così costatarsi, adottando una esemplificazione senz’altro riduttiva
del problema più generale, come proprio la coesistenza difficile e
controversa tra leggi di polizia e regolamenti municipali inducesse l’obbligo,
una volta ottenuto l’iscrizione nel registro e il relativo certificato,
di richiedere il visto alla licenza a tutte le autorità dei Comuni dove si intendesse
svolgere la professione: sempre che l’Autorità di polizia competente
non fosse quella del circondario. L’Autorità locale, inoltre, avrebbe
potuto censurare l’autorizzazione; con un innesto, evidentemente, di poteri
regolamentari municipali che, pur esercitati in conformità alle leggi generali,
qualche perplessità sulla resistenza di una pluralità di competenze
avrebbe davvero suscitato. E approfondito in concreto quella frammentazione
di regole e discipline, discutibile se prevaricatrici o meno; certamente
disagevoli però, in un progetto unitario di normazione.
Su questo punto valga del resto anche altra rapidissima esemplificazione.
Davvero per incidens varrebbe così ricordare come sullo stesso rilascio
del certificato di iscrizione quando non puro e semplice, ma viceversa
vincolato a condizioni di esercizio stabilite discrezionalmente dall’Autorità
di polizia – limitazioni di tempo nell’attività, località dove il permesso potesse
avere efficacia – insistessero e si affiancassero modalità imposte anche
da regolamenti comunali. E in merito a questa interferenza di poteri locali,
la Cassazione finì anzi per chiarire che l’esercizio di un mestiere girovago
nonostante la revoca della licenza da parte del Sindaco contravvenisse senz’altro
a precise disposizioni della legge comunale e provinciale assolutamente
vincolanti( 55 ).
Sul difficile iter di redazione del Codice penale dell’89, interrogativi e limiti del movimento
di idee che lo accompagnò si veda, nella raccolta dei Codici preunitari pubblicata dalla
Cedam negli anni novanta e a cura di S. Vinciguerra, la presentazione dello stesso Vinciguerra
al Codice penale per gli Stati di S.M. il Re di Sardegna (1839), Padova, 1992, p.
VII ss. Sempre di Vinciguerra, e nella stessa raccolta, Il codice penale napoleonico due secoli
dopo. Brevi riflessioni e qualche spunto per la comparazione, nel volume dedicato al Codice
dei delitti e delle pene pel Regno d’Italia (1811), Padova, 2001, p. CLXIII. Cfr. inoltre nella
raccolta citata M. Da Passano, Il problema dell’unificazione legislativa e l’abrogazione del
Codice Napoletano, nel volume Il codice per lo Regno delle due Sicilie (1819), Padova,
1994, p. XXVII ss. e spec. p. LXIV ss. Vd., anche, A. Cadoppi, L’albero genealogico dei
codici italiani, inL’indice penale, 2007, spec. p. 885 ss.; A. Cavanna, Storia del diritto moderno
in Europa. Le fonti e il pensiero giuridico, Milano, 2005, p. 292 ss.
( 55 ) Vd. Corte di Cassazione di Roma 5-5-1896 in Il Foro italiano, 1896, Parte 2º, vol.
XXI, col. 276. Il Supremo Collegio nel decidere sulla denuncia dei Sindaco di Venezia nei
confronti di un ambulante che contravvenendo a regolamenti di quel Comune, girovagava in
un giardino pubblico ponendo in vendita un opuscolo, per incidens dal titolo ‘‘Un imbecille
all’esposizione: catalogo umoristico’’, osservava anzitutto che l’ambulante non solo era stato
diffidato dall’astenersi da quel comportamento, ma gli era stata revocata la stessa licenza al-