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542<br />

L’INDICE <strong>PENALE</strong>, 1/2011<br />

Altro problema avrebbe poi suscitato ai fini del riconoscimento e della<br />

relativa concessione amministrativa per l’esercizio di talune attività girovaghe<br />

l’esegesi dell’espressione ‘‘merci’’, destinata a individuare l’originaria<br />

situazione di venditore o distributore ambulante delle merci stesse. E cioè:<br />

doveva intendersi in senso restrittivo, quale sinonimo di merci, o all’opposto<br />

in senso ampio, qualsiasi cosa mobile di cui si possa fare traffico,<br />

commercio, e tale appunto da rivelarsi oggetto di un’attività occupazionale:<br />

disciplinabile infine, e disciplinata nel suo libero esercizio.<br />

Analoghe oscillazioni definitorie si prospettavano, del resto, per lo<br />

stesso significato, appunto, della parola cenciaiulo, estensibile, o meno, a<br />

chi esercitasse il mestiere, non infrequente nella società di fine ottocento,<br />

di ferrivecchi ambulante.<br />

venzione di cui all’art. 72 l.p.s., non ocorra l’abitualità dell’esercizio di venditore ambulante,<br />

sufficiente apparendo anche un fatto unico ed isolato di tale esercizio, e pur se compiuto per<br />

conto di un terzo debitamente iscritto nel registro indicato da tale articolo. Per conclusioni<br />

diverse, in precedenza, Corte di Cassazione di Roma, 8-2-1893, in Il Foro italiano, 1893, Parte<br />

2º, vol. XVIII, col. 265. Decise la Corte che non abbia obbligo di iscrizione nell’apposito<br />

registro chi non eserciti abitualmente il mestiere di facchino, ma ne compia solo qualche volta<br />

durante l’anno, e fuori il consueto orario di lavoro, qualche atto isolato ed occasionale.<br />

L’ipotesi concreta riguardava appunto degli operai di campagna i quali scaricavano ghiaia<br />

per conto terzi. Cfr. ancora, Corte di Cassazione di Roma 1-7-1896, in Il Foro italiano,<br />

1896, Parte 2º, vol. XI, col. 363 ss. Nel confermare la condanna a lire due di ammenda<br />

in violazione dell’art. 72 l.p.s. per due facchini dipendenti da un’impresa di navigazione<br />

sul lago Maggiore per aver trasportato a domicilio merci e bagagli dei passeggeri, il Supremo<br />

Collegio affermò: che l’impresa di cui i facchini risultavano dipendenti non era assuntrice di<br />

quel’obbligo, e quindi inodenea a concedere qualsiasi autorizzazione, inoltre che l’autonoma<br />

attività di un solo atto di facchinaggio non poteva affatto rappresentare nel caso di specie<br />

esercizio del mestiere ambulante di facchino di piazza soggetto a disciplina amministrativa.<br />

Analizzando sempre il requisito dell’abitualità, una decisione, anche, della Corte di Cassazione<br />

di Roma, datata 19-11-1898, in Il Foro italiano, 1899, Parte 2º, vol. XXIV, col. 34 ss. ove<br />

si stabilì che l’albergatore il quale alla stazione cerchi di indurre qualche viaggiatore al suo<br />

albergo, non esercitasse il mestiere ambulante di intromettitore soggetto all’iscrizione nell’apposito<br />

registro. E infatti, assente il carattere stesso dell’intromissione, l’attività riconducendosi<br />

appunto al solo albergatore, non poteva in ogni caso configurarsi l’obbligo di quell’iscrizione,<br />

ed ipotizzarsi allora l’esercizio di un’occupazione girovaga: recandosi l’albergatore<br />

solo occasionalmente e per lo svolgimento del suo mestiere, alla stazione ferroviaria del<br />

paese di residenza. E però a spiegare la controversa dizione e il carattere del mestiere girovago,<br />

a negarne spesso quella valenza poteva soccorrere la mancanza di un suo autonomo<br />

esercizio. Così i sediari che trasportavano in portantina i visitatori delle antichità di Pompei<br />

non potevano assimilarsi alla tipologia dei facchini di piazza perché non ricorreva nella loro<br />

attività proprio il requisito di autonomo esercizio di una occupazione ambulante. Infatti i<br />

sediari erano scelti e arruolati dall’Amministrazione di Pompei per prestare permanentemente<br />

quel servizio sotto la sorveglianza della Amministrazione stessa. In riforma ad una sentenza<br />

di condanna per violazione degli art. 72 e 76 della legge di Polizia la Corte di Cassazione<br />

di Roma in data 21-4-1904 (vd. IlForo penale, 1904, Parte 2a, vol. XXIX, col. 477) appunto<br />

decise che l’attività dei sediari, assente un suo carattere autonomo, ed anche ambulante, non<br />

dovesse considerarsi esercizio di mestiere girovago.

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