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VECCHIE PAGINE, RICORDI E PROSPETTIVE STORICHEI<br />

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sede stabile determinata fissa, contraddicessero, nella loro parvenza di<br />

autonomia e professionalità, esigenze e ragioni di tutela per la tranquillità<br />

e sicurezza dei cittadini. Esigenze, spesso, forse anche prevaricatrici: se al<br />

variegato mondo delle attività ambulanti si fosse voluto – e si volle – addebitare,<br />

esattamente come al vagabondaggio, quel sospetto di un’ineluttabile<br />

predisposizione alla realizzazione di fatti criminosi.<br />

Ma, in definitiva, non è affatto improbabile: imputazioni delittuose e/o<br />

contravvenzionali dovettero segnare la vicenda del libero esercizio dei mestieri<br />

girovaghi. E sarebbe del resto sufficiente pensare di nuovo a ipotesi di<br />

mendicità, di molestia, di disturbo alla quiete pubblica e privata, o naturalmente,<br />

addebiti di truffa, di furto, per costatare come la professione girovaga,<br />

se non riconosciuta anzitutto, attratta nella rete del vagabondaggio ad<br />

esso fosse accumunata nel sospetto di una attività prodromica al delitto.<br />

5. Controllo preventivo-repressivo di polizia sul lavoro ambulante. Si ripropone<br />

l’anomalia del provvedimento ammonitivo, e l’ambiguo rapporto<br />

fra pena e misura di polizia.<br />

Innegabilmente: occorre non dimenticare la garanzia di un tassativo sistema<br />

di sanzioni ad hoc. E infatti, l’esercizio di mestieri girovaghi privi di<br />

riconoscimento amministrativo non doveva risolversi automaticamente in<br />

un fatto di vagabondaggio, né confondersi quasi fisiologicamente nel sospetto<br />

di comportamenti illeciti. In pratica, secondo quanto disposto già<br />

nella legge di Polizia del 1859 chi esercitava un lavoro ambulante senza<br />

iscrizione o licenza, ovvero con certificati di iscrizione e licenza altrui, doveva<br />

essere anzitutto rinviato all’Autorità giudiziaria per l’applicazione<br />

della pena. Pena che veniva poi comminata senza formalità di atti, e nei limiti<br />

posti dagli artt. 135 e 136 della legge stessa: cioè col gravame delle cosiddette<br />

pene di polizia, le quali prevedevano l’arresto fino a cinque giorni<br />

o l’ammenda fino a lire cinquanta, oltre ad un trattamento più severo per i<br />

recidivi. Lo stesso rifiuto di esibire la licenza o il certificato importava la<br />

perdita della libertà personale per ventiquattro ore senza alcun giudizio e<br />

a cura della autorità di P.S.<br />

Una disciplina particolare, dunque, specifica; certo un procedimento<br />

sanzionatorio piuttosto anomalo, criticatissimo e sospetto di arbitrarietà.<br />

Sola la legge di Polizia del 1889 in conformità ai principi liberali, ascritti<br />

poi al Codice penale Zanardelli, rifuggirà dalla ‘‘pena di Polizia’’; e la sostituirà<br />

infine con la semplice ammenda comminabile a chi contravvenga alle<br />

norme poste a disciplina dei mestieri girovaghi.<br />

In questo senso – va riconosciuto – la censura ad un sistema di controllo<br />

ritenuto chiaramente imbarazzante, privo appunto di compiute garanzie<br />

giurisdizionali, evidenziava, anzi confermava, l’attualità, e la condivisione<br />

in fondo di un’ispirazione senz’altro garantista.

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