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L’INDICE PENALE, 1/2011
per il reclamo (art. 107 l.p.s.) adombravano l’iter di uno schema processuale
complementare, sì, all’iniziativa dell’Autorità di polizia, ma certo
non privo di una parziale ibrida giuridicizzazione( 17 ).
Ibrida, ambigua: e però capace anche di attrarre sulla traccia, evidentemente,
di questa ambiguità, il vagabondaggio e situazioni riducibili a vagabondaggio
nell’ambito penale.
In ogni caso tentazioni repressive non sempre sopite, incerte opzioni
tra esigenze di controllo sociale e principi liberali segnano innegabilmente
il tema; e però – osserverà tra gli altri Florian – con il risultato di lasciare
piuttosto in ombra il vero problema: il problema cioè, chiaro alla fine dell’ottocento,
non solo di una efficace prevenzione del pericolo latente nel
vagabondaggio e nello stesso esercizio di mestieri girovaghi, ma di un controllo
della forza lavoro.
Nel 1873, annotava sempre Florian, la preoccupazione delle élites governative,
ad esempio, insisteva sulla circostanza che la pratica giovanile dei
mestieri girovaghi, e del vagabondaggio insito nei mestieri stessi, potesse
dilagare: con l’ovvia conseguente sottrazione di mano d’opera.
E l’opinione dominante, poi, finiva per avallare l’opportunità di ricondurre
la ‘‘incriminabilità’’ del vagabondaggio a forme affini, o rispondenti
al criterio della prevenzione di Polizia: ipotizzando, in ultima analisi, per il
caso concreto, un fatto contravvenzionale( 18 ). Privo di vera e propria lesione
giuridica – questo l’assunto – il modello contravvenzionale avrebbe
giustificato, in pratica, la repressione in fase anticipata del vagabondaggio
e dell’oziosità: investiti sempre dal sospetto di concretizzare situazioni inevitabilmente
prodromiche alla commissione di fatti delittuosi.
( 17 ) In sintesi questo appunto lo schema processuale ipotizzato dagli art. 97 e seguenti
della legge di Polizia Al Presidente del Tribunale, o ai giudici del Tribunale da lui delegati,
incombeva anzitutto il dovere di verificare, ma sommariamente, per mezzo di testimonianze
o di altre informazioni quanto esposto nella denuncia, nel termine di cinque giorni convocare
l’imputato comunicandogli l’esposizione succinta dei fatti sui quali si fondava appunto la facoltà
di presentare prove a discarico (art. 98). Comparso l’imputato, il Presidente dopo aver
spiegato le ragioni e lo scopo della denunzia, lo invitava a giustificarsi accordandogli, ove lo
richiedesse l’assistenza di un difensore (art. 99). Certo, il nucleo di uno schema processuale,
per quanto estremamente semplificato, poteva anche individuarsi nella pronuncia del giudice:
se l’imputato ammetteva i fatti, o li negava senza addurre testimonianza o altre giustificazioni,
l’iter si concludeva infatti con un’ ordinanza di ammonizione (art. 100). Contro la
quale, però era ammesso reclamo: ma – va sottolineato – per soli motivi di incompetenza
o di inosservanza delle disposizioni contenute nel Titolo terzo, Capo terzo relativo alle persone
pericolose per la società. Ora che questo procedimento adombrasse talune garanzie per
l’imputato, il reclamo ad esempio avrebbe sospeso per cinque giorni il provvedimento operando
anche in assenza di reclamo (vol. Corte di Cassazione di Roma 18-11-1897, in Il Foro
italiano, 1898, vol. XXII, Parte 2º, col. 16), può anche essere vero, ma le anomalie, un unico
grado di appello soprattutto, sono piuttosto evidenti.
( 18 ) Per tutti, sul punto E. Florian - G. Cavaglieri, op. cit., vol. II, p. 255.